In nome del popolo italiano
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“Non è mia intenzione muovere una critica per come sono state condotte le indagini per il delitto della giovane ginnasta di Brembate di Sopra”, dichiara l’autore.“Ma non posso neppure fingere di non sapere che per quelle indagini il Bossetti, ora in attesa della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, rischia la conferma della pena dell’ergastolo comminata nei primi due gradi di giudizio.” Le procedure degli inquirenti, come le relative analisi del Dna trovato sugli slip e i leggins di Yara Gambirasio, per individuare “Ignoto 1”, lasciano spazio ad ampi dubbi sul verdetto di colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti “al di la di ogni ragionevole dubbio”.
La ricerca delle piste alternative non è per l’autore un capitolo chiuso dopo l’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, ma bensì un punto di partenza per l’individuazione del vero colpevole.
Granitiche risultano le prove individuate dall’autore, che dimostrano come Yara non può essere morta nel campo di Chignolo d’Isola la sera del 26 novembre 2010.
Prove che faranno sobbalzare dalla sedia più di un lettore, oltre ai, protagonisti di questa drammatica e complicata vicenda.
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Recensioni su In nome del popolo italiano
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Anteprima del libro
In nome del popolo italiano - Carlo Infanti
1
0BPREMESSA
Forse non potremo mai cambiare
"questo mondo". Ma quello che
sicuramente possiamo fare,
è non permettere a "questo mondo"
di cambiare noi.
Carlo Infanti
Questo libro ha per titolo: In nome del Popolo Italiano
.
Converrete che è quanto meno singolare che una sentenza penale, civile o amministrativa, giusta o sbagliata, essa sia emanata anche a mio nome, visto che del Popolo Italiano io faccio parte di diritto.
Il motivo per il quale, in ogni sentenza in tribunale, un giudice pronuncia In nome del Popolo Italiano
prende sostanza dall’Articolo 1 della Costituzione Italiana, il quale afferma che la sovranità appartiene al Popolo.
Non solo. L’articolo 101, sempre della Carta Costituente, afferma che la Giustizia è amministrata in nome del popolo. Penso che così sia stato stabilito in quanto in precedenza le sentenze erano emanate "In nome del Re Imperatore". Con una sottile differenza. Oggi i giudici sono soggetti alla Legge; in precedenza i giudici erano soggetti al regime fascista.
Non bastassero i due articoli della Costituzione Italiana, che impongono che le sentenze debbano essere pronunciate In nome del Popolo Italiano
, questo dovere lo richiamano anche gli l’articoli 125 comma 2 e 546 comma 1 lett. a) del Codice di Procedura Penale. Prendo atto quindi, con estremo imbarazzo, che ogni sentenza che è emessa sul suolo italiano è letta e applicata anche in nome mio.
Nell’articolo 111, sempre della summenzionata Costituzione Italiana, trovo scritto che: Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati [132, 142, 152, 213].
Lo stesso Codice di Procedura Penale, articolo 125 comma 3 e 546 comma 1 lettera e, impone l’obbligo della motivazione.
Nulla da dire. Era il minimo che si potesse fare. Il popolo italiano deve sapere e conoscere i motivi che hanno spinto i giudici a condannare o assolvere un imputato, essendo la collettività dei cittadini, in ultima analisi, chiamata al controllo sull’esercizio dei giudici.
In verità il Popolo Italiano è solo un destinatario ideale, in quanto pochissimi sono in grado di leggere le motivazioni di una sentenza. I veri fruitori sono circoscritti al ristretto numero di persone collegate al processo come l’imputato, i difensori, il Pubblico Ministero, le parti civili.
Esiste poi un altro ristretto numero di professionisti della Giustizia interessati allo studio di una sentenza sotto l’aspetto culturale, ansiosi di scoprire nuove motivazioni di merito e di giudizio che possono fare giurisprudenza e degne di essere pubblicate sulle riviste del settore.
Ma il Popolo Italiano, nel cui nome le sentenze sono pronunciate ed emanate, ha la possibilità di prendere atto delle motivazioni di una sentenza?
In teoria sì, ma in pratica no. Nel caso fosse possibile venirne in possesso, sarebbero poi in grado di capirne il contenuto? La risposta è ancora una volta: no.
Secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) l’80% della popolazione italiana sa leggere un testo ma, nel contempo, la quasi totalità non capisce il significato di quanto appena letto! Per questo motivo, con rammarico, noi italiani siamo considerati uno dei popoli più ignoranti della Terra.
Non so quanti cittadini italiani abbiano avuto nella vita la possibilità di leggere le motivazioni di una sentenza emessa da un Tribunale della Repubblica Italiana. Penso pochissimi.
Statene, comunque, certi che di questi pochissimi, quasi il cento per cento, non ha capito il significato di quanto letto, a causa del linguaggio usato dal giudice estensore delle motivazioni della sentenza.
A illuminarmi di questo, è stato un bellissimo e interessante articolo di Claudio Giunta sul quotidiano Il Foglio del 2 settembre 2017. Titolo dell’articolo: "Come scrivono i giudici. - Provare a leggere ordinanze e sentenze dei tribunali: quello del diritto è un linguaggio a sé, lontano dall’italiano standard e incomprensibile al lettore non giurista."
Nel suo scritto Claudio Giunta porta alcuni esempi tratti dalle motivazioni della sentenza con la quali la Corte di Cassazione, nella primavera del 2017 negava al boss mafioso Totò Riina, condannato a vari ergastoli, la possibilità di uscire dal carcere per ragioni di salute. "Prendo ad esempio la Cassazione su Riina, ineccepibile nel contenuto - scrive Claudio Giunta -. Sul piano della forma c’è molto da trasecolare."
In punta di penna Claudio Giunta prende in esame il linguaggio usato dai giudici, che se fosse portato come testo di esame alla maturità sarebbe sicuramente bocciato. Bello il finale della motivazione con la quale l’istanza di scarcerazione era respinta: "Ritiene in merito il Collegio che le eccezionali condizioni di pericolosità debbano essere basate su precisi argomenti di fatto, rapportati all’attuale capacità del soggetto di compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in concreto a integrare il pericolo di recidivanza."
Il commento del giornalista? "Lo stato di decozione è un ostacolo insormontabile, e che neanche la Treccani, neanche l’Accademia della Crusca aiutano a sormontare. Perché l’antica parola decozione, secondo l’uno e l’altro vocabolario, vuol dire operazione di bollitura per preparare un decotto (esempio: La decozione del fiorrancio provoca i mestrui), oppure vuol dire – o meglio voleva dire, nel gergo giuridico ottocentesco – stato di insolvenza di un debitore, fallimento." Amen.
Alla luce di quanto esposto, veramente le sentenze sono emanate e motivate In nome del Popolo Italiano
?
Temo di sì…
Capitolo 2
1BIL PERCHÉ DI UNA SCELTA
"Quando si effettua una scelta,
si cambia il futuro."
Deepak Chopra
Tribunale di Bergamo: Marita Comi
e Carlo Infanti verso l’aula delle udienze.
Ho iniziato ad analizzare tutti i 59 faldoni che compongono il fascicolo del Pubblico Ministero Dottoressa Letizia Ruggeri in formato digitale in mio possesso, che mi furono a suo tempo consegnati dall’investigatore del pool difensivo Dottor Ezio Denti, a seguito della mia collaborazione con lo stesso.
Oltre ai 59 faldoni ho potuto accedere ai dati delle celle telefoniche che mi furono consegnati dal Consulente Tecnico (C.T.) della difesa Dottor Luigi Nicotera relativi al giorno 26 novembre 2010, riguardanti oltre 444.000 comunicazioni telefoniche transitate sul territorio del comune di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Ho così creato oltre 1.900 schede di persone che dalla lettura degli atti avevano creato in me curiosità e dubbi.
Durante l’analisi di tutti i documenti, ho creato un registro informatico di più semplice e veloce consultazione, che consiste nell’archiviare un file in formato Excel di oltre 2.000 numeri di telefono (con relative informazioni sull’utilizzatore reale del numero telefonico), attribuibile a persone poste sotto attenzione, che avevano direttamente o indirettamente avuto rapporti con le indagini in corso.
Il tutto arricchito anche di cento fascicoli personali di soggetti ad alto interesse investigativo estrapolati dai fascicoli della Procura, che hanno una logica di archiviazione in formato temporale. Il tutto completo di dichiarazioni rese nelle Sommarie Informazioni Testimoniali (S.I.T.), intercettazioni ambientali, intercettazioni telefoniche e tabulati telefonici relativi al 26 novembre 2010.
"Se vuoi diventare un vero cercatore della verità, almeno una volta nella tua vita devi dubitare, il più profondamente possibile, di tutte le cose.": così scriveva René Descartes, meglio conosciuto con il nome di Cartesio.
Tribunale di Bergamo: Marita Comi
e Carlo Infanti al termine di una udienza.
A questo punto, in attesa della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, ho ritenuto utile fare il punto della situazione, con estremo stupore mi sono reso conto che tutto il lavoro da me svolto durante l’incarico ricevuto dalla famiglia, e presentato anche agli avvocati della difesa nel settembre 2016 fosse rimasto, per una strana ragione che non comprendo, inutilizzato.
Il risultato delle mie ricerche e le analisi dei documenti proposti in questo libro, hanno il solo scopo di far riflettere su un processo che sembra apparentemente ormai chiuso, ma sul quale, nonostante siano passati quasi 8 anni, c’è ancora molto da scrivere e da chiarire.
Il mio lavoro di ricerca e analisi, e la conseguente consegna alla famiglia e agli avvocati di Massimo Giuseppe Bossetti nel settembre 2016 di tutte le relazioni che ho svolto, lo stanno a dimostrare.
Nei prossimi capitoli illustrerò i documenti e le prove che mai sono state sottoposte al vaglio della Corte d’Assise di Bergamo, che ho potuto riscontrare e documentare attraverso una vera e approfondita analisi degli atti del Pubblico Ministero, Dottoressa Letizia Ruggeri, nelle sentenze del Tribunale della Libertà, nelle udienze del processo di primo grado, nelle motivazioni del processo di primo grado a firma della Dottoressa Antonella Bertoja e nelle udienze del processo d’appello.
Ecco una ragione in più per leggere questo libro: i documenti e le prove che nei prossimi capitoli vi presenterò, e che fino ad oggi non sono mai stati portati al vaglio dei giudici nei vari processi, avrebbero permesso agli stessi di emettere un verdetto più equo? Questo verdetto sarebbe stato in tal caso di condanna all’ergastolo "al di là di ogni ragionevole dubbio."?
Devo sin d’ora ammettere che mi ha molto sorpreso scoprire che non esiste alcuna traccia del nome di Massimo Giuseppe Bossetti su alcun atto dal 26 novembre 2010 al 14 giugno 2014, giorno in