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I grandi romanzi
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I grandi romanzi

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Info su questo ebook

• Oliver Twist
• David Copperfield
• Tempi difficili
• Le due città
• Grandi speranze
• Racconti di Natale

Edizioni integrali

Forse non esiste un altro scrittore che sia stato capace di raccontare una città come Dickens ha descritto Londra. Le sue strade, ora larghe e percorse da eleganti carrozze, ora viuzze fetide, a stento illuminate dalle lanterne degli antri frequentati da uomini e donne di malaffare; la sua gente, dipinta in grandi affreschi vivacissimi, come nelle descrizioni del tribunale dove vengono condannate folle di debitori insolventi, o ritratta da vicino, così vicino da mostrare gli occhi arrossati dall’alcool o dal pianto di una prostituta, la bocca piegata in una smorfia amara dei bambini già ladri a dodici anni. La grande metropoli rimane sullo sfondo anche quando racconta la vita della provincia e scrive dei Tempi difficili degli operai che allora conoscevano lo sfruttamento introdotto dalla rivoluzione industriale, mentre i figli nelle scuole venivano depredati con sadismo della fantasia e degli affetti; e scrive di Grandi speranze che fioriscono sulle rovine del passato, con tante fatiche e dolori. Vuole, Dickens, sempre un lieto fine alle sue storie, che tutto si risolva come nella notte di Natale di Scrooge, o nella storia di David Copperfield: ma spesso l’accento non è posato con eleganza sul bel finale, sul bel matrimonio, sul cattivo che diventa buono. L’accento, anche con sfumature ironiche irresistibili, cade sembra a malincuore sulla disperazione che invade la vita quotidiana di tanti uomini e donne (le sue eroine “negative” sono figure splendide) sofferenti senza colpa, sulla cattiveria contro i bambini e gli indifesi; Dickens è immenso quando si accosta ai perdenti. Pensiamo a Oliver Twist, nato in un ospizio per poveri, e lo vediamo non con indosso i begli abiti da giovane aristocratico che alla fine conquisterà, ma vestito di stracci, sporco di fango e fumo, mentre corre con la sua banda di piccoli ladri nelle strade della grande, maleodorante, popolatissima, splendida Londra.



Charles Dickens

nacque a Portsmouth nel 1812. Trascorse l’infanzia a Chatham e poi seguì il padre in un traumatico trasferimento a Londra. Della metropoli in cui visse fece il centro ispiratore della sua arte, il centro di un quadro vivo e mobile, un caleidoscopio armonico e colorato di personaggi, conflitti sociali, umori e fermenti della sua epoca. Morì nel 1870. La Newton Compton ha pubblicato Le due città, Grandi speranze, Oliver Twist, Tempi difficili e, nella collana Mammut, David Copperfield e I grandi romanzi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854141780
I grandi romanzi
Autore

Charles Dickens

Charles Dickens nació en Portsmouth en 1812, segundo de los ocho hijos de un funcionario de la Marina. A los doce años, encarcelado el padre por deudas, tuvo que ponerse a trabajar en una fábrica de betún. Su educación fue irregular: aprendió por su cuenta taquigrafía, trabajó en el bufete de un abogado y finalmente fue corresponsal parlamentario de The Morning Chronicle. Sus artículos, luego recogidos en Bosquejos de Boz (1836-1837), tuvieron un gran éxito y, con la aparición en esos mismos años de los Papeles póstumos del club Pickwick, Dickens se convirtió en un auténtico fenómeno editorial. Novelas como Oliver Twist (1837), Nicholas Nickleby (1838-1839) o (1841) alcanzaron una enorme popularidad, así como algunas crónicas de viajes, como Estampas de Italia (1846; ALBA CLÁSICA núm. LVII). Con Dombey e hijo (1846-1848) inicia su época de madurez novelística, de la que son buenos ejemplos David Copperfield (1849-1850), su primera novela en primera persona, y su favorita, en la que elaboró algunos episodios autobiográficos, Casa desolada (1852-1853), La pequeña Dorrit (1855-1857), Historia de dos ciudades (1859; ALBA PRIMEROS CLÁSICOS núm. 5) y Grandes esperanzas (1860-1861; ALBA CLÁSICA MAIOR núm. I). Dickens murió en Londres en 1870.

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    Anteprima del libro

    I grandi romanzi - Charles Dickens

    380

    Titoli originali: Oliver Twist, trad. di M. Martino; David Copperfield, trad. di F. Prattico;

    Hard Times, trad. di M. Martino; A Tale of Two Cities, trad. di S. Spaventa Filippi;

    Great Expectations, trad. di M.F. Melchiorri, A Christmas Carol - The Bells - The Cricket on the

    Earth - The Battle of Life - The Haunted Man and the Ghost’s Bargein, trad. di E. Grazzi

    Prima edizione ebook: maggio 2012

    © 2011 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella Postale 6214

    ISBN 978-88-541-4178-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Charles Dickens

    I grandi romanzi

    Oliver Twist, David Copperfield, Tempi difficili, Le due città,

    Grandi speranze, Racconti di Natale

    Introduzioni di Vanni De Simone, Mario Martino, Marisa Sestito

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1812. Charles Dickens nasce a Portsmouth il 7 febbraio.

    1815. John Dickens, padre di Charles, impiegato all'ufficio paghe della Marina, viene trasferito a Londra.

    1817. John Dickens è trasferito a Chatham, dove il piccolo Charles trascorre il periodo più felice della propria infanzia.

    1821. Scolaro alla William Giles's School, Charles scrive, alla matura età di 8-10 anni, la tragedia Mìsnar, the Sultan of India.

    1822. John Dickens è di nuovo trasferito a Londra, e va ad abitare al 16 di Bayham Street, Camden Town.

    1824. Mentre la sorella Fanny è iscritta alla Royal Academy of Music, il piccolo Charles, anche su pressioni della madre, viene abbandonato al lavoro in una fabbrica di lucido da scarpe, Warren, sulle sponde del Tamigi. Questo gli dà il senso di una contaminazione col mondo basso e criminale. Il padre è rinchiuso nella prigione per debitori di Marshalsea. Charles alloggia presso una famiglia di amici, prima a Camden Town e poi a Lant Street, più vicino alla prigione del padre. Dopo pochi mesi, uscito John Dickens di prigione, la famiglia si trasferisce a Somers Town.

    1825. Charles Dickens si iscrive alla Wellington House Academy.

    1826. John Dickens ottiene un impiego giornalistico.

    1827. Charles si impiega presso lo studio legale Ellis e Blackmore. Per evadere dalla routine degli impieghi legali, studia stenografia da autodidatta.

    1830. Si invaghisce di Maria Beadnell, la cui famiglia tratta snobisticamente il giovane e lo induce ad interrompere il rapporto, nel 1833. Ottiene l'impiego di reporter parlamentare grazie anche allo zio.

    1832. Tenta il mestiere dell'attore.

    1833. «The Monthly Magazine» pubblica il suo primo racconto: A Dinner at Poplar Walk.

    1834. Giornalista al «The Morning Chronicle». Conosce la futura moglie, Catherine Hogarth. Pubblica altri bozzetti su «The Monthly Magazine».

    1836. Escono Sketches by Boz, First Series, e Sketches by Boz, Second Series, i suoi primi volumi. Si sposa e conosce John Forster che rimarrà forse il suo più fedele amico e primo, importantissimo biografo. Inizia a pubblicare Pickwick Papers in parti mensili, metodo a cui rimarrà sostanzialmente fedele per il resto della sua opera.

    1837. Inizia la pubblicazione in 20 fascicoli, mensili, di Oliver Twist.

    1838. Inizia la pubblicazione in 20 fascicoli, mensili, di Nicholas Nickleby.

    1840. Assunta la direzione di una nuova rivista, «Master Humphrey's Clock», su di essa inizia la pubblicazione, in 40 puntate, settimanali, di The Old Curiosity Shop.

    1841. Su «Master Humphrey's Clock», inizia la pubblicazione, in 40 puntate, di Barnaby Rudge.

    1842. Esce American Notes, risultato del suo primo viaggio negli Stati Uniti, e inizia la pubblicazione di Martin Chuzzlewit.

    1843. Scrive il racconto natalizio, archetipo di un genere, A Christmas Carol (a cui seguono, fino al 1848: The Chimes, The Cricket on the Hearth, The Battle of Life, e The Haunted Man).

    1844-5. Visita l'Italia.

    1846. Esce Pictures from Italy. Prende avvio Dombey and Son, in 20 puntate, che dà inizio alla sua fase matura dopo la crisi produttiva degli anni precedenti.

    1849. Inizia la pubblicazione di David Copperfield (in 20 puntate).

    1850. È direttore di una nuova rivista, «Household Words», che attraverserà tutti gli anni Cinquanta.

    1852. Inizia la pubblicazione di Bleak House (in 20 puntate).

    1854. Esce Hard Times, in numeri settimanali.

    1855. Inizia la pubblicazione di Little Dorrit (in 20 puntate).

    1855. Acquista la casa di Gads Hill, nei pressi di Chatham, ammirata nelle passeggiate dell'infanzia assieme al padre. I giri di letture delle proprie opere, iniziati per beneficenza e poi trasformati in vere e proprie iniziative commerciali, acquistano ritmi più intensi.

    1859. Assume la direzione della nuova rivista «All The Year Round», dove pubblica A Tale of two Cities.

    1860. Su «All The Year Round» inizia la pubblicazione di Great Expectations.

    1864. Inizia la pubblicazione di Our Mutual Friend (in 20 puntate), ultimo suo romanzo concluso.

    1865. Coinvolto in un incidente ferroviario, rischia che sia scoperta la sua relazione extraconiugale con l'attrice Ellen Ternan.

    1868. Pubblica su «The Atlantic Monthly» il racconto George Silverman's Explanation.

    1870. Inizia la pubblicazione di The Mistery of Edwin Drood, del quale solamente sei numerisono pubblicati, dei dodici previsti. Provato da una serie di stressanti letture pubbliche,muore a Gad's Hill, il 9 giugno.

    BIBLIOGRAFIA GENERALE

    Rassegne bibliografiche: PKLIP COLLINS, Charles Dickens in The New Cambridge Bibliography, Cambridge, Cambridge UP, 1969-77; JOHN FENSTERMAKER, Charles Dickens, 1940-1975: An Analytical Subject Index to Periodical Criticism of the Novels and Christmas Books, London, Prior, 1979. Su The Old Curiosity Shop: Priscilla e Paul Schlicke, The Old Curiosity Shop: an annotated bibliography, New York, Garland, 1988.

    Per una rassegna della critica si veda, a cura di C. PAGETTI e M.T. CKALANT, Dickens e la critica, in iid., La città e il teatro. Dickens e l’immaginario vittoriano, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 13-39. Si vedano inoltre ADA NISBET Ch. Dickens, in L. STEVENSON (a cura di), Victorian Fiction: A Guide to Research, Cambridge, Harvard up, 1964 e PHILIP COLLINS, pp. 34-113, Ch. Dickens, in g.h. forD (a c. di), pp. 34-113 Victorian Fiction: A Second Guide to Research, New York, mLAA, 1978.

    La biografia di Dickens più accreditata è quella di EDGAR JOHNSON, Charles Dickens: His Tragedy and Triumph, London, Allen, 1977 (19521); la prima in assoluto è Life of Dickens, di JOHN FORSTER (London, Chapman, 1872-4, 3 voll). Inestimabili per gli studi dickensiani le Letters of Charles Dickens, volumi 1-12, a c. di M. HOUSE, G. STOREY, K. TILLOTSON, K.J. FiELDiNg, Oxford, Oxford u.p., 1965-2002.

    Studi critici

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    BLOOM, HAROLD (a cura di), Charles Dickens: Modem Critical Views, New York, Chelsea House, 1987.

    BLOOM, HAROLD (a cura di), Victorian Fiction, New York, Chelsea House, 1989.

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    BUTT J. e K. TILLOTSON, Dickens at Work, London, Methuen, 1957.

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    WILSON, EDMUND, The Wound and the Bow, Boston, Mass., Houghton, 1941.

    WORTH, GEORGE, Dickensian Melodrama: A Reading of the Novels, Lawrence, University of Kansas, 1978.

    Studi in italiano su Dickens:

    BONADEI, ROSSANA, Paesaggio con figure. Intorno all'Inghilterra di Charles Dickens, Milano, Jaca Book, 1996.

    CHIALANT M.T. e PAGETTi C., La città e il teatro. Dickens e l'immaginario vittoriano, Roma, Bulzoni, 1988.

    CHIALANT, MARIA TERESA, Ciminiere e cavalli alati. Strategie contrastive nella narrativa di Charles Dickens, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1988.

    FRAIOLI F. e BAIANO A., Dickens e il suo tempo: il pensiero utilitaristico in 'Hard Times'e l'analisi delle figure femminili in David Copperfield, Napoli, Liguori, 1998.

    IZZO, CARLO, Autobiografismo di Charles Dickens, Venezia, Neri Pozza, 1954.

    MARRONI, FRANCESCO, Disarmonie vittoriane, Roma, Carocci, 2002.

    MARTINO, MARIO, Dickens e la crisi della scrittura, Bari, Adriatica, 1996.

    PAGANELLI, MARINA BONDI, Dickens e il discorso politico, Bologna, Cappelli, 1989.

    PRAZ, MARIO, La crisi dell'eroe nel romanzo vittoriano, Firenze, Sansoni, 1981 (1952).

    RUNCINI, ROMOLO, Illusione e paura nel mondo borghese. Da Dickens a Orwell, Bari, Adriatica, 1968.

    SPINA, GIORGIO, Charles Dickens. L'uomo e la folla, Genova, E.R.S.U.,1985.

    Oliver Twist

    Premessa

    Oliver Twist¹ è la conferma di un genio precoce giacché questo classico della letteratura universale ci viene da un Dickens di appena venticinque anni.

    Privato di una istruzione superiore per le difficoltà finanziarie in cui presto precipita la sua famiglia, dopo una iniziale illusione di benessere e di signorilità, tipico vittoriano che s'è fatto da sé, Dickens da autodidatta si avvia per gradi all'arte attraverso la pratica del giornalismo, e dapprima è corrispondente parlamentare, grazie a una formidabile capacità stenografica; poi, invia a riviste, trepidante e nell'anonimato, quei primi racconti (o bozzetti ) che successivamente riunirà col titolo di Sketches by Boz e che incontrano da subito il favore del pubblico.

    Per quanto giovane e ineducato, quando inizia a scrivere Oliver Twist, Dickens ha già al suo attivo non solo il successo di questi racconti ma anche quello del suo primo, anomalo e grandissimo romanzo, Pickwick Papers, iniziato nel 1836 e sviluppato in forma di fascicoli pubblicati mensilmente. Anzi, l'epopea picaresca dell'attempato e angelico Pickwick e dello scaltro e spiritoso servo Sam Weller non è ancora conclusa quando si avvia questa nuova avventura e sfida narrativa, che subordina la vena comica ad un ritratto della società e del suo tempo in cui predominano le tinte fosche.

    Dickens scrive i numeri mensili di The Adventures of Oliver Twist per la pubblicazione sulla «Bentley's Miscellany» (dal febbraio del '37 all'aprile del '39), in perfetta, giovanilmente temeraria sintonia con tale forma di pubblicazione a scadenza periodica, che atterrirebbe qualsiasi artista di ambito modernista. Tant'è che il primo numero deve essere posticipato rispetto alla scadenza del gennaio '37: un'influenza impedisce la stesura del manoscritto, il che vuol dire che Dickens non ha nemmeno una minima riserva di lavoro svolto in anticipo sulle scadenze di pubblicazione: la quindicina di pagine di ogni numero passa quasi direttamente dalla sua penna e dalla sua scrivania al tavolo del compositore.

    L'arte di Oliver Twist è innovativa anche in questo senso, e comunque, non corrispondendo ai criteri più moderni di accurata ponderazione e meditazione di tutto l'impianto narrativo, passa oltre le incongruenze di tempo, le implausibilità o arbitrarietà dell'intreccio. Ma, alla luce di questa storica rivoluzione editoriale, val la pena chiedersi quanto ci fosse di programmato, di già pensato e pianificato nella successione dei vari fascicoli. Se infatti, più avanti nella sua carriera, Dickens lascia prove evidenti di tale meditazione e programmazione, nel caso presente si hanno solo indizi sparsi, o le prove interne che vengono dal testo stesso. Ne risultano tanto le argomentazioni di chi sostiene che dietro l'apparente episodicità della scrittura c'è una lunga gestazione e meditazione preparatoria; quanto quelle di chi sostiene che se un piano originario c'è, questo avrebbe contemplato uno sviluppo molto più breve, quasi di racconto, successivamente ampliato alla misura del romanzo.

    Questa relativa duplicità di visione si trova ancora irrisolta, diremmo, nel Progress del sottotitolo alla prima edizione, The Parish Boy's Progress, che comunque salda le picaresche Adventures in un piano unitario. Se colleghiamo infatti il termine, come consuetudine, ad una tradizione satirica hogarthiana (Hogarth, con le sue mirabili, graffanti incisioni, è stato uno dei grandi riferimenti per l'arte di Dickens, e non a caso il testo di Oliver Twist trova quasi un naturale complemento nelle illustrazioni di George Cruickshank, ovvero Phiz), allora il percorso di Oliver sarebbe dovuto essere limitato ai bassifondi, risolvendosi in una linea di caduta del piccolo eroe dall' ospizio-asilo, alla criminalità, alla deportazione. A voler scorgere invece nel sottotitolo l'influenza del Pilgrim's Progress (la celebre allegoria secentesca del puritano John Bunyan è ugualmente fondamentale per il macrotesto dickensiano), l'intreccio narrativo è ampliato ad includere una forte dimensione borghese che consenta il lieto fine, il percorso di ritorno alle origini nascoste di Oliver e la sua salvezza in un diverso ambito sociale da quello in cui lo vediamo collocato all'inizio.

    Nonostante i tratti di continuità con Pickwick Papers (pubblicazione a puntate, linea narrativa picaresca, innocenza angelica del protagonista, ambientazione londinese), Oliver Twist si caratterizza soprattutto per alcuni tratti di profonda diversità. Va perciò spiegato che cosa possa aver spinto Dickens, che non ha ancora consolidato il suo successo, al rischio di un cambiamento così netto della precedente formula narrativa.

    La prima spiegazione di ciò va individuata nel rapporto più intimo che Oliver Twist istituisce col passato dell'autore, sicché un disegno quasi autobiografico viene a celarsi dietro le sue molte cifre, dietro la linea quasi allegorica della narrazione. Anticipando i romanzi confessionali , in cui questo intento è più consapevole (le narrazioni in prima persona del David Copperfield o di Great Expectations), qui Dickens comincia a fare i conti col proprio passato traumatico, segreto, persino inconscio: nato nel febbraio del 1812 nei pressi della città portuale di Portsmouth, nel Sud dell'Inghilterra - quasi di fronte alla Francia agitata ancora dagli sviluppi della Rivoluzione e dal turbine napoleonico - egli vive infatti i primi e sereni anni nella tranquilla cittadina di Chatham, assorbendo la vivificante libertà e promessa del mare. Ma questi anni, che nel ricordo dello scrittore resteranno di originaria felicità, sono bruscamente interrotti dalla decadenza economica della famiglia, dal trasferimento a Londra, dall'arresto per debiti del padre, dall'essere mandato a lavorare in una desolante fabbrica di lucido da scarpe sulla riva del Tamigi, e dal dover vivere letteralmente solo nella sterminata metropoli, separato dalla famiglia: il bambino, come Oliver nel periodo cruciale delle sue avventure, ha appena una decina d'anni, ed è anche perciò che quel periodo buio, di pochi mesi, sembra di estensione infinita nella sua percezione e resta indelebile nella sua psiche matura. Come Oliver, Dickens si è sentito orfano nell'abbandono (ammette, molto più tardi, di non aver potuto mai perdonare la madre di aver insistito perché non fosse tolto dal suo degradante lavoro).

    Il senso di ingiustizia provato allora è troppo grande perché possa trovare espressione diretta, anche a distanza di molti anni - Dickens proverà a scrivere una autobiografia ma troverà impossibile proseguire oltre l'adolescenza. Tanto più si fa urgente invece la trasposizione indiretta, letteraria, di quella esperienza di abbandono. Dunque, Oliver non solo orfano, ma addirittura nato in una workhouse, un ospizio di mendicità, la sua unica dimora fino, appunto, ad una età di circa dieci anni; e fuggito a Londra, preda di delinquenti, concretizza nell'esperienza di fantasia la paura, sofferta realmente dal ragazzo Dickens, di essere rapito da delinquenti e diventare lui stesso un delinquente. E la parte irrimediabile di quella sofferenza, al di là dell' esorcismo che si conclude in happy ending e nella salvezza di Oliver, trova espressione simbolica nell'unico bambino dell'ospizio che Oliver saluti prima di partire e che cerca ancora quando infine ritorna al luogo natale, per apprendere che è morto: per questo, è una sorta di suo alter ego, e non a caso quel bimbo risponde al nome di Dick, abbreviando il cognome dello stesso Dickens.

    Ma naturalmente la qualità biografica non esaurisce il romanzo. Vanno considerati i tratti tipici che su di essa si innestano: basti accennare, ad esempio - per approfondire l'aspetto psicologico - a come nella definizione di orfano del protagonista, e del suo incontro con una serie di altri genitori sostitutivi, buoni o cattivi, trovi rispondenza un dato pressoché permanente della psiche infantile: quello di cui si occupano le favole, con le quali il linguaggio di Oliver Twist in parte coincide, finanche in quella che - ad un primo livello di lettura - è elementare contrapposizione di agenti del Bene e del Male (personaggi: Oliver/Monks, Brownlow/Fagin, Rose/Nancy; luoghi: casa/workhouse, Londra/ campagna; classi sociali: borghesia/proletariato delinquenziale).

    Oliver Twist va letto poi su un piano di attualità storica più precisa, sicché potremmo definirlo anche romanzo impegnato , come risulta evidente in particolare dai primi sette capitoli. In questi si presenta l'ambiente in cui nasce e viene educato Oliver, un ospizio di mendicità, contiguo ad una cittadina dell'Inghilterra che il narratore «s'astiene prudentemente dal menzionare». La anonima, e quindi tipizzata, città di provincia è mostrata come spazio applicativo di una legge di riforma sul lavoro, la disoccupazione, la povertà, collegata a una più ampia legislazione di riforma della società inglese, avviata nei primi anni Trenta col Reform Act. Col Reform Act la classe politica inglese tenta di regolare i fenomeni sociali prodotti dal primo sviluppo industriale, affrontando in primo luogo il problema della rappresentanza politica in Parlamento e ridefinendo le circoscrizioni elettorali in modo da riconoscere il peso politico della borghesia, enormemente accresciuto rispetto a quello dell'aristocrazia. Come sua propaggine, il Poor Law Amendment Act, promulgato nel 1835 (si vede, dalle date, come Dickens scrivesse a caldo, quasi giornalisticamente), istituisce le workhouse, luoghi in cui confinare e contenere l'emarginazione sociale e regolare brutalmente il lavoro. Le ragioni istitutive, il concreto funzionamento delle workhouse sono oggetto di ampio dibattito sociale e parlamentare in quegli anni, e il punto di vista di Dickens non è rivoluzionario, che ambizione dello scrittore vittoriano è quella di identificarsi con il suo pubblico, di esserne il portavoce. Ma è il punto di vista di una critica radicale, e che ancor più radicale diventa nell' esser formulata non in termini astrattamente ideologici ma attraverso la scrittura letteraria: è qui che il dato storico, realistico, è poi trasceso nella dimensione simbolica: la workhouse, in cui la legge del profitto e dello sfruttamento è divenuta parola d'ordine di tutta la società, anticipa così lo spazio meccanizzato e statalizzato di Coketown che, nel successivo Hard Times, del 1854, si configura come nucleo originario della letteratura anti-utopica.

    Anche in tal senso, lo spazio-prologo della workhouse ha come suo presupposto quello dirigenziale-nazionale della metropoli. Difatti, la parte più consistente della narrazione, a partire dal capitolo ottavo, è ambientata a Londra (spazio canonico dickensiano fin dagli esordi di Sketches by Boz). È la Londra della vita malfamata, innanzi tutto, in cui continua l'atmosfera cupa dell'inizio del romanzo, e in cui il percorso di violenza sul bambino raggiunge il culmine. È la Londra dell'East End, quella malfamata che si collega alla tradizione del cosiddetto Newgate novel; ma anche, e in subordine, quella del suo opposto, la Londra del West End, alto-borghese e signorile. La metropoli vive in questa netta contrapposizione che sottintende in qualche modo la complementarità delle due parti. E se, secondo un criterio morale, viene dato rilievo alla seconda, è la prima ad essere più da vicino indagata, a catturare visceralmente l'attenzione, e ad essere, in definitiva, più credibile.

    Il dato simbolico si intreccia sempre con quello realistico. Dickens, del resto, conosce benissimo la metropoli, perché la esplora incessantemente, in lunghissime passeggiate, e a ritmi quasi da maratoneta, facendo tesoro di ogni angolo, di ogni strada, di ogni tipo umano o scena cui assista. Non sorprende perciò che il lettore abbia l'impressione di poter stendere una mappa della città a partire dal testo, e se la precisione con cui sono rappresentate le sue vie, le sue piazze, i suoi punti nodali e luoghi tipici, gli angoli e i vicoli più nascosti fa pensare al lavoro di un pionieristico cartografo o sociologo (pensiamo alla indagine di H. Mayhew sulla parte indigente della capitale: London Labour and the London Poor). Valga l'esempio di quando Oliver è condotto per la prima volta a Londra, guidato da Dodger, con un percorso non casuale ma che ricalca quello che si seguiva solitamente nell'Ottocento provenendo dal Nord-Est; percorso che comunque è qui graduato in funzione di una progressiva immissione nell'orrore della città (cap. VIII).

    Ma l'esempio ci fa afferrare forse un'altra cifra del senso di realtà che avvertiamo: il movimento. Diverse volte, innanzi tutto, percorriamo la città, come nel bellissimo episodio del pedinamento notturno di Nancy da parte di Noah Claypole, anticipatore delle atmosfere del romanzo poliziesco; o la spedizione notturna per compiere il furto a Chertsey, che segue all'attraversamento di buona parte della città (cap. XXI). E diverse volte ancora avvertiamo la città stessa come movimento, continua trasformazione spaziale e flusso sociale. In tal senso, la trasformazione della città è in primo luogo verso la decadenza in quanto il suo ipotetico sviluppo produce, come un'onda devastatrice, «desolazione e abbandono»: troviamo, ad esempio, l'edificio in cui riparano i ladri dopo la fuga dal nascondiglio iniziale (una dimora nobiliare, prima di diventare covo); la zona, e il capannone industriale dismesso, in cui Monks incontra i coniugi Bumble per farsi consegnare e distruggere le prove dell'identità di Oliver (cap. XXXVIII); o Jacob 's Island (cap. L) teatro della morte di Sikes.

    Questo spazio in movimento ci immette in un tempo corrispondente: un tempo storicamente preciso, datato e attuale (Dickens ha perfino legami di parentela con Walter Scott, iniziatore del romanzo storico) che è però, soprattutto, un tempo di trasformazione continua, della società e delle leggi che la regolano, dei modi di vita e dei bisogni. Così, se la Poor Law rimanda a un recente ordine preesistente, quando la parrocchia si occupava più umanamente di povertà, disoccupazione ed emarginazione, essa sottintende anche la necessità di un futuro in cui si ponga rimedio alle ipocrisie e alla inumanità di questo sistema - frutto tipico del cosiddetto compromesso vittoriano - violentemente denunciate in queste pagine. In ciò, anche, è la dimensione tipicamente moderna di Oliver Twist.

    Secondo criteri estetici a noi più vicini, è consuetudine scorgere limiti nella caratterizzazione dickensiana in termini di sviluppo psicologico del personaggio. In questa ottica diversi personaggi in Oliver Twist risulterebbero piatti, non a tutto tondo (secondo la distinzione di E.M. Forster in Aspects of the Novel). Ma è più utile ammettere che il genere romanzo consente diversi modi di caratterizzare. Oliver, ad esempio, è per alcuni aspetti piuttosto evanescente, conservando inalterata la sua natura incorrotta dall'inizio alla fine e reagendo relativamente poco con l'ambiente: è soprattutto il filo che tiene insieme i diversi episodi narrativi. Eppure, impone una prospettiva di giudizio straniata sulla società, criticamente efficace proprio perché ingenua e radicale allo stesso tempo. Oliver è poi una sorta di allegoria, è un principio di Innocenza e di Bene: rappresenta la possibilità del riscatto per una società, e forse per una Storia, che il romanzo ci fa scorgere quasi caduti. E infatti persino per il criminale Fagin, al quale sembra preclusa ogni possibilità di allontanarsi dalla sua vita malvagia, Oliver costituisce qualcosa di troppo sacro perché egli, vedendolo addormentato, non differisca l'esecuzione del suo disegno corruttore su di lui (cap. XIX); o perché non lo senta come ultima, allucinata speranza di scampare all'impiccagione. In tal senso, Dickens rende umanamente credibile questo personaggio, accreditandolo d'una pur minima capacità di ravvedimento: quasi nel momento stesso in cui fa riconoscere a Fagin che proprio Oliver è stato causa di tutta la rovina della banda, fa che proprio a lui egli si aggrappi per uscire dalla prigione, e solo a lui confessi una parte del male commesso rivelandogli il nascondiglio che prova la sua identità e i suoi autentici natali.

    Dei personaggi che si legano ai suoi primi anni, Bumble e Mrs Mann sono quelli più memorabili. Da singoli , il primo è identificato con le proprie insegne di Custode parrocchiale, nel ruolo sociale e di potere sul mondo chiuso dell'ospizio; la seconda è esempio della grettezza nella ricerca del profitto, esperta di come ridurre al minimo la dieta dei bambini dell'asilo per massimizzare il proprio guadagno. Sono esempi di come il personaggio è tanto più memorabile quanto più è semplice, osservato sempre dall' esterno e sempre uguale a se stesso. Dickens tuttavia ha suoi peculiari modi per approfondire la caratterizzazione, e per presentare i suoi personaggi non come figurine ritagliabili isolatamente ma come soggetti dialettizzati. Ecco quindi, pur nella fondamentale staticità del carattere dei personaggi, l'importanza assegnata ai momenti di crisi e di profonda trasformazione. Si veda, ad esempio, il fidanzamento di queste due anime gemelle, in coincidenza del quale Bumble, lasciato solo in casa Mann, si mette a perquisire ed esaminare minuziosamente tutte le proprietà della vedova pregustandone l'imminente possesso, e poi compie un solitario balletto che ne esprime tutta la sterile, ineffabile felicità (cap. XXVII). Un secondo momento di crisi è quando si decide della gerarchia, della dominanza e sottomissione nel rapporto matrimoniale: la scena è costruita sulla netta percezione che quello, e non altri, è il momento decisivo per tutto il futuro dei loro rapporti. Mrs Bumble ne è perfettamente consapevole; e fa ricorso a tutte le sue risorse per capovolgere una situazione che la vede sconfitta finché fa assegnamento sulle lacrime. Fin lì, infatti, Bumble la incoraggia piuttosto, raccomandandole il pianto perché: «Dilata i polmoni, idrata l'incarnato, spurga gli occhi, e molcisce il carattere, [...] Perciò, piangete pure (cap. XXXVII). Ma da questo ammonimento la ex vedova capisce di doversi volgere alla più aggressiva, e vincente, strategia di riserva (cap. XXXVII). Un terzo, nel ripudio di Bumble; un quarto, e ultimo, quando reclusi nell'ospizio, egli non sa ormai gioire nemmeno nell'essere separato da lei.

    Bumble e Mrs Mann sono una prima, fondamentale illustrazione del principio che un uomo o una donna non sono mai conosciuti a pieno se non se ne conosce la loro metà . Sono inoltre la fondamentale illustrazione di un interesse per la coppia in quanto micro-struttura sociale. All'interno di questa e altre coppie si vedono infatti all'opera avidità, sopraffazioni, angherie e rivalse sul più debole che caratterizzano anche la società nel suo complesso. Un 'altra coppia, più giovane ma non dissimile dalla prima nel suo antiromanticismo, è quella formata dal garzone di bottega Noah Claypole e dalla cameriera Charlotte; di nuovo, l'attaccamento tra i due risponde a tutt'altro che a sentimenti amorosi: Noah che, in quanto povero della parrocchia, subisce come Oliver le angherie del mondo, col matrimonio si trasforma, e trova nel rapporto di coppia la possibilità di rivalsa che ha vanamente cercata anche nei confronti di Oliver. Charlotte trova nel rapporto una soddisfazione alla sua dominante masochistica, espressa inizialmente con la soddisfazione vicaria che prova nutrendo e ingozzando Noah (le ostriche denunciano chiaramente anche la vittoriana equivalenza sessuale), e poi col pesante fardello che è costretta a portare invece del marito nella loro fuga a Londra. Nella metropoli, infine, le forme dello sfruttamento e dell'abuso della moglie da parte di Noah raggiungono il picco di malvagità e perversione. Sia Bumble che Noah, all'occasione, sono pronti a scaricare sulle consorti le proprie responsabilità maritali (amplificando il paradigma già accennato di inadeguato rapporto genitori-figli), per sfuggire alla punizione dei loro crimini.

    Diverso è il caso della coppia Sikes-Nancy. Pur nella sordidezza della loro vita, una passione autentica - se non proprio amore - è percepibile, e proprio per questo gli stessi personaggi sembrano uscire dalla prevalente staticità o convenzionalità della caratterizzazione per assumere proporzioni umane. Nancy, in alcune scene messa teatralmente di fronte al suo contrappunto sociale e morale, la borghese e pura Rose, spiega plausibilmente le ragioni della fedeltà e passione per il furfante Sikes, e perché ella sia disposta a rifiutare la prospettiva di redenzione che Rose e Brownlow le offrono: è la stupenda, cupa scena notturna, sul London Bridge, e sulle scalinate che conducono al fiume. Cruciale, nel caso di Nancy, la crisi che l'innocenza di Oliver porta alla sua vita perduta (emerge, ad esempio, una dimensione di memoria sconosciuta ad altri, quando ella ricostruisce e rinfaccia a Fagin il modo in cui è stata trascinata e incatenata nella propria condizione fin da bambina), anche se tale molla di redenzione può portarla non a cambiare la propria vita, ma soltanto ad avvertirla conflittuale, e infine ad espiarla con la morte. Sikes non ha tentennamenti di questo tipo, né mai si volge al suo passato. La profondità psicologica nel personaggio emerge però nel momento in cui, saputo del tradimento di Nancy, le pur malvagie certezze della sua vita sono sconvolte, ed è travolto dal furore omicida. Con lui, proviamo l'orrore del suo ultimo crimine - mentre invece, rispetto ai precedenti, Sikes è sempre presentato privo di tentennamenti, ed emblema stesso della decisione e della coraggiosa irruenza. Seguiamo gli stati di allucinazione e di follia da esso prodotti, nel protrarsi della sua fuga e della caccia che gli viene data a Londra e nella campagna circostante, fino alla tremenda punizione che si procaccia da se stesso. Non è un caso se tali scene rimandano addirittura ad un modello shakespeariano: al Macbeth, per l'orrore e la follia che seguono all'assassinio, compresa l'allucinazione del sangue o degli onnipresenti occhi della vittima; e all'Othello, per come Sikes si lascia accecare da Fagin e indurre alla sua gelosia omicida; e non è un caso se queste scene, astratte dal loro contesto narrativo, diventino uno dei testi fondamentali nelle letture pubbliche in cui Dickens si produce nell'ultima parte della sua carriera, e abbiano un intenso effetto drammatico: se dal lato del pubblico si registravano persino svenimenti, da parte di Dickens il coinvolgimento negli spettacoli di lettura era tale da avere conseguenze deleterie su una salute già compromessa; sicché, sembra, esse hanno contribuito ad anticiparne la morte.

    Il cane di Sikes acquista dimensione di personaggio a sé stante, a testimonianza della capacità di Dickens di cogliere e stabilire una contiguità tra mondo umano e animale. La discriminante linguistica tra uomo e animale viene così eliminata, e Occhiodibove può esprimersi allo stesso modo degli altri personaggi; può intuire, e intendere, più chiaramente di loro (si pensi ancora una volta a Hard Times, alla stupenda creazione del cane Zampeallegre). Viceversa, Sikes metamorfizza spesso l'aspetto e il comportamento della bestia, come quando, inseguito da altri cani, vorrebbe avere il tempo di trovarsi in mezzo a loro, per sbranarli. Dato questo simultaneo avvicinamento, perciò, anche tra cane e padrone si dà una sorta di passionale, tragico amore, che fa da contrappunto al rapporto Sikes-Nancy. Sikes tenta infine di ucciderlo perché pensa che potrebbe, seppure involontariamente, tradirlo. Ma Occhiodibove, a differenza di Nancy, si sottrae all'uccisione e diviene effettivamente agente della cattura di Sikes; il quale incontra, per contrappasso, una morte simile a quella che voleva riservare all'animale, una sorta di impiccagione e di annegamento insieme - e il parallelismo è sottolineato dal successivo suicidio dell'animale.

    Fagin (ispirato all'allora celebre ebreo e ladro Ikey Solomon) è un'altra, straordinaria creatura del romanzo, nei suoi tratti persino paradossali di pusillanime genio del male e di capo di una banda la cui principale attività sembra quella di rubare fazzoletti. Da un lato, le colpe virtuali di cui è disposto a macchiarsi (la soddisfazione di sapere che i suoi complici sono stati giustiziati e non possono più chiedere bottino da spartire né essere delatori nei suoi confronti, il suo compiaciuto contemplare la possibilità di essere delatore e mandare cinicamente a morte i suoi complici) sono tali da far inorridire, e da far considerare ben meritata la tremenda punizione del patibolo che subisce, e parzialmente nel giusto la critica lo ha inteso come una sorta di incarnazione diabolica; dall'altro, nei crimini in cui lo vediamo impegnato in diretta , e 'è una sorta di innocenza infantile-senile, che denuncia forse, anche nei suoi confronti, l'irresponsabilità della società nel suo complesso. Questo si intuisce in altri lati paradossali, giacché da un lato egli è per Oliver il cattivo padre, dal momento che vuole corromperlo e irretirlo nel crimine; dall'altro però, lo accoglie in una sorta di comunità, le cui regole di solidarietà sono ironicamente illustrate nel successivo adescamento di Noah Claypole. Due illustrazioni di Phiz - evidentemente collegate, centrate sul motivo del cibo - sottolineano questo secondo aspetto di Fagin: alla prima, in cui Oliver, in nome di tutti gli affamati ragazzi dell'ospizio, chiede un'altra scodella di brodaglia, provocando un'onda di reazione inorridita in tutto l'establishment, corrisponde una seconda, che mostra Fagin con le braccia aperte, il sorriso-ghigno e le salsicce liberalmente offerte a Oliver, allorché Dodger lo conduce per la prima volta nel covo dei ladri.

    Non è forse un caso se con Fagin vediamo Oliver ridere per la prima volta in vita sua. Accade quando Fagin e gli altri ragazzi, per istruire Oliver su come rubare fazzoletti, simulano la situazione del furto e si producono in una sorta di teatro satirico, uno spettacolo muto a beneficio di Oliver e loro proprio, in cui appare ridicolizzato il prototipo dell'uomo borghese; per i ladri - per questo negletto e rimosso sottobosco sociale - è l'unica rivalsa per la condizione di ingiustizia subita, e a nome di Dickens trasmettono questo sentimento al lettore. Prima che il senso morale prevalga, prima che la nostra attenzione sia indirizzata alla bontà, alla rettitudine, all'agio e alla tranquillità del borghese Brownlow, il romanzo lo presenta quasi esattamente negli stessi termini in cui, in astratto, lo ha già impersonato Fagin. L'illustrazione di Phiz, nella scena in cui Brownlow subisce il furto da parte di Dodger e Bates, lo coglie fermo alla bancarella di libri, perso nella lettura e cieco alla realtà che gli è intorno; coglie benissimo questo sottile battesimo di ridicolo per il Deus ex machina di tutto l'intreccio. In questi termini il romanzo rivela un palinsesto critico perfino rispetto a quella borghesia filantropa e illuminata che impone infine il suo ordine a conclusione del romanzo e si riappropria di Oliver.

    Vale la pena perciò sottolineare ancora la qualità teatrale della narrativa dickensiana, da un lato per raccoglierne la grande capacità di caratterizzare attraverso il linguaggio (si noti ad esempio il gioco comico del contrasto tra un codice di inglese standard e il gergo della malavita, su cui Dickens è accuratamente documentato) o, ugualmente importante, il gesto; dall'altro, per raccogliere la chiave critico-satirica cui si accennava in rapporto a Fagin, in diverse altre scene : la pantomima e il balletto di Bumble; il travestimento di Nancy da virtuosa sorella di Oliver quando si reca alla stazione di polizia per averne notizie; la sua scena quando, insieme a Sikes, incontra casualmente Oliver per strada; i tanti travestimenti di Noah Claypole (si finge vittima quando è sconfitto dall'indignazione e dalla rabbia del piccolo Oliver; si finge Morris Bolter per ingannare Fagin; si traveste per pedinare Nancy, o per avere notizie di Dodger). Persino l'aula di tribunale è interpretata come teatro tragico nel processo di Fagin; o trasformata in teatro comico nel caso del processo di Dodger, quando la esilarante esibizione di questo, oltre a costituirsi in sottile accusa contro l'apparato di giustizia scimmiottandone le forme, guadagna definitivamente a lui la nostra simpatia di lettori, simile a quella che suscitò nei lettori vittoriani i quali - veri e propri soggetti di un rapporto interattivo con l'autore - poterono ancora chiedere dipiù, ansiosi che la condanna in tribunale non coincidesse con la fine narrativa del personaggio.

    E teatrale è Monks sebbene in un senso ancora diverso: è uno dei personaggi da puro melodramma presenti in questo romanzo, nel quale anche il dosaggio di alternanza tra comico e tragico è consapevolmente difeso da Dickens sia in termini melodrammatici sia di aderenza al reale, come può leggersi in apertura del capitolo XVII: «È consuetudine del teatro, in tutti i buoni melodrammi con tanto di assassini, presentare scene tragiche e comiche in regolare alternanza, come gli strati bianchi e rossi in un pezzo di pancetta magra ben stagionata».

    Monks è il villain spregevole, il medievale Vice. È il cattivo senza compromessi, fratellastro e alter ego morale di Oliver, che trama nel buio (tanta parte del romanzo si svolge di notte, o in cupi ambienti chiusi, come il Macbeth: si veda ad esempio l'episodio da puro gotico, sebbene ambientato nelle rovine non di un castello ma di un edificio industriale, di quando incontra i coniugi Bumble per disfarsi delle prove dell'identità di Oliver, con tanto di botola e di baratro sui gorghi di un fiume); è una creatura così stilizzata nel segno del male, che questo erompe in maschera, sul viso, in una serie di segni corporei e nelle crisi epilettiche di cui è vittima. A Monks fa capo tutto il lato tenebroso legato alla ricca famiglia a cui il padre di Oliver è stato sacrificato in un matrimonio di interesse: a lui fa capo il lato più implausibile della trama di Oliver Twist quale possiamo seguire nella complicata ricostruzione che ne dà Brownlow in due distinti capitoli (XLIX e LI). Emergono in essi i dolorosi intrecci conseguenti a relazioni matrimoniali sbagliate - sicché si amplia il paradigma della disarmonia dei vari nuclei familiari, specchio della disarmonia dell'organismo sociale più ampio. Ciò che domina la complicata ricostruzione, e che ne costituisce l'aspetto più chiaro, è che il denaro si conferma la forza motrice di tutto, benché appaia nella forma arcaicizzante di ricchezza patrimoniale, trasmessa, aggregata o divisa, attraverso matrimoni e testamenti.

    Nei capitoli conclusivi un'altra cifra dell'Oliver Twist emerge, ancora sull'ampio sfondo paradigmatico di relazioni distorte. È il romanzo d'amore tra Rose e Harry Maylie che, nell'unione matrimoniale in cui sfocia, sembra riscattare tutti gli altri fallimenti. Ciò è tanto più vero in quanto è minacciato dalle stesse disparità di classe che hanno prodotto disastri nel passato familiare di Oliver. In tal senso la vera forza equilibratrice è quella di Rose (Dickens idealizza in lei la profondamente amata sorella della moglie, prematuramente morta all'età di tredici anni), contro l'irruenza giovanile di Harry che vorrebbe sposarla a dispetto dell'oscurità di nascita di lei. È Rose che, pur di non pregiudicarne le aspettative sociali, rifiuta l'amore del giovane; è lei che, per poter ricambiare quell'amore, attende il pieno disvelamento di una colpa sì non sua, ma consapevolmente accettata come peccato originale; è lei che implicitamente guida Harry a mutare le sue aspettative e la sua collocazione di classe, sicché il giovane, in un anno di apprendistato, rinuncia ad un percorso di ambizione sociale per assumere un ruolo di umile servizio nella società. In tal senso, alla trama amorosa, si associa la formazione, la Bildung dei protagonisti. Harry deve disilludersi dalla presunzione, classista e sessista insieme, di poter cancellare il passato e la collocazione sociale di Rose semplicemente collocandola nella sua orbita; Rose si mortifica in una dolorosa rinuncia per non pregiudicare la possibilità di un rapporto non contaminato da sospetti di interesse.

    Non solo altri matrimoni, ma la società intera, paiono trovare riscatto in questa unione. Attorno ai due giovani si costruisce infatti un nucleo sociale più ampio che raduna la fascia signorile e di media borghesia del romanzo: Oliver, Brownlow, Grimwig, Losberne, May lie e relativi entourage domestici. L'armonia assoluta di questa società paga però un alto prezzo di credibilità nel suo collocarsi quasi fuori dal mondo, nel non intaccare minimamente il disordine di quanto è al di fuori dei suoi angusti confini. Diviene evidente allora anche la struttura spaziale di Oliver Twist, coincidente con le tre grandi partizioni del romanzo: il prologo in una provincia anonima e tipizzata; l'ampio corpo centrale occupato da Londra in tutte le sue ramificazioni periferiche; e infine il ritorno alla provincia, nella sua duplice accezione. C'è infatti da un lato il ritorno circolare al luogo natio di Oliver, compreso il viaggio che egli compie a ritroso rispetto al suo percorso di fuga; dall'altro, il ritorno ad una provincia, anonima come la precedente, che si costituisce come luogo del rinnovamento, in opposizione tanto alla metropoli quanto al mondo della workhouse. È questo il luogo dell'idillio, dove una nuova micro-società può vivere e prosperare in armonia, ripulita del crimine ed emendata di colpe, ma definitivamente separata dal resto del mondo, espressione di quella visione manichea della realtà che da molti è stata riconosciuta nello scrittore vittoriano. È un luogo che corrisponde all'isolamento del celibe Brownlow, il quale, in conclusione, tira le fila della trama romanzesca, giudice supremo di una giustizia a tratti complementare, a tratti significativamente distinta, da quella esercitata in nome del meccanico ordine statuale.

    MARIO MARTINO

    ¹ Per quanto riguarda il testo del romanzo abbiamo la prima versione apparsa settimanalmente sulla «Bentley's Miscellany» (2/37-4/39) pubblicata anche in tre volumi nel novembre del 1838; una seconda edizione è del '39; una terza edizione rivista è del 1846, pubblicata sia in dieci fascicoli mensili che in volume unico. La presente traduzione fa riferimento al testo del 1846 (a cura di Fred Kaplan, New York, Norton, 1993).

    Capitolo I. Tratta di dove nacque Oliver Twist e delle circostanze relative alla sua nascita

    Tra gli altri edifici pubblici di una certa cittadina, che per diverse ragioni sarà per me prudente astenermi dal menzionare e alla quale neanche assegnerò un nome fittizio, ve n'è uno familiare un tempo alla maggior parte delle città, grandi o piccole che fossero, e cioè un ospizio di mendicità. E in questo ospizio, in un certo giorno, mese e anno che non devo darmi pena di precisare, giacché il conoscerli non potrà riuscire di alcuna utilità al lettore - per lo meno allo stato attuale delle cose - nacque l'articolo di mortalità il cui nome compare nel titolo di questo capitolo.

    Per parecchio tempo, dopo che fu introdotto in questo mondo di dolore e sofferenza dal medico della parrocchia, si dubitò fortemente che il bambino sarebbe sopravvissuto per portare un nome qualsiasi; nel qual caso, è più che probabile che queste memorie non avrebbero mai visto la luce; o che, vedendola, e ridotte a poche pagine soltanto, avrebbero avuto l'inestimabile pregio di essere l'esempio di biografia più fedele e concisa nella letteratura di ogni età o paese.

    Sebbene io non intenda affatto sostenere che nascere in un ospizio costituisca di per sé la più fortunata e invidiabile circostanza che possa capitare ad un essere umano, affermo però che in questa particolare circostanza nulla di meglio sarebbe potuto capitare al giovane Oliver Twist. Fatto si è che vi furono notevoli difficoltà nell'indurre Oliver ad assumersi in prima persona l'incarico di respirare - gravoso esercizio, certo, ma che l'abitudine ha reso necessario al conforto della nostra esistenza - e per qualche tempo egli giacque annaspando su di un materasso di stracci, pericolosamente in bilico tra questo mondo e quell'altro, ma con la bilancia che pendeva decisamente verso il secondo. Ora, se in questo lasso di tempo Oliver fosse stato circondato da nonne premurose, da zie solerti, da infermiere esperte, e da dottori di profonda saggezza, senza dubbio alcuno ci avrebbe lasciato le penne in men che non si dica. Ma altri non trovandosi nei paraggi se non una povera vecchia, intontita da un'insolita dose di birra e, per dovere d'uffico, il medico della parrocchia, Oliver e la Natura sistemarono la questione tra loro due e il risultato fu che Oliver, dopo alcuni tentativi, respirò e starnutì, e passò poi a rendere edotti quelli dell'ospizio della circostanza che un nuovo fardello veniva a gravare sulla parrocchia col cacciare uno strillo così acuto quale mai ci si sarebbe ragionevolmente potuti attendere da un bambino di sesso maschile, dotato di quell'utilissimo attributo che è la voce da non più di tre minuti e un quarto.

    Mentre Oliver dava questa prima prova del libero e spontaneo funzionamento dei propri polmoni, la coperta rappezzata gettata negligentemente sul letto di ferro si smosse, il pallido viso d'una giovane si sollevò debolmente dal cuscino e una voce estenuata articolò imperfettamente le parole: «Lasciatemi vedere il bambino e poi morire».

    Il medico, che era rimasto seduto rivolto al fuoco e a turno si scaldava e fregava le mani, alle parole della giovane s'alzò e avvicinandosi a capo del letto disse, con più gentilezza di quanta ci si sarebbe potuta attendere da lui:

    «Oh! Non dovete parlare di morte, adesso».

    «Che Dio la benedica, no!», interloquì la vecchia infermiera, riponendo frettolosamente in tasca una bottiglia di vetro verde, del cui contenuto aveva gustato con evidente soddisfazione, in un angolo. «Che Dio la benedica, quando avrà campato come me, signore, e avrà avuto tredici figli - tutti morti tranne due, che sono rimasti con me nell'ospizio - non vedrà le cose allo stesso modo, che Dio la benedica! Pensa soltanto a cosa significa essere madre, agnellino mio!».

    Ma evidentemente questa consolante prospettiva sul suo futuro di madre non produsse l'effetto sperato. L'inferma scosse la testa e protese la mano verso il bambino.

    Il medico glielo pose in braccio. Appassionatamente, lei impresse le sue labbra fredde e bianche sulla fronte della creatura, si passò le mani sul volto, girò intorno uno sguardo angosciato, rabbrividì, ricadde giù e mori. Le massaggiarono il petto, le mani e le tempie; ma il suo sangue aveva cessato di fluire per sempre. Le mormorarono parole di consolazione e speranza, ma troppo a lungo le erano rimaste estranee.

    «Non c'è più niente da fare, signora Thingummy!», disse infine il medico.

    «Ah, povera cara. Non c'è più niente da fare!», assentì la vecchia infermiera, raccogliendo il tappo della bottiglia verde che le era caduto sul cuscino quando s'era chinata per riprendere il bambino. «Povero piccino!».

    «Non c'è bisogno che mi mandiate a chiamare se il bambino strilla, infermiera», disse il medico infilandosi con cura i guanti. «Darà un bel po' di fastidi, con tutta probabilità. In tal caso, dategli un po' di farinata». Indossò il cappello, e fermatosi accanto al letto mentre si avviava alla porta aggiunse: «Era anche una bella ragazza! Da dove veniva?»

    «L'hanno portata qui la notte passata per ordine del sorvegliante», rispose la vecchia. «È stata trovata stesa per strada. Doveva aver camminato parecchio, dato che le sue scarpe erano tutte rotte e logore, ma da dove veniva o dove andava, nessuno lo sa».

    Il medico si chinò sul corpo e sollevò il braccio sinistro. «La vecchia storia», disse scuotendo la testa: «niente fede al dito, a quanto vedo. Ah! Buona notte!».

    Il signor dottore se ne andò alla sua cena, e la vecchia, tirato qualche altro sorso dalla bottiglia verde, sedette su una seggiolina accanto al fuoco e procedette alla vestizione del bimbo.

    E che stupendo esempio della potenza dell'abito era il piccolo Oliver Twist! Avvolto nella coperta che fino ad allora aveva costituito il suo unico indumento, sarebbe potuto essere tanto il figlio di signori altolocati quanto di pezzenti, e anche il più arrogante, vedendolo per la prima volta, avrebbe avuto difficoltà ad attribuirgli un posto nella società. Ma ora, avvolto in una tela di cotone leggero, diventata gialla per quell'uso ripetuto, egli era etichettato e marchiato, ed era immediatamente collocato al suo posto: un poverello in carico alla parrocchia, un orfano per l'ospizio - l'umile e denutrito essere da fatica - spinto nel mondo a suon di ceffoni e sberle, da tutti disprezzato e da nessuno compatito.

    Oliver strillava a pieni polmoni. E se avesse saputo di essere un orfano, lasciato alle tenere cure dei custodi e dei sorveglianti della parrocchia, avrebbe forse strillato ancor più forte.

    Capitolo II. Tratta della crescita di Oliver Twist, della sua educazione, e di dove è alloggiato

    Per gli otto o dieci mesi seguenti Oliver fu vittima di una sistematica frode e inganno. Gli veniva dato pane e acqua. Le autorità dell'ospizio comunicarono puntualmente alle autorità parrocchiali la condizione di denutrizione e di abbandono dell'orfanello. Le autorità parrocchiali chiesero dignitosamente alle autorità dell'ospizio se in quella casa non si trovasse una qualche donna in grado di somministrare a Oliver Twist il conforto e il nutrimento di cui aveva bisogno. Le autorità dell'ospizio risposero umilmente che non c'era. Al che, le autorità parrocchiali, nella loro magnanimità e umanità, stabilirono che Oliver dovesse andare in grangia, cioè, in altri termini, che lo si dovesse spedire in una sorta di asilo, a circa tre miglia di distanza, dove una ventina o trentina di giovani trasgressori della legge sui poveri si rotolavano per terra tutto il giorno, senza il gravame di troppo cibo o troppi indumenti, sotto la materna supervisione di un'anziana donna, disposta ad accogliere i trasgressori per un compenso in ragione di sette pence e mezzo a testa, a settimana. L'equivalente di sette pence e mezzo sarebbe pur sempre una bella dieta per un bambino; con quella cifra si potrebbero comprare un sacco di cose, da sovraccaricargli e imbarazzargli lo stomaco. L'anziana donna era persona saggia e d'esperienza; sapeva cosa andava bene per i bambini e aveva una nozione molto precisa di cosa andava bene per lei, sì che ella incamerava la maggior parte della dotazione settimanale per il proprio uso e consumo, lasciando alla gioventù della parrocchia in crescita una dotazione ancora più scarsa di quella ad essa assegnata in origine. Trovava in tal modo, in un già profondo abisso di miseria, un abisso ancora più fondo, e dimostrava con ciò una profonda filosofia sperimentale.

    Tutti conoscono la storia di quell'altro filosofo pratico il quale elaborò la teoria che un cavallo potesse vivere anche senza mangiare, e tanto bene la mise in pratica da giungere a nutrirlo con un solo filo di fieno al giorno e l'avrebbe reso senza alcun dubbio un animale di focosi spiriti non dandogli niente affatto, se quello non fosse morto anzitempo non più di ventiquattr'ore prima di ricevere la sua prima buona razione di aria fresca. Purtroppo per la filosofia sperimentale della donna alle cui sollecite cure era stato consegnato Oliver Twist, l'applicazione del di lei sistema sortiva di solito un simile effetto, giacché proprio quando si riusciva a fare in modo che un bambino si sostenesse con una ridottissima razione d'un cibo già di per sé quasi privo di sostanza, in otto casi e mezzo su dieci si dava il caso perverso che o quel bambino si ammalasse per gli stenti e il freddo, o cadesse nel fuoco per disattenzione o, per un incidente qualsiasi, restasse pressoché soffocato. In ciascuno di questi casi il piccolo infelice veniva di solito chiamato all'altro mondo, dove si riuniva a quei padri che non gli era stato dato di conoscere in questo.

    Ogni tanto, quando si apriva una inchiesta più interessante del solito su un bambino della parrocchia negligentemente fatto ruzzolare a terra nel rifare un letto, o inavvertitamente ustionato a morte quando capitava che si facesse il bucato (incidente rarissimo, questo, poiché raramente si faceva qualcosa che assomigliasse a un bucato nell'asilo), la giuria si piccava di porre domande imbarazzanti, oppure i parrocchiani esagitati apponevano la loro firma in calce a documenti di protesta. Impertinenze del genere, però, venivano facilmente neutralizzate dalle testimonianze del medico e del custode: il primo aveva immancabilmente aperto il cadavere senza trovarvi nulla (cosa, in effetti, probabilissima) e il secondo giurava immancabilmente qualsiasi cosa la parrocchia volesse, con assoluta devozione. La Direzione, inoltre, si recava in periodici pellegrinaggi all'asilo mandando sempre il custode il giorno innanzi per avvisare della visita. Quando arrivava, quindi, i bambini erano puliti e lindi; e cos'altro si pretendeva di più!

    Non ci si può attendere, naturalmente, che questo sistema di asilo dia frutti copiosi e belli. Il giorno del nono compleanno vide un Oliver Twist pallido e smagrito, di statura piuttosto bassa e decisamente scarso di circonferenza. Ma la natura o i caratteri ereditari avevano impiantato in petto a Oliver uno spirito saldo. Questo godeva di ampio spazio per espandersi grazie alla dieta risicata osservata tra quelle mura; e a tale circostanza si deve forse che Oliver fosse giunto a quel compleanno. Comunque, sia come sia, ricorreva il suo nono compleanno, ed egli lo festeggiava nel deposito del carbone, nella scelta compagnia di due altri ragazzi i quali, dopo aver con lui condiviso una buona dose di legnate, erano stati rinchiusi là dentro per aver manifestato una fame incontenibile. Fu in tali frangenti che la signora Mann, la buona sovrintendente di quella casa, trasalì per l'improvvisa apparizione del signor Bumble, il custode, che scuoteva il cancelletto del giardino per aprirlo.

    «Bontà divina! Siete voi, signor Bumble?», disse la signora Mann affacciandosi dalla finestra con ben simulata estasi di gioia. «(Presto, Susan, porta Oliver e quegli altri due monelli di sopra e lavali). Cuor mio diletto! Signor Bumble, come sono felice di vedervi, davvero!».

    Ma il signor Bumble era grasso e collerico; sì che, invece di rispondere a quel caldo saluto in eguale spirito, strattonò con violenza il cancelletto e vi assestò poi un tale calcio quale soltanto la gamba di un custode avrebbe potuto sferrare.

    «Oh Signore! E dire», esclamò la signora Mann precipitandosi fuori, dato che nel frattempo i tre ragazzi erano stati portati via, «e dire che mi sono completamente dimenticata che il cancelletto era chiuso dall'interno a cagione dei nostri cari ragazzi! Entrate, signore; entrate, vi prego, signor Bumble!».

    Ma sebbene l'invito fosse accompagnato da una riverenza che avrebbe potuto intenerire il cuore di un sagrestano, nulla potè per intenerire il custode.

    «Dite, signora Mann», domandò il signor Bumble stringendo il suo bastone, «vi pare condotta rispettosa o adeguata quella di far attendere al vostro cancelletto i funzionari parrocchiali che vengono in veste ufficiale, riguardo agli orfani della parrocchia? Vi rendete conto, signora Mann, d'essere voi stessa dipendente, se così posso esprimermi, e salariata della parrocchia?»

    «V'assicuro, signor Bumble! Stavo solo dicendo a uno o due di quei cari ragazzi a voi tanto affezionati che stavate venendo proprio voi», replicò la signora Mann con grande umiltà.

    Il signor Bumble aveva un alto concetto delle sue abilità oratorie e della sua importanza, e avendo profuso le prime e ribadito la seconda, s'addolcì.

    «Bene, bene, signora Mann», replicò in tono più calmo; «sarà come dite voi; sarà come dite voi. Fate strada, signora Mann, perché vengo in veste ufficiale, e ho qualcosa da dirvi».

    La signora Mann condusse il custode in un salottino col pavimento in mattoni, gli sistemò una sedia e con ogni premura depose il cappello a tricorno e il bastone su un tavolo innanzi a lui. Il signor Bumble si deterse il sudore della lunga camminata dalla fronte, rimirò compiaciuto il cappello e sorrise. Sorrise, sì. Dopo tutto, anche le guardie sono uomini: e il signor Bumble sorrise.

    «Ora, non ve la prendete per ciò che sto per dirvi», osservò la signora Mann con affabile dolcezza. «Avete fatto una camminata piuttosto lunga, altrimenti neanche mi permetterei: non gradireste un goccetto di cordiale, signor Bumble?»

    «Neanche un goccio; neanche un goccio», rispose il signor Bumble con un ampio movimento dignitoso e placido della mano destra.

    «Ma certo che gradite», ribatté la signora Mann, che aveva percepito sia il tono del rifiuto sia il peculiare gesto che l'aveva accompagnato. «Giusto un goccetto, con un poco d'acqua fredda e una zolletta di zucchero».

    Il signor Bumble tossì.

    «Su, solo un goccetto», ripetè persuasiva la signora Mann.

    «Che cos'è?», chiese il custode.

    «Ecco, mi tocca tenerne un po' in casa per poterlo aggiungere alla medicina dei bambini quando stanno poco bene, signor Bumble», replicò la signora Mann aprendo lo stipo d'angolo e prendendone una bottiglia e un bicchiere. «È gin. Non voglio mentirvi, signor Bumble. È gin».

    «E ai bambini date questa medicina, signora Mann?», chiese Bumble seguendo con occhi interessati la preparazione della miscela.

    «Ah, benedetti loro! Gliela do, anche se costa caro», ribatté la direttrice. «Sapete, signore; non ho cuore di vedermeli soffrire davanti agli occhi».

    «No», disse il signor Bumble assentendo; «no, non avete cuore. Siete una persona umana, signora Mann (al che ella posa il bicchiere). Alla prima occasione ne accennerò alla Direzione, signora Mann (lui lo avvicina). Il vostro sentimento è quello di una madre, signora Mann (mescola il gin con l'acqua). Bevo lietamente alla vostra salute, signora Mann» e ne ingolla d'un fiato mezzo bicchiere.

    «E ora veniamo agli affari», disse il custode estraendo un taccuino di pelle. «Oliver Twist, il bambino battezzato a mezzo¹, oggi fa nove anni».

    «Dio lo benedica!», interloquì la signora Mann fregando con vigore l'occhio sinistro con un lembo del suo grembiule.

    «Non è bastato offrire una ricompensa di dieci sterline, poi elevata a venti sterline; e a dispetto degli sforzi superlativi e, se così posso dire, soprannaturali, da parte di questa parrocchia», disse Bumble, «non siamo riusciti a scoprire né chi fosse il padre, né dove vivesse la madre, né come si chiamasse, né di qual condizione fosse».

    La signora Mann alzò le mani come stupefatta; ma dopo un attimo di riflessione aggiunse: «E allora com'è che ha un nome?».

    Il custode, tutto impettito, affermò orgogliosamente: «L'ho inventato io».

    «Voi, signor Bumble?»

    «Io, signora Mann. Ai nostri trovatelli diamo un nome seguendo l'ordine alfabetico. L'ultimo era una S - e lo nominai Swubble. Questo era una T- e lo nominai Twist. Il prossimo che viene sarà Unwin, e il prossimo ancora Vilkins. Ci ho nomi beli'e pronti fino alla fine dell'alfabeto e poi anche per ricominciare daccapo quando arriviamo alla Z».

    «Dico, siete un vero poeta, signore!», fece la signora Mann.

    «Beh, beh!», esclamò il custode evidentemente lusingato dal complimento. «Forse, forse, signora Mann». Finì il gin con acqua e aggiunse: «Poiché ora Oliver è troppo vecchio per restare qui, la Direzione ha deciso di rimandarlo nell'ospizio. Sono venuto io stesso per portarcelo, e perciò fatelo venire qui immediatamente».

    «Vado subito a prenderlo», disse la signora Mann uscendo perciò dalla stanza. È Oliver, che ormai era stato disincrostato dello strato più superficiale di sporcizia che gli copriva il viso e le mani - per quanto ciò fosse possibile con un solo lavaggio - fu condotto nella stanza dalla sua benevola protettrice.

    «Fa' un inchino al signore, Oliver», fece la signora Mann.

    Oliver fece un inchino, all'indirizzo tanto del signor Bumble solennemente seduto quanto del tricorno sul tavolo.

    «Vuoi venire via con me, Oliver?», disse il signor

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