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Giustino Roncella nato Boggiòlo
Giustino Roncella nato Boggiòlo
Giustino Roncella nato Boggiòlo
E-book315 pagine4 ore

Giustino Roncella nato Boggiòlo

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Info su questo ebook

Boggiolo, un modesto impiegato fornito di una cultura altrettanto modesta, sposa la giovane scrittrice Silvia Roncella e, dopo che questa diventa celebre, rivela uno straordinario fiuto negli affari, prendendo tutte le iniziative di contratto con gli editori, i critici, i giornalisti, i traduttori e il pubblico, per reclamizzare e far fruttare la produzione letteraria della moglie.
LinguaItaliano
EditoreE-text
Data di uscita21 feb 2024
ISBN9788828103424
Giustino Roncella nato Boggiòlo
Autore

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello (1867-1936) was an Italian playwright, novelist, and poet. Born to a wealthy Sicilian family in the village of Cobh, Pirandello was raised in a household dedicated to the Garibaldian cause of Risorgimento. Educated at home as a child, he wrote his first tragedy at twelve before entering high school in Palermo, where he excelled in his studies and read the poets of nineteenth century Italy. After a tumultuous period at the University of Rome, Pirandello transferred to Bonn, where he immersed himself in the works of the German romantics. He began publishing his poems, plays, novels, and stories in earnest, appearing in some of Italy’s leading literary magazines and having his works staged in Rome. Six Characters in Search of an Author (1921), an experimental absurdist drama, was viciously opposed by an outraged audience on its opening night, but has since been recognized as an essential text of Italian modernist literature. During this time, Pirandello was struggling to care for his wife Antonietta, whose deteriorating mental health forced him to place her in an asylum by 1919. In 1924, Pirandello joined the National Fascist Party, and was soon aided by Mussolini in becoming the owner and director of the Teatro d’Arte di Roma. Although his identity as a Fascist was always tenuous, he never outright abandoned the party. Despite this, he maintained the admiration of readers and critics worldwide, and was awarded the 1934 Nobel Prize for Literature.

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    Anteprima del libro

    Giustino Roncella nato Boggiòlo - Luigi Pirandello

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    QUESTO E-BOOK:

    TITOLO: Giustino Roncella nato Boggiòlo

    AUTORE: Pirandello, Luigi

    TRADUTTORE:

    CURATORE:

    NOTE: si ringrazia il Prof. Giuseppe Bonghi per la collaborazione.

    CODICE ISBN E-BOOK: 9788828103424

    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

    COPERTINA: [elaborazione da] The Artist's Parents (1886) di Félix Vallotton (1865–1925) – Musée cantonal des Beaux-Arts, Lausanne, Suisse. – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Félix_Vallotton,_1886_-_The_Artist's_Parents.jpg?uselang=it – Pubblico Dominio.

    TRATTO DA: Giustino Roncella nato Boggiòlo / Luigi Pirandello ; introduzione di Grazia Maria Griffini ; cronologia della vita di Pirandello e dei suoi tempi e bibliografia a cura di Corrado Simioni. - Milano : A. Mondadori, 1973. - XLI, 212 p. ; 19 cm.. - (Oscar. L ; 141).)

    CODICE ISBN FONTE: n. d.

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 giugno 2002

    2a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 febbraio 2024

    INDICE DI AFFIDABILITÀ: 2

    0: affidabilità bassa

    1: affidabilità standard

    2: affidabilità buona

    3: affidabilità ottima

    SOGGETTO:

    FIC004000 FICTION / Classici

    DIGITALIZZAZIONE:

    Giuseppe Bonghi

    REVISIONE:

    Claudio Paganelli, [email protected]

    IMPAGINAZIONE:

    Carlo F. Traverso (ePub e ODT)

    Marco Totolo (revisione ePub)

    PUBBLICAZIONE:

    Davide de Caro

    Ugo Santamaria (ePub)

    Liber Liber

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    Indice

    Copertina

    Colophon

    Liber Liber

    Indice (questa pagina)

    Capitolo Primo IL BANCHETTO

    Capitolo Secondo SCUOLA DI GRANDEZZA

    Capitolo Terzo MISTRESS RONCELLA, TWOACCOUCHEMENTS

    Capitolo Quarto IL PADRONE DELL'ISOLA

    Capitolo Quinto LA SCIMMIA SULL'ELEFANTE

    Capitolo Sesto LA CRISALIDE E IL BRUCO

    Capitolo Settimo VOLA VIA

    Capitolo Ottavo LUME SPENTO

    Giustino Roncella nato Boggiòlo

    Luigi Pirandello

    Capitolo Primo

    IL BANCHETTO

    Da quindici giorni Attilio Raceni, direttore della rassegna femminile Le Grazie, scontava con infinite noje, arrabbiature e dispiaceri d'ogni genere una sua gentile idea: quella di salutare con un banchetto la giovane e già illustre scrittrice Silvia Roncella, venuta da poco tempo col marito a stabilirsi da Taranto a Roma.

    Partendo l'invito da una rassegna come la sua, la quale, piú che a una qualche reputazione letteraria, aspirava a esser considerata òrgano della mondanità intellettuale romana, e mirando quell'invito nella sua intenzione, non tanto a rendere onore alla scrittrice quanto a mostrar viva la rassegna con un atto di pura cortesia fuori d'ogni competizione letteraria, non s'aspettava da parte dei letterati colleghi della Roncella, dei critici piú autorevoli della letteratura contemporanea nei grandi giornali quotidiani e, in genere, degli amici giornalisti, tanti tentennamenti e «ma» e «se» e «forse», ombrosità, riserve, anche recisi e sgarbati rifiuti, che gli avevano rappresentato la letteratura militante in Italia come una meschina pettegola farmacia di villaggio; e piú d'una volta aveva sospirato per l'amara considerazione che un'idea come la sua ben altre accoglienze avrebbe avute certamente a Parigi, dove in parte il comune orgoglio nazionale (sia benedetto!) in parte quella piú diffusa e sentita cognizione delle cose ordinarie del viver civile, che affievolisce risentimenti e gelosie pur non impedendo la stima particolare che ciascuno in segreto può fare dell'altro, consigliano di non negare onore a chi per giudizio ormai universale se lo sia comunque meritato; come a lui pareva che fosse il caso della Roncella, dopo il grande successo del romanzo La casa dei nani.

    Lo confortava la fervida adesione del senatore Romualdo Borghi che era stato del resto il vero padrino della fama di Silvia Roncella. Nell'antica autorevolissima rassegna La vita italiana il Borghi aveva accolto infatti le prime novelle, i primi racconti della giovanissima scrittrice. C'era poi la promessa di partecipazione, se non proprio sicura molto probabile, di Maurizio Gueli, l'insigne maestro da tutti rispettato forse per il fatto che da circa dieci anni, vale a dire dal suo ultimo libro Favole di Roma, né sollecitazioni d'amici né ricche profferte di editori riuscivano a smuoverlo dal silenzio in cui s'era chiuso.

    Piú delle opere, che non avevano mai avuto in verità molti lettori, questo silenzio e la vita appartata e schiva ch'egli conduceva, quasi tutto l'anno relegato nella malinconica villa di Monteporzio presso Roma, gli meritavano, a detta dei maligni, il rispetto anche da parte d'una certa accolta di giovani letterati, i quali, macerandosi nella nobilissima ambizione di far cose grandi e comunque nuove che reggessero al paragone delle antiche nostre, o moderne straniere secondo un loro gusto particolare, o preferivano non far niente, o se qualche cosa intanto facevano, piccola, a modo d'assaggio o di studio, per l'animo stesso con cui la facevano, doveva dar loro ambasce crudelissime d'insoddisfazione, delle quali s'alleviavano e sfogavano tramutandole in un superiore disdegno contro chiunque s'arrischiava a fare quanto poteva, senz'affanno, non solo, ma anzi con allegra spensieratezza.

    Il guajo per il Raceni era questo: che alcuni di tali giovani (non piú tanto giovani) degnissimi certo di considerazione ma troppo difficoltosi, in luogo di combattere le loro battaglie in private rassegnine da leggersi tra di loro, erano riusciti da qualche tempo a trovar posto nei maggiori fogli politici quotidiani d'Italia, i quali, santo cielo, non si rivolgevano solamente ai pochi letterati di professione ma a ogni specie di lettori: e di là seminavano il discredito sulla grama letteratura italiana contemporanea, che in fondo, se di piú non sapeva, pur quanto poteva dare, dava.

    Ora il marito della Roncella gli s'era tanto raccomandato perché a quella «fraterna àgape letteraria» com'egli bellamente l'aveva chiamata nell'ultimo fascicolo de Le Grazie, tutti i quotidiani piú in vista fossero rappresentati dai loro redattori letterari; e, proprio da costoro, aveva avuto i rifiuti piú recisi e sdegnosi. Ma sperava ancora d'indurre a venire altri redattori di quegli stessi giornali, di piú facile contentatura. E poi, e poi voleva comporre attorno alla Roncella una magnifica corona di belle dame, amiche e collaboratrici de Le Grazie.

    Fin dalla nascita era quasi predestinato e votato alla letteratura femminile. Perché sua «mammà», Teresa Raceni-Villardi, era stata un'esimia poetessa, e in casa di «mammà» convenivano tante scrittrici, alcune già morte, altre adesso attempatelle, su le cui ginocchia poteva dire quasi quasi d'esser cresciuto. E dei loro vezzi e delle loro carezze gli era rimasta come una levigatura indelebile in tutta la persona, quasiché quelle mani lievi e delicate, lisciandolo, lisciandolo, lo avessero composto per sempre in quella sua ambigua beltà artificiale, per cui, se si umettava le labbra con la punta della lingua, se s'inchinava sorridente ad ascoltare, se si rizzava sul busto se volgeva il capo o si ravviava i capelli, mosse, gesti, aria atteggiamenti erano piú da donna che da uomo.

    Presa sotto braccio la busta di cuojo, dove, tra articoli e bozze di stampa della rassegna, aveva ficcato un fascio di carte che si riferivano al banchetto, s'avviava verso la casa di Dora Barmis, sapientissima consigliera dalle colonne de Le Grazie alle signore e signorine italiane della bellezza e di tutte le raffinatezze intellettuali, quand'ecco, verso Piazza Venezia, un clamor confuso, lontano, e un corri corri di gente.

    Costernato, s'accostò in via San Marco a un grosso mercante di stoviglie d'alluminio che, sbuffando, tirava giú le bande su le vetrine della bottega.

    — Perché? Cos'è?

    — Mah, dice... non so, — grugní quello in risposta, senza voltarsi.

    Uno spazzino, seduto tranquillamente su una stanga del carretto con la giornata in ispalla a mo' di bandiera e un braccio a contrappeso sul bastone di essa, si cavò la pipetta di bocca; sputò; disse:

    Ciarifanno.

    Il Raceni si voltò a guardarlo.

    — Dimostrazione? E perché?

    — Cani! — gridò il mercante panciuto, rizzandosi, ansante e paonazzo.

    Stava sdrajato sotto il carretto dello spazzino un vecchio cane spelato, con gli occhi tra le cispe socchiusi; al «Cani!» del mercante levò appena il capo dalle zampe senza schiudere gli occhi, solo raggrinzando un po' le orecchie. Dicevano a lui? S'aspettava un calcio. Il calcio non venne; dunque non dicevano a lui. E si ricompose a dormire, mentre un turbine di fischi si levava dalla prossima piazza e, subito dopo, un urlío che arrivava al cielo.

    Il tumulto vi doveva esser grande.

    Il Raceni s'avviò di fretta. Bell'affare se non si passava! Come se fossero pochi i pensieri, le noje, le cure per quel maledettissimo banchetto, ecco qua, ci voleva ora quest'altro impedimento della canaglia che reclamava per le vie di Roma qualche nuovo diritto. E, santo cielo, s'era d'aprile e faceva una bellissima giornata!

    Davanti a Piazza Venezia il volto gli s'allungò, come se un filo interno tutta un tratto glielo tirasse. Lo spettacolo violento gli riempí la vista e lo tenne lí un pezzo a bocca aperta, sopraffatto e compreso.

    La piazza rigurgitava di popolo. I cordoni dei soldati erano all'imboccatura di via del Plebiscito e del Corso. Parecchi dimostranti s'erano arrampicati sul tram d'aspetto e di là urlavano a squarciagola:

    — Morte ai traditorííí!

    — Mortèèè!

    Nel dispetto rabbioso contro tutta quella feccia dell'umanità che non voleva starsi quieta, gli sorse d'improvviso il proposito disperato d'attraversare a furia di gomiti la piazza. Se vi fosse riuscito, avrebbe pregato l'ufficiale che stava di guardia al Corso, che lo facesse passare per favore. Ma sí! Tutta un tratto, dal mezzo della piazza:

    Pè, pè-pèèèè!

    La tromba. Il primo squillo. Scompiglio, serra serra: molti, sospinti dalla piena nel forte del tumulto, volevano sguizzare e bàttersela, ma non potevano far altro che divincolarsi rabbiosamente, presi com'erano, pigiati e incalzati tutt'intorno da altri a ridosso, mentre i piú facinorosi, concitando, volevano rompere la calca, o meglio, cacciarsela davanti, tra fischi e urli piú tempestosi di prima:

    — Via! Avantííí!

    — Sforziamo i cordonííí!

    E la tromba, di nuovo:

    Pè, pè-pèèèè!

    D'improvviso, senza saper come, Attilio Raceni, soffocato, pesto, boccheggiante come un pesce, si ritrovò rimbalzato al Foro Trajano in mezzo alla folla fuggiasca e delirante.

    Gli sembrò che la Colonna vacillasse.

    Dove riparare? Per dove prendere?

    Poiché il grosso della folla s'avventava sú per Magnanapoli, pensò di scappare per la salita delle Tre Cannelle; ma intoppò anche lí nei soldati che già si disponevano in cordone per Via Nazionale.

    — Non si passa!

    — Senta, per favore, io dovrei...

    Una spinta furiosa gli troncò la spiegazione, facendolo schizzar col naso sulla faccia dell'ufficiale. Questi, furibondo lo respinse subito indietro con un pugno nello stomaco; ma un nuovo violentissimo spintone lo scaraventò tra i soldati che cedettero all'impeto.

    Rimbombò tremenda dalla piazza una scarica di fucili.

    E Attilio Raceni, tra la folla impazzita dal terrore si trovò perduto in mezzo alla cavalleria sopravvenuta di corsa, forse da piazza della Pilotta. Via, via con gli altri a gambe levate inseguito dai cavalli, tra tutta quella torma di bruti in fuga.

    S'arrestò, che non tirava piú fiato, all'imboccatura di Via Quattro Fontane.

    — Vigliacchi! Farabutti! — gridava tra i denti, svoltando per quella via; e quasi piangeva dalla rabbia, pallido e stravolto; e si tastava le costole, i fianchi, e tremava tutto e cercava di rassettarsi gli abiti addosso, per toglier via subito ogni traccia della violenza patita e della fuga che l'avviliva di fronte a se stesso.

    — Vigliacchi! Farabutti!

    Si voltò a guardare indietro, se mai qualcuno lo vedesse in quello stato.

    Sissignori, un vecchietto. Eccolo lí. Affacciato alla finestra d'un mezzanino, se lo stava a godere, e dal piacere che provava nel vederlo cosí tutto rimescolato, persino si grattava sul mento la barbetta gialliccia.

    Il Raceni abbassò subito gli occhi. Ma, guardandosi le mani, s'accorse d'aver perduto nella fuga la busta di cuojo.

    — Oh Dio!

    Come avrebbe fatto ora a rammentarsi di tutti coloro che aveva invitati al banchetto? di coloro che avevano aderito o s'erano scusati di non potervi partecipare? E le bozze? E gli articoli?

    D'un tratto, nella cresciuta agitazione, diventata prima smarrimento e ora rabbia, si sovvenne del vecchietto che stava a goderselo dalla finestra del mezzanino. Si voltò di nuovo a guardarlo. E sissignori, eccolo ancora là che rideva, rideva...

    — Cretino! — gli gridò; e si mise a salire in fretta per poi scendere a via Sistina, dove Dora Barmis abitava in quattro stanzette d'una vecchia casa dal tetto basso basso e quasi buje.

    Piaceva a Dora Barmis far sapere a tutti ch'era povera; e tutti lo credevano, sorridendo intanto agli abiti che le ammiravano addosso, squisitamente capricciosi. Il salottino ch'era anche scrittojo, l'alcova, la saletta da pranzo e quella d'ingresso erano, come la padrona, addobbati alla bizzarra, e certo non poveramente.

    Divisa da anni da un marito che nessuno aveva mai conosciuto, bruna, agile, pieghevole, dagli occhi bistrati violentemente, la voce un po' rauca, dimostrava con tutte le mosse del corpo e gli sguardi e i sorrisi come e quanto conoscesse l'arte di svegliare e irritare i piú raffinati e veementi desiderii maschili. Rideva poi come una pazza, quando li vedeva fiammeggiare ben svegli in certi occhi; ma ancor piú forse rideva quando certi altri occhi vedeva invece illanguidirsi nella promessa d'un sentimento duraturo.

    Il Raceni la trovò nel salottino, in una bella vestaglia giapponese ampiamente scollata, presso una piccola scrivania di ghisa nichelata, intenta a leggere un nuovo romanzo francese.

    — Povero Attilio, povero Attilio, – gli disse dopo aver tanto riso al racconto dell'ingrata avventura. – Sedete. Che posso offrirvi per sedarvi lo spirito esagitato?

    E cosí gonfiando le parole, lo guardò con aria di benevola canzonatura, strizzando un poco gli occhi e piegando il capo sul collo nudo provocante.

    — Nulla? Proprio nulla? Del resto, sapete? state bene cosí: un po' scomposto. Ve l'ho sempre detto: una... una nuance di brutalità v'andrebbe a maraviglia. Ma giú, giú quella mano, in nome di Dio! Sempre tra i capelli. L'avete bella, lo sappiamo!

    — Per favore, Dora! – sbuffò il Raceni. – Non ne posso piú! Sono cosí esasperato!

    Dora Barmis scoppiò di nuovo a ridere, poggiando le mani sulla scrivania e rovesciandosi indietro.

    — Per il banchetto? – poi disse. – Ma dunque proprio? Mentre i miei fratelli proletarii reclamano...

    — Non scherziamo, vi prego, Dora, o me ne vado! — minacciò il Raceni.

    La Barmis si levò in piedi.

    — Vi pare ch'io scherzi? Vi dico sul serio. Non mi affannerei tanto, se fossi in voi. Silvia Roncella... ma prima di tutto ditemi com'è: mi muojo dalla curiosità di conoscerla. Ancora non riceve?

    — Eh no! Non hanno ancora trovato casa, poverini. La vedrete al banchetto.

    — Datemi un po' di fuoco, e poi rispondetemi francamente.

    Accese la sigaretta, chinandosi e scoprendo tutto il seno attraverso la scollatura, nel protendere il volto verso il fiammifero. Poi, tra il fumo, domandò:

    — Ne siete già innamorato?

    — Siete matta? – scattò il Raceni. – Non mi fate arrabbiare.

    — Bruttina, allora?

    Il Raceni non rispose. Accavalciò una gamba su l'altra; alzò la faccia al soffitto; chiuse gli occhi.

    — Ah no, caro! – esclamò la Barmis. – Cosí non ne facciamo niente. Siete venuto da me per ajuto; dovete prima soddisfare la mia curiosità.

    — Ma scusatemi! – tornò a sbuffare il Raceni, sgruppandosi. – Mi fate certe domande!

    — Ho capito, – disse allora la Barmis. – Qui sta tra due: o ne siete davvero innamorato, o dev'essere bruttina sul serio. Sú via, rispondete: come veste? Male, senza dubbio.

    — Maluccio. Inesperta, capirete.

    — Capito, capito. Diciamo, se non vi dispiace, un'anatroccola arruffata. Aspettate, – aggiunse poi, accostandoglisi. – Vi casca la spilla... Uh, e come vi siete annodata codesta cravatta?

    — Mah, – fece il Raceni. – Tra quel...

    S'interruppe. Il volto di Dora gli stava troppo vicino. Intenta a riannodargli la cravatta, si sentí guardata. Quand'ebbe finito, gli diede un biscottino sul naso e, sorridendogli d'un sorriso indefinibile:

    — Dunque? – gli domandò. – Dicevamo... ah, la Roncella! Non vi piace anatroccola? Scimmietta, allora.

    — V'ingannate, – rispose il Raceni. – È bellina, v'assicuro. Poco appariscente, forse; ma ha certi occhi!

    — Neri?

    — No, chiari, soavissimi. E un sorriso molto intelligente. Dev'esser buona, tanto!

    Dora Barmis lo investí:

    — Buona avete detto? buona? Ma andate là! Chi ha scritto La casa dei nani non può essere buona, ve lo dico io.

    — Eppure...

    — Ve lo dico io! Quella lí, caro, dev'aver dentro uno spirito affilato come un pugnale. No. Piuttosto come un rasojo. E dite un po', è vero che ha un porro peloso qua, sul labbro?

    — Un porro?

    — Peloso, qua.

    — Non me ne sono accorto. Ma no, chi ve l'ha detto?

    — Me lo sono immaginato. Per me, la Roncella deve avere un porro peloso sul labbro. Mi è parso di vederglielo sempre, leggendo le sue cose. E dite: il marito? Com'è il marito?

    — Lasciatelo perdere! – rispose impaziente il Raceni. – Parliamo sul serio, adesso, vi prego.

    — Del banchetto? Sentite: la Roncella, caro, non è piú per noi. Troppo, troppo alto ormai ha spiccato il volo la vostra colombella: ha valicato le Alpi e il mare; andrà a farsi il nido lontano lontano, con molte pagliuzze d'oro, nelle grandi riviste di Francia, di Germania, d'Inghilterra. Come volete che deponga piú qualche ovetto azzurro, sia pur piccolo piccolo cosí, su l'ara delle nostre povere Grazie?

    — Ma che ovetti! che ovetti! – fece, scrollandosi, il Raceni. – Né ovetti di colomba, né uova di struzzo. Non scriverà piú per nessuna rivista, la Roncella. Si darà tutta al teatro.

    — Al teatro? Ah sí? — esclamò la Barmis, incuriosita.

    — Mica a recitare! Non ci mancherebbe altro! A scrivere.

    — Per il teatro?

    — Già. Perché il marito...

    — Ah giusto! il marito! Come si chiama?

    — Boggiòlo.

    — Sí sí, ricordo, Boggiòlo. E scrive anche lui, Boggiòlo?

    — Eh altro! All'archivio notarile.

    — Oh Dio! Notajo?

    — Archivista. Bravo giovane. Basta, vi prego. Voglio uscire al piú presto da questa briga. Avevo con me la lista degli invitati, e quei cani... Ma vediamo un po' di rifarla. Scrivete. Oh, sapete che il Gueli ha aderito? È la prova piú certa ch'egli stima davvero la Roncella, come dicevano.

    Dora Barmis rimase un po' assorta a pensare; poi disse:

    — Non capisco. Il Gueli... Mi pare cosí diverso!

    — Non discutiamo, – troncò il Raceni. – Scrivete: Maurizio Gueli.

    — Aggiungo tra parentesi, se non vi dispiace, permettendo la Frezzi. Poi?

    — Il senatore Borghi.

    — Ha accettato?

    — Eh, perbacco, presiederà! Scrivete: donna Francesca Lampugnani.

    — La mia simpatica presidentessa, sí, sí. Cara, cara, cara!

    — Donna Maria Rosa Borné-Laturzi, — seguitò a dettare il Raceni.

    — Oh Dio! – sbuffò la Barmis. – Quell'onesta gallina faraona?

    — È decorativa, scrivete. Poi: Filiberto Litti.

    — Di bene in meglio! – approvò la Barmis. – L'archeologia accanto all'antichità! E dite, Raceni: il banchetto lo faremo tra le rovine del Foro?

    — Già, a proposito! – esclamò il Raceni. – Dobbiamo ancora stabilire il luogo, e se di sera o di mattina.

    — Di sera? No! Siamo in primavera. Bisogna farlo di giorno, in un bel posto, fuori. Aspettate: al Castello di Costantino. Ecco. Delizioso. Nella sala vetrata, con tutta la campagna davanti... i monti Albani... i Castelli... e poi, di fronte, il Palatino... Sí, sí, là! Sarà un incanto! Senz'altro!

    — Vada per il Castello di Costantino, – disse il Raceni. – Andremo insieme domani, se non vi dispiace, a dare le ordinazioni. Saremo, credo, una trentina. Sentite, Giustino mi si è tanto raccomandato...

    — Chi è Giustino?

    — Ma il marito, ve l'ho detto, Giustino Boggiòlo, santo cielo! Mi si è tanto raccomandato per la stampa. Vorrebbe molti giornalisti. Ho invitato il Lampini.

    — Ah, Ciceroncino, bravo!

    — E, mi pare, altri quattro o cinque, non so: Barduzzi, Centanni, Federici e quello... come si chiama? della Capitale...

    — Mola?

    — Mola. Segnateli. Ci vorrebbe qualche altro un po' piú... un po' piú... Venendo il Gueli, capirete... Per esempio, Casimiro Luna.

    — Aspettate, – disse la Barmis. – Se viene donna Francesca Lampugnani, non sarà difficile trascinare il Betti.

    — Ma ha scritto male della Casa dei nani, il Betti, non avete visto?

    — Meglio, anzi! Invitatelo. Ne parlerò poi io a donna Francesca. Quanto a Miro Luna non dispero di trascinarlo con me.

    — Fareste felice il Boggiòlo, felice addirittura! Oh, segnate intanto l'onorevole Carpi, e quello zoppetto, il poeta...

    — Ah, Zago, sí! Carino, poveretto! Che bei versi sa fare! L'amo, sapete? Guardate lí il ritratto. Me lo son fatto dare. Non vi sembra Leopardi con gli occhiali?

    — Faustino Toronti, – seguitò a dettare il Raceni. – E il Jàcono...

    — No! – gridò Dora Barmis, scaraventando la penna. – Avete invitato anche Raimondo Jàcono, quell'odiosissimo napoletanaccio? Non vengo piú io, allora! Jettatore! Jettatore! Toccate ferro, per carità!

    — Abbiate pazienza, non ho potuto farne a meno, – rispose dolente il Raceni. – Era con lo Zago... Invitando l'uno, ho dovuto invitare anche l'altro.

    — E allora io vi impongo Flavia Morlacchi, – disse la Barmis. – Qua: Fla-vi-a Morlacchi. Staranno bene insieme. Il cane e la gatta.

    — Speriamo che non tornino a mordersi e a sgraffiarsi!

    Rileggendo, poco dopo, la lista, s'indugiarono tutte due a far girare come una mola d'arrotino questo o quel nome per il gusto di affilare il taglio, ancora un po', alla loro lingua che non ne aveva bisogno. Tanto che alla fine un moscone, che se ne stava quieto a dormire tra le pieghe d'una portiera, si destò e con molto slancio volle entrar terzo nella conversazione. Ma Dora mostrò d'averne terrore, piú che ribrezzo, e prima s'aggrappò al Raceni, stringendoglisi forte contro il petto, cacciandogli i capelli odorosi sotto il mento; poi scappò a chiudersi nell'alcova, gridando dietro l'uscio che non sarebbe rientrata, se lui prima non faceva andar via per la finestra o non uccideva quell'orribile bestia.

    — Ve la lascio qua, e me ne vado — le disse placidamente il Raceni, prendendo la nuova lista dalla scrivania.

    — No, per carità, Raceni! — scongiurò Dora di là.

    — E allora aprite!

    — Ecco, apro, ma voi... oh! che fate? No! Entra il moscone, Dio, Raceni!

    — E fate presto!

    Attraverso lo spiraglio le due bocche s'erano congiunte e lo spiraglio a mano a mano s'allargava, quando dalla via s'intesero gli strilli di parecchi giornalai:

    Terza edizioneee! Quattro morti e venti feritííí! Lo scontro con la

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