Gli epigoni (Sofocle)

tragedia di Sofocle
Versione del 8 mar 2013 alle 22:00 di No2 (discussione | contributi) (Trama: Fix link Oreste)

Gli epigoni o I discendenti (greco antico: Ἐπίγονοι) è una tragedia perduta di cui restano solo frammenti, scritta dal tragediografo Sofocle nella metà del V secolo a.C. L'opera riprende il tema della partenza del soldato Anfiarao per Tebe, lasciato nella tragedia precedente Anfiarao. Sofocle s'ispirò per la stesura della tragedia ad un poema epico perduto intitolato Epigonoi che trattava della battaglia tra Eteocle e Polinice, figli del sovrano Edipo ed entrambi governanti della città. L'opera trattava il mito degli Epigoni, ovvero i discendenti dei famosi Sette condottieri che presero parte alla guerra scatenata da Eteocle e Polinice contro Tebe.
Eteocle, fratello di Polinice, aveva deciso che solo lui avrebbe governato la città perché si riteneva migliore, scacciando così il rivale. Polinice si alleò con sei dei migliori generali e sovrani della zona e mosse guerra contro Tebe, attaccando ciascuno una porta della città. Tutti gli assalitori furono annientati e i due fratelli rivali, sfidatisi a duello, morirono l'uno per mano dell'altro.

Gli epigoni
-I discendenti-
Tragedia perduta
Polinice corrompe Erifile offrendole la collana di Armonia per la partenza di Anfiarao, in un oinochoe risalente al 450-440 a.C.
AutoreSofocle
Titolo originaleἘπίγονοι
Lingua originale
GenereTragedia
Fonti letterarieEpigonoi, poema epico perduto
AmbientazioneTebe
Prima assolutametà del V secolo a.C.
Teatro di Dioniso, Atene
 

«O scellerata la cui spudoratezza ha servito a nulla si è spinta ancora più in fondo, nessun altro meschino è, o mai sarà peggiore di una donna che nacque per dare il dolore ai mortali!»

Trama

Al termine della sanguinosa battaglia solo pochi soldati riuscirono a salvarsi, tra i quali Egialeo e Alcmeone, il primo figlio di Adrasto e l'altro discendente di Anfiarao. Morti sia Eteocle che Polinice, sul trono di Tebe s'installa Laomedonte. Vi sarà una nuova guerra voluta dai discendenti dei famosi sette contro il nuovo reggente, ma verranno ugualmente massacrati dalle truppe di Laomedonte il quale, tuttavia, verrà ucciso in un secondo tempo da Alcmeone. Ma la vicenda della tragedia è incentrata sul rapporto tra Alcmeone e sua madre Erifile. Il giovane non ha mai perdonato alla madre di aver costretto il marito Anfiarao con l'aiuto astuto di Polinice e del fratello Adrasto a partire per la disastrosa spedizione contro Tebe; e per questo si mantiene a rispettare il patto stipulato anni prima con il suo genitore prima della sua partenza.
Mentre la guerra infuria sotto le mura di Tebe, Alcmeone, sebbene frenato dai cattivi pensieri e dalle paure delle conseguenze della sua azione matricida, decide di recarsi nella stanza di sua madre Erifile e di immolarla agli dei come avrebbe voluto suo padre Anfiarao.
La vicenda era stata già ripresa da Eschilo nella sua Orestea, che comprendeva Agamennone, Coefore ed Eumenidi, nella quale viene riportato l'assassinio della regina Clitennestra, carnefice del marito Agamennone tornato da Troia con Cassandra, per mano del figlio Oreste e dell'amico Pilade, dopo aver scannato anche Egisto, nuovo sposo nonché parente della regina.
Alcmeone uccide finalmente la madre, ma viene colpito dalle maledizioni del parente Adrasto che invoca l'intervento delle Erinni.

Bibliografia

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