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Ai confini dell'Artico
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E-book322 pagine4 ore

Ai confini dell'Artico

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Info su questo ebook

La storia delle incredibili imprese di Willem Barents: il primo europeo a spingersi così a nord

La storia umana è sempre stata una storia di perseveranza, spesso contro notevoli avversità.
Una delle avventure più sorprendenti è sicuramente quella dell’esploratore olandese del XVI secolo William Barents e del suo equipaggio: si avventurarono più a nord di qualsiasi altro europeo prima e, alla loro terza esplorazione polare, persero la nave al largo della costa gelata di Nova Zembla, preda del ghiaccio spietato. Questi uomini trascorsero l’anno successivo com­battendo contro i morsi della fame e l’inverno senza fine. In questo libro, Andrea Pitzer combi­na magistralmente gli elementi del romanzo di avventura con una storia travolgente della grande Era dell’E­splorazione: un tempo di speranza e frontiere geografiche apparentemen­te illimitate. L’autrice, dopo ricerche approfondite, ha imparato a usare le apparecchiature di navigazione ed è partita in prima persona per tre spe­dizioni nell’Artico così da ripercorrere i passi di Barents. Un viaggio appas­sionante sulle tracce di uno dei più grandi navigatori del XVI secolo, le cui ambizioni e la ricerca ossessiva di un percorso attraverso le regioni più pro­fonde dell’Artico si sono concluse in tragedia e gloria.

Un’avventura ai confini del mondo

«Chi poteva immaginare che i viaggi di Willem Barents nel XVI secolo avessero influenzato così fortemente le grandi spedizioni artiche del XIX secolo? La scrittura viscerale ed emozionante di Andrea Pitzer è piena di sorprese: un libro straordinario.»
Andrea Barrett, autrice del bestseller Il viaggio del Narwhal

«Molto prima di Bering o Amundsen, prima ancora di Franklin o Shackleton, c’era Willem Barents: il più grande di tutti. In questa avvincente narrazione dell’estremo nord, Andrea Pitzer racconta le tre spedizioni di Barents e le rievoca in modo vivido, celebrando uno degli esploratori più intrepidi della storia.»
Hampton Sides, autore del bestseller Nel regno dei ghiacci
Andrea Pitzer
È una giornalista che ha collaborato con numerose testate internazionali, tra cui «Washington Post», «USAToday», «Vox» e «New York Review of Books». Ha fondato «Nieman Storyboard», il sito di saggisti­ca narrativa della Nieman Foundation for Journalism dell’Università di Harvard. È esperta di storia e giornalismo narrativo e i suoi libri hanno avuto tutti un grande successo.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2020
ISBN9788822748140
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    Anteprima del libro

    Ai confini dell'Artico - Andrea Pitzer

    Capitolo 1

    Il Mare Glaciale Artico aperto

    Nel 1594, mentre la Spagna assediava i Paesi Bassi in una guerra sanguinosa per il terzo decennio consecutivo, il navigatore olandese Willem Barents si preparava a salpare verso i confini del mondo conosciuto. In primavera sarebbe partito per la lontana Nova Zembla, le cui coste si estendevano per centinaia di miglia oltre la terraferma russa. La sua intenzione era quella di costeggiarla verso nord fin dove sarebbe riuscito ad arrivare.

    Il denaro, il motore dell’impresa, aveva fornito sia i mezzi che l’obiettivo della spedizione: gli investitori si aspettavano di aprire una via commerciale verso la Cina a settentrione. Ma l’esplorazione avrebbe potuto anche fornire delle risposte ad alcune questioni fondamentali sulla Terra. Nova Zembla (Nuova Terra in olandese) era un’isola circumnavigabile o faceva parte del continente polare, cosa che avrebbe impedito il passaggio a nord-est? Nel primo caso si apriva la possibilità di un commercio lucrativo con l’Estremo Oriente. Nel secondo, significava vaste nuove terre da scoprire.

    Nessuna nave prima di allora era mai riuscita a navigare a nord di Nova Zembla, o così a nord oltre l’Europa. Con la metà di una piccola flotta incaricata di mappare il territorio in acque conosciute e sconosciute, Willem Barents accettò la sfida, dirigendosi verso un mare inesplorato. Contemporaneamente, altre due navi si sarebbero dirette a sud di Nova Zembla, navigando vicino alla terraferma. La rotta meridionale era già stata tentata da altri esploratori, ma nessuno era stato in grado di raggiungere la Cina.

    La Repubblica Olandese, il Paese natale di Barents, aveva poco più di dieci anni. Nel corso del secolo successivo, sarebbe diventata la prima potenza economica e navale al mondo. Avrebbe superato tutti gli altri Paesi nell’ingegneria navale. Avrebbe dato luce all’arte trascendente di Rembrandt e Vermeer. Il commercio fiorente delle spezie e della schiavitù l’avrebbe sostenuta nell’eterna guerra volta a sconfiggere la Spagna, decennio dopo decennio. L’arte, la guerra, gli schiavi e le spezie avrebbero trasformato la giovane, minuscola repubblica in uno Stato potente alla stregua di altri. Willem Barents avrebbe avuto un ruolo cruciale ma, mentre si preparava a intraprendere il suo primo viaggio nel Mare Glaciale Artico, l’Olanda era una tabula rasa con i suoi peccati e le sue conquiste ancora da venire.

    Di Willem Barents prima dell’impresa in oggetto non si sa quasi nulla. Nato nei Paesi Bassi settentrionali verso la metà del xvi secolo (l’anno di nascita preciso è ignoto), probabilmente aveva quarant’anni quando lasciò la sua casa per accingersi al suo primo viaggio nel Mare Glaciale Artico. Si era addestrato come timoniere e, fin da piccolo, era affascinato dalle mappe che circolavano alla sua epoca. Ho sempre avuto la tendenza, fin da giovane, scriveva di sé, a sfruttare tutte le mie qualità per riportare in carte geografiche, con tutti i mari e le acque circostanti, le terre che ho attraversato e navigato. Nel suo ritratto più celebre appare con un’attaccatura dei capelli scuri molto alta, spalle cadenti e un naso appuntito quanto uno scalpello. Dato che il quadro venne dipinto tre secoli dopo la morte di Barents, lo storico marittimo Diederick Wildeman sostiene che possa essere poco attendibile.

    Pur non avendo nobili natali, risulta evidente dai suoi scritti che Barents avesse comunque ricevuto un’educazione. Prima del suo viaggio nel Mare Glaciale Artico, aveva probabilmente navigato lungo tutte le coste dell’Europa occidentale, dal Mar Baltico alla costa portoghese. In un’epoca in cui la guerra aveva obbligato la maggior parte dei marinai olandesi ad abbandonare lo stretto di Gibilterra tra Spagna e Marocco, Barents tracciò la cartografia di quella regione. La sua Nuova Descrizione e Atlante del Mar Mediterraneo, scritta in collaborazione con il noto ecclesiastico e cartografo Petrus Plancius, sarebbe presto andata in stampa¹. Eppure, quando percorreva i lunghi canali di Amsterdam, i viaggi nel Mediterraneo appartenevano ormai al passato. Non avrebbe mai più spiegato le vele in acque spagnole né avrebbe più rivisto la costa italiana.

    Dato che il futuro del suo Paese non era ancora stato scritto, lui era un candidato a forgiarlo alla stregua di chiunque altro. Non poteva ancora saperlo – nessuno al porto, in città, in campagna poteva ancora saperlo – ma, dopo la sua morte, sarebbe stato ricordato nei secoli a venire. Il suo nome si sarebbe diffuso ovunque: lo avrebbero portato molte strade di svariate città e paesi in Olanda, California, Bulgaria e Baschiria; sarebbe stato appeso persino sulla porta di un bar di un hotel a Longyearbyen, la città più a nord del mondo.

    Ma non era ancora famoso. Era un semplice navigatore assunto per effettuare esplorazioni commerciali ideate da altri e sovvenzionato da uomini facoltosi. Prima d’intraprendere il suo lungo e doloroso viaggio verso l’immortalità, era talmente sconosciuto che non sarebbe passato alla storia> nemmeno il nome della sua barca.

    * * *

    La guerra tra la Repubblica Olandese e la Spagna era iniziata quando Barents era ancora giovane e sarebbe durata fino alla fine della sua vita. La rivendicazione della Spagna nei confronti dei Paesi Bassi aveva scatenato ribellioni ovunque. Nel 1567 la Spagna inviò il terzo duca di Alva nei Paesi Bassi con un esercito di diecimila uomini per ristabilire l’ordine. Nel mese di settembre, il conte di Egmont, che aveva già combattuto in battaglia per la Spagna ed era stato nominato cavaliere, fu arrestato. Condannato per tradimento per essersi rifiutato di punire il suo stesso popolo, fu decapitato a giugno dell’anno successivo.

    Nel nome del cattolicesimo romano, le truppe spagnole distrussero la città portuale di Anversa e assediarono Haarlem più a nord, prima di trucidare circa duemila soldati in una serie di massacri che divennero noti come la Furia Spagnola. Nella città orientale di Zutphen, i ribelli olandesi saccheggiarono le chiese e uccisero i sacerdoti. Quando la Spagna riconquistò la città in pieno inverno, le truppe si vendicarono, annegando circa cinquecento persone, gettandole nel fiume gelido dopo avere praticato dei fori nel ghiaccio.

    Nel 1576, le atrocità spinsero tutte le diciassette province dei Paesi Bassi a unirsi momentaneamente per opporsi alla Spagna. Da una parte le forze olandesi non riuscirono a cacciare i loro governanti dai Paesi Bassi ma, dall’altra, la repressione spagnola fallì nello sbaragliare i ribelli. Nel 1581, gli olandesi si rifiutarono di prestare fedeltà al re di Spagna, dichiarando nell’Atto di Abiura che non volevano essere schiavizzati dagli spagnoli e che avrebbero messo in atto tutti i metodi che sembravano loro più adatti a garantire le antiche libertà e privilegi.

    Nello stesso anno si dichiararono una repubblica indipendente. Guglielmo, il ricco principe d’Orange, che da tempo era considerato la guida simbolica della rivolta, nella pratica non riuscì a guadagnare molto terreno. Sarebbe stato assassinato tre anni dopo.

    La fiera affermazione di libertà dei ribelli nei confronti del dominio tirannico precedette di quasi duecento anni la Dichiarazione d’Indipendenza americana e, similmente, il monarca a cui era rivolta non l’accolse di buon grado. Anversa divenne di fatto la capitale dei territori ribelli, ma gli spagnoli assediarono la città per oltre un anno, circondandola e bloccando il fiume che la attraversa. Alla fine, nel 1585, la confederazione delle province dovette cederla. In base ai termini della resa, i protestanti avevano quattro anni di tempo per andarsene. Metà della popolazione composta da 76.000 abitanti fuggì ben prima, soprattutto ad Amsterdam².

    Decine di migliaia di altri rifugiati religiosi da entrambe le parti del conflitto cercarono protezione in altre nazioni o si trasferirono in altre città dei Paesi Bassi, più solidali con il loro credo. Un afflusso di ebrei sefarditi arrivò dal Portogallo in cerca di libertà religiosa lontano dal dominio spagnolo, influenzando ulteriormente le terre del nord. Tali cambiamenti avrebbero cristallizzato le differenze culturali e religiose, creando un cuneo tra le regioni e plasmando l’identità nazionale.

    La ribellione olandese fu la prima rivoluzione moderna europea contro un monarca, la prima che ripudiasse il concetto stesso di monarchia. Gli eventi preoccuparono i sovrani dei regni adiacenti: in effetti, la ribellione olandese avrebbe ispirato rivolte in tutto il mondo nei tre secoli successivi. L’identità della città e della provincia rimase forte, però circa un milione e mezzo di residenti olandesi avevano gettato le basi per l’indipendenza nazionale³.

    Per ottenerla, tuttavia, ci sarebbe voluto quasi un secolo e uno Stato lacerato a metà. Willem Barents visse tutta la sua vita da adulto al centro di tali sconvolgimenti e guerre. A causa di eventi ben al di fuori del suo controllo, la sua navigazione nel Mare Glaciale divenne portavoce della nuova nazione olandese.

    * * *

    Era stata costituita una flotta. La spedizione era stata finanziata. Il processo, durato mesi, di pianificazione di una rotta, ricerca delle navi, selezione dell’equipaggio e rifornimento era finalmente compiuto. Gli esploratori si sarebbero fidati di un’ipotesi molto antica abbracciata dai geografi di Amsterdam, ovvero che al Polo Nord faceva caldo. Nonostante molti uomini fossero morti e intere navi fossero scomparse nel ghiaccio, i cartografi sostenevano che, al di là della placca congelata che, a ogni inverno, spaccava timoni e rompeva scafi, la regione polare celasse acque navigabili e, persino, un mare aperto.

    Nel corso dei millenni, gli esploratori si erano lasciati stuzzicare dall’idea di un mare che potesse essere solcato, aprendo una serie di possibilità. I greci avevano descritto un’isola oltre il punto in cui soffia il vento del nord, con un clima così mite che la sua gente raccoglieva i raccolti due volte all’anno⁴. Nel 1527, un mercante aveva scritto al re Enrico viii, sostenendo che la navigazione a nord oltre il polo si sarebbe rivelata più breve di qualsiasi altra rotta conosciuta verso l’India. La prima parte del viaggio sarebbe stata insidiosa, proseguiva l’uomo, ma con navi robuste la spedizione che avrebbe sfondato le montagne di ghiaccio a nord dell’Europa sarebbe stata premiata con un santuario in cima al mondo.

    Nel maggio del 1594, mentre impacchettava le sue cose per il suo primo viaggio nel Mare Glaciale Artico, Willem Barents era consapevole di non essere l’ideatore di un nord mite, una visione che aveva perseguitato i cartografi per duemila anni, ma soltanto l’ultimo navigatore ad averla fatta sua. Tuttavia, essendo tra i pochi ad avere la possibilità di dimostrarlo, abbracciò quell’ipotesi valutando le rotte a nord. Altre spedizioni prima della sua si erano spinte ad alte latitudini, seguendo la costa norvegese fino alla Russia, intrattenendo relazioni con la gente del posto o portando notizie promettenti di nuove potenziali rotte verso l’ignoto. Ma, fino a quel momento, nessuno aveva aperto un passaggio a settentrione nell’estremo lembo del mondo. Barents voleva essere il primo.

    Il porto di Amsterdam sorgeva in una penisola all’estremità meridionale di un golfo poco profondo noto come Zuiderzee. Subito davanti all’ingresso, vi era una serie di isolotti che si estendevano paralleli alla costa, proteggendo la baia dal Mare del Nord. All’interno, innumerevoli città e approdi erano teatro dei vivaci scambi commerciali di una nazione in ascesa. Protetta da fortificazioni e circondata da un fossato, Amsterdam era il luogo più sicuro.

    Una nave dotata di tre alberi galleggiava placidamente tra il trambusto di un porto in tempo di guerra. Era lunga circa trenta metri da prua a poppa, abbastanza da trasportare un carico. Tuttavia, nel viaggio in questione, il trasporto di un carico non era la missione principale. Inoltre, l’imbarcazione di Barents non era la nave più grande della flotta, ma avrebbe tracciato la rotta e guidato la spedizione in mondi ancora sconosciuti. Convinto che ci fosse una via navigabile nell’alto Mare Glaciale Artico che portasse in Estremo Oriente, Willem Barents era pronto a mettere a rischio navi, equipaggio e la sua stessa vita per provarne l’esistenza.

    Barents salpò lasciandosi alle spalle una situazione disastrosa e gli sconvolgimenti che avrebbero ridisegnato ogni aspetto della vita olandese. Gli atti violenti e intraprendenti avrebbero trasformato, in un solo colpo, l’identità nazionale, la religione, il governo, l’industria, la scienza e l’arte. Nessun aspetto poteva essere separato dal resto; la rivoluzione si era insinuata fin nei più reconditi meandri dell’esistenza. Nel nuovo mondo che stava emergendo tutto si era messo in moto.

    Barents aveva iniziato a esplorare i mari proprio quando l’Olanda dominava l’ingegneria navale europea. Malgrado la costruzione delle navi si stesse evolvendo, esse erano ancora fabbricate in modo artigianale: venivano, infatti, realizzate a mano senza prima fare dei calcoli o dei disegni. I costruttori disponevano una serie di blocchi in fila, sui quali posavano la chiglia, la spina dorsale della nave. Poi, perpendicolarmente alla chiglia, venivano inserite delle assi ad arco dette costole per dare forma alla gabbia dello scafo. Posizionate le costole, venivano aggiunte delle travi parallele alla linea di galleggiamento, che successivamente erano fissate con dei perni a forma di L per tenere insieme l’intera struttura. Le travi, la chiglia e le costole venivano tagliate e modellate a mano. Dovevano essere martellate, fissate con pioli di giunzione e poi ritagliate a filo delle travi esterne. A questo punto, si potevano posare uno o più ponti per dividere la nave in vari livelli, dalla stiva di carico posta sul fondo, al ponte sottocoperta, dove venivano posizionati i cannoni e c’erano i dormitori dei marinai, al ponte di coperta, quello più alto. I trincarini, ovvero le travi posizionate a murata, finalizzavano la nave.

    immagine

    Gli olandesi avevano appena perfezionato il fluyt, un’imbarcazione a forma di pera destinata al commercio, non alla guerra. Privi di armamenti e soldati, i fluyt potevano trasportare il doppio del carico delle tradizionali navi mercantili ed essere costruiti a metà del costo delle altre navi. La mancanza di disegni impediva ad altri Paesi di copiare e implementare le migliorie messe in atto, cosa che per molto tempo diede agli olandesi un grande vantaggio.

    Ma al di là dei miglioramenti progettuali, gli olandesi avevano fatto un enorme passo avanti riducendo i tempi di fabbricazione delle travi in legno da utilizzare nella costruzione delle navi. L’anno in cui Barents salpò, entrò in servizio la prima sega azionata da un mulino galleggiante, che sfruttava l’energia eolica per far muovere la lama avanti e indietro, offrendo maggiore precisione e velocità. In poco più di un decennio, l’area a nord del porto di Amsterdam si sarebbe trasformata in un vasto bacino industriale, con venti cantieri navali in funzione, che presto sarebbero stati implementati con molti altri⁵.

    La spedizione di Barents non aveva a disposizione le imbarcazioni più innovative o recenti, ma nel suo caso non era necessario lo stato dell’arte. Il suo era un vascello un po’ vecchio, di dimensioni medie, non ottimizzato per il trasporto di merci, ma dotato di oblò e cannoni da usare in caso di scontri con navi nemiche.

    Ma il cambiamento era alle porte. Proprio in quell’anno sarebbe nato il primo fluyt ideato per il carico invece che per la guerra⁶. Con un’ingegneria navale che garantiva flessibilità, velocità e risparmio economico, la nuova Repubblica Olandese era pronta a rivendicare il titolo d’impero marittimo.

    Erano state predisposte altre tre navi per la spedizione. Dal momento che la neonata nazione era ancora di fatto un’alleanza di varie province, le singole città e regioni avevano un ruolo cruciale nella sovvenzione di nuovi progetti. La provincia di Zelanda, a sud di Amsterdam, aveva messo a disposizione lo Zwaan (Cigno). Enkhuizen, un’altra città sullo Zuiderzee a meno di quarantotto chilometri da Amsterdam, aveva fornito il Mercurius (Mercurio). Infine, Amsterdam aveva offerto una nave più piccola per esplorare la costa, oltre a una più grande.

    Argomento di discussione accesa fu quale fosse la rotta migliore. Barents e il suo mentore Petrus Plancius avevano tracciato un’alta rotta a nord, convinti che il Mare Glaciale Artico fosse navigabile.

    L’audacia della loro ipotesi andava di pari passo con l’ambizione del loro Paese natio. Un’affidabile rotta marittima verso l’oriente avrebbe permesso di trasportare innumerevoli merci e denaro nei porti del Mare del Nord, consentendo agli olandesi di affermarsi a livello globale e di competere con le altre potenze europee. Gli esploratori olandesi sognavano di salpare da Amsterdam e di navigare oltre la Scandinavia fino all’Asia. Passando per il polo, speravano di arrivare ai regni della Cina e del Catai. Quest’ultimo era stato menzionato nel diario di viaggio di Marco Polo secoli prima e si pensava che si trovasse a nord della Cina. Gli europei sapevano così poco su quella regione che avrebbero impiegato molti anni a scoprire che i due regni erano, in realtà, uno solo.

    Nel frattempo il mare costituiva un immenso pericolo. Malgrado le sue centinaia di miglia di costa, nel 1594, i Paesi Bassi non avevano ancora istituito formalmente una marina nazionale. All’inizio della guerra con la Spagna, un gruppo di nobili locali diseredati e pirati, che si facevano chiamare i Pezzenti del Mare, aveva assalito varie navi e fatto razzia di mercantili spagnoli. Guglielmo d’Orange aveva addirittura ufficialmente autorizzato i loro atti di pirateria e, per un certo periodo, avevano usato l’Inghilterra come base d’appoggio per le loro operazioni, con la benedizione della regina Elisabetta i, una sovrana protestante che non provava alcun affetto per la Spagna.

    Col passare del tempo, però, per l’Inghilterra era diventato sempre più problematico sostenere i Pezzenti del Mare, così, nel 1572, Elisabetta li bandì dalle coste inglesi. Non avendo più un porto sicuro, si fecero prendere dal panico. Tornarono a casa e riuscirono a strappare dal controllo spagnolo la città olandese Brielle, facendo emergere l’idea che la ribellione era un alleato da non sottovalutare. Sul campo, le strategie di Guglielmo d’Orange non avevano dato molti frutti; tuttavia, i successi dei Pezzenti del Mare gettarono le basi per le future forze navali olandesi.

    Per il momento, al posto di una marina nazionale, le singole città e province affidavano la difesa delle loro coste ai consigli di ammiragliato. Nel 1574, era stato fondato a Rotterdam un ammiragliato che, però, inizialmente non era stato in grado di proteggere in modo efficace le navi mercantili dai saccheggi. Nei quindici anni successivi sarebbero stati istituiti altri consigli regionali, ma con uno scarso e spesso incoerente coordinamento. Per un certo periodo, in seguito all’assassinio di Guglielmo d’Orange, la guida delle forze olandesi sarebbe addirittura stata affidata a un inglese e non a un olandese⁷. Vista la situazione, qualsiasi convoglio doveva essere pronto a difendersi in mare.

    In quel periodo, la guerra – in particolare, i conflitti sgangherati senza fine, come la rivolta olandese – erano di fatto un male per gli imperi, in quanto li depauperavano della loro forza militare, distruggevano le proprietà e svuotavano le casse. In realtà, alcuni atti violenti avvenuti durante la Furia Spagnola erano stati scatenati dalle truppe di guarnigione stanziate nei Paesi Bassi, che si erano ammutinate in quanto l’impero non aveva versato le paghe ai soldati. Malgrado ciò, gli olandesi riuscirono lo stesso a creare un primo modello militare-industriale, che permise ai settori chiave di prosperare in tempo di guerra.

    Willem Barents si sarebbe avvantaggiato del caos, che avrebbe dato alla luce i Paesi Bassi. La popolazione si spostava per sfuggire alle violenze religiose, mentre coloro che rifiutavano la monarchia scappavano per cercare ricchezza e nuove fonti di affari nelle province settentrionali, innescando così un boom culturale e finanziario. Tali province svilupparono in fretta un solido commercio con le nazioni baltiche, esportando tegole e mattoni e importando enormi quantità di grano da vendere in patria e all’estero.

    La neonata repubblica attirava capitale, abili commercianti e intellettuali. Rientrato dai suoi viaggi nel Mediterraneo, Barents si preparò a salpare per il Mare Glaciale Artico, proprio quando la nazione pullulava d’investitori e mercanti desiderosi di aprire nuove vie per le loro merci. Una convergenza storica che poteva portare alla nascita di un nuovo impero.

    Tuttavia, Barents e i suoi compagni non sarebbero stati i primi a navigare a nord. L’idea di un passaggio nel Mare Glaciale Artico era già ben radicata negli antichi greci. Nel iv secolo a.C. l’astronomo Pitea scrisse Sull’oceano, un resoconto del suo viaggio verso l’ignoto.

    Salpando dalla sua città natale, Massalia (l’odierna Marsiglia), Pitea narrò la sua navigazione attraverso il Mediterraneo e oltre quello che oggi è lo Stretto di Gibilterra verso l’Oceano Atlantico. Nessun greco si era mai spinto così a nord. Pitea risalì la costa occidentale dell’Europa fino alla Gran Bretagna, dove fece un’escursione a piedi e descrisse la circumnavigazione delle isole. Si diresse, poi, verso l’arcipelago delle Orcadi e navigò per altri sei giorni verso una terra lontana, a settentrione, che chiamò Thule (probabilmente l’Islanda).

    Pitea navigava non soltanto per mappare le terre, ma anche per comprendere e interpretare il mondo che man mano scopriva. Scrisse del sole di mezzanotte e di come la luna influenza le maree e dichiarò che, rivolgendo la vela a nord di Thule, si era imbattuto nel Mare Congelato. In tale mare, scrisse, terra, acqua e aria non sono separate, ma una sorta di concrezione, che assomiglia a un polmone marino in cui la terra, il mare e tutte le cose sono sospese⁸.

    Nei secoli successivi, geografi greci e scrittori romani avrebbero catalogato le tribù costiere scandinave, dai Finni dell’estremo nord, ai Geati e agli svedesi raggruppati nel sud. Ma il Mare Glaciale Artico sarebbe rimasto un luogo di mistero.

    La popolazione nota come sami abitava da migliaia di anni le regioni artiche scandinave e, prima ancora, 8.000 anni fa, un altro popolo indigeno siberiano era partito dall’Asia per avventurarsi a nord del continente nei mari ghiacciati, costruendo case e cacciando orsi polari sulla remota isola di Zukov⁹.

    Ma negli annali della marineria europea, altri sarebbero passati alla storia come la personificazione degli esploratori nordici: i Vichinghi. Più di mille anni dopo la partenza di Pitea da Massalia, questi scatenati navigatori del nord rivendicarono il loro primato, partendo dalla Scandinavia per perlustrare, saccheggiare e colonizzare. Dal 780 al 1070 d.C., salparono dall’Africa settentrionale, dalla penisola iberica e dalla Gran Bretagna, viaggiando a est fino all’Ucraina.

    Il basso scafo delle navi vichinghe permetteva di navigare in acque profonde meno di sessanta centimetri. I Vichinghi sorprendevano spesso i loro nemici risalendo fiumi grandi e piccoli, compresi alcuni che non potevano essere percorsi dalle navi nemiche. Nell’845, i Vichinghi danesi risalirono la Senna su centoventi navi e conquistarono Parigi. Nessuna terra in Europa era al sicuro.

    Ma furono i loro viaggi nel lontano nord a entrare nell’immaginario collettivo, caratterizzati da spirito esplorativo, violenza e isolamento geografico. I Vichinghi navigarono verso l’Islanda e la Groenlandia su navi in grado di solcare l’oceano, dette knarr, dove segnarono ancora di più la storia. Alla fine del decimo secolo, Thorvald Asvaldsson fu esiliato dalla Norvegia nell’insediamento di Hornstrandir in Islanda per avere commesso qualche omicidio, un’accusa piuttosto vaga. In seguito, suo figlio Erik il Rosso venne esiliato dall’Islanda dopo aver ucciso il suo vicino. Erik navigò verso ovest raggiungendo la Groenlandia, dove diede il suo nome a diversi luoghi e fondò due colonie. Le leggende narrano di come suo figlio Leif Eriksson guidò la spedizione in America del Nord, dove sono stati ritrovati resti di insediamenti vichinghi risalenti all’anno 1000.

    Anche i Vichinghi innovarono la marineria, perfezionando la costruzione delle navi con il clinker. Tagliando i tronchi di quercia in modo radiale così da formare dei cunei, fissavano le assi con rivetti in ferro, sovrapponendole l’una sull’altra. La flessibilità delle tavole permetteva a un’imbarcazione di navigare in mare aperto senza che lo scafo si frantumasse. Ma, con l’inevitabile divario che si creava tra le tavole cavalcando le onde, in caso di maltempo le navi spesso imbarcavano acqua. In uno dei suoi viaggi in Groenlandia, Erik il Rosso arrivò con soltanto quattordici delle trentacinque navi con cui era partito¹⁰.

    Avere una nave sicura era di vitale importanza, ma anche sapere tracciare le rotte. Un’imbarcazione persa in mare aperto rischiava di non tornare più a casa. Fin dagli albori della navigazione, vennero sviluppati metodi per navigare in modo sicuro e per orientarsi in mare aperto. I Vichinghi avevano dei sistemi per seguire la rotta, ma non preparavano quasi mai le loro esplorazioni. Eppure riuscirono lo stesso a navigare in mezzo mondo.

    Nelle loro prime perlustrazioni si mantenevano vicino alla terraferma, utilizzando la costa come punto di riferimento e ricorrendo allo strumento più noto ai marinai: un filo a piombo utilizzato per misurare la profondità dell’acqua ed evitare le secche. Raccoglievano e condividevano le informazioni in base al passaggio del tempo o ad altri indizi visivi. Per esempio, le indicazioni su come raggiungere la Groenlandia meridionale da Hernam, in Norvegia, sono del tutto indecifrabili e possono essere comprese solo da un navigatore in mare: Dirigetevi verso ovest ad Hvarf, in Groenlandia. Passerete così vicino alle Hjaltland che potrete scorgere con il bel tempo e così vicino alle Isole Færøer che metà della montagna vi apparirà sott’acqua e così vicino all’Islanda che da lì potrete vedere uccelli e balene¹¹.

    Nel bel mezzo dell’oceano, dov’è difficile individuare un punto di riferimento, le indicazioni riguardavano il numero di giorni di navigazione necessari a raggiungere l’isola successiva, un metodo piuttosto inaffidabile per misurare le distanze, visto le variabili vento e meteo. A volte, perciò, si ricorreva ad altre strategie. Nell’epopea Landnámabók viene

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