Una segretaria a Natale: Harmony Jolly
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Quanto amo il Natale! Stare a casa, con i propri cari a scartare regali e a rilassarsi tutti insieme. Chloe Meadows non fa in tempo a formulare questo pensiero che le arriva una telefonata direttamente dal suo capo, Zac Corrigan. Deve prenotare immediatamente due biglietti aerei per Londra, bloccare due camere in un hotel in Oxford Street e preparare immediatamente i bagagli. Chloe crede di non sentirsi troppo bene: lei e il suo affascinante capo da soli su un aereo per un volo transoceanico direzione Londra? Che qualcuno mi dica che è uno scherzo.
Barbara Hannay
Vive nel Queensland. Dopo anni d'insegnamento, ha deciso di coltivare la sua passione: scrivere.
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Anteprima del libro
Una segretaria a Natale - Barbara Hannay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Very Special Holiday Gift
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2014 Barbara Hannay
Traduzione di Alessandra Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-816-3
1
La telefonata che cambiò la vita di Chloe Meadows giunse mentre lei era in punta di piedi su una sedia sistemata su una scrivania, nel coraggioso tentativo di appendere al soffitto una ghirlanda di luci natalizie.
Era tardi, quasi le nove di sera, e il suono improvviso nel silenzio dell’ufficio fu così inaspettato che Chloe rischiò di cadere dal suo trespolo precario.
Goffamente scese dalla sedia e, un po’ a corto di fiato, rispose al telefono.
«ZedCee Management Consultants» si presentò, domandandosi chi potesse chiamare a quell’ora di un mercoledì sera.
Vi fu una lunga pausa, prima che la voce di un uomo con un profondo accento inglese parlasse. «Pronto? Chiamo da Londra. Posso parlare con il signor Zachary Corrigan?» domandò lo sconosciuto, con un tono zelante e di comando.
«Mi dispiace, il signor Corrigan non è in ufficio.» La ragazza riuscì educatamente a non ricordare a quell’uomo che, in Australia, l’orario di lavoro era passato da un pezzo e che il suo capo si trovava quasi certamente a qualche festa.
Era la settimana prima di Natale e quasi tutti si trovavano a qualche ricevimento. Tutti tranne Chloe, il cui unico evento sociale era la festa di Natale dell’ufficio. Era il terzo anno di fila che si era offerta volontaria per organizzarla. Aveva ordinato champagne, vino e birra, così come una selezione di deliziosi stuzzichini e finger-food. Era stata anche felice di rimanere fino a tarda sera per decorare l’ufficio con festoni e lucine, palloncini e ghirlande di agrifoglio.
Segretamente amava questo compito. Quando aveva ottenuto l’impiego alla ZedCee, era tornata a vivere in casa degli anziani genitori, per prendersi cura di loro, e loro non erano eccessivamente appassionati di decorazioni sgargianti, quindi questa era la sua occasione per trascorrere il Natale in modo un po’ divertente.
«Con chi sto parlando?» abbaiò l’uomo di Londra nel telefono.
«Sono l’assistente personale del signor Corrigan.» Chloe era abituata a trattare con i tipi prepotenti, che era solita contrastare con la sua calma tranquilla. «Mi chiamo Chloe Meadows.»
«Signorina Meadows, sono il sergente Davies della Metropolitan Police e sto telefonando dal Royal London Hospital. Temo si tratti di una questione urgente. Ho bisogno di parlare subito con il signor Corrigan.»
«Certo.» Immediatamente allarmata, Chloe perdonò al poliziotto la rudezza e prese carta e penna. «Mi metterò immediatamente in contatto con il signor Corrigan e gli dirò di richiamarla. Mi lasci un recapito telefonico.»
Terminata quella telefonata, con lo stomaco chiuso per la tensione, la ragazza chiamò il cellulare di Zac Corrigan.
La cerniera dell’abito nero di seta della giovane donna scivolò senza intoppi verso il basso e, aprendosi, il tessuto rivelò la schiena deliziosamente pallida. Zac Corrigan sorrise. Era graziosa. Un po’ brilla per il troppo champagne ma, per lo meno, erano riusciti a scappare dalla festa abbastanza presto e la ragazza era davvero gradevole.
Con tocco esperto Zac accarezzò la curva della spalla e lei ridacchiò. Maledizione. Perché lo champagne faceva ridacchiare le donne?
Eppure la sua pelle era morbida e calda e la sua figura squisita. Pur di ripetere la notte che avevano trascorso insieme durante il fine settimana, Zac era disposto a perdonarla per quella risatina.
Posò la mano ferma sulla spalla della ragazza e si avvicinò per posarle un bacio sul collo. Le labbra sfiorarono la pelle e lei ridacchiò di nuovo, ma aveva un profumo delizioso e Zac provò un acuto senso di anticipazione.
Il dolce momento fu rovinato dall’improvviso ronzio del suo cellulare e l’uomo imprecò tra i denti, guardando frustrato in direzione della poltrona dove aveva buttato il telefono insieme alla giacca e alla cravatta.
«Rispondo io!» esclamò la ragazza.
«No, non preoccuparti. Lascialo suonare.»
Troppo tardi. Lei si era già divincolata dal suo abbraccio e, ridendo eccitata, si era precipitata verso la poltrona, come se rispondere al cellulare di un uomo fosse il gioco più divertente al mondo.
Chloe soppresse un gemito, quando sentì la voce femminile un po’ impastata.
«Salve!» cinguettò la ragazza. «Questo è il ristorante cinese Kung Fu. Come posso aiutarla?»
«Ciao, Jasmine.» Purtroppo Chloe aveva una grande familiarità con le amicizie
femminili del suo capo. Di solito possedevano una grande bellezza e ben poco cervello, e questo le spingeva a telefonargli in ufficio, obbligandola a perdere un sacco di tempo per tenerle a bada, trascrivere i loro messaggi, placarle con la promessa che lui avrebbe richiamato appena possibile e, più in generale, agendo in qualità di intermediario. «Non scherzare e passami Zac.»
«Jasmine?» ripeté la ragazza, distintamente irritata. «Zac, chi è Jasmine?» domandò poi, alzando la voce di parecchi decibel.
Oops. In altre circostanze, Chloe si sarebbe scusata e avrebbe provato a rassicurare la sciocca ragazza, ma stasera si limitò a parlarle in tono fermo. «Sono l’assistente del signor Corrigan. Si tratta di una questione urgente. Ho bisogno di parlare subito con lui.»
«Va bene, va bene» si arrese la ragazza, imbronciata. «Te lo passo.»
Chloe udì dei rumori – probabilmente la ragazza era inciampata – e poi la sentì scandire il nome del suo capo con una cantilena beffarda. «Signor Corr-i-gan, la tua assistente vuole parlare con te e dice che è meglio sbrigarsi.» Quelle parole furono seguite da una raffica di risatine ridicole.
«Passami il telefono!» Zac sembrò impaziente e, un momento dopo, rispose. «Chloe, che cosa diavolo succede? Qual è il problema?»
«Ti hanno cercato da Londra» rispose lei. «Era la polizia. Da un ospedale.»
«Da Londra?» ripeté l’uomo, scosso.
«Sì. Temo si tratti di qualcosa di urgente, Zac. Il poliziotto vuole che lo richiami immediatamente.»
Chloe sentì Zac sussultare, poi un altro suono che sarebbe potuto essere...
No. Non poteva essersi trattato di un singhiozzo. Chloe era certa di aver sentito male. Durante i tre anni in cui aveva lavorato con lui, non aveva mai individuato una singola crepa, nella consueta durezza di Zac Corrigan.
«D’accordo. Puoi darmi il numero?»
Eppure Zac sembrava agitato e lei si sentì male. Normalmente rifiutava di interessarsi alla caotica vita privata del suo capo, ma questa situazione era diversa. Le faceva paura. Non riusciva a ricordare nessun collegamento tra Zac e Londra, eppure credeva di conoscere tutto di lui.
«Ti farò sapere se avrò bisogno di qualcosa» la congedò Zac.
Zac era teso come un uomo di fronte a un plotone di esecuzione, mentre digitava il numero di Londra. Questa emergenza aveva certamente a che fare con Liv. Aveva provato a convincersi che la sua sorellina fosse un’adulta perfettamente in grado di gestire la propria vita, specialmente dopo che lei aveva ignorato le sue proteste ed era partita per l’Inghilterra col suo ragazzo senza speranze per il futuro... Ma...
Liv.
La sua sorellina.
Tutto ciò che rimaneva della sua famiglia.
Una sua responsabilità.
«Pronto?» rispose una voce professionale, con un forte accento inglese. «Sono il sergente Davies.»
«Sono Zac Corrigan» si presentò Zac, con voce incrinata. «Credo abbia provato a mettersi in contatto con me.»
«Ah, sì, signor Corrigan.» Istantaneamente il tono del poliziotto si fece più gentile e questo non mitigò affatto le paure di Zac. «Può confermarmi di essere Zachary James Corrigan?»
«Sì.» Che cosa aveva combinato Liv? Un’altra overdose? Quando le aveva parlato due settimane prima, la sorella gli aveva assicurato di essersi disintossicata e di non toccare droga da più di un anno.
«È il fratello di Olivia Rose Corrigan?»
«Sì, sono io. Mi è stato detto che ha chiamato da un ospedale. Di che cosa si tratta?»
«Mi dispiace, signor Corrigan» disse il poliziotto. «Sua sorella è morta poco fa in seguito a un incidente stradale.»
Oddio.
Non era possibile.
Lo shock colpì Zac lasciandolo agonizzante e rischiando di farlo cadere. Liv non poteva essere morta. Semplicemente non era possibile.
«Mi dispiace» ripeté il sergente Davies.
«Io... capisco» riuscì a rispondere Zac. Una cosa stupida da dire, ma aveva la mente ottenebrata. Dal terrore. Dal dolore.
«Ha qualche parente qui nel Regno Unito?» domandò il poliziotto.
«No.» Zac cominciò a sudare. Vagamente consapevole della presenza di Daisy che lo guardava incuriosita, le voltò le spalle.
«Allora posso far riferimento a lei, per le pratiche?»
«Sì. Ma mi dica che cosa è successo.»
«Le passo qualcuno dell’ospedale, signore. Il dottore saprà rispondere a tutte le sue domande.»
Intontito e nauseato, Zac attese fino a quando una voce femminile iniziò a parlare.
«Signor Corrigan?»
«Sì» rispose debolmente.
«Sono la dottoressa Jameson, del reparto maternità.»
Maternità? Stava scherzando?
«Mi dispiace molto, signor Corrigan. Sua sorella è stata trasportata in ospedale in seguito a un incidente stradale Aveva delle profonde ferite alla testa e all’addome. L’abbiamo portata subito in sala operatoria e abbiamo fatto del nostro meglio, ma le ferite erano troppo gravi.» Una breve pausa. «Non siamo riusciti a salvarla.»
Zac si sentì raggelare. Allora era vero. Due persone avevano confermato l’impossibile. La sua più grande paura era diventata realtà. Dopo tutti gli anni durante i quali aveva provato con Liv, ora aveva fallito inesorabilmente... Ed era troppo tardi per provare ancora.
Non riusciva a respirare, a pensare. Sua sorella era sempre stata allegra e piena di vita... Non poteva credere che la sua vita si fosse spenta per sempre.
«Ma siamo stati in grado di salvare la bambina» proseguì la dottoressa.
La bambina? Zac si lasciò cadere sul bordo del letto. Quale bambina? Come poteva esserci una bambina?
«È ancora in linea, signor Corrigan?»
Lui deglutì a fatica. «Sì.»
«Lei è segnalato essere il parente più prossimo di Olivia, immagino dunque sapesse che era incinta, no?»
«Certo» mentì Zac. In realtà non ne aveva idea. Quando aveva telefonato a Liv due settimane prima, la ragazza non ne aveva fatto parola. In quel momento ebbe la sensazione che il mondo fosse impazzito.
«Sua sorella aveva le doglie. Crediamo stesse venendo in ospedale, quando ha avuto l’incidente.»
«Giusto.» Zac si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulle gambe. «Così...» mormorò, traendo un profondo respiro. «... la bambina sta bene?»
«Sì, è bellissima e perfettamente incolume. È nata tramite parto cesareo, con solo un paio di settimane di anticipo rispetto alla data prevista.»
Zac si premette una mano tremante sulla fronte. Aveva lo stomaco contratto. Quella donna gli stava dicendo che, per uno strano scherzo del destino, la sua meravigliosa sorella era morta e, al suo posto, vi era una bambina. Quanto era bizzarro?
Avrebbe voluto riagganciare il telefono, terminare quella conversazione assurda. Non poteva affrontare quelle notizie che gli erano state comunicate con così tanta calma.
Ma, naturalmente, non aveva scelta.
Con uno sforzo supremo accantonò il dolore e tornò a essere l’uomo d’affari efficiente che era solito essere, in grado di affrontare gli aspetti pratici.
«Presumo vi siate già messi in