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{{AvvisounicodeNota disambigua}}
[[File:Plato by Raphael.png|thumb|Ritratto di [[Platone]], in un particolare della ''[[Scuola di Atene]]'', indicante il [[iperuranio|cielo iperuranico]], sede delle idee ([[Raffaello]], [[Musei Vaticani]], [[Città del Vaticano]])]]
{{Nota disambigua|descrizione=altri significati del termine|titolo=IDEA}}
'''Idea''' (dal [[lingua greca antica|greco antico]] ἰδέα,<ref>[[Etimologia]] consultabile su ''[http://www.etimo.it/?term=idea&find=Cerca etimo.it]'', dal ''[[dizionario etimologico|Vocabolario Etimologico]] della Lingua Italiana'' di [[Ottorino Pianigiani]].</ref> dal tema di ἰδεῖν,<ref>[http://www.treccani.it/vocabolario/idea/ Voce] in [[Vocabolario Treccani]]: ''ἰδεῖν'', «percepire, vedere, scorgere con la mente».</ref> ''vedere'')<ref>«I termini ''idea'' e ''eidos'' derivano entrambi da ''idein'', che vuol dire "vedere"» (G. Reale, ''Il pensiero antico'', pag. 120, Vita e Pensiero, Milano 2001 ISBN 88-343-0700-3). Secondo [[Giovanni Semerano (filologo)|Giovanni Semerano]], ''idein'' è derivante dall'[[accadico]] idû, edû, «prendere conoscenza di» (''[[Giovanni Semerano (filologo)#Le origini della cultura europea|Le origini della cultura europea]]'', vol. II, in ''Dizionari etimologici. Basi semitiche delle lingue indoeuropee'', Giovanni Semerano, p. 124).</ref> è un termine usato sin dagli albori della [[filosofia]], indicante in origine un'essenza primordiale e sostanziale, ma che oggi ha assunto nel linguaggio comune un significato più ristretto, riferibile in genere ada una rappresentazione o un "[[disegno]]" della [[mente]].<ref>Ubaldo Nicola, ''Atlante illustrato di filosofia'', p. 100, Giunti Editore, 2003.</ref>
[[File:Plato-raphael.jpg|thumb|Ritratto di Platone indicante il [[iperuranio|cielo iperuranio]], sede delle idee.]]
'''Idea''' (dal [[lingua greca antica|greco antico]] ἰδέα,<ref>[[Etimologia]] consultabile su ''[http://www.etimo.it/?term=idea&find=Cerca etimo.it]'', dal ''[[dizionario etimologico|Vocabolario Etimologico]] della Lingua Italiana'' di [[Ottorino Pianigiani]].</ref> dal tema di ἰδεῖν,<ref>[http://www.treccani.it/vocabolario/idea/ Voce] in [[Vocabolario Treccani]]: ''ἰδεῖν'', «percepire, vedere, scorgere con la mente».</ref> ''vedere'')<ref>«I termini ''idea'' e ''eidos'' derivano entrambi da ''idein'', che vuol dire "vedere"» (G. Reale, ''Il pensiero antico'', pag. 120, Vita e Pensiero, Milano 2001 ISBN 88-343-0700-3). Secondo [[Giovanni Semerano (filologo)|Giovanni Semerano]], ''idein'' è derivante dall'[[accadico]] idû, edû, «prendere conoscenza di» (''[[Giovanni Semerano (filologo)#Le origini della cultura europea|Le origini della cultura europea]]'', vol. II, in ''Dizionari etimologici. Basi semitiche delle lingue indoeuropee'', Giovanni Semerano, p. 124).</ref> è un termine usato sin dagli albori della filosofia, indicante in origine un'essenza primordiale e sostanziale, ma che oggi ha assunto nel linguaggio comune un significato più ristretto, riferibile in genere ad una rappresentazione o un "[[disegno]]" della [[mente]].<ref>Ubaldo Nicola, ''Atlante illustrato di filosofia'', p. 100, Giunti Editore, 2003.</ref>
 
== Platone ==
[[File:Platoneeleidee.jpg|upright=1.4|thumb|Schema concettuale dell'idea universale di Cavallo, di cui sono partecipi i singoli cavalli particolari.]]
[[Platone]] è il primo a fare dell'"idea" il perno del suo sistema filosofico, ponendo le basi di tutta la [[storia della filosofia occidentale]]. Bisogna intendere però l'idea platonica non come "concetto" bensì come "forma" e difatti Platone utilizza indifferentemente i termini ''idea'', ''eidos'' ed ''ousìa'' ad indicare la forma comune di tutti i concetti.<ref>«Nel linguaggio moderno "Idea" ha assunto un senso che è estraneo a quello platonico. La traduzione esatta del termine sarebbe "forma"» (G. Reale, ''Il pensiero antico'', pag. 120, Vita e Pensiero, Milano 2001 ISBN 88-343-0700-3).</ref> L'idea platonica sottintende un'uniformità naturale, in cui alle diverse manifestazioni degli oggetti fa capo un'unica forma pura, o "idea", che le accomuna tutte, in maniera simile a un modello o un [[archetipo]].<ref>Le manifestazioni degli oggetti sensibili possono essere considerate, rispetto alle idee, secondo un rapporto di imitazione, di partecipazione, di comunanza, oppure di presenza (cfr. ''Fedone'' 74 d - 75 b, e 100 c-e), anche se questi quattro concetti vengono presentati da Platone soltanto come semplici proposte di comprensione senza alcuna pretesa esaustiva (cfr. GM. RealeMontuori, ''Per una nuova interpretazione del "Critone" di Platone'', pag.a 211cura di Giovanni Reale, Vita e Pensiero, Milano 2003, pag. 211, ISBN 88-343-1036-5).</ref> L'idea platonica è quindi [[trascendenza|trascendente]], immateriale, universale e reale. Platone colloca tutte le "idee" in un mondo distinto, il mondo "[[iperuranio]]" (dal greco υπερὑπέρ "oltre" e ουρανοςοὐρανός "cielo"), da cui sgorgano come da una fonte per poi arrivare alla [[coscienza (filosofia)|coscienza]] dell'umanità.<ref>La natura dell'iperuranio e delle idee che vi dimorano è descritta da Platone nel dialogo ''[[Fedro (dialogo)|Fedro]]'', mentre il tema del rapporto tra l'idea e la realtà sensibile è esposto con particolare efficacia suggestiva nel [[mito della caverna]] delibro VII della ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' (514 b – 520 a).</ref>
 
Per Platone le idee hanno queste due caratteristiche:<ref name="scritti platonici">Domenico Pesce, ''Scritti platonici'', p. 44, Edizioni Zara, 1988. Come le Idee sono principio dell'essere e principio del conoscere, così a sua volta il Bene non solo fa essere ma fa anche conoscere queste ultime, simile al sole che dà la vita agli oggetti sensibili e al contempo li rende visibili (paragone formulato da Platone in ''Repubblica'', V, 580 a).</ref>
* Esse sono il fondamento [[ontologia|ontologico]] della realtà: costituiscono cioè il motivo che fa ''[[essere]]'' il mondo, sono le “forme” con cui il [[Demiurgo]] lo ha plasmato.<ref name="scritti platonici" />
* Come conseguenza del primo punto, le idee sono anche il fondamento [[gnoseologia|gnoseologico]] della realtà: esse sono la causa che ci permette di pensare il mondo, costituiscono cioè il presupposto della [[conoscenza]] umana.<ref name="scritti platonici" />
 
Nelle idee consiste pertanto l'unione immediata di [[essere]] e [[pensiero]] che era stata enunciata la prima volta da [[Parmenide]]. Trovandosi tuttavia a dover conciliare la staticità di Parmenide col [[divenire]] di [[Eraclito]], Platone le concepisce gerarchicamente, da un minimo fino a un massimo di essere, per rendere ragione della [[molteplicità]] del mondo. In cima a tutte sta l'idea del [[Bene (eticafilosofia)|Bene]], quella che possiede più propriamente l'Essere. Platone attribuiva infatti alle Idee una terza caratteristica:
* Esse sono un ''valore'', in maniera simile al significato odierno di "[[beneideale (etica)|ideale]]" o principio morale.<ref>AA.VV., ''La trasmissione della filosofia nella forma storica'', a cura di Luciano Malusa, vol. II, p. 136, nota 38, Milano, FrancoAngeli, 1999.</ref> Le idee sono il modello assoluto di riferimento per una vita [[giustizia|giusta]] e [[saggezza|saggia]]. E questo vale non solo in ambito [[etica|etico]], ma anche in quello [[estetica|estetico]], poiché esse rappresentano la qualità somma di ogni oggetto terreno.<ref>«Platone esprime col termine "paradigma" quella che, con linguaggio moderno, si potrebbe chiamare la "normatività ontologica" dell'Idea, cioè il ''come le cose devono essere'', ossia il ''dover essere'' delle cose» (G. Reale, ''Per una nuova interpretazione del "Critone" di Platone'', pag. 212, ''op. cit.'').</ref> Mentre nel mondo sensibile queste qualità sussistono solo come predicati o attributi delle singole realtà (per cui ad esempio si considera “bello” un quadro, “vero” un enunciato, “buona” una condotta), nel mondo iperuranio le idee costituiscono il [[Verità|Vero]] in sé, il [[Bene (eticafilosofia)|Buono]] in sé, il [[Bello]] in sé, di cui quelle realtà sono semplici [[metessi|partecipazioni]].<ref>«Le Idee sono dette da Platone "in sé" e "per sé" (αὐτὸ καθ'αὑτὸ); anzi, egli usa l'espressione "in sé" come sinonimo di Idea, e invece che di Idea del bello, Idea del bene, ecc. egli parla addirittura di "Bello-in-sé", "Bene-in-sé", e così di seguito» (G. Reale, ''ibidem'', pag. 178).</ref> Via via che si sale nella gerarchia, ad ogni aumento di [[essere]] corrisponde un aumento di valore. Le idee iperuraniche sono [[causa formalis|cause formali]] e esemplari, non [[causa efficiens|efficienti]] delle idee sensibili.<ref>Padre [[Battista Mondin]], ''Ontologia e metafisica'', ESD, 2022, p. 166</ref>
 
Poiché le idee sono anche il [[finalismo|fine]] e la destinazione di ogni entità empirica, compito della filosofia è risalire dai dati sensibili fino alle idee, che si trovano ad un livello [[trascendenza|trascendente]] rispetto a quelli, nel senso che ''superano'' le loro particolarità transitorie e relative. Le idee infatti sono la realtà compiuta, l'essere in sé e per sé, e sono perciò ''[[assoluto|assolute]]'',<ref>«Assoluto» vuol dire infatti etimologicamente «sciolto da» (dal latino ''ab-solutus'').</ref> perché sussistono autonomamente e indipendentemente dagli oggetti del mondo fenomenico; questi ultimi invece esistono solo "in relazione" alle idee, e sono pertanto ''relativi'', essendo mescolati al non-essere.<ref>Alessandro Pestalozza, ''Elementi di filosofia'', vol. II, p. 619, Milano, Redaelli, 1857.</ref>
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Strumento di elevazione è la [[dialettica]], che permettendo il raffronto tra realtà diverse, rende possibile il sapere (che delle idee è emanazione). Così ad esempio bianco e nero rimangono termini contrapposti e molteplici sul piano sensibile; tuttavia, è solo cogliendo questa differenza di termini che si può risalire al loro fondamento e comune denominatore, cioè l'Idea di Colore. Non si può infatti avere coscienza del bianco senza conoscere il nero. L'Idea resta comunque al di sopra della dialettica stessa, perché può essere colta solo con un atto di [[intuizione]]: non è dimostrabile [[logica]]mente, né è ricavabile dall'[[esperienza]].<ref>G. Salmeri, ''Il discorso e la visione. I limiti della ragione in Platone'', Studium, Roma 1999.</ref> Quest'ultima svolge tuttavia una funzione importante, che è quella di risvegliare la [[reminiscenza]] (o ricordo) delle idee, le quali infatti si trovano già all'interno dell'anima, e sono perciò [[innatismo|innate]]. L'uomo non le cercherebbe con tanto desiderio se non le avesse già viste con gli occhi dell'anima, prima di nascere; le idee platoniche costituiscono quindi un sapere interiore, corrispettivo sotto molti aspetti del ''[[demone|daimon]]'' [[Socrate|socratico]].<ref>In particolare nel ''Fedone'' Platone insiste sulla parentela tra l'anima e le idee (cfr. Emmanuel Lévinas, ''Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità'', p. 69, Milano, Jaka Book, 1977).</ref>
 
==L'aristotelismo==
{{quote| Secondo l‘opinione di Platone le sostanze immateriali non soltanto sono conosciute da noi, ma sono il primo oggetto della nostra conoscenza. Infatti Platone riteneva che le forme immateriali sussistenti, che chiamava idee, fossero l‘oggetto proprio della nostra intelligenza, e quindi fossero primariamente e direttamente conosciute da noi. Tuttavia la conoscenza dell‘anima sarebbe rivolta alle cose materiali in quanto l‘intelletto è unito alla fantasia e ai sensi. Quanto più dunque l‘intelletto sarà purificato, tanto meglio percepirà la verità delle realtà immateriali.<br/>
Attraverso il cosiddetto «[[argomento del terzo uomo]]», con cui metteva in discussione la [[trascendenza]] delle idee rispetto alla realtà sensibile, [[Aristotele]] muoverà un'obiezione nei confronti della dottrina platonica che, nei fatti, «si riduce ad escludere una soverchia separazione tra le idee e gli enti reali».<ref>[[Antonio Rosmini]], ''Aristotele'', pag. 194, Società editrice di libri di filosofia, 1857.</ref> Ciò condurrà ad una differenza tra la concezione [[gnoseologia|gnoseologica]] di Platone e quella [[aristotelismo|aristotelica]], per la quale non esistono idee [[innatismo|innate]] nell'[[intelletto]]: quest'ultimo rimane vuoto se prima non [[percezione|percepisce]] qualcosa attraverso i sensi.<ref>Seguendo Aristotele, il principale esponente della [[scolastica (filosofia)|scolastica medioevale]], [[Tommaso d'Aquino]], ribadirà che la [[conoscenza]] nasce sempre dai [[cinque sensi]], e che solo a partire da questi l'intelletto procede per astrazione verso le realtà immateriali: {{citazione|Secondo Platone le sostanze immateriali sono il primo oggetto della nostra conoscenza e l'oggetto proprio della nostra intelligenza. Tuttavia la conoscenza dell'anima è rivolta alle cose materiali in quanto l'intelletto è unito all'immaginazione e ai sensi. Quanto più dunque l'intelletto sarà purificato, tanto meglio percepirà la verità delle realtà immateriali.|Tommaso d'Aquino, ''[[Summa theologiae]]'', argomento 88, ''"In che modo l'anima conosca le realtà ad essa superiori"'', a. 1, 4}}</ref>
Invece secondo il parere di Aristotele, più conforme all‘esperienza, nello stato della vita presente il nostro intelletto ha un rapporto naturale all‘essenza delle realtà materiali, così da non conoscere nulla, come si è visto [q. 84, a. 7], senza volgersi ai fantasmi. È perciò evidente che, atteso il processo conoscitivo da noi sperimentato, noi non possiamo intendere primariamente e immediatamente le sostanze immateriali, che sono estranee al dominio dei sensi e dell‘immaginazione.|Summa th., ARGOMENTO 88 IN CHE MODO L‘ANIMA CONOSCA LE REALTÀ AD ESSA SUPERIORI, a. 1, 4}}
 
== Plotino e il neoplatonismo ==
[[Plotino]] e i [[neoplatonismo|neoplatonici]] ripresero, in forme più o meno simili, la concezione dell'Idea che era stata formulata da Platone, integrandola con gli apporti dell'[[aristotelismo]]. Plotino fece così delle Idee la seconda [[ipostasi]] del processo di emanazione dall'[[Uno (filosofia)|Uno]]:, chiamandola l'[[Intelletto]], da lui concepito aristotelicamente come un riflessivo "pensiero di pensiero".<ref name=mathieu>Vittorio Mathieu, ''Come leggere Plotino'', pp. 53-63, Milano, Bompiani, 2004.</ref> Ma l'originalità di Plotino rispetto ad [[Aristotele]] sta proprio nel collocare in esso le idee platoniche: in tal modo, egli sottrae l'Intelletto all'apparente astrattezza aristotelica, dandogli un contenuto e rendendolo più articolato. Le idee platoniche così concepite, ovvero come infinite sfaccettature dell'unico Intelletto, vanno quindi a costituire il ''principium individuationis'' degli [[individuo|individui]], poiché Plotino le considera non solo [[trascendenza|trascendenti]], ma anche [[immanenza|immanenti]], in quanto vengono veicolate dall'[[Anima]] in ogni elemento del mondo sensibile:<ref name=mathieu /> esse diventano la forza che "plasma" gli organismi dall'interno secondo un fine prestabilito, la ''ragione'' del loro costituirsi (in maniera simile ai [[gene|caratteri genetici]]).<ref>''Enneadi'', a cura di G. Faggin, p. 939, Rusconi, 1992.</ref> Plotino si avvicina in tal modo al concetto di ''[[entelechia]]'' aristotelica, o al ''[[Logos]]'' dello [[stoicismo]].<ref name=mathieu />
 
Anche [[Sant'Agostino|Agostino]] riprese la concezione neoplatonica delle idee, sottolineando che esse non erano in contrasto con la [[dottrina cristiana]], ma anzi le si adattavano perfettamente. Da un lato, rifacendosi al pensiero [[bibbia|biblico]], egli affermò che [[Dio]] aveva creato il mondo dal nulla, dall'altro però, prima di creare il mondo, le idee esistevano già nella Sua mente. Le idee platoniche quindi erano in Dio, e in tal modo Agostino poté conciliare la [[creazione (teologia)|creazione]] cristiana con le idee eterne.<ref>«Le idee sono infatti forme primarie o ragioni stabili e immutabili delle realtà: non essendo state formate, sono perciò eterne e sempre uguali a se stesse, e sono contenute nell'intelligenza divina. Non hanno origine né fine: anzi si dice che tutto ciò che può nascere e morire, e tutto ciò che nasce e muore, viene formato sul loro modello. […] Partecipando di esse, esiste tutto ciò che esiste, qualunque sia il modo di essere» (Agostino d'Ippona, ''Questione 46'' in ''83 Questioni diverse'', in ''Opere di Sant’AgostinoSant'Agostino'', Città nuova editrice, Roma, vol. VI/2, pp. 85 e 87).</ref>
 
Le idee mantengono in Agostino la loro duplice caratteristica di ''causa essendi'' e ''causa cognoscendi'', ovvero la "causa" per cui il mondo risulta fatto così, e grazie a cui possiamo [[conoscenza|conoscerlo]].<ref>Agostino, ''De vera religione'', capp. XXXIV e XXXVI.</ref> In esse pertanto si trova anche il fondamento [[soggetto (filosofia)|soggettivo]] del nostro pensare: per i neoplatonici il [[pensiero]] non è un fatto, un concetto collocabile in una dimensione temporale, ma un atto fuori dal tempo. Il pensiero ''pensato'', posto cioè in maniera quantificabile e finita, è per essi un'illusione e un inganno, perché nel pensare una qualunque realtà sensibile, questa non si pone come un semplice oggetto, ma è in realtà ''soggetto'' che si rende presente al pensiero, quindi un'entità viva. In altri termini, la caratteristica principale del pensiero è quella di possedere la [[mente]], non di esserne posseduto, e comporta dunque il rapimento della [[coscienza (psicologia)|coscienza]] da parte del suo stesso oggetto: l'idea.<ref>Un paragone spesso utilizzato dai [[neoplatonismoNeoplatonismo|neoplatonici]] consistette nell'assimilare le idee alla [[luce]]: come quest'ultima è la condizione del nostro vedere, così le idee sono la condizione del nostro pensare. Le idee pertanto possono venir soltanto [[intuizioneIntuizione|intuite]] con un atto di apprensione immediata, e non possono essere dimostrate [[logicaLogica|logicamente]]mente perché altrimenti verrebbero ridotte a un semplice oggetto, slegato dal soggetto che le pensa; esse sono piuttosto all'origine del pensiero logico stesso, che per risalire alla propria fonte deve così auto-annullarsi.<br />
Il neoplatonico [[Ralph Waldo Emerson|Emerson]] dirà in proposito: «Abbiamo poco controllo sui nostri pensieri. Siamo prigionieri delle idee» (Ralph Waldo Emerson, ''Il pensiero e la solitudine'', a cura di Beniamino Soressi, Armando, 2004 ISBN 88-8358-585-2).
</ref>
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Con [[Cartesio]], invece, l'idea viene a perdere il suo carattere [[ontologia|ontologico]], in favore di quello [[gnoseologia|gnoseologico]]. Si può meglio comprendere la posizione di Cartesio raffrontandola con quella neoplatonica: per quest'ultima, ''pensare'' l'idea significava “essere” nell'idea; per Cartesio, invece, ''pensare'' l'idea significa “avere” delle idee.<ref>«[...] la teoria ontologica cartesiana è tutta assorbita dall'esigenza critica del ''cogito'' al quale si riduce ogni dato; l'essere è condizionato dal conoscere» (Antonino Stagnitta, ''Laicità nel Medioevo italiano: Tommaso d'Aquino e il pensiero moderno'', p. 78, Armando editore, Roma 1999 ISBN 88-7144-801-4).</ref>
 
In tal modo l'idea viene ridotta ad un semplice contenuto della mente: non è più qualcosa da cui si viene posseduti, ma qualcosa che si possiede.<ref>«Prendo il nome di idea per tutto ciò che è concepito immediatamente dallo spirito […]; ed io mi son servito di questo nome perché esso era già comunemente accettato dai filosofi per significare le forme delle concezioni dell’intellettodell'intelletto divino» (Cartesio, ''Terze risposte a Hobbes'', in ''Opere filosofiche'', Laterza, Roma-Bari 1996, pag. 171).</ref> Pur rifacendosi all'[[innatismo]] platonico, Cartesio considera “idea” soltanto ciò che può essere riconosciuto come “chiaro ed evidente” dalla [[ragione]], in virtù della sua valenza oggettiva. Essa è l'elemento su cui la ragione esercita il [[metodo (filosofia)|metodo]] conoscitivo del ''[[cogito ergo sum]]''.
 
Mentre l'Idea cartesiana restava slegata dalla dimensione ontologica, [[Baruch Spinoza|Spinoza]] cercò di ricostruire un sistema coerente in cui vi fosse corrispondenza tra realtà e idee, ovvero tra forme dell'[[essere]] e forme del [[pensiero]].<ref>L'espressione coniata da Spinoza che sintetizza maggiormente il suo pensiero è: «''Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum''», ossia «L'ordine e la connessione delle idee è identica a quella che sussiste nella realtà» (Spinoza, Ethica, II, pr. VII).</ref> [[Gottfried Leibniz|LeibnitzLeibniz]] per parte sua criticò Cartesio, affermando che le idee non sono solo quelle di cui si ha una coscienza chiara e distinta, ma che esistono anche idee [[inconscio|inconsce]], da cui il nostro pensiero viene mosso e attivato.<ref>«Lo stato passeggero, che implica o rappresenta una molteplicità nell'unità o sostanza semplice, non è altro che ciò che è chiamato percezione, e che deve essere distinta dall'[[appercezione]] o coscienza, come si vedrà in seguito. Ed è su questo punto che i cartesiani hanno sbagliato gravemente, avendo considerato come un nulla le percezioni delle quali non si abbia appercezione» (G. W. Leibniz, ''Monadologia'', 14, in ''Scritti filosofici'', UTET, Torino, 1967, vol. I, pagg. 284-285).</ref>
 
== L'empirismo ==
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== Kant ==
[[Kant]] si propose di correggere Hume, affermando che le idee non vengono dall'esperienza, ma nascono dall'attività [[criticismo|critica]] dell'[[io (filosofia)|io]]. Rifacendosi al termine "idea", Kant intendeva però distinguere i concetti dell'[[intelletto]] (o [[categoria (filosofia)|categorie]]) dai concetti della [[ragione]] (appunto le idee); diversamente da Platone, dunque, le idee kantiane si trovano nella ragione e non nell'intelletto.<ref>AA.VV., ''La trasmissione della filosofia nella forma storica'', a cura di Luciano Malusa, vol. II, pp. 127-135, ''op. cit.''</ref> L'idea così concepita consiste nel collegamento che la ragione opera tra più concetti, per cui conoscere significa collegare: ad esempio, è d'uso ancora oggi l'espressione "farsi un'idea" di qualcuno o qualcosa, sulla base di più nozioni connesse insieme.<ref>«Con l'idea la [[ragione]] cerca di ottenere "la sistematicità della conoscenza" e cioè "il collegamento di essa secondo un principio"» (cit. di Kant, ''Critica della ragion pura'', da Giovanni M. Bertin, ''Educazione alla ragione. Lezioni di pedagogia generale'', Roma, Armando Editore, 1995, p. 39).</ref><br />
Mentre tuttavia le categorie sono ''costitutive'' dell'[[esperienza]] sensibile, le idee hanno soltanto una funzione ''regolativa'', nel senso che guidano l'esperienza, dandole un senso e un fine.<ref>«Intendo per idea un concetto assoluto necessario della ragione al quale non è dato trovare un oggetto adeguato nei sensi. I nostri concetti puri razionali […] son dunque idee trascendentali. Essi son concetti della ragion pura, […] sono trascendenti e sorpassano i limiti di ogni esperienza» (Kant, ''Critica della Ragion pura'', ''Dialettica trascendentale'', lib. I, sez. II e lib. II, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 308 e 317).</ref> Le idee infatti rappresentano per Kant i tre grandi [[beneBene (eticafilosofia)|ideali]] razionali: quello [[psicologia|psicologico]] (lo studio dell'[[anima]]), quello [[cosmologia (filosofia)|cosmologico]] (lo studio del [[mondo]]), e quello [[teologia|teologico]] (lo studio di [[Dio]]).<ref>AA.VV., ''Filosofia e scienze'', a cura di Giuseppe Gembillo, p. 206, Rubbettino, 2005.</ref>
 
Pur non trovando riscontro nella realtà [[fenomeno|fenomenica]], si tratta di idee [[trascendentale|trascendentali]] che sul piano della [[Critica della ragion pura|pura ragione]] servono a spronare la [[conoscenza]], mentre sul piano [[Critica della ragion pratica|etico]] ed [[Critica del giudizio|estetico]] recuperano in un certo senso le caratteristiche platoniche, rendendo possibile il [[finalismo]] della [[etica|moralità]] e del [[bello]].<ref>Luciano Malusa, ''La trasmissione della filosofia nella forma storica'', vol. II, p. 136, ''op. cit.''.</ref>
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[[Fichte]] rimane su una posizione più fedele al [[criticismo]] kantiano; pur facendo dell'[[io (filosofia)|Io]] la realtà assoluta, esso [[trascendenza|trascende]] il mondo fenomenico, e rimane quindi irraggiungibile. Per vie diverse, anche [[Friedrich Schelling|Schelling]] concepisce l'[[Assoluto]] come [[trascendente]], intuibile solo nell'unione immediata di Spirito e Natura (che corrispondono in linea generale ai concetti neoplatonici di [[essere]] e [[pensiero]]).
 
=== Hegel ===
Per [[Hegel]] invece, a differenza di Platone, l'Idea non è [[trascendente]], bensì [[immanenza|immanente]] alla [[logica]], essendo il risultato di un processo [[dialettica|dialettico]]. Essa non è più l'unione immediata di essere e pensiero, ma è il prodotto di una mediazione: è l'oggetto su cui il pensiero giunge a dedurre tutta la realtà. Mentre nella filosofia classica l'Idea era l'origine assoluta di tutto, principio primo in sé e per sé (che si giustificava da solo), nel sistema hegeliano essa deve essere giustificata sulla base del rapporto dialettico che instaura col suo contrario. In tal modo Hegel sovvertì la [[principio di non contraddizione|logica di non contraddizione]], facendo coincidere ogni principio col suo opposto. L'Idea non viene colta a livello [[intuizione intellettuale|intellettivo]], ma è un prodotto della [[ragione]], un processo in divenire che si articola in tre momenti:
* Al livello della tesi, l'idea è soltanto ''in sé'', come totalità puramente [[logica]], cioè un assoluto inteso come semplice concetto;
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[[Schopenhauer]] criticò l'idea hegeliana, affermando che essa non è espressione di una razionalità compiuta, ma discende da una [[Volontà]] superiore che non riesce mai a razionalizzarsi completamente, ed è perciò soggetta al dolore e alla sofferenza. Schopenhauer resta fedele alla concezione [[neoplatonismo|neoplatonica]] (più che [[Platone|platonica]]) dell'idea,<ref>Vittorio Mathieu, ''Come leggere Plotino'', op. cit., p. 37.</ref> come principio universale che si oggettiva nelle forme della natura organica e inorganica, e che può essere colto solo elevandosi al di sopra della ragione [[dialettica]].<ref>«La [[volontà]] è la cosa in sé di Kant; e l'idea di Platone è la conoscenza pienamente adeguata ed esauriente della cosa in sé, è la volontà come oggetto» (Schopenhauer, ''Manoscritti 1804-1818'', in ''Der Handschriftliche Nachlass'', vol. I, p. 291, DTV, München-Zürich 1985).</ref>
 
== L'idea al giorno d'oggi ==
Oggi il significato del termine ''idea'' si è progressivamente ridimensionato ad una connotazione psicologica, che la riduce a semplice contenuto della mente.<ref>Ubaldo Nicola, ''Atlante illustrato di filosofia'', p. 100, ''op. cit.''</ref>
 
Secondo alcune definizioni già viste a proposito dell'[[empirismo]], l'idea viene intesa come la raffigurazione che la mente comporrebbe per il riconoscimento degli elementi appresi dall'esperienza, e alla cui combinazione si affiancherebbe la funzione di elaborazione progettuale. In particolare, secondo [[Konrad Lorenz]], scienziato-filosofo e fondatore dell'[[etologia]] moderna, le idee sarebbero avulse da un contenuto di verità, essendo concepite soltanto come il prodotto delle nostre [[categoria (filosofia)|categorie]] mentali derivanti filogeneticamente dall'[[evoluzione]] della specie, e perciò rivelatesi utili alla vita.<ref>K. Lorenz, ''L' altra faccia dello specchio'', Adelphi (1973).</ref>
 
Questa visione filosofica è contrastata da coloro che si rifanno ad esempio al [[tomismo]] scolastico, come [[Jacques Maritain|Maritain]] o [[Étienne Gilson|Gilson]], sia pure proponendo forme diverse di [[realismo (filosofia)|realismo]].<ref>Finamore Rosanna, ''Realismo e metodo: la riflessione epistemologica di Bernard Lonergan'', Gregorian Biblical Press, 2014, pp. 37-41.</ref> Nella corrente [[esoterismo|esoterica]] nota come [[antroposofia]], il suo fondatore [[Rudolf Steiner]] considera sana la convinzione della [[Scolastica (filosofia)|Scolastica]] che le idee appartengano alla [[realtà]], come la materia e le forze operanti nello spazio; non sana invece la presunzione che esse provengano da un Dio inconoscibile extra-mondano.<ref>Steiner, ''[http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/maestri/leoperescientifiche.pdf Le opere scientifiche di Goethe] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150924022148/http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/maestri/leoperescientifiche.pdf |data=24 settembre 2015 }}'' (1884-1897), pag. 148, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1944.</ref> Le idee per Steiner operano nelle leggi della natura, quali suoi intenti, manifestandosi però solo attraverso cause ed effetti sensibili:<ref>Cfr. Steiner, ''[[La filosofia della libertà]]'' (1894): «Nella natura non si trovano concetti che si dimostrino cause; il concetto si mostra sempre solamente come nesso ideale fra causa ed effetto. Nella natura non si trovano cause che sotto la forma di percezioni» ([http://commoningtimes.org/texts/rs_la_filosofia_della_liberta.pdf trad. it. di Ugo Tommasini, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1997]).</ref> solo nell'uomo diventano percepibili le idee stesse, come «[[causa (filosofia)|causa]]» della sua [[volontà]] d'azione. In questo agire dell'Idea, quando cioè non si esprime in una necessità naturale, bensì appare determinata nient'altro che da se stessa, risiede per Steiner la libertà umana.<ref>«Se io percepisco un effetto e poi ne cerco la causa, tali due percezioni non bastano affatto al mio bisogno di spiegazione. Devo risalire alle leggi secondo le quali questa causa produce questo effetto. Per l'azione umana il caso è diverso. Qui è la stessa legge che determina un fenomeno, che entra in azione: ciò che costituisce un prodotto si presenta esso stesso sulla scena dell'azione. Abbiamo a che fare col manifestarsi di un'esistenza di fronte alla quale non occorre andare in cerca di condizioni determinanti nascoste più in fondo [...] Così comprendiamo l'azione di un uomo di Stato quando conosciamo i suoi intenti (idee), non occorre che andiamo al di là di ciò che si manifesta» (Steiner, ''Le opere scientifiche di Goethe'', pp. 89-90, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1944).</ref>
 
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