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Seven Friends
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E-book289 pagine4 ore

Seven Friends

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Info su questo ebook

Questa è la storia di Niky Stark che, insieme a suo fratello Kevin e ai suoi genitori, si trasferisce da New York a uno sperduto paesino del profondo Sud americano per scappare dalla frenetica e pericolosa vita della Grande Mela. Ma sarà questa la vera ragione di questo improvviso trasferimento o i suoi genitori le stanno nascondendo qualcosa? Niky Stark, riluttante a questo trasloco forzato non riesce a farsene una ragione specialmente perché, appena raggiunge la meta della sua nuova esistenza, si accorge che intorno a lei cominciano a verificarsi cose strane, molto strane. Voci terrificanti che sembra udire solamente lei e sogni agghiaccianti che le tolgono il sonno sono soltanto l’inizio di un incubo che, solo una volta conosciuti i suoi nuovi compagni di scuola, comincerà a poco a poco a dissiparsi, trasformandosi in una straordinaria avventura al di là di ogni possibile immaginazione… specialmente perché questa è una storia vera. Questa è la vera storia di Niky Stark!
LinguaItaliano
EditoreNiky Stark
Data di uscita6 giu 2014
ISBN9786050304282
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    Anteprima del libro

    Seven Friends - Niky Stark

    noi…

    OGGI

    1

    Viaggiavamo da tutta la notte. Avevamo attraversato mezza nazione e il mio risveglio arrivò con le prime luci dell’alba.

    Sbadigliai e guardai fuori dal finestrino della nostra monovolume rossa: campi, solo un’immensa distesa di campi.

    Oddio! pensai, ma dove ci sta portando nostro padre?

    Qualche mese prima mamma e papà avevano prima parlato, poi discusso, poi urlato. All’inizio io e Kevin, mio fratello più piccolo, avevamo pensato che tale sfoggio di ringhi e ruggiti tra loro fosse un inizio di separazione e invece no, era molto peggio. Papà aveva deciso di trasferirsi, anzi, di trasferirci dalla nostra amata New York a un imprecisato paesino sperduto nel profondo sud degli States.

    Mi stropicciai gli occhi e tornai a guardare fuori dal finestrino.

    Campi, campi e ancora campi.

    Richiusi gli occhi e tornai a pensare a mia madre che, anche se inizialmente si era opposta con tutte le forze a questa scelta, alla fine aveva capitolato. Forse anche perché papà, sul finire della discussione, aveva scoperto del tutto le sue carte: voleva tornare nel paese dove loro si erano prima conosciuti, poi innamorati e poi ancora sposati.

    Cara, aveva sostenuto abbracciandola, sii realista, là si sta molto meglio che qua. La vita costa la metà. La delinquenza è pari quasi allo zero. L’aria è pulita, si vive immersi nel verde e a contatto con una natura ancora in larga parte incontaminata. Per non parlare delle scuole, sicuramente più sicure di quelle di New York. E la gente? Pensa a quante brave persone conoscevamo laggiù. Fidati di me. È sicuramente il posto migliore dove crescere i nostri figli. E poi ci trasferiremo nella casa di famiglia. Ricordi quant’è grande?

    Lei a quel punto, con mio grande stupore, lo aveva stretto forte a sé e, dopo averlo baciato delicatamente sulle labbra, gli aveva risposto: Ok amore, proviamoci… e che Dio questa volta ce la mandi buona.

    Finale della storia: loro erano tornati felici, io no. L’idea di trasferirmi mi aveva fatto andare su tutte le furie, ma cosa poteva fare una ragazza della mia età per far cambiare idea ai suoi genitori? Niente e infatti eccoci qua io, Kevin, mamma, papà, il mio bianchissimo Pastore dei Pirenei Luna, Oscar il nostro pesce rosso e Petrus, il Terranova nerissimo di mio fratello, stipati come sardine in mezzo a decine di sacche, borse e borsoni, intenti ad attraversare, come i primi coloni americani, mezzo continente in cerca di una nuova vita.

    Campi, campi e ancora campi.

    Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? mi chiesi sempre più disperata. Sono sempre stata una brava ragazza. A scuola vado bene o comunque benino. Nello sport riesco benissimo o comunque bene. Non ho vizi strani. Non fumo, non bevo e non mi drogo. Guardo poca TV e passo poco tempo su Internet. O meglio, forse per quanto riguarda Internet qualche volta esagero, ma cosa può aver fatto di tanto grave una ragazza della mia età per essere catapultata da un giorno all’altro da una delle metropoli più grandi, belle e ricercate del mondo a Toy Town? Sì, avete capito bene, Toy Town!

    Un odore nauseabondo mi riportò alla realtà. Kevin si stava stiracchiando, sbadigliando. Il suo alito al risveglio è catalogato, da chiunque ne sia venuto a contatto, come una delle più pericolose armi di distruzione di massa.

    Finalmente vi siete svegliati.

    Mio padre ci sorrise dallo specchietto retrovisore.

    Pronti a vedere la nuova casa? Pochi minuti e siamo arrivati.

    Io e Kevin ci guardammo sbigottiti.

    Pochi minuti e siamo arrivati? Ma se siamo in mezzo al nulla! riflettei io ma, dallo sguardo preoccupato di mio fratello, dedussi che anche lui stava pensando la stessa cosa.

    Muriel, guarda quei cartelli laggiù, papà indicò a mia madre una serie di indicazioni alla destra dell’incrocio davanti noi. Dammi una mano che sono anni che non vengo più da queste parti e non vorrei perdermi.

    Lei si massaggiò gli occhi assonnati e si concentrò sui cartelli stradali.

    Toy Town, cinque chilometri a destra sospirò con amarezza. Mio padre annuì invece soddisfatto, svoltò dove indicato e pigiò sull’acceleratore come non aveva mai fatto. Tanto cosa poteva succedere? Eravamo l’unica auto nel raggio di cento chilometri, persone era da ore che non si vedevano, l’unica cosa che poteva capitare era sbandare per la foratura di una gomma e scivolare in qualche campo investendo un grillo? Una cicala? Un serpente a sonagli? L’unica rana disposta a vivere in un posto così?

    Mentre ancora cercavo di dare un senso a quello che mi stava accadendo Luna e Petrus abbaiarono. Oscar si mosse vorticosamente nel sacchetto da viaggio pieno d’acqua appeso alla portiera.

    Cosa stava capitando ai miei fidati amici?

    Guardai alla mia sinistra, dal lato di Kevin, e in lontananza vidi un’immensa fattoria abbandonata.

    I miei amici animali, fissandola, cominciarono ad agitarsi ancor di più.

    Perché fanno così? mi chiesi ma poi, a causa diunimprovviso sballottamento dovuto a una buca nell’asfalto, mi distrassi da quel pensiero e tornai a guardare la strada davanti a me.

    Eccoci arrivati: un grande cartello dai colori sbiaditi annunciava che eravamo a Toy Town, città di 27.517 abitanti, con una superficie di 23,7 chilometri quadrati e una altezza sopra il livello del mare pari a zero.

    Non so se fu per i 27.517 abitanti, che presagiva che la città proprio piccola non era, o se per le prime costruzioni che incrociammo dopo ore di viaggio in mezzo al nulla, ma sta di fatto che di colpo il mio umore cominciò a migliorare e il mio stomaco a reclamare qualcosa da mangiare.

    Ho fame, mio fratello come al solito sembrò leggermi nel pensiero, e mi scappa anche la pipì accavallò le gambe. Ci fermiamo in un bar?

    Indicando un lungo rettilineo alberato alla nostra destra, mio padre gli replicò euforico: Kevin, ma quale bar! Eccoci arrivati!

    Il rumore della freccia inserita mi fece trasalire. Abbassando le orecchie, Luna e Petrus guairono sconsolati. Oscar smise di nuotare e si lasciò cadere sul fondo del sacchetto. Era chiaro che anche il nostro pesce rosso avesse intuito che c’era qualcosa che non andava. Mia madre sgranò gli occhi e si morse le labbra per non parlare. Fu Kevin, da sempre voce della verità della famiglia, a esclamare inorridito: Quella è la nostra nuova casa? Ma è un rudere! Un immenso rudere! C’è Lurch che ci viene ad aprire la porta o solo Mano e Zio Fester?

    L’auto svoltò nel lungo rettilineo alberato e io, dopo aver messo a fuoco l’immensa casa in stile Addams che si ergeva alla fine della strada, mi sentii morire.

    Papà, sbottai disperata, stai scherzando?

    Senza replicare lui procedette fino alla fine del viale, poi fermò l’auto e, scendendo e aprendomi la portiera come il più umile dei servitori, mi rispose sorridendo: Principessa Niky Stark, eccoti arrivata a Casa Bergerac, dimora da secoli dell’illustre famiglia Bergerac, tuoi avi da parte di nonna. Duemila metri quadrati di casa e ventimila di giardino sono a tua disposizione per ogni evenienza.

    Non so se fu il suo inchino, l’immensa costruzione in stile Addams, o il lungo viaggio appena patito a smuovermi le intestina, so solo che gli vomitai sulle scarpe.

    Niky, oddio! Stai male? Mamma era scesa dall’auto ed era corsa ad aiutarmi. Piccola, tutto bene?

    La guardai esterrefatta. Cosa si aspettava che le replicassi? Che ero contenta, anzi felicissima di avere appena lasciato i miei amici e la mia amata metropoli per trasferirmi in questo rudere di casa immerso in mezzo a una infinità di campi pullulanti di chissà quanti insetti schifosi e dove a occhio e croce non esisteva neanche una connessione Internet né satellitare? Detto tra noi, potevo risponderle così? Certo che no e infatti, per il quieto vivere familiare, mi limitai a dire: Deve essermi rimasta sullo stomaco la cena di ieri, ma tranquilli, ora mi sento già meglio.

    Papà mi guardò raggiante. Mia madre invece, che non ero mai riuscita a fregare una sola volta in vita mia, mi passò dolcemente una mano sulla fronte e mi sussurrò: Forza Niky, abbiamo passato di peggio. Vedrai che andrà tutto bene e io, senza ricordarmi cosa era stato peggio di questo trasferimento, le annuii fiduciosa.

    Mi infilai le All Star rosa e nere tolte la notte precedente per dormire più comodamente, scesi dalla monovolume e mi diressi verso la mia nuova casa.

    Ora nel gioco tu sei e senza lottare viva non ne uscirai!

    Mi guardai in giro spaventata, nulla. Poi Luna cominciò ad abbaiare. Petrus, rizzando il pelo, ringhiò verso casa Addams. Oscar, be’, Oscar è un pesce e più che spruzzare acqua con la coda fuori dal sacchetto non poté fare ma, che ci crediate o no, la cosa che mi fece tremare dalla testa ai piedi fu quando capii, notando il volto pallido di mio fratello, che la voce spettrale che avevo appena sentito era stata udita, oltre che dai nostri animali, anche da lui.

    Viva la nuova casa! pensai, non sapendo se fosse meglio piangere o scappare di corsa in qualche posto remoto a migliaia di chilometri da lì.

    2

    L’uomo si stava avvicinando. Sentivo lo strascicare dei suoi stivali e il raschiare del suo bastone sul selciato. Il suo volto, tanto pallido da sembrare spettrale, mi fissava diabolico. I lunghi capelli neri gli ricadevano sulle spalle coperte da un mantello, anch’esso nero, che sembrava muoversi al vento come ali di pipistrello.

    Ma dove mi trovavo?

    I miei occhi si mossero in tutte le direzioni. Il corpo invece era come se mi avesse abbandonato. Ero immobile in un… CIMITERO! urlai, cominciando a sudare.

    L’uomo spettrale era sempre più vicino. Volevo scappare ma i muscoli delle gambe non rispondevano agli stimoli della mente.

    Ora nel gioco tu sei e senza lottare viva non ne uscirai gorgogliò l’uomo spettrale avvicinandosi ancor di più.

    Tentai di arretrare ma non ci riuscii. I piedi sembravano essere un corpo unico con il marmo della lapide su cui mi trovavo.

    Lapide? Marmo? Cimitero? Uomo spettrale? Ma dove cavolo ero?

    L’uomo era ormai davanti a me. Sentivo il suo alito fetido, peggio di quello di Kevin al risveglio mattutino, levarmi il respiro.

    Lo fissai. Stava ridendo ma, dalla bocca dai lunghi denti aguzzi, non usciva nessun suono.

    Alzò il bastone e... DRIIINNN! suonò la sveglia.

    Aprii gli occhi e mi guardai in giro. Nessun uomo, nessun cimitero, nessuna lapide di marmo.

    Calma Niky, è stato solo un sogno. Uno stupido e schifosissimo sogno!

    Scesi dal letto.

    La stanza era esageratamente grande. Nulla era come mi ricordavo.

    Sveglia, non sei più a New York!

    Mi stropicciai gli occhi ancora assonnati.

    Mia madre bussò alla porta.

    Niky, muoviti! La colazione è pronta e lo scuolabus arriva tra venti minuti!

    Entrò nella stanza.

    Devo proprio andare in autobus?

    Niky, ne abbiamo già parlato. Qui non ci sono i pericoli della città. E poi in provincia è usanza che si vada a scuola in pullman. Ce ne sono diversi che coprono tutte le zone della Contea. Fidati, ti divertirai e, cosa ancora più importante, servirà a farti fare subito nuove amicizie. Senza parlare del fatto che papà deve seguire i lavori di ristrutturazione della casa e non ha tempo d’accompagnarvi in auto.

    Ma sarà pieno di ragazzini delle medie! protestai.

    Non credo proprio. Sai bene che fino a sedici anni non è possibile guidare le macchine e quindi sull’autobus troverai anche molti ragazzi della tua età.

    Ma mamma…

    Niente ma! Basta fare capricci! Quando compirai sedici anni, se riuscirai a fare la patente, riaffronteremo l’argomento. E ora muoviti! Non vorrai fare tardi proprio il primo giorno di scuola, vero? Senza darmi il tempo di ribattere, uscì dalla stanza e si diresse verso i piani bassi, sicuramente in cucina.

    Arrendendomi al fatto di dover prendere per la prima volta in vita mia un autobus per andare a scuola, andai in bagno per prepararmi al primo incontro con i neanderthaliani che popolavano questo posto sperduto nel nulla. Velocissima mi lavai, mi pettinai e, una volta vestita, a passo spedito scesi di sotto.

    Quando varcai la soglia della cucina Kevin stava già sparecchiando le sue cose.

    Niky, che sballo questa casa, ci saranno almeno trenta stanze! Fissò nostra madre intenta a versarmi del latte. Mamma, una dev’essere tutta mia, promesso?

    Lei gli arruffò i capelli.

    Brigante, portami a casa un dieci in grammatica e te ne do due di stanze… da riordinare!

    Sorridendo, Kevin saltò giù dallo sgabello, prese lo zaino e corse fuori dalla cucina.

    Ok, allora niente dieci le urlò ridendo di rimando. Poi, facendosi di colpo serio, aggiunse nella mia direzione: L’ultimo che arriva alla fermata è uno scemo!

    Abbassai gli occhi sulla tazza, l’afferrai e bevvi in un sorso il latte tiepido. Poi, senza neppure pulirmi la bocca con il tovagliolo, presi a mia volta lo zaino e gli volai dietro. Sorella sì, scema mai!

    Con un fiatone da record arrivai prima alla fermata del pullman. Kevin mi raggiunse ancora più ansimante di me. Insieme ci voltammo verso Casa Addams e salutammo mamma sulla porta e papà intento a impartire ad alcuni muratori le prime indicazioni per la ristrutturazione della nostra nuova dimora. Entrambi ricambiarono il saluto con un gesto della mano, poi mia madre ci indicò un punto giallo in lontananza.

    Mossi lo sguardo nella direzione segnalata e mi irrigidii. Il pullman della scuola era comparso all’orizzonte e, poco dopo, con uno stridio di freni fragoroso quanto fastidioso, si fermò davanti a noi.

    Eccoci, pensai salendo sull’autobus, primo giorno di scuola in mezzo agli zulù!

    Ma è vuoto! esclamò Kevin saltando sul sedile in fondo.

    Moccioso, vedi di darti una calmata! I sedili non sono gonfiabili dove saltellare come un canguro! Il grassissimo conducente del mezzo fissò gli occhi, che tanto ricordavano due grossi bignè, su mio fratello. Poi, vedendolo sedersi composto, tornò a concentrarsi sul suo lavoro, ovvero chiudere le porte cigolanti del mezzo, innestare la marcia e partire con un sobbalzo in direzione della città.

    3

    La seconda fermata che fece lo scuolabus fu alla fattoria Sanchez, un gigantesco casolare agricolo che aveva sicuramente conosciuto tempi migliori.

    Quando le porte del mezzo si aprirono non so se fu per la pancia del ragazzo che salì, o per l’immenso panino che teneva davanti alla bocca, tanto da coprirgli l’intero viso, che rimasi ammutolita. Il giovane, notando il mio volto esterrefatto, risucchiò in un secondo la merenda, si pulì la bocca con il braccio e, dopo avermi salutata con un gesto del capo, in evidente stato di imbarazzo mi superò e andò a sedersi in ultima fila di fianco a Kevin.

    Piacere, Ugo Sanchez disse porgendogli la mano impiastricciata di ketchup. Tu devi essere quello nuovo, giusto?

    Feci per sentire cosa gli rispondeva mio fratello ma, a causa della brusca frenata del mezzo, con conseguente nuovo fastidiosissimo stridore di freni, la mia attenzione si spostò sulla… terza fermata chiamata Casa Zucca. Il cartello turistico che spiccava accanto allo scuolabus informava infatti che ci trovavamo davanti a una delle aziende agricole più importanti della nazione per la produzione di zucche. Sì, avete capito bene, zucche da mangiare, zucche d’arredamento e, naturalmente, zucche per la più divertente festa dell’anno: Halloween! Ma questa è un’altra storia e quindi torniamo a noi.

    Terza fermata, porte che si aprono e… Che figo! pensai vergognandomi subito di me stessa. Un ragazzo, di chiare origini navajo-apache, si era seduto davanti a me. Lo zaino era color militare, i pantaloni pure, il giaccone… be’, era proprio un... Basta! mi urlai nella mente. E’ soltanto un indiano molto carino contento di vivere nel nulla! Niente, era inutile illudersi. L’indiano contento di vivere nel nulla si voltò verso di me. Occhi neri come la pece, denti bianchi come il marmo di Carrara, pelle abbronzata al punto giusto, muscoli ben definiti… Piacere, Troy. Troy Jones. Per gli amici Troy soltanto. Per gli stupidi: Indiana Jones."

    Se mi avesse schiaffeggiato avrebbe ottenuto lo stesso effetto dell’impatto della sua voce melodiosa sul mio ego.

    Piacere, Niky… arrossii come un peperone.

    Sei quella nuova? mi chiese lui aprendosi in un sorriso da sciogliere tutti i ghiacciai del mondo.

    Troy, le vuoi lasciare il tempo di riprendersi o hai deciso di farla avvampare fino a farle bruciare tutto il pullman?

    Paonazza in volto mi voltai verso l’entrata del bus. Eravamo davanti alla quarta fermata, quella del quartiere residenziale che delimitava l’inizio della città, e la giovane che aveva parlato non era altro che l’ultima salita ovvero, con tutte le probabilità, la ragazza più ambita del paese tanto era bella, vestita alla moda e, a prima vista, molto spigliata.

    Piacere, Sheryl Taylor, mi strinse con vigore la mano. Tu devi essere la nuova arrivata, quella che vive nella casa della nonna.

    Non ricordo bene cosa le farfugliai in risposta, so solo che decisi subito che quella ragazza dai capelli color oro, la pelle bianca come l’avorio, il sorriso sfacciato e la lingua tagliente come il più affilato dei rasoi doveva diventare subito la mia migliore amica oltre che la mia più preziosa alleata. Se così non fosse stato di sicuro non avrei avuto vita facile. Era infatti chiaro come il sole che una tipa così era, oltre che la più ambita del paese, la capa delle ragazze della scuola. E poi sapeva come mi chiamavo, o meglio, sapeva qualcosa di me e di mia nonna e la cosa mi intrigava immensamente.

    Quinta fermata: centro città. L’autobus cominciò a riempirsi dei classici figli di papà, ragazzi altezzosi che non davano confidenza a nessuno tranne che a quelli come loro. Meglio così: questo genere di giovani non li avevo mai sopportati neanche a New York.

    Sesta fermata: quartiere latino.

    La ragazza che varcò per prima la soglia del autobus mi lanciò un sorriso tanto grande che me la fece subito apparire molto simpatica, buona e qualcos’altro di non meglio definito ma che a prima vista mi sembrò, pur non comprendendolo, importante.

    Ciao Rosmary Rivas, mia portoghese preferita! Scheryl Taylor l’abbracciò e, dopo averle schioccato i classici tre baci sulle guance, cominciò a pigolare con lei senza più degnarmi di uno sguardo.

    Tranquilla Niky, vedrai che tra poco tornerai a essere tu al centro dell’attenzione! Chi è la nuova arrivata della scuola da conoscere, studiare e vivisezionare per decidere poi se odiarla o amarla? mi dissi sentendo di nuovo l’ormai tanto famoso quanto fastidioso stridio di freni chepreannunciava la… settima fermata.

    Come avrete intuito, fino a quel momento erano saliti a ogni fermata altri ragazzi e ragazze oltre a quelli da me descritti. Io avevo registrato per il momento solo quelli con cui mi sembrava avere più affinità ma comunque, a due fermate dalla scuola, l’autobus pullulava di ogni genere di adolescente presente sul pianeta. Belli, brutti, puliti, sporchi, rozzi, gentili, la fauna giovanile di Toy Town era di sicuro molto più variegata di quella che una vera cittadina, e sottolineo vera cittadina, potesse pensare di incontrare.

    Ma torniamo a noi. Settima fermata, periferia sud della Contea di Toy Town, l’equivalente campagnolo del Bronx newyorkese.

    Mi bastò notare il sudore che imperlava la fronte del grassissimo autista dagli occhi a forma di bignè, quanto la sua esitazione nell’aprire le porte a soffietto, per capire che qualcosa non andava. Uno, due, tre, quattro… ma quanti erano? Un branco di chiassosi bulli di periferia era accalcato sulla pensilina di fianco al pullman. Tranne il loro vociare maleducato nulla più si sentiva.

    Ugo Sanchez! urlò quello che sembrava il capo banda appena appoggiò i suoi anfibi neri all’interno del mezzo. Tozzo, collo taurino, con delle braccia da scimmione e la pelle più scura che avessi mai visto, puntò il giovane messicano.

    Oddio! pensai subito, Kevin è seduto di fianco a lui!

    Palla di lardo, quello è il nostro posto, non l’hai ancora capito?

    Il silenzio regnava sovrano.

    Visibilmente a disagio, Ugo Sanchez si schiacciò contro il sedile quasi volesse scomparire. I Red Devils, così era scritto sulle loro logore giacche nere di pelle, gli si avvicinarono.

    Dio, fai che non notino Kevin. Anzi, Dio, taglia immediatamente la lingua a Kevin e forse mi farò suora pregai in silenzio. Ma come dice il saggio: le preghiere raramente vengono ascoltate se non fatte con il cuore. E io, sinceramente parlando, la mia supplica l’avevo espressa non con il cuore ma con la mente di un sorella preoccupata.

    Sei sordo? Muoviti ad alzare le chiappe da quel sedile e a levarti dalle palle! Il capo gang ormai troneggiava sul terrorizzato messicano. Andale! gli urlò in faccia mollandogli un sonoro schiaffone.

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