La guerra dei gemelli
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Sopravvissuto alla caduta della sventurata Istar grazie ai suoi straordinari poteri, Raistlin viaggia nel tempo portando con sé il fratello gemello Caramon e la stupenda chierica Crysania. Giunto nella Torre dell’Alta Magia, predispone un piano per abbattere il Portale e sfidare la Regina delle Tenebre in un duello mortale. Ma, ad uno ad uno, i piani di Raistlin vengono vanificati...
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Anteprima del libro
La guerra dei gemelli - Margaret Weis
LIBRO PRIMO
Il fiume continua a scorrere...
Le buie acque del tempo vorticarono intorno alle vesti nere dell’arcimago, trasportando lui, e quelli che erano con lui, avanti attraverso gli anni.
Dal cielo grondò fuoco, la montagna cadde sulla città di Istar, affondandola giù, giù, nelle viscere del suolo. Le acque del mare, mosse a pietà da quell’orrenda distruzione, si precipitarono dentro per riempire il vuoto. L’immenso Tempio, dove il Grande Sacerdote stava ancora aspettando che gli dei esaudissero le sue richieste, scomparve dalla faccia del mondo. Perfino quegli elfi del mare che si avventurarono nel Mare di Sangue di Istar appena creato contemplarono con meraviglia il luogo dove il Tempio si era innalzato. Adesso, là non c’era niente, soltanto un profondo pozzo nero. L’acqua del mare al suo interno era talmente scura e gelida che perfino quegli elfi, nati e cresciuti nelle profondità marine, e che laggiù vivevano, non osavano nuotare vicino ad esso.
Ma erano in molti, in Ansalon, a invidiare gli abitanti di Istar. Almeno per loro la morte era giunta in fretta.
Per coloro che erano sopravvissuti all’immediata distruzione di Ansalon, la morte fu lenta ad arrivare, assumendo aspetti orrendi: carestie, malattie, assassini...
Guerra.
Capitolo primo
Un urlo rauco di paura e di orrore frantumò il sonno di Crysania. Talmente improvviso e spaventoso fu l’urlo, e così profondo era stato il suo sonno che, per un momento, non riuscì a immaginare cosa l’avesse svegliata. Terrorizzata e confusa si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse, cercando di scoprire cosa l’avesse spaventata al punto da rendere rauco e affannoso il suo respiro.
Era distesa su un pavimento umido e duro. Il suo corpo era in preda a tremiti causati dal gelo che le penetrava le ossa; i denti le battevano per il freddo. Trattenendo il fiato, cercò di sentire o di vedere qualcosa. Ma l’oscurità circostante era densa e impenetrabile, il silenzio profondo.
Cercò d’inspirare, ma sembrava che l’oscurità le sottraesse l’aria. Il panico l’afferrò. Disperatamente cercò di esplorare l’oscurità, di popolarla con forme e contorni. Ma la sua mente restava vuota. L’oscurità restò priva di dimensioni. Era eterna...
Poi sentì nuovamente l’urlo, e lo riconobbe come la causa del suo risveglio. E, malgrado avesse quasi emesso un sospiro di sollievo nell’udire il suono di un’altra voce umana, la paura che udì in quell’urlo echeggiò nella sua anima.
Disperatamente, cercando con frenesia di penetrare l’oscurità, si costrinse a pensare, a ricordare.
C’erano state le pietre che cantavano, una voce che salmodiava: quella di Raistlin, e le sue braccia intorno a lei. Poi la sensazione di entrare nell’acqua e di venire trasportata velocemente in una vasta oscurità.
Raistlin! Allungando una mano tremante, Crysania non sentì niente accanto a sé, salvo la pietra umida e gelida. E poi il ricordo le balenò nella memoria con tutto il suo terrificante impatto. Caramon che si lanciava su suo fratello con la spada scintillante in mano... Le sue parole mentre lanciava un incantesimo chiericale per proteggere il mago... il rumore della spada che cadeva sferragliando sul pavimento di pietra.
Ma quel grido... era la voce di Caramon. E se...
«Raistlin!» gridò Crysania terrorizzata, alzandosi in piedi con uno sforzo. La sua voce scomparve, svanì, inghiottita dalla tenebra. Fu una sensazione così terribile che non osò più chiamare. Stringendosi le braccia intorno al corpo, rabbrividendo per il freddo intenso, la mano di Crysania andò involontariamente al medaglione di Paladine che aveva al collo. La benedizione del dio scese ad avvolgerla e a darle sollievo.
«Luce», bisbigliò, e tenendo stretto il medaglione tra le dita pregò il dio perché illuminasse la tenebra.
Una morbida luce sgorgò dal medaglione tra le sue dita, respingendo il velluto nero che la soffocava, permettendole infine di respirare. Sfilandosi la catenella da sopra la testa, Crysania tenne alto il medaglione. Proiettando intorno a sé il suo splendore, cercò di ricordare da quale direzione era giunto l’urlo.
Ebbe la rapida impressione di mobilia infranta e annerita, ragnatele, libri che giacevano sparpagliati sul pavimento, scaffali che cadevano dalle pareti. Ma tutto questo faceva paura quasi quanto la stessa tenebra; era la tenebra che l’aveva originato. Quegli oggetti avevano più diritto di lei di trovarsi in quel luogo.
L’urlo echeggiò di nuovo.
Con la mano che le tremava, Crysania si voltò rapidamente verso il suono. La luce del dio squarciò la tenebra mettendo in vivido e sconvolgente risalto due figure. Una, abbigliata di nero giaceva silenziosa e immobile sul freddo pavimento di pietra. Sopra quella figura immobile si ergeva un uomo gigantesco. Rivestito di un’armatura dorata macchiata di sangue, con un collare di ferro saldato intorno al collo, fissava la tenebra, le mani protese, la bocca spalancata, il volto bianco per il terrore.
Il medaglione scivolò via dalle mani inerti di Crysania, quando riconobbe il corpo che giaceva rannicchiato ai piedi del guerriero.
«Raistlin!» bisbigliò.
Soltanto quando sentì la catenella di platino scivolarle tra le dita, soltanto quando la preziosa luce intorno a lei tremolò, pensò di muovere di scatto le mani per afferrarla.
Attraversò di corsa la distanza che la separava dai due, il suo mondo vacillò alla luce che ondeggiava come impazzita dalla sua mano. Delle forme scure fuggirono da sotto i suoi piedi, ma Crysania non si accorse neppure della loro presenza. Colma d’una paura più soffocante della tenebra, s’inginocchiò accanto al mago.
Questi giaceva bocconi sul pavimento, il cappuccio calato sulla testa. Crysania lo sollevò con delicatezza, girandolo dall’altra parte. Intimorita, gli scostò il cappuccio dal volto e tenne sospeso sopra di lui il medaglione ardente. La paura le raggelava il cuore.
La pelle del mago era cinerea, le labbra bluastre, gli occhi chiusi e infossati sopra gli zigomi scavati.
«Cos’hai fatto?» gridò a Caramon, alzando lo sguardo dal punto in cui era inginocchiata accanto al corpo in apparenza senza vita del mago. «Cos’hai fatto?» volle sapere, la voce rotta dal dolore e dal furore.
«Crysania?» bisbigliò Caramon con voce roca.
La luce del medaglione proiettava strane ombre sopra la forma del torreggiante gladiatore. Con le braccia ancora protese, le mani che annaspavano debolmente nell’aria, chinò la testa verso il suono della sua voce. «Crysania?» ripeté, con un singhiozzo. Facendo un passo verso di lei, inciampò nelle gambe di suo fratello e cadde lungo disteso sul pavimento.
Si rialzò quasi subito, si rannicchiò carponi, con il respiro affannoso, gli occhi ancora spalancati e fissi. Tese una mano.
«Crysania?» si lanciò verso il suono della sua voce. «La tua luce! Portaci la tua luce! Presto!».
«Ho una luce, Caramon! Ho... benedetto sia Paladine!» mormorò Crysania, fissandolo alla luce diffusa del medaglione. «Sei cieco!».
Allungando una mano gli prese le dita che continuavano ad annaspare. Al suo tocco, Caramon singhiozzò di nuovo per il sollievo. Le dita di Caramon si chiusero sulla sua mano, schiacciandola, e Crysania si morse il labbro per il dolore. Ma resistette, e continuò a reggere il medaglione con la mano libera.
Si alzò in piedi e aiutò Caramon a fare altrettanto. Il guerriero si aggrappò alla sua mano in preda a un disperato terrore, con gli occhi ancora fissi davanti a sé, spiritati, ciechi. E Crysania sentì che il suo grosso corpo era scosso da un tremito. La donna scrutò nel buio cercando disperatamente una sedia, un divano... qualcosa.
E poi, d’un tratto, divenne conscia che la tenebra la stava guardando a sua volta.
Distogliendo subito lo sguardo, facendo attenzione a tenerlo fisso entro la luce del medaglione, guidò Caramon fino all’unico grande mobile che vide.
«Ecco, siediti qui», lo sollecitò. «Appoggiati a questo».
Fece sistemare Caramon sul pavimento, con la schiena appoggiata a una scrivania di legno decorata da sculture che, pensò, le parevano vagamente familiari. Ma era troppo turbata per pensarci su molto.
«Caramon?» disse con voce tremante. «Raistlin è... lo hai ucciso...». Non riuscì a proseguire.
«Raistlin?». Caramon girò gli occhi ciechi verso il suono della sua voce. L’espressione sul suo volto si fece allarmata. Cercò di alzarsi. «Raist! Dove...».
«No. Stai seduto!» gli ordinò Crysania, colta da una rabbia e da una paura improvvise. Gli mise una mano sulla spalla e lo spinse giù.
Gli occhi di Caramon si chiusero, un sorriso sarcastico gli contorse il volto. Per un attimo, assomigliò moltissimo al suo gemello.
«No, non l’ho ucciso», disse con amarezza. «Come avrei potuto? L’ultima cosa che ho sentito eri tu che invocavi Paladine, poi tutto è diventato buio. I miei muscoli non volevano muoversi, la spada mi è caduta di mano. E poi...».
Ma Crysania non lo stava ascoltando. Tornando di corsa da Raistlin, a pochi passi da loro, si chinò di nuovo accanto al mago. Tenendo il medaglione accostato al suo viso, allungò le mani all’interno del cappuccio nero, per sentire il battito della vita nel suo collo. Chiudendo gli occhi per il sollievo, recitò una silenziosa preghiera a Paladine.
«È vivo!» bisbigliò. «Ma allora, cos’ha?».
«Cos’ha?» chiese Caramon. L’amarezza e il dolore gli alteravano ancora la voce. «Non posso vedere...».
Arrossendo, quasi colta da un senso di colpa, Crysania descrisse le condizioni del mago.
Caramon scrollò le spalle. «È esausto a causa dell’incantesimo che ha lanciato», commentò con voce priva d’espressione.
«E ricordati che era già debole in partenza, per lo meno è quello che mi ha detto. Malato a causa della vicinanza degli dei, o qualcosa del genere». Abbassò la voce. «L’ho visto così altre volte. Quando usò per la prima volta il Globo dei Draghi, dopo riusciva a muoversi a stento. Allora lo tenni fra le braccia...».
S’interruppe, fissando la tenebra, adesso il suo volto era calmo... calmo e truce. «Non c’è niente che noi possiamo fare per lui», disse. «Deve riposare».
Dopo un breve silenzio, Caramon chiese con calma: «Dama Crysania, puoi guarirmi?».
Crysania sentì la pelle che le bruciava. «Temo... temo di no», rispose sconsolata. «Deve... dev’essere stato il mio incantesimo ad accecarti». Ancora una volta, nel suo ricordo, vide il grosso guerriero con in pugno la spada chiazzata di sangue, sul punto di uccidere suo fratello... sul punto di uccidere lei, se si fosse intromessa.
«Mi spiace», disse con voce sommessa, sentendosi stanca e raggelata al punto da star quasi male. «Ma ero disperata e... spaventata. Non preoccuparti, comunque», aggiunse, «l’incantesimo non è permanente. Col tempo si esaurirà».
Caramon sospirò. «Capisco», disse. «C’è una luce in questa stanza? Hai detto che ne avevi una».
«Sì», rispose Crysania. «Ho il medaglione...».
«Guardati intorno. Dimmi dove siamo. Descrivimelo».
«Ma Raistlin...».
«Si riprenderà», rispose seccamente Caramon con voce aspra e imperiosa. «Torna qui, accanto a me. Fai come ti dico! La nostra vita, la sua vita, possono dipendere da questo! Dimmi dove siamo!».
Aguzzando lo sguardo nella tenebra, Crysania sentì tornarle la paura. Scostandosi riluttante dal mago, tornò indietro e si sedette accanto a Caramon.
«Non... non c’è molto...» balbettò, risollevando sopra di sé il medaglione ardente. «Non... non riesco a vedere molto al di là della luce del medaglione. Ma mi sembra un posto dove sono già stata, soltanto non riesco a identificarlo. In giro ci sono dei mobili, ma sono tutti rotti e carbonizzati, come se ci fosse stato un incendio. Ci sono molti libri sparsi tutt’intorno. C’è una grande scrivania di legno, ci sei appoggiato con la schiena. Sembra l’unico mobile ancora intatto. E mi sembra familiare», aggiunse, perplessa, a bassa voce. «È bellissima, scolpita con ogni genere di strane creature».
Caramon tastò sotto di sé con la mano. «Un tappeto», disse, «sopra un pavimento di pietra».
«Sì, il pavimento è coperto da un tappeto, o lo era. Ma adesso è lacerato, e pare che qualcosa l’abbia mangiato...».
Si sentì soffocare nel vedere una forma scura sgattaiolare via dalla luce.
«Cosa?» chiese Caramon, in tono secco.
«Ecco cos’è che l’ha mangiato», rispose Crysania con una piccola risata nervosa. «I topi». Cercò di continuare la descrizione della stanza. «C’è un caminetto, ma non è stato usato per anni. È tutto pieno di ragnatele. Ma in realtà tutto questo posto è coperto di ragnatele...».
Ma la voce le venne meno. Improvvise immagini di topi che cadevano dal soffitto e di sorci che le correvano tra i piedi la fecero rabbrividire, inducendola a raccogliere intorno a sé le vesti bianche. Il camino spoglio e annerito le ricordò quanto sentiva freddo.
Sentendo il suo corpo che tremava, Caramon fece un pallido sorriso e, prendendole una mano e stringendola con forza, disse con una voce che suonò terribile per la sua calma: «Dama Crysania, se tutto ciò che dovremo affrontare sono topi e ragni, potremo considerarci fortunati».
Crysania ricordò il grido di puro terrore che l’aveva destata. Eppure lui non era stato in grado di vedere! Si affrettò a girare lo sguardo tutt’intorno. «Ma qui... Tu devi aver sentito o percepito qualcosa, perché...».
«Percepito», l’interruppe Caramon con voce sommessa. «Sì, l’ho percepito. Ci sono cose in questo posto, Crysania. Cose orribili. Sento che ci stanno osservando! Posso percepire il loro odio. Dovunque sia questo posto, ci siamo intromessi nella loro vita. Non lo senti anche tu?».
Crysania fissò l’oscurità. Così, l’oscurità l’aveva davvero guardata a sua volta! Adesso che Caramon ne aveva parlato, poteva percepire qualcosa là fuori. Qualcosa o, come aveva detto Caramon, cose!
Più aguzzava lo sguardo e più si concentrava su di esse, più diventavano reali. Malgrado non potesse vederle, sapeva che aspettavano, appena oltre il cerchio di luce proiettato dal medaglione. Il loro odio era intenso, come Caramon aveva detto e, cosa ancora peggiore, sentiva il loro male scorrere raggelante intorno a lei. Era come... come...
Crysania trattenne il fiato.
«Sst», sibilò, stringendo con forza la mano di Caramon. «Niente. È soltanto che so dove siamo», disse in tono sommesso.
Lui non rispose ma girò gli occhi ciechi su di lei.
«La Torre dell’Alta Magia di Palanthas!» bisbigliò.
«Dove vive Raistlin?». Caramon parve sollevato.
«Sì... no». Crysania scosse le spalle in un gesto d’impotenza. «È la stessa stanza in cui mi sono trovata, il suo studio... ma non sembra la stessa. Sembra che nessuno vi abbia abitato per centinaia d’anni o forse anche più e, Caramon, ecco... Ha detto che mi avrebbe portato in un luogo e in un tempo dove non c’erano chierici! Dev’essere dopo il Cataclisma e prima della guerra. Prima di...».
«Prima che lui tornasse per rivendicare a sé il possesso della Torre», disse Caramon con voce truce. «E questo significa che la maledizione grava ancora sulla Torre, Dama Crysania. Noi, dunque, ci troviamo nell’unico posto su Krynn in cui il male regna supremo. Il posto più temuto di ogni altro sulla faccia del mondo. L’unico posto in cui nessun mortale osa mettere piede, protetto dal Bosco di Shoikan e soltanto gli dei sanno da cos’altro ancora! Ci ha portati qui! Ci siamo materializzati nel suo cuore!».
D’un tratto Crysania vide dei pallidi volti comparire fuori dal cerchio di luce, come se fossero stati convocati dalla voce di Caramon. Teste senza corpo, che la fissavano con occhi che si erano chiusi molto tempo prima in una morte tenebrosa e orribile, fluttuavano nell’aria gelida, con la bocca che si spalancava pregustando il sangue vivo e caldo.
«Caramon, posso vederli!» esclamò Crysania con voce soffocata, stringendosi addosso all’omone. «Posso vedere le loro facce!».
«Ho sentito le loro mani su di me», disse Caramon. Rabbrividendo convulsamente, sentendo che anche lei rabbrividiva, la cinse con il braccio, attirandola a sé. «Mi hanno attaccato. Il loro tocco mi ha raggelato la pelle. È stato allora che mi hai sentito urlare».
«Ma perché non li ho visti prima? Adesso, cos’è che impedisce loro di attaccarci?».
«Tu, Dama Crysania», spiegò Caramon con voce sommessa. «Tu sei un chierico di Paladine. Queste sono creature generate dal male, create dalla maledizione. Non hanno il potere di farti del male».
Crysania fissò il medaglione che stringeva in mano. La luce sgorgava ancora da esso ma, proprio mentre lo guardava, la luminosità parve diventare più fioca. Provando un senso di colpa ricordò il chierico elfo, Loralon. Ricordò il suo rifiuto di accompagnarlo. Le sue parole le riecheggiarono nella mente: Vedrai solamente quando sarai accecata dalla tenebra...
«Sono un chierico, è vero», disse con voce sommessa, cercando di tener fuori la disperazione dalle sue parole, «ma la mia fede è... imperfetta. Questi esseri percepiscono i miei dubbi, la mia debolezza. Forse un chierico forte come Elistan avrebbe l’energia di combatterli. Io non credo di averla». Il bagliore divenne ancora più fioco. «La mia luce sta venendo meno, Caramon», aggiunse un attimo dopo. Sollevando lo sguardo poté vedere quei pallidi volti farsi avidamente più vicini, e si strinse ancora di più a lui. «Cosa possiamo fare?».
«Cosa possiamo fare? Non ho armi! Non posso vedere!» gridò Caramon in preda all’angoscia, serrando il pugno.
«Zitto!» gli ordinò Crysania, afferrandogli il braccio, gli occhi puntati sulle figure fluttuanti. «Sembrano rafforzarsi, quando parli così! Forse si nutrono di paura. Le creature del Bosco di Shoikan lo fanno, così mi ha detto Dalamar».
Caramon tirò un profondo respiro. Il suo corpo luccicò di sudore e cominciò ad essere scosso da un violento tremito.
«Dobbiamo cercare di svegliare Raistlin», disse Crysania.
«Non serve!» bisbigliò Caramon attraverso i denti che gli battevano. «So che...».
«Dobbiamo provare!» insisté Crysania con fermezza, pur se tremava al pensiero di percorrere anche pochi passi sotto quei terribili sguardi.
«Fa’ attenzione. Muoviti lentamente», le consigliò Caramon, lasciandola andare.
Tenendo in alto il medaglione e sfidando gli sguardi della tenebra puntati su di lei, Crysania strisciò fino a Raistlin. Appoggiò una mano sulla spalla sottile del mago abbigliato di nero. «Raistlin!» chiamò, con la voce più alta che osò, scuotendolo. «Raistlin!».
Non vi fu risposta. Sarebbe stato lo stesso se avesse cercato di destare un cadavere. A questo pensiero, lanciò un’occhiata alle figure in attesa. Avrebbero ucciso lui? si chiese. Dopotutto, non esisteva in quel tempo. Il «Maestro del Passato e del Presente» non era ancora tornato per reclamare la sua proprietà, quella Torre.
Oppure sì?
Crysania chiamò di nuovo il mago e, mentre lo faceva, tenne gli occhi fissi sui non-morti, i quali si stavano avvicinando sempre più a mano a mano che la luce diventava più debole.
«Fistandantilus!» gridò a Raistlin.
«Sì!» esclamò Caramon, che aveva capito. «Riconoscono quel nome. Cosa sta succedendo? Sento un cambiamento...».
«Si sono fermati!» disse Crysania, quasi senza fiato. «Adesso lo stanno fissando».
«Torna indietro!» le ordinò Caramon, dalla sua posizione accovacciata. «Stai lontana da lui. Allontana da lui quella luce! Lascia che lo vedano come esiste nella loro tenebra!».
«No!» replicò Crysania con rabbia. «Sei pazzo! Una volta che la luce non ci sarà più, lo divoreranno...».
«È la nostra unica possibilità!».
Lanciandosi alla cieca addosso a Crysania, Caramon la colse impreparata. L’afferrò tra le forti braccia e la strappò via da Raistlin, buttandola sul pavimento. Poi le cadde sopra di traverso, schiacciandola e facendole mancare il respiro.
«Caramon!». Crysania rantolò per riuscire a respirare. «Lo uccideranno! Non...». Freneticamente Crysania lottò contro il grande guerriero, ma lui la tenne inchiodata sotto di sé.
Stringeva ancora il medaglione fra le dita. La sua luce diventava sempre più debole. Torcendosi con uno sforzo, vide che adesso Raistlin giaceva nella tenebra, fuori dal cerchio di luce.
«Raistlin!» urlò. «No! Lasciami andare, Caramon! Stanno andando da lui...».
Ma Caramon la trattenne ancora più saldamente, premendola giù contro il freddo pavimento. La sua faccia era angosciata, ma allo stesso tempo truce e risoluta, i suoi occhi ciechi la fissavano. La sua pelle era fredda contro quella di lei, i muscoli tesi e annodati.
Avrebbe lanciato un altro incantesimo contro di lui! Le parole erano sulle sue labbra quando un acuto urlo di dolore trafisse la tenebra.
«Paladine, aiutami!» pregò Crysania.
Non accadde nulla.
Agitandosi debolmente, cercò un’altra volta di sfuggire a Caramon, ma non c’era speranza, e lo sapeva. E adesso, a quanto pareva, perfino il suo dio l’aveva abbandonata. Urlando per la frustrazione, maledicendo Caramon, poté soltanto guardare.
Adesso quelle pallide figure circondavano Raistlin. Crysania poteva intravederlo soltanto alla luce dell’orrenda aura irradiata dai loro corpi putrescenti. La gola le faceva male e un sordo gemito le sfuggì dalle labbra quando una delle creature spettrali sollevò le gelide mani e le appoggiò sul corpo del mago.
Raistlin urlò. Sotto le vesti nere il suo corpo sussultò in preda agli spasimi.
Anche Caramon udì l’urlo di suo fratello. Crysania poté vederlo riflesso sul suo volto pallido come la morte. «Lasciami alzare!» lo implorò. Ma anche se un sudore freddo gl’imperlava la fronte, scosse la testa risoluto, tenendole le mani strette in una morsa.
Raistlin urlò di nuovo. Caramon rabbrividì e Crysania sentì i suoi muscoli infiacchirsi. Lasciando cadere il medaglione, riuscì a liberare le braccia e fece per colpirlo con i pugni chiusi. Ma mentre stava per farlo, la luce del medaglione scomparve, facendoli sprofondare ambedue nella più completa oscurità. Il corpo di Caramon venne d’un tratto strappato via dal suo. Il suo urlo angosciato si fuse con le urla di suo fratello.
Stordita, con il cuore che le martellava per il terrore, Crysania lottò per rizzarsi a sedere, frugando freneticamente il pavimento intorno a sé alla ricerca del medaglione.
Un volto si avvicinò al suo. Crysania sollevò di scatto la testa interrompendo la sua ricerca, pensando che fosse Caramon...
Non era Caramon. Una testa scorporata le fluttuava accanto.
«No!» bisbigliò, incapace di muoversi, sentendo che la vita le veniva prosciugata dalle mani, dal corpo, dal suo stesso cuore. Mani scheletriche l’afferrarono per le braccia, attirandola vicina; labbra esangui si spalancarono, avide di calore.
«Paladi...». Crysania cercò d’innalzare una preghiera, ma sentì che l’anima le veniva succhiata fuori dal corpo dal tocco mortale della creatura.
Poi sentì vagamente e molto lontano una debole voce intonare parole magiche. La luce esplose intorno a lei. Quella testa così vicina alla sua scomparve con un urlo acuto, quelle mani scheletriche lasciarono la stretta. Si sentì un acre odore di zolfo.
«Shirak.» La luminosità spettrale era scomparsa. Un dolce chiarore illuminava la stanza.
Crysania si sollevò a sedere. «Raistlin!» bisbigliò con gratitudine. Barcollando, trascinandosi carponi, attraversò il pavimento annerito e distrutto per raggiungere il mago, il quale giaceva disteso sulla schiena respirando affannosamente. Teneva una mano appoggiata al Bastone di Magius. La luce s’irradiava dalla sfera di cristallo stretta nell’artiglio del drago dorato in cima al bastone.
«Raistlin! Stai bene?».
Inginocchiandosi accanto a lui, fissò il suo volto pallido e sottile mentre apriva gli occhi. Il mago annuì stancamente. Poi, alzando un braccio, l’attirò giù, su di sé. Abbracciandola, le accarezzò i morbidi capelli neri. Crysania poté sentire il battito del suo cuore. Lo strano calore del suo corpo mise in fuga il gelo.
«Non aver paura», le bisbigliò lui, tranquillizzandola, sentendola tremare. «Non ci faranno del male. Mi hanno visto e mi hanno riconosciuto. Ti hanno fatto qualcosa?».
Crysania non riuscì a rispondere, poté soltanto scuotere la testa. Raistlin tornò a sospirare. Crysania, gli occhi chiusi, giaceva nel suo abbraccio, smarrita ma confortata.
Poi, quando la mano riandò ai suoi capelli, sentì il suo corpo tendersi. Quasi con rabbia lui l’afferrò per le spalle e la spinse lontana da sé.
«Dimmi cos’è successo», le ordinò, sia pure con un filo di voce.
«Mi sono svegliata qui...» balbettò Crysania. L’orrore della sua esperienza e il ricordo del caldo tocco di Raistlin la confondevano e la spaventavano. Ma, vedendo i suoi occhi che diventavano freddi e impazienti, si indusse a continuare, mantenendo calma la voce. «Ho sentito Caramon che gridava...».
Gli occhi di Raistlin si spalancarono. «Mio fratello?» esclamò, sorpreso. «Così, l’incantesimo ha trasportato anche lui. Sono sorpreso di essere ancora vivo. Dov’è?». Sollevando leggermente la testa vide suo fratello che giaceva privo di sensi sul pavimento. «Cos’ha?».
«Ho... ho lanciato un incantesimo. È cieco», disse Crysania, arrossendo. «Non avevo intenzione di farlo, è stato quando ha tentato di ucci... ucciderti, a Istar, subito prima del Cataclisma...».
«Lo hai accecato! Paladine... lo hai accecato!». Raistlin scoppiò a ridere. Il suono della risata riverberò sulle gelide pietre, e Crysania si ritrasse provando un brivido di orrore. Ma la risata s’impigliò nella gola di Raistlin. Il mago cominciò a soffocare e rantolò per respirare.
Crysania lo guardò impotente, fino a quando gli spasimi non furono passati e Raistlin giacque di nuovo tranquillo. «Prosegui», bisbigliò, irritato.
«L’ho sentito gridare, ma non riuscivo a vedere al buio. Ma il medaglione mi ha fatto luce, ho trovato Caramon e... ho capito che era cieco. E ho trovato anche te. Eri privo di sensi. Non potevo svegliarti. Caramon mi ha detto di descrivere dove ci trovavamo, e poi ho visto...» rabbrividì, «ho visto quegli... quegli orrendi...».
«Continua», disse Raistlin.
Crysania tirò un profondo sospiro. «Poi la luce del medaglione ha cominciato a diminuire...».
Raistlin annuì.
«... e quegli esseri sono venuti verso di noi. Ti ho chiamato usando il nome di Fistandantilus. Ciò li ha fatti fermare. Poi...» la voce di Crysania perse il tono spaventato e si venò di collera, «tuo fratello mi ha afferrata e mi ha scagliata sul pavimento, urlando qualcosa come Lascia che lo vedano come esiste nella sua oscurità!
. Quando la luce di Paladine non ti ha più toccato, quelle creature...». Rabbrividì e si coprì il volto con le mani, udendo ancora il terribile urlo di Raistlin echeggiarle nella mente.
«Mio fratello ha detto questo?» chiese Raistlin con voce sommessa, un istante dopo.
Crysania mosse le mani per guardarlo, perplessa dal tono della sua voce, ammirato e stupito insieme. «Sì», disse con freddezza un istante dopo. «Perché?».
«Ci ha salvato la vita», osservò Raistlin, con un tono di voce ancora più caustico. «Quel grosso imbecille ha avuto davvero una buona idea. Forse dovresti lasciarlo cieco, lo aiuta a pensare».
Raistlin cercò di ridere, ma la risata divenne una tosse che quasi lo fece soffocare. Crysania si mosse verso di lui per aiutarlo, ma lui la fermò con espressione feroce, mentre il suo corpo si contorceva per il dolore. Rotolandosi su un lato, vomitò.
Ricadde sulla schiena indebolito, le labbra macchiate di sangue, le mani che si contraevano. Il suo respiro era poco profondo e troppo veloce. Di tanto in tanto un nuovo accesso di tosse gli squassava il corpo.
Crysania lo fissò impotente.
«Una volta mi dicesti che gli dei non possono guarire questa malattia. Ma tu stai morendo, Raistlin! Non c’è qualcosa che io possa fare?» chiese con voce sommessa, non osando toccarlo.
Raistlin annuì, ma per un istante non riuscì né a parlare né a muoversi. Alla fine, con ovvio sforzo, sollevò una mano tremante dal pavimento gelato e fece segno a Crysania di avvicinarsi. Quando lei si chinò sopra di lui, sollevando la mano Raistlin le toccò la guancia, attirando a sé il suo volto. Il suo respiro era ardente.
«Acqua!» rantolò Raistlin con voce troppo fioca. Crysania riuscì a capirlo solamente leggendo il movimento delle sue labbra incrostate di sangue. «Una pozione... mi aiuterebbe...». Con un debole movimento la sua mano andò a una tasca delle sue vesti. «Ah... è il calore d’un fuoco. Non... ho... la forza...».
Crysania annuì, per mostrare che aveva capito.
«Caramon?». Le sue labbra articolarono la parola.
«Quegli... quegli esseri l’hanno attaccato», disse Crysania, lanciando un’occhiata al corpo immobile del grosso guerriero. «Non sono sicura che sia ancora vivo...».
«Abbiamo bisogno di lui! Devi... guarirlo!». Raistlin non riuscì a continuare ma giacque ansante, respirando con difficoltà, gli occhi chiusi.
Crysania inghiottì, rabbrividendo. «Ne... ne sei sicuro?» chiese, esitante. «Ha cercato di assassinarti...».
Raistlin sorrise, poi scosse la testa. Il cappuccio nero frusciò lievemente a quel movimento. Aprendo gli occhi, sollevò lo sguardo su Crysania, che poté vedere nelle profondità dei loro abissi castani. La fiamma dentro il mago bruciava bassa, donando ai suoi occhi un diffuso calore assai diverso dai fuochi furiosi che vi ardevano in precedenza.
«Crysania...» mormorò, «sto per... perdere conoscenza... Rimarrai sola... in questo luogo tenebroso... Mio fratello... potrà aiutarti... Il calore...». I suoi occhi si chiusero, ma la sua stretta sulla mano di Crysania si accentuò, come per sforzarsi di usare la forza vitale della donna per tenersi aggrappato alla realtà. Con uno sforzo violento, aprì di nuovo gli occhi per guardare direttamente dentro quelli di lei.
«Non lasciare questa stanza!» le intimò, pur muovendo le labbra a fatica. Gli occhi gli si arrovesciarono nelle orbite.
Sarai sola! Crysania si guardò intorno, più che mai intimorita, sentendo che il terrore saliva in lei a soffocarla. Acqua! Calore! Come avrebbe potuto riuscire a farcela? Non poteva! Non in quella camera del male!
«Raistlin», implorò, stringendo la fragile mano del mago tra le sue, appoggiandovi la guancia. «Raistlin, per favore, non lasciarmi!» bisbigliò, ritraendosi al tocco della sua pelle fredda. «Non posso fare quello che mi chiedi! Non ne ho il potere! Non posso creare l’acqua dalla polvere...».
Gli occhi di Raistlin si aprirono. Erano scuri quanto la stanza in cui si trovava. Muovendo la mano, la mano che lei reggeva, tracciò una linea dai suoi occhi giù lungo la guancia. Poi la sua mano s’indebolì e la testa gli ricadde di lato.
Crysania sollevò la mano sulla sua pelle, in preda alla confusione, chiedendosi cosa mai avesse inteso dire con quello strano gesto... Non era stata una carezza. Aveva forse cercato di dirle qualcosa. Ma cosa mai? La pelle le bruciava per il suo tocco... riportandole alla mente dei ricordi... E poi seppe. Non posso creare l’acqua dalla polvere... «Le mie lacrime!» mormorò.
Capitolo secondo
Seduta in solitudine nella camera gelida, inginocchiata accanto al corpo immobile di Raistlin, vedendo Caramon disteso lì accanto, pallido e senza vita, d’un tratto Crysania si trovò a invidiarli entrambi con rabbia furibonda. Come sarebbe stato facile, pensò, scivolare nell’incoscienza e lasciare che la tenebra s’impadronisse di lei! Il male di quel luogo, che in apparenza era fuggito nell’udire la voce di Raistlin, stava tornando. Poteva sentirlo sul suo collo come una corrente fredda. Degli occhi la fissavano dall’ombra, occhi che, a quanto sembrava, venivano tenuti a distanza soltanto dalla luce del Bastone di Magius, il quale brillava ancora. Anche privo di sensi, Raistlin continuava a tenervi sopra la mano.
Crysania appoggiò con delicatezza l’altra mano dell’arcimago, quella che lei reggeva, sul suo petto. Poi tornò a sedersi, con le labbra serrate, inghiottendo le lacrime.
«Si è affidato a me», si disse, parlando per disperdere l’arcano sussurrio che sentiva intorno a sé. «Nella sua debolezza confida nella mia forza. Per tutta la mia vita», continuò asciugandosi le lacrime dagli occhi, «mi sono vantata della mia forza. Eppure, fino ad ora, non ho mai saputo cos’è la vera forza». Il suo sguardo andò a Raistlin. «Adesso la vedo in lui! Non lo abbandonerò!».
«Calore!» disse ancora, rabbrividendo al punto che riuscì a stento a reggersi in piedi. «Ha bisogno di calore. Tutti noi ne abbiamo bisogno». Sospirò impotente. «Ma come posso ottenerlo? Se mi trovassi nel Castello della Muraglia di Ghiaccio, le mie preghiere da sole sarebbero sufficienti a tenerci caldi. Paladine ci aiuterebbe, ma questo non è il gelo del ghiaccio o della neve.
«È molto più intenso, congela lo spirito più che il sangue. Qui, in questo luogo del male, la mia fede può sorreggermi, ma non ci riscalderà mai!».
Pensando a questo e lanciando un’occhiata intorno alla stanza che intravedeva vagamente alla luce del bastone, Crysania vide le forme ombrose delle tende a brandelli che penzolavano dalle finestre. Fatte di pesante tessuto, erano abbastanza grandi da coprire tutti loro. Il suo morale si risollevò, ma riaffondò quasi subito quando si rese conto che erano troppo lontane, sul lato opposto della stanza. Appena visibili all’interno di quell’oscurità che si contorceva, le finestre erano fuori del cerchio di luce vivida proiettata dal bastone.
«Dovrò arrivare fin là», si disse, «in mezzo alle ombre!». Il cuore le venne quasi meno, le forze le si infiacchirono. «Chiederò l’aiuto di Paladine». Ma mentre parlava, il suo sguardo andò al medaglione che giaceva freddo e scuro sul pavimento.
Chinandosi per raccoglierlo, esitò, temendo per un attimo di toccarlo, ricordando, in preda al dolore, come la sua luce si fosse spenta all’arrivo del male.
Ancora una volta il suo pensiero andò a Loralon, il grande chierico elfo che era venuto per condurla via prima del Cataclisma. Lei aveva rifiutato, scegliendo invece di rischiare la vita, per sentire le parole del Grande Sacerdote, le parole che avevano causato la collera degli dei. Paladine era in collera? L’aveva abbandonata nella sua collera, così come aveva abbandonato tutto Krynn dopo la terribile distruzione di Istar? Oppure la sua guida divina era semplicemente incapace di penetrare i gelidi strati del male che avvolgevano la Torre maledetta dell’Alta Magia?
Confusa e spaventata, Crysania sollevò il medaglione. Non riluceva. Non faceva niente. Il metallo era freddo a contatto con la sua mano. Immobile al centro della stanza, reggendo il medaglione, con i denti che le battevano, s’impose di avvicinarsi a una finestra.
«Se non lo farò», mormorò attraverso le labbra intirizzite, «morirò di freddo. Moriremo tutti», aggiunse. Fissò di nuovo i gemelli. Raistlin indossava le sue vesti di velluto nero, ma lei ricordava la sensazione di gelo che aveva provato stringendo la sua mano. Caramon era ancora vestito come lo era stato per i Giochi gladiatori, con poco più dell’armatura dorata e il perizoma.
Sollevando il mento, Crysania lanciò un’occhiata di sfida agli esseri invisibili che bisbigliavano in agguato intorno a lei, poi uscì con passo fermo dal cerchio di luce magica diffuso dal bastone di Raistlin.
Quasi nello stesso istante l’oscurità divenne viva! I bisbigli divennero più forti e, con orrore, Crysania si accorse di poter capire le parole!
Con quanta forza il tuo cuore chiama, amore;
quanto è vicina l’oscurità al tuo petto;
come sono tumultuosi i fiumi, amore,
risucchiati attraverso il tuo polso morente.
E, amore, quale calore nasconde la tua fragile pelle,
puro come il sale, dolce come la morte;
e nel buio la luna rossa cavalca
il fuoco fatuo del tuo respiro.
Avvertì un tocco di dita gelide sulla sua pelle. Crysania sussultò per il terrore e si ritrasse, ma non vide nulla!
Sentendosi quasi male per la paura e l’orrore di quel macabro canto d’amore dei morti, non riuscì a muoversi per parecchi istanti.
«No!» esclamò infine, incollerita. «Andrò avanti! Queste creature del male non mi fermeranno! Sono un chierico di Paladine! Anche se il mio dio mi ha abbandonata, io non abbandonerò la mia fede!».
Sollevando la testa, Crysania tese la mano davanti a sé come se volesse schiudere l’oscurità al pari di una tenda. Poi proseguì verso la finestra. Il brusio risuonò intorno a lei, udì delle risate arcane, ma niente venne a farle del male, niente la toccò. Infine, dopo un viaggio che parve lungo molte miglia, raggiunse la finestra.
Aggrappandosi alle tende, tutta tremante, con le gambe fiacche, le scostò e guardò fuori sperando di poter vedere le luci della città di Palanthas da cui trarre conforto. Ci sono altri esseri umani là fuori, si disse, premendo la faccia contro il vetro. Vedrò le luci...
Ma la profezia non si era ancora avverata. Raistlin, come Maestro del Passato e del Presente, non era ancora tornato con il potere di rivendicare la Torre, come sarebbe accaduto in futuro. E così la Torre rimaneva avvolta in un’impenetrabile oscurità, come se una perpetua nebbia nera vi fosse sospesa intorno. Se le luci della bellissima città di Palanthas ardevano, lei non poteva vederle.
Con un sospiro desolato, Crysania strinse il panno e gli dette uno strattone. Il tessuto marcio cedette subito, quasi seppellendola in un sudario di broccato, mentre la tenda si afflosciava sul pavimento. Ringraziando il cielo, Crysania si avvolse il pesante tessuto intorno alle spalle a mo’ di mantello, infagottandosi con gratitudine nel suo calore.
Con movimenti impacciati tirò giù un’altra tenda e la trascinò attraverso la stanza buia, sentendola raschiare sul pavimento mentre raccoglieva i frammenti dei mobili rotti lungo il cammino.
La luce magica del bastone brillava, guidandola attraverso la tenebra. Quando l’ebbe finalmente raggiunta crollò sul pavimento, tremando per la fatica e la reazione al terrore che aveva provato.
Non si era resa conto fino a quel momento di quanto fosse stanca. Erano notti ormai che non dormiva, sin da quando la tempesta si era abbattuta su Istar. Adesso che sentiva più caldo, il pensiero di avvolgersi ancora più strettamente nella tenda e di scivolare nell’oblio la tentava in maniera irresistibile.
«Smettila!» s’intimò. Costringendosi a rialzarsi in piedi trascinò la tenda fino a Caramon e s’inginocchiò accanto a lui. Lo coprì con il pesante tessuto, tirandolo sopra le sue ampie spalle. Il suo petto era immobile; respirava appena. Appoggiando la fredda mano sul suo collo, Crysania cercò un battito... e lo trovò. Era lento e irregolare. E poi vide i segni sul suo collo, segni completamente bianchi, come di labbra scarnificate.
La testa priva di corpo fluttuò nel ricordo di Crysania. Rabbrividendo, la bandì dai propri pensieri e, avvolta nella tenda, appoggiò le mani sulla fronte di Caramon.
«Paladine», pregò con voce sommessa, «se non hai voltato le spalle al tuo chierico per la collera, se soltanto cercherai di capire che quanto il tuo chierico fa è in tuo onore, se vorrai squarciare questa terribile oscurità quel tanto che basta per esaudire questa preghiera: guarisci quest’uomo! Se il suo destino non si è ancora compiuto, se c’è ancora qualcosa che deve fare, concedigli la salute. Se così non fosse, allora raccogli la sua anima con gentilezza fra le tue braccia, Paladine, in modo che possa dimorare per l’eternità...».
Crysania non riuscì a proseguire. Le forze le vennero meno. Affaticata, prosciugata dal terrore e dai propri conflitti interiori, smarrita e sola nella vasta oscurità, affondò la testa fra le mani e cominciò a piangere: gli amari singhiozzi di qualcuno che non vede nessuna speranza.
E poi sentì una mano toccare la sua. Trasalì per il terrore, ma quella mano era forte e calda. «Suvvia, Tika», disse una voce profonda e assonnata, «mi rimetterò, non piangere».
Alzando il volto bagnato di lacrime, Crysania vide il petto di Caramon alzarsi e abbassarsi, respirando profondamente. Il suo volto aveva perso il pallore mortale, i segni bianchi sul suo collo erano sbiaditi. Battendole la mano per tranquillizzarla, le sorrise.
«È soltanto un brutto sogno, Tika», borbottò. «Sarà tutto finito... entro domattina...».
Tirandosi la tenda intorno al collo, rannicchiandosi nel suo stesso calore, Caramon spalancò la bocca in un immenso sbadiglio, e si girò sul fianco scivolando in un sonno profondo e pacifico.
Troppo stanca e intorpidita anche soltanto per offrire i propri ringraziamenti, Crysania riuscì soltanto a rimanere seduta per qualche istante a contemplare l’omone che dormiva. Poi un suono le giunse all’orecchio, attirando la sua attenzione: uno sgocciolio d’acqua! Voltandosi, vide – per la prima volta – una caraffa d’acqua appoggiata sull’orlo della scrivania. Il lungo collo era rotto e la caraffa giaceva distesa sul fianco, con l’imboccatura sospesa, sopra l’orlo. A quanto pareva era rimasta vuota per lungo tempo, il suo contenuto doveva essere stato versato fuori cent’anni prima. Ma adesso risplendeva colma di un liquido limpido che sgocciolava sul pavimento, con delicatezza, una goccia per volta, e ogni goccia luccicava alla luce del bastone.
Tendendo la mano, Crysania raccolse alcune delle gocce sul palmo della mano, poi, esitante, portò la mano alle labbra.
«Acqua...» bisbigliò.
Il sapore era debolmente amaro, quasi salato, ma le parve l’acqua più deliziosa che avesse mai bevuto. Costringendo il proprio corpo dolorante a muoversi, si versò dell’altra acqua nella mano, inghiottendola con avidità. Mettendo la caraffa in posizione verticale sulla scrivania, vide il livello dell’acqua alzarsi di nuovo, sostituendo quella che aveva bevuto.
Adesso poteva ringraziare Paladine con parole che si levavano dal profondo del suo essere, talmente dal profondo che non riuscì a pronunciarle. La sua paura della tenebra e delle creature che vi dimoravano svanì. Il suo dio non l’aveva abbandonata, era ancora con lei, anche se, forse, lei l’aveva deluso.
Placate le sue paure, lanciò un’ultima occhiata a Caramon. Vedendolo dormire pacificamente con i segni del dolore cancellati dalla sua faccia, gli voltò le spalle e si avvicinò a suo fratello là dove giaceva rannicchiato nelle sue vesti, con le labbra livide per il freddo.
Sdraiandosi accanto al mago, sapendo che il calore del suo corpo li avrebbe scaldati entrambi, Crysania stese la tenda sopra di loro e, appoggiando la testa sulla spalla di Raistlin, chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere dall’oscurità.
Capitolo terzo
«L’ ha chiamato Raistlin
».
«Ma, poi, Fistandantilus
!».
«Come possiamo esserne sicuri? Questo non è giusto! Non è giunto attraverso il bosco, com’era stato predetto. Lui non è venuto con il potere! E questi altri? Lui sarebbe dovuto venire da solo!».
«Eppure percepisci la sua magia! Non oso sfidarlo...».
«Neppure per una ricompensa così ricca?».
«L’odore del sangue ti ha fatto impazzire! Se è lui, e se dovesse scoprire che ti sei cibato dei suoi prescelti, ti rispedirà in quella eterna tenebra dove sognerai sempre il sangue caldo e non lo gusterai mai!».
«E se non lo è, e noi mancheremo al nostro dovere di sorvegliare questo posto, allora arriverà lei nella sua collera, e ci farà sembrare piacevole quel