Il bisogno che ho di te
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Info su questo ebook
“Ho vissuto il periodo di confusione come credo succeda a tutti in un particolare momento della propria vita. Ma di una cosa sono sempre stato convinto: Faith è la mia migliore amica. Lei è il mio ossigeno.”
Faith ha vissuto con lui il dolore di non essere accettato e vuole solo la sua felicità.
“Bentley ha paura di essere etichettato, ma gli ricordo spesso che le etichette vanno bene solo per i barattoli. Lui è unico. Il mio bellissimo e incasinato migliore amico.”
Un ragazzo che credeva di essere invincibile.
Una ragazza che conosce le fragilità del suo migliore amico.
Questa non è solo una storia di amicizia, è molto di più.
Altre opere dell'autrice:
-Tempismo perfetto
-Tempismo sbagliato
-It's only love
-Quello che non sei
-Scritto nelle stelle
-Quando meno te lo aspetti
-Sacrificium
-Il gioco
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Anteprima del libro
Il bisogno che ho di te - Simona Burgio
Simona Burgio
IL BISOGNO CHE HO DI TE
La presente opera è protetta dalle leggi vigenti sui diritti d'autore. Nessuna parte di essa può essere riprodotta in tutto o in parte senza l'espressa autorizzazione scritta dell'Autrice.
Tutti i diritti riservati
La presente opera è frutto della fantasia dell'autrice. Qualsiasi analogia con persone, eventi e luoghi descritti è da ritenersi del tutto casuale.
Edizione: Novembre 2019
Titolo originale: Il bisogno che ho di te
©2019 by Simona Burgio
Proprietà letteraria e artistica riservata
Revisione e progetto grafico di copertina:
Athaena Publishing & Graphics
" Quando perdiamo il diritto di essere diversi,
perdiamo il privilegio di essere liberi."
(Charles Evans Hughes)
Prologo
La condivisione è l’utilizzo di una risorsa o dello spazio tra due o più persone. Una parola che racchiude diversi significati. Può essere la partecipazione comune a un progetto. La stessa esperienza vissuta da più punti di vista. Riferito ai social, indica l’azione di pubblicare e comunicare un pensiero, un’emozione. Il desiderio di essere ascoltati risponde al nostro bisogno di far parte di una comunità. Mandiamo segnali e li cerchiamo negli altri. Condividere esperienze, positive o negative, ci aiuta a sentirci meno soli. Questo funziona nel virtuale e nella realtà. Un gesto, una parola, uno sguardo, un sorriso. A volte diventa una vera e propria necessità. Lo scrittore George Shaw riassume in una frase l’importanza della condivisione: Se tu hai una mela e io ho una mela e ce la scambiamo, allora tu e io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ce le scambiamo, allora entrambi abbiamo due idee
.
Per me, questa parola significa solo un nome: Bentley Allen.
Mio padre mi ripete spesso che prima di pensare a cambiare il mondo, di fare rivoluzioni, di meditare su come possiamo aiutare il prossimo, dobbiamo prima di tutto sentire l’amore nel nostro cuore. Deve regnare l’ordine, la pace e l’armonia. Soltanto dopo possiamo cercare le anime bisognose e passare all’azione.
Io passai all’azione il giorno in cui vidi per la prima volta colui che sarebbe diventato la persona più importante della mia vita.
Era domenica e faceva un caldo terribile, nella chiesa in cui mio padre celebrava messa. Una giornata soffocante, di quelle tipiche del Texas. A Wichita Falls eravamo abituati a quel genere di temperatura e, nonostante tutto, la chiesa era gremita. Le panche non bastavano mai e le persone ascoltavano boccheggiando, ma la fede e le parole del pastore Baker mantenevano saldi i nervi di tutti.
Ero seduta a destra dell’altare insieme ai componenti del coro. Poco prima della fine della messa, mi alzai per intonare Hail Holy Queen . Mio padre amava la musica e il ritmo invogliava i fedeli a battere le mani. Le celebrazioni non erano mai noiose e insieme alla musica, il tutto diventava divertente e magico. Intorno alla metà del brano, la mia attenzione fu attirata da tre persone che sostavano all’entrata della navata. Sembravano a disagio. Tutti battevano le mani a ritmo, tranne quell’uomo e quella donna. C’era un ragazzino in mezzo a loro. A occhio e croce aveva la mia età. Cantavo cercando di non fissarlo, ma la cosa mi risultò difficile. Era alto quasi quanto il padre. I capelli neri e lucidi. Una ciocca più lunga gli copriva metà del viso. Indossava una giacca scura troppo grande per le sue spalle e jeans scoloriti. Chiunque fosse non voleva stare lì.
Uscii dalla fila senza rifletterci troppo. Cantando e battendo le mani, camminai lungo la navata verso di loro. Papà diceva che bisognava incoraggiare le persone a unirsi alla fede. Io speravo di farli sedere e magari cantare. Tesi la mano alla donna e all’uomo che mi guardavano incuriositi. Feci segno loro di seguirmi. Li feci accomodare e tornai dal ragazzino che era rimasto fermo. Non volevo spaventarlo più di quanto non lo fosse già. Forse non era credente? Lo avevano costretto a venire? A tredici anni non potevo sapere tante cose, ma qualcosa mi diceva che dovevo provarci. Gli presi la mano gelida. Non appena sentì il contatto con le mie dita calde, il ragazzo alzò lo sguardo. Due occhi azzurri si agganciarono ai miei, e fu quello l’attimo in cui capii che avremmo condiviso ogni cosa da quel momento in poi. Può sembrare strampalato, eccessivamente romantico e poco credibile, ma la sensazione che provai era più che corretta. Non mi sbagliavo.
«Seguimi» gli dissi sorridendo.
Sì, era sotto shock, ma le gambe funzionavano. Mi seguì fino all’altare e rimase accanto a me fino alla fine della messa.
Quella sera, i nuovi vicini da Dallas furono nostri ospiti a cena. I signori Allen erano simpatici e, poco dopo, scoprii che anche il ragazzino lo era. Non parlava molto, ma quando prese confidenza, mi fece sbellicare dalle risate. Faceva battute poco appropriate sulle donne anziane che rischiavano di sputare la dentiera durante i canti, in chiesa. Quando finimmo di cenare, lui sembrava triste. Non voleva andare a casa. Lo salutai con la promessa di vederci il giorno dopo. Avevo così tante cose da dirgli. Parlargli dei miei libri preferiti, sperando che gli piacesse leggere. Avevamo tutta l’estate per scoprire tante cose uno dell’altra, prima di cominciare il liceo.
Ecco, da quel giorno non ci siamo più separati. Siamo cresciuti, abbiamo combinato guai (lui più di me), ma sempre insieme. Abbiamo condiviso tutto, nel bene e nel male. Avevo solo tredici anni allora e sapevo che molte persone sarebbero entrate e uscite dalla mia vita. Ma Bentley Allen era entrato per restare lasciando un’impronta indelebile nel mio cuore.
Capitolo 1
Bentley
L’unica persona al mondo che può trascinarmi in chiesa la domenica mattina è la pazza che sorride raggiante accanto a me.
«Smettila di sbadigliare» dice, dandomi un pizzicotto sulla coscia.
Non è che trovo noioso stare qui, ma non ho chiuso occhio la notte scorsa. Gli occhiali da sole sono una manna dal cielo, in questi casi. A quest’ora dovrei essere nel mio letto, solo con i boxer e l’aria condizionata sparata in faccia. Invece sono qui, seduto sulla panca, vestito di tutto punto perché non ricordo l’ultima volta che le ho detto di no. Anzi, non è mai successo. Non so che tipo di influenza abbia su di me questa ragazzina bionda, ma ce l’ha e ne approfitta sempre.
«Bent.»
Altro pizzicotto. Uscirò da qui con l’emicrania e un paio di lividi. La gente intorno a noi ascolta padre Baker. Lo considero come un padre. Mi è stato accanto nei momenti più difficili della mia vita e so che lo sarà anche in futuro. È un uomo che sa ascoltare senza giudicare. Comprensivo, gentile e simpatico. Serio, quando la situazione lo richiede. È una caratteristica della famiglia Baker, essere indispensabili. I genitori di Faith sono alla mano, amorevoli. Esattamente l’opposto dei miei. Non sono mai stati amorevoli. Simpatici? Neanche a parlarne. Di mio padre ricordo solo le urla, le imprecazioni e le botte. Se n’è andato due anni fa e non ho mai versato una lacrima per lui. Meritava di morire.
Mia madre è seduta due panche davanti a me. Non le piace andare in chiesa, ma spera che la fede possa alleviare le sue colpe. È sempre stata brava a fingere, quasi quanto me.
«Cerca di non svenire per i prossimi cinque minuti. Tocca a me.»
Faith si alza e raggiunge l’altare. I coristi si spostano per farle spazio in prima fila. Nora, sua madre, sfiora i tasti del pianoforte. Guarda la figlia, annuisce e comincia a suonare. Oggi canteranno una delle canzoni preferite di Faith, la versione gospel di Man in the mirror . Sono quasi sicuro che Michael Jackson rimarrebbe impressionato, come tutti i presenti. La voce melodiosa di Faith mi fa venire i brividi ogni volta, anche se sono sbronzo. È un talento naturale.
Mi godo questo momento e ripenso a quel giorno di cinque anni fa, quando per la prima volta agganciò i suoi occhi ai miei. Le bastò un solo sguardo per vedere la mia tristezza, la rabbia, la confusione, la vergogna. Mi fece sentire nudo. Quella ragazzina grassottella con le trecce era riuscita a trovare le risposte prima di me.
Faith mi sorride mentre interpreta il magnifico assolo, sa che non mi perderei neanche una nota. Ogni volta che la sento cantare, una pace assoluta mi avvolge facendomi dimenticare per un po' la vita fantastica che fingo di avere. Quando finisce la canzone mi alzo e applaudo, con molta enfasi. Nonostante l’emicrania riesco a fare il buffone come piace a lei.
«Wow!» urlo battendo le mani. «Grazie Gesù!» continuo.
Padre Baker sorride discreto. Sa quanto posso essere idiota la domenica mattina. Faith cerca di trattenersi, ma non ci riesce. Si nasconde dietro la signora Jennings, che le fa da scudo umano mentre si sbellica dalle risate. Dopo gli applausi torno serio. Padre Baker benedice tutti e amen. Mi alzo ed esco prima che mia madre possa solo pensare di farmi domande alle quali non voglio rispondere. Mi allontano veloce sapendo che Faith mi raggiungerà presto. Ha un piano per il resto della giornata, ne sono sicuro.
«Bentley.»
Non sono stato poi così veloce.
«Dove sei stato? Ti ho chiamato mille volte.»
«In giro.»
«Non credi che abbia il diritto di sapere con chi passi la notte? Credi di poter fare ciò che vuoi, quando vuoi, perché hai diciotto anni? Ero preoccupata. Non ho voluto chiedere a padre Baker perché non volevo disturbarlo e perché non voglio che la gente pensi che non ho nessun controllo su mio figlio.»
Padre Baker non lo pensa, lo sa. Faith sapeva dov’ero e con chi, quindi sono a posto.
«So che non abbiamo un rapporto facile, ma ci sto provando. A stento mi parli, quando invece io cerco di comunicare. Cosa ti ho fatto, eh?»
Sa esattamente cosa ha fatto. Non ha parlato quando avrebbe dovuto farlo. Non mi ha protetto. Non mi ha difeso.
«Ci vediamo dopo» rispondo senza guardarla. Affretto il passo mentre incurva le spalle, sconfitta. Potrei spiegarle come mi sento, cosa provo, ma sarebbe inutile. L’ultima volta che ci ho provato, è rimasta in silenzio mentre il marito sfogava rabbia e delusione su di me. Pensava che servissero le maniere forti per farmi rinsavire. Per farmi tornare normale. Per cancellare l’immagine del figlio che baciava qualcuno che non doveva assolutamente baciare. Da quel giorno tutto è cambiato tra noi. Ricordo il trasferimento da Dallas. Avevano deciso di scappare da quella città. La scuola era appena finita. Non mi avevano chiesto cosa ne pensavo. Un’ora di macchina e tante lacrime dopo, arrivammo in questa cittadina dove le tradizioni sono ancora rispettate. Il prete è un uomo fantastico e la sua famiglia mi ha praticamente adottato. Adesso so che fu un bene, ma a tredici anni mi sembrava l’inferno.
Arrivo davanti alla casa di Faith. Passo dal retro e mi arrampico sull’albero di fronte alla finestra della sua camera. Entro e mi fiondo sul letto, sfinito. Il cuscino ha il suo odore e tanto basta per calmarmi. Ho passato molte notti in questo letto, in questa casa, in questa famiglia.
«Oh, mio Dio! C’è un barbone tatuato sul mio letto!»
Faith si siede e mi da una pacca sul sedere.
«Oh, mio Dio! L’ho toccato. Andrò all’inferno» continua teatralmente.
«Oh, Dio. Ti prego, fa che questo barbone si alzi e vada a fare una doccia.»
Adesso il barbone si gira e la mette al suo posto. Sotto di me. Le blocco i polsi sulla testa e cerco di non schiacciarla con il mio peso.
«Andrai all’inferno per aver detto che puzzo.»
«Non l’ho detto.»
«Invece, sì.»
«Ho l’olfatto sensibile. Il tuo non funziona.»
Avvicino il viso al suo. Le sfioro il naso. Lei finge di trattenere il respiro e dopo due secondi scoppia a ridere.
«Sei una brutta persona, lo sai?»
«Lo so, ma tu puzzi lo stesso.»
Mi sta solo consigliando di fare una doccia, visto che ho passato tutta la notte a fare sesso con Matt, e lei lo sa. Mollo la presa sui polsi e ci mettiamo seduti. All’improvviso diventa seria, troppo. Mi guarda dispiaciuta e so perché.
«Avete parlato?»
Annuisco.
«Vi siete chiariti?»
«Non abbiamo chiarito niente. È stato solo sesso, come sempre.»
«Oh, Bent!» sbuffa, lasciandosi andare all’indietro sul materasso.
«Oh, Faith!» la imito.
Si gira, fissandomi esasperata.
«Ti avevo detto che non era una buona idea. Ha già chiarito la sua posizione e a te non sta bene. Quindi perché continui a farti del male? Se fossi innamorato, sarebbe diverso. Forse ti lasceresti andare, ma non mi sembra questo il caso.»
«Esatto, non è questo il caso.»
«Ma così facendo gli fai del male e non è giusto.»
Non sono giuste un sacco di cose, ma preferisco gestire la situazione a modo mio.
«Non gli ho giurato amore eterno. Posso dargli solo sesso.»
«Perché non…»
Oh, no. Non è proprio il momento di affrontare l’argomento. Vuole che sia felice e lo apprezzo, ma non ha mai capito che mi basta la sua amicizia, il suo affetto, la sua presenza a farmi stare bene. Non ho bisogno di nient’altro. La zittisco appoggiando un dito sulle sue labbra. Si limita a sbuffare perché non le piace lasciare le cose in sospeso.
«Ho bisogno di F.O.»
La invito ad appoggiare la testa sul mio petto. La stringo a me. Ecco il mio Faith Ossigeno.
«Mi dispiace, Bent.»
Odio sentire la sua voce rotta. Sta male per me, perché vorrebbe solo la mia felicità. Ma nonostante sia una ragazza straordinaria, non può cambiare le cose.
«So che non sarebbe facile, e so quanto ci stai male. Vorrei solo fare qualcosa per aiutarti.»
«Lo stai facendo. Proprio qui, proprio adesso.»
Le do un bacio sulla fronte. Non ha idea di quanto sia importante per me la sua vicinanza, la sua comprensione. Non mi ha mai giudicato, accettando tutto di me, anche la parte più oscura che ha imparato a conoscere.
«Tu sei un ragazzo straordinario, non dubitare mai di questo.»
Intreccia le sue dita con le mie.
«In un mondo perfetto, forse. Ma viviamo in un mondo pieno di ipocrisia e cattiveria, Faith. Preferisco lasciare le cose come stanno e fingere al meglio che posso.»
«Ti voglio bene.»
«Anch’io.»
Restiamo abbracciati in silenzio. Condividiamo i nostri respiri, i pensieri, il dolore. Mi aggrappo a lei, la mia speranza. Domani dovrò ricominciare a fingere e lo farò alla grande. Chiudo gli occhi e mi lascio vincere dal sonno. Arriva dolcemente, facendomi sentire in pace con quello che sono.
Capitolo 2
Faith
Primo giorno di scuola dell’ultimo anno di liceo. L’anno prossimo andrò all’università e non vedo l’ora. Finora ho vissuto la scuola con serenità, senza pensare troppo a quello che avrei voluto fare dopo, ma quest’estate ho passato il tempo a fantasticare, a guardare opuscoli sui corsi che frequenterò. Il futuro non mi spaventa, Bentley che cammina accanto a me con l’atteggiamento da predatore, sì. A guardarlo, non si direbbe che l’altro giorno era distrutto. Adesso sembra il padrone dell’universo. Io so come stanno le cose e a volte penso che dovrebbe vivere la sua sessualità in modo diverso. Posso solo stargli accanto in attesa che scelga da che parte stare.
«Sei pronta, ragazzina? È l’ultimo anno! Faremo faville, preparati.»
«Per faville intendi prendere buoni voti, non saltare le lezioni e comportarti bene in vista della borsa di studio che ti daranno?»
«Assolutamente, no!» risponde indignato.
Lo blocco per un braccio e lo fisso negli occhi. Quel cielo azzurro che non smetterà mai di impressionarmi.
«Invece è esattamente quello che farai. Ti comporterai bene e basta. Quando saremo all’università avrai tutto il tempo di andare alle feste e sbronzarti. Tutto chiaro?»
«Hai dimenticato il sesso.»
«Era sottinteso, per te.»
«A volte sei davvero noiosa, lo sai?»
«Sì, sono la voce noiosa della tua coscienza.»
Mi mette un braccio sulle spalle e sospira. I capelli neri, lunghi gli ricadono sulla fronte. Molte ragazze pagherebbero per toccarli e sistemarglieli dietro le orecchie. Per l’appunto, un gruppo di ragazze ci passano accanto sospirando. Dio! È dura stare accanto al ragazzo più desiderato della scuola, da entrambe le fazioni.
«Okay, andiamo a lezione di inglese e prometto di fare il bravo»