Galeso
Template:Infobox fiume Il Galeso è un fiume di origine carsica di breve corso che sorge nel territorio di Taranto.
La sorgente è in un laghetto tra Cavello e Statte, e riversa le sue acque nel Mar Piccolo. È uno dei fiumi più piccoli al mondo, è lungo 900 metri ed ha una profondità media di 0,5 metri, raggiunge in certi punti una larghezza di 12-14 metri ed ha una portata di 4.000 litri al secondo. Il citro o "occhio del fiume" è profondo circa 13 metri.
Storia
Nome
L'origine del nome "Galeso" è incerta, ma certamente autoctona: infatti era preesistente all'arrivo dei coloni Spartani. Però Polibio, storico greco, nella Res Italicae, riferisce che i Tarantini amavano chiamarlo "Eurota", a ricordo dello omonimo fiume che scorreva presso la città madre Sparta, quasi Taranto fosse una nuova Sparta.
Ruolo
Da sempre il Galeso ha avuto un ruolo fondamentale nella società tarantina, come risorsa idrica ed economica. In età classica vi sorgeva un intero quartiere detto Ebalia. Nelle sue acque venivano lavati i velli delle pecore che, per la durezza delle acque, risultavano di un biancore particolare. Si dice che sulle sue sponde si sia accampato l'esercito di Annibale. Poi col tramonto dell'Impero Romano ci fu un declino anche del Galeso. Infatti dalle cronache di alcuni viaggiatori risulta il degrado in cui il fiume versava. Nel 1169 il Barone Riccardo di Taranto di ritorno dalla prima crociata, fece costruire l'Abbazia di Santa Maria del Galeso, consacrata dall'arcivescovo Ghirardo. Accanto alla sua foce nel 1915, prima della scoppio della guerra, furono installati i Cantieri Navali, quell'angolo di Taranto era ad ogni varo delle navi sia militari che civili popolato da personalità, operai e cittadini che festeggiavano l'entrata in mare dei nuovi natanti. Oggi è utilizzato dai contadini per irrigare agrumeti e le coltivazioni di ortaggi.
Galeso in poesia
Virgilio
Publio Virgilio Marone definì il Galeso niger, cioè "fiume ombroso", proprio perché attratto dal colore che esso assumeva per il colore bluastro delle alghe che emergevano dal fondo. Così lo descrive Virgilio in De Coricio sene nel Libro IV delle Georgiche:
- Namque sub Oebaliae memim me turribus arcis, qui niger umectat flaventia culta Galaesus, Corycium vidisse senem, cui pauca relicti iugera ruris erant, nec fertilis illa iuvencis nec pecori opportuna seges nec comoda Baccho. Hic rarum tamen in duminis holus albaque circum lilia verbenasque premes vescumque papaver regnum aequabat opes animis seraque revertens nocte dominum dapibus mensas onerabat inemptis. Primum vere rosam atque autumno carpere poma et, cum tristishiemps etiamnum frigore saxa rumperet et glacie cursus frenaret aquarum, ille comam mollis iam tondebat hyacinti aestatem increpitans seram Zephirosque morantis.
- "E infatti sotto le torri, ricordo, della rocca ebalia, ove cupo irriga biondeggianti coltivi il Galeso, un vecchio conobbi di Corico, che aveva pochi iugeri di un terreno abbandonato da altri, non fertilizzabile con buoi, non adatto a bestiame per l'erba né comodo a Bacco. Eppure costui, radi fra gli sterpi i legumi e intorno candidi gigli e verbene piantando, e l'esile papavero, pareggiava le ricchezze dei re in cuor suo e rincasando a tarda notte ingombrava la sua mensa di cibi non comprati. Era il primo a cogliere la rosa in primavera, ma anche i frutti in autunno; e quando un fiero inverno ancora col gelo i sassi spezzava, e il ghiaccio arrestava i corsi dell'acqua, egli la chioma del delicato giacinto già recideva, insultando la stagione per la sua lentezza e gli zefiri per il loro indugio."
La tradizione vuole che proprio su queste sponde il poeta mantovano abbia composto le egloghe e abbia tratto ispirazione per le Georgiche.
Orazio
Il poeta venosino Quinto Orazio Flacco si augurava, se non avesse potuto finire i suoi giorni nell'amata Tivoli, di poter venire al Galeso tanto caro. E ciò lo racconta nell'ode A Settimio del II libro:
- Unde si Parcae prohibent iniquae, dulce pellitis ovibus Galaesi flumen et regnata petam Laconi rura Phalantho. Ille terrarum mihi praeter omnes angulus ridet, ubi non Hymetto mella decedunt viridique certat baca Venafro; ver ubi longum tepidasque praebet Iuppiter brumas et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis invidet uvis. Ille te mecum locus et beatae postulant arces; ibi tu calentem debita sparges lacrima favillam vatis amici.
- "E se il destino avverso mi terrà lontano, allora cercherò le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano. Quell'angolo di mondo più d'ogni altro m’allieta, là dove i mieli a gara con quelli del monte Imetto fanno e le olive quelle della virente Venafro eguagliano; dove Giove primavere regala, lunghe, e tiepidi inverni, e dove Aulone, caro pure a Bacco che tutto feconda, il liquor d'uva dei vitigni di Falerno non invidia affatto. Quel luogo e le liete colline Te chiedono accanto a Me; dove tu lacrime spargerai, come l'affetto tuo esige nei confronti miei, sulla cenere ancòra calda dell'amico tuo poeta." ( Mediazione linguistica di Enrico Vetrò, da: Galeso, novecento metri di mito, Taranto, marzo 2005, a cura dello stesso autore ).
Altri
Il Galeso è stato decantato anche da Marco Valerio Marziale, Sesto Properzio, Claudio Claudiano. Più recentemente le sue acque hanno ispirato: Tommaso Niccolò D'Aquino nelle sue Deliciae Tarantinae, Giovanni Pascoli in Senex Corycius e Adolfo Gandiglio in Prope Galaesum, componimento che vinse la Magna Laus al certamen di Amsterdam del 1927.
Bibliografia
- Adolfo Gandiglio – Paolo De Stefano - Prope Galaesum - Presso il Galeso - Scorpione Editrice - Taranto, 1993.
- Paolo De Stefano - Il Galeso nella poesia latina, PR.A.SS. I. Editore - Taranto, 1999