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Freak
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E-book342 pagine4 ore

Freak

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Info su questo ebook

Emily ha diciotto anni, una vita felice e un dono che ancora non conosce. Un dono potente e pericoloso in grado di cambiare per sempre la sua esistenza e quella delle persone a lei più care. Emily è una "freak", un'anomalia, e non è sola, nascosti dietro vite ordinarie molti come lei posseggono menti in grado di compiere cose straordinarie. Ma cosa c'è di più straordinario dell'amore? Nonostante possa avere il mondo ai suoi piedi Emily desidera solo una cosa: riconquistare l'amore perduto. Non sa che qualcuno le sta dando la caccia e sarà disposto a tutto pur di averla al suo fianco per sfruttare le sue preziose capacità. Travolta da un potere troppo grande per lei finirà sull'orlo di un baratro e dovrà decidere da che parte stare.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2013
ISBN9788891124012
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    Anteprima del libro

    Freak - morgana coniman

    Titolo | Freak

    Autore | Morgana Coniman

    Copertina a cura dell’autrice

    ISBN | 9788891124012

    Prima edizione digitale 2013

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

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    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Ogni potere umano è composto

    di tempo e di pazienza.

    Honoré de Balzac, Eugènie Grandet

    1

    PIOGGIA

    La sala era ampia e calda, le pareti erano ricoperte di quadri e di arazzi raffiguranti scene di caccia. Il porpora e il blu degli abiti dei cacciatori sembravano quasi in rilievo sullo sfondo di foglie gialle, arancio e marroni, come piccole gemme incastonate in una morbida cornice di alberi e arbusti. Le fiaccole poste sugli spazi regolari lasciati vuoti tra un dipinto e l’altro emanavano una piacevole luce ambrata e profumavano l’aria. Dal soffitto pendevano enormi lampadari ricamati con cristalli iridescenti che si specchiavano sul lucido pavimento di marmo rosa disegnando piccoli arabeschi sui muri.

    Ed io ero lì, al centro della sala e volteggiavo leggera tra le sue braccia. Un lungo abito di seta nero mi fasciava il corpo, le spalline sottili allacciate dietro il collo lasciavano scoperta la schiena che la sua mano sfiorava delicatamente facendomi sussultare.

    Non potevo crederci, nelle ultime settimane la mia vita era stata completamente stravolta, mi ero ritrovata sola, catapultata in un mondo ostile, circondata da nemici.

    Avevo dovuto nascondermi e lottare per sopravvivere, avevo imparato a mentire e a non fidarmi di nessuno ma alla fine ce l'avevo fatta. Ero viva, ero lì, ero con lui.

    Ci muovevamo all’unisono, i suoi occhi nei miei, le mie mani intrecciate alle sue.

    Ad un tratto la musica cambiò. Il suono dolce del pianoforte fu sovrastato dal un ritmo più serrato e martellante.

    I gotta feeling dei Black Eyed Peas irruppe nell'aria come una scarica elettrica. La stanza attorno a me cominciò a girare, non riuscivo più a distinguere i contorni degli oggetti, i visi delle persone, tutto stava svanendo.

    Cercai invano di mantenere il controllo e di non farmi portare via, ma la musica mi chiamava. Conoscevo a memoria quella canzone, l'avevo scelta io, mi dava la carica.

    Senza aprire gli occhi allungai la mano per spegnere la radiosveglia.

    Attesi immobile cercando di fissare nella mia mente il suo viso, l'intensità del suo sguardo, i lineamenti perfetti che lentamente si dissolvevano, volevo assaporare più a lungo possibile quella meravigliosa sensazione.

    Ero una gran sognatrice, fin da bambina ascoltavo avidamente le fiabe che ogni sera mia madre pazientemente mi leggeva e poi chiudevo gli occhi cercando di fare mie quelle avventure. Ero la fanciulla persa nel bosco, rinchiusa nella torre o in balia del drago in attesa del principe che ogni notte, senza farsi troppo pregare, arrivava a salvarmi. Ma la vita non è una fiaba ed i sogni purtroppo non si avverano quasi mai.

    Sbattei le palpebre cercando di dosare la luce che vi si insinuava e lentamente volsi lo sguardo alla finestra. Il lieve ticchettio della pioggia sui vetri mi infastidì ma nulla avrebbe rovinato la mia giornata.

    Da settimane programmavo quel sabato di shopping sfrenato e niente mi avrebbe fermata. Perciò mi alzai con decisione e mi diressi in bagno.

    L’immagine riflessa nello specchio assomigliava più a quella di una leonessa che ad un essere umano. I folti capelli ramati formavano un intricato groviglio attorno alla mia testa e i grandi occhi nocciola risaltavano nell’ovale pallido del viso. Feci un profondo sospiro ed afferrai con decisione la spazzola pronta a domare la belva.

    Terminata la tortura tornai in camera, mi sedetti sul bordo del letto e trascorsi i successivi dieci minuti a fissare l'interno del mio armadio. Mi mordicchiavo nervosamente le labbra saltando con lo sguardo da un ripiano all'altro.

    Come ogni mattina ero indecisa su cosa indossare. In realtà ero sempre indecisa su tutto: gonna o pantaloni?

    Gelato alla nocciola o pistacchio? Film d'amore o fantascienza? Trucco acqua e sapone da brava ragazza o rossetto fuoco d'oriente che urla baciami? Solo di una cosa ero assolutamente sicura: lui.

    Ci misi un po’ per essere presentabile ma quando scesi al piano di sotto ero soddisfatta dell’opera.

    La prima a corrermi in contro per darmi il buongiorno fu Cookie che agitando per aria la sua coda bianca e nera si infilò tra le mie gambe facendomi quasi inciampare.

    Ciao pulciosa le dissi affondando le mani nel suo morbido pelo.

    Ovviamente Cookie non aveva le pulci, era una beneducata cagnolina da salotto, ma mi piaceva chiamarla così per la buffa maniera, che hanno tutti i cani, di grattarsi dietro le orecchie usando le zampe posteriori.

    Mia madre Helen mi aspettava in cucina, allegra come sempre, Emily, ben svegliata tesoro disse posando delicatamente le labbra sulla mia fronte come faceva ormai da 18 anni, dal giorno in cui ero nata. Dormito bene?

    Mia madre era una persona luminosa come un soleggiato giorno d'estate. Del resto aveva tutte le ragioni per esserlo, mio padre la adorava ed anche dopo venticinque anni di matrimonio la ricopriva di attenzioni.

    Erano come il vento e l'acqua. Frenetica ed imprevedibile lei, calmo e razionale lui. Lei era quella che mi regalava i cd delle band più scatenate mentre lui dal piano di sotto mi urlava di abbassare il volume. Appassionata di fiori e viaggi lei, incollato al suo divano lui. Così quando sceglieva le mete delle nostre vacanze cercava sempre di combinare interminabili ore di visita a noiosi musei e tetre cattedrali a qualche giorno di totale immobilità su meravigliose spiagge assolate.

    Ma quell’estate sarebbe stata mia, mia e di Nick. Sua zia ci aveva invitati a trascorrere un paio di settimane da lei, sulla minuscola, ma assolutamente perfetta, isola greca in cui si era trasferita con il marito dopo la pensione.

    Un piccolo paradiso dalle acque turchesi, le stradine di ciottoli ombreggiate da palpitanti buganvillee e le casupole bianche con i balconi blu. Un luogo incantato che sarebbe stato il nostro nido d'amore.

    Ed io, cinque mesi prima della partenza, avevo già praticamente preparato i bagagli e non vedevo l'ora di mettermi in viaggio.

    Siete proprio sicure di non voler rimandare la vostra gita? chiese mia madre preoccupata. Hai visto come piove? Lanciai un’occhiata fuori dalla finestra. I contorni delle case e degli alberi lungo il viale erano distorti dalle scie tremolanti delle gocce di pioggia che scorrevano lungo i vetri. Il cielo plumbeo si specchiava nell’asfalto bagnato ed ogni cosa sembrava triste e sbiadita. Per contrastare la desolazione del paesaggio sfoderai il più raggiante dei miei sorrisi.

    "Direi che è una giornata perfetta per fare spese. Con un tempo così nessuno oserà mettere il naso fuori di casa.

    E poi mi sentirò meno in colpa per averti lasciata sola al negozio. Non credo ci saranno tanti clienti oggi pomeriggio".

    Da un paio d’anni, ogni sabato pomeriggio, aiutavo mia madre nel suo negozio di fiori. All’inizio era stata la punizione per aver saltato la scuola. Nick aveva la varicella e per paura del contagio mi avevano impedito di vederlo, ma era il periodo in cui stavamo appiccicati come un ragno alla sua ragnatela, così saltare la scuola mi era sembrata un’ottima soluzione per stare insieme.

    Ovviamente era stata una pessima idea. Anche quel giorno diluviava e mio padre era venuto a prendermi scoprendo che a scuola non c’ero proprio andata. La punizione era durata due mesi, otto sabati di duro lavoro al termine dei quali mi ero affezionata a quel luogo pieno di colori e profumi, dove la primavera non terminava mai.

    Perciò avevo continuato ad aiutare mia madre diventando una vera esperta nel prendermi cura di quei piccoli, deliziosi esserini verdi.

    Presi al volo una fetta di pane imburrato, era già tardi e Susan mi aspettava per dare il via alla nostra folle giornata.

    La voce affettuosa di mia madre mi inseguì sul vialetto,

    Prendi l’ombrello che piove! E mi raccomando non spendere troppo!. Sollevai il cappuccio e mi misi a correre verso la casa di Susan sul lato opposto della strada.

    Io e Susan eravamo amiche da sempre, eravamo cresciute insieme, avevamo scorrazzato insieme per tutta l'infanzia e annaspato insieme durante l'adolescenza (in realtà io avevo annaspato, lei se l'era cavata benissimo).

    Eravamo due sorelle, solo che vivevamo in case diverse.

    Quando aprì la porta era euforica, lo shopping era la sua droga ed il primo giorno dei saldi era sacro per lei. Sapevo che avrei passato metà della giornata seduta fuori da affollati camerini in attesa di vederla sfilare con tutto ciò che di più stravagante, sexy e costoso avesse trovato.

    Alle nove eravamo già in auto e dopo dieci minuti conoscevo a memoria tutti i dettagli dalla sua ultima conquista, la sua voce squillante riempiva l’abitacolo della piccola mini e sovrastava il rumore della pioggia che scosciava sul tettuccio.

    Paul è davvero carino ma ho dovuto noleggiare ben dodici film prima che si accorgesse di me. Ogni volta trovavo una scusa per fermarmi a chiacchierare e dico la verità avevo quasi perso le speranze. Mi è costato un capitale.

    Susan sei unica! Solo tu che odi guardare la televisione puoi noleggiare dodici film solo per far colpo su quello della videoteca!.

    Beh. Però ha funzionato. Ti stavo dicendo che finalmente ieri mi ha invitata a cena, è veramente un tipo pazzesco.

    Susan era una ragazza splendida sotto tutti i punti di vista. Era la classica bellezza californiana: viso da modella su un fisico mozzafiato, ma fortunatamente aveva anche un cervello perfettamente funzionante, perciò quando si invaghiva di un ragazzo era attratta molto più dal contenuto che dal contenitore.

    A metà pomeriggio avevamo già passato al setaccio ogni singolo scaffale di tutti i negozi del centro ed eravamo veramente soddisfatte del nostro bottino.

    Caricammo tutti i nostri pacchi in auto ma prima di tornare a casa volevo fare un salto al negozio di dischi per cercare un paio di cd appena usciti.

    Susan ci metterò un attimo, se non li trovo esco subito e partiamo. Lo sguardo di Susan era tutt’altro che convinto Certo come se non ti conoscessi. Io sono esausta, ti aspetto al caffè qui di fronte, ma ti avverto che se tra mezz’ora non ti vedo arrivare io parto senza di te!

    Vedrai che farò in fretta, ma neanche la mia voce era troppo convincente.

    Il negozio era praticamente vuoto ad eccezione di una coppia di ragazze che sembravano più interessate al commesso che ai dischi. Magari cerco qualcosa anche per il compleanno di Kate, pensai e già sapevo che avrei fatto aspettare Susan. Passai il primo quarto d’ora ad esaminare ogni cd del reparto blues senza trovare ciò che cercavo. Mi piacevano quasi tutti i generi musicali ma il blues era il mio scacciapensieri, mi rilassava, era il sottofondo ideale per qualsiasi attività. Mi spostai nel reparto pop e dopo una veloce panoramica delle ultime novità scelsi una compilation per Kate. La mezzora concessami da Susan stava per scadere perciò mi mossi veloce lungo il corridoio, tra gli scaffali pieni di spartiti e biografie di cantanti famosi, verso la cassa.

    Proprio al centro del corridoio una specie di gorilla alto quasi due metri ostruiva il passaggio occupando tutto lo spazio disponibile. Aveva un aspetto grottesco, la fronte, il mento e il labbro inferiore erano sproporzionati, esageratamente sporgenti rispetto al resto del viso e la giacca a doppio petto pareva esplodere nello sforzo di trattenere i muscoli. Aveva un’espressione concentrata e fissava con insistenza qualcosa o qualcuno in fondo al negozio. Mi spostai di lato, con le spalle parallele agli scaffali cercando di passargli accanto senza sbatterci contro. C’ero quasi riuscita ma nel rimettermi in posizione frontale sfiorai con la spalla il suo gomito. La sua reazione mi sconvolse, si girò di scatto e mi squadrò con uno sguardo rabbioso emettendo una specie di grugnito.

    Evidentemente non aveva ancora sviluppato un linguaggio civile. Ero paralizzata, da vicino sembrava ancora di più grosso.

    Garrett!. Tuonò una voce da dietro il gigante, e questo, come un bravo cagnolino che ubbidisce agli ordini, si rilassò all’istante e si spostò di lato per lasciar passare il suo padrone. Il proprietario di Garrett era un ragazzo slanciato, i capelli castano chiari sapientemente spettinati, profondi occhi scuri e labbra sottili che lentamente si distendevano in un sorriso compiaciuto.

    Scusa, il mio amico oggi è un po’ teso e scatta al minimo tocco. Ma certo non c’è nulla da temere da una così bella ragazza, vero Garrett? Lanciò un'occhiata di rimprovero al gigante.

    Sono Roger Wilson e questa, come avrà capito, è la mia guardia del corpo Garrett. La giacca di pelle chiara emise un piacevole fruscio mentre mi tendeva la mano aspettando che la stringessi. Era una situazione quasi normale, conosci uno in un negozio, scambi due parole, fai amicizia, succedeva tutti i giorni in tutte le parti del mondo. La sua voce era profonda e rassicurante ma c'era qualcosa che non andava, non mi sentivo a mio agio. Era come se l'aria attorno a noi si fosse fatta calda e pesante.

    Respiravo in maniera affannosa mentre una sottile nebbia si insinuava tra i miei pensieri. Distolsi lo sguardo dal suo viso e cercando di respirare normalmente allungai la mano verso la sua.

    Emily Price.

    Il contatto con la sua pelle calda e la sua stretta forte e decisa mi fecero arrossire.

    Lieto di conoscerti Emily Price.

    I suoi occhi erano fissi nei miei, immobili e concentrati come due piccoli laser che tentavano di perforarmi il cervello per scoprire cosa conteneva.

    Mi sentivo tremendamente a disagio. Non riuscivo a riordinare i pensieri, il corpo diventava sempre più pesante e avevo la sensazione che anche il cuore stesse arrancando. Radunai la poca volontà che mi era rimasta e biascicai qualcosa.

    Scusa ma devo andare, la mia amica mi aspetta.

    Ah, la tua amica?

    Esaminò rapidamente l'interno del negozio poi fissò il parcheggio cercando di capire se mentivo.

    Mi farebbe piacere offrire qualcosa da bere a te e alla tua amica. Solo per scusarmi della maleducazione di Garrett. Garrett grugnì di nuovo.

    Il suo sguardo era incredibilmente intenso, cercavo con tutte le mie forze di restare lucida.

    Nonostante sapessi perfettamente come rifiutare le attenzioni indesiderate ero confusa. Era affascinante, attraente e sicuro di sé ma c'era qualcosa di sbagliato in lui. Ci misi qualche secondo ma riuscii a raccogliere tutta la mia determinazione e con notevole sforzo ripresi il controllo della mia mente ed assunsi un tono distaccato.

    No grazie. Devo andare, sono già in ritardo. Mi voltai di scatto e mi diressi verso la cassa.

    Spero di rivederti presto Emily. Buona giornata.

    Sentii i loro passi allontanarsi e quando fui sicura che fossero usciti mi voltai e li seguii con lo sguardo finché non furono in fondo alla strada dove li aspettava una Mercedes nera.

    Osservai il cd che vibrava nella mia mano tremante. Che diavolo mi era preso? Non era da me farmi intimidire così.

    Susan! Dovevo sbrigarmi prima di essere lasciata a piedi.

    Quando la raggiunsi la sua pazienza si era già esaurita da un pezzo ed aveva un broncio da bambina.

    Perdonami Susan, hai ragione sono in ritardo ma ho incontrato un tipo nel negozio e ... Non mi lasciò finire la frase. "Vuoi dire il tipo da urlo che è uscito prima di te?

    Quello con l'armadio al seguito?"

    .

    La curiosità azzerò di colpo ogni ostilità e salì in auto pronta ad ascoltare il mio racconto.

    Nick avrebbe dovuto passare a prendermi alle nove perciò, appena giunta a casa, mi lanciai sotto la doccia.

    Appoggiai la schiena contro la parete di piastrelle fresche e lasciai che l'acqua bollente mi avvolgesse. Mi sentivo ancora addosso quella sensazione sgradevole.

    Quando mi decisi ad uscire dalla doccia il telefonino nella borsa stava squillando. Lessi rapidamente il numero.

    Ciao Nick, sono quasi pronta.

    Ciao Emily, scusa ma non sto affatto bene. Non me la sento di uscire questa sera.

    Ah, mi dispiace. Allora vengo io da te.

    No, no, non è il caso. Penso di avere un po' di influenza. Prendo un’aspirina e mi metto a letto.

    Sono due settimane che non passiamo una serata insieme. Da quando sono tornata dalla Florida è successo di tutto: prima la tua auto che non partiva, poi il compleanno di tua zia, poi tuo padre aveva bisogno di te, ora questo. Nick anche io ho bisogno di te.

    Lo so, anch’io ho voglia di vederti, ma non sarei di grande compagnia. Ti chiamo domani d’accordo?

    No dai, almeno parliamo un po'. Cos'hai fatto oggi?

    Scusa ma ho la testa che scoppia, non ho voglia di parlare.

    Ero tentata di litigare, di urlargli che ero stufa di aspettare, che era un rammollito e che se avesse veramente avuto voglia di vedermi non si sarebbe fatto fermare da un semplice raffreddore. Ma non volevo litigare, non volevo dire cose di cui mi sarei pentita per tutta la notte, in fondo stava male, non andava a vedere una partita o a spassarsela con gli amici, andava a dormire.

    Allora buonanotte Nick.

    Notte.

    Tornai lentamente in bagno, non avevo più fretta.

    2

    CADUTE

    Aveva piovuto tutto il fine settimana. Nick non si era fatto sentire e aveva risposto in maniera frettolosa alle mie chiamate. Susan era stata impegnata con il suo nuovo ragazzo, ed io avevo trascorso la giornata tra libri, TV e internet.

    Non ero mai stata una grande appassionata di giochi elettronici, ma alcune applicazioni collegate ai social network erano veramente divertenti. Avevo avatar di ogni tipo e durante il pomeriggio feci la ballerina in un night club, piantai cocomeri nella mia fattoria, lottai contro due draghi armata di balestra e portai a spasso i miei nove cani blu. Alla fine della giornata avevo gli occhi rossi e doloranti.

    Il lunedì mattina il tempo ed il mio umore, erano pessimi.

    Diluviava e come al solito avevo dimenticato l’ombrello chissà dove, perciò bastò la breve distanza che separava il parcheggio dall’edificio della scuola, per inzupparmi dalla testa ai piedi. Entrai in classe accompagnata dallo scricchiolio delle mie scarpe bagnate e dalle risate dei miei compagni. Per fortuna la prima lezione della giornata era dedicata alla mia materia preferita perciò occupai il solito posto in prima fila ed aprii il libro in attesa del professore.

    Adoravo la matematica. Mi piaceva come ogni cosa avesse il suo posto, ogni elemento, ogni numero trovavano sempre una collocazione precisa. Non c’erano dubbi, non c’erano incertezze nella matematica, il risultato poteva essere uno solo e quando lo trovavo, quando tutti i conti quadravano e ogni ragionamento giungeva alla sua unica e naturale conclusione era un trionfo.

    La lezione terminò in un baleno, in compenso quella successiva fu infinita.

    In letteratura ero un po’ zoppicante. La professoressa Bailey mi faceva impazzire, ogni saggio era una spina nel fianco.

    … ma sì, va abbastanza bene ma se tu avessi sviluppato meglio il concetto, se avessi espresso questo pensiero in maniera diversa ….

    Meglio come? Quello era il concetto e l’avevo scritto esattamente come intendevo esprimerlo. Cosa voleva dire in maniera diversa?

    Forse era lei che non sapeva esprimersi, le sue lezioni erano più soporifere di un'anestesia totale.

    La mattinata passò tra alti e bassi, ero impaziente di vedere Nick, perciò quando squillò la campanella che annunciava l'inizio della pausa pranzo raccolsi alla svelta i miei libri e mi precipitai in sala mensa. Fui la prima ad occupare il nostro solito tavolo. Susan, Carlos, Kate ed Andy arrivarono poco dopo. Il posto di Nick rimase vuoto.

    Eravamo tutti all’ultimo anno e da circa quattro mesi pranzavamo sempre assieme. Seguivamo corsi diversi e la pausa pranzo era l’unico momento in cui potevamo ritrovarci per organizzare le uscite serali e il fine settimana.

    Da qualche giorno l'argomento centrale delle nostre conversazioni era la festa di San Valentino che Eleanor Stevens, la ragazza più snob della scuola, stava organizzando.

    E’ inutile continuare a parlarne. Non ci inviterà mai sbuffò Kate.

    Dai Andy, che ti costa, tu sei l’unico che può farci entrare. Lo sanno tutti che sbava per te. Carlos aveva assunto un tono a metà tra il supplichevole e il ruffiano.

    Piantala Carlos, lo sai che non la sopporto. Preferirei passare la serata a giocare a carte con mia nonna di novant’anni piuttosto che andare alla sua festa. Il tono di Andy non ammetteva repliche.

    Con la coda dell’occhio guardai Kate. Era visibilmente sollevata. Era noto a tutti che Eleanor avesse una cotta per Andy, ma non tutti sapevano che anche Kate era pazza di lui. Io e Susan ce ne eravamo accorte immediatamente. Lo sguardo adorante che gli rivolgeva, il modo in cui pronunciava il suo nome, il rossore sulle guance quando lui le parlava: bisognava essere ciechi per non accorgersene. Ma ovviamente Andy era più che cieco, era su un altro pianeta. Il suo grande amore era il football e niente e nessuna reggeva il confronto. Ma Kate non mollava. Aveva sfruttato la sua amicizia con Carlos per riuscire a sedersi al nostro tavolo, aveva cominciato a passare ad Andy gli appunti del corso di biologia che seguivano

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