Abbigliamento

protezione del corpo umano dai pericoli dell'ambiente
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Abbigliamento indica sia gli indumenti veri e propri indossati da qualcuno, che in generale il modo di vestire che combina questi ultimi con altri elementi (trucco, capigliatura, accessori) definendo l'aspetto esteriore di una persona o di un insieme di persone.[1] Gli esseri umani sono i soli tra i mammiferi che indossano vestiario, a eccezione degli animali domestici, talvolta vestiti dai loro proprietari.

Un bambino con addosso alcuni capi tipicamente invernali

Ciascun articolo d'abbigliamento ha un significato culturale e sociale (marcatore sociale). In esso si condensano alcune funzioni tramandate o evolutesi nel tempo: quella pratica legata alla vestibilità; quella estetica legata al gusto dell'epoca e a canoni specifici delle diverse comunità; quella simbolica grazie alla quale l'abito può definire l'appartenenza ad una particolare comunità e nello specifico identificare lo status sociale, civile e religioso.

La storia dell'abbigliamento, ovvero degli indumenti e accessori che hanno vestito la persona umana nel corso dei secoli, può essere inquadrata sia da un punto di vista antropologico-etnografico, dal momento che documenta l'evoluzione del costume, sia da un punto di vista socio-economico come prodotto dell'industria tessile, legato allo sviluppo tecnologico, della moda e del consumo. Degli abiti si possono quindi studiare le materie prime impiegate, le tecniche di realizzazione, gli aspetti estetici e quelli simbolici, i fattori economici e le gerarchie sociali.

Storia

 
L'evoluzione dell'abbigliamento e della moda nella storia

L'abbigliamento nasce in tempi preistorici per rispondere a esigenze di tipo utilitaristico.[1] Esso protegge il corpo umano dai pericoli dell'ambiente: sia agenti atmosferici (freddo, pioggia, sole..), sia insetti, sostanze tossiche, armi e altri rischi alla sicurezza personale.

Prime apparizioni dell'abbigliamento

Tutti gli scavi finora effettuati che hanno portato al rinvenimento di oggetti e resti fossili risalenti al Paleolitico (da circa 2,5 milioni a 11-10.000 anni fa) non hanno portato alla luce elementi che possano dimostrare con sicurezza l'utilizzo di oggetti di abbigliamento da parte di ominidi in quel periodo. Il ritrovamento di rudimentali strumenti in pietra, realizzati con la tecnica della pietra scheggiata, atti con ogni probabilità alla trasformazione delle pelli in indumenti, ha però portato molti antropologi a sostenere che già 18.000 anni fa (periodo Magdaleniano), e forse anche prima, gli uomini utilizzassero pelli per coprirsi. Alcuni scavi archeologici effettuati in Marocco, presso la Grotta dei Contrabbandieri, hanno portato alla luce circa 60 utensili in osso, oltre ad uno ricavato dalla dentatura di un cetaceo, impiegati per la creazione di pelli e pellicce da indossare e risalenti ad un periodo compreso tra i 90.000 e i 120.000 anni fa.[2]

In questo contesto la ragione fondamentale per cui gli esseri umani cominciarono a lavorare le pelli, per poi indossarle, è da ricercarsi nella necessità di coprire il corpo, nudo e più fragile rispetto ad altri animali, dalle intemperie. Non sono comunque da sottovalutare altri fattori. Tra questi occorre citare la funzione simbolica dell'abbigliamento: indossare la pelle di un altro animale era equivalente a identificarsi con esso, oltre a dimostrare la propria forza, con cui si era ucciso lo stesso. Con ogni probabilità l'introduzione delle pelli per coprire il corpo ha un legame anche con delle forme primitive di pudore. Questo contravviene alcune teorie secondo le quali il senso del pudore sia stata una condizione psicologica dettata dall'abbigliamento: essendo gli altri appartenenti alle comunità primitive coperti, l'uomo nudo percepiva la propria diversità dalla norma ed era portato ad equipararsi agli altri per non essere "escluso".

L'adozione di forme di abbigliamento agli albori della civiltà umana è quindi dovuta sia ad un fattore funzionale (protezione del corpo) sia a fattori di altra natura (simbolici, religiosi, psicologici, ecc.).

Dal Neolitico al I millennio a.C.

Durante gli ultimi millenni dell'Età della pietra l'utilizzo di pelli di animali per coprirsi si diffuse tra gli uomini. Nel 1991 l'eccezionale ritrovamento della mummia del Similaun contraddice l'immaginario popolare sugli "uomini primitivi" rivelando che le pelli potevano anche essere finemente lavorate (la sopravveste a strisce di colori contrastanti, unite da fitte e regolari cuciture fatte con tendini animali) e declinate in capi d'abbigliamento ben differenziati: l'uomo del Similaun possedeva berretto, pantaloni, un perizoma, calzature imbottite a forma di stivale e forse addirittura una mantella parapioggia[3]. Una vera e propria rivoluzione nel costume avvenne nel momento in cui si diffuse tra le civiltà preistoriche la lavorazione dei tessuti, che spesso garantivano maggiore protezione dal freddo e una maggiore reperibilità. La nascita della tessitura, avvenuta intorno al VI-V millennio, portò ad una notevole crescita dell'uso delle vesti, che venivano tessute anche grazie ai primi telai, che apparvero proprio nel Neolitico, anche se erano assai rudimentali. La filatura e la tessitura furono introdotte nel mondo antico grazie agli strumenti, che gli uomini preistorici iniziarono ad utilizzare intorno al 4500 a.C.

Cina, India e Antica Roma

  Lo stesso argomento in dettaglio: Abbigliamento nell'antica Roma.

Nel Mondo antico l'abbigliamento era costituito esclusivamente da oggetti filati di tessuto, e l'utilizzo di pelli di animale fu ben presto superato nella maggior parte delle comunità già a partire dal I millennio a.C. I tessuti utilizzati variano a seconda del luogo: ad esempio in Cina era assai sviluppata la produzione della seta, in India la canapa ed il cotone ed in Egitto il lino. In Europa occorre ricordare come i Fenici furono i primi a praticare la tintura dei tessuti, grazie alla scoperta del pigmento della porpora, ricavato dall'essiccazione del murice. A questo punto dell'evoluzione umana l'abbigliamento non era più visto esclusivamente come metodo per proteggersi da intemperie o altri agenti esterni, ma costituiva soprattutto un simbolo di appartenenza ad un gruppo (economico, religioso, politico, ecc.). I popoli mediterranei consideravano la porpora un bene di lusso ed i Fenici ottennero grossi guadagni vendendola alle altre popolazioni. Tra gli altri tessuti utilizzati nel mondo antico ricordiamo il cotone, la lana e il bisso.

L'Impero Romano con la sua grande espansione venne in contatto con gli usi ed i costumi di molte popolazioni, dalle quali importò l'utilizzo di alcuni tessuti per il vestiario quotidiano o riservato ai più ricchi. Vengono così confezionati abiti come la toga, la tunica ed il pallio. Dopo Roma la filatura e la tessitura di seta, lino e lana diventano comuni a gran parte delle comunità europee, in particolare quella Bizantina, grazie ai suoi rapporti privilegiati (data la collocazione geografica) con l'Oriente. Di queste tre fibre tessili la più diffusa in questo periodo fu certamente la lana, sia per ragioni economiche (l'allevamento di ovini era abbastanza diffuso) che funzionali (alta capacità termica della stessa).

Abbigliamento nel Medioevo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Abbigliamento del XII secolo.

Lo sviluppo del settore tessile conosce un fermento, almeno per quanto riguarda l'Europa, a partire dai primi secoli del I millennio d.C., grazie soprattutto ad una rinascita degli scambi commerciali sia tra le nazioni sia tra Oriente ed Occidente. In Italia l'importazione di tessuti era uno dei fattori che produssero più ricchezza per le repubbliche marinare, anche se assunse un certo rilievo anche il commercio interno, soprattutto per rifornire le città più ricche (Firenze, Palermo, Lucca, ecc.). L'abbigliamento di lusso o comunque con materiali pregiati rimase appannaggio delle classi nobiliari, delle corti di re e imperatori e dei ceti più abbienti (grandi commercianti, banchieri, ecc.). La qualità generale delle vesti comunque aumenta anche per le fasce di popolazione meno agiate, anche grazie all'adozione di strumenti che permettono una maggiore precisione nella sartoria: il ditale, gli aghi d'acciaio, le forbici a lame incrociate. Un altro importante fattore è l'inizio della diffusione, a partire dal XIV secolo, della biancheria.

XV, XVI e XVII secolo

  Lo stesso argomento in dettaglio: Abbigliamento del XIV secolo.

Seguendo una tendenza già presente in paesi come Francia ed Italia nei secoli precedenti, dal Quattrocento le figure sociali legate all'abbigliamento (sarti, tessitori, venditori di vestiti) acquisiscono sempre più potere economico (e quindi anche politico). Sul mercato dell'abbigliamento compaiono merletti, velluti pregiatissimi, calze, berretti, tessuti broccati, la cui produzione aumenta di pari passo con la crescita economica e tecnologica. Dal XVI secolo le corti di Francia e Spagna raggiungono e superano in splendore quelle italiane (Este, Medici): il fasto dell'abbigliamento diventa rappresentativo della ricchezza e del potere dei nobili. Il vestiario perde sempre di più, nei ceti medi e alti, la funzione pratica, diventando spesso puri ornamenti. Le corti seicentesche sono un esempio dell'evoluzione dell'abbigliamento: non solo i principi, ma anche i poeti, i ciambellani, le dame e le guardie vengono dotati di uniformi pregiatissime, colorate in modo variopinto e fatte con tessuti costosissimi.

La rivoluzione industriale e l'Ottocento

Lo sviluppo dell'abbigliamento era andato di pari passo con quello della tecnologia tessile, in particolare con lo sviluppo dei telai: nel 1790, nell'ambito della Rivoluzione industriale, Joseph-Marie Jacquard inventa l'omonimo telaio, che permette di aumentare sia la precisione sia la velocità di produzione dei tessuti. L'evoluzione tecnologica si estende anche ai filatoi: tutto ciò attribuisce il primato nell'industria tessile ai paesi che per primi sono investiti dal fenomeno della rivoluzione industriale, tra tutti l'Inghilterra. Il mercato del vestiario conosce una crescita continua: la produzione tessile si meccanicizza e razionalizza assumendo notevoli dimensioni, rendendo l'industria dell'abbigliamento la più sviluppata del periodo.

Tra la fine del Settecento e l'Ottocento l'industria tessile è in grado di soddisfare le richieste, oltre che delle classi più abbienti, anche della media e bassa borghesia. Durante il XIX secolo cominciano ad apparire quei tipi di vestiti che sono utilizzati ancora oggi: aderenti al corpo, con le maniche, leggeri o pesanti, con stoffe prevalentemente scure. Il miglioramento delle condizioni igieniche, assieme a quelle economiche, permette ad una buona parte della popolazione europea e nordamericana di indossare la biancheria. Il 1842 è un'altra data fondamentale: John J. Greenough brevetta la macchina per cucire, con la quale gli indumenti possono essere confezionati con grande velocità, ed il risparmio di denaro che ne deriva fa sì che la produzione può assumere dimensioni ancora più vaste. L'industria dell'abbigliamento può adesso realizzare la produzione in serie dei vestiti, favorendo la creazione di centri industriali tessili e di grandi magazzini per la vendita dei loro prodotti. Successivamente, sia nell'Ottocento che nel secolo successivo, il perfezionamento della macchina per cucire permetterà di meccanizzare anche altre operazioni (ricamo, soprafilo, rammendo, cucitura dei bottoni, ecc.).

Il Novecento

L'abbigliamento conobbe, nel XX secolo, una evoluzione straordinaria, ed una espansione produttiva e tecnologica senza pari. I due conflitti mondiali, ed i relativi dopoguerra, portano, dapprima, la crisi economica in molte nazioni: i materiali pregiati diventano appannaggio di pochissimi, mentre si diffondono quelli di recupero (lana riciclata, sughero per le scarpe). In seguito, con il miglioramento della situazione economica, si ha un sempre maggiore sviluppo dell'industria del vestiario, che introduce, oltre ad una grandissima scelta di nuovi prodotti (busti, tailleur, gonne, jeans, tute da sport tanto per citarne alcuni) anche la scelta di nuovi materiali frutto della tecnologia come le fibre artificiali e sintetiche, meno costose e adattabili a situazioni diverse (tecnofibra).

Le grandi innovazioni

Mentre fino all'Ottocento solo le famiglie più ricche potevano permettersi un guardaroba, che comunque era in media ristretto a tre-quattro capi ciascuno, nel secolo successivo si ha un cambiamento totale. L'industria dell'abbigliamento produce capi per le più disparate situazioni: sport (abbigliamento tecnico come tute da sci, da jogging, completi calcistici), alta società (pellicce), lavoro (camici, tute da lavoro), relax e vita quotidiana (pigiami)..

Le grandi case di moda

La vendita di prodotti di abbigliamento con precisa destinazione per le classi privilegiate si realizza nella nascita, in Francia ed Italia, delle case di moda: il fenomeno si allarga sempre di più man mano che le fasce più ricche della popolazione si rendono disponibili a spendere cifre altissime per un capo "firmato". Nascono così i fenomeni dei grandi stilisti, per lo più nelle città di Milano, Firenze e Roma, i cui capi sono contesi a cifre altissime durante le sfilate di moda, veri e propri eventi mediatici che riscuotono anche l'attenzione degli strati medi della società.

La diffusione mondiale

Il capo alla moda assume quindi importanza non solo come espressione di prestigio di pochi privilegiati, ma anche come elemento di appartenenza ad una determinata classe sociale, ad un determinato gruppo, ad una certa fascia di età. Benché la maggior parte della popolazione mondiale non si possa permettere l'acquisto di capi non strettamente necessari (ed una grossa fetta abbia difficoltà, o impossibilità, anche in questo) il costo medio di un capo di abbigliamento cala di molto (con il Prêt-à-porter), e la richiesta aumenta sempre di più, permettendo ad una quantità sempre maggiore di persone di vestirsi con comodità e di poter spendere in abbigliamento.

Il consumismo

Associata a questa grande diffusione del vestiario il Novecento vede la nascita del fenomeno del consumismo, e l'abbigliamento è sicuramente uno dei primi campi in cui si viene a manifestare questa tendenza. L'acquisto del bene materiale, in questo caso di un vestito, assume una importanza essenziale nella vita di molti individui, tanto più che i prezzi dei capi d'abbigliamento sono molto più accessibili di altri status symbol (automobili, case). La corsa all'acquisto di un bene materiale non per necessità, ma per seguire la sfrenata velocità con cui cambia la moda è pratica diffusa nella stragrande maggioranza della popolazione degli stati più ricchi del mondo. Il fenomeno consumistico trova nell'abbigliamento il suo culmine, perlomeno nel XX secolo, prima della diffusione delle nuove tecnologie (televisioni, console, cellulari, computer e altri accessori), avvenuta solo negli ultimi due decenni del secolo. Il vestiario è una delle voci primarie di spesa (escludendo quelle dei beni di prima necessità) di moltissime famiglie occidentali, soprattutto tra i giovani. Le grandi case di moda si adattano al fenomeno estendendo la loro produzione a capi meno esclusivi, anche se di costo al di sopra della media, che diventano capi "di tendenza".

In Italia

Fenomeni di impoverimento etnografico, collegati alle mutate condizioni socio-economiche e all'affermazione di nuovi modelli culturali nell'Italia del '900 hanno fatto sì che l'uso corrente dell'abito tradizionale si affievolisse quasi a scomparire. Rimane ancora viva, in alcune comunità italiane, la consuetudine di vestire il costume tradizionale, indumento che si indossa in particolari occasioni.

Tipi di capi di abbigliamento

 
Indumenti ad alta visibilità - norme di conformità UNI EN 471

Di solito per "abbigliamento" si intende esclusivamente quella serie di oggetti che l'essere umano indossa, e non pratiche che contribuiscono a cambiare l'aspetto di un individuo. Quindi i casi in cui si decora il proprio corpo (trucco, cosmetici..) o si modificano caratteristiche fisiche (taglio e colorazione dei capelli/barba/baffi, tatuaggi e piercing), non costituiscono abbigliamento per sé. Analogo discorso vale per gli articoli che si portano anziché indossarli (come borse, ombrelli, bastoni), detti accessori.

L'uomo ha dimostrato un'inventiva estrema nel trovare nuove soluzioni di abbigliamento ai bisogni pratici e la distinzione fra vestiario e gli altri articoli protettivi non è sempre netta. Vedi, ad esempio: abbigliamento con aria condizionata, corazza, costume da bagno, tuta da apicoltore, tuta da motociclista, vestiario ad alta visibilità.

Materiali impiegati

 
Diversi simboli dei tessuti per l'abbigliamento:
A) Pura lana vergine
B) Materie tessili naturali e sintetiche o non tessili
C) Cuoio/pelle
D) Cuoio/pelle rivestita
E) Altre materie

L'abbigliamento biologico consiste in capi di abbigliamento realizzati con fibre vegetali o con il vello di animali senza l'impiego di pesticidi e sostanze chimiche dannose per l'ambiente come per la salute di chi lavora il capo e di chi lo indossa.

Impiego come protezione

Protezione termica

Termometria

La resistenza termica degli indumenti varia in base al materiale, allo spessore e alla trama. I genere la trasmittanza termica g varia da oltre 1.7 W/m²K per abiti molto isolanti a circa 6.45 W/m²K che corrisponde nella letteratura tecnica alle resistenza specifica di 1clo (dall'inglese clothes), per l'abbigliamento estivo, fino all'infinito ovviamente nel caso del corpo nudo. In base a questo dato si può dedurre a priori la temperatura di equilibrio della pelle Ts, conoscendo quella ambientale Ta, la diffusività termica α del corpo e la sua superficie:

 

Viceversa si può scientificamente predire quale sarà la trasmittanza termica:

 .

Il rendimento conduttivo dell'indumento quantifica la riduzione di scambio che effettua l'abito attraverso la sola trasmittanza rispetto a quello migliore che avverrebbe anche attraverso la convezione e l'irraggiamento, rappresentati dalla diffusività:

 .

Naturalmente il corpo nudo ha rendimento conduttivo dell'indumento unitario, mentre un isolante perfetto avrebbe un rendimento conduttivo nullo.

Protezione dalle intemperie

Protezione da agenti chimici

Protezione dagli urti

Protezione elettrica

Impiego sportivo

Nel campo sportivo le funzioni dei capi d'abbigliamento possono variare notevolmente implicando l'utilizzo di una vasta gamma di materiali e tecniche di lavorazione differenti. Negli sport più ampiamente praticati come corsa, calcio, tennis, ciclismo, pallacanestro e pallavolo gli indumenti specifici (chiamati in gergo vestiti tecnici) sono molto utili per la termoregolazione del corpo, per tenere a bada la sudorazione, per non irritare la cute in seguito ad un contatto prolungato ed occasionalmente, attraverso aggiunta di ulteriore materiale in superficie, per ridurre le abrasioni o l'impatto di colpi bruschi e rapidi. Sono preferiti dagli atleti capi in fibra sintetica, inorganica e artificiale ma nella minor parte dei casi anche organica; questo è dovuto alle superiori capacità meccaniche possedute dalle fibre industriali, difficilmente superabili da quelle naturali. Esempi pratici di fibre sintetiche sono poliestere ed elastam mentre alcune naturali sono spugna e cotone. In ambienti e in stagioni afose si predilige la traspirabilità e la leggerezza per permettere la dispersione del calore corporeo mentre in ambienti molto umidi, per quanto la traspirabilità sia una necessità costante, si punta sul mantenimento di una temperatura corporea stabile.

Impiego sociale

L'esigenza estetica consiste nel valorizzare ed attualizzare il concetto personale o collettivo del "bello", attraverso il modo di abbigliarsi. Tutto questo si esprime nel valorizzare, con l'abbigliamento, le parti più "belle" del nostro corpo, e a migliorare quelle meno belle o meno apparenti. I messaggi sociali inviati dall'abbigliamento, accessori, decorazioni possono riguardare e coinvolgere il ceto sociale, occupazione, convinzioni religiose ed etniche, stato civile ecc. Le persone devono però conoscere il codice che sottintende al messaggio comunicato, per poterlo pienamente riconoscere.

Ceto sociale

In molte società, le persone di alto ceto sociale indossano speciali capi d'abbigliamento o per decorazione per sé stessi come proprio status symbol. In tempi antichi, soltanto i senatori Romani potevano indossare vesti tinti con porpora di Tiria; soltanto altolocati capi Hawaiani possono indossare mantelli di piume e palaoa o denti di balena intagliati. Sotto il regno Travancore di Kerala (India), le donne di basso ceto devono pagare una tassa per il diritto di coprire la parte superiore del corpo. In Cina prima della proclamazione della repubblica Cinese, solamente l'imperatore poteva vestirsi di giallo. In molti casi durante tutta la storia ci sono stati sistemi elaborati di leggi riassuntive per regolare chi poteva indossare determinati abiti.

Nelle altre società (compreso quelle più moderne), nessuna legge proibisce alle persone di basso ceto d'indossare abiti di ceto alto[4], ma l'alto costo in effetti ne limita l'acquisto e l'esposizione. Nella moderna società occidentale, soltanto i ricchi possono permettersi l'alta moda. Il pericolo di ostracismo sociale può anche limitare la scelta degli abiti.

Occupazione

I militari, poliziotti, e vigili del fuoco di solito portano le uniformi, come pure i lavoratori in molte fabbriche. Gli scolari spesso indossano la divisa scolastica, mentre gli studenti alle scuole superiori e università possono indossare divise accademiche. Gli appartenenti a gruppi religiosi possono portare uniformi note come il saio e tonaca. Talvolta un singolo capo di vestiario o singolo accessorio può rivelare l'occupazione o mansione della persona che l'indossa; per esempio, l'alto cappello da chef indossato dai capocuochi.

Etnica, politica, religione

In molte regioni del mondo, i costumi nazionali e gli stili dell'abbigliamento e ornamenti rivelano l'appartenenza ad un certo villaggio, casta, religione, ecc. Uno scozzese mostra il suo clan tramite il suo tartan. Le donne musulmane possono portare un hijab come espressione della loro religione. Un uomo Sikh può, indossando il turbante, rivelare la sua appartenenza religiosa. Una contadina francese può indicare il suo villaggio con il suo berretto o la cuffia.

Un abbigliamento può inoltre esprimere il dissenso dalle norme culturali e al conformismo, come pure indicare indipendenza. Nell'Europa del XIX secolo, artisti e scrittori vissero la vie de Bohème e si vestirono per stupire: George Sand in abiti maschili, femministe con bloomer, artisti in gilè di velluto e foulard appariscenti. Bohemian, beatnik, hippy, goth, punk e skinhead hanno continuato la tradizione nel XX secolo.

Stato civile

Le donne Hindu, una volta sposate, si decorano la scriminatura dei capelli con il sindur, un cosmetico tradizionale preparato con una polvere di colore rosso-vermiglione; se vedove, abbandonano il sindur e i gioielli e indossano un semplice abito bianco. Gli uomini e le donne occidentali possono portare anelli o fedi ad indicare lo stato maritale.

Emancipazione

Facendo riferimento in particolare agli anni sessanta l'abbigliamento assume una grande carica simbolica in relazione al nascente fenomeno del femminismo. Se la minigonna esprime la libertà femminile, il diritto di mostrare e gestire autonomamente il proprio corpo, il diritto di non essere discriminate da una società maschilista si manifesta nell'atteggiamento e nell'abbigliamento (jeans, ma non solo), da parte di molte donne, specialmente giovani.

Produzione e mercato

Note

  1. ^ a b Grande Enciclopedia De Agostini, vol. 1, p.14.
  2. ^ I primi vestiti di Homo sapiens 120.000 anni fa, su Le Scienze, 17 settembre 2021. URL consultato il 22 settembre 2021.
  3. ^ (DE, IT) Der Similaunmann – L'uomo del Similaun (1998), di Emilia Taraboi. Athesia, Bolzano. ISBN 8870149269
  4. ^ Durante la Rivoluzione francese il decreto 8 brumaio anno II prescrisse: “Nessuna persona, dell’uno o dell’altro sesso, potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in modo particolare, sotto pena di essere considerata o trattata come sospetta o perturbatrice della pubblica quiete; ognuno è libero di portare gli abiti o gli accessori del suo sesso che preferisce”.

Bibliografia

  • Grande Enciclopedia De Agostini, vol. 1, Novara, 1992.
  • Flügel, J. C. The Psychology of Clothes, Hogart, Londra 1930
  • Lévy-Strauss, C. Mythologiques IV, L'homme nu, Parigi 1971
  • Veblen T. La teoria della classe agiata. Studio economico sulle istituzioni, traduzione Einaudi, Torino 1971

Voci correlate

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