DiverGender
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Il tema del genere o, se preferite, del gender è ogni giorno più attuale. La nostra società è molto cambiata negli ultimi decenni. Il femminismo, le lotte per i diritti civili, gli studi nell’ambito della psicologia, della medicina, della biologia e della genetica hanno fatto sorgere molti interrogativi sulla definizione stessa di genere. Oggi, da un lato si assiste a un interesse crescente per le tematiche relative alla corporeità, all’identità, al transumanesimo e ai diritti LGTBQ+; dall’altro c’è un rifiuto crescente della diversità e un tentativo di tornare a una visione strettamente binaria, in cui l’uomo e la donna ricoprono ruoli definiti e caratterizzati da rapporti di dominazione.
Un tema complesso, delicato ma anche affascinante, al quale la fantascienza è forse il genere (narrativo, questa volta) più indicato per dare risposte. Così è stato. Questi racconti hanno per protagonisti umani e non, creature biologiche e non, naturali o coltivate in vitro. I generi di queste creature (un termine adeguato per molti motivi) sono ambigui, legati alla biologia ma anche alla visione sociale e alla produzione, oltre che alla riproduzione. Nove racconti per immaginare, tre saggi per riflettere. Cercate il vostro filo rosso. O, se preferite, arcobaleno.
Racconti di Charlie Jane Anders, Rokeya Sakhawat Hossein, Franci Conforti, Alberto Costantini, Fabio Lastrucci, Nino Martino, M. Caterina Mortillaro, Giovanna Repetto, Silvia Treves.
M. Caterina Mortillaro è nata a Milano nel 1972. È insegnante, giornalista, traduttrice e antropologa esperta di cristianesimo. Nel campo della narrativa ha pubblicato alcuni racconti di fantascienza e un romanzo per ragazzi, Gli amici della torre normanna. In Delos Digital, è uscito il romanzo Cicerone – Memorie di un gatto geneticamente potenziato. Il racconto Bollywood Babilonia ha vinto il contest Delos Passport. Col romanzo Devaloka Il pianeta degli dèi ha vinto il Premio Odissea 2019.
Silvia Treves, biologa, ha insegnato (ma anche imparato) per alcuni decenni Scienze e Matematica nella scuola secondaria di primo grado; scrive recensioni per il periodico on line LN-Librinuovi e collabora occasionalmente con altre riviste, scrive racconti di genere fantastico, spesso di fantascienza. Nel 2001 ha vinto il Premio Omelas con il racconto Cielo clemente. Ha pubblicato numerosi racconti su ALIA e ALIA Evo – di cui è anche co-curatrice – e, con CS_libri, il romanzo Sarà ieri e l’antologia Isola di passaggio; ha partecipato alla collana Futuro Presente di Delos Digital con Zero.
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Anteprima del libro
DiverGender - M. Caterina Mortillaro
9788825410006
Introduzione
M. Caterina Mortillaro e Silvia Treves
Il tema del genere o, se preferite, del gender è ogni giorno più attuale. La nostra società è molto cambiata negli ultimi decenni. Il femminismo, le lotte per i diritti civili, gli studi nell’ambito della psicologia, della medicina, della biologia e della genetica hanno fatto sorgere molti interrogativi sulla definizione stessa di genere. L’antropologia, dal suo canto, ha evidenziato le dinamiche di potere sottese a questi temi e ha problematizzato la terminologia con la quale incaselliamo gli individui in categorie. Oggi, da un lato si assiste a un interesse crescente per le tematiche relative alla corporeità, all’identità, al transumanesimo e ai diritti LGTBQ+; dall’altro c’è un rifiuto crescente della diversità e un tentativo di tornare a una visione strettamente binaria, in cui l’uomo e la donna ricoprono ruoli definiti e caratterizzati da rapporti di dominazione.
La discriminazione di genere ha molte facce, alcune più quotidiane e date quasi per scontate, altre più violente. Anche nei Paesi che definiamo democratici la parità è sancita sulla carta, ma non raggiunta realmente. Ne sono esempi gli episodi rivelati dal movimento Me too, le discriminazioni salariali, il tetto di cristallo lavorativo, che, in maniera non esplicita, impedisce alle donne, e non solo a loro, di raggiungere posizioni di vertice. I pregiudizi che gravano su donne e persone LGBTQ+ sono gabbie che impediscono la piena e serena realizzazione di sé. Non di rado il rifiuto della diversità giunge fino alla persecuzione, come dimostrano le violenze sessuali, i femminicidi e le frequenti aggressioni contro le persone che apertamente rifiutano di riconoscersi nella binarietà. E non di rado queste discriminazioni hanno origine, tra l’altro, proprio dalla crisi del ruolo dominante del maschio.
Sono state queste le ragioni che ci hanno spinto a concepire l’idea di un’antologia che trattasse il tema del gender. Sarebbe giunta dopo molti altri ottimi lavori, quindi avrebbe dovuto presentare qualche peculiarità significativa. Ne abbiamo scelte due, particolarmente vicine alla nostra sensibilità di lettrici e autrici.
La prima riguarda il genere narrativo: gli autori di questi racconti si muovono nell’ambito della fantascienza, della narrativa di anticipazione, della distopia, non soltanto promuovendo una riflessione sul futuro (e quindi anche sul nostro presente), ma giocando
su un tavolo più vasto rispetto al mainstream. Presentano società basate su relazioni di genere differenti, mondi oltre il presente, popolati, anche, da senzienti diversi (modificati geneticamente, provenienti da una biologia diversa, non più biologici) inseriti in comunità che si discostano radicalmente dalla nostra.
La seconda peculiarità è la scelta di accostare ai racconti dei saggi, per offrire a chi legge una guida all’esplorazione di un territorio vastissimo e per certi versi ancora poco conosciuto. Spunti di riflessione che, nelle nostre intenzioni, possano suscitare il desiderio di approfondire l’argomento con ulteriori letture.
Molte ragioni, non ultima il significato molteplice e talvolta approssimativo del termine italiano genere
(tra i tanti: ruolo sociale legato all’identità sessuale; genere narrativo; genere tassonomico) hanno spinto gli autori (curatrici e saggisti in particolare) a optare per il termine inglese gender, a cominciare dal titolo.
Questo non è stato il solo problema di carattere linguistico: la necessità di coniare pronomi, articoli e desinenze neutri, in una lingua, l’italiano, che non ne offre, ha complicato il lavoro. M. Caterina Mortillaro, ad esempio, si è scontrata con queste difficoltà traducendo il racconto complesso e suggestivo di Charlie Jane Anders. Una fitta corrispondenza con l’autrice ha dato vita a un confronto che ha suscitato nella stessa Anders un grande interesse per il problema linguistico. Per lo stesso motivo Silvia Treves nel suo racconto ha usato un grafema latino allo scopo di mantenere un’ambiguità di genere.
Una delle sorprese che ci ha riservato il nostro impegno di curatrici è stata la constatazione che il tema del gender, così trasversale da attraversare, almeno potenzialmente, la maggior parte dei soggetti narrativi, sia in realtà poco visitato in quanto tale: alcuni degli autori interpellati si sono mostrati perplessi. Che cosa dovrei scrivere?
Oppure: Il tema è troppo vasto!
, o anche: Così ci saranno racconti diversissimi gli uni dagli altri!
Per rispondere (e, soprattutto, per chiarirlo a noi stesse) abbiamo spiegato che volevamo accostare una pluralità di punti di vista sul gender, senza porre limiti. Era nostra convinzione che solo rimanendo vaghe, perfino ambigue, avremmo ottenuto materiali diversi e sorprendenti. E che, alla fine, sarebbe emerso un filo conduttore capace di evidenziare le motivazioni profonde alla base dei vari comportamenti discriminatori.
Così è stato. Questi racconti hanno per protagonisti umani e non, creature biologiche e non, naturali o coltivate in vitro. I generi di queste creature (un termine adeguato per molti motivi) sono ambigui, legati alla biologia ma anche alla visione sociale e alla produzione, oltre che alla riproduzione.
Il primo racconto, Le Sembianti di Fabio Lastrucci, è particolarmente adatto ad aprire l’antologia: il narratore, infatti, è un osservatore, un antropologo forse, alle prese con una cultura umana decaduta su un pianeta periferico, nella quale gender, mito e realtà s’intrecciano in maniera sorprendente.
Il secondo, Il sogno di Sultana, è un vero classico tra le utopie femministe, un testo che risale a fine Ottocento e che, oltretutto, è nato dalla penna di un’autrice indiana e musulmana, Rokeya Sakhawat Hossain (1880-1932).
Il terzo, Emancipazione, di M. Caterina Mortillaro, è collocato accanto al precedente per rimarcarne le differenze. I tempi sono molto cambiati e il testo non è, e non vuole essere, un semplice racconto di rovesciamento: ambientato in un mondo simile eppure differente dal nostro. Sottolinea il vero nodo irrisolto del rapporto tra i due generi canonici, che qualcuno si ostina a definire semplicemente naturali
.
Il quarto, Benvenuto in Paradiso, di Antonino Martino, si svolge in un futuro, nel quale i generi sono tanti e tutti sono ugualmente accettabili, auspicabili anzi. Molti di noi firmerebbero per vivere in quel futuro che potremmo percepire come utopico. Eppure… Nel racconto l’autore coglie l’occasione per rendere omaggio a un classico della fantascienza sociologica scritto da Brian Aldiss nel 1961.
Il futuro raccontato in Alta marea di Silvia Treves, invece, non è affatto buono. Figlio possibile ma non auspicabile del nostro presente in crisi climatica, è popolato da creature in difficoltà, classificate rispetto all’origine o allo scopo per il quale sono state progettate.
Giornataccia in ufficio di Alberto Costantini racconta la tranquilla serata casalinga di una coppia come tante, eppure decisamente diversa
. Visti con gli occhi dei due protagonisti, i nostri discendenti, in un futuro lontano qualche secolo, acquistano sfaccettature inaspettate e non sempre apprezzabili.
Il settimo racconto, La camera dello Sposo, di Giovanna Repetto, invece, si svolge là fuori
, su un pianeta difficile e troppo lontano dalla Terra. La protagonista, una donna ormai sola e confinata troppo a lungo nel proprio ruolo di madre, sta per fare un incontro che cambierà la sua vita.
L’ottavo racconto, MechanoGender, di Franci Conforti, i generi sono tanti quante le infinite funzioni produttive degli abitanti della città delle macchine. Il loro mondo psichico è legato unicamente al ruolo loro imposto dai loro creatori. O almeno così ritengono gli umani…
Ultimo, ma non per importanza, Amore è una parola grossa, è un racconto americano che ha fatto e farà molto discutere. Charlie Jane Anders, la famosa autrice transgender vincitrce dei Premi Hugo, Nebula, Locus e Crawford, immagina generi e funzioni inedite, che hanno richiesto uno sforzo immaginativo (e di traduzione) davvero notevole.
I tre saggi sono una bussola per consentire a chi legge di orientarsi e collocare i vari racconti all’interno di un percorso antropologico e letterario sul tema e sul genere fantascientifico.
Molti generi, molti mondi di Maria Giovanna Cassa, antropologa culturale che collabora con l’Università di Brescia, colloca la specie umana all’interno dei mosaici di ambienti e di culture nei quali vive, venendone forgiata. Attraverso numerosi esempi raccolti nel tempo e nello spazio, il saggio mostra quanto i nostri corpi siano culturalmente costruiti, secondo modelli e aspettative che definiscono i ruoli di genere, non sempre e non necessariamente solo binari. L’ultimo paragrafo del saggio è dedicato alle possibilità di sconfinamento
e rimescolamento dei generi che i racconti suggeriscono.
Nel secondo saggio, Dal femminismo al queer: la rilevanza della fantascienza tra fine Sessanta e inizio Ottanta, Pietro Adamo, professore ordinario all’Università di Torino, esplora il legame profondo tra l’evoluzione e il superamento del concetto di gender nelle teorie e politiche femministe e nella fantascienza. Questo legame, che deve molto al pensiero e agli interessi letterari di Donna J. Haraway, l’autrice di Manifesto Cyborg, poggia sulla natura profondamente speculativa della fantascienza. Nata per occuparsi del futuro, è il luogo letterario più fertile per ogni sorta di esperimenti mentali su ciò che potrà avvenire in campo sociologico e politico, sui possibili intrecci di culture e di biologie, sulle trasformazioni dei corpi e delle menti.
Il saggio è molto denso e approfondito e offre una panoramica irrinunciabile sui temi e gli scrittori che nel periodo cruciale compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta hanno letteralmente cambiato da una parte il modo di vivere occidentale, dall’altra il modo di pensare e di scrivere fantascienza.
Oltre il Binario: gender e fantascienza, di Roberto G. Kriscak, è una rassegna bibliografica che spazia lungo tutto il secolo scorso fino al presente, mostrando quanto la fantascienza abbia esplorato, in modo più o meno esplicito, il tema del gender e del suo superamento. Nelle prime pagine l’autore sottolinea l’origine popolare, pulp, della fantascienza la sua natura ibrida, spesso contaminata da altri generi narrativi. Una natura, insomma, che la rende sufficientemente forte per reggere descrizioni esplicite, esperimenti e linguaggi estremi. In questo senso, il taglio di Kriscak è complementare a quello di Adamo e, anche se talvolta gli autori dei quali ci parlano sono i medesimi, sono visti da punti di vista contigui.
Nove racconti per immaginare, tre saggi per riflettere. Cercate il vostro filo rosso. O, se preferite, arcobaleno.
Le Sembianti
Fabio Lastrucci
L’idea alla base di Le Sembianti mi è rimasta impigliata in un filtro della memoria per anni, senza svilupparsi del tutto, né trovare uno sbocco. Un forte input fu il ricordo di una giovanissima conduttrice televisiva visibilmente teleguidata
dalla regia tramite cuffie microfonate. Questa immagine, paradigmatica se messa in relazione al rapporto uomo/donna, però mi suonava in sé debole, manichea e non rendeva abbastanza la ricchezza di sfumature che esiste nell’ambiguo e sfaccettato gioco di ruolo dei due sessi. Come nel simbolo di Yin e Yang, ogni parte contiene una percentuale dell’altra e questo si traduce in maschere e convenzioni sociali che travestono i ruoli di comando nascondendone l’effettiva identità. Il proverbiale sciovinismo del meridione d’Italia, ad esempio, assurto a macchietta folkloristica nella commedia cinematografica, poggia altresì su strutture dal ferreo carattere matriarcale… Infine, per inscenare questa sorta di piccolo dramma coloniale, ho voluto enfatizzare l’attrito tra due mondi diversi sottolineandone l’incomunicabilità.
Settore 15/b
Cellula operativa Alv.010
RAPPORTO #12 – MOD. PERS-LOG
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La qualità del silenzio che avvolge la Colonia nel morire del giorno è una sorpresa che mi meraviglia ogni volta. Non mi ci abituerò mai.
Il via-vai delle strade gremite di A’n’bat, i richiami dei mercanti di essenze e sudiciumi, la gazzarra delle locande afose e vocianti, al tramontare dei soli gemelli scemano lasciando posto a un rimbombo sommesso, meno avvertibile del rullio di un tamburo di seta.
Il buio cala e i suoni diurni non tacciono come dovrebbero – non del tutto, almeno – per rilasciare invece una presenza fantasma che aleggia come delle impronte mal cancellate.
Sono vibrazioni, onde sonore residuali che l’orecchio sospetta piuttosto che udire, tracce. Qui lo chiamano eco-muto.
Questo fenomeno eccita l’attenzione del dormiente più esausto tenendolo in continuo stato di allarme.
Zenat dice che chi vive ad A’n’bat ne è assuefatto e se ne lascia cullare come da una nenia. Tranne me. Bestia beffata, la mia coscienza avverte i segnali vuoti della notte e non riuscendo ad afferrarli, li insegue. Sarà per questo che da quando risiedo nella Colonia non dormo più. Il mio sonno, già fragile negli alloggi anecoici dell’Alveare, qui è diventato del tutto impossibile. Sono settimane che vado avanti senza riposo, finendo col trascinare l’incarico che devo portare a termine nella mediocrità più assoluta.
L’osservazione sul campo prosegue in linea con i dettami della Via Oggettiva, io intanto cado a pezzi, sempre più coinvolto, sempre più emotivo e dubbioso sulle percezioni che vado annotando.
Da una parte c’è Zenat e l’enigma della sua identità, dall’altra il popolo in cui è cresciuta, scadenti mutazioni del ceppo Hu da cui tutti abbiamo origine. Isolamento e decadenza hanno ridotto questa comunità a uno stadio troppo basso per l’assimilazione nei Mondi Maggiori, ma non abbastanza per essere esclusa del tutto dai loro circuiti di controllo. Dunque debbo rassegnarmi a sopportarne il contatto (e gli afrori) analizzandone il livello evolutivo nei report che invio a casa ogni 20 sincrocicli.
Uno zelo animato prima dalla nostalgia che dal dovere.
Dal mio arrivo qui, d’altronde, scrivere è l’unico collegamento rimasto con il mondo che mi ha dato struttura e asilo.
La civiltà più pura. L’Alveare.
Basta soltanto nominarlo e i suoi schemi perfetti si aprono in me orientando la coscienza su routine di pensiero prestabilite. Qualunque altro concetto si spegne e il condizionamento torna a fare di me una pagina bianca, rendendomi corpo unico con le Tre regole della Conformità.
Le recito e quasi senza accorgermene, le mani si muovono da sole tracciando nell’aria il settimo gesto segreto. Anche il silenzio incrostato di spettri sonori pare retrocedere. Eseguo la sequenza articolando le dita con destrezza e bisbiglio la Matrice corrispondente.
Più e più volte di seguito.
È un miracolo. Non serve affatto a farmi dormire, però mi sento meglio.
L’Alveare è grande. L’Alveare sa.
Tenterò di appuntare qualche nota, sia lode infinita all’Alveare.
RAPPORTO #13 – MOD. PUB-LOG
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Status autocritico: in corso
Passano a gruppi di cinque (o di tre o sette, mai in numero pari), fasciate dalle balze cangianti di tessuti fotosensibili. Incedono sicure, gli innesti auricolari che mandano riflessi metallici attraverso l’intrico delle capigliature sciolte.
Sembrano solide nelle spalle larghe, libere, le forme armoniose che ne disegnano i corpi sotto gli abiti, eppure i loro gesti sono trattenuti, quelli di chi conosce solo obbedienza e nient’altro. Farle parlare è difficile, restie come sono al dialogo, e se decidono di raccontarsi è una sorpresa sentirne il linguaggio arcaico e senile, così estraneo alla freschezza dei volti imperscrutabili.
Passano. Come solo ornamento, brillanti costellazioni di mica scintillano sull’arcata degli zigomi. I grandi occhi viola cupo fendono l’aria sopra la curva dei nasi a scimitarra, le labbra senza trucco sono accese da un cremisi naturale. Bocche che paiono ignorare cosa sia la piega di un sorriso.
Chissà dove sono annidati i loro pensieri. Chissà quanto rimane di essi, se si nascondono, se sono mai esistiti.
È impossibile avere risposta. Nessuno lo sa. Quando si cerca di interrogarli a riguardo, i maschi di A’n’bat ridono e tacciono, come posti di fronte al quesito di un bambino. In realtà non ne hanno la minima idea.
Anche questo contribuisce a rendere le passanti più enigmatiche, misteri insoluti di cui non sono altro che la confezione. Splendidi involucri vuoti.
Il destino di coloro che nascono Sembianti, in fin dei conti, è tutto racchiuso lì dentro, nel loro nome.
RAPPORTO #14 – MOD. PERS-LOG
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Status autocritico: nullo
Ancora una volta sveglio. Di nuovo qui ad arrovellarmi affaticando la mente quando adesso dovrei riposare come fanno tutti, indigeni, animali o macchine. Persino i cani-talpa delle miniere trovano requie nei loro cunicoli oscuri. Io no. Col volto perfetto di Zenat che mi invade i pensieri, ascolto il silenzio senza capirlo e odio quel suo borbottio insensato. Nel ricordo, poi, lo sguardo della donna passa dal color malva scuro al tenero celeste di un albeggiare d’autunno. Un rimprovero originato da qualche parte di sé o del suo Dominante? Lo scoprirò presto.
L’intenzione di interferire con le norme locali è maturata da sola, mentre mi è ormai sempre più difficile onorare la Via e i suoi precetti. Ho oltrepassato il limite, lo so e tremo. Alimento pensieri proibiti, malgrado ciò devo pur riempire la veglia in qualche modo.
Con gli occhi in fiamme e l’impazienza che non dà tregua, torno ancora una volta a fissare il cronografo, la bussola del mio vagabondaggio nelle ore notturne. Ormai sono entrato in intimità con i suoi meccanismi e ne posso leggere i movimenti più impercettibili, distinguendoli uno per uno.
Questa confidenza mi ha reso evidente quanto le ore del giorno siano un prodotto industriale, seriale, ordinario, anonimo, una messe che consumiamo a grappoli senza accorgercene in un’ingorda vendemmia priva di storia.
La notte è diverso. Per l’insonne la durata di un singolo minuto è artigianato puro e il trascorrere ogni suo dannato secondo è materia lavorata a mano. Un impegno sofferto, faticato lentamente. E pezzo dopo pezzo questo accumulo pesa sempre più. Si impila sulle palpebre che vorrebbero chiudersi ma non possono, grava nella coscienza che processa senza pace. Logora.
Tengo acceso perciò il mio taccuino privato, per dare un senso alle ore. Posso riempirlo di un monologo off-line, un diario che sarà sovrascritto e cancellato fino a fargli perdere ogni senso, consumando ogni soggettività indesiderata.
Non ho bisogno di nasconderlo, no. L’Alveare consente il solipsismo delle sue cellule, anzi, l’incoraggia. Non potendo sopprimere del tutto i rigurgiti delle idee personali le lascia sfogare, differenziarsi, poi le incanala tutte in una singola visione collettiva. La sua.
Per questo ogni membro attivo è costretto a esperire mondi diversi, in modo da farne propria l’eccentricità e la devianza. Ogni eterodossia si confuta da sola ai nostri occhi.
Nessun rischio di contaminazione. L’Alveare non proibisce nulla eppure tutto è proibito per i suoi figli. Non c’è bisogno di guardiani quando il sistema di controllo più perfetto siamo noi stessi.
L’Alveare sa. Lode infinita all’Alveare.
RAPPORTO #15 – MOD. PUB-LOG
Filtri inattivi
Status autocritico: in corso
Pur avendo studiato gli usi della Colonia, ancora oggi trovo difficile accettare la condizione delle donne locali. Gli archivi storici di missione contengono già tutte le informazioni a riguardo, ma constatarne la realtà di persona è un esperienza che non lascia indifferenti.
Grazie a qualche testimonianza raccolta dagli anziani il quadro mi si è fatto più chiaro, pur evidenziando ancora diverse lacune e falsità.
Ciò che ho potuto confermare è che tutte le femmine partorite ad A’n’bat sono gemelle eterozigote, venute al mondo sane nel corpo ma prive di coscienza, quindi possono sopravvivere solo ospitando in sé la volontà di menti altrui. Ospitare letteralmente, intendo.
A causa di una tara genetica che le affligge dai tempi dei primi insediamenti, le creature chiamate Sembianti
non sono in grado di pensare¹ né di produrre azioni volontarie senza la spinta di uno stimolo esterno. La loro vita, perciò, dipende del tutto dalla simbiosi con i fratelli maschi che le pilotano in remoto dalle nascoste postazioni di comando del Viribus.
Non c’è modo di sfuggire a questa sorte. Non c’è alternativa. In mancanza dell’eterocefalia le donne tornerebbero allo stato vegetativo, seguito dall’inedia e la morte.
Tecnologie di cui si è persa l’origine e la comprensione presiedono al triste prodigio: è così che i membri del Clan dirigono gli intelletti vuoti delle proprie sorelle, restando connessi ai loro sensi e inviando per tutta la vita un ininterrotto flusso di comandi.
Estranee alla barbarie dei rituali di accoppiamento (sostituiti persino qui dall’ingegneria genetica) queste creature, dunque, riempiono lo sguardo di bellezza affaccendate in mille incarichi che eseguono sotto lo sguardo spento dei compagni.
I maschi, minati nel fisico da secoli di apatia, si fanno servire, lasciando l’onere del comando ai fratelli rinchiusi a vita nel Viribus. Fragili e oziosi come sono è difficile credere che siano il genere dominante, dipendendo in assoluto dal lavoro femminile.
La domanda che allora l’osservatore pone è: come può evolvere una società basata su presupposti tanto impari? Si è mai cercata una cura che permetta alle donne di sviluppare una propria coscienza autonoma? No.
I locali alzano le braccia magre al cielo e chiamano in causa la legge di volontà superiori, enti divini, tradizioni secolari.
Sospettando che i Clan nascondano il ricorso a qualche segreta menomazione rituale, mi convinco sempre più che i loro Dei appartengano a un sesso soltanto, inutile dire quale.²
RAPPORTO #16 – MOD. PERS-LOG
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Status autocritico: nullo
Ho sollevato una piastra dal pavimento delle mie stanze, negando così con un solo gesto non permesso tutti i frutti insapori di un’educazione di livello 010. Sotto il panno di lana che lo protegge, tengo nascosto un dispositivo dissipatore di campo portatile che aspetta il suo momento. Lo sfioro.
Avrò mai il coraggio di usarlo, mi chiedo? E quando?
Le voci-senza-suono di A’n’bat s’infittiscono rasentando la soglia dell’udibilità. Forse vogliono schernire me e lo strumento che dovrà darmi delle risposte illecite.
Illecite e pericolose.
Per una volta non ascolto il loro brusio, lasciandolo ai margini dei miei pensieri. Nella mente albergano solo immagini rubate al giorno.
I gesti di Zenat, la perfezione del suo profilo che si staglia controluce nell’ingresso, le dita che arpeggiano le corde del trakis, così sapienti. E il tono morbido con cui discute del suo poeta preferito, la finezza degli argomenti che intavola mentre svolge i suoi compiti di sguattera al servizio di uno straniero. Come può tutto questo provenire da un altro essere?
Quanto c’è veramente di lei all’interno dei confini del suo corpo?
Domande su domande riempiono la sterminata distesa della mia veglia notturna. Apro il panno sul suo contenuto proibito. Presto saprò, mi dico per rassicurarmi e per ammansire l’impulso alla disobbedienza. Rimandare l’azione non basta a farmi recedere dai miei propositi. Troppe notti in bianco hanno assottigliato il confine tra fantasia e attuazione. I miei freni morali non hanno più presa, ci penso da troppo tempo. Agirò.
Al prossimo crepuscolo sarà il turno di Zenat di curare il braciere perenne fino al levarsi delle albe gemelle.
È quello il momento che aspetto da tempo. Regolo tutti i parametri del dissipatore, aumentandone il raggio e implementando nuove frequenze. Lo ripongo poi intimidito dalla mia stessa volontà, senza nessuna intenzione di desistere.
Sto per incamminarmi nella terra senza ritorno dei fuorilegge.
RAPPORTO #17 – MOD. PUB-LOG
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Status autocritico: in corso
C’è stato grande scompiglio oggi in Colonia. Qualche ignoto trasgressore ha compiuto un sacrilegio nel pieno della notte, interferendo col raggio di comunicazioni provenienti dal Viribus. Il normale vox