Empatia e Trinità
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Margherita Merone è nata e vive a Roma. Dottoressa in Teologia, ha pubblicato libri di favole (La stella Luce, Le storie della stella Luce e Le divertenti storie della stella Luce), opere di narrativa (Le profezie di Morgana, Diario, Diario-La gioia, Diario-La melodia nel cuore, Una favola da raccontare) e i saggi di cristologia; "Si dà una relazione empatica tra Gesù e il Padre? La cristologia dialoga con la fenomenologia"; Autocoscienza e Fede - Riflessioni teologiche sulla "persona" di Gesù. Per Passerino Editore ha pubblicato "Maria: una vita di umiltà e discepolato".
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Empatia e Trinità - Margherita Merone
Margherita Merone
Empatia e Trinità
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Indice dei contenuti
Empatia e Trinità
IL VISSUTO EMPATICO IN EDITH STEIN
PER UNA RILETTURA DELLA COSCIENZA DI CRISTO IN CHIAVE EMPATICA NELL’ORIZZONTE DELLA RIVELAZIONE TRINITARIA
Bibliografia
Dedicato ai miei genitori Gerardo e Gabriella e a mia sorella Cecilia.
Empatia e Trinità
L’intuizione della filosofa tedesca Edith Stein sulla questione dell’empatia, un vissuto particolare presente nel soggetto umano, ha stimolato la mia indagine. L’empatia si qualifica come quel vissuto che ci permette di sentire dentro lo stato d’animo dell’altro sapendo che non è il proprio. Si esce da se stessi per andare a cogliere il vissuto altrui, senza però che ci sia immedesimazione nell’altro, sentendo esattamente ciò che l’altro vive.
La finalità di questo lavoro, sulla base di questo assunto, è quella di dare una risposta ad un interrogativo particolare: è possibile ascrivere a Gesù, nella sua vera umanità, un vissuto empatico nei confronti delle persone che gli sono accanto? Esiste la possibilità di una relazione empatica tra Gesù e il Padre?
Nel panorama teologico contemporaneo trovo naturale che la cristologia vada alla ricerca di una ristrutturazione dinamica e versatile in modo da poter rispondere alle nuove questioni che si aprono nel campo della cristologia. Da tempo proliferano gli studi cristologici, ma la novità rilevante rispetto al passato è stata proprio l’apertura al dialogo con altri ambiti disciplinari che hanno permesso differenti proposte di lettura dell’evento Gesù Cristo.
Sappiamo qual è stato il punto di partenza dell’ortodossia cristiana, la definizione della formulazione dogmatica del concilio di Calcedonia nella quale è stato definito il mistero della compresenza nella persona di Gesù Cristo di due nature, divina e umana, senza confusione, né mutamento, senza divisione, né separazione; Egli è consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, tranne nel peccato. Si è specificata, pertanto, la piena consistenza dell’umanità di Gesù - che ha un corpo e un’anima - la sua esistenza divina e umana, per la « communicatio idiomatum», intesa quale comunicazione delle proprietà, lo scambio tra le due nature, con caratteristiche proprie, senza che alcuna di esse perda la propria integrità.
La storia di Gesù di Nazareth, da sempre al centro dell’interesse degli studiosi di tutto il mondo, è da una parte simile a quella di altri uomini nati in Palestina, dall’altra unica e irripetibile, è un evento storico che si è svolto in un tempo e in un luogo determinato, tra varie difficoltà, fraintendimenti, pericoli, condizionamenti dati dal contesto in cui si è svolta. La sua vita scorre dalla nascita all’infanzia a Nazareth, trascorsa a tratti serena, a tratti agitata da avvenimenti contingenti. Attraversa un periodo in cui Gesù è stato presente, comunque, nel silenzio dei vangeli, durante il quale cresceva, lavorava, faceva esperienza, pregava, si confrontava con i suoi coetanei, fino al giorno del battesimo in età adulta, che gli ha aperto la strada per la vita pubblica. Inizia la missione affidatagli dal Padre, nell’annuncio del Regno e della salvezza per tutti gli uomini, alternando giorni di entusiasmo - con la folla che lo segue e lo acclama - a giorni pervasi di quella drammaticità e da sentimenti di tristezza, solitudine, paura della morte e delusione che sono autenticamente umani. Continua la sua esistenza a contatto con la gente che lo ascolta e lo segue, ma c’è anche chi lo rifiuta e lo disprezza e altri ancora che all’inizio lo hanno seguito, poi, col tempo lo hanno abbandonato. Il vangelo registra più volte la difficoltà che ha la gente nel comprendere Gesù, ciò che dice e compie: «chi è costui?» ( Mc 1,27); «Perché costui parla così?» ( Mc 2,7); «Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?» ( Mc 4,41); Egli non si poteva d’altra parte catalogare tra la gente comune, era un uomo del tutto particolare. Gesù, figlio del falegname Giuseppe, è il Figlio di Dio che spogliandosi della sua divinità si è incarnato, si è assimilato agli uomini ed è proprio considerando questa sua umanità che è sorta col tempo, in campo cristologico, la questione sulla sua scienza e sulla sua autocoscienza.
Nel primo capitolo il lavoro coinvolge l’antropologia filosofica che guarda all’uomo nella sua totalità, per cercare di comprendere qualcosa dell’uomo Gesù. Infatti, come ogni uomo ha un corpo vivente e senziente, un’anima umana, un’operazione e una volontà umana, rispettando le definizioni dogmatiche. Lo studio sull’essere umano procede iniziando da ciò che è visibile all’esterno, il corpo, penetrandolo fino a raggiungere la parte più profonda dell’interiorità, per cogliere quel nucleo
che ci rende unici.
Per delineare nei punti principali il problema antropologico presento il contributo della filosofa tedesca Edith Stein. Il metodo di studio scelto dalla filosofa tedesca è quello fenomenologico. La fenomenologia nasce in Germania all’inizio del Novecento per opera del filosofo e matematico tedesco Edmund Husserl che, nel secondo volume della sua opera Ricerche logiche, tratta del metodo fenomenologico, che parte dall’atteggiamento naturale, quello che nasce nel quotidiano, che è un vedere sensibile. Si inizia considerando le cose stesse
( an die Sachen selbst) guardandole senza pregiudizi, lo sguardo va indirizzato all’essenza della cosa. Per arrivare a questo, va messo tutto tra parentesi, fuori circuito, fare epochè di tutto l’atteggiamento naturale che mostra il mondo esistente nella sua attualità.
Edith Stein, affascinata dalla fenomenologia di Husserl che considera il filosofo del nostro tempo
, segue per alcuni semestri i suoi corsi presso l’università di Gottinga e nel giro di pochi mesi entra a far parte del circolo fenomenologico
. Seguirà Husserl a Friburgo e ne diventerà l’assistente. Inizialmente si attiene agli insegnamenti del suo maestro, poi, col tempo se ne allontana. Husserl è il relatore della sua tesi sull’empatia. Edith Stein, infatti, studia i vissuti della coscienza, ma approfondisce specificamente la genesi del vissuto empatico, utilizzando, punto dopo punto, la metodologia fenomenologica. Il termine empatia
era stato già utilizzato dal filosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps - senza essere, però, ben tematizzato ed analizzato - per dimostrare la possibilità di definire concretamente il modo di conoscere il vissuto estraneo, cosa che, invece, fa la Stein seguendo propriamente il metodo fenomenologico. Empatia
, nella lingua tedesca è Einfühung, dal verbo fühlen, che significa andare a tentoni
o sentire nell’anima
, e la preposizione ein, dentro
, pertanto, l’empatia si delinea come un sentire dentro
.
È propriamente a questa sua ricerca che rivolgo maggiormente la mia attenzione.
Edith Stein si pone una domanda fondamentale a cui darà risposta: chi è l’uomo? Per lei è necessario conoscere la realtà nei vari fenomeni, o meglio, in tutte le forme in cui essa appare alla coscienza dell’essere umano. Entra, però, in seguito, nello specifico umano, della persona umana, della sua costituzione, dei soggetti estranei e le loro esperienze vissute. Analizza la vita della coscienza che non è come lei stessa afferma una scatola
nella quale sono racchiusi i vissuti, ma sono i vissuti stessi che confluendo uno nell’altro costituiscono la coscienza. Non c’è un’anima, una coscienza senza un io
, che può occupare questo o quel posto nell’anima, ma è solo nel punto più profondo che trova la sua propria dimora.
Una caratteristica specifica della vita psichica umana è l’ intenzionalità, nozione presente in Husserl e che definisce la capacità di dirigersi verso qualcosa, le cose, gli oggetti, le persone. La coscienza non è statica, ma è cognitiva, dinamica, tende sempre verso qualcosa che è altro da sé.
Una breve disamina del pensiero di Max Scheler e Theodor Lipps è necessaria per chiarire un discorso che si andrà successivamente ad intrecciare con quello cristologico. Con Scheler si parlerà di sentire
l’altro come Mitfühlen, sentire con
(co-sentire), per Lipps come Einsfühlen, uni-sentire
. Edith Stein respinge sia l’idea di unipatia di Lipps che quella del cosentire di Scheler, infatti, considera l’empatia ( Einfühlung), o meglio l’atto empatico, il movimento del soggetto che tende verso l’oggetto, secondo la nozione di intenzionalità.
Edith Stein delinea tre gradi dell’empatia: l’emersione del vissuto, la sua esplicitazione riempiente, l’oggettivazione del vissuto esplicitato. L’empatia, vissuto esperienziale che la filosofa definisce sui generis, mi consente di ascrivere una coscienza ad un altro soggetto, ad un altro io: « es sind uns fremde Subjekte und ihr Erleben gegeben» (ci vengono dati dei Soggetti estranei e la loro esperienza vissuta) [1] . Al termine della sua speculazione la filosofa afferma che il soggetto dell’empatia non è l’ io
o il tu
, ma il noi
, infatti, precisa chiaramente che: «dall’ Io
e dal Tu
emerge il Noi
in guisa di un Soggetto di grado più elevato» [2] .
La scelta del metodo d’indagine in questo capitolo è fondamentalmente fenomenologico, ma anche il metodo di studio scientifico proprio della psicologia gioca, in alcune parti del capitolo, un ruolo essenziale per l’obiettivo da raggiungere. Grazie ad esso è possibile osservare nella persona le azioni, gli stati d’animo, i sentimenti, i cambiamenti psicologici a cui va incontro, come sa affrontare la realtà. Grazie alle indagini nel campo sperimentale, che osserva e analizza in maniera obiettiva la realtà, possiamo avere una conoscenza più oggettiva della realtà stessa. Importanti in alcuni casi sono le indagini di laboratorio effettuate secondo le ultime tecniche strumentali più avanzate.
Nel secondo capitolo, particolarmente innervato di psicologia, il lavoro tratteggia l’esistenza di Gesù Cristo a partire dal concepimento fino alla morte, ripercorrendo gli avvenimenti come ci vengono narrati nei vangeli e ogni aspetto che appartiene all’umanità focalizzando l’attenzione, in particolare, sulla sua psicologia umana. Sebbene consapevole dei limiti, con l’ausilio della psicologia, ripercorro il modo
di vivere di Gesù per coglierne i sentimenti, le emozioni, gli umori, gli stati d’animo, le paure, il modo di comportarsi e di relazionarsi con le persone, con i discepoli, con Dio, suo Padre, mettendo in evidenza la sua vera umanità. Entro nel particolare del carattere e della personalità di Gesù secondo i dati recenti che provengono dalle ricerche psicologiche e neuroscientifiche. Ho avuto necessariamente bisogno di una metodologia multiprospettica, un confronto interdisciplinare per poter osservare la questione sotto diversi aspetti: il metodo storico critico di cui si avvale la scienza biblica, quello filosofico, in modo particolare quello fenomenologico, insieme al contributo della psicologia col suo metodo osservativo e sperimentale. Inoltre, quello clinico che appartiene propriamente alla psicanalisi e quando necessario quello scientifico delle neuroscienze.
La psicologia, in modo specifico, mi aiuta a delineare, per quanto possibile, la personalità di Gesù. Per parlare dei vari aspetti della personalità presentando tutte le conoscenze attuali ci vorrebbero molte pagine, ma una cosa è certa, gli studiosi concordano nel riconoscere che l’interazione tra la natura, intendendo le caratteristiche genetiche e l’ambiente eserciti una grande influenza sulla formazione della personalità. Personalità è un concetto dinamico che ha a che fare soprattutto con le persone con le quali entriamo in relazione, è in presenza degli altri che decliniamo la personalità e lo sviluppo personale. Gli studiosi fanno partire tutto dalla fase intrauterina in cui si stabiliscono relazioni con la madre, il padre e con gli altri, a seconda dell’interazione con essi. Si tratta di un legame affettivo molto intenso e importantissimo che avrà ripercussioni sulla salute e sulla sfera psichica del bambino. Occupa una posizione di preminenza la conoscenza che Gesù ha di Dio, l’esperienza profonda, intima, dialogica con il Padre nella preghiera. È un Padre che Egli chiama " abbà", ipsissima vox Jesu, voce di Gesù e della sua coscienza, che esprime la spontaneità e l’immediatezza di questo rapporto fatto di confidenza e sottomissione, nella totale obbedienza, testimonianza di quell’amore infinito da parte di colui che è stato generato nell’amore dal Padre.
Oggetto di interesse sono i sentimenti di Gesù che rivelano la sua persona, la sua reale condizione umana. La narrazione dei vangeli è intessuta di sentimenti che vengono espressi attraverso i verba affectuum presenti in tutti e quattro gli evangelisti, diffusi in modo uniforme. Particolarmente frequente e di esclusiva attribuzione a Gesù è il sentimento di compassione, seguono il turbamento, l’afflizione, la gioia, la meraviglia, l’esultanza nello Spirito ed altri ancora che esprimono chiaramente i moti dell’animo. Rivelatori della sua persona sono in particolare i verbi che indicano turbamento e non mancano verbi che indicano reazioni, ossia sentimenti che derivano da un particolare atteggiamento altrui. Sono proprio i vangeli, dunque, a mettere spesso in luce, in alcuni momenti decisivi, l’eccezionalità del sentire di Gesù.
Lo stile di vita di Gesù, le opere che compie, le parole che annuncia, la singolarità con cui si muove, lasciano intuire una novità che rinvia alla sua profondità personale di Figlio in relazione con il Padre. Quella tra Gesù e il Padre è l’epifania di una relazione che viene da molto lontano, da un rapporto assolutamente unico ed eterno in cui il Padre è l’origine del suo essere personale: «Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» ( Gv 1,18). Il Padre è l’interlocutore di un dialogo costante che attraversa tutta la sua esistenza terrena. Insieme alla preghiera il rapporto dialogico di Gesù con il Padre deve tener presente un altro dato importante che non può assolutamente essere trascurato: Gesù è il Figlio «pieno di Spirito Santo» ( Lc 4,1) e agisce «con la potenza dello Spirito» ( Lc 4,14), ne consegue che anche la sua relazione umana di Figlio non può essere pensata se non alla luce dello Spirito Santo. Infatti, ogni atto solenne nella vita di Gesù è opera dello Spirito e ne rivela la presenza.
Raccolto il materiale per raggiungere l’obiettivo di fondo della ricerca, procedo analizzando il sentire di Gesù verso la famiglia, gli amici, i discepoli, la gente e in modo particolare nei confronti del Padre. Mi chiedo cosa sente e come, se realmente provi empatia. Chiarita la sua posizione nei confronti delle persone, devo chiarire che tipo di relazione c’è tra l’io di Gesù e il tu del Padre. È possibile che Gesù senta dentro
il Padre? Come si potrà affrontare la questione a livello di natura divina e al livello della persona? Si può parlare di originarietà e non-originarietà? Cosa sente del Padre, perché e come lo sente? La questione coinvolge la Trinità delle Persone? Un altro aspetto estremamente importante che approfondisco è la mediazione della corporeità.
Il primo spunto per l’indagine mi è stato offerto leggendo il capitolo primo del libro di Edith Stein, Il problema dell’empatia, nel punto in cui tratta dell’essenza degli atti dell’empatia:
«Noi abbiamo intrapreso questa indagine nella generalità più pura; abbiamo cioè preso in considerazione e tentato di descrivere in generale l’empatia in quanto esperienza della coscienza estranea, senza peraltro tener conto del tipo cui appartengono tanto il Soggetto che esperisce quanto quello la cui coscienza viene esperita. Abbiamo soltanto trattato dell’io puro del Soggetto dell’esperienza vissuta, interpretandolo ora dalla parte del Soggetto, ora dalla parte dell’Oggetto e nient’altro è entrato nella nostra indagine. Così appare l’esperienza che un Io in genere può cogliere di un altro Io in genere. È in questo modo che l’uomo coglie la vita psichica dell’altro, è in questo modo che egli coglie pure, in qualità di credente, l’amore, l’ira e i comandamenti del suo Dio: non diversamente Dio può cogliere la vita dell’uomo. Dio, in quanto conoscenza perfetta, non s’ingannerà mai sui vissuti degli uomini, mentre gli uomini si ingannano tra loro sulla conoscenza dei reciproci vissuti. Ma pure per Dio i vissuti degli uomini non diventano vissuti propri, né hanno per lui la stessa specie di datità» [3] .
A farmi persistere nell’impresa, misurandomi col valore delle intuizioni della Stein, è stata poi la domanda che la filosofa pone alla fine della sua tesi dottorale:
«Ma come stanno adesso le cose in rapporto alle persone puramente spirituali, la cui rappresentazione non implica di per sé alcuna contraddizione? È forse impossibile pensare che tra loro non vi sia qualche relazione? Ci sono stati degli uomini che, in un improvviso cambiamento della loro persona, hanno creduto di esperire l’influsso della grazia divina, altri che nelle loro azioni si sentivano guidati da uno spirito protettore. (Non bisogna subito pensare al daimonion
di Socrate che in fondo non dev’essere inteso alla lettera). Chi deciderà se qui si tratti di un’esperienza genuina oppure di quella oscurità sulle proprie motivazioni, che abbiamo trovata nel considerare gli idoli dell’autoconoscenza. Ma, forse, in quest’ambito non è già data, con le immagini illusorie di un’esperienza del genere, anche la possibilità eidetica di una vera esperienza? In ogni modo mi pare che lo studio della coscienza religiosa sia il miglior mezzo per la risposta a questo problema, come d’altra parte tale risposta sia del più grande interesse per il campo della religione. Nel frattempo, lascio ad ulteriori ricerche la risposta al quesito posto e mi accontento in questa sede di un non liquet
» [4] .
Sono consapevole che la bibliografia per ogni singolo tema affrontato, a supporto e a convalida della mia ricerca, è immensa, pertanto, ho dovuto restringere il campo e prediligere, quale focus della mia attenzione, le opere dei vari autori, teologi, filosofi, psicologi, ecc., più vicini al tema specifico. Spero che questo saggio piuttosto che un limite venga inteso come uno stimolo per la cristologia contemporanea a non fermarsi, ad andare avanti, a speculare come san Paolo nell’Areopago di Atene che coraggiosamente non è rimasto nel silenzio, ma ha osato dire la sua nel rispetto e nella ragionevolezza senza pretendere di convincere nessuno, seguendo solo il coraggio della franchezza che ha contraddistinto la sua predicazione di Gesù Cristo. Qualsiasi discorso su Dio rimane congettura, tuttavia, non è improprio affermare che la teologia ed ogni discorso che gira intorno ad essa non può rimanere rinchiusa in una scatola, come se fosse un’impresa privata del teologo, piuttosto, deve dialogare con le altre scienze.
Aggiungo ulteriore bibliografia per un personale approfondimento dei temi in questione.
A tutti i professori – in particolare Nicola Ciola e Piero Coda - che hanno contribuito alla stesura di questa tesi esprimo la mia infinita gratitudine.
IL VISSUTO EMPATICO IN EDITH STEIN
Solo chi si sperimenta come persona, come totalità che possiede un senso, può capire altre persone; se no ci rinchiudiamo nella prigione della nostra particolarità; gli altri ci diventano un enigma oppure, ancora peggio, li modelliamo a nostra immagine e distorciamo così la verità
[1] .
Prima di parlare di una possibile relazione empatica tra Gesù e il Padre, data la complessità del tema, è necessario prendere in esame la struttura della persona umana e successivamente la questione dell’empatia, secondo l’approccio fenomenologico della filosofa Edith Stein [2] .
Per la mia ricerca è stato necessario creare un’interazione tra filosofia e teologia, è noto, infatti, sostiene la Stein, che entrambe contribuiscono - ciascuna secondo il proprio ambito, con un modo di procedere proprio e separato - all’edificazione di una metafisica e proseguono fino a quando non giungono ad incontrarsi. La filosofa riconosce che san Tommaso, nel prologo della Summa Teologica, ha spiegato con grande chiarezza l’autonomia di entrambe le scienze e la loro differenza, che consiste nella scelta dell’oggetto e del metodo. L’oggetto della teologia è Dio, ma si occupa anche del mondo, di tutte le cose create, perché tutto viene da Dio e torna a Lui, mentre l’oggetto della filosofia è il mondo creato, ma ha interesse anche per Dio perché in tutte le creature c’è un rimando a Lui. Diverso è anche il metodo usato, infatti, la teologia parte dalla Rivelazione e si serve della ragione naturale per rendere più comprensibili le verità della fede, mentre la filosofia ha come base la conoscenza naturale e considera le verità di fede come punto di riferimento per criticare i suoi risultati. Essendoci un’unica verità non ci può essere nulla che contrasti con la verità rivelata, pertanto, la filosofia si mette a disposizione della teologia fornendole quei mezzi dialettici necessari per l’esposizione delle verità di fede ed in essa trova la risposta a tutte quelle domande di senso che si pone, di fronte alle quali i mezzi di conoscenza di cui dispone non riescono a soddisfare [3] . La filosofia, inoltre, come sostiene il filosofo Rondinara, mantiene un ruolo mediatore tra la teologia e la scienza, uno spazio concettuale che non si identifica con nessuna delle due discipline, uno spazio neutro
capace di interagire con loro senza che ci sia compromissione, né pretesa di risolvere i loro problemi specifici [4] .
Fatta questa premessa, vorrei precisare che per lo studio delle opere di Edith Stein ho utilizzato i testi tradotti in italiano. Molti sono i suoi scritti, la filosofa tedesca spazia in molti campi del sapere, ma questo lavoro è il risultato dell’analisi effettuata in particolare sulle sue più importanti opere filosofiche e sulla lettura degli scritti autobiografici, cercando di delineare i punti fondamentali e gli elementi più caratterizzanti della sua riflessione, per giungere ad una visione d’insieme più completa possibile.
Particolare attenzione ho posto alle seguenti opere: La struttura della persona umana. Corso di antropologia filosofica; Potenza e atto. Studi per una filosofia dell’essere; Introduzione alla filosofia; Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica; Natura, persona e mistica. Per una ricerca cristiana della verità; Essere finito e Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere; Il problema dell’empatia.
In molte di esse il filo conduttore è rappresentato dall’articolazione del tema antropologico, dalla domanda sull’essere umano e come sia costituito. La filosofa è stata fin dall’inizio dei suoi studi attratta dai problemi legati al soggetto umano e al suo modo di relazionarsi con gli altri. Lei stessa scrive diverse volte che c’è sempre una correlazione tra noi e gli altri, un soggetto umano isolato non è che un’astrazione. Il suo oggetto di studio è dunque arrivare a comprendere la struttura della persona umana che si rileva, a mano a mano che procede nell’analisi, sempre più complessa.
Questo studio che la filosofa prosegue attraverso ulteriori approfondimenti raggiunge il culmine nella sua dissertazione sull’empatia, un particolare vissuto che mostra come il soggetto umano sia aperto all’intersoggettività e al mondo che lo circonda colto nella sua autenticità. Nella sua riflessione sull’empatia traspare inequivocabilmente il metodo fenomenologico husserliano, che non fa uso di dottrine tramandate, delle opere dei Padri o di pensieri di altri filosofi, piuttosto va alla ricerca di ciò che è necessario per la soluzione di una determinata questione. La studiosa Carla Bettinelli nota che: «Per quanto riguarda il metodo e lo scopo della fenomenologia, la Stein stessa, rimanda all’opera fondamentale di Husserl, Ideen, che ella, in qualità di assistente personale, ha potuto consultare prima ancora della pubblicazione» [5] , anticipando i risultati del suo maestro, come lei stessa ricorda nei suoi scritti autobiografici.
La fenomenologia, considerata la filosofia del nostro tempo, non vive di presupposti o pregiudizi, piuttosto preferisce andare alle cose stesse
, vedere la realtà così come si manifesta, guardare al mondo dei fenomeni
applicando la messa fuori circuito della posizione d’esistenza. La riduzione e l’analisi fenomenologica esige un diverso orientamento del pensiero e dell’intuizione, come afferma Husserl:
«[…] dobbiamo riflettere
cioè rendere oggetti questi stessi atti e il loro contenuto di senso immanente. In quanto intuiti, esaminati teoricamente, gli oggetti vengono posti come realtà effettive, in una modalità d’essere qualsiasi. […] proprio quegli atti, che finora non sono mai stati oggettuali, devono ora diventare oggetti di apprensione e di posizione teoretica; in nuovi atti dell’intuizione e del pensiero, dobbiamo osservarli, analizzarli nella loro essenza, descriverli, trasformarli in oggetti di un pensiero empirico o ideante. Ma questo è un indirizzo mentale che urta contro le nostre più solide abitudini, che si sono rafforzate sempre più, a partire dal momento iniziale della nostra evoluzione psichica» [6] .
Sospendendo ciò che è empirico, esistenziale, temporale, la filosofa partendo dal presupposto che ci sono soggetti umani e le loro esperienze vissute, focalizza l’attenzione sul rendersi conto
di ciò che l’altro vive interiormente - sapere cosa sia tale rendersi conto e non le vie attraverso cui sia possibile giungere ad esso - che costituisce l’essenza dell’atto empatico. Grazie a questa analisi chiarisce quello che accade nel momento in cui un essere umano incontra un altro essere umano e da questo giungere a comprendere la nostra costituzione. Attraverso la mediazione del corpo si arriva a cogliere la vita psichica dell’altro ed altri atti spirituali. Analizza la costituzione dell’individuo psicofisico, intendendo per costituzione
il modo in cui si offre. Partendo dalle caratteristiche dell’essere umano legato alla temporalità, fragile e contingente, seguendo sempre un’accurata analisi fenomenologica, risale all’Essere che ha come connotazione fondamentale l’eternità.
Di questa figura femminile così interessante, versatile e poliedrica hanno scritto parecchi studiosi, sociologi, filosofi, educatori. Da diversi anni l’interesse per lei sia in campo teoretico sia nella riflessione mistica e teologica ha stimolato gli studiosi a scrivere monografie, studi specifici sulle sue opere filosofiche, articoli che riguardano i vari ambiti di cui si è interessata. È prima di tutto in campo filosofico che ha lasciato un segno di grande originalità, tanto da creare un ponte tra la filosofia contemporanea, in qualche modo sintetizzata dalla fenomenologia di Husserl e la tradizione medievale, da lei amata e studiata con grande dedizione, espressa dal pensiero di Tommaso. Dalla sua voce e con il contributo degli studiosi che hanno approfondito le sue opere mi è stato più facile avere una visione più chiara del suo pensiero che in alcuni punti risulta di non facile comprensione.
La scelta del metodo d’indagine in questo capitolo è fondamentalmente fenomenologico, che ci permette di giungere alle cose stesse ( an die Sachen selbst), all’essenza attraverso l’intuizione.
La persona umana è un organismo vivente che appartiene al mondo vegetale e animale, ma possiede una propria struttura specifica e una coscienza, ha un corpo, una psiche, un’anima, dunque, è costituita da una serie di aspetti, di cui quello predominante è lo spirito, che la differenzia da tutte le altre creature. L’essere umano è essenzialmente spirito.
Mi occupo prima della struttura della persona umana secondo l’articolazione proposta da Edith Stein e successivamente affronterò un tipo particolare di vissuto da lei approfondito, appunto, quello empatico - che permette di sentire interiormente lo stato d’animo dell’altro con la consapevolezza che non sia vissuto in prima - per farne una trasposizione nell’uomo Gesù cercando di capire se abbia vissuto una relazione empatica con le persone e ancora di più con il Padre.
Si rende necessaria un’analisi essenziale della persona per distinguere ciò che è legato esclusivamente al mondo esterno e che ha a che fare con la percezione - che permette, quindi, di sentire gli oggetti in carne e ossa, ossia nel senso reale di come sono dati - dall’empatia in cui l’oggetto non è presente, infatti, non è possibile toccare uno stato d’animo.
Edith Stein analizza la vita della coscienza isolandone i vissuti che la costituiscono, in questo modo il vissuto empatico si qualifica come un uscire da se stessi per andare a cogliere il vissuto altrui, senza la possibilità di una unipatia. L’empatia, infatti, non significa provare antipatia o simpatia per qualcuno, così come non ha nulla a che fare con il sentire insieme o l’immedesimarsi in qualcun altro sentendo esattamente ciò che l’altro vive.
L’autrice descrive l’essenza degli atti di empatia attraverso i quali si coglie l’esperienza vissuta estranea. La persona umana ha la capacità di sentire dentro lo stato d’animo dell’altro, ma senza viverne l’originarietà, ossia lo coglie in modo non originario, non è un vissuto personale, che si vive qui e ora. La persona sa con certezza che lo stato d’animo provato da un altro non è il suo, non è originario.
Dovrò dare una risposta alla seguente domanda: se questo stato di cose vale per i soggetti umani cosa succede quando parliamo di Gesù, una persona nella quale convivono la natura divina e quella umana?
Il metodo di studio scientifico proprio della psicologia gioca, in alcune parti del capitolo, un ruolo essenziale per l’obiettivo da raggiungere. Grazie ad esso si possono osservare delle persone i vari atteggiamenti, le azioni, gli stati d’animo, i sentimenti, le eventuali problematiche psichiche, con tutte le variabili a seconda della situazione. Grazie alle indagini nel campo sperimentale si possono studiare i cambiamenti a cui una persona va incontro e successivamente operare un confronto tra i vari individui. D’altra parte, la modalità tipica del metodo scientifico è quella di raggiungere una conoscenza della realtà il più oggettiva possibile, nonché verificabile.
1.1 EDITH STEIN INCONTRA IL FONDATORE DELLA FENOMENOLOGIA
Non si può comprendere la filosofia e tutto il pensiero di Edith Stein senza conoscere prima, per grandi linee, il metodo fenomenologico del suo maestro, Edmund Husserl. Egli getta le basi di una nuova indagine filosofica, la fenomenologia, pubblicando nel 1900-1901 Ricerche logiche ( Logische Untersuchungen). Importanti sono anche Filosofia come scienza rigorosa [7] ( Philosophie als strenge Wissenschaft) nel 1911 e Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica I [8] ( Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie I) nel 1913.
La sua inclinazione per la filosofia viene presto alla luce, in particolar modo dopo la lettura del secondo volume delle Ricerche logiche nel quale Edmund Husserl propone il suo metodo fenomenologico, la fenomenologia, nuova forma di filosofia intesa come scienza rigorosa [9] .Il primo volume delle Ricerche logiche fece scalpore per la critica allo psicologismo che dominava in quel momento. Nel secondo volume che uscì l’anno seguente c’era una novità, per la prima volta per trattare problemi logici veniva utilizzato il metodo che Husserl chiamò metodo fenomenologico, che estese, poi, a tutti i campi della filosofia. Edith ne rimane affascinata, così, infatti, scrive:
«Le Ricerche logiche avevano suscitato scalpore soprattutto perché apparivano come un distacco radicale dall’Idealismo critico di impronta kantiana e neo-kantiana. Vi si riconobbe una nuova Scolastica
, poiché lo sguardo si distoglieva dal soggetto per rivolgersi alle cose: la conoscenza apparve di nuovo un accogliere che riceve la sua legge dalle cose stesse, non - come nel Criticismo - un determinare che costringeva le cose ad accettare la sua legge» [10] .
La giovane Edith, da quel momento, non ha che un pensiero, seguire le lezioni di Husserl. Così, si trasferisce a Gottinga decisa a non perdere una lezione del fenomenologo [11] , lì si discute di filosofia giorno e notte, ovunque si parla solo di fenomeni
[12] . L’impatto dirompente del libro di Husserl Ricerche logiche aveva condotto a Gottinga molti studiosi attratti dalla portata rivoluzionaria dei principi del nuovo metodo che «prometteva una filosofia come scienza dei veri inizi, delle origini, delle radici di tutte le cose e con essa una scienza fondata su intuizioni evidenti» [13] . La nuova metodologia puntava ad un «ritorno alle cose stesse» attraverso la descrizione dei fenomeni
, ossia afferrando solo ciò che ci si mostra in modo evidente, al fine di raggiungere una scienza rigorosa basata su dati assolutamente indubitabili. D’altra parte in tutti gli studiosi che ascoltavano Husserl c’era «una nostalgia dell’oggettivo, della santità dell’essere, della chiarezza e della purezza dell’oggetto, della cosa stessa» [14] .
A ventuno anni racconta il suo incontro con Husserl - che ammira profondamente «perché di una cosa ero fermamente convinta: Husserl era il filosofo del nostro tempo» [15] - con queste parole:
«[…] vidi per la prima volta Husserl in carne ed ossa davanti a me
. Il suo aspetto non aveva nulla di appariscente o sconvolgente. Era il classico tipo di professore distinto. Statura media, portamento dignitoso, una testa bella e importante. Il suo accento tradiva subito l’origine austriaca: proveniva dalla Moravia e aveva studiato a Vienna. Anche nella sua serena amabilità c’era qualcosa della vecchia Vienna. Aveva appena compiuto 54 anni. Dopo la discussione generale chiamò, ad uno ad uno, i nuovi
presso di sé. Quando dissi il mio nome, disse: Il dottor Reinach mi ha parlato di Lei. Ha già letto qualcosa di mio?
Le Ricerche logiche". […]"Tutte le Ricerche logiche? Tutto il secondo volume.
Tutto il secondo volume? Questa è davvero un’impresa eroica", dissesorridendo. Cosi venni ammessa» [16]