Il ladro di ricordi
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A tutti noi succede a volte di parlare con un fratello di un ricordo d'infanzia e d'improvviso lui ci dice, ma non sei stato tu quello che ha fatto questo, sono stato io. E questo sembra normale. Ma, di cosa ci ricordiamo quando ricordiamo? Gli studi scientifici dicono che in meno di ventiquattro ore abbiamo già cambiato il ricordo di quello che è successo. Magari i nostri ricordi non sempre sono tanto nostri, sono parte di noi, in parte sono quelli che ci hanno raccontato altri che erano nello stesso posto, e altri magari sono ricordi di altri si infiltrano nel nostro registro celebrale. Il narratore de Il Ladro di ricordi non ruba i ricordi, ma si sente un ladro, perché può captare in alcuni momenti i ricordi più intimi delle altre persone, per rendersi conto poi che non riesce più a riconoscere i suoi ricordi da quelli degli altri. Il ladro di ricordi è un'autobiografia del mondo intero.
Mois Benarroch
"MOIS BENARROCH es el mejor escritor sefardí mediterráneo de Israel." Haaretz, Prof. Habiba Pdaya.
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Anteprima del libro
Il ladro di ricordi - Mois Benarroch
PRIMA PARTE
L’autobiografia del ladro di ricordi
1.
Svenni.
Ero in bicicletta scendendo dalla collina, era la prima o la seconda volta che andavo in bicicletta, e scendevo senza sapere cosa fare con i pedali. Il paesaggio non mi ricordava niente di familiare. Avevo otto anni, i miei capelli erano lunghi. E andavo a tutta velocità. Alla fine della collina vidi una macchina che svoltava verso di me per salirla. Colpii in pieno la macchina e saltai lasciando la bicicletta indietro e volando sulla macchina per ritrovarmi dall’altro lato. E svenni.
Però non ero più su quella collina, ero sdraiato in un negozio di scarpe, in Calle Yaffo, una ragazza mi guardava dall’alto, era la stessa cassiera che avevo guardato per un attimo, abbastanza da riconoscerla, mentre una signora mi sollevava la schiena e mi porgeva un bicchiere d’acqua. Sta bene signore? Mentre mi alzavo vidi vagamente il pantalone abbastanza ampio della cassiera, e la sua gamba destra sopra il calzino, marrone e abbastanza brutto, aveva una protesi. La pelle diventava improvvisamente di una tonalità di colore irreale e inerte, che dice subito che si tratta di qualcosa che non è pelle.
- Si, si, sto bene, sto bene. Non vi preoccupate. Deve esser stato qualcosa che ho mangiato stamattina.
La cassiera mi guardava, mentre altri parrocchiani venivano a vedere cos’era successo, entravano nell’aria condizionata del negozio e fuggiva il rumore di tre o quattro trattori che lavoravano alla linea della nuova metro, da sempre futuro di questa città.
Mi alzai.
– Vuole che chiamiamo un ambulanza? – disse la donna più giovane.
– Può sedersi qui – disse la cassiera zoppicando lievemente mentre mi portava una sedia.
– No, non c’è bisogno, sono svenuto, sono cose che succedono, non è niente di grave, non preoccupatevi, andrò io stesso dal medico... Non siete mai svenuti?
Uscii senza che neanche rispondessero e passai con difficoltà al marciapiede difronte. Mi misi seduto dentro alla caffetteria verde, nella quale servivano uno dei migliori caffè della città. Chiesi un caffè ristretto e gli spiegai (bisogna spiegarlo e rispiegarlosempre) che lo volevo molto ristretto, «Molto molto ristretto» e feci vedere le mie dita per mostrare che quello che volevo era caffè, non acqua. La mia spiegazione, però, non ebbe molto successo e mi portarono una tazza quasi piena di acqua «Oh, no!» dissi con la faccia già pronta a chiederne uno più ristretto «Guarda la metà di acqua, o meno». A volte cedevo e lo bevevo o chiedevo un macchiato, era più facile che dare indicazioni, però stavolta avevo bisogno di un buon ristretto. Il mio corpo me lo chiedeva.
La seconda volta il caffè era migliorato e mi misi seduto per berlo, tentando di capire cosa mi era successo nel negozio. Era qualcosa che conoscevo, sorprendente. Era qualcosa che mi stava spiegando molte cose sentite nel mio passato. Ma cos’era? Cosa mi era successo?
Dopo il caffè andai in bagno e lì, seduto, pensai che era la letteratura che mi stava facendo diventare pazzo, che non era altro che l’immagine di un personaggio futuro o passato, qualcuno sul quale avevo scritto. Odio i miei vecchi libri e nel momento in cui ne viene pubblicato uno voglio solo dimenticarlo. Inizialmente tolsi tutti i miei libri dalla mia camera così che non mi dessero fastidio nello scrivere, e dopo averli tenuti in casa li regalai tutti. Non ho nessuna copia dei miei libri in casa. Nessuna. Lo dico e lo scrivo qui per la prima volta. Inoltre, non so cosa rispondere quando mi chiedono dei miei vecchi libri, quando mi chiedono di un personaggio o di un altro, tento perfino di dimenticare i titoli, cosa che non riesco a fare. Ricordo i miei personaggi come altri ricordano degli amici che non vedono da molto tempo, vagamente, di più ai più simpatici, a volte mi mancano, e altri li dimentico completamente, «Ah, si, quel avvocato messicano, come si chiamava? Si, era Luis Benzima, o qualcosa del genere, non ricordo». La gente pensa che faccia il furbo, è che sono uno scrittore pessimo durante le interviste.
Quello, però, non era un personaggio. Era un ricordo. Ricordavo qualcosa. Qualcosa che non avevo vissuto. Questa non era la mia immaginazione che stava creando il personaggio del romanzo successivo (che è sempre il primo, il mio primo romanzo), ma cosa ricordavo?
Tornai nella sala della caffetteria. Al mio posto si era seduta una giovane studentessa che leggeva libri di Levinas. Sembrava francese e come sempre mi attraevano le francesi. In questo paese, ogni volta che ero attratto da una donna, la sentivo dopo due minuti parlare in francese. Chiesi un altro caffè, un altro molto ristretto, più di quello precedente, me lo servirono bene.
Poteva essere qualcosa riguardo la reincarnazione? Più di una volta avevo letto degli scritti su quel tema, e su persone che si incontrano improvvisamente in un paese sconosciuto dove vanno per la prima volta, però si ricordano di un viale, perfino di qualcosa che è nascosto nella cantina o nella parete o nel tetto o nel pavimento della cantina. Un anello, un manoscritto importante, monete d’oro. Casi del genere.
Però io non ricordavo nulla, il paesaggio immaginato, le case sulla collina che scendevo con la mia bicicletta, si, la mia bicicletta sconosciuta. Ho avuto diverse biciclette da quando ero giovane, però nessuna era quella del mio svenimento, né quella che avevo visto in quel ricordo. Durante la mia infanzia, mio padre importava biciclette e aveva un negozio di giochi. Vicino l’entrata del negozio c’erano biciclette per bambini, tra le dieci e le venti, di tutti i colori. In vacanza ricordo sempre le biciclette. Però erano molto diverse da quella dello svenimento. In cosa erano tanto diverse? La bicicletta del negozio era vecchia, ossidata, come se l’avessero presa dalla cantina di un nonno, quelle di mio padre erano sempre nuove. E quella era, era la prima volta che portavo la bici di mio nonno.Perché dico che la portavo io? Quindi si, ero io, però chi era quel io.
Era come se mi avessero trapiantato la memoria di un’altra persona, nel mio cervello, la memoria di qualcuno che era scappata dalla sua mente per penetrare nella mia.
Si, già, ma questa sensazione l’ho già vissuta. Si che l’ho vissuta. D’improvviso, davanti a qualcuno, vedevo chiaramente uno suo segreto. Quando ero giovane, lo dicevo alle persone, come, beh, vedo che tuo padre una volta ha spento una sigaretta sulla tua mano destra. Però come puoi saperlo? Era la reazione. Erano flash di memorie che mi arrivavano, però ogni volta che mi concentravo per sapere cosa succedeva alla persona che avevo davanti, che generalmente era una donna che voleva impressionarmi, dicevo un’enorme sciocchezza, alla quale rispondeva «Dici qualsiasi cosa...». Forse erano segreti intimi di cui neanche loro erano coscienti, o magari avevano paura che qualcun altro li conoscesse, ma credo che non fosse questo il caso, perché quando uscivo improvvisamente la persona di fronte rimaneva un po’ inebetita e io non avevo altra scelta che affermare che quello che diceva era la verità.
Questo mi era già successo, senza svenire. Tutto aveva una sensazione così familiare di déjà vu, di qualcosa che avevo già vissuto.
Quindi erano i ricordi di altre persone, e non l’immaginazione di uno scrittore delirante. I ricordi di altri, vivi o morti, forse di altri che ero stato, o di altri che non sarò mai. Di cosa sono composti i miei libri? Di cosa? Di chi?
Decisi di accendere un sigaro, e proprio prima che il fiammifero arrivasse al marrone venne la cameriera a dirmi che era vietato fumare. La legge è entrata in vigore da alcuni mesi e inoltre fanno multe molto care. Se vuoi puoi fumare fuori. Va bene, grazie. Penso che prenderò un altro caffè, ma no, due caffè al mattino mi potrebbero far salire la pressione o farmi innervosire o entrambe. Ho la pressione alta, però non la misuro mai, ho paura di sapere che è alta o non credo in niente di tutto ciò. Inoltre