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Galli e Romani nel bresciano fra III e I sec. a.C.


Il Museo Civico di Manerbio, dal 20 maggio 2018 al 30 maggio 2019, ospiterà la mostra “Galli & Romani: nuove scoperte nel bresciano”. Per far conoscere alla cittadinanza quale tipo di reperti vi siano esposti, sono state organizzate conferenze. La prima è stata: “Galli e Romani nel bresciano fra III e I sec. a.C.” ed è stata tenuta l’11 ottobre 2018 al Teatro Civico “M. Bortolozzi” dalla dott.ssa Serena Solano, in servizio presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia. 
dott.ssa serena solano
Dott.ssa Serena Solano
Parlare di “Celti”, o “Galli” che dir si voglia, significa trattare di una miriade di popolazioni. Nell’area attualmente bresciana, erano stanziati i Cenomani; il fiume Oglio li divideva dagli Insubri (area Milano-Pavia). I Veneti, che avevano resistito alle invasioni celtiche all’inizio del IV sec. a.C., erano rimasti un gruppo ben distinto sia da quelli alpini che da quelli di pianura.
            Brescia era la capitale cenomane; fu poi progressivamente romanizzata, fino a divenire “Colonia Civica Augusta Brixia” (27-8 a.C.). Il cuore dell’insediamento era il colle Cidneo, attuale sede del Castello. Nei pressi, si trova infatti il Capitolium, ai piedi del quale sono stati ritrovati (tra il 2008 e il 2011) abbondanti reperti ceramici. L’integrità delle ciotole fa pensare che non fossero state trasportate da luoghi lontani. Tali ritrovamenti testimoniano che l’area era frequentata almeno dall’Età del Bronzo.
Davanti al Capitolium, sono stati ritrovati anche i resti di una struttura in blocchi di pietra locale, con un tavolato ligneo. In essa, è presente un pozzo, sul fondo del quale sono state recuperate tracce di legumi, granaglie, animali non macellati, coppe pregiate e integre. Ciò ha fatto pensare al deposito votivo di un sacello. L’ipotesi di un pozzo sacro impiegato in un rito di fondazione sarebbe rafforzata da un “opus quadratum” (= costruzione in blocchi di pietra squadrati”), realizzato ai piedi del Cidneo attorno al II sec. a.C. Per conoscere meglio la situazione dell’epoca, pensiamo al “tesoro di Manerbio” (150-135 a.C.): 4000 dracme padane di Insubri, Libui e Cenomani. Un tesoro comune, dunque, forse custodito in un santuario federale. Che fosse un santuario federale anche quello ai piedi del Cidneo? Al 196 a.C. risale un “foedus” (= patto) fra Romani e Cenomani, che avrebbe potuto essere una buona occasione per costruire una struttura simile.
Nella prima metà del I sec. a.C., l’ “opus quadratum” ai piedi del Cidneo fu sostituito da un santuario tardo-repubblicano su modello italico. Oltre alle tre celle per Giove, Giunone e Minerva, ne comprendeva una quarta, per una divinità indigena. Ristrutturato in età augustea, fu poi rimpiazzato dal Capitolium voluto da Vespasiano. Sul Cidneo, si trovano invece tracce del culto del dio Bergimus.
            Per quanto riguarda la caratterizzazione dei reperti in provincia, Insubri e Cenomani sono distinti perlopiù dai riti funebri: cremazione per i primi, inumazione per i secondi (IV-III sec. a.C.). Anche questi ultimi avrebbero gradualmente adottato l’incinerazione, sull’esempio dei Romani. È particolarmente interessante la Tomba del Guerriero di Flero (2^ metà del III sec. a.C.). Questi fu cremato in un’epoca in cui ciò era inusuale, per i Cenomani; il suo corredo comprende fibule di fabbricazione non locale e una coppa a vernice nera (tipologia etrusca che imitava la ceramica attica).
La seconda guerra punica, durante la quale Annibale condusse gli elefanti attraverso le Alpi, determinò un forte interesse dei Romani per quest’area. Il periodo compreso fra III e I sec. a.C. è dunque contrassegnato dalla volontà romana di controllare il territorio norditalico. È anche il periodo in cui va formandosi la cosiddetta “koinè galloromana”: una commistione di culture testimoniata da manufatti, monetazione e sepolture.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 138 (novembre 2018), p. 21.

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