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Le poesie Licia Pronestì Seminara
Le poesie Licia Pronestì Seminara
Le poesie Licia Pronestì Seminara
E-book283 pagine1 ora

Le poesie Licia Pronestì Seminara

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Info su questo ebook

Nei suoi versi, qui proposti, offre la gioia di una scrittura meditata e profonda, dalla quale è facile lasciarsi affascinare, perché in essa ricorrono motivi vecchi e nuovi del comune sentire.
LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2017
ISBN9788868225216
Le poesie Licia Pronestì Seminara

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    Anteprima del libro

    Le poesie Licia Pronestì Seminara - Licia Pronestì Seminara

    Palazzeschi)

    Biografia

    Licia Pronestì Seminara nasce a Cinquefrondi il 26 agosto del 1929. Il contesto familiare e in particolare il padre, appassionato educatore e cultore di lettere classiche, incidono sulla sua formazione etico-culturale, stimolandone la sensibilità poetica. Giovanissima inizia a comporre i suoi primi versi dimostrando una scioltezza linguistica ed una forte predisposizione alla scrittura.

    Si sposa con Giovanni Seminara, ha due figli, Giovanna e Giuseppe.

    Trasferitasi a Gioia Tauro alla fine degli anni ‘60 continuerà a vivere nella sua Calabria, terra che ha amato tantissimo, della quale ha saputo cogliere ed esaltare gli aspetti positivi, senza tralasciare di evidenziare i lati oscuri, comprendendo e riconoscendone le contraddizioni.

    Non si può separare l’attività artistica di Licia Pronestì Seminara dalla sua esistenza, esse si compenetrano e si fondono.

    I percorsi artistici e umani, la poetessa li elabora in un continuum coerente di scelte esistenziali ben precise che vanno ad esempio dal rapporto intenso e dolcissimo con i figli e con i genitori a quello soave e prezioso con la natura.

    Nella vita, come nella sua poesia, riconosce che la fede è un dono, uno stato di grazia, un sentimento d’amore che affratella.

    La natura alla quale lei spesso si rivolge e nella quale ama immergersi, la sente come un’armonia che ricrea nei suoi versi per mezzo di una musicalità di parole, di suoni, di echi, di ricordi e di nostalgie.

    Pubblica la prima raccolta di poesie Ombre e luci nel 1977, la seconda pubblicazione Soliloquio nel 1994.

    Il lupo è la pubblicazione dei suoi racconti, avvenuta nel 1995.

    Scrive un testo teatrale in dialetto Nu sulu sonnu nel 1981.

    La produzione di liriche è incessante.

    Ricerca il confronto con altri poeti e scrittori, tra i quali, per una condivisione di territorialità e di ispirazione, era solita colloquiare con lo scrittore Fortunato Seminara.

    Licia Pronestì Seminara ha continuato la sua produzione artistica fino alla fine dei suoi giorni, avvenuta nella sua casa a Gioia Tauro il 3 agosto del 2005.

    Presentazione

    Raccogliere le poesie di mia madre, in questo volume, ha significato per me ricostruire e rivivere la sua esistenza di donna.

    Ogni esistenza rappresenta un racconto di indicibile bellezza, che racchiude in sé esperienze, pensieri, consapevolezze, fragilità, passioni, sofferenze, emozioni, amori. La vita dei poeti si arricchisce di un elemento in più, che è la vera condivisione con gli altri del proprio vissuto.

    Il senso che lei ha dato alla sua vita, lo ha espresso ed affidato alla sua poesia.

    E la sua poesia prende avvio attraverso un linguaggio che diventa universale, che emoziona tutti coloro che si avvicinano ad essa.

    Sin da bambina la presenza di mia madre si accompagnava all’immagine di lei intenta a scrivere. È un’immagine viva, presente, dolcissima.

    Eccola lì seduta al tavolo del soggiorno o del suo studio che insegue i suoi pensieri, la fronte corrugata, lo sguardo intenso, ha davanti un foglio bianco e una penna.

    Il fruscio lieve della penna sul foglio lo sento ancora oggi, come vedo il suo sorriso mentre cerca intorno a sé qualcuno a cui leggere le sue poesie.

    E quando la sua voce taceva, lei cercava di leggere nella nostra anima, con lo sguardo, per capire se le sue parole erano arrivate dentro di noi.

    Il piacere, la magia dello scrivere facevano parte di lei, aleggiavano nelle stanze, ed era un’aria che ti inebriava.

    E lei scriveva, scriveva per sé stessa e per gli altri.

    Scriveva per le feste dei compleanni, per le ricorrenze più svariate.

    Tirava fuori dal suo cilindro i suoi regali, che infiocchettava con il suo sorriso aperto, schietto, unico, con la parola che si piegava al suo volere e si faceva incanto, meraviglia… poesia!

    Giovanna Seminara

    Una stella brillante

    Ritorna tra noi, con l’edizione di alcune inedite poesie in lingua ed in vernacolo calabrese, Licia Pronestì Seminara, la splendida donna, che Ugo Verzì Borgese giustamente ha definito dolce e cara come una stella brillante, tracciandone il profilo biografico.

    Licia è certamente tra i prototipi di quell’autonoma emancipazione femminile che, senza urlare nei cortei o imbrattare le piazze, ha saputo realizzare con impegno e accortezza i sogni della sua vita, imprimendoli già in Ombre e luci (Milano, 1977): quelle liriche che le permisero di ascendere, nel fiore della sua vita, all’apice dei premi letterari.

    Proseguì con l’incantevole Soliloquio, edito nel 1994.

    Conobbi allora Licia come poetessa. Prima mi era nota per il suo breve ma interessante opuscolo: La Parrocchia di S. Francesco di Paola: 25 anni tra storia e ricordi (1994), dove racconta e riflette sugli anni che la videro impegnata a Gioia Tauro, dove la famiglia si era trasferita, sia sul piano sociale che su quello culturale.

    L’infanzia e la giovinezza, infatti, le aveva trascorse a Cinquefrondi, suo paese natale, laddove in contrada Musappe – mi è gradito ricordare – un’antica leggenda segnala un tempio dedicato alle Muse.

    Fu qui che – sin da piccola – con struggente passione iniziò la sua formazione facendo tesoro di quella diversità, ricca e originale, presente nel glossario locale, che – come ricorda qui finemente Fr. Giuseppe Gabriele Murdaca – le diede modo di affermarsi subito come scrittrice, conquistando il I Premio del Giugno Locrese con la sua: Povari mammi.

    Licia, seppe far crescere, vivendo nella sua Piana, quelle forti radici che nelle giovani generazioni venivano coltivate durante il percorso delle Scuole Elementari che, con la Riforma Gentile del 1922/1923, diedero ampio spazio alla memoria, facendo apprendere in lingua italiana filastrocche, canti, inni, raccolti nelle Antologie (da Renzo Pezzani a Ottavia Bonafin, da Rosalia Vasile ad Albino Muzio, ecc.), che venivano ad aggiungersi alle nenie, ai canti religiosi e popolari in dialetto, come i versi di "Duonnu Pantu" (il prete apriglianese Domenico Piro), tramandati da generazione in generazione, e poi raccolti scrupolosamente da Vincenzo Padula e da Raffaele Lombardi Satriani e studiati dal grande filologo tedesco Gerhard Rohlfs e dai nostri conterranei Antonio Piromalli e Franco Mosino.

    Licia nel corso degli anni – da donna, madre e cittadina – perfezionò l’imprescindibile binomio tra educazione e poesia, che seppe adeguatamente gestire.

    Lei fu altresì consapevole della grande importanza del dialetto, in quanto con la varietà dei suoni e degli accenti tramanda quel miscuglio multietnico, linguistico e multiculturale, che Lei seppe assorbire, affascinata forse dall’adagio:

    «Portàtulu ‘ntro cora ‘stu dialettu,

    ch’è nobili ormai di vecchja data,

    e ricordàti ô mundu s’è scorrettu

    ch’a civiltà ‘e chissa Lingua è nata!».

    In quel linguaggio sentì spesso – tra l’altro – ripetere: «‘A mala nova ‘a porta ‘u ventu»; «‘A fimmina ‘ndavi i capij longhi e ‘a menti curta»; «‘A pràtica rruppi ‘a grammatica»; «‘A mugghjeri d’atru è sempri cchjù bella»; e soprattutto: «Ama a cu’ t’ama e rispundi a cu’ ti chiama!»: e ciò la indusse a mettere in scena nel 1982 Nu sulu sunnu e doppu fu la vita, commedia in tre atti, rappresentata a Palmi alla Casa della cultura Leonida Repaci.

    Grazie alla sua diletta Giovanna vengono ora qui pubblicate alcune bellissime strofe in calabro/reggino, composte tra il 1975 e 1991, le quali confermano quanto la nostra artista sapeva vedere e intuire oltre lo sguardo, iniziando dal dantesco Fatti non foste a viver come bruti, per poi invocare col Patri, perduna! la preghiera del figlio ingrato, forse il fidanzato descritto ne La zita mia, e in quel: E fughj e fughj, dove ammonisce che:

    «No, no n’è chista ccà la vita vera!

    La vita vera è tutta natra cosa»,

    senza

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