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Chiesa Criminale: Una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni
Chiesa Criminale: Una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni
Chiesa Criminale: Una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni
E-book264 pagine4 ore

Chiesa Criminale: Una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni

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Info su questo ebook

«La ferocia della Chiesa contro gli eretici si manifestò indiscriminatamente nei confronti di tutti coloro che si permisero di mettere in discussione il suo potere. Questa inizialmente si limitò a interdetti, scomuniche o esili, ma ben presto assunse le fosche tinte dell’eliminazione fisica».

La storia della Chiesa cattolica è costellata di crimini: milioni di esseri umani sono stati massacrati in nome di Dio, sotto la furia distruttrice di un potere che per sopravvivere e prosperare ha fatto ricorso all’imposizione, alla violenza, alle stragi e all’inganno.
Oggi solo i metodi sono cambiati: nessuno tollererebbe ancora roghi e plateali massacri. La Chiesa di Bergoglio, osannata dai più come quella del “cambiamento”, ha inaugurato e continua a portare avanti il pontificato delle banalità, delle parole dirette alla pancia della gente, delle dichiarazioni apparentemente anti-teologiche, della finta ingenuità, del «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

In questo libro scoprirai:
  • Ipazia: il primo femminicidio documentato della storia
  • Inquisizione, delitti e massacri in nome di Dio
  • l’immonda piaga della pedofilia
... e molto altro ancora.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita11 nov 2022
ISBN9791255281139
Chiesa Criminale: Una scia di sangue in nome di Dio lunga 2000 anni

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    Anteprima del libro

    Chiesa Criminale - Laura Fezia

    Prefazione

    Ci sono dei ricordi che rimangono dentro di noi, indelebili. Uno di questi, che ha tracciato la mia vita personale, è quello del mio vecchio professore di Storia. Un classico topo da biblioteca, neppure tanto comunista. Aveva sì una lunga barba e gli occhialini rotondi alla Gramsci, ma alla fine era solo un mite appassionato lettore che amava leggere di tutto, un burbero e scontroso eremita che passava intere giornate a documentarsi sui fatti più remoti del passato. La sua immagine però la rievoco associandola a un piccolo episodio: durante una lezione si parlava di Chiesa, credo di Patti Lateranensi, e citando alcuni passaggi fondamentali del rapporto tra il Vaticano e il nostro Paese, a un certo punto alzò la testa e disse, con un’ingenuità quasi disarmante: Ma com’è possibile credere a un’istituzione che, appena apro una pagina di un qualsiasi libro, emerge subito una contraddizione?.

    Contraddizione… già! Da un punto di vista sociale e umano, avevo già fatto una riflessione analoga, senza attingere però ai grandi eventi della Storia. La mia famiglia non frequentava molto la parrocchia e i miei genitori si stavano separando. Grandi liti in famiglia. Mentre a catechismo m’impartivano lezioni di altruismo, bontà, generosità, amore per il prossimo eccetera, le stesse persone praticavano nei miei confronti e dei miei genitori il pettegolezzo. Contro mia madre e la sua solitudine, contro la loro situazione complessa. Contro me e mia sorella, che essendo due bambini, come ovvio crescevamo in difficoltà perché sapevamo che papà e mamma non si amavano più. Di quel periodo non ricordo nessuna parola di carità da parte dei vicini, tutti devoti cattolici, nessuna parola di comprensione. Ricordo solo le cattiverie, le meschinità, i subdoli comportamenti che iniziarono proprio a farmi riflettere su che cosa di fatto era per me quella Chiesa, quella religione. Quel sentimento… Pensavo a quale gabbia mentale, e poi negli anni di studi filosofici all’Università, quale trappola di follia che uccide persino l’idea stessa di Dio, come concetto alto, importante nonché antropologico, per quanto il mio ateismo sia riuscito nel tempo a ragionare anche su questa importante questione leopardiana, «A che tante facelle?», ma soprattutto a quante contraddizioni ci sono dietro ogni religione, dietro alla Chiesa, alle istituzioni che la tengono in piedi, potenti su tutto il pianeta.

    E di fatto credo che il nucleo centrale di questo saggio, la parola su cui poggiano le pagine scritte da Laura Fezia che seguono, sia proprio questo: il concetto di contraddizione, quella maledetta contraddizione che pone la storia della Chiesa di fronte alle sue inequivocabili responsabilità su alcune delle vicende più atroci della storia dell’umanità.

    L’autrice, con una precisione quasi chirurgica, sia nelle citazioni che nelle argomentazioni storiche non fa altro che constatare quanto il cristianesimo, dalla sua nascita e poi tradotto nei secoli nelle varie forme dottrinali (cattolici, protestanti, ortodossi, ecc.) ci ha fatto annegare solo in un mare di contraddizioni, raccogliendo alla fine la testimonianza documentata di milioni di morti: crociate, massacri, saccheggi, stupri, impiccagioni, roghi, stermini, genocidi, sevizie, torture. Intere biblioteche ci raccontano di come la Chiesa abbia fatto commercio di donne, di uomini e di bambini, di come abbia per tornaconto politico sostenuto i regimi più feroci e reazionari fiancheggiando dittatori quali Mussolini, Hitler, Pinochet, Franco, i colonnelli greci, i regimi dell’America Latina. E tutto questo in nome di un Dio che hanno definito dell’Amore.

    Per non parlare delle infinite contraddizioni della Bibbia che, come ha precisato José Saramago, non è altro che «un catalogo della cattiveria umana che per giustificarsi ha creato un Dio cattivo». Basta sfogliarla in effetti, anche solo distrattamente, per rendersi conto di come la pena di morte sia la condanna più diffusa, e che la maggior parte delle pagine dell’Antico Testamento non sia altro che costituita da storie di soldati armati fino ai denti che, per la conquista di territori, hanno sterminato popoli, saccheggiato villaggi, bruciato intere città e alla fine si sono proclamati vincitori sulle teste mozzate del nemico. Non è un caso che il Dio degli ebrei sia chiamato anche il Signore degli Eserciti.

    Ma allora, non è questa forse l’ennesima contraddizione, che un archivio di mostruosità, non sempre attendibile per altro, sia considerato il libro dei libri? E che, nel momento stesso in cui ci dedichiamo alle pagine evangeliche, quelle più oggettivamente umane, quelle in cui emerge una vera e propria trasformazione antropologica del concetto di monoteismo, pur tralasciando la discutibile questione storica di Gesù di Nazareth ma accettando solo la sua figura di rivoluzionario come disse l’antropologa Ida Magli, ci rendiamo conto di quanto la sua parola sia stata strumentalizzata, travisata, manipolata in modo indegno dalla politica del passato quanto quella dei giorni nostri, dove il rosario e il Vangelo vengono branditi a fini elettorali, populistici e demagogici? Vogliamo parlare delle contraddizioni che legano le parole di Gesù con il comportamento abietto, misogino, omofobo, xenofobo di chi ogni giorno frequenta la Casa del Signore? E così tornano i miei ricordi di infanzia…

    Tenendo fermo anche un altro punto storico politico che non possiamo per nessuna ragione dimenticare: lo scontro di civiltà che si continua a leggere in chiave religiosa è solo l’ennesima contraddizione. Ciò accade dalla notte dei tempi, da quando le religioni si autodefiniscono l’origine e la forma dell’identità di un popolo (e anche in questo passaggio storico fondamentale, Laura Fezia dice parecchio nelle pagine che seguono). Così l’Italia sarebbe cattolica, l’Europa rappresenterebbe la cristianità, i Paesi del nord sarebbero protestanti, gli Arabi islamici, l’India induista. Ma non è forse questa l’equazione semplicistica, banalizzata, falsa e grottesca dei sovranisti, una nazione (o una confederazioni di Stati) uguale una religione? E in questo millennio, le religioni monoteiste – e i suoi derivati, che spesso sono intrisi di un fanatismo ancora più raccapricciante del loro brand originale – si spartiscono, calcolatrice alla mano, il nuovo mercato globalizzato delle anime. Tutti, comunque, sempre in competizione tra di loro per chi primeggia. Ieri come oggi. Eppure, se in Europa oggi si è raggiunto un discreto livello di democrazia individuale, lo dobbiamo essenzialmente al processo di secolarizzazione che ha determinato, dall’Illuminismo, una forte emancipazione della società rispetto all’arretratezza e all’incapacità di progredire di ogni religione, Chiesa cattolica apostolica romana in primis. Anche perché Dio e i suoi gregari non amano il sapere e i libri. Il loro principale fertilizzante rimane sempre l’ignoranza e l’analfabetismo di massa.

    Insomma, il catalogo è questo, e Laura Fezia le contraddizioni di cui ho accennato sopra le viviseziona storicamente in modo inoppugnabile con una lettura che si fa incalzante, appassionante e potente, anche quando per dovere etico è costretta a parlare di quell’ignobile sciagura che è la pedofilia sacerdotale. E mi permetto solo di osservare, non è di fatto anche questa l’ennesima ultima e triste contraddizione: che coloro che si sono macchiati del più infame dei crimini siano anche gli stessi che si riuniscono con lo scopo di debellarlo?

    V’invito dunque alla lettura di Chiesa criminale perché parafrasando il premio Nobel Bertrand Russell, filosofo e matematico che subì a New York, per il suo ateismo, un squallido processo dove venne giudicato inadatto per l’insegnamento nel City College:

    «Forse l’umanità è alla soglia di un periodo aureo; ma per poterla oltrepassare sarà prima necessario trucidare il drago di guardia alla porta: questo drago è la Chiesa».

    PAOLO PEDOTE

    Paolo Pedote, scrittore e filosofo pulp, collabora con diverse radio e riviste.

    Tra le sue pubblicazioni più importanti: 101 motivi per credere in Dio e non alla Chiesa (Newton Compton 2009); Storia dell’omofobia, con la prefazione di Gian Antonio Stella, (Odoya 2011); L’apocalisse secondo Pier Paolo Pasolini (Stampa Alternativa 2013); I crimini della Bibbia (Area51 Publishing 2015); I bambini di Escher (Todaro 2017) e Il perfetto paraculo. Manuale per aspiranti italiani (Imprimatur 2018).

    Introduzione

    Nel suo tradizionale discorso in occasione del Natale 2018, Jorge Mario Bergoglio, in arte papa Francesco I, si è di nuovo scagliato contro l’avidità e i beni materiali: «L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita»¹. Il pontefice non era nuovo a tali esternazioni: per esempio, nell’omelia del 13 ottobre 2013, in Santa Marta, aveva ammonito i presenti affermando: «L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali»² e in un’udienza del 24 febbraio 2016 aveva ricordato che «ricchezza e potere sono strumenti di morte»³.

    Curioso.

    Forse il pontefice dimentica (o finge di dimenticare) che la Chiesa di Roma – dapprima cristiana, poi, dal 1054, cattolica – è un’imponente holding che da sempre ammassa ricchezze e ha costruito se stessa e il proprio potere attraverso la violenta imposizione della «fabula Christi».

    Possiamo vedere riprodotto in milioni di immagini, film, santini, libri devozionali, pubblicazioni varie e in eccelse opere d’arte il presupposto che ha consentito, e ancora consente, a santaromanachiesa di campare sulla paura del gregge: si tratta di tre croci sul Golgota e rappresenta l’esecuzione di altrettanti uomini, che secondo il capitolo 23, versetto 32, del Vangelo di Luca sono tre malfattori, almeno nella versione in greco e in latino. Nella traduzione italiana a cura della CEI questo dettaglio è sparito⁴, così come sono stati interpretati a favore di una visione idilliaca alcuni passi dai quali si evince come il rabbi Yehoshua non fosse un mansueto agnellino ma una predicatore violento, e gli uomini che lo accompagnavano non disdegnassero, all’occorrenza, di ricorrere alle armi seguendo l’esempio del loro capo:

    «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10, 34-36); «Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Lc 22, 36); «Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro» (Gv 18, 10).

    Naturalmente se chiedessimo spiegazioni a «Famiglia Cristiana», l’esperto di turno ci risponderebbe che quei brani vanno letti in chiave metaforica e significano che «la scelta per il Vangelo è costosa in termini di impegno nella vita»⁵.

    Quando oggi, attraverso i media, ci giunge notizia di qualche sedicente santone che vive senza lavorare e, circondato da un certo numero di fedelissimi discepoli, vende le proprie perle di saggezza a gruppi più o meno nutriti di sprovveduti che si sono fatti sedurre dal suo carisma, pertanto sono ben lieti di sovvenzionarlo, gridiamo alla truffa. Ma se leggessimo attentamente i vangeli, ci imbatteremmo in una situazione analoga: troveremmo Yehoshua e i suoi dodici bodyguard costantemente in giro – entro un’area collocata tra la Galilea, la zona del lago di Tiberiade, la Giudea, la Samaria e Gerusalemme – intenti a banchettare in casa di qualcuno, accompagnati e mantenuti da alcune facoltose donne:

    «In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni»⁶ (Lc 8, 1-3).

    La pacchia, però, non durò in eterno e l’avventura ebbe il tragico epilogo del Golgota. Dopo la morte del rabbi, i suoi fedelissimi, capitanati da Pietro, si riunirono in una ecclesia⁷, dove continuarono a mantenere le caratteristiche di una vera e propria setta, come si evince dall’episodio che ha come protagonisti i coniugi Anania e Saffira (At 5, 1-11) defunti a breve distanza l’uno dall’altra per essersi tenuti parte del ricavato della vendita di un campo invece di consegnarlo interamente alla comunità. Li uccise lo stesso Pietro? Forse. Ma se anche non fu lui l’esecutore materiale del loro assassinio, i due poveretti morirono di infarto terrorizzati dalle conseguenze del sotterfugio, che evidentemente conoscevano bene.

    Termina più o meno qui quell’antefatto di cui la Chiesa si è indebitamente appropriata per costruire il proprio potere: non parliamo ancora di cristiani, poiché non solo questa parola non esisteva, ma non erano nemmeno iniziate la spiritualizzazione di tutta la vicenda e la divulgazione di quel messaggio di amore universale, rivolto all’intera umanità, che l’istituzione sbandiera in continuazione. Negli stessi vangeli, infatti, viene chiaramente enunciato quale fosse lo scopo di Yehoshua, al quale interessava molto poco il destino di tutti gli uomini:

    «Questi Dodici, Gesù li inviò dopo averli così istruiti: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10, 5-6); «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24).

    Solo una ventina di anni dopo il doloroso esito del Golgota, tale Paolo di Tarso, un ometto striminzito, calvo, con le gambe storte⁸, affetto da una misteriosa malattia⁹, alla probabile ricerca di un lavoro redditizio e stabile, decise di appropriarsi di una vicenda di cui intuì le potenzialità. Allora la stravolse, pescando nella cultura ellenistica e in altre tradizioni, vi infilò a viva forza un’aura di spiritualità che Yehoshua non si era mai sognato nemmeno di immaginare, inventò di sana pianta alcuni trucchetti per correggere ciò che strideva (primo fra tutti il peccato originale) e iniziò a vendere il proprio prodotto urbi et orbi, allargando il target al di fuori della ristretta cerchia delle «pecore perdute della casa di Israele». Poiché fino a poco tempo prima aveva perseguitato i discepoli del rabbi, per giustificare il voltafaccia dovette escogitare la storiella della folgorazione sulla via di Damasco, che non ebbe altri testimoni se non dei generici «uomini che facevano il cammino con lui» (At 9, 1-18).

    Non è a Yehoshua ben Yosef che la Chiesa deve tutto, ma a quest’uomo, che le servì su un piatto d’argento una storia che le avrebbe permesso di campare di rendita per i secoli a venire: lo riconobbe perfino Benedetto XVI nell’omelia del 3 dicembre 2008 pronunciata nell’Aula Paolo VI¹⁰. Senza il suo bernoccolo per gli affari, senza la sua profonda conoscenza della psicologia umana, senza la geniale invenzione del peccato originale, la vicenda del rabbi Yehoshua avrebbe fatto poca strada: sarebbe entrata nel dimenticatoio come quella dei molti altri messia di cui, all’epoca, pullulava il Medioriente.

    Invece trascorsero ancora alcuni anni, l’Apostolo delle genti concluse la propria avventura terrena – sembra – nel 64 (anche se storicamente non si sa con certezza dove e come: le notizie in merito ci giungono solo dall’agiografia, la cui attendibilità è pari a zero) e qualcuno comprese come l’impianto paolino potesse tornare utile non solo per liberare il popolo eletto dalla schiavitù, ma addirittura per distruggere Roma e il suo impero. Incominciò, allora, la sapiente costruzione di una sottile strategia attraverso la compilazione dei quattro vangeli che solo nel IV secolo sarebbero diventati i canonici, accompagnati da una miriade di altri scritti su vita, morte e miracoli del Maestro, in seguito bollati come apocrifi.

    Il piano riuscì, l’impero fu invaso dai seguaci della religione paolina giungendo fino all’Urbe, iniziò la vera storia della Chiesa cristiana – le cui ricchezze erano andate aumentando a dismisura – e ogni città di una certa rilevanza ebbe il suo bravo episcopos, incaricato di amministrare spiritualmente un territorio più o meno vasto¹¹. Ma fin dai primi tempi del cristianesimo si accesero le diatribe e comparvero le eresie, ossia tesi alternative a quelle diffuse dalla fazione di episcopoi più forte numericamente ed economicamente. Tra gli argomenti in discussione vi furono la natura del Cristo, per alcuni solo umana, per altri solo divina; la Santissima Trinità; la creazione del mondo; il confronto tra il Dio dell’Antico e quello del Nuovo Testamento; la verginità di Maria e mille altre questioni che è riduttivo definire di lana caprina.

    E fin da subito si cercò di mettere a tacere gli eretici ricorrendo alla scomunica, alla violenza e all’eliminazione fisica. Ciò nonostante, le eresie si andarono moltiplicando.

    Fu necessario che il tempo e la storia facessero il loro corso per giungere alla proclamazione dell’ortodossia. Ci pensò Costantino il Grande, salito al potere dell’Impero Romano nel 312 dopo la vittoria sul rivale Massenzio: nel 313 concesse la libertà di culto a tutte le religioni presenti nel vasto territorio da lui governato, ponendo fine alle persecuzioni, poi, nel 325, stanco dei disordini che scuotevano il mondo cristiano e preoccupato per l’instabilità politica e il malcontento popolare che questi potevano provocare, convocò il concilio di Nicea. Fu la prima volta in cui venne presentata ai fedeli quella che – da quel momento e per tutti i secoli a venire – sarebbe diventata la scusa per imporre qualsiasi panzana fosse venuta in mente alla Chiesa per consolidare il proprio potere e asservire le coscienze: il dogma. Da Nicea, insieme ai vangeli canonici, saltò fuori l’unica dottrina cristiana ammessa, la contestazione della quale avrebbe ufficialmente consentito di bollare i dissidenti con il marchio infamante dell’eresia¹²: i primi a farne le spese furono Ario¹³ e i suoi seguaci, che da quel momento vennero perseguitati. Trascorse poco più di mezzo secolo durante il quale la Chiesa cristiana iniziò in sordina la propria opera tesa procurarsi con ogni mezzo, più o meno lecito, l’esclusiva in fatto di religione. Dopo il tentativo di Flavio Claudio Giuliano¹⁴ – nipote di Costantino salito al potere nel 361 – di limitare il crescente dominio dei cristiani, attraverso le alterne vicende dell’Impero, sul cui trono si succedettero ancora quattro imperatori, giungiamo a Teodosio I che nel 380, con l’editto di Tessalonica, permise all’istituzione di mettere a segno un colpo fenomenale, quello definitivo, che le avrebbe permesso – da quel momento in poi – di fare il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento. Teodosio, infatti, non solo elesse il cristianesimo religione di Stato, ma dichiarò fuori legge ogni altra forma di culto. E i mansueti cristiani, quelli che l’iconografia corrente e Hollywood ci mostrano costantemente intenti a pregare, porgere l’altra guancia e andare incontro al martirio con il sorriso sulle labbra, invece di starsene tranquilli a «servire Domino in laetitia»¹⁵, si trasformarono da perseguitati in feroci persecutori. Nel loro spietato mirino finirono, uno dopo l’altro, i pagani in generale, gli eretici, i miscredenti, le donne e chiunque non accettasse senza fiatare un diktat pronunciato abusivamente in nome di Dio.

    Nelle pagine successive potrete seguire la lunga scia di sangue che ha accompagnato la storia della Chiesa dai suoi albori fino ai giorni nostri. Certo, nel corso del tempo l’istituzione ha forzatamente dovuto adottare altri sistemi, poiché più nessuno, oggi, potrebbe giustificare i roghi e le torture. Nel 1965 Paolo vi cambiò il nome del Sant’Uffizio, dietro cui faceva ancora capolino l’ombra inquietante della Santa Inquisizione, con quello più rassicurante di Congregatio pro doctrina fidei¹⁶, il cui stile, però, ricalca, anche se attualizzato nelle forme, il modus operandi del famigerato tribunale. Il suo compito sarebbe quello di «promuovere e di tutelare la dottrina sulla fede e i costumi in tutto l’orbe cattolico», «favorire gli studi volti a far crescere l’intelligenza della fede», dare risposte «ai nuovi problemi scaturiti dal progresso delle scienze o della civiltà», aiutare i vescovi «nell’esercizio del compito per cui sono costituiti come autentici maestri e dottori della fede e per cui sono tenuti a custodire e a promuovere l’integrità della medesima fede»¹⁷, dovrebbe vigilare sulle questioni che riguardano l’ortodossia cattolica e la retta vita del fedele, esaminare eventuali nuove teorie in materia dogmatica e morale, stigmatizzare e – se ne ravvisa l’opportunità – condannare le dottrine contrarie ai principi della fede, controllare l’operato di altri dicasteri, indagare sui delitti contro la fede, la morale, la celebrazione dei sacramenti, promuovere e organizzare studi e congressi. Dunque la sua competenza dovrebbe essere limitata a «tutto l’orbe cattolico», come viene più volte ribadito nel documento pontificio del 1988, il cui articolo 51 afferma:

    «Al fine di tutelare

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