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Oltre la mia anima
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E-book287 pagine4 ore

Oltre la mia anima

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Info su questo ebook

Condannato ingiustamente dal Consiglio dei Giudici a trascorrere l’eternità nel Tartaro, Aidan sente di aver perso tutto: la libertà, il regno demoniaco di cui era il Signore e soprattutto Jessy, la Dea della giustizia che un tempo era la sua compagna. Si è ormai rassegnato al suo destino quando Rovekt, ex generale e amico, compare nella cella in cui è imprigionato e libera la sua anima, trasferendola nel corpo del giovane demone Alek. Una volta libero, Aidan desidera solo rivedere Jessy, che lo crede morto da tempo. E così dovrà continuare ad essere, oppure la sua anima svanirà all’istante. Ma il demone è disposto a sacrificare tutto per trascorrere anche un solo giorno in compagnia della Dea di cui è da sempre innamorato.
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2023
ISBN9791220703802
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    Anteprima del libro

    Oltre la mia anima - Norah Martini

    1

    Londra, un anno dopo


    Jessy chiuse l’ultimo libro contabile della giornata, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.

    «Sai che potrei farlo anche da sola il bilancio di fine anno, giusto? Insomma, dopotutto mi hai assunto per questo,» le ricordò con un sorriso Kate, togliendosi gli occhiali dal naso e lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.

    «E perdermi l’espressione soddisfatta che fai quando dichiari che i conti sono in ordine per merito tuo? No, grazie,» la prese in giro Jessy, rilassandosi a sua volta. Prese la tazza di tè e, con reverenza, la portò alla bocca. Lisa, con quel miscuglio, aveva dato il meglio di sé. Prese nota di farle un grosso regalo per Natale, se lo era proprio meritato.

    «Non l’ho ancora detto,» obiettò la contabile.

    «Ma lo stai pensando. Avanti, ormai è una tradizione.»

    Sogghignando, Kate indicò il libro contabile. «I conti sono in ordine anche quest’anno e, come sempre, il merito è solo mio. Sai bene che tu, lasciata a te stessa, sperpereresti il patrimonio di questa azienda in tre mesi.»

    «Sei ingiusta. Forse un anno...»

    «Tre mesi, non uno di più,» ribadì Kate. «Per questo ci sono io.»

    Jessy le regalò un sorriso abbagliante, uno di quelli che avrebbero sconvolto il cuore di chiunque, se solo fossero stati più frequenti. Le due donne lavoravano insieme ormai da quindici anni. Kate aveva preso il posto del precedente contabile quando lui, dopo anni di duro lavoro, era andato in pensione.

    Si trovavano bene insieme perché si compensavano alla perfezione: Jessy non si preoccupava per nulla del denaro. Non chiedeva conto a Kate dello stato delle finanze dell’azienda, le lasciava carta bianca. E l’unica volta in cui, all’inizio della loro collaborazione, in seguito a una serie di scelte sbagliate aveva fatto perdere all’azienda molti soldi, non l’aveva licenziata. Anzi, aveva organizzato una cena sontuosa, con tutti i dipendenti, per festeggiare. Quando le avevano chiesto quale fosse la ragione, lei aveva risposto che i fallimenti ci rendono ciò che siamo, così come le vittorie, quindi perché non celebrarli?

    Quel giorno la contabile le aveva promesso che non le avrebbe mai più dato ragione di festeggiare un fallimento. E così era stato. Gli anni erano passati, le rughe sul volto di Kate erano aumentate, ma non aveva più fatto scelte avventate. Le casse dell’azienda erano più che piene. Tre quarti di quei guadagni venivano generosamente ridistribuiti tra il personale, in aggiunta al compenso annuo previsto dal contratto. Il resto finiva nelle mani di Jessy, la proprietaria.

    Nessuno avrebbe saputo dire dove spendesse tutti quei soldi: non era affatto la classica ricca viziata, come ci si sarebbe potuti aspettare da una donna così facoltosa. Proprio l’opposto: era gentile, educata, generosa e attenta a tutti. I dipendenti erano così felici di lavorare per lei che nessuno si chiedeva perché, dopo anni, non fosse cambiata di una virgola. Non una ruga, non un capello bianco deturpavano la sua bellezza perfetta.

    «Dove passerete le vacanze quest’anno?» chiese Jessy, prevedendo quale sarebbe stata la risposta di Kate.

    «Non serve mettere il dito nella piaga, lo sai?» sbuffò la donna.

    Un’altra risata cristallina. Doveva proprio essere una buona giornata. «Tua suocera ha già iniziato a tormentare Matthew?»

    «Ovvio. Vorrebbe che andassimo a casa sua il 23 dicembre, invece del 24 come tutti gli anni. Le ho spiegato che il 23 abbiamo la cena aziendale, ma sembra non essere un motivo abbastanza valido per rifiutarsi. Non vede l’ora di seminare zizzania tra me e Matthew! L’ho sempre accontentata, ma quest’anno ha finalmente trovato qualcosa a cui nemmeno Matthew mi costringerà a rinunciare, e ciò comporterà delle litigate.»

    Jessy aggrottò le sopracciglia. «Anticipiamo la cena al 22, non vedo il problema. Lo faccio subito.» Prese il telefono e iniziò a mandare messaggi nel loro gruppo WhatsApp. «Ecco fatto,» dichiarò alla fine, posando il cellulare e riprendendo a bere il suo tè.

    Kate era sull’orlo delle lacrime. «Jessy...»

    Lei sollevò la mano, interrompendola. «Kate, non parliamone più. Non vedo l’ora di vedere le tue ragazze alla festa. Ogni anno sembra ne siano passati dieci tanto le vedo cresciute.»

    Andarono avanti a chiacchierare per l’ora successiva, finché il cellulare di Jessy squillò. Con un cenno di scuse rispose e, dopo pochi secondi, chiuse la conversazione. «Il dovere mi chiama,» la informò, alzandosi in piedi e iniziando a prepararsi. «Grazie ancora per lo splendido lavoro, Kate.»

    Dopo due baci sulle guance e altri ringraziamenti, Jessy uscì nel freddo londinese di fine dicembre. La città era illuminata dai mille colori del Natale. Amava quel periodo dell’anno, nonostante odiasse il freddo. Pregustò con gioia le due settimane di vacanza che la attendevano. Aveva prenotato quindici giorni in una spiaggia tropicale, lontana da quel gelo opprimente e dal caos frenetico della città.

    Mentre montava in macchina e si immetteva nel traffico, pensò all’appuntamento che la aspettava. Non sapeva chi avrebbe incontrato. O meglio, non sapeva chi le avrebbe portato Luxas. Di norma era al corrente dell’esito di tutti i processi tenuti dall’Alto Consiglio dei Giudici e teneva traccia di tutti gli esiliati sulla Terra, ma quello della creatura che doveva incontrare era passato un po’ sottotraccia, tanto che le era sfuggito.

    Un’ora dopo parcheggiò fuori città, di fronte all’enorme villa in cui abitava, talmente immersa nel verde da risultare quasi invisibile agli occhi dei passanti. Scese e, sotto un cielo che prometteva neve, si avviò all’ingresso.

    Dunnar le aprì la porta per accoglierla, come ogni sera da oltre cinquecento anni. «Buonasera, mia Signora.»

    Togliendosi il cappotto, Jessy sorrise. «Un giorno arriverò così all’improvviso che ti coglierò di sorpresa: non riuscirai ad aprirmi in tempo e sarai costretto a mantenere quella promessa,» lo prese in giro.

    Impassibile come sempre, il maggiordomo scosse il capo. «Non le darò mai del tu, mia Signora. Non è così che si parla a una Dea della giustizia.»

    «Non lo sono più da molto tempo,» gli ricordò con dolcezza.

    «Una rosa non è sempre una rosa anche senza usare le sue spine? In ogni caso non riuscirete a cogliermi di sorpresa, ve lo posso assicurare,» tagliò corto lui, prendendole il cappotto. «I vostri ospiti vi aspettano nello studio: Luxas e un demone Grizscakus piuttosto… singolare. Sono certo che ne capirete il perché, prima o poi.»

    Jessy aggrottò le sopracciglia: Dunnar aveva un’innata capacità di comprendere gli altri. Spesso le riferiva dettagli importanti dei suoi ospiti prima che li incontrasse. Quel commento criptico non era da lui, ma scelse di non indagare. «Grazie, Dunnar. Potresti portarmi del tè, e magari qualcosa di più forte per i nostri ospiti? Sono sicura che Luxas vorrà del whiskey.»

    Salì l’imponente scalinata, disposta ad arco lungo entrambi i fianchi del salone, che collegava l’atrio principale della villa ai piani superiori. Al suo passaggio, le luci si accendevano e spegnevano automaticamente, collegate a dei sensori di movimento installati sul pavimento in marmo bianco.

    Aveva acquistato quella piccola magione circa due secoli prima, salvandola dalla rovina. L’aveva rimessa in sesto e ogni anno effettuava dei piccoli restauri per tenerla al passo dei tempi. Lampadine a led, impianto audio, Alexa... le piaceva essere circondata dalla tecnologia. La faceva sentire più fiera di abitare sulla Terra, tra gli umani. Nel complesso era arredata in stile antico, ma dotata di tutti i comfort possibili. Amava tutto di quella casa. Non pensava si sarebbe mai affezionata a qualcosa di umano, invece era stato così.

    Arrivata davanti alla porta dello studio, prima di entrare si sistemò velocemente i capelli raccolti in una coda severa.

    Come il resto dell’abitazione, anche il suo studio era antico e moderno al tempo stesso: tappeti e arazzi donavano colore all’ambiente, mentre un iMac di ultima generazione dominava un’enorme scrivania in vetro. Alla sua destra il camino scoppiettava allego, alla sua sinistra una selezione dei suoi libri più amati riposava su una vecchia libreria di legno.

    Al suo ingresso, Luxas si alzò, andandole incontro. Anche lui, così come Dunnar, era stato un suo servitore ai tempi in cui era una Dea della giustizia. Quando era stata esiliata sulla Terra dall’Alto Consiglio, avevano scelto entrambi di seguirla, insieme a Temarya, che in quel momento si trovava in America per suo conto.

    Jessy salutò Luxas con un abbraccio caloroso. Come Temarya, anche lui era sempre in missione in giro per il mondo e avevano poche occasioni di incontrarsi. «Ti vedo bene. L’aria del Brasile ti dona.»

    «Tu invece sembri stanca,» la prese in giro, scrutandola da capo a piedi. «Forse dovrei scambiare due paroline con Dunnar.»

    «Non osare,» lo rimproverò, sorridendo. «Oppure si sentirà in dovere di accompagnarmi ovunque, imboccarmi, rimboccarmi le coperte...»

    Luxas sgranò gli occhi. «Vuoi dire che non lo fa già?»

    Si guardarono negli occhi, complici. Jessy gli voleva bene più che a se stessa. A differenza di Dunnar, che la trattava come se fosse ancora una dea da venerare, Luxas capiva il suo desiderio di essere considerata come una di loro.

    Fu in quel momento che l’ospite si alzò, richiamando la sua attenzione. Jessy fece un passo verso di lui, pronta a dargli il benvenuto, ma le parole le morirono sulle labbra. Dunnar le aveva detto che era un demone, ma non ne aveva mai visti di quel genere. Sembrava... enorme. Alto quasi due metri, pieno di muscoli e con due corna minacciose lunghe venti centimetri buoni. Ma non fu quello a fermarla, quanto l’ondata di familiarità che la investì quando incontrò i suoi occhi.

    Fu tentata, molto tentata, di usare il suo potere per carpire qualcosa di più di lui. Tuttavia si trattenne: aveva fatto una promessa, si ricordò. Un piccolo prezzo da pagare per fare ammenda per gli errori del passato. Riportò la sua attenzione sul volto dello sconosciuto: due gemme dell’azzurro più vivido calamitavano lo sguardo. Nemmeno il naso nobile e la bocca sensuale riuscivano a offuscarne la potenza.

    Jessy si sentì rimescolare il sangue e una scintilla di... No! La represse con rabbia, riportando le sue emozioni sotto un serrato controllo. Che le prendeva quel giorno?

    Si stampò un sorriso gentile e impersonale sul volto e gli tese la mano. «Mi scuso se l’ho fatta aspettare. Sentirà molte dicerie a proposito del traffico londinese nei prossimi giorni. Purtroppo, sono tutte vere,» esordì, utilizzando la lingua degli Dèi, l’unica conosciuta in tutti i mondi dell’Universo.

    Lo sconosciuto non rispose e non si mosse. Continuò semplicemente a fissarla, l’espressione indecifrabile. Un silenzio imbarazzato scese nella stanza. Durò giusto qualche istante, prima che Luxas si mettesse tra di loro, spezzando il contatto visivo.

    «Ti presento Alek, demone del regno di Lothus. È qui per avere il nostro aiuto,» le spiegò nella stessa lingua, invitandola a sedersi al suo solito posto dietro la scrivania.

    Lothus, uno dei cinque regni che sorgevano sul pianeta dei demoni. Quel nome le fece fermare il cuore. Si affrettò a reprimere quella sensazione e assecondò Luxas. Si ritrovò a pensare che Alek poteva sembrare tutto, meno che bisognoso del suo aiuto.

    «Alek è stato esiliato sulla Terra in seguito a una condanna per omicidio,» continuò Luxas. «È arrivato qualche giorno fa. Non conosce ancora bene le nostre usanze.»

    Ancora nessuna reazione da parte del demone.

    «Che lingua parla, solo demoniaco?» s’informò Jessy, temendo non capisse il linguaggio usato.

    «Parlo anche la lingua degli Dèi e ho studiato una delle lingue terresti: l’inglese.» Alek pronunciò quelle parole in tono basso e roco. Non aveva smesso un momento di fissarla. Jessy era abituata agli sguardi degli altri, uomini e donne, dèi e altre creature. Ma non era mai stata guardata in quel modo, ad eccezione di una volta, tanto tempo prima... No! Di nuovo fu costretta a impedirsi di proseguire. Pensare a lui era vietato. Troppo dolore. Per la seconda volta quel giorno si chiese cos’avesse che non andava.

    «Bene, Alek.» Si costrinse a sorridere, passando all’inglese. «Luxas sarà al tuo fianco nelle prossime settimane. Potrai imparare un’altra lingua, lo spagnolo ad esempio, o quella del luogo in cui deciderai di vivere. Le usanze della Terra non sono così insolite e rispetto a Lothus sulla Terra ci sono molte più comodità, ti basterà...»

    «Di preciso, cos’è che fai qui?» la interruppe, tornando a sedersi e indicando con gli occhi la stanza.

    «Di certo Luxas ti avrà spiegato...»

    «Vorrei sentirlo dire da te.»

    Jessy soppresse un moto di fastidio. Stava per fargli capire che la prima regola da adottare era essere educati e quindi non interrompere le persone mentre parlavano, poi si calmò. Era probabile che nel regno demoniaco da cui veniva non fosse abituato a seguire certe regole. Di sicuro era spaesato, provato dalla pena inflitta. Dopotutto il pensiero di non rivedere mai più la propria casa o i propri cari era straziante, lei lo sapeva bene.

    «Rivolgiti a lei chiamandola Signora, Alek,» lo rimproverò Luxas, prima che lei avesse il tempo di intervenire.

    «Non serve, davvero.» Sorrise, per placare gli animi. «Non sono più la Signora di un bel niente, ricordi? In ogni caso,» proseguì, rivolta al demone, «ciò che facciamo è aiutare coloro che sono stati esiliati sulla Terra. Cerchiamo di insegnar loro le regole del vivere civile, la lingua, a trovare una casa, un lavoro adatto. Cose così.»

    «Assassini e stupratori compresi?» Il tono grondava sarcasmo, gli occhi glaciali sparavano scintille.

    «Assassini e stupratori compresi,» confermò Jessy, inflessibile. «Nel loro caso li assistiamo in un percorso di riabilitazione, per fare in modo che non succeda di nuovo. È ciò che accadrà anche nel tuo caso, se vorrai il nostro aiuto ovviamente.»

    Alek inarcò un sopracciglio. «Io sono stato condannato per aver scannato a morsi mia sorella. Il percorso di riabilitazione consisterà nel togliermi i denti, per caso?»

    Luxas stava per intervenire, ma Jessy lo fermò con un cenno della mano. Si prese del tempo per osservarlo e la tentazione di usare il suo potere per sondarlo si fece sempre più forte. Dopotutto, una breve sbirciatina non sarebbe stata una vera infrazione della promessa. E lo avrebbe fatto per un buon fine. Doveva capire con chi aveva a che fare per non mettere in pericolo i suoi collaboratori. Di solito Luxas le portava solo persone desiderose di cambiare vita, di adattarsi, di lasciarsi il passato alle spalle. Lui non era affatto così, era pieno di rabbia. Nei confronti di chi? si chiese. Una breve sbirciata e lo avrebbe saputo.

    «Non starai pensando di usare il tuo potere su di me, vero?» La inchiodò ancora una volta con il suo sguardo di ghiaccio. Uno sguardo che avrebbe impietrito il più coraggioso dei guerrieri. Lei però non era per niente spaventata. Avvertì invece di nuovo quella scintilla e, prima di poterla sopprimere, la riconobbe: era desiderio.

    Per tutti gli dèi, era desiderio! Si alzò, avvicinandosi al camino per riprendere possesso del proprio corpo. Non era stata una santa dopo di lui, era stata a letto con qualche umano. Più per colmare l’enorme vuoto che sentiva dentro, che per altre ragioni. Non era mai nemmeno venuta. Quindi cos’era quella scintilla molesta?

    «Come ti ho già spiegato, la Signora non usa il suo potere da molto tempo. Non hai da temere. Pensavo fossimo d’accordo, altrimenti non ti avrei portato qui,» lo redarguì Luxas.

    Non hai da temere… come no! Se solo avesse saputo quanto era stata vicina a infrangere la promessa. Eppure, il commento di Luxas sembrò spegnere un po’ dell’aggressività del demone. «Mi scuso, è stato un riflesso involontario.» Nonostante le parole, non sembrava per nulla dispiaciuto. «Andrà bene tutto quello che questo percorso prevederà per me. Anche se perdere i denti un po’ mi spiacerebbe.»

    Era una battuta, realizzò Jessy con incredulità. Si voltò verso di lui, sorridendo incoraggiante. E quando anche lui le sorrise, quasi perse il controllo delle sue ginocchia. Maledizione, doveva concentrarsi sulle cose pratiche e toglierselo dai piedi il prima possibile. «Allora è deciso: ti fermerai qui qualche settimana. Luxas sarà il tuo punto di riferimento, ma sentiti libero di chiedere a Dunnar per qualsiasi cosa dovessi aver bisogno.»

    Le parve di scorgere un barlume di delusione in quegli occhi azzurri, ma scomparve così in fretta che temette di esserselo immaginato. Luxas toccò la spalla del demone per invitarlo a uscire e, dopo un istante, lui si alzò. Non si degnò di rivolgerle un secondo sguardo, né un cenno di saluto. Jessy sorrise tra sé: aveva la sensazione che Alek si sarebbe rivelato un bell’osso duro, anche per il suo intrepido servitore.

    2

    Aidan attese di sentire Luxas chiudersi la porta alle spalle prima di appoggiarsi pesantemente alla struttura del letto a baldacchino. Aveva il cuore che pompava come un martello pneumatico, il respiro corto e il sangue in subbuglio.

    Sapeva che rivederla sarebbe stato un colpo per la sua mente, però non si era immaginato l’effetto devastante che la sua bellezza aveva avuto sul suo nuovo corpo, giovane e aitante. L’aveva desiderata violentemente dal momento esatto in cui era entrata nello studio. Era vestita in modo casto: un semplice maglione color panna, abbinato a dei pantaloni a gamba larga di una tonalità leggermente più scura della sua pelle. I capelli lunghi erano legati in una bassa coda castigata. Eppure era bastata una sbirciata a quei suoi profondi occhi color ambra, così dolci e seducenti, e poi un’altra alla bocca sensuale per arrivare quasi al limite.

    Aveva sempre amato le sue labbra piene. Ricordava come fosse il giorno precedente la loro sensazione sul collo, sul petto, sul... Fu costretto a sedersi, lasciandosi sfuggire un gemito roco. L’erezione, che già non gli dava pace, pulsò in risposta.

    E proprio in quel momento avvertì il lieve tocco della mente di Rovekt sulla sua. Lo lasciò entrare dopo essersi assicurato che l’anello di contenimento, che schermava quel legame proibito ai sensi delle creature magiche nei dintorni, fosse sempre al suo posto.

    Aidan, che notizie hai per me? L’ex generale doveva essere impegnato in qualche attività faticosa, perché persino i suoi pensieri erano affannati.

    Sono dentro, rispose, iniziando a studiare la stanza. Semplice, quasi spartana, non fosse stato per l’enorme letto a baldacchino, con pesanti tende di velluto verde raccolte attorno alla struttura in legno. Aprì la porta del bagno e, stupito, osservò la sorprendente modernità dell’ambiente. Vecchio e nuovo insieme, proprio come lui.

    Rovekt attese qualche istante prima di chiedergli: L’hai vista?

    Un lampo ambrato gli annebbiò la mente. Sì... poco fa.

    Ti ha riconosciuto? Una lieve nota preoccupata increspò il legame.

    Aidan represse un ringhio di frustrazione. No, Rovekt. È andata come previsto.

    Devo ricordarti cosa accadrebbe se ti riconoscesse?

    E come dimenticarlo? La sua anima sarebbe svanita all’istante, scontando così la sentenza che era stata emessa oltre cinquecento anni prima per il suo presunto crimine.

    Era passato un anno da quando si era risvegliato nel corpo di Alek e la prima cosa a cui era riuscito a pensare era correre da lei, Gialissandra, il cui nome era mutato nel corso dei secoli, passando da Jalissandra, come ancora veniva chiamata nell’universo, fino a Jessy.

    Lei lo credeva morto da secoli, come avrebbe reagito alla notizia che era ancora vivo? Come era sopravvissuta da sola sulla Terra, dove l’Alto Consiglio l’aveva esiliata? Aveva talmente tante domande da farle. Desiderava conoscere ogni singolo istante di quei secoli trascorsi lontano da lui. Solo in quel modo, forse, avrebbe recuperato parte della sua salute mentale e dimenticato gli orrori del Tartaro.

    Ma nulla di tutto quello sarebbe accaduto. Perché Rovekt aveva messo in chiaro che mai, mai Jalissandra avrebbe potuto sapere chi fosse.

    Aidan?

    Il demone alzò gli occhi al cielo. Credi che potrei dimenticarlo, Rov? Tutto procede secondo il piano: mi crede un demone esiliato sulla Terra per i suoi crimini.

    Quindi ora tornerai a casa? L’altro giorno Sedrim ha fatto giustiziare un altro rappresentante del popolo. Dobbiamo intervenire. Devi riprendere il posto che è tuo di diritto!

    Avrebbe dovuto, Aidan lo sapeva. Sedrim Lognïr, il demone che era salito al trono di Lothus dopo di lui, diventando a pieno titolo uno dei Cinque, stava distruggendo il regno, affamando il popolo, uccidendo stimati membri dei Consigli. Demoni che aveva selezionato personalmente secoli, millenni prima, di cui si fidava.

    Ma non si trattava solo di quello: fermarlo era diventata una faccenda personale. Sedrim aveva anche braccato e ucciso tutti i membri della sua famiglia: suo fratello, i suoi cugini, così come tutti i loro discendenti. Aveva fatto in modo che la sua linea di sangue si esaurisse per paura che uno dei suoi eredi si facesse avanti e rivendicasse il trono.

    Purtroppo ancora non sapeva come opporsi a lui: non aveva un esercito, non aveva alleati, non aveva più i suoi poteri. In quel corpo non era nessuno.

    Il lavoro da fare era tanto e lui stava perdendo tempo. Essere lì, così vicino a Jessy, senza poterla toccare, senza poterle rivelare la sua identità… era una tortura peggiore di quelle subite nel Tartaro. Eppure aveva dovuto vederla, almeno una volta. Sapere se stesse bene.

    E la breve chiacchierata di poco prima non era stata sufficiente. Dal punto di vista fisico l’aveva trovata in forma, forse un po’ pallida, ma nessuna indicazione su come si sentisse, se fosse felice, se lo avesse dimenticato. Si era costruita una maschera di cortesia così spessa, che nemmeno lui era riuscito a capire cosa celasse al di sotto. E non poteva andarsene senza sapere. Semplicemente… non poteva.

    Resterò per qualche altro giorno, comunicò a Rovekt, senza dargli la possibilità di

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