Galeso: differenze tra le versioni
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Il poeta venosino [[Quinto Orazio Flacco]] si augurava, se non avesse potuto finire i suoi giorni nell'amata [[Tivoli]], di poter venire al Galeso tanto caro. E ciò lo racconta nell'ode ''A Settimio'' del II libro:
{{Citazione|''Unde si Parcae prohibent iniquae, {{!}}
dulce pellitis ovibus Galaesi {{!}}
flumen et regnata petam Laconi {{!}}
rura Phalantho. {{!}}{{!}}
Ille terrarum mihi praeter omnes {{!}}
angulus ridet, ubi non Hymetto {{!}}
mella decedunt viridique certat {{!}}
baca Venafro; {{!}}{{!}}
ver ubi longum tepidasque praebet {{!}}
Iuppiter brumas et amicus Aulon {{!}}
fertili Baccho minimum Falernis {{!}}
invidet uvis. {{!}}{{!}}
Ille te mecum locus et beatae {{!}}
postulant arces; ibi tu calentem {{!}}
debita sparges lacrima favillam {{!}}
vatis amici''}}
{{Citazione|E se il destino avverso mi terrà lontano, allora cercherò le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano. Quell'angolo di mondo più d'ogni altro m'allieta, là dove i mieli a gara con quelli del monte [[Imetto]] fanno e le olive quelle della virente Venafro eguagliano; dove Giove primavere regala, lunghe, e tiepidi inverni, e dove Aulone, caro pure a Bacco che tutto feconda, il liquor d'uva dei vitigni di Falerno non invidia affatto. Quel luogo e le liete colline Te chiedono accanto a Me; dove tu lacrime spargerai, come l'affetto tuo esige nei confronti miei, sulla cenere ancòra calda dell'amico tuo poeta|Mediazione linguistica di Enrico Vetrò, da: ''Galeso, novecento metri di mito'', Taranto, marzo 2005}}
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