Errore di prospettiva
Di Nino Martino
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Fantascienza - romanzo (209 pagine) - Il primo contatto con una specie extraterrestre può essere qualcosa di completamente inatteso. E incomprensibile. Romanzo finalista al Premio Odissea
Il primo contatto con una specie aliena può essere la scoperta più esaltante nella vita di uno scienziato, forse nella storia della specie umana. Ma cosa succede se gli alieni sono così alieni da non essere neppure chiaro se si tratti davvero di una forma di vita? Come comunicare con loro se non è si riesce neppure a comprendere se si tratti di vita intelligente o solo reattiva a determinati stimoli? E come ci si deve comportare nei loro confronti?
Sono alcune delle domande che la terza squadra di esplorazione interstellare si pone, ma si pongono anche i gruppi di opinione sulla Terra, che attraverso i social network possono decidere il destino della missione.
Un grande romanzo di fantascienza pura che combina i grandi temi cosmici con un'acuto sguardo sulla società che ci aspetta.
Nino Martino è cresciuto a Genova, dove si è laureato in Fisica. Docente di matematica e fisica, ha vissuto e lavorato a Milano, Lipari e Cagliari. Negli anni Sessanta ha pubblicato racconti di fantascienza sulle riviste Oltre il cielo, Galaxy e Galassia; ha poi co-fondato e co-diretto due riviste: Il Gioco della materia e delle idee per il dipartimento di Fisica di Genova e Asterischi di Fisica a Cagliari. Ha pubblicato il saggio Educazione scientifica e curricolo verticale (2015) e dirige il sito La Natura delle Cose, dove pubblica i suoi lavori assieme a un gruppo di scienziati, filosofi e critici letterari. Attualmente in pensione, continua la sua attività di formatore per insegnanti ed è tornato a dedicarsi alla sua grande passione: la fantascienza.
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Anteprima del libro
Errore di prospettiva - Nino Martino
Ad Antonio Caronia, con il quale, su un campetto sterrato del Bisagno, fondammo una squadra di baseball
1.
Quando ero bambino, avrò avuto sì e no quattro anni, forse meno, feci un sogno. Vedevo i pianeti, vedevo Saturno, vedevo le stelle. Ma non le vedevo semplicemente: ero lì, ero in tutti quei posti contemporaneamente. Vedevo soli fiammeggiare, vedevo gli anelli di Saturno ed ero lì. Vedevo galassie ruotare ed ero anche lì. Un sogno inquietante? A distanza di anni, quando feci i testi di ammissione alla scuola del Centro Internazionale Spaziale lo psichiatra che mi esaminò mi chiese molto interessato se quel sogno mi dava angoscia, allarme o cos'altro. Poteva essere un sintomo di psicosi, di tendenza alla psicosi. Questo lo seppi dopo. Ma quel sogno era di pace, era per me un bel sogno, un sogno pieno di colori e di serenità. Allora lo psichiatra disse che non era nulla e superai tutti i test. Fui il migliore. Ognuno ha il suo destino, dicono. Avevo sempre desiderato andare nello spazio, e ritrovare quel sogno.
Ma non potevo sapere che guardando dal finto oblò della stazione, in realtà uno schermo collegato ai sensori esterni, avrei visto un mondo così estraneo. Tutti i mondi, quando ci vai, sono estranei. Sei abituato al verde della Terra, al mare, alle nuvole e ai colori dell'alba e del tramonto. E gli abbinamenti dei colori ti sono gradevoli perché ci sei cresciuto dentro, ma ora guardo fuori attraverso il finto oblò. E al di là della reale parete di metallo speciale il cielo è rosso, le rocce sono di tutti i colori. Gli abbinamenti sono, per me, stridenti. Guardare il pianeta dà una sensazione dolorosa di estraneità completa. Per questo c'è l'addestramento, per questo ci sono selezioni strettissime. Le prime volte la gente usciva di testa, farneticava, si uccideva. Si moriva come mosche per le radiazioni, si rimaneva malati a vita.
Guardo il mio polso e il leggero luccichio mi dice che è ora di andare dal medico, o quello che una volta si chiamava medico.
Poi inizierà la giornata standard. Non c'è molta sincronia con la rotazione del pianeta. Impiega quaranta ore per fare un giro completo. Le stagioni ci sono sempre perché l'asse di rotazione è inclinato di poco rispetto al piano dell'orbita, ma per noi sarebbe fastidioso fare turni di veglia che variano dalle 15 alle 26 ore. Nessuno ce la farebbe a resistere. Siamo nati sotto un altro sole e questo non si può eliminare. Noi, qui, siamo estranei.
I computer della stazione calcolano i turni di veglia e di sonno, ricreando le condizioni ottimali per noi, in base ai nostri cicli naturali. Ma è sempre un po', come dire, innaturale, è ovvio.
Entro nella sala medica. È un po' buffo chiamarla sala medica, verrebbero in mente lettini, odore di disinfettante, e cose così. In realtà la sala medica è piena di schermi, di sensori, di apparecchiature di ogni tipo. Il medico spaziale è uno scienziato, con anni di addestramento e con capacità di ricerca avanzata. Quando ti trovi ad anni luce lontano dalla tua Terra devi saper fare ricerca. Devi poter affrontare ogni situazione imprevista. Di fronte a ogni cosa nuova devi essere in grado d'iniziare uno studio per poter risolvere il problema, o per capire cosa succederà. E necessariamente sarà sempre così.
– Ciao comandante – mi saluta la medico-scienziata Yang Hong. E mi lancia il suo solito sguardo morbido, leggermente ironico. Si muove delicatamente flettendo la schiena per alzarsi dalla poltroncina di sorveglianza.
– Ciao Yang.
– Qual buon vento ti porta qui? Quale tuo destino devi realizzare oggi?
– Vento? Difficile che sia un vento.
La lenta rotazione del pianeta e la sua dimensione, rendono deboli i venti, non c'è abbastanza gradiente termico tra il limite giorno e notte.
– Magari mi vuoi parlare? Invitare a cena in un ristorantino italiano? – e si liscia la corta gonna mentre mi viene incontro.
– Uhm vediamo, non so, forse questa sera sono impegnato e poi quel ristorantino italiano è un po' troppo lontano… – e lancio un'occhiata involontaria alla mappa delle stelle a cercare il nostro sole. Impossibile vederlo, è un moto istintivo e ogni volta ci casco.
– Fermati lì. – E mi indica un disco sul pavimento della stanza. Questa volta la sua voce non è morbida, è la voce professionale di Yang. Ha gli occhi neri che sembrano mandare lampi e il viso ovale perfetto nella sua simmetria. I capelli nerissimi tradiscono una probabile origine cinese. Ormai non si capisce più da che ceppo provieni. Solo i cognomi, vecchia abitudine, tradiscono in parte una qualche provenienza.
Yang è la scienziata medico della stazione. Esserlo, a distanza di anni luce dalla Terra, in una spedizione costosa, vuol dire una qualifica alle spalle che pochi, donne o uomini, hanno.
Mi fermo e vengo avvolto da una calda luce. La luce in realtà non fa assolutamente niente: è coreografica, mi indica solamente dove stare. Devo rimanere entro questo cilindro di luce, immobile.
Yang si muove rapidamente tra diversi monitor, passa le mani dalle lunghe dita sopra sensori di posizione, ologrammi lampeggiano. Le solite cose, insomma.
– Sì, c'è bisogno della riprogrammazione – dice e mi guarda. Di nuovo ha il tono morbido. Sa perfettamente che mi piace quel tono.
– Anzi, forse è meglio una nuova dose, da quanto tempo non ne fai una?
– Sei mesi.
– Sì. Vieni allora, passa di qua.
Odio quando devo fare una nuova dose, ho la sensazione sgradevole di subire un'invasione aliena, e un po' è così, in effetti.
– Suppongo che ogni ribellione sia inutile – dico.
– E perché devi ribellarti a una cosa che ti tiene in vita e ti permette di potermi guardare quasi in eterno? – dice Yang con un sorriso che le illumina il viso.
– Perché è come un'invasione.
– Adoro quando fai il primitivo – e mi soffia un bacio sulle punta delle dita.
– E io adoro quando mi mandi un bacio, ma c'è speranza di superare un giorno la fase mimica?
– Se questo è il nostro destino… succederà.
Mi fa sdraiare su una cosa che sembra una lettiga.
– Ma sono macchine, sarò invaso da macchine.
– Non sono macchine, sono nanomacchine.
– Sono macchine.
– Sono nanomacchine programmate che ti salvano la pelle – e mi sfiora con le dita la pelle del mio viso.
– Ricordati come si moriva prima che ci fosse questa deliziosa infusione – continua Yang.
Infatti il problema dello spazio sono sempre state le radiazioni. Tu viaggi nello spazio vuoto e ci sono le radiazioni, zuppe di radiazioni di ogni tipo, con i fotoni della misura giusta per spezzarti le catene di DNA. Sei su un pianeta e lo schermo dell'atmosfera è logicamente diverso da quello della Terra. E tu altrettanto logicamente non sei nato lì, sei adattato alla buona vecchia madre Terra. Il vero problema dei viaggi e delle esplorazioni spaziali, anche agli albori, è sempre stato quello. E non puoi fare un'astronave di piombo, o una stazione con pareti di metallo abbastanza pesante e spesse due metri. E ogni volta la situazione è diversa. Un vero incubo. Se i colori del pianeta sono diversi e non ti piacciono, va be', pazienza, cosa ci vuoi fare? Adattati, se vuoi sopravvivere sano di mente. Ma è quello che non vedi che ti uccide rapidamente, come sempre.
– E se sbagli la programmazione? Se prendi lo schema di un altro della stazione e queste maledette nanomacchine mi ricostruiscono il DNA sbagliato?
– Sei in mio potere, ragazzino – ridacchia Yang. – Io non sbaglio mai. Solo quando voglio.
– Ma hai qualche forma di controllo laterale?
– Ma sì, ma sì, tranquillo, per il momento non voglio sbagliare…
Le solite lucine ammiccanti e un leggero e delicato ping. La pozione magica, tipo Asterix, è pronta. Le nanomacchine sono programmate sul mio DNA e ogni volta che vedono degli errori li correggono subito. Disinnescano anche, come effetto collaterale, l'invecchiamento. Noi siamo non dico eterni, ma quasi. Per forza. Sulla Terra è vietato farne uso. Creerebbe problemi. Ma il sospetto che qualcuno riesca ad avere la pozione, costosissima, c'è sempre. Siamo noi spaziali i privilegiati. Così possiamo continuare quasi per sempre ad avere un colpo allo stomaco ogni volta che vediamo un nuovo pianeta. Finché viaggiamo, finché esploriamo, usiamo la pozione
. Mettere continuamente a posto le varie catene significa anche modificare l'invecchiamento. Le cellule non invecchiano più. Salta la programmazione genetica tipica delle specie sulla Terra che porta alla morte. Yang mi ha spiegato che se non ci fosse stata la programmazione genetica che porta alla morte, non ci sarebbe stata evoluzione. La morte del singolo è stata necessaria per l'evoluzione dell'uomo e non solo. Ora siamo arrivati al punto di controllare sia la nostra morte sia la nostra evoluzione.
– Una volta si moriva – dico io e Yang distoglie lo sguardo dagli strumenti e mi guarda brevemente.
– Anche adesso, mio caro privilegiato – sussurra Yang con un'ombra. – E non dico per incidenti. Per quello possiamo morire anche noi.
Il problema è il numero di individui nella popolazione. Le guerre non ci sono più, per fortuna, e la popolazione tende a crescere. L'esplorazione spaziale non è ancora sviluppata al punto da permettere all'umanità di sparpagliarsi tra le stelle. Un'utopia fantascientifica che magari un giorno realizzeremo. La gente deve morire, anche se la durata della vita è molto aumentata. Ma noi siamo i viaggiatori, quelli che viaggiano fra le stelle, quelli che impiantano stazioni di sfruttamento di minerali e altro sui pianeti extrasolari. La nostra vita è preziosa, il nostro addestramento costosissimo. Noi siamo i quasi-eterni, con tutto quello che comporta. I miei genitori sono morti da tempo, e quasi sicuramente anche quelli di Yang. Non so molto di Yang a parte le schermaglie. È troppo riservata. L’eccesso di riservatezza è sempre una fragilità. E questo potrebbe giocare scherzi nei momenti di emergenza.
Il fluido mi scorre lentamente nelle vene. Yang controlla che tutto proceda bene, si curva su di me e io cerco di non guardarle il seno.
– Piantala – dice Yang.
– Da quando sei telepatica?
– Non ce n'è bisogno. Sei un cretino.
Una volta sarebbe stata corte marziale, ma oggi e soprattutto sulle navi o sulle stazioni sui nuovi pianeti, l'autorità non si basa sulla forma. Se sei bravo sei autorevole, se non sei bravo non sei autorevole. Ne va della vita dell'equipaggio. Sulla Terra può andare ancora diversamente, almeno un po', ma qui no. Yang e io siamo entrambi autorevoli, da noi dipendono le vite di molte persone e il successo della spedizione. Poi, prima o poi, ci si ritira a Terra. Ed è bello uscire dall'incubo affascinante di tutti questi nuovi mondi. E poi morire di nostalgia.
– Ti invito a cena?
– Solo nel ristorantino italiano.
– Lo fai apposta, eh? Sai che è impossibile.
– Che vuoi farci? Tu portami al ristorantino italiano e io accetterò l'invito. E magari il bicchierino dopo cena, con tutto quel che segue, come da tradizione.
L'infusione è finita. Aspetto che tutto si stabilizzi. Le vecchie nanomacchine vengono disattivate in massa e verranno espulse per le solite vie. Le nuove sono in circolo e già all'opera.
– Trovato niente d'interessante finora? – chiede Yang. Perché Yang non è solo un medico. Non ci si può permettere il lusso di una specializzazione troppo settoriale.
– Rocce e colori da Munch con urlo incorporato.
– Vita?
– Ci sono possibilità di vita, bisogna vedere cosa si è sviluppato e se il caso l'ha fatto sviluppare.
Era sempre divertente pensare a quando si cercava dalla Terra la vita su altri pianeti e si costruivano sonde per vedere se c'era produzione di metano. La vita assume forme differenti su ogni pianeta. Se c'è vita. Ed è sempre inaspettata. La definizione di vita è allargata oggi: riproduzione, moltiplicazione, modificazione dell'ambiente ai propri scopi, organizzazione, possibili linguaggi di comunicazione. Riconoscerla ed entrarci in contatto sarà comunque e sempre un problema.
– C'è qualche cosa di utile per noi?
– Sì, con tutta probabilità. Stiamo facendo analisi varie, in fondo siamo qui solo da quindici giorni.
– Ho dovuto migliorare la schermatura della sala medica, sai? Ci sono ogni tanto interferenze.
– Gli extraterrestri cercano d'invitarti al ristorantino.
– Piantala e vai a lavorare…
– Che tipo di interferenze?
– Non leggi i file che ti mando in rete?
– Solo qualche volta, mi subissi di informazione. No aspetta, nello spettro elettromagnetico? Nella parte verso le onde radio?
– Vedi che mi leggi?
– Non quanto vorrei.
Uhm, forse mi sono sbilanciato troppo. Yang è una grande donna, non è solo bella esteticamente. Ma Yang sorride e la guancia si increspa nel sorriso.
– Bisognerà capire bene da dove provengono, sembra che ci sia un'attività saltuaria nel campo elettromagnetico, là fuori. Questo può essere un problema per le apparecchiature, non tutto si può schermare.
– Ok, baby, provvederemo, devi darci solo un po' di tempo…
Mi alzo ed esco, salutando con la mano e Yang mi guarda uscire con il suo sguardo lampeggiante.
2.
Quando entro nella centrale, una saletta semisferica con tavolo circolare al centro, Carlo è già al lavoro. Muove gli occhi e le mani, fantasmi si accendono e si spengono. Sposta file di numeri a velocità impressionanti da un posto all'altro, ologrammi tridimensionali, schermi piatti per altre basi dati, lastre di vetro che non sono lastre di vetro. Nel medioevo, sulla nostra cara e amabile Terra, sarebbe finito al rogo, questo è sicuro. Tutti noi saremmo finiti al rogo. La demenza ideologica umana non ha avuto limiti, nel passato. E ancora ci sono frange impazzite, di tanto in tanto. Prima dell'addestramento speciale mi interessava la storia. Ho montagne di libri, quelli di carta di una volta, oltre a quelli digitali.
Cercavo di capire. Cercavo di capire soprattutto i motivi dei tempi bui della storia dell'umanità. Il senso delle cose mi sfuggiva, gli storici in voga erano troppo accademici. I dibattiti e le polemiche mi sembravano spesso basate sul niente. Allora continuavo a studiare e a leggere sui testi. I computer relazionali mi aiutavano molto.
Non sono arrivato quasi a niente e poi non ne ho avuto più il tempo. Mi è rimasta solo un'impronta, una specie di ricaduta in altri campi. Questo qualche volta mi ha aiutato e qualche volta mi ha reso diffidente sui problemi di oggi, su come vengono presentati o discussi.
Carlo lo conosco da una vita, è stato mio studente al centro addestramento, era specializzato in una cosa che una volta si chiamava informatica. Tra computer fotonici e computer quantistici ormai è difficile definire di che cosa si occupi veramente Carlo. Diciamo che studia le relazioni tra basi di dati. I dati vengono dai sensori e i computer relazionali cercano connessioni. Ma molto dipende dall'abilità di chi adopera questi oggetti, come sempre.
– Be', Carlo, hai scoperto se c'è una relazione tra la birretta che si beve Joseph e quelle macchie rosa sulle rocce?
Joseph alza la testa seccato e tutto il casco scintillante che ha in testa fa un dolce tintinnio.
– Io non bevo birra, la birra contiene alcool. L'alcool uccide i neuroni, soffoca le sinapsi, è un delitto contro la coscienza. Noi dobbiamo essere coscienti, noi siamo la razza umana e siamo coscienti.
Joseph non scherza mai, con il viso bianco, molto serio. Queste cose le pensa veramente.
– Ok, ok, ma ogni tanto, no? – dico io.
– Farlo ogni tanto o sempre è la stessa cosa. Tu se vuoi puoi farlo, anche la libertà fa parte della nostra razza, da sempre.
– Bah, da sempre non direi – mormora fra i denti Carlo mentre continua a smanettare le sue cose.
– Comunque puoi farlo, non mi dà fastidio – dice Joseph.
– Oh, grazie – dico io e chissà perché mi viene in mente un improbabile ristorantino italiano e Yang.
– Hai trovato una relazione
tra le macchie rosa e il fatto che Joseph NON beve birrette? – chiedo a Carlo.
– Sicuro. Tra l'altro è molto evidente. Guarda qui – e mi mostra una serie di diagrammi e cifre. Ed è vero: tra il fatto che Joseph non beve birrette e la presenza delle macchie rosa sulle rocce c'è una relazione non nulla.
Carlo ed io ci mettiamo a ridere e Joseph ci guarda e non sorride nemmeno. Si possono trovare correlazioni apparentemente non nulle tra un'infinità di cose, ma trovare un nesso vero e non una relazione fantasma è un’arte. Per questo Carlo è bravo.
– Tutto è collegato. L'alcool fa male. Io non bevo alcool, ma che c'entrano le macchie rosa?
Joseph è un osservatore analizzatore. Forse è troppo specializzato. Ma è importante averlo in missione. Solo una mente umana può percepire nel caos di analisi dei sensori, qualche cosa da passare a Carlo e ai suoi computer. È come se funzionasse da primo filtro. Comunque non ha il nostro senso dell'umorismo. È un umorismo un po'… nerd
, in effetti, il nostro.
Joseph in altri tempi non sarebbe stato giudicato uno troppo giusto di mente. Sarebbe stato considerato per lo meno bizzarro e qualcuno magari avrebbe cercato di curare la sua stranezza
. Perché Joseph e altri come lui siano così non è ancora chiaro. Un effetto psichiatrico? Un problema genetico? Forse tutti e due. Joseph è nato sulla Terra in uno dei tanti matrimoni misti. Ormai tutto si è rimescolato dopo le grandi migrazioni del XXI secolo. I genitori di Joseph sono morti qualche anno dopo la sua entrata nel programma di addestramento speciale. Ogni tanto mi ha parlato della sua vita passata, sulla Terra, ma mai dei genitori. Parla come se fosse senza emozioni. L'emozione è in quello che dice, nella struttura delle frasi, non nel tono o nel viso o nelle lacrime che non ci sono. Tutti noi gli siamo molto affezionati. La sua personalità è assolutamente stabile. Il suo grande dono, che una volta sarebbe stato insignificante e inutile, sta nel vedere le basi di dati. Vede basi di dati dappertutto. Lui si guarda intorno e vede basi di dati. Lui si collega al flusso che viene da tutti i sensori sparpagliati sul pianeta e tutto si organizza nella sua mente in basi di dati. Poi passa quelle significative a Carlo per l'elaborazione a computer. Non trascura mai le basi dati essenziali, quelle importanti. Almeno finora non l'ho visto trascurare niente d'importante. Carlo senza il suo filtro avrebbe veramente grossi problemi. Troppa informazione crea sempre problemi, ci si annega dentro.
– Notizie dalla Terra? – chiedo.
– Solite cose – mi risponde Ambrah dal suo angolo. – C'è stata una grossa manifestazione contro le missioni spaziali.
– Non ne posso più dei Neo-Ambientalisti – dice Carlo. – Un tempo ci hanno salvato la pelle sulla Terra, quando si chiamavano ambientalisti, semplicemente, ma adesso forse esagerano.
– Hanno sparato la notizia in tutte le reti che noi, proprio noi, stiamo portando la distruzione dell'ambiente su questo pianeta – continua Ambrah. – Dicono che prima o poi incontreremo qualche cosa che ci sbatterà fuori, se va bene. Addirittura, se va male, la reazione investirà anche la Terra e gli altri pianeti colonizzati.
– La coscienza è tutto. Noi portiamo la coscienza. E non beviamo alcool – dice Joseph.
Se non fosse così maledettamente bravo nel suo campo, e anche perfettamente stabile nel carattere, non potrebbe far parte delle nostre missioni. A volte dice cose strane. Nel suo caso si è fatta eccezione, credo, ed è diventato un punto di forza della nostra squadra che è considerata la numero uno. Persone come Joseph non sono molto numerose. E poi in fondo magari non ha proprio torto. Le cose che dice suonano strane ma forse non è proprio così.
Per un attimo Ambrah