Latinamerica
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Anteprima del libro
Latinamerica - Nicholas Faina
GENERALE:
COPERTINA
Didascalia...
LATINAMERICA
Dello stesso autore in edizione StreetLib:
Det ordner seg, ospitalità scandinava.
NICHOLAS FAINA
Copyright © 2016 by Nicholas Faina
RESPONSABILE DELLA PUBBLICAZIONE: StreetLib Editore
RESPONSABILE PROGETTO GRAFICO E COPERTINA: Nicholas Faina
IMMAGINI DELL'INSERTO: copyright © Nicholas Faina
Libro pubblicato a cura dell'autore
ANNO 2016
Ad Ernesto Guevara de la Serna,
Augusto Cesar Sandino, Josè Martì, Camilo Torres,
Steven Biko, Hochimin, la comandante Clelia,
Samora Machel, Farabundo Martì,
ai Sioux ed i Cheyenne, Tupac Amaru e Simon Bolivàr.
Figli della stessa rabbia.
SULLA GRIGLIA DI PARTENZA
Quando decidiamo di avventurarci, il nostro cuore, i pensieri e gli stati d'animo, anticipano di gran lunga il passo pesante della partenza vera e propria. Tale condizione ci lacera nel profondo fino a pochi istanti prima del punto di non ritorno e svanisce nell'aria ormai leggera dell'arrivo a destinazione.
Un'avventura può durare un giorno, alcuni mesi o nel caso più estremo una vita intera; nonostante il lungo lasso di tempo che separa le varie partenze, tutte, nessuna esclusa confluisce in un grande bacino di emozioni che contiene le vari motivazioni che spingono l'essere umano a compiere il coraggioso passo verso l'ignoto. Ma la vera domanda razionale è: Perché si parte?
Le pseudo-motivazioni possono essere molte ma alla fine dei conti poche rappresentano il motore che spinge cuori e anime all'avventura; potendo distinguere due grandi gruppi, come parecchie scelte nella vita, si viaggia per amore o per dolore.
Per dolore non s'intende quello fisico che prima o poi svanisce, ma una sofferenza interiore di mille nature che porta l'essere umano a struggersi e dilaniarsi alla ricerca di una cura che alla fine si scopre essere la causa stessa del male. Cosa rappresenta il viaggio in questo caso? Una liberazione da pensieri cattivi e autodistruttivi con l'auto-consapevolezza che come l'effetto di una droga cessa momentaneamente il disagio, così prima o poi si deve far ritorno a casa, ritrovando fermo come un sasso il problema da cui si è fuggiti. Proprio per questo motivo i grandi viaggi della vita quelli che durano la vita stessa, sono alimentati inizialmente da un forte dolore o mancanza che confluisce poi nella fuga da uno o più problemi. E non chiamatela vigliaccheria! Esiste un momento in cui lottare non vale più la pena e l'unico rimedio per ottenere la pace con i propri sensi di colpa è appunto abbassare la guardia e arrendersi ad una guerra persa nel momento in cui ci si accorge che le proprie scelte i propri errori hanno portato solo guai nella propria vita. In quell'esatto momento di resa, l'uomo viene illuminato dalla rinascita, si rialza dal profondo stato di disperazione in cui era caduto, riesuma le proprie speranze ritrovando i pezzetti di cuore sparsi e finalmente parte.
L'amore per i viaggi è tutt'altra cosa, non è influita da fattori sentimentali, è solo una passione che esplode dentro l'individuo e si riproduce a ritmi forsennati al punto di fondersi con lo stesso genoma che ci contraddistingue, ma nessuno vive di viaggi è un ipocrisia ammettere questo; in altre parole per sopravvivere tutti sappiamo cosa serva e nella mente del viaggiatore questo pensiero pulsa ogni secondo di ogni giorno.
Il viaggio non è altro che valvola di sfogo per placare l'animo irrequieto e ribelle, alla fine tutti tornano a casa da chi li aspetta con ansia a meno che non si viaggi in compagnia delle persone amate, allora tutto cambia. Tuttavia la forma più devastante di viaggio è quella spinta dal semplice desiderio di dimenticare qualcosa; ci sono mille storie vaganti ed ognuna possiede il suo potere storico ma ogni qual volta ci si imbatte in un viaggiatore che sta cercando di dimenticare qualcosa, un velo di tristezza divora lo sguardo di chi racconta esausto la storia della propria fuga.
Si può fuggire da problemi, da costrizioni e persino dalla guerra, ma fuggire da una vita vissuta, da errori commessi e dal proprio senso di colpa è la peggior cosa che esista al mondo. I problemi si affrontano è vero e spesso è la miglior soluzione ma come affrontereste voi stessi? Con quale arma equipaggereste il vostro orgoglio sapendo che l'avversario di fronte a voi conosce ogni minimo particolare della vostra vita?
Per questo si fugge per questo spariamo, scompariamo nel cuore della notte senza preavviso, per questo lasciamo la vita vissuta decomporsi lentamente nell'ipocrisia di chi ci ricorda.
In ogni modo quando decidiamo di avventurarci fuggendo dall'indomabile senso di colpa bisogna lasciare tutto a casa, dalla minima affezione fisica come una maglietta al ricordo più forte e vivo di una passione amorosa. Non si tratta di egoismo ma di sopravvivenza: portarsi dietro un pezzo del proprio passato è agonizzante e distruttivo per questo il primo e vero sentimento che anticipa una partenza è lo sfogo emotivo; è la maggior forma di liberazione, un pianto, le lacrime conservano dentro loro l'essenza dei ricordi, del vissuto, è una purificazione dell'anima che permette al corpo di entrare in un'ottica assai distante da quella del passato.
Tutto ciò che segue quel rituale profano è un apparente discesa o perlomeno ci si inclina maggiormente verso una nuova realtà affidando la piena fiducia e speranza che possa in qualche modo donarci nuova pelle e nuovo colore.
Giunti all'aeroporto o stazione ferroviaria che sia, la mente magicamente si resetta poiché l'animo turbato del viaggiatore torna finalmente ad una calma apparente, senza troppe confusioni o responsabilità a discapito però di quella porzione di sentimentalismi ed emozioni che piano piano culminano nel limbo di un lontano ricordo continuando a pulsare solo per rinfrescarci puntualmente dell'attuale condizione: siamo vivi.
IL PIANO
Non è questo il racconto di gesta impressionanti, ma neppur quello che si direbbe la grande impresa di un peregrino errante
; per lo meno, non vuole esserlo. È un banale segmento di vita raccontato nell'istante in cui ha percorso un determinato tratto alla profonda ricerca delle proprie radici con la stessa identità di aspirazioni e sogni che soggiorna nell'incauta mente dell'innocenza.
Chi di voi conosca i viaggi o ne sia solo appassionato avrà già captato la fonte delle precedenti parole, tutti quelli che invece ancora nell'ignoranza della prima classe evitano il grande incontro della vita barattandolo con il denaro verranno spiazzati nell'udire che questa lunga via chiamata percorso interiore non è altro che il semplice richiamo ribelle di un vagabondo gitano sedentario affamato di verità prima di ogni altra cosa.
Un semplice seppur combinato percorso previo di motivazioni o stimoli non può assolutamente concedere il lusso dell'infinito, bisogna lasciare alla sovrana natura il compito di descrivere ogni battito di ciglia che compone un'immagine e nonostante questo, senza il flusso sanguigno alimentato dal grande ideale si delinea solo un'appannata visione della realtà.
Da qui il progetto: seguire le orme di un'idea e non di un uomo perché con il passare del tempo l'uomo logora, può cadere nel grande errore della sua vita vanificando tutto ciò che ha fatto di buono. Ci insegnano a ricordare le idee e non l'uomo poiché l'uomo può fallire, può essere catturato, ucciso, dimenticato e spesso osannato, un'idea invece no.
Un'idea è come un virus, resistente, altamente contagiosa e l'idea in questione ha un nome: Ernesto Guevara de la Serna, El Fuser¹.
La mente di un rivoluzionario non è mai quieta e spensierata, sa di lasciare alle spalle la grande illusione che colpisce l'essere umano, la routine, solo per andare alla ricerca di qualcosa di essenziale di più vivo che sconvolga l'interiorità dell'individuo.
Come detto prendo l'idea non l'uomo e questa consiste nell'inquietudine di ripercorrere il grande viaggio fatto con una semplice Norton, la Poderosa II, lungo tutto il continente latinoamericano.
Il primo a chiedermi il motivo di tale avventura è l'ombra oscura che vedo riflessa nello specchio ormai abituata alla sedentarietà della vita comune: non esiste un perché ma ne esistono molti di ogni genere e razza che confluiscono nell'ingente oceano della ricerca delle proprie origini. Come nel fuser scorreva sangue latino altre tanto irrora il mio cuore e questa è una condizione necessaria per collegare la mente e capire le realtà del mondo in cui viviamo. Non ho grandi aspettative, il mondo è stato creato giorno dopo giorno, ma a distanza di più di 50 anni da quella partenza da Cordova spero di ripercorrere gli stessi tratti di vita ed esperienze riuscendo a distinguere il vero bisogno dalla necessità, varcando le più grandi frontiere dettate dall'ignoranza che ogni cittadino europeo possiede nei confronti della maiuscola America del sud, quella vicina all'equatore e dal perenne clima tropicale.
¹Appellativo sportivo di un giovane Ernesto Guevara.
Ogni progetto, si sa, deve avere un inizio, un punto in cui sviluppare tutto il grande percorso e dato che lo scopo finale è quello di sentire l'essenza della linfa che scorre nelle radici del mio sangue mulatto perché non il Brasile?
Cosa ci lasciamo alle spalle quando varchiamo la frontiera? Gli attimi sembrano così scanditi da due principali emozioni: la prima è una paurosa malinconia verso ciò che si abbandona, spesso ci blocca e ci impedisce di compiere il passo definitivo: alle nostre spalle difatti resta la realtà che si è vissuta, resta la stabilità e la certezza di un futuro concreto ma nonostante tutto siamo unito dal più grande dei cementi, la famiglia. Neanche la passione del più grande degli amori può impedire agli occhi di stupirsi nella visione della scoperta di nuovi mondi perciò tutta la malinconia è bilanciata da questa sorta di esaltazione innocente dello spirito umano.
Quando un trasporto supera le 12 ore hai tempo di pensare, di riflettere ma sopratutto di provare nella tua pelle cosa realmente ti stai lasciando alle spalle; in modo non rapido e diretto ma definirei alla velocità di crociera, scorrono tutte le immagini del vissuto: momenti di felicità, altri di profonda tristezza ma tutti in un modo o nell'altro ormai fanno parte del passato e quando l'aereo atterra sei già in un nuovo mondo: l'emisfero misterioso australe.
L'aria sudamericana la si capta appena, stanco e letteralmente confuso dal tremendo fuso orario, scendi dalle scale di un grande boeing 747 insieme ad una folla di presso-più turisti affascinati e non si sa perché dalla pista che non ha nulla di più delle restanti piste aeree del mondo, saranno condizionati dal caldo?
Trascurando momentaneamente il fattore climatico che si sa è invertito, ciò che da subito mi incuriosisce di questa popolazione è l'incredibile gamma di personaggi misteriosi addetti al trasporto di bagagli che con aria allegra e contenta cercano volontariamente di aiutarti. Tutto molto bello finché purtroppo, o per cultura, giunti alla fine del tragitto che può essere l'area taxi o un altro terminal per raggiungere una località nazionale, il tizio cambia espressione e dall'estrema felicità passa ad uno sguardo chino verso il pavimento quasi a intenerire il turista che spesso cade nel tranello. Il fatto è che turista
spesso e volentieri è sinonimo di valuta europea o americana il che suona come oro colato al cambio in real brasiliano; ammetto che questa condizione non può stupirmi più di tanto, banalmente è la brochure del continente Sud Americano. Detto ciò dopo un'altra oretta di volo direzione Vitoria, Espirito Santo, torno a toccare il suolo materno: il caldo esprime in tutta la sua umidità la felicità di riabbracciare uno dei suoi tanti figli e quasi perso negli sguardi delle persone in fervente attesa dei passeggeri riconosco due occhi vispi e familiari, qualcuno c'è ad aspettarmi.
Come anticipato, prima di avventurarmi per la Grande America ho il necessario bisogno di integrare energie, forze e speranze senza dimenticare la ricerca delle mie proprie radici poiché si fa presto a giudicare con aria europea l'incredibile mondo latino, curatore di popolazioni e reperti indigeni così unici ma allo stesso tempo incomprensibili per chi non senta dentro sé una piccola percentuale di quei misteri. Credo che l'appartenenza ad una nazione è tale quando dentro il tuo cuore senti realmente la pressione del sangue circolare con la tinta dei colori di un paese, non è semplicemente uno stato mentale privo di sensazioni: la vera appartenenza ad una nazione si ha quando ci si riconosce nel popolo che la popola, nei profumi e odori che la compongono ma sopratutto nei difetti che la deturpano.
Solo chi ama il peggio può apprezzare il più piccolo pregio di una qualsiasi cosa, persona o ideale che sia.
Dentro me sento il remoto richiamo indigeno che per anni ho tenuto rinchiuso all'interno di una piccola gabbia d'oro nutrendolo di paure, timori e infusi di capitalismo che lo hanno reso ancora più instabile ed incontrollabile, ma che ancora non riesce a liberarsi. Un selvaggio istinto mai compreso appieno può comportare degli errori di valutazione, è impossibile domarlo per natura e allo stesso tempo non deve essere lasciato libero di agire istintivamente senza prima non aver appreso la vera genetica dello stesso. Pazientare è la parola d'ordine, passo dopo passo, esperienza dopo esperienza fino a formare un'idea chiara e concisa di cosa voglia dire nel più profondo dei modi, essere un semi-indigeno dell'America del sud.
IMPRESSIONI VERDE-ORO
Il Brasile è un pianeta variopinto, nonostante la globalizzazione abbia sporcato anche il più remoto dei paesi con le classiche marche capitalistiche, per fortuna ai lati dei grandi grattacieli si respira ancora la vera aria verde oro. La semplicità di questo popolo la si incontra subito nei tanti ragazzini che corrono a piedi nudi lungo le strade rincorrendo un pallone con la stessa identità di un sogno che accomuna una scuola calcio europea; la verità è che si gioca ci si diverte e si vive con quel poco che si ha ed è profondamente errato segnalare questa condizione come un deficit: ogni popolo ha la sua identità, e quella brasiliana consiste proprio nella bellezza del vivere giornaliero anche se purtroppo causa come sempre, l'occidentalità della vita. Ormai tutti aspirano a diventare personaggi ricchi e potenti lasciando la propria vecchia pelle sulle strade in cui sono cresciuti; una vera e propria mutazione d'identità.
Credo sia la stessa aria limpida e quasi sempre soleggiata a trasmettere nei volti altro che felicità. Un sorriso da queste parti è pane quotidiano di chi vuole trascorrere una vita all'insegna del benessere interiore; questa condizione la si capta semplicemente camminando lungo le varie strade del paese e trovandomi in una località marittima credo sia tutto amplificato. Incrociare miliardi di sorrisi anche semplicemente condividendo il solo marciapiede restaura il tuo animo abituato alla freddezza dell'indifferenza.
Affrontare un discorso con un vero brasiliano risulta assai divertente, a partire dalla lingua o per meglio dire da un linguaggio spontaneo e melodico assai lontano dal portoghese europeo; si diramano varie espressioni tipiche del gergo locale che però trovano sempre l'immissione nel grande oceano del sorriso. Puoi anche non capire una parola di quanto ascoltato, le persone proveranno sempre ad aiutarti, azzardando un inglese ironico o meglio ancora con delle gesta bizzarre degli arti sull'onda della vecchia scuola italiana. Tuttavia suona irriverente l'altro lato della medaglia di questa popolazione leggera come una piuma d'oca: essere un gringo, uno straniero appunto, spesso delinea fonte di derisione e se non riesci a capire o parlare il portoghese, i giovani, sempre al puro fine di farsi una risata, ridono profondamente dei vani sforzi nel pronunciare anche una piccola frase in brasiliano. Questi episodi mi hanno lasciato un piccolo retrogusto amaro in bocca, forse perché sono ormai troppo abituato alla correttezza estrema europea e forse perché i miei stessi viaggi mi hanno insegnato il profondo valore del rispetto reciproco, ma alla fine è una semplice mandragata dettata spesso dall'innocenza; fortunatamente so parlare la lingua altrimenti mi sarei letteralmente infastidito. Da un punto di vista linguistico credo sia il popolo finora incontrato che, perlomeno nel linguaggio giovanile usa più modi di dire nella falsa riga dello slang americano, tuttavia quando si entra nel formale del discorso ecco scomparire l'innocenza delle inflessioni dialettali.
Bisogna vivere la situazione per comprenderla a