Tempi sospesi
Di Marco Conti
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Un lago, la stanza numero quattro, un pontile in legno, una locanda senza troppe pretese. In questo scenario ora corre Edo, alla ricerca della rinascita, di una nuova occasione per sentirsi vivo, senza angosce, col desiderio di scrivere una nuova storia, un nuovo capitolo della propria vita.
Una storia semplice e dai tratti vagamente fiabeschi è "Tempi sospesi"; Marco Conti propone una storia veloce e avvolgente, da leggere tutta d'un fiato, con la voglia di raccontare e la capacità di creare dei personaggi che colgono subito la simpatia del lettore.
Marco Conti è nato a Cagliari nel 1985. Dal 2008, anno della laurea in Scienze dei Servizi Sociali e dell'esame di stato, è un Assistente sociale. Esercita la professione presso la casa famiglia per minori e adolescenti di Esterzili e i centri di medicina riabilitativa CMF e Santa Lucia. La sua opera d’esordio letterario è “Dalle ceneri della fenice”, pubblicato nell’ottobre del 2011, giunto ora alla seconda edizione e di cui Claudio Angelini, sceneggiatore romano, ha realizzato l’adattamento teatrale. “Tempi Sospesi” è il suo nuovo romanzo. Parallelamente continua a coltivare la sua passione per il calcio.
In copertina: “Ricambio Generazionale” di Paolo Meloni (opera su tela)
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Anteprima del libro
Tempi sospesi - Marco Conti
MARCO CONTI
TEMPI
SOSPESI
Marco Conti
Tempi sospesi
Proprietà letteraria riservata
l'opera è frutto dell’ingegno dell'autore
© 2013 AmicoLibro
via Oberdan 2
75024 Montescaglioso (MT)
www.amicolibro.eu
Prima Edizione digitale: dicembre 2013
"... ma io sono fiero del mio sognare,
di questo eterno mio incespicare..."
Francesco Guccini - Quattro Stracci
Edo corre
di Roberto Sanna
Edoardo corre ma col giusto ritmo, non troppo velocemente. Beve un caffè macchiato amaro e fuma una Camel blue. Ascolta sempre e rigorosamente solo musica italiana. Ha circa trent’anni, è un assistente sociale.
Aveva un amore, forse un grande amore, lei si chiama Giulia ma un giorno è andata via, Fran!, come i quadri che cadono in Novecento di Baricco. Sì, perché Edo è anche un grande lettore e segue di certo il passo di Murakami, lo scrittore maratoneta di Kafka sulla spiaggia, e scrive: è anche uno scrittore. Ma nei suoi occhi c’è un vuoto, per quell’amore perduto, forse ingiustamente, e non basta sempre una quattro formaggi gigante e una birra fredda per consolarsi o andare a vedere un film al cinema da solo per tirarsi su.
Un lago, la stanza numero quattro, un pontile in legno, una locanda senza troppe pretese. In questo scenario ora corre Edo, alla ricerca della rinascita, di una nuova occasione per sentirsi vivo, senza angosce, col desiderio di scrivere una nuova storia, un nuovo capitolo della propria vita. Allora bisogna rallentare il ritmo, togliere le cuffie dell’iPod per immergersi nei suoni della natura, gettare via le Camel blue che non servono più, guardare al passato senza rancore, e forse lì, vicino al lago, partendo dalla stanza numero quattro, attraversando il pontile in legno, arrivando alla locanda familiare e accogliente, forse lì c’è qualcuno che lo aspetta, per rinascere, per ritrovare la voglia di amare.
Una storia semplice e dai tratti vagamente fiabeschi è Tempi sospesi
; Marco Conti dopo il fortunato esordio di Dalle ceneri della fenice
si ripropone con una storia veloce e avvolgente, da leggere tutta d’un fiato, con la voglia di raccontare e la capacità di creare dei personaggi che colgono subito la simpatia del lettore: come Edoardo.
Edo corre e noi corriamo con lui.
1
Mentre sfogliava distrattamente le pagine di un vecchio Tex Willer ingiallito, si chiese che cosa ci fosse di più noioso che starsene tutto il giorno dietro il bancone dell’accettazione ad attendere l’arrivo di qualche turista, o di qualche viaggiatore capitato da quelle parti per caso, o, peggio ancora, di qualche ricco marito, venuto a cercare il piacere di una notte tra quelle campagne desolate con la malcapitata di turno. Naturalmente all’insaputa della moglie, sedata dal pretesto di un corso aziendale o di una noiosa trasferta lavorativa, che aveva a detta del marito l’unico pregio di essere ben retribuita, e quindi, non si poteva rifiutare.
Ormai non si allietava più nemmeno a osservare l’imbarazzo di queste persone che, chiedendogli una stanza per la notte, lo imploravano tacitamente di mantenere un certo riserbo, o che gli raccomandavano di non voler essere disturbate.
A lui quel fottutissimo lavoro notturno aveva impedito di farsi una famiglia. Una ragazza l’aveva avuta anche lui, da giovane, ma quale fanciulla avrebbe accettato di frequentare un uomo, non troppo bello né interessante, che dormiva di giorno per lavorare di notte? Nessuna.
A malincuore si era dovuto rassegnare, era dovuto scendere a compromessi con la vita e accontentarsi di riuscire a pagare l’affitto del suo appartamento nel centro del paese. Ma tante volte si era pentito, troppe volte.
Aveva concluso che se fosse potuto tornare indietro, avrebbe compiuto scelte diverse. Magari proseguendo con la scuola. Non avrebbe commesso l’errore di ritirarsi con soltanto uno straccio di licenza media e un pugno di speranze. Avrebbe sposato quella ragazza, della quale ora non ricordava nemmeno il nome, e avrebbe avuto una bella famiglia. Avrebbe dormito la notte, come fanno tutti, e lavorato di giorno. Sarebbe tornato a casa per la pausa pranzo, velocemente, giusto il tempo di buttare giù un boccone e di scambiare quattro chiacchiere. Caffè e poi di nuovo in macchina, in modo da rientrare puntuale al lavoro, e poi la sera si sarebbe potuto dedicare con gioia e con calma a sua moglie, e, magari, ai suoi figli. Non si sarebbe sentito così insoddisfatto.
Tante volte si era logorato con questi pensieri, e tante volte si era imposto di far tacere la sua coscienza. Rammentava a se stesso che era ormai troppo tardi, che non avrebbe scambiato quattro chiacchiere proprio con nessuno. Che la sua unica forma di vita sociale sarebbe stata solo quel ridicolo scambio di convenevoli con quei surrogati di clienti che arricchivano le tasche del suo padrone. Che, perlomeno, gli consentivano di ricevere il suo stipendio mensile.
Ormai era troppo vecchio per cambiare vita. Per iniziare il cammino di un nuovo sentiero.
E poi, sapeva fare solo quello. Sapeva fare bene solo una cosa: il fantasma, il portiere d’albergo, notturno.
E quella notte sembrava non trascorrere mai, eppure era appena iniziata. Alzò lo sguardo e si accorse che mancavano pochi minuti alle undici. Si grattò la testa, sconsolato, e si accorse che ormai la sua capigliatura stava diventando sempre più rada. Si commiserò da solo. E questo gli fece provare pena. Si rese conto di provare compassione per se stesso.
Decise di accendere la televisione, magari stavano trasmettendo il telegiornale, l’edizione della notte. Magari era successo qualcosa di interessante. Talvolta ancora s’illudeva che gliene potesse importare qualcosa.
Salve. Sarei dovuto arrivare prima, ma non trovavo la strada. Mi scusi se l’ho disturbata…
Non si era accorto dei passi del giovane che gli si era parato davanti, e la sua voce decisa e sicura, anche se apparentemente triste, lo spaventò.
Disturbo? Bah…
Ma poi a dir la verità, non avevo nessuna fretta, me la sono presa comoda, ho preferito viaggiare di notte, con calma mentre tutti gli altri dormono
.
Gli altri dormono eh? Già, già…
Ho prenotato una stanza, quella con la veranda, con la vista sul lago. Mi hanno garantito al telefono che l’avrei trovata libera e che sarei potuto arrivare a qualsiasi ora
.
Il portiere, che ora sembrava incuriosito e quasi affascinato da quella voce allo stesso tempo empatica e triste, frugò per qualche secondo in un grosso registro verde, cercando di decifrare gli scarabocchi che il collega aveva utilizzato per annotare la prenotazione del ragazzo che gli stava di fronte.
Ecco qua. Stanza numero quattro
.
Benissimo. Che lei sappia la veranda è stata dotata di luce, scrivania e sedia, rivolte verso il lago, così come avevo chiesto?
Non ne ho la minima idea
, rispose il portiere in maniera decisa, ma non sgarbata salga e controlli. Nel caso domattina lo faccia presente al collega
.
La risposta del portiere non suscitò nell’uomo nessuna reazione, solo un impercettibile sorriso di circostanza. Consegnò all’impiegato il documento d’identità necessario per la registrazione e si girò, poggiando i gomiti sul bancone dell’accettazione e osservando l’androne dell’albergo che lo avrebbe ospitato per quei sette giorni. Non era grande, ma in ogni modo accogliente, arredato con cura, con mobili economici ma di stile moderno, che non stonavano con l’atmosfera soave e solitaria di quel piccolo villaggio. Sulle pareti c’erano pochi quadri, ma la scelta sembrava rispettare un certo criterio, e le tende rosse giocavano con la luce soffusa delle lampade dando l’idea di un ambiente semplice ma confortevole, e per certi versi affascinante. Si stupì quando scorse la riproduzione, economica e senza pretese, di un quadro che aveva sempre amato molto, sin da quando, poco più che bambino,