Francesco Guicciardini

scrittore, storico e politico italiano (1483-1540)
Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo sindaco di Firenze, vedi Francesco Guicciardini (politico).

Ser Francesco Guicciardini (Firenze, 6 marzo 1483Arcetri, 22 maggio 1540) è stato uno scrittore, storico e politico italiano.

Francesco Guicciardini

Ambasciatore della Repubblica di Firenze in Spagna
Durata mandato17 ottobre 1511 –
ottobre 1513
Capo di StatoPier Soderini (Repubblica)

Cardinale Giovanni de' Medici (Signoria)


Membro del consiglio degli Otto di Guardia e Balia
Durata mandato14 agosto 1514 –
ottobre 1515
MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici

Lorenzo di Piero de' Medici


Membro della Signoria di Firenze
Durata mandatosettembre 1515 –
ottobre 1515
MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici

Commissario pontificio di Modena
Durata mandato5 aprile 1516 –
4 maggio 1519
MonarcaLorenzo di Piero de' Medici

Commissario generale dell'esercito dello Stato Pontificio
Durata mandato12 luglio 1521 –
25 dicembre 1523
MonarcaLeone X

Adriano VI


Presidente della Romagna Pontificia
Durata mandato19 marzo 1523 –
1526
MonarcaAdriano VI

Clemente VII


Dati generali
Titolo di studioLaurea in diritto civile
UniversitàUniversità di Pisa
ProfessioneAvvocato
Statua di Francesco Guicciardini, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Amico e interprete di Niccolò Machiavelli, è considerato uno dei maggiori scrittori politici del Rinascimento italiano. Nel suo capolavoro, La storia d'Italia, Guicciardini aprì la strada a un nuovo stile nella storiografia caratterizzato dall'uso di fonti governative a supporto delle argomentazioni e dall'analisi realistica delle persone e degli eventi del suo tempo.

Biografia

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Dettaglio della statua del Guicciardini.

Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483, terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studiò a Firenze giurisprudenza, seguendo le lezioni del celebre Francesco Pepi. Dal 1500 soggiornò a Ferrara per circa due anni, per poi trasferirsi a Padova per seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze nel 1505, vi esercitò, sebbene non fosse ancora laureato, l'incarico di istituzioni di diritto civile; nel novembre dello stesso anno ottenne il dottorato in ius civile ed iniziò la sua carriera forense.

Nel 1506 si concluse la sua attività accademica; nel frattempo, contrasse matrimonio, contro il volere paterno, con Maria Salviati, figlia di Alamanno Salviati e appartenente ad una famiglia politicamente esposta ed apertamente contraria a Pier Soderini, all'epoca gonfaloniere a vita di Firenze. Guicciardini si curò poco di queste rivalità, in quanto il suo interesse principale era avere un futuro ruolo politico, alla luce soprattutto del prestigio di cui godeva la famiglia della moglie, che avrebbe potuto avere per lui un effetto positivo.

Questo matrimonio infatti funse per lui da trampolino di lancio, garantendogli una brillante e rapida ascesa politica: con l'aiuto del suocero fu nominato tra i capitani dello Spedale del Ceppo, una carica non molto significativa di per sé, ma prestigiosa in quanto a membri insigniti dell'onorificenza. Nel 1508 curò l'istruttoria contro il podestà Piero Ludovico da Fano, iniziando la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi. Esattamente dieci anni prima, ossia con l'anno 1498, si chiudono quelle Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti riguardanti Caterina Sforza[1] e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa, nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina.

Nel 1509, in occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo, grazie all'aiuto del Salviati, l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portarono il Guicciardini anche ad una rapida ascesa nella politica internazionale, ricevendo dalla Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico nel 1512. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la Relazione di Spagna, una lucida analisi delle condizioni sociopolitiche della Penisola Iberica e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina.

Nel 1513 fece ritorno a Firenze, dove da circa un anno era stata restaurata la Signoria Medicea con l'appoggio dell'esercito ispano-pontificio. Dal 1514 fece parte degli Otto di Guardia e Balia e nel 1515 entrò a far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici, avvocato concistoriale e governatore di Modena nel 1516, con la salita al soglio pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella politica emiliano-romagnola si rinforzò notevolmente nel 1517, con la nomina a governatore di Reggio Emilia e di Parma, proprio nel periodo del delicato conflitto franco-imperiale. Fu nominato nel 1521 commissario generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi; in questo periodo maturò quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia d'Italia.

Alla morte di Leone X, avvenuta nel 1521, Guicciardini si trovò a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti; qui Guicciardini diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.

Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propagandò un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac nel 1526, ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due libri, scritti fra il 1521 e il 1526, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica; nel 1527 la Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata (per la terza ed ultima volta) la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritirò in un volontario esilio nella sua villa di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Nel 1529 scrisse le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la redazione definitiva dei Ricordi.

Dopo la confisca dei beni, nel 1529 lasciò Firenze e ritornò a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze (1531), fu accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro; non fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I, che lo lasciò in disparte. Guicciardini allora si ritirò nella sua villa di Santa Margherita in Montici ad Arcetri, dove trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordinò i Ricordi politici e civili, raccolse i suoi Discorsi politici e soprattutto scrisse la Storia d'Italia. Morì ad Arcetri nel 1540, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata.

Il pensiero politico

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Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra il 1494 (anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII) e il 1534 (anno della morte di Papa Clemente VII) e capolavoro della storiografia della prima epoca moderna e della storiografia scientifica in generale. Come tale, è un monumento al ceto intellettuale italiano del XVI secolo, e più specificamente alla scuola toscano-fiorentina di storici filosofici (o politici) di cui fecero parte anche Niccolò Machiavelli, Bernardo Segni, Jacopo Pitti, Jacopo Nardi, Benedetto Varchi, Francesco Vettori e Donato Giannotti.

L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).

Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi, 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze.[2] La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi, 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.[3] In altre parole il particulare non va inteso egoisticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con quello di Machiavelli).[4]

In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della Storia d'Italia, Jacopo Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i Cappucci.

Fortuna

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Guicciardini è considerato il progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia.

Fino al 1857 la reputazione di Guicciardini poggiava sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. Nel 1857 i suoi discendenti, i conti Piero e Luigi Guicciardini, aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Giuseppe Canestrini di pubblicare, in 10 volumi, le sue memorie.

Negli anni dal 1938 al 1972 furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono in modo determinante ad un'accurata conoscenza della sua personalità.

La critica seicentesca

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Antoon van Dyck, Ritratto equestre di Anton Giulio Brignole Sale, 1627

L’angolo di prospettiva dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole Sale (1636): «quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra il Giovio, sol che questi, qual pittor gentile, de' soggetti ch'egli ha per le mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l'acutezza della sua sagacità fino a mostrarci il cuore e il cervello de' famosi personaggi ben penetrato»[5]. All'affiatamento con lo spirito dell'opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario, una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare, superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l'intima misura e precisione pur nel tono sostenuto[6]. Tuttavia, proprio dal più accreditato esponente letterario del tacitismo, T. Boccalini (1612), fu formulato un giudizio tra i meno benevoli alla Storia[7][8]

Il giudizio di Francesco De Sanctis

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Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia

Francesco De Sanctis non ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente il Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura italiana il critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli". Sempre nella sua Storia della letteratura italiana De Sanctis affermò: “Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli. Tutti gli ideali scompaiono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”.

E poco più in basso aggiunse: "Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento".

Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che il Guicciardini vale più come analista e pensatore che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie".

Le opere

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Scritti autobiografici e rari, Laterza, 1936
  1. ^ "Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo il Guicciardini (Storie fiorentine, cap. XIX).
  2. ^ "È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente, e assolutamente e , per dire così, per regola, perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione. ("Ricordi", 6).
  3. ^ Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 94-97.
  4. ^ "Nondimeno el grado che ho avuto con più pontefici, m'ha necessitato a amare per el particulare mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo: non per liberarmi dalle legge indòtte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità".("Ricordi", 28).
  5. ^ A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, 1643, Disc. IV, p. 133.
  6. ^ «Or chi non vede – scriveva il Tassoni – che questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell'Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l'ordine, e 'l senso facile e piano in maniera che 'l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil del Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo etc... ». A. TASSONI, Pensieri diversi, Venezia, 1665, libro IX, p. 324. Il legame del pensiero politico tassoniano con quello del Guicciardini (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e Giovio, ossia considerato pari agli antichi; v. cap. XIII del libro X dei Pensieri) e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma, 1942, p. 49).
  7. ^ T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico, I, Bari, 1910, Cent. I, ragg. VI.
  8. ^ Walter Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia, 1970, p. 493.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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