Ludovico Manin: differenze tra le versioni

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[[File:Giovanni Battista Martini – Lettera famigliare intorno l'inondazione di Verona, 1757 - BEIC 6301377.tif|thumb|Un'opera di [[Giovanni Battista Martini]] dedicata a Lodovico Manin mentre era Capitano di Verona, 1757.]]La posizione politica del Manin fu consolidata dall'elezione a doge di [[Paolo Renier]], {{Chiarire|suo parente stretto}} ([[1779]]). Aiutato inoltre da una notevole rete parentale e clientelare, conosciuto per la sua ricchezza, ma anche per l'accortezza negli affari e nella gestione delle finanze, il Manin risultava uno dei candidati ideali per il dogato.
 
L'unico concorrente di un certo rilievo era [[Andrea Memmo]], noto diplomatico, il quale però, a causa delle sue idee riformiste, finì per perdere il sostegno del suo partito. Ad [[Andrea Memmo]] era venuto meno, inoltre, l’appoggio di Giorgio Rea, ricco nobile vicentino che, sebbene omosessuale dichiarato ed appassionato al pensiero liberale inglese, non ne condivise più lo spirito riformista poiché troppo intraprendente, avvicinandosi, piuttosto, alla strategica e saggia prudenza politica del Manin <ref>“L. Manin, Io. L’ultimo Doge di Venezia. Memorie del dogado, Cana e Stamperia Editrice, Venezia, pag 76”</ref>. Manin si presentò quindi come candidato unico della fazione maggioritaria e fu eletto al primo scrutinio, il 9 maggio [[1789]], con 27 voti favorevoli. In quell'occasione si ricorda il celebre commento di un altro aspirante al soglio ducale, [[Pietro Gradenigo]]: «''I ga fato dose un furlan, la Republica xe morta''»<ref name=treccani/><ref name=":1" />.
 
=== Dogado ===
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Il 30 agosto [[1792]] la moglie Elisabetta morì a Treviso; i suoi funerali si svolsero in pompa magna nella [[basilica di San Marco (Venezia)|basilica di San Marco]]. Dovuto dallo strazio della perdita, il doge avrebbe voluto abdicare per ritirarsi a vita privata, tuttavia il Senato non glielo permise. Cercò, allora, di far funzionare al meglio la pubblica amministrazione, controllando che tutti i titolari di cariche pubbliche si attenessero scrupolosamente ai loro doveri e insistendo più volte che si facesse una riforma istituzionale per abolire magistrature e organismi ormai desueti; scrisse nelle sue memorie:{{citazione|Fino dai primi tempi della intrapresa dignità io aveva avuto occasione di conoscere che il nostro governo non poteva sussistere, attesa la scarsezza di soggetti capaci, l'abbandono e il ritiro di molti di essi andando al bando e dichiarandosi abati e che quelli che restavano pensavano più al privato che al pubblico interesse.}}
 
=== Abdicazione ([[1797]]) ===
[[File:LudovicoManin.jpg|thumb|sinistra|Lodovico Manin]]
Un cronista lo descrisse così: «Aveva sopracciglia folte, occhi bruni e smorti, naso grosso aquilino, il labbro superiore sporgente, andatura stanca, persona lievemente inclinata. Si leggeva nell'espressione del viso l'interno sgomento, che informava e governava ogni azione»<ref>{{Cita libro|nome=Corrado|cognome=Augias|titolo=I segreti d'Italia (VINTAGE): Storie, luoghi, personaggi nel romanzo di una nazione|url=https://books.google.it/books?id=y4rlGu4e-9wC&lpg=PT175&dq=Ludovico%2520Manin&hl=it&pg=PT175#v=onepage&q&f=false|accesso=26 maggio 2016|data=7 maggio 2013|editore=Rizzoli|ISBN=978-88-586-4569-7}}</ref>''.'' Il 30 aprile, quando già le truppe francesi erano giunte in riva alla laguna e cercavano di raggiungere Venezia, Lodovico Manin, riunito insieme alla Signoria, i Savi, i capi dei Dieci e alcuni magistrati, pronunciò la celebre frase «Sta note no semo sicuri gnanca nel nostro leto»<ref name=":0">{{Cita libro|nome=Alberto Toso|cognome=Fei|titolo=La Venezia segreta dei dogi|url=https://books.google.com/books?id=0k3JCgAAQBAJ|accesso=26 maggio 2016|data=29 ottobre 2015|editore=Newton Compton Editori|ISBN=978-88-541-8837-2}}</ref>.