Idoli Della Conoscenza Definitiva

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IDOLI DELLA CONOSCENZA

I presupposti metafisici della scienza nella


filosofia dellesperienza di Carlo Sini

Prof. Walter Temi


Liceo Bonaventura Cavalieri di Verbania

La scienza non pensa, poich non suo compito pensare.


Si dovrebbe anzi aggiungere che la scienza pu procedere
a condizione di non pensare
C. Sini

Precauzioni per luso


La presente dispensa non ha lambizione di delineare un quadro, non diciamo esaustivo,
ma anche soltanto condiviso della filosofia di Carlo Sini. Non esistono, per quanto ne
sappia, lavori critici sul pensiero di questo autore, il che conferisce al percorso qui
proposto, con relative glosse e postille, il carattere di un esperimento: non dubitiamo
che esso provocherebbe pi di una benevola bacchettata da parte dellinteressato, che
comunque non ne verr a conoscenza. Personalmente non nutro alcun dubbio sulla
superiorit di Sini rispetto a pensatori italiani contemporanei pi celebrati, quali
Vattimo, Cacciari, Giorello, Severino ecc.. Questa scarsa notoriet si deve, oltre che
allodierna ineffettualit della filosofia, anche, crediamo, alla natura schiva e riservata
del personaggio, che non ha mai rincorso la popolarit attraverso interviste a periodici
femminili o presenze in salotti televisivi. Scelte comprensibili, in unepoca nella quale i
maitres penser sdoganati dal circo massmediatico prendono i nomi di Barbara
Palombelli , Alba Parietti, Maurizio Costanzo e via profferendo.
Nella mia certo poco significativa esperienza personale ho conosciuto direttamente o
indirettamente esimi professori di filosofia, eruditi straordinari, perspicaci divulgatori.
Solo davanti a Carlo Sini, tuttavia, ho avuto la sicura percezione di trovarmi di fronte a
un filosofo, cio ad un uomo capace di quella autentica radicalit e autonomia di
pensiero che la nostra disciplina richiede. Gentile ma non mellifluo, chiaro e
comunicativo bench mai facile, brillante conversatore ed accanito fumatore, amante
della buona musica e tifoso del Bologna, Sini ha rilasciato poche ma suggestive
interviste reperibili in Internet. Consigliamo a tutti di visionarle, se non altro per
comprendere che cosa significhi essere filosofi nellepoca dellinattualit della filosofia.

Parte prima:

I paradossi della scienza


Problemi di senso

Che scienza? Quando un sapere rigorosamente scientifico, cio razionale? Lo


scienziato non lo sa; lui bada letteralmente ai fatti suoi, bada cio a legittimarsi sulla
base delle verifiche e dei riscontri fattuali. I fatti concreti, come anche ama dire
ritenendo di opporsi alle astrazioni metafisiche, sono la guida della scientificit, il suo
carattere positivo (come dicevano appunto i positivisti). Ma le mere scienze di fatti,
come osserva Husserl, creano meri uomini di fatto. Cio uomini poveri per una cultura
povera, del tutto inadeguata ad affrontare i problemi dellesistenza. Questi ultimi sono
problemi di senso, non problemi fattuali. Lo scienziato si scontra qui con paradossi e
contraddizioni irresolubili. Innanzitutto egli confonde fattualit e senso. Io faccio
scienza, dice lo scienziato, perch non dico cose inverificabili. Queste le lascio ai
filosofi, ai poeti e alluomo della strada. Io faccio scienza perch quello che dico trova
nei fatti il suo aver senso. Ma allora bisogna prima mostrare che un fatto ha senso.
Questa per gi di per s una proposizione insensata. Il senso di un fatto non un
fatto[] In termini pi semplici, e secondo un obbiezione non certo nuova ma che agli
scienziati non fa di solito piacere discutere, la proposizione le verit scientifiche sono
tali perch sono verificabili, non una proposizione verificabile. Essa piuttosto
unassunzione di senso (e non di fatto): io do senso a tutte le proposizioni verificabili.
Resta dire perch e in base a che. Se non lo si dice tutto il progetto scientifico-positivo
resta infondato e perci irrazionale; se lo si dice, non si possono evitare i problemi della
filosofia. In certo modo lo scienziato si fa vanto della sua stessa povert, di essere cio
un mero uomo di fatto che non ha nulla da dire circa i problemi pi generali di senso. Di
questi non ne sa e, in quanto scienziato, non ne vuole sapere. Il suo metodo
appunto fatto cos.
C.Sini, La fenomenologia e la filosofia dellesperienza
Il brano appena citato, tratto da una serie di lezioni di Carlo Sini concernenti la Crisi delle scienze
europee di Edmun Husserl, costituisce un appropriato incipit al percorso che vogliamo qui svolgere.
Non intendiamo infatti proporre unesposizione analitica della filosofia di Sini, ma piuttosto una
provocazione ispirata ad alcune sue opere. Una provocazione a riflettere con occhio diverso, sgombro
da pregiudizi, sulla scienza, sul suo metodo, sui suoi presupposti e, come egli direbbe, le sue
superstizioni.
Il discorso non concerne la solita inflazionata discussione sui limiti della scienza (o meglio della
tecnica), sullapplicazione dei ritrovati scientifici alla sfera umana, sullinquinamento, i cibi
transgenici, la fecondazione artificiale e via dicendo. Mi sembra evidente che la scienza non produca di
per s un miglioramento della condizione umana e che ad ogni progresso faccia riscontro un qualche
regresso: mi fa piacere, ad esempio, poter telefonare agevolmente a chicchessia col cellulare, ma poi
mi impossibile fare un viaggio in treno senza sviluppare pulsioni misantropiche. Questo tema, che
appassiona moltissimo quei funzionari della pubblica istruzione che, in occasione degli esami di Stato,
redigono la traccia cosiddetta (chiss perch) scientifico-tecnologica, non quello che qui ci preme.
Daltronde conosciamo bene largomento rassicurante che gli scienziati hanno da sempre sulla bocca:
non la scienza ma certe sue applicazioni possono risultare nefaste, come dire che Oppenheimer non
centra con Hiroshima n Von Braun con il nazionalsocialismo.
Noi qui siamo invece interessati ad esaminare quella convinzione inconcussa e irriflessa dello
scienziato che, attraverso la mediazione di quellagenzia di banalizzazione culturale che Nietzsche
chiamava il vischioso tessuto connettivo della nostra epoca, cio il giornalismo, giunge alluomo
della strada: la certezza della verit del sapere scientifico, garantito dalla neutralit ed oggettivit del
suo sguardo. E notevole il fatto che, in un epoca nella quale si asserisce la soggettivit di ogni tesi o
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convinzione, e in cui le teste vuote o a corto di argomenti fanno appello, confortati dal gergo
giornalistico, alle loro verit , (io rispetto la tua opinione e tu rispetti la mia anche se dico
castronerie o mento spudoratamente), notevole, dicevo, che si sia in genere cos remissivi davanti
alluomo di scienza o al venale luminare, tanto da accettare come rivelazione biblica tutto quanto
egli sentenzia. Le discipline umanistiche pensano di rendersi pi presentabili qualificandosi come
scienze umane, e del resto non mancano le scienze dellocculto e la scienza pranoterapeutica. Quelli
che la sanno pi lunga sulla psicologia delle masse, e cio gli esperti pubblicitari (cio gli unici a
fregiarsi oggigiorno dellappellativo di creativi), attingono allaura seriosa e obiettiva del lessico
scientifico quando vogliono sbolognare un miracoloso detergente intimo o uno sturalavandini di nuova
generazione. La ragione di ci non difficile da comprendere. La scienza ha successo, e i successi della
scienza mutano la nostra vita. Ma ci non vuol dire che la visione scientifica del mondo, per dirla alla
Reichembach, sia poi aproblematica. La credenza nello spazio assoluto, poi abbandonata, non ha
impedito a Newton di elaborare la teoria della gravitazione universale, n la postulazione delletere ha
precluso, nell800, gli sviluppi dellelettromagnetismo. In altre parole, il successo di una teoria non ne
assicura la verit oggettiva o in s, se prima non si problematizza il concetto stesso di verit e
oggettivit. Ma questo appunto indagine che compete alla filosofia, poich filosofare non significa,
come alcuni credono, filosofeggiare, ma vuol dire, tra le altre cose, interrogarsi su ci che si dice e
sul perch lo si dice.
Proviamo allora a fare un tentativo diverso. Proviamo a rivolgerci a un filosofo per sottoporre ad
indagine ci che nel pensiero e nella prassi dello scienziato rimane naturalmente presupposto.
Se anche la ricerca, lungi dallapprodare a certezze, avesse come unico effetto di suscitare dubbi e
perplessit , essa avrebbe conseguito il suo scopo: prima condizione del pensiero, infatti, il dubbio,
come diceva Socrate, o lo stupore di cui parlava Aristotele: proprio per questa ragione, come ben
sapeva Hegel, ci che pi vicino anche sempre, per il pensiero, il pi lontano.

Quello che sta nella testa degli scienziati


In un punto minuscolo, infinitesimale di questo Universo c una piccola girandola di
corpi celesti, orbitanti intorno a un piccolo Sole, insignificante e piuttosto eccentrico
rispetto alla sua stessa Galassia (tutto sommato un altro fenomeno poco pi che
trascurabile nelleconomia dellinsieme). Trai corpi orbitanti ce n uno, che come un
granello di sabbia sperduto in una spiaggia sconfinata. Su questo corpo accade a un
certo punto, per cause tuttora sconosciute, linsignificante, minuscolo evento della
nascita di organismi biologici, i quali, in breve tempo invero, rispetto alle et
complessive delluniverso, danno luogo a unevoluzione differenziata, che culmina in
animali capaci di dotarsi di linguaggio, per gli evidenti scopi della loro sopravvivenza.
Levoluzione di queste capacit linguistiche mette capo, in poche centinaia di migliaia di
anni a un tipo ci cultura che, nel giro di poco pi di due millenni, d luogo alla
conoscenza scientifica. La quale, infine, dice tutto quello che abbiamo appena detto e
ne disegna e approfondisce il quadro attraverso innumerevoli ricerche specialistiche.
Ecco, questo discorso, che grosso modo sta nella testa di tutti i nostri scienziati e, per il
loro tramite, nella testa del senso comune delle genti civilizzate, proprio questa
narrazione mi sembra in ogni senso incomprensibile
C. Sini, Idoli della conoscenza

Domande imbarazzanti
E incomprensibile che un infimo fenomeno di un infima parte dellUniverso possa
ritenersi idoneo a dirne la verit. E incomprensibile che un evento appartenente a una
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storia sterminata possa parlarne come se ne fosse fuori e la osservasse dallesterno, e


non come se fosse quello che diciamo appunto che : un momento transeunte tra infiniti
momenti di quel cammino. E incomprensibile che quel linguaggio che sarebbe sorto ai
fini della sopravvivenza divenga improvvisamente idoneo a tuttaltro e cio alla
registrazione o investigazione della verit da cui ha avuto origine e di cui
conseguenza. E incomprensibile che uomini acuti, sottili e sagaci, abituati a fare i conti
con la logica, come gli scienziati, non si rendano conto o non si curino di rendersi conto
dellillogicit e paradossalit della visione generale che hanno in testa.
C. Sini, Idoli della conoscenza

Quel che non fa lo scienziato


Per quanto influenzato dalla pervasivit della scienza, il senso comune nutre non poche ingenuit
circa leffettiva pratica scientifica. Per il senso comune la scienza non fa che descrivere la realt
oggettiva in modo diretto, osservativo e sperimentale, avanzando grazie alla tecnologia nella
comprensione e nel dominio tecnico del macrocosmo (lesplorazione dello spazio) e
dellinfinitamente piccolo (DNA, atomo). Questultimo poi la frontiera che oggi pi affascina.
Non ci entusiasmano pi i voli spaziali, ma cinteressano computer, telefonini, nanomacchine e
manipolazioni genetiche.
I veri scienziati, per, la sanno un po pi lunga, come Albert Einstein che, buon conoscitore di
Kant e Hume, ebbe a dire: La cosa pi incomprensibile nelluniverso la conoscenza.
Sgombriamo dunque il campo dai luoghi comuni, proprio avvalendoci di chi, come Einstein, della
pratica scientifica un po sintendeva.
Lo scienziato non desume le proprie teorie dai fatti osservati
E un pregiudizio (che a tuttoggi non affatto sparito) che i fatti possano e debbano
tradursi in conoscenza scientifica di per s, senza libera costruzione concettuale. Un
tale errore possibile solo perch difficile rendersi conto dellarbitrariet di tali
concetti che, attraverso la verifica e il lungo uso, sembrano invece direttamente
collegati col materiale empirico
A. Einstein
Sini, in Idoli della conoscenza, cos chiarisce il precedente passo:
Il fisico vuole configurare la realt fisica, ma la realt fisica non ci che si osserva. La
realt fisica ci che si pensa, ci che si pensa come stabile, come epistemeCi che
immagino non lo traggo da ci che osservo. Caso mai vero il contrario: quel che
osservo che deve trovare in quel che immagino la sua ragion dessere, la sua
spiegazione, il suo fondamento. E qui proprio metafisica e fisica sono vicinissime, anche
se diverso il loro linguaggio moderno.
C. Sini, Idoli della conoscenza
Lo scienziato non pu fare a meno di credere
Enunciare un teorema prima della sua eventuale verifica significa che esso per ora pu
basarsi soltanto sulla fede nella semplicit, cio nella intelligibilit della natura.
A.Einstein

Le ovviet apparenti
Se la pratica scientifica si discosta nei modi che abbiamo visto da ci che correntemente si crede, si
comprende laffermazione di Einstein secondo cui la cosa pi incomprensibile nellUniverso la
conoscenza (per quali ragioni, infatti, gli assunti fideistici e le costruzioni concettuali dello
scienziato sarebbero in grado di descrivere la realt oggettiva, rimane un mistero). Ma qui, appunto,
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quando si tratta di cominciare a filosofare, lo scienziato, com giusto, si arresta. Egli infatti
condivide con il senso comune alcune apparenti certezze indeflettibili:

1. La scienza esamina oggettivamente i fatti esterni (il mondo) e i


fatti interni (la mente)
2. La scienza descrive il mondo com in se stesso, realmente
3. Gli asserti scientifici, anche se contengono termini denotanti
entit teoriche (non osservabili), sono riducibili ad enunciati
empirici, ostensivi, di evidenza intuitiva. Fatti, non interpretazioni
(lasciamo le interpretazioni ai filosofi)
4. Tutti gli elementi soggettivi che caratterizzano lesperienza
(cause finali, qualit secondarie ecc.) sono meri residui
antropomorfici o apparenze: non esistono nella realt
5. Le visioni della natura in disaccordo con la scienza sono mera
superstizione (non si pu far piovere danzando)
6. Ci che la scienza asserisce esistere sempre esistito (il sole di
Giosu era copernicano)
7. I fatti spiegati dalla scienza si iscrivono in un contenitore
temporale oggettivo. Il presente separa il passato dal futuro. Il
passato immutabile (Le ere geologiche, ad es., sono realt
oggettive; possibile, in linea di principio, una macchina del
tempo)
Ebbene, proprio questi ed altri presupposti di fondo possono essere chiamati con un solo nome:
Metafisica: la volont di trascendere lesperienza. Proprio il sapere che ha ingaggiato la pi aspra
battaglia contro la metafisica, e che poggia la superiorit del suo metodo sulladerenza ai fatti,
risulta imbevuto, secondo Sini, di quella tradizione filosofica risalente a Parmenide e a Platone, che
chiamiamo metafisica. Anzi, si potrebbe aggiungere, la scienza, in questi suoi preconcetti,
completamente teologica

1. Interno ed esterno
Poche distinzioni sembrano tanto ovvie quanto la dicotomia interno/esterno. La mente concepita
da tutti come quellinterno (anima o secrezione cerebrale) che percepisce, riflettendo o deformando
il mondo esterno che la ospita. Le scienze esatte come la Fisica e la Chimica studiano lesterno, con
risultati convincenti, mentre la Psicologia si occupa dellinterno, con esiti pi opinabili perch, si
dice, viziati da un eccesso di interpretazioni filosofiche. Interno ed esterno Ma si tratta di
distinzioni cristalline? Leggiamo in proposito il seguente passo tratto da Immagine e conoscenza:
Non ci sono fatti in quanto esterni e fatti in quanto interni. Dove sono questi fatti?
Mostrami un fatto in quanto esterno e un fatto in quanto interno. Che cosa, per esempio
nellesperienza di questo tavolo, o di questa sedia, fatto esterno e che cosa fatto
interno? Vi chiedo di rifletterci. Che cosa esterno o interno di quel che possiamo dire,
esperire, toccare, vedere, ecc. ecc., di questo tavolo? La sua consistenza, il suo peso, la
sua massa, sono fatti in quanto esterni o in quanto interni? E evidente che non c nulla
n di esterno n dinterno nellesperienza di questo tavolo. Perch per poterlo stabilire
bisognerebbe[]assumere il punto di vista di uno spettatore esterno indipendente dai
fatti in quanto esterni e in quanto interni, il quale possa dire: questo appartiene
allesterno, e questaltro appartiene allinterno. Il Sole un fatto esterno? Chi lo pu
dire? Non possiamo parlare del Sole indipendentemente dalla percezione che ne
abbiamo. Quando si osserva questo il senso comune fraintende subito: crede che stiamo
dicendo che il sole una nostra idea, o che noi ci facciamo tutti i soli che vogliamo, e
che quindi ne pensiamo anche quindici e ne pensiamo uno anche di notte. Non questo
che stiamo dicendo. Stiamo dicendo che il sole, sganciato da ogni esperienza del sole,
evidentemente unespressione priva di senso. Questo non significa che il sole dipenda
dalle esperienze che vogliamo noi, che tuttaltra affermazione; semplicemente si dice
che il sole un fenomeno complesso per cui non siamo in grado di dire che cosa
apparterrebbe a un ipotetico sole esterno o che cosa apparterrebbe a unipotetica
immagine interna del sole. Queste, appunto, sono costruzioni metafisiche arbitrarie; per
poter stabilire ci dovremmo avere quellosservatore indipendente che non abbiamo,
che non siamo.
Non ci sono fatti esterni, non solo perch lespressione contraddittoria, ma perch
dobbiamo sempre pensare i fatti come relativi a una pratica di mondo, a una pratica che
li mette in opera. I fatti, come direbbe Peirce, sono sempre relativi ad abiti di risposta.
E negli abiti di risposta che emergono i fatti. Se prendo nota che sorto il sole, questo
abito di risposta il luogo nel quale si manifesta il fatto sorgere del sole, e non fuori
di esso; non c un sorgere del sole indipendentemente da ogni abito di risposta. Il che
significa che non ci dobbiamo mai pensare di fronte al mondo; non siamo di fronte al
mondo; siamo allinterno del mondo, caso mai; siamo allinterno delle sue provocazioni
a rispondere.

Fuori non ci sono alberi


La scienza presume di descrivere la realt com in se stessa, la cosa in s, come sussiste a
prescindere da ogni atto conoscitivo o pratico del soggetto ad essa indirizzato. La faccenda
parrebbe pacifica, tanto che nemmeno il grande Kant ebbe laudacia di liquidare la Ding, salvo
bollarla come inconoscibile (qualcuno ha perci denominato la sua posizione gnoseologica
realismo-foglia di fico). Ma davvero cos? Secondo Sini, no. Un albero dice non una cosa
esterna, fuori di noi. E questo per il semplice fatto che cose di questo genere cose esterne, fuori
di noi, non esistono: lalbero un segno:
Cosa vuol dire lalbero preso in se stesso? O lo prendo con le mani o con le gambe o non
lo prendo; oppure vuol dire preso dalla definizione metafisica. Va benissimo. Basta che
lo si sappia. Preso a prescindere-da. Preso a partire dalla domanda di Socrate: non mi
interessa lalbero del pittore, dello scultore, del botanico, del biologo, ecc.; voglio
sapere che questo albero che torna fuori in tutte queste varie esemplificazioni, cio
che cos lalbero in s. Questa la domanda di Socrate. L compare questo oggetto.
Potremmo dire: Socrate porta a una estrema radicalit unoperazione di oggettivazione,
di universalizzazione, che gi implicita nel linguaggio. In effetti il linguaggio che
sempre prescinde. Si potrebbe dire: la filosofia quella potente pratica che prende
sul serio lastrazione del linguaggio e la specializza, come nessunaltra cultura ha fatto
prima. Ma poi si dimentica di averlo fatto e crede che questa sia la verit del mondo. Si
dimentica la sua pratica particolare, che ha la particolarit della universalizzazione,
sicch anche luniversale un particolare [] Questo albero preso in se stesso diviene
inconoscibile: preso in se stesso vuol dire che non si pu conoscere, perch comunque lo
prendo non pi in se stesso. Dire per che una cosa inconoscibile dire una cosa
priva di senso, come ha mostrato Peirce. Gi viene definita, gi viene conosciuta,
attraverso questo non conoscibile.
C. Sini, Idoli della conoscenza

Sedie e tavoli
Ma naturalmente il senso comune recalcitra. Che vuol dire che fuori non ci sono gli alberi? Questi
filosofiandrebbero tutti ricoverati. Con un linguaggio pi elevato si potrebbe argomentare come
fa Hilary Putnam, nel libro La sfida del realismo. Qui il filosofo americano formula una
proposizione che pare persuasiva:
Questo relativismo culturale (Putnam pensa alla filosofia continentale dei Gadamer,
Foucault, Derrida ecc.) eccede quando dice che tutto linguaggio. Noi possiamo e
dobbiamo insistere nel dire che ci sono alcuni fatti, non costituiti da noi, da scoprire,
ma lo possiamo dire solo dopo aver adottato un modo di parlare, un linguaggio, uno
schema concettuale. Lo schema concettuale restringe lo spazio della descrizione, ma
non predetermina le risposte ai nostri quesiti. Putnam prosegue con un esempio:
In questa stanza ci sono tavoli e sedie, che stanno l fuori, indipendentemente dalle
nostre menti; e indipendenti anche dalle parole che usiamo per riferirci a essi. Infatti,
l fuori vi anche qualcosaltro da ci che indichiamo con le parole tavoli e sedie:
vi sono anche elettroni e campi gravitazionali; anche questi alludono in modo corretto a
qualcosa di comune che l fuori. La differente scelta concettuale non toglie il dato di
realt primario.
Sini, in Idoli della conoscenza, commenta questo brano con una certa dose di ironia:
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L fuori c il tavolo, l fuori c il campo gravitazionale, l fuori c un infinita


possibilit di altre cose, perch la cultura e la mente possono escogitare molti modi per
riferirsi a questo tavolo, ma non vi sembra che lespressione l fuori divenga allora
equivoca e ambigua? Essa non per nulla un comune denominatore in grado di
esprimere il dato di realt primario, quel qualcosa che ultimativamente starebbe
sotto questo tavolo (o campo gravitazionale, fate voi). Voglio dire che i campi
gravitazionali stanno anzitutto dentro le teorie della fisica, e per niente l fuori, se si
tratta del medesimo l fuori che mi consente di dire, con unocchiata: guarda quanti
tavoli e quante sedie.
Ambiguit del fuori e anche dellessere: come ci sono tutte queste cose? Che idea
ti fai allora dell essere, caro Putnam? In che senso dici che sono indipendenti dalla
cultura e dal linguaggio ? Ma forse Putnam disdegna tali questioni ontologiche (roba
vecchia, che ha di sicuro pi di cinque anni).
E allora almeno chiediamogli dell anche: che vuol dire anche, cio che l fuori ci
sono tavoli e sedie e anche campi gravitazionali? Entrambi i modi di dire sono
legittimi, e cos innumerevoli altri reali e possibili. Come sar allora questo fuori per
sopportare e supportare una tal massa sconfinata di et, et? L fuori ci sono tavoli e
sedie e campi gravitazionali e elettroni e cos via. Com strano questo dato di realt
primario; forse pi che strano addirittura inconcepibile, puro non senso.
In conclusione, osserva Sini al termine della sua stroncatura, unimpresa impossibile, anzi
assurda voler discriminare che cosa proprio della mente e che cosa del mondo.
Putnam per primo dovrebbe saperlo, ma poi non ne tiene conto, impegnato com a
salvare la vita delluomo, il che per lui significa salvare il senso comune, la verit della
cultura occidentale, la scienza moderna, laria condizionata e chiss che altro. Tutte
cose bellissime, che per chiedono non di essere ideologicamente salvate, ma di essere
filosoficamente comprese.

2. Nel luogo di Dio


Sia le scienze della natura che la scienza storica condividono il presupposto di esprimere la verit
oggettiva del mondo. Le entit scientifiche, i fatti dello storico esistono o sono esistiti, a prescindere
dalla soggettivit che svolge la ricerca. Certo, si ammette che le teorie sono rivedibili, falsificabili,
approssimativamente vere, ma tali restrizioni costituiscono pi una formula di circostanza che una
autentica cautela. Ci avviene per il fatto che, secondo Sini, la scienza presuppone uno sguardo
pubblico, pan-oramico, derivato dalla metafisica greca, che implica la tacita pretesa di una visione
extramondana e assoluta: locchio di Dio. Lo sguardo della scienza lo sguardo verace e
totalizzante di Dio, la cui visione scevra da limitazioni soggettive.
Il movimento istitutivo del logos consiste in una sorta di collocazione extra-mondana
(locchio pubblico), cio nellassunzione di una posizione pan-oramica. Ma pi
propriamente ci equivale alla costituzione di una mente pura, disincarnata (nous);
per questa mente pura tutto il mondo reso oggetto di visione). E questa propriamente
ci che sono solito chiamare la strategia dellanima[]
C.Sini, Immagini di verit
Lo sguardo teoretico della metafisica (e la sua conseguente verit appunto questo:
il guardare per ogni dove e da ogni dove, cos da considerare il mondo sub specie
aeternitatis; non il mondo mio, tuo, suo, affetto dalle idiosincrasie delle nostre
parzialit in ultima analisi corporee, ma il mondo come esso in quanto oggetto di
visione di Dio. La sapienza metafisica (e poi quella scientifica, che su ci non fa alcuna
eccezione, ma si basa interamente su quella) un collocarsi ideale nel posto di Dio.
{Questo dio originariamente] Apollo, il Dio dallocchiata che penetra e vede tutto in
un baleno. Gi in Platone questo Dio comincer ad attingere una pi consapevole
universalit filosofica: occhio atemporale che sovrasta luniverso.
C. Sini, Metodo e filosofia
Questa parola (dello scienziato) designa e presuppone unestraneit di sguardo, fuori del
tempo e del mondo (del tempo del mondo), che il vecchio luogo di Dio. Lo scienziato
parla idealmente (o pretende di parlare) dal posto di Dio. La sua voce e la verit della
sua voce risuonano dal luogo pan-oramico delleterno che ha il mondo come oggetto di
contemplazione.
C. Sini, Il Tempo e lesperienza
Ma tutto ci ovviamente falso. Questo sguardo pan-oramico non ci dato. Non esiste uno sguardo
fuori dal mondo. Ogni visione umana prospettica.
Non c una posizione privilegiata fuori del mondo; non esiste, come diceva MerlauPonty, un cosmotheoros, un essere umano che guardi il mondo l davanti. Non
possediamo, dico io, una visione panoramica; ci figuriamo solo di averla, di fatto
immaginandoci al posto di Dio[] Quindi la conoscenza non mai una adaequatio
intellectus ad rem. La conoscenza un fatto interpretativo, ermeneutico, e perci
culturale: fatti che stanno dentro il mondo e che ne sono parte, eventi del mondo.
Che poi la mente di Dio? Forse che ne possediamo la teoria? Qui non si tratta di avere
fede o meno; si tratta semplicemente di sapere quel che si dice, ovvero di non dire
stupidaggini.
C. Sini, Idoli della conoscenza

Il corpo della parola


Qual lorigine dellocchio pubblico, dello sguardo panoramico? Rispondere a questa domande
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equivale a svelare il senso e lorigine del logos, ovvero di quella tradizione cui appartiene la
filosofia occidentale e la pratica scientifica che ne deriva (la scienza infatti un parto della
filosofia). A questo tema affascinante Sini ha dedicato molte opere, tra le quali Etica della scrittura.
Non essendo questa la sede per approfondire largomento, enunciamo subito la sorprendente
conclusione di Sini: alla base del logos e quindi della stessa scienza - sta lalfabeto.
Questa teoria potr sembrare eccentrica, ma non piove dal cielo, specialmente per chi abbia
familiarit con il decostruzionismo di Jacques Derrida e in particolare con il suo scritto Della
Grammatologia, rispetto al quale, comunque, Sini si muove seguendo un percorso originale. Ma
che cosa mai centrer lalfabeto con la scienza?
Se davanti alla seguente scritta:

AB

vi domandassi che cosa avete letto, non dubito che la risposta sarebbe: le prime quattro lettere
dellalfabeto greco. Che altro? Ma se qualcuno sostenesse di aver visto buoi e capanne, non
sarebbe affatto da sottoporre a perizia psichiatrica. Chi di voi infatti conoscesse le opere del
linguista inglese Alfred Kallir, fondatore della semantica bisferica, saprebbe che quei segni, in un
remoto passato, esprimevano rispettivamente luomo (testa di bue rovesciata), la donna (il seno e il
ventre gravido, la generazione della prole (non un caso che le lettere gutturali ricorrano
costantemente nelle parole che esprimono Generazione, ConCepimento, ConiuGazione, dove le
gutturali hanno una tipica concavit; quanto ai trattini della G, essi hanno un senso molto
pregnante), la casa (una capanna). Loriginario iconismo della scrittura, evidente negli
ideogrammi, che ha preceduto e generato sulla base del principio acrocratico - la scrittura
fonetica, rintracciabile nello stesso alfabeto. Ma la scrittura alfabetica, proprio in virt della
scomposizione letterale e della linearizzazione che le peculiare, opera, a un certo livello di
stilizzazione, la separazione del significato astratto dal corpo sonoro e visivo del segno,
originariamente intrecciati. E cos che si rende disponibile un significato astratto, pubblico e
indefinitamente iterabile, tanto che nella pratica della lettura noi letteralmente non vediamo le
lettere, a meno di importuni refusi o difficolt visive (vediamo le lettere quando non riusciamo a
vederle). Questa svolta epocale, rileva Sini, trova il suo suggello nel Cratilo platonico, ove la
concezione della natura sostanzialmente convenzionale del linguaggio ha la meglio sullarcaica
dottrina di Ermogene che asserisce una naturale rispondenza tra il corpo della parola e la cosa. E del
resto non Platone ad aver istituito locchio dellanima, la pura visione della mente che coglie la
forma ideale immateriale ed universale, istituendo lepisteme, cio il sapere saldo, sottratto al
divenire e immune dalle idiosincrasie soggettive? Nel Sofista listituzione del logos consegue,
secondo Sini, il suo compimento. Le suddivisioni dialettiche ivi delineate (come il famoso
esempio della pesca alla lenza), sono consentite precisamente dalla sequenza lineare dellalfabeto.
85. Luniversalit epica. Devi osservare attentamente come via via si traduce il
carattere universalizzante che implicito nella gestualit e nella pratica della voce.
Dapprima esso si espande in una comunit di pratiche orali. Gli uomini di questa
comunit cantano e raccontano i loro miti e le loro leggende, i loro Dei e i loro eroi,
raffigurandoli in imprese poetiche ed epiche. Questa parola fortemente patica
evoca e rievoca per tutti, cio per tutti i partecipanti di quella comunit, lethos
comune del fare e del dire, dellamare e del soffrire[] E importantissimo che tu
comprenda e tenga fermo che la voce che parla nellepos orale non la stessa voce che
si d a vedere nella scrittura alfabetica[]
86. Luniversalit logica. Quando la potenzialit universalizzante della voce si traduce
nella pratica della scrittura alfabetica, ci che questa rende visibile non sono gli eventicose, i personaggi-luoghi della vicenda epica, si tratta invece della oggettivit
letterale dei significati. La parola, sciolta dal contesto patico-espressivo della
evocazione istoriale, viene resa nei suoi elementi purificati e ideali, cio nelle sue
lettere. Abbiamo cos ununiversalit astratta da ogni contesto. E cos che si viene
formando il lettore ideale, per il quale leggere non pi guardare e contemplare il
corpo scritto, ma dirigersi, tramite esso e la sua trasparenza convenzionale, al
significato logico.
88. Il ritmo e il tempo. [] La parola epica un continuo interpretare provenendo e
inviando sulla base di blocchi di emozioni che procedono episodicamente in circolo,
indietro e avanti, e non in una serie unidirezionale. Questo tempo etico (o dellethos)
si potrebbe dire tempo plastico o symballico. La scrittura alfabetica iscrive invece i suoi
elementi ideali (apatici), depositari di significati oggettivi e universali (non di sensi), su
una linea omogenea. Ed appunto questa trascrizione lineare che comporta una
specifica temporalizzazione.
89 La realt costruita. Lideale linea di scrittura costituita di punti omogenei la cui
unica relazione la successione astratta: relazione pi spaziale che temporale, e in ogni
caso statica, cristallizzata, anzich ermeneutica. Nulla infatti accade al punto per il
fatto di trovarsi prima o dopo di un altro. Esso solo uno snodo: il veicolo della
transizione che consente liscrizione. Il carattere puntuale della linea che comune sia
alla scrittura alfabetica sia alla definizione potrebbe gi indicarsi come il contenuto
della forma logica. La temporalit lineare spazializzata sarebbe allora il tratto
essenziale del logos logico. Voglio dire che, temporalizzandosi analiticamente (aritmo11

geometricamente) nella linea nella linea scritturale e definitoria il logos diviene


appunto logico; esso acquisisce in tal modo quella universalit oggettiva, formale,
che propria dellimpersonale verit logica. La verit intesa come corrispondenza del
giudizio alla cosa avrebbe allora a suo fondamento il contenuto di una costruzione, la
costruzione di una realitas geometrica (aritmo-geometrica) fatta di punti astrattamente
omogenei linearmente disposti. Struttura di realt che vale universalmente e
oggettivamente. La verit del giudizio pertanto solo lultimo stadio di questa
costruzione. Il significato linearizzato del logos si adegua al carattere logico (in
s) delle cose. Beninteso delle cose preliminarmente ridotte entro lo schema lineare
della definizione, cio ridotte ai suoi elementi puntuali e geometrici[]
La legge universale del logos logico conclude Sini un principio formale il cui
contenuto la linearit crono-logica della scrittura alfabetica.
C. Sini, Etica della scrittura

3. Dellevidenza dei fatti


Appartiene alla tradizione positivistica, tutto sommato ancora molto viva tra scienziati e divulgatori
scientifici Piero Angela docet -, la inconcussa certezza che la superiorit della pratica scientifica
rispetto alla filosofia e alla superstizione riposa sullevidenza di fatti osservativi primari. Questi
fatti, imponendosi nella loro evidenza pura, non lasciano adito ad interpretazioni. Certo, si ammette
comunemente, anche nella scienza esistono congetture ed ipotesi, ma solo nella misura in cui non
se ne sa abbastanza. Cessano di essere tali e assumono piena dignit di verit scientifiche tramite la
prova dei fatti. E i fatti non sono interpretazioni.
Non sinventa nulla, oggi, nel dimostrare la precariet della demarcazione tra fatti ed
interpretazioni. A ci arrivata la stessa epistemologia, almeno a partire da Popper. Ma un grande
merito di Carlo Sini laver imposto allattenzione della cultura filosofica odierna un filosofo a
lungo tempo ignorato - che per primo ha esplicitamente minato la credibilit di simili concezioni
impregnate di metafisica: Charles Sanders Peirce, la cui importanza per il percorso di Sini emerger
pi chiaramente in seguito. In un geniale saggio del 1868, rimasto pressoch ignorato per un circa
un secolo, leccentrico creatore del pragmatismo dimostra, con solidi argomenti, che nessuna
conoscenza pu essere appresa intuitivamente, poich ogni cognizione determinata da cognizioni
precedenti. Nemmeno x rosso una tale immediata evidenza.
La stessa autocoscienza, supposta da Cartesio evidenza originaria indubitabile, appare un prodotto
di inferenze e interpretazioni. Conseguentemente non vi sono fatti primari desperienza,
evidenze immediate e simili.Forse soltanto Hegel era giunto, in precedenza, a una posizione
simile. Tuttavia nella Fenomenologia di Hegel vi un cominciamento, che in Peirce manca. Questa
verit stata espressa da svariati pensatori, ognuno col proprio gergo filosofico: Peirce parl di
semiosi infinita, Heidegger di circolo ermeneutico. Derrida evocherebbe la diffrance. Sini
aggiungerebbe che non si d luno ma la diade.

Occhio alle monetine


Peirce, filosofo indubbiamente originale, fornisce vari argomenti a favore della sua critica
dellasserita facolt intuitiva delluomo. Uno di essi suggerisce un curioso esperimento.
Prendete un foglio bianco piegato a met e disponete ali lati due monetine. Ora chiudete con la
mano sinistra locchio sinistro e guardate le due monetine con locchio destro. Avete la percezione
di uno spazio ovale continuo. Sembra unevidenza intuitiva immediata. Se per ora fissate la
monetina a sinistra e contemporaneamente spostate verso di essa la monetina di destra, risulter,
nella piega del foglio, un punto cieco. Bisogner girare locchio per vederla. Ne segue che la
continuit dello spazio non immediatamente percepita, come sembrava, ma desunta da premesse
intellettuali. Quale miglior esempio conclude Peirce si potrebbe desiderare dellimpossibilit
di distinguere i risultati intellettuali dai dati intuizionali attraverso la mera contemplazione?

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4. Rimuovere lanimale
La scienza si pone come sapere oggettivo. Di un qualsiasi fenomeno esso distingue laspetto in s,
oggettivo, valido universalmente, dagli elementi soggettivi che lo accompagnano, vale a dire
emozioni, incanti o turbamenti, aspettative, credenze ecc. La luna potr anche ispirare poeti e
musicisti quando si specchia nel lago, ma la luna oggettiva, la luna vera, un satellite della Terra
butterato da crateri che ruota con velocit pari al tempo di rivoluzione, ecc. ecc. Questa la
descrizione neutrale, oggettiva, verace e prosaica della Luna, valida universalmente, anche per il
Bororo dellAmazzonia per i quali la sua apparizione una ierofania che scandisce importanti
momenti della vita sociale. Questo pensiero si imposto nella scienza fin dai tempi di Galileo, che
con la sua distinzione tra qualit oggettive e qualit soggettive dei corpi, sosteneva che, una volta
rimosso lanimale il nostro apparato sensoriale , possiamo conoscere il libro della natura.
Ma sorge ora un dubbio. Lontologia della scienza oggettiva e verace, o piuttosto
unontologia astratta, che cio fa astrazione di tutti gli aspetti che non consentono misurazione e
manipolazione tecnica? La luna prosaica esiste in s o allinterno dello sguardo scientificoobbiettivante che ha deciso, per il suo metodo e le sue finalit, e conseguendone grande efficacia
operativa, di prescindere da ci che non rientra nel proprio metodo?
Nel brano che segue, Sini dimostra la fondatezza del dubbio. Gli oggetti scientifici, secondo il
filosofo, non esistono che nella visione e nella pratica scientifica, che comporta una estraneazione
del soggetto dalle sue concrete esperienze. Il sapere della scienza dunque un sapere astratto.
Questa astrazione, che certo ha la sua grande efficacia, non altro che il trionfo di ci che il nostro
filosofo solito chiamare la strategia dellanima, ovvero la svolta di Platone, che concep la
filosofia come contemplazione delluniversale in s, della forma oggettiva, di quel triangolo che
non muta e che non affetto dallo stato danimo del geometra:

Lo scienziato, in un modo o in un altro, tirer in ballo la celebre distinzione tra qualit


primarie e secondarie: le seconde, dir, non appartengono alle cose reali, ma solo al
corpo senziente di colui che le percepisce; sicch, rimosso lanimale (cio il corpo
animale), come diceva il grande Galileo, bisogna riconoscere che colori, odrori, sapori,
suoni, ecc. non sono veramente ci che c l fuori[] Movimenti, vibrazioni, danze
di elettroni; e cos pure fatto il corpo e, infine, il cervello: eventi che vanno colti in
termini fisici, chimici, fisiologici, neurologici; fenomeni quantitativi che ci vuole la
matematica per raffigurarli. Ma niente di rosso, di salato, di ruvido, ecc. Queste cose (lo
dicevano gi, tra gli antichi, Democrito ed Epicuro) sono solo immaginazioni soggettive,
effetti degli scontri tra gli atomi della cosa e gli atomi del corpo senziente
(naturalmente, la scienza moderna usa linguaggi molto pi raffinati e specialistici). Il
senso comune, non a torto, affascinato, ma vorrebbe anche sapere, e capire, come
accada che questi fenomeni meccanici, quantitativi, queste vibrazioni, queste reazioni,
queste sinapsi cerebrali, gli si trasformano, dentro la coscienza, in colori, odori, sapori,
ecc.; per esempio, il rosso delaurora o la Nona di Beethoven. Ma proprio a questo punto
il realista puro e semplice lo abbandona, cio lo lascia completamente deluso, perch in
sostanza non lo sa. Putnam dice che ogni spiegazione scientifica della conoscenza finisce
per lasciar coesistere al suo interno una parte magica: per incanto, o per magia,
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eventi puramente neurologici, fisici e chimici si trasformano in sensazioni qualitative. Il


senso comune comincia a sospettare che quei cani dei filosofi una qualche ragione
dovessero averla. Il realista puro e semplice tenta, allora, una spiegazione plausibile e
dice che la mente che proietta sulle cose le qualit. Le vibrazioni delle molecole
daria (l onda sonora) colpiscono lorecchio, mettendo in moto fenomeni fisiologiconervosi, sino a determinare aree cerebrali, ecc. ecc.; ma la mente proietta su tali
eventi dinamici la percezione qualitativa del suono, li traveste qualitativamente. Che
significa proietta? Che significa traveste? E come fa a farlo? Siamo di nuovo di
fronte a espressioni magiche, che comportano, come dice Putnam, la loro parte di
mistero. Situazione imbarazzante (anche noi dovremo pur rifletterci, una volta o laltra,
amico lettore), perch nessuno dubita che lo scienziato, con i suoi calcoli ed
esperimenti, e indipendentemente dalle sue espressioni magiche, ridia la vista ai
ciechi e ludito ai sordi, o almeno ci provi con non trascurabili successi. Per, un conto
elaborare, o diremmo meglio (lo sosteneva gi Galileo) trascrivere, le qualit percettive
in un linguaggio matematico, il quale consente esperimenti e poi applicazioni tecnicopratiche; un altro decidere che cos un suono. Il fatto di poter trascrivere con
successo la qualit del suono in quantit misurabile e manipolabile non mostra per nulla
che la percezione del suono sia un fenomeno soggettivo e che la dinamica delle onde
sia un fenomeno oggettivo; insomma non chiarisce che cosa il suono. Cosa c l
fuori? Suoni o vibrazioni, o nessuno dei due ? Parlare di proiezioni e di travestimenti
significa introdurre pseudospiegazioni, parole che rivestono la stessa pretesa di una
spiegazione magica. Un po come accade quando luomo cosiddetto primitivo asserisce
che una pianta ha certe virt perch ha un mana. Che cos mana? Appunto, una virt
soprannaturale. E che sarebbe questa virt? Appunto, mana. Grazie, arrivederci.
C. Sini, Idoli della conoscenza

5. La nave del sole


Appartiene alla concezione scientifica del mondo una naturale attitudine a relegare nellambito
dellignoranza e della superstizione ogni concezione o visione del mondo non collimante con la
propria o non conforme alle esigenze del metodo sperimentale. Questo logocentrismo aspira
pertanto, come il capitalismo nel campo economico, a imporre globalmente la propria visuale, con
tutta la sua efficacia tecnica e il disincantamento nichilistico del mondo insito in essa. Si tratta di
capire se tutto ci certifichi la verit della scienza e la superiorit dellumanit scientifica. Le
seguenti pagine di Sini, di evidente matrice heideggeriana, ci propongono una lettura diversa:
Lessere-nel-mondo delluomo protostorico
Per le civilt protostoriche vivere nella vicinanza dellaperto che collega terra e cielo
voleva dire: sapere chi luomo, donde proviene, qual il suo exitus: il senso della sua
vita e della sua morte. Un sapere che non di tipo concettuale, ma equivale a un
essere orientati tra terra e cielo, a un essere-nel-mondo emotivamente atteggiati,
interpretando e usando (avendo cura). Noi ci stupiamo di fronte alle innumerevoli e
bizzarre cosmologie protostoriche. Lidea che lantica corte cinese, la sua reggia, gli
ordini e i titoli dei dignitari, le vesti dellimperatore, persino i suoi gesti dovessero
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rispecchiare, come in unimmensa coreografia, lordinamento cosmico e celeste,


colpisce la nostra curiosit: ammirazione, fastidio, senso dell esotico e del
totalmente estraneo. Bellissimo, certamente, ma nellinsieme, diciamolo con
franchezza, cose da pazzi. E questi uomini incredibili sarebbero i nostri antenati. Ma
invece di riconoscere modestamente la nostra impossibilit di capire, noi per lo pi
sentenziamo sulla loro ingenuit e sulla loro superstiziosa assurdit. UI mito
cosmologico dellantico Egitto diceva che il mondo un solido rettangolare: al centro la
regione del Nilo, poich il Nilo divide in due la terra; allorizzonte una barca accoglie il
sole e lo trasborda nottetempo dalla parte opposta del mondo, e via di seguito. Ma
come, noi pensiamo, gli Egizi erano forse scemi che non vedevano che lorizzonte
circolare? Il fatto che quell allegoria (per usare un termine nostro e non loro)
dellEgitto non chiedeva di essere vera nel senso della nostra nozione di verit. N le
figure geometriche, il cerchio, il quadrato, significavano allora le stesse cose che
significano (o che non significano, poich hanno perso, a partire da Euclide, ogni senso
ermeneutico) oggi per noi[] Gli uomini protostorici sentivano la dipendenza della
terra dal cielo. Ne vedevano ovviamente anche la dipendenza reale, materiale: stagioni,
piogge, venti, siccit. E il cielo era il volto enigmatico degli Dei e de destino. Per questo
tanto ansiosamente lo scrutavano. Il cielo velava e insieme ri-velava levento del divino,
del divino che era nello stesso tempo lincomprensibile. Il cielo era il grande Segno. In
particolare gli astri erano i segni, le costellazioni che svelavano i contorni del cielo. Di
qui lopposizione fondamentale e sovrana di tutte le cosmologie: luce-tenebre. Caos
profondo della notte quando le notti erano notti: buio immenso e impenetrabile che la
luce delle torce poteva solo scalfire; e la luce del giorno rivelatrice delle forme (dei
significati). Noi non ci accorgiamo pi di tutto ci. Non sentiamo pi, come presenza
costante e onnipervasiva, la dipendenza della terra dal cielo. Dobbiamo fare uno sforzo
di riflessione per ricordarci che la luce delluniverso viene dagli astri. Lelementare
pensiero che, senza miriadi di soli, dappertutto sarebbe tenebra e notte capace di
stupirci. Per noi la luce vien meno perch c stato uno sciopero dellazienda elettrica.
Sappiamo che non cos, ma non viviamo tale sapere. Il nostro vissuto quotidiano
quello delle previsioni meteorologiche del giornale, o dellannuncio dello sciopero, del
guasto, dellattentato[] Coerentemente con ci, ai nostri bambini diamo informazioni
sul sole, informazioni esatte. In questo modo pensiamo di rispondere ai loro perch. E
chiss per quale mai ragione riteniamo di esere, in questo modo, pi civili dellantico
padre babilonese che 4000 anni fa poneva il figlio in ginocchio, con le mani giunte sul
petto, di fronte al sole che sorgeva; senza dargli spiegazioni che non erano infatti
necessarie[]Ma i nostri bambini, non poi tanto diversi da quelli di 4000 anni fa, non
appena imparano a scarabocchiare, disegnano con ostinazione la casa, lalbero, il cielo
e il sole che brilla; cio la terra e il cielo nella loro essenziale relazione, laperto che li
contiene. La casa come la terra: ora forse comprendiamo meglio gli egizi e il buffo
parallelepipedo che doveva raffigurare luniverso. Solo per noi la terra una nozione
astratta: la sfera del mappamondo; che tutto fuorch ci che noi di fatto vediamo
ed esperiamo. I nostri bambini hanno il senso del problema cosmologico. Poi, grazie a
noi, ai nostri mappamondi e alle nostre risposte scrupolosamente esatte, perdono ogni
senso cosmologico della loro vita.
C. Sini, Passare il segno

A caccia con i Bororo


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E ancora:
Lo stregone Bororo dice certe cose del mondo che a noi suonano strane e
incomprensibili, e anche ingenue, perch esse non fanno pi parte di ci che diventato
per noi il senso comune (peraltro ignaro a sua volta, bisognerebbe aggiungere, delle sue
ingenuit). Tuttavia, il relativismo culturale ci insegna a comprendere che quelle cose
che lo stregone dice non sono n inutili, n sciocche, n insensate e nemmeno prive di
un loro pratico successo. Se andate a vivere tra i Bororo, come ha fatto Lvi Strauss, e
tornate con loro allaccampamento dopo una lunga giornata di estenuante caccia, le
teorie astronomiche di Copernico e le formule di Einstein non vi servono a nulla;
invece la dolcezza dei canti della sera che vi consentono di sentirvi, non come una belva
disperata e solitaria, ma come membro e partecipe di una comunit umana, la quale,
ripetendo una tradizione orale che affonda nella notte dei tempi, rende percepibile il
senso delle cose: cosa sono il cibo, gli animali, luomo, la donna, lamore, i figli, la Luna
e le stelle che stanno sorgendo allorizzonte. Il mito (la parola, mythos) lo dice in una
maniera che congrua con il vivere umano in quella condizione e proprio dicendolo e
ripetendolo salva la vita delluomo. Il mondo , quindi, ben ritagliabile e
interpretabile in questo modo. Sintende che se poi vai a Harvard o a Pasadena e in un
laboratorio scientifico ti comporti come un Bororo, le cose non funzionano pi. L
conveniente, per il senso della tua vita, pensare come Einstein o come Bertrand Russell
e disporsi, per il riposo, ad ascoltare le interessanti notizie del telegiornale e le belle e
intelligenti scenette pubblicitarie che immancabilmente lo seguono; sino a che il sonno
sopra di noi si chiuda.
C. Sini, Idoli della conoscenza

6. L errore di Giosu
E credenza inconcussa del senso comune, come degli scienziati, che le oggettualit della scienza,
una volta teorizzate, vadano ovviamente retrocesse ad epoche antecedenti la scoperta stessa. Ad
esempio nessuno dubita che, una volta scoperta la legge di Coriolis che spiega lo spirare dei venti
Alisei, i viaggi di Cristoforo Colombo risultino giustificati da quella legge; oppure che, comprovata
la teoria copernicana, essa valga anche per il celebre Giosu, quello che ordin al sole di fermarsi.
Ma fino a che punto sono legittime queste retroflessioni o retrocessioni? Secondo Sini si deve
valutare con una certa cautela queste presunte ovviet. Egli propone di valutare una particolare
situazione cosmologica, articolata in quattro livelli di esperienza.
Il primo livello quello nel quale uneclisse intesa come una ierogamia [in precedenza

Sini ha ricordato come, secondo antiche tradizioni mitiche, una eclisse va intesa come una
ierogamia: il signor Sole e la signora Luna fanno lamore.]. Milioni di uomini hanno

pensato in questo modo e probabilmente ce n ancora sulla Terra che cos pensano.
Appena si verifica leclisse, si gettano in ginocchio e fanno sacrifici. Un secondo livello
fa riferimento alla frase famosa di Giosu Fermati, o Sole! Pare che il Sole abbia
obbedito e Giosu, che era un guerriero, ebbe tempo di vincere la sua battaglia.
Posto come terzo livello il geocentrismo di Tolomeo e come quarto livello leliocentrismo
copernicano, Sini procede come segue:
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Nei primi due casi non c alcun cammino verso la verit scientifica. Nellesperienza di
quel mondo non esistono oggettualit scientifiche: non ci sono eclissi, Soli, moti celesti
nel senso di Talete, di Tolomeo, di Newton. Un lettore scienziato gi si allarma: cosa
vuol dire non ci sono? Ci sono s, solo che loro, quelli che vivono in quel mondo,
semplicemente lo ignorano. Gi, questa maniera di ragionare appunto quella che si
afferma nei due livelli successivi. Anche qui c differenza tra come ragiona un
tolemaico, con le sue sfere cristalline che paiono a Bruno solo superstizioni di morbose
menti, e un copernicano; per le sfere cristalline possono essere falsificate, direbbe
Popper, e quindi a loro modo sono gi ipotesi dotate di dignit scientifica. Infatti,
derivano da pratiche che resteranno costanti nella scienza: il ragionamento,
losservazione sensibile, luso di calcoli e di diagrammi geometrici, ecc. []Tolomeo non
Newton, ma il suo modo di porre la questione del vero manifestamente pi vicina a
Newton che non a Giosu. Pi in generale, si potrebbe dire che la teoria tolemaica,
come ogni teoria scientifica, ha a che fare con dei significati, mentre la ierogamia ha
a che fare con un senso, un senso del mondo. La ipotesi geocentrica ed eliocentrica
sono significati astronomici, sicch se vera luna falsa laltra, e viceversa. Appunto
qui comincia la possibilit della falsificazione e, quindi, del dibattito razionale sul
progresso delle conoscenze. Sulla ierogamia non c niente da discutere. In pratica ci
troviamo di fronte a due universi di senso difficilmente confrontabili, perch gli oggetti
delluno non stanno e non possono stare nellaltro.
Le paradossali, eppure sensate, considerazioni di Sini imporrebbero, per una pi intima
comprensione, di affrontare nella sua completezza la fenomenologia siniana dellevento, illustrata
soprattutto in Kinesis, e la teoria genealogica delle pratiche, esposta nelle opere pi recenti.
Tuttavia, in Idoli della conoscenza, opera non rivolta a un pubblico specialistico, Sini fa
efficacemente intendere il suo pensiero:

Il punto, allora, dov? Il punto in quellinsistenza che dice: le cose sono sempre state
come dice la teoria copernicana. Checch pensassero Giosu o Tolomeo, anche allora si
viveva in una situazione eliocentrica, e non geocentrica, proprio come oggi sappiamo e
vediamo. E questo il nocciolo duro con il quale ci dobbiamo misurare[] La
testimonianza che il copernicano fornisce certamente non congrua con i sistemi di
pratiche di Giosu[]Diceva Michel Foucault: non si pu dire qualunque cosa in qualsiasi
tempo. Luomo dei geroglifici non poteva parlare come Demostene e Pindaro non poteva
pensare come Kant. Non quindi possibile avere una concezione copernicana vivendo
nel mondo pastorale di Giosu. Che significa, allora, vivere in una situazione
eliocentrica, fuori delle pratiche di vita e di sapere che definiamo, per fare in fretta
copernicane? Lasserzione scientifica copernicana ha la pretesa di riferirisi a un Universo
vero, indipendente da ogni sistema di pratiche definito (addirittura, checch gli uomini
ne pensino). Questa appunto la sua pretesa ed qui che dobbiamo chiedere: su che
cosa si fonda questa pretesa? In che consiste e che senso ha la pretesa di esprimere un
universo vero fuori da ogni pratica? Osserviamo, anzitutto, una prima difficolt: le
asserzioni scientifiche pretendono di riferirsi a un universo vero indipendentemente da
tutte le pratiche tranne la loro, beninteso. Della contingenza della loro pratica gli
scienziati non fanno questione, ammettono la contingenza delle teorie, ma non del
modo della loro costituzione[]Non siamo per al cospetto, in questo modo, di un
circolo tuttaltro che virtuoso? Riconosciamo il carattere contingente dellattuale
pratica scientifica (come si potrebbe, infatti, negarlo?), ma correggiamo questa
contingenza con il fare appello al suo successo pratico: poich ha successo non
contingente (o almeno nella direzione canonica per non esserlo); ma ha successo
perch contingente (perch questa attuale pratica, non quella di un secolo o di
qualche secolo fa che ha successo. Il successo affrancherebbe dalla contingenza, ma la
coontingenza che ha successo e che ha un successo contingente (come ogni successo).
[] Ogni pratica piena di senso entro il che del suo mondo, nella modalit che la
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caratterizza. Fuori da questa modalit non ha universalit possibile; essa non si


trasferisce, non si espande debitamente. Ritenere che questa universalit sia
universalmente estensibile, questo ci che io chiamerei mera superstizione.
C.Sini, Idoli della conoscenza

7. Il luogo del passato


Uno dei presupposti pi irriflessi che la scienza normale, salvo qualche complicazione
filosoficamente non sostanziale legata alla teoria della relativit, condivide con il senso comune,
la concezione spaziale del tempo, e specialmente del passato. Anche le cosiddette scienze umane,
che pensano cos di adornarsi del titolo che si attribuiscono, scontano qui la loro scarsa filosoficit,
compresa la storiografia. Tale superficiale comprensione del tempo comporta paradossi e assurdit
insostenibili, che Sini ha evidenziato in un memorabile corso universitario, da cui tratta la
dispensa dal titolo Il tempo e lesperienza, che qui utilizzeremo. Non ovviamente possibile
seguire nella sua ricca e affascinante complessit il percorso di Sini. Ci limiteremo ad esporre
alcuni passi estremamente stimolanti per provare a discostarsi dalle opinioni comuni sul tempo, che
appaiono, se sottoposte allo sterramento filosofico, poco pi che rozze superstizioni.
Il senso comune pensa come se ci fosse unideale linea di demarcazione: sin qui il
passato; da qui in avanti il futuro. La linea di demarcazione quella ideale puntualit
del presente che discrimina, appunto, tiene separati e discosti passato e futuro. Luno
infatti gi accaduto, laltro non ancora. E quel che accaduto accaduto, sia che il
futuro poi accada oppure no[]Il senso comune immagina il passato come un acccumulo
di eventi, di fatti e di cose, che se ne stanno l, chiss dove, intatti e inattingibili; cio
immodificabili. Il tempo non che unimmensa clessidra, dalla quale si staccano, uno
dopo laltro, un istante dopo laltro, i granellini di sabbia. Essi cadono e fanno mucchio
e questo mucchio appunto il passato. Ogni granellino che cade ha sotto di s lo stesso
mucchio; e il mucchio resta quello che anche se nessun granellino dovesse pi
cadere[]Ma questo passato che il senso comune, e anche la scienza, considera come
una realt in s, avvenuta una volta per tutte, un concetto pubblico e una verit
pubblica. In quanto tale, esso figlio della ratio dellOccidente, cio della filosofia.
E la filosofia ad aver costituito una realt pubblica, fatta di enti e di eventi pubblici,
esprimibili in un logos pubblico, in una ragione impersonale e universale. Ed anzi
questo logos levento capitale che ha reso possibile uno sguardo volto a istituire
loggettivit in s, naturale e storica. E in questo modo che locchio del sapere ha
preso il posto dellocchio degli Dei. Ora per che morti son tutti gli Dei per rimasta
questa loro ombra nichilistica che disegna lideale figura di una grande coscienza, o di
un Interpretante finale e complessivo, al cospetto del quale da sempre si
totalizzerebbero tutti gli eventi del mondo, conservandovi la loro realt e verit in
s.
C. Sini, Il tempo e lesperienza

Di antichi dei e nuovi


Lo sguardo storico al quale siamo stati educati considera le cose del passato
panoramicamente e pubblicamente. Noi ci poniamo, rispetto al passato, come spettatori
disinteressati[] Ci che accade che noi immaginiamo che i fatti accadano al cospetto di uno
sguardo universale e pubblico che era l presente a registrarli. Gli antichi non lo sapevano, ma
mentre facevano ci che facevano erano osservati dallocchio pubblico della storia universale:
occhio impassibile e imparziale che registra e segna, in certo senso occhio divino che contempla
il mondo stando fuori dal mondo. Le nostre narrazioni del passato fanno di questo sguardo
(ovviamente impossibile da incarnare per noi) il loro ideale regolativo. E allora si pu ben capire
che per questo occhio (immaginario) ci che stato stato ed accaduto cos come
accaduto, checch poi ne pensino e ne dicano i mortali, cio coloro che furono parte di quei
fatti e che ancora per molto tempo continuarono a interpretarli come eventi immanenti della
loro perdurante passione. In qualche punto del cielo, su di una nuvoletta, Cesare e Pompeo
ancora discutono e si rimproverano a vicenda. Se tu non mi toglievi il comando militareSe tu
non passavi il Rubicone..-.Ma le loro sono interpretazioni di parte. La guerra civile accadde
per la comodit dello storico contemporaneo, in modo che egli possa mostrare che cosa accadde
in realt e in verit. Checch ne pensino Cesare, Pompeo e tutti i loro partigiani e nemici.

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In questa ottica, infatti, la guerra civile diviene un fatto pubblico, impersonale e oggettivo,
totalmente astratto deciso, dalle continue interpretazioni che lo intramarono e lo fecero
accadere e vivere. In questo modo per il nostro comune senso storico opera con le sue
inerpretazioni, che spaccia per verit oggettive e assolute. In primo luogo scambia per concreto
ci che astratto: la narrazione immaginaria degli eventi in quanto oggetti dello sguardo
pubblico cui viene dato il nome di guerra civile viene sovrapposta alla concreta esperienza
ermeneutica che allora accadde, secondo una miriade praticamente infinita di prospettive per di
pi in continuo movimento. In secondo luogo tale sguardo assume come fatti solo quelli che
per la sua attuale cultura, per il suo modo di interpretare il mondo, sono i fatti, i fatti reali
[]Questi presupposti contravvengono per a ci che lesperienza continuamente ci mostra, cio
che niente accade che non sia interpretato e che non sia uninterpretazione. E non nel senso di
una mera ed estrinseca somma[]Non c la rappresentazione e poi il pensiero che
laccompagna e la interpreta. C linterpretare avendo gi interpretato e avendo da
interpretare; cio c lermeneutica profonda della temporalit. E questa ermeneutica mostra
appunto che il passato un modo del provenire ora, cio di aprirsi allinterpretazione futura del
mondo che ora ci incalza.
C.Sini, Il tempo e lesperienza

Viaggi nel tempo


Lingenua obiettivazione del passato come contenitore di fatti immutabili e in s ha sempre
suscitato il desiderio di una macchina del tempo che consentisse di retrocedervi a piacere, per
scoprire come erano andate davvero le cose. Tutto ci non solo non possibile di fatto, ma di
principio impossibile. Il solo concepirlo insensato.
A quale luogo tornerebbe infatti il mondo, tornando nel passato? Se tutto tornasse
nel 1942Ma il 1942 il luogo di uninterpretazione pubblica. Esso in s non mai
esistito (non mai esistita la supposta totalit degli eventi che noi riassumiamo nel
numero 1942), come non esiste questo [aprile 2007] e limmaginaria totalit degli eventi
obiettivi che starebbero in esso. Questi luoghi pubblici non sono ci che esiste o ci
che accade. Se tutto tornasse come allora: ma quale tutto, e a partire da che o da
chi? Solo per il Dio, al cospetto del quale e per il quale tutto accade ed , questa
frase pu avere senso. Ma proprio il Dio, questo Interpretante complessivo immaginato
dallonto-teo-logia, che non ci-. []Anche il tempo pubblico, con la sua finzione di
scorrere, non ci-. Il passato, allora, cui si vorrebbe ritornare, non solo non c pi,
ma, pi esattamente, non mai stato n sta.

Il passato futuro
Bisogna, dice Sini, avere la capacit di pensare queste proposizioni, di cui la seconda appare molto
ardua:
Il passato accade nel presente
Il passato accade nel futuro
Queste asserzioni ci fanno sobbalzare, impregnati come siamo dei presupposti metafisici dello
sguardo pubblico e panoramico, del passato-deposito, ecc. Proviamo a rendere pi familiari le
precedenti asserzioni con un banale esempio:
Il professore entra in classeper lennesima volta; unestenuante lezione sta per cominciare. In
passato ha sentenziato con evidente compiacimento che lessere e il non essere non . Chiss che
cosa riserva il futuro. Gi, ora per domandiamoci: che ne di quelle passate lezioni e di quelle che
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seguiranno? Qual il loro luogo? Se passato e futuro hanno luogo, essi non possono averlo che
nel presente, come gi argoment inoppugnabilmente SantAgostino. Riflettiamo. In questa
esperienza scolastica il passato direbbe Sini - mi si fa incontro esclusivamente nell aver gi;
vedo il professore perch lho gi visto. Mi accingo a scrivere perch ho gi scritto. In altre parole il
passato non che un presente provenire. Le lezioni del passato non trovano altro luogo che
nellabito della presente interpretazione. Ma al tempo stesso latto del professore riconosciuto
come tale in quanto provoca una risposta interpretante, un agire o astenersi: una aver da. Questo,
e non altro, il futuro: il rinvio di ci che, provenendo, destina. Passato e futuro sono compenetrati
nel presente, ma ci che veramente arduo comprendere come il futuro condizioni il passato. La
relazione inversa infatti abbastanza evidente, ma in quale modo mai il futuro potrebbe affettare il
passato? Non possibile a questo punto comprendere adeguatamente il discorso di Sini senza avere
esaminato uno snodo fondamentale della sua intera filosofia: la questione del segno.

Parte seconda Semiotica e Filosofia


Un po di semiotica
Che cos un segno? Potremmo dire, preliminarmente, che esso ci che supponit pro, che cio sta per
qualcosa daltro, rinvia, rimanda. Si pensa allora, solitamente, a unespressione linguistica, un segnale
stradale, un indicatore di pressione ecc. Ma in effetti, se la natura del segno consiste nel rimando,
potremmo annoverare tra i segni, che so io, limprovviso rossore di un fanciullo, il portamento
esteriore di un ubriaco, il tono di voce con cui mi si oggi rivolto Caio, il sogno per gli psicanalisti ecc.
Certo corre una bella differenza, poniamo, tra i segni linguistici che uso coscientemente parlando e un
lapsus o lespressione esteriore con cui li profferisco. Edmund Husserl, nelle Ricerche logiche, ha
proposto di distinguere tra espressione e indice. Se, per fare esempi non husserliani, io vi dico Fate
attenzione!, questi segni linguistici sono espressioni: manifestano cio un significato ben presente alla
coscienza di chi le profferisce (si spera anche di chi le ode); ma se, prima di pronunciarle, avevo
aggrottato le ciglia, respirato profondamente diventando contestualmente paonazzo, questi segni
(Zeichen) sono indici (anzeichen) che necessitano di un ricevente che ne vivifichi il significato. In
questo senso, per fare il noto esempio di Husserl, dei canali presenti su Marte sarebbero indici, poich
sprovvisti, di per s, di unintenzionalit cosciente e che pertanto richiedono un soggetto pensante che
ne colga il significato. In tutti questi esempi, comunque, il segno ci che rimanda a un oggetto o a un
significato. Star poi alla scienza semiotica fare le dovute tassonomie (distinguendo tra segni naturali,
artificiali, icone, simboli, ecc). Ora, tutto questo sembra lampante e ovvio. Ma appunto perch tale non
ci dobbiamo stupire che Sini lo ponga in discussione. Per il nostro filosofo questa spiegazione
inadeguata. Perch? Perch essa d ad intendere che un segno sia intrinsecamente tale, che la
distinzione tra significante e significato sia originaria, ponendo il caro davanti ai buoi:
Tutte queste distinzioni e descrizioni non ci hanno fatto fare, invero, alcun progresso.
Anche se le rendessimo molto pi sottili e sistematiche, appellandoci alla semiotica, alla
linguistica, alla semantica e alla grande variet di indirizzi che tali scienze contengono,
neanche allora avremmo compiuto alcun significativo passo in avanti: il problema del
significato, in un senso filosofico che sia ultimativamente fondativo e chiarificatore,
resterebbe inattinto e incompreso. Ci accade essenzialmente per un fatto: che tutte le
analisi e le teorie scientifiche della relazione tra segno e significato non pongono in modo
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filosoficamente adeguato, il problema dell interpretante[] Ci che viene trascurato, o


talora demandato a qualche supposta psicologia (che in realt ne capisce ancora meno),
che la relazione tra segno e significato, sia essa naturale o arbitraria, messa in opera in
una interpretazione, cio in un abito di risposta, ovvero e in questo preciso senso da un
interpretante. Segni e significati non sono cose o fatti che si esibiscono da s[] Presi
cos, cio come tali o in s, essi invero non esistono, non accadono[]Le uniche relazioni
segniche che concretamente esistono e che realmente funzionano sono relazioni
triadiche o ternarie.
C. Sini, Lorigine del significato

Ci che Sini sta dicendo che, per comprendere la natura del segno, occorre elevarsi alla comprensione
della relazione segnica. Lautore che lha per primo lha introdotta , ancora una volta, Peirce. Non
si esagera dicendo che la teoria semiotica del fondatore del pragmatismo o, meglio, del pragmaticismo,
costituisce il vero punto archimedeo dellintera filosofia siniana.

In questo diagramma
visualizzata la teoria della semiosi come Peirce lha esposta in articoli e manoscritti inediti composti tra
il 1895 e il 1902.
Il Representamen indica il dato, la qualit materiale che costituisce una pura possibilit segnica,.
LOggetto dinamico indica il puro rinvio del Representamen a un qualcosa, senza che questo qualcosa
sia ancora determinato e significato come questo o quello. Esso va altres inteso come ci che d segni
di s e provoca una risposta nellInterpretante. Ci spiega le due frecce che nel diagramma da esso si
dipartono. LInterpretante un abito di risposta. Cio spiega Sini in Passare il segno non solo la
mente o il pensiero, ma pi in generale un definito abito dazione o una serie connessa di abiti di
azioni, ovvero una complessa regola di condotta. Potremmo al limite intendere lInterpretante
come un intero mondo culturale[] Solo per quellInterpretante definito che il mondo culturale
del medio evo le macchie della luna possono venir colte come qualit segniche che rinviano ad
Oggetti tanto differenti dagli Oggetti dellastronomia post-galileiana. Si vede bene, allora, in che
senso la realt un segno: essa vale sempre infatti come significato per un Interpretante.

C. Sini, Lorigine del significato,


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Loggetto che, un po infelicemente, Peirce chiama immediato, , per il filosofo pragmatista, loggetto
come il Segno stesso lo rappresenta, il riflesso delloggetto dinamico in s che, per la natura delle
cose, il Segno non pu esprimere. Cercher di chiarire queste distinzioni con un esempio tratto dalle
mie disavventure domestiche. Uno strana macchia dacqua vicino al lavandino il segno,
Representamen che per un Interpretante, qui il sottoscritto con la sua modesta cultura idraulica, invia
a un Oggetto una crepa in un tubo o altrettali (questa inferenza Peirce la chiama abduzione). Ma
questo Oggetto non loggetto dinamico, loggetto in s, ma una rappresentazione mentale che non
pu certo esaurire la complessit dellOggetto. E chiaro che la rappresentazione che dellOggetto ha il
venale idraulico che lo ripara, e che qualifica il medesimo come un interpretante ben pi esperto del
sottoscritto, molto pi articolata e promuove risposte pi efficaci. Ma nemmeno lidraulico conosce
perfettamente la natura di tubi e crepe. Forse bisognerebbe chiedere lumi a qualche ingegnere o fisico
dotato di conoscenze pi approfondite sui materiali. Ma anche il fisico parlerebbe a partire da una
teoria provvisoria, indefinitamente perfettibile che non esaurirebbe la complessa natura delloggetto. Le
considerazioni di Peirce vanno comprese alla luce della sua famosa massima pragmatica, enunciata nel
saggio del 1878 Come rendere chiare le nostre idee. Qui liniziatore del pragmatismo sostiene, in modo
convincente, che per sviluppare il significato di qualsiasi cosa, dobbiamo semplicemente determinare
quali abiti produce, perch ci che una cosa significa semplicemente labito che comporta. In altre
parole, la comprensione di un oggetto non consiste in una improbabile intuizione cartesiana chiara e
distinta, ma nel complesso di pratiche che siamo in grado di svolgere in relazione ad esso. Poich
tuttavia la totalit delle pratiche conoscitive e operative attuabili sono infinite, ne segue che loggetto
in s non sar mai pienamente conosciuto e stimoler un continuo processo di interpretazioni, una
semiosi infinita. La conoscenza assoluta delloggetto e il conseguente accordo conoscitivo su di esso
di tutti gli esseri razionali costituiscono pertanto un ideale regolativo e non costitutivo, per dirla
kantianamente.
Ora, lanalisi peirceana ha certamente grandi meriti, ma appare per Sini affetta da un residuo
dogmatico. Se infatti l Oggetto dinamico inattingibile ala luce del principio della semiosi infinita,
esso si avvicina pericolosamente alla cosa in s kantiana, ovvero allinconoscibile, che pure lo stesso
Peirce aveva dimostrato essere concetto insostenibile. Vediamo ora il perch.

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Il noumeno, questo sconosciuto


In diversi geniali saggi Peirce ha dimostrato linsostenibilit del concetto di inconoscibile (proprio uno
di quelli su cui in quegli stessi anni Herbert Spencer mieteva successi soprattutto in America, dove si
avvertiva lesigenza di mitigare le componenti antireligiose dellevoluzionismo). Nel gi citato
Questioni concernenti certe pretese facolt umane, del 1868, analizza la questione se un segno possa
avere un significato, quando, per definizione, esso sia segno di qualcosa di assolutamente
inconoscibile. La risposta negativa. Infatti, la nozione di conoscibile indica il concetto pi alto che
si possa formare per astrazione dallesperienza; se pretendessimo di includere il conoscibile in una
realt inconoscibile, noi avremmo affermato un non concetto, ovvero un concetto che implica di non
essere un concetto, insomma una nozione contraddittoria, quindi insensata. Di fronte a ogni
cognizione c una realt sconosciuta eppur conoscibile; ma di fronte a ogni possibile cognizione c
solo lautocontraddittorio.
In altri scritti Peirce si esprime cos: dal momento che il significato di una parola il concetto che essa
veicola, lassolutamente inconoscibile non ha alcun significato, perch non veicola alcun concetto;
perci inconoscibile parola senza significato; e per conseguenza qualsiasi cosa sia designata da
qualsiasi termine come reale conoscibile in qualche grado. Queste considerazioni stringenti )
ricordano da vicino le teorie di Ardig nonch la scelta di Wittgenstein nel Tractatus logicophilosophicus di non voler demarcare il pensiero ma il linguaggio; daltra parte scaturiscono in modo
lineare dalla massima pragmatica: infatti quali abiti di risposta potrebbe implicare tale
pseudoconcetto?
Alla luce di queste considerazioni appare chiara la permanenza di un presupposto dogmatico nella
semiotica di Peirce, certamente dovuto alla componente empiristica della sua formazione culturale, che
pure la geniale tesi della semiosi infinita avrebbe consentito di epurare. Contro tale residuo metafisico
Sini, ne Lorigine del significato, esplicito:
loggetto scrive non altro che il significato del segno[] Infatti dobbiamo dire in
generale (mettendo a dura prova il senso comune): non ci sono da nessuna parte realt
esterne al triangolo semiotico.
LOggetto rappresentato dal segno dunque a sua volta un segno che produce un ulteriore rinvio, e cos
allinfinito: non solo nel senso dellapertura ad infinite interpretazioni, ma anche nel senso dellaver gi
sempre interpretato. Tale concezione pu apparire sconcertante, per varie ragioni tra le quali
lapparente circolo vizioso nel quale sembrerebbe cadere. Ci dovr essere stata obietta il senso
comune una prima interpretazione! (il mitico dato immediato, il fatto scevro da interpretazioni)
Eppure in questo circolo il famoso circolo ermeneutico - noi ci muoviamo di continuo. C mai
qualcuno che abbia tradotto una versione mediante analisi e giustapposizione del significato dei singoli
termini? C qualcuno tra i classicisti presenti in grado di tradurre un senza rifarsi al contesto? E
daltra parte come fa ad afferrare il contesto se non conosce il significato delle singole parole? Eppure
traduciamo. Allo stesso modo la infinit della semiosi non contraddice il fatto che di continuo facciamo
esperienza interpretando.
23

Il triangolo, rispetto al modello precedentemente visualizzato, va dunque semplificato in una


relazione triadica di segno, oggetto, interpretante, dove loggetto non fuori o in s. Non vi sono
oggetti a prescindere da Interpretanti (abiti di risposta).
Ora, se quanto si finora detto vero, allora la relazione segnica non ha una limitata valenza semiotica,
buona per interessi specialistici: al contrario essa costituisce la struttura della nostra stessa
esperienza. Ovvero non si d esperienza al di fuori dellaccadere della relazione segnica. Da qui
lautentico rilievo di Peirce per la filosofia dellesperienza:
Anche noi vediamo e sappiamo benissimo che ci sono cose che sono segni in un senso pi
ristretto o magari specifico, a cominciare dai segni del linguaggio e della scrittura. Ma il
fatto che noi possiamo deputare certe cose a significarne altre, e quindi assumerle come
segni in senso specifico, solo perch la struttura generale della nostra esperienza fondata
sul rimando, e cio sulla relazione segnica in senso lato e originario.
C. Sini, Lorigine del significato

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La relazione simbolica
La relazione segnica, correttamente intesa, e quindi concepita secondo i principi della semiosi infinita e
del circolo ermeneutico, si rivela essere una relazione simbolica, in un senso ben preciso che Sini ha
sviluppato in alcune ricerche di notevole originalit. Simbolo va qui inteso nel suo significato letterale
originario, dal greco symbllo che significa metto insieme, unisco, accosto.
Presso i Greci scrive Sini in I luoghi dellimmagine e la teoria dellimmaginazione il symbolon
era un segno di riconoscimento costituito dalle due met accostate di un oggetto spezzato.
Unendo le due met di una tessera o di un coccio, i possessori si scoprivano adepti della
medesima fila o consorteria, e come tali si riconoscevano; oppure, gli amici si scambiavano
questo pegno in vista di un incontro futuro.
Ora, ci che per Sini filosoficamente significativo, che il simbolo un segno che rinvia a se stesso
(lintero spezzato rinvia allintero non spezzato, cos come ognuna delle due parti). Ma che cos che,
nel simbolo, produce il rinvio? Manifestamente la fessura: essa distanzia unificando. Ma non
precisamente questa la natura di ogni relazione segnica, un essere distanziati che invia ad una
unificazione? Il bambino o forse gi il feto che percepisce una presenza di madre pu farlo solo nel
venir meno di una simbiosi con essa, della quale per non pu avere alcuna esperienza. Non vi infatti
una distanza, un orlo che la renda possibile. Da qui la tesi di Sini secondo la quale il simbolo, la
distanza simbolica, costituisce il carattere originario di ogni segno, ci che fa di un segno
un segno.
Ma se la fenditura dellintero che consente lesperienza, bisogna allora comprendere che il
fondamento dellesperienza nulla.
Il fondamento della relazione nulla, nulla di fondamento, Ab-grund. Che cosa infatti
produce la differenza (e perci la relazione)? Manifestamente la fessura. Ma la fessura
appunto nulla, mero orlo, evento. Nulla dobbiamo dire divide a da a.
Nulla non niente. Bisogna comprendere questa differenza. La fessura continua Sini -,
che nulla, non si annulla. E proprio la comprensione di ci che smaschera lerrore della
metafisica che sta anche a fondamento dei preconcetti scientifici. Il punto che nel nostro
esperire non si d, ne pu darsi, la totalit unificata cui il simbolo allude. La nostra
condizione , strutturalmente, analoga alla parte spezzata, con il suo orlo di nulla:

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La fessura comporta linesistenza delloriginario. La dimensione originaria inesistente.


Non c una totalit (diciamo una A grande) che con-tiene le sue due parti (diciamo le
sue due a piccole), poich, appunto, la fessura che lo fa, lei che con-tiene. La
totalit, la A grande, unipostasi metafisica e non necessaria della fessura[] Il nostro
discorso (il nostro esperire) non mai al livello della A grande: in questo luogo non sta
nessuno; questo posto (locchio dellinterpretante totalizzante o divino) vuoto: la sua
voce silenzio; la sua mano che spezza lintero e lo riavvicina nelle sue parti una figura
cancellata nella sabbia. Noi siamo, il nostro luogo , sempre, in una delle due parti. Cos
noi siamo con-tenuti e insieme separati, aperti al (nel) nulla. Loriginario per noi non che
questo essere rinviati nel nulla, levento.
C. Sini, I luoghi dellimmagine e la teoria dellimmaginazione

Levento
Al tema dellevento Sini ha dedicato molte indagini originali, indipendenti dalle note riflessioni
heideggeriane. La riflessione sullevento la maggiore lacuna riscontrabile nellermeneutica. Questa ha
avuto il merito di sottolineare il fatto che non si d verit fuori dallinterpretazione, ma tende talvolta
a ridurre tutto a interpretazione. Con ci essa non comprende il suo dire, cio il suo accadere.
Certamente il come dellaccadere sempre espresso da un interpretazione, ma il che dellaccadere
circoscrive linterpretazione: ne levento. Proviamo a comprenderlo con un esempio dello stesso Sini.
Supponiamo che io stia cercando di spiegare la natura della scrittura cuneiforme, raffigurando
contestualmente uno scriba sumero intento a imprimere cunei sulla sua tavoletta. Questa raffigurazione
descrive ci che sto facendo? Certamente no, giacch dovrei raffigurare me stesso nellatto di
raffigurare lo scriba. Ma allora non avrei raffigurato me stesso nellatto di raffigurare me stesso che
raffiguraecc.ecc. Lo stesso vale per il nostro dire: la parola non pu mai dire il suo dire, in essa
inscritta una dif/ferenza, direbbe Derrida. E in questo senso che, come scrive Sini in Lanalogia della
parola, noi stiamo sempre parlando daltro. Ci sia detto per inciso mi ricorda la distinzione
wittgensteiniana tra dire e mostrare, nonch il teorema dincompletezza di Gdel,.
Sebbene la parola non possa propriamente dire levento ma solo evocarlo, per chiaro che levento
circoscrive il significato in quanto evento del suo accadere. Levento appunto laccadere del
significato, ovvero dellinterpretazione con la sua prospettiva. Ma poich ci che qualifica
linterpretazione nella sua determinatezza proprio il suo orlo, che orlo di nulla, allora si pu dire che
levento precisamente laccadere di nulla. Nulla accade, non significa che non accada niente.
Significa che laccadere sempre in prospettiva, e non pu mai pervenire a uno sguardo totalizzante.
Queste prospettive sono inoltre in continuo divenire, sicch il loro accadere contestualmente un
cadere nel nulla. Lesperienza un errare determinato da un costitutivo essere in errore.
Dal punto di vista del significato il significato non uguale a nulla; ma dal punto di vista
dellevento, in quanto unit di nulla e significato, che accade qualcosa (il significato)
assolutamente lo stesso di accade nulla. Questa lardua verit sulla quale bisogna
compiere unesperienza di pensiero
C.Sini, Kinesis- Il movimento della differenza tra evento e significato

La soglia, lo stacco, il transito


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Cercheremo di integrare i complessi passi precedenti, avvalendoci si alcune indagini pi recenti di Sini
(la fase genealogica ed enciclopedica della sua filosofia).
Quando si afferma che levento laccadere di nulla non si vuole usare un linguaggio misticheggiante.
Si sta invece dicendo che laccadere un orlo, soltanto a partire dal quale noi svolgiamo tutte le nostre
pratiche di vita, compresa la pratica filosofica; esse, proprio perch delimitate da quellorlo, sono in
prospettiva. Ma questo orlo determina uno stacco, a partire dal quale le pratiche, pur nella continuit
della ripetizione, si differenziano, retroflettendo e anteflettendo i loro oggetti. Conseguentemente lorlo
dello stacco (levento) altres una soglia attraverso la quale transitano le interpretazioni, che nella
differenza della loro ripetizione, producono nuovi stacchi, ecc. Questa ci che Sini chiama anche la
kinesis della differenza tra evento e significato, o anche la impermanente permanenza.
Quando nominiamo limpermanenza ci riferiamo alla deriva continua delle pratiche. Il
nostro esserci collocato (dislocato) nellessere sempre in atto, cio in azione. Detto
alla buona, di continuo facciamo qualcosa (o, che il medesimo, di continuo accade e ci
accade qualcosa). Siamo costantemente in atto, anche quando non facciamo nulla, che
a sua volta un modo (difettivo) di fare. Gettati nellintreccio semovente delle pratiche,
pratichiamo lo slittamento continuo dei suoi contesti di senso. Nel mutamento del contesto
qualcosa assume una determinata centralit prospettica, qualcosa prende rilievo e il
fuoco della visione si stacca: staglio di una figura di senso che ricontestualizza, a
partire da s, il significato, fornendolo di nuovi sensi o di nuove formazioni di senso.[]Col
mutare del contesto, costituito dallintreccio delle pratiche, anche labito interpretante
muta e in questa relazione compare un nuovo oggetto: esso si iscrive sul transitante
supporto predisposto dallintreccio delle pratiche e, cos facendo, fa segno. Il che d luogo
alla risposta la quale, per il solo fatto di accadere, traduce la sua soglia un po pi in l.
Laccadere, cos, cade nellaccaduto e predispone a un intreccio modificato per un nuovo
supporto accadente. Questa descrizione, sommaria e per certi versi imperfetta, intende
nondimeno mostrare quella inarrestabile mobilit del varco, del varco della soglia, che
costituisce la permanente impermanenza della verticalit dellevento: kinesis inarrestabile
che si oppone a ogni pretesa solidificazione del significato. La soglia infatti, si potrebbe
anche dire, la stanza di una distanza: luogo metafisico che congiunge in s origine e
destinazione nello stacco della sua figura retroflessa e anteflessa.
C. Sini, Lorigine del significato
Sarebbe necessario un discorso ampio e particolareggiato per comprendere a fondo queste ardue
proposizioni. I veri filosofi sono difficili, poich esprimono con pregnante densit gli esiti di una
riflessione complessa e articolata, che li accompagna quotidianamente per anni come loro perdurante
passione. Il lettore frettoloso, o abituato a digerire un intero romanzo di Faletti prima di
addormentarsi, si lamenta delloscurit dei filosofi, che dovrebbero rendersi subito comprensibili a
tutti, secondo triti luoghi comuni. Nessuno per potrebbe pretendere da un matematico che gli
insegnasse in un ora le equazioni differenziali, n Einstein avrebbe potuto spiegare a chiunque le
curvature gaussiano-riemanniane dello spazio relativistico. Sini per ha sempre presente il problema
della comunicazione, dato anche il suo trentennale insegnamento universitario, e applica molto spesso
le sue complesse teorie allanalisi di casi esemplari tratti dalla quotidianit. Sicch, ferma restando la
necessit, per chi volesse approfondire, di ricorrere alla bibliografia segnalata alla fine di queste
dispense, voglio proporre qui per esteso una di queste analisi, che potr certamente rendere pi
accessibili le riflessioni siniane sullevento. Il bellissimo brano che segue tratto da Lorigine del
significato

I quattro ultimi Lieder


Quello che ora segue non un semplice esempio. E piuttosto una descrizione esemplare
che ha lo scopo di mettere alla prova la nozione di stacco[] Lavvenimento in questione si
riferisce alla data del 22 maggio 1950. Il luogo di esso alla Royal Albert Hall di Londra. In
questa prestigiosa sala, la sera di quel giorno di maggio di mezzo secolo fa si tenne la prima
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esecuzione mondiale dei Vier letze Lieder di Richard Strauss. Del concerto esiste una
registrazione dal vivo della RAI, che riproduce anche il grande e prolungato applauso del
pubblico alla fine dellesecuzione[]In vita Strauss aveva goduto di una grandissima fama,
sia come autore di celeberrimi poemi sinfonici (Don Giovanni, Cos parl Zarathustra ecc.),
sia di fortunate opere liriche composte in collaborazione col poeta Hugo von
Hoffmannstahl, collaborazione divenuta a sua volta leggendaria (Il cavaliere della rosa
ecc.).
Questo per non era tutto. Come decano dei compositori tedeschi e musicista di fama
mondiale, Strauss aveva collaborato con Hitler e col regime nazista, impegnandovi il suo
prestigio e il suo nome, il che ne aveva compromesso in qualche modo limmagine[] Lo
stesso era da dirsi di uno dei due protagonisti di quella esecuzione, il celebre direttore
dorchestra Wilhelm Furtwngler. Anche Furtwngler aveva intrattenuto rapporti
professionali e personali con Hitler e col regime nazista. Indimenticabili e impressionanti
sono, in proposito, le registrazioni dei concerti diretti da Furtwngler con lorchestra dei
Berliner (esentati dal fronte) ancora pochi mesi o addirittura settimane prima della fine del
conflitto mondiale, a pochi passi, si potrebbe dire, dal Bunker in cui Hitler si era rinchiuso
sotto i continui bombardamenti degli Alleati e dove, di l a poco, si sarebbe suicidato. Ora,
importante tener presente il clima generale entro il quale lesecuzione dei Quattro
ultimi Lieder si collocava. La guerra era finita da appena cinque anni. Molte citt della
Germania erano ancora un cumulo di macerie, compresa quella Norimberga in cui si era
tenuto il famoso processo contro i crimini nazisti: citt darte meravigliosa, patria dei
Maestri Cantori, che Churchill fece radere al suolo dai bombardieri inglesi nelle ultime
settimane di guerra per puro spirito vendicativo. Curioso modo di punire la barbarie con un
atto di barbarie che sottrae per sempre, in modo criminale, un patrimonio di storia e
bellezza non ai Tedeschi soltanto, ma a tutti gli uomini presenti e futuri, Inglesi inclusi[] Il
concerto dunque non era solo un grande avvenimento musicale e mondano, ma era anche
un evento politico e psicologico. I vincitori, per dir cos, tendevano la mano ai vinti e, in
nome delle superiori ragioni dellarte, avviavano un processo di distensione, animato da
reciproca buona volont.
Questi, succintamente, i fatti. Ma cosa sono propriamente questi fatti, dove hanno luogo e
significato?[]Osserviamo anzitutto levento del concerto e proviamo a immaginare alcune
plausibili serie di fatti che si mettono in cammino verso levento stesso. Per esempio c
Furtwngler in viaggio per Londra. Ha con s la partitura di Strauss, che ha lungamente
studiato ecc. C la Flastadt anche lei in viaggio, reduce da molte prove al pianoforte e di
sicuro preoccupata ed emozionata per il ruolo di solista a lei affidato in un cos significativo
evento. Nel contempo c tutto il lavorio delle autorit e delle maestranze politiche,
diplomatiche, artistiche, amministrative che hanno deciso di promuovere e ospitare
lavvenimento, di sicuro non senza dubbi, esitazioni, opposizioni, sospetti, gelosie e
consimili beghe[] Nel contempo c il darsi da fare di tutta la macchina organizzativa che
coinvolge alberghi, tecnici di sala e della rado, personale amministrativo della Royal Albert
Hall, sino ai copisti che preparano le parti per gli strumentisti dellorchestra, ai tipografi
che stampano i manifesti, gli attacchini che li incollano sui muri di Londra, agli impiegati
del botteghino che prendono le prenotazioni, vendono i biglietti, spediscono gli inviti
omaggio alle autorit e via dicendo. Il tutto innesca la reazione del pubblico: da coloro che,
come si dice, amano la buona musica, ai patiti di Strauss, alle personalit della buona
societ che si contendono lonore mondano di festeggiare gli illustri ospiti, ai
frequentatori abituali dei concerti. Ma non bisogna dimenticare la non reazione di coloro
che non si interessano di queste cose, per loro non significative, e che gettano solo uno
sguardo distratto ai vari annunci sui giornali: per finire con coloro che ignorano del tutto
ci che sta per accadere: anche costoro contribuiscono a creare il clima dinsieme
dellevento.
A questo punto potrebbe venirci in mente di approfondire seriamente la ricerca e di
costruire realmente una sorta di archivio o protocollo dellintero avvenimento. Per esempio
potremmo proporci di comporre un libro documentario, zeppo di lettere, fotografie,
fotocopie di articoli, di manifesti, di interviste, di saggi, di recensioni di libri e di altre
innumerevoli testimonianze[] Lipotetico dossier vorrebbe narrare e spiegare che cosa
accadde in verit quella sera di maggio. Ma che cosa accadde in verit?

Come accadono i fatti


Cominciamo intanto a vedere cosa sta accadendo nella composizione di questo immaginario
dossier. Accade anzitutto che una sterminata congerie di avvenimenti, connesso ognuno a
pratiche di vita peculiari, viene fatta confluire, come se fosse ununica serie convergente,
alla sera del 22 maggio e al concerto della Royal Albert Hall. Per esempio: i macchinisti
guidano i treni, i camerieri preparano le stanze dalbergo, i copisti approntano le parti
dorchestra, i giornalisti battono a macchina gli articoli, gli orchestrali mettono a punto gli
strumenti (loboista si costruisce addirittura unancia speciale) e cos via. Com chiaro,
ognuno immerso nella sua pratica e pensa agli affari suoi. Alcuni sono consapevoli della
finalit del concerto, altri per nulla, poich le loro pratiche hanno altre finalit che le
caratterizzano, anche se casualmente si intrecciano con levento di cui parliamo. Altri
ancora legano in modo singolare la finalit del concerto con finalit molto private: come il
giovanotto che ne fa loccasione per invitare a uscire con lui una fanciulla che dice di
amare la musica sinfonica (il giovanotto in realt molto interessato al dopo concerto); o
come la moglie di un violino di fila, in crisi matrimoniale, che vi scorge loccasione per
incontrarsi col suo amante.
Ma ora si consideri: tutto quello che cos descriviamo e che potremmo indefinitamente
descrivere viene tradotto nel nostro progetto di libro-verit o nelle riprese televisive del
nostro immaginato servizio che vorremmo fare (come si dice, sebbene in televisione non
sia mai del tutto chiaro a chi). Una massa sterminata di fatti e cose viene trasferita sul
supporto cartaceo del libro o sullo schermo. Proprio questo, allora, ci che accade
anzitutto in verit: che noi ci inseriamo con la nostra pratica di trascrizione, sicch la serie
degli avvenimenti si traduce in frasi di scrittura e in documenti depositati sulla carta,
oppure in immagini e inquadrature del teleschermo. Pratica di trascrizione animata dalla
volont di sapere; ovvero dalla intenzione di conoscere cosa oggettivamente accadde
in verit, come andarono davvero le cose; finalit che ovviamente non preoccupava
minimamente coloro che vivevano lavvenimento in prima persona. Di ben altro dovevano
infatti preoccuparsi. Limpiegato del botteghino, per esempio, di calcolare esattamente il
resto, Furtwngler di dare lattacco agli ottoni; la Flagstadt di respirare al momento giusto;
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laddetto alle luci di segnalare la fine dellintervallo; lo spettatore di trattenere la tosse e


cos via[] Questo ci che accade in verit, ma a questa verit non prestiamo
solitamente attenzione, come cosa al tempo stesso irrilevante e ovvia. Il supposto autore
del dossier o del servizio tutto teso a fornire la sua documentazione e a sviluppare il
suo racconto. Soggetto alle operazioni della sua pratica, volto unicamente alloggetto che
si disegna e si staglia in essa. Questo oggetto potremmo designarlo cos: Prima esecuzione
mondiale a Londra dei Quattro ultimi Lieder di Richard Strauss. Ecco la figura di stacco in
cui si compendia tutta quella serie di avvenimenti ai quali si variamente alluso. Gi, ma
davvero accaduta questa cosa cui si allude nominandola come sopra detta?
Prima esecuzione mondiale: in verit, tanto per cominciare, il mondo non se ne
accorto. Stando ai miliardi di uomini che popolano la terra, solo pochi intimi si trovarono
direttamente o indirettamente coinvolti in quellavvenimento[...]Nessuno pu negare che
molte cose siano allora accadute, ma ci che dice e significa lespressione Prima
esecuzione mondiale ecc. ancora unaltra cosa: essa si sovrimpone col suo stacco alla
congerie di avvenimenti effettivamente accaduti e, retroflettendosi su di essi, fa accadere
la sua pretesa di riassumere il significato oggettivo costruito in base alla concreta quanto
aproblematica pratica della sua figura, come ci che accadde in verit; laddove questa
pretesa inavvertita ci che accade in verit. Con questo non si vuole dire sostenere che ci
che si dice e che si mostra nel supposto libro-dossier sia falso. Documenti, interviste,
testimonianze e infine tutta la storia ricostruita e narrata passo passo alludono a un esser
venuti a sapere che frequenta a suo modo la verit; e in quanto frequenta la verit, corre
un rischio peculiare di errore specifico, passibile di venire scoperto. Furtwngler non prese
il treno ma and direttamente da Berlino a Londra in aereo. Si dice che la Flagstadt che
unartista tedesca invece svedese, e cos via. La dialettica vero/falso si esercita qui sullo
sfondo di contesti oggettivabili, vero-falsificabili, che ne incorniciano e ne delimitano il
senso.
Ma ci che invece muta nella trascrizione che accade in verit proprio quel contesto che
definisce la trascrizione stessa, cio lesercizio della sua pratica. Si tratta insomma di una
differenza di soglia, di supporto, imparagonabile con i supporti e i contesti che presiedono
agli avvenimenti e alle vicende, in quanto essi entrano ora nel luogo della loro trascrizione
narrata ed esibita. Differenza sottile ma decisiva[]

29

Slittamenti di contesto
Stiamo dunque dicendo che sulla soglia dellevento accade quello che accade, ma quello che accade
non in s n unitario, n oggettivo. Piuttosto fatto oggetto della pratica in cui e in
riferimento alla quale accade. Questa pratica, allora, disegna ununit di mondo a partire da s
compresa quella pratica che ha la finalit, o lossessione storicadella oggettivit in s:
anchessa disegna una unit di mondo a partire da s, e la disegna come tutte le altre, cio nel suo
modo parziale.
La pratica (ogni pratica) configura levento venendo da molto lontano e replicandosi per loccasione
con una sua piccola (o grande) differenza. Alla luce di essa, retroflette indietro i suoi oggetti e
designa a suo modo la continuit dellaccadere nella sua differenza[]
Se ora riconsideriamo lespressione Prima esecuzione mondiale ecc., evidente che stiamo
parlando di un oggetto che ha la sua verit e realt nelle pratiche degli storici della musica e dei
critici musicali, donde si travasa, si rispecchia e si introflette nellimmaginario soggettivo di tutti
coloro che, in un modo o nellaltro, si occupano di queste cose.[] Ecco allora che lespressione
Prima esecuzione mondiale ecc. non pi che un astratto riferimento alla memoria pubblica,
sostituibile, ai fini dellesempio e dello stacco, con qualsiasi altro fatto pubblico[]I contesti
mutano di continuo nel continuo accadere delle pratiche. Gi ascoltare la registrazione alla radio
qualcosa di infinitamente diverso e lontano dal partecipare allevento vivente dellesecuzione, dove
levento pu solo registrarsi sul fragile supporto della memoria personale. La registrazione
radiofonica, come in generale la scrittura, tiene loggetto (vale a dire il suo oggetto) in
sospensione. In certo modo lo surgela, cos che possa venire scongelato a piacere. Il che espone
loggetto stesso alla inserzione nei pi imprevedibili contesti e alle metamorfosi nei pi lontani e
inimmaginabili sensi.

Il passato che non sta


L analisi esemplare sopra esposta ci pu aiutare a comprendere il senso della sorprendente tesi
siniana, citata a pag. 20, secondo la quale Il passato accade nel futuro. Questa asserzione, di primo
acchito incomprensibile, comporta la conseguenza sconcertante che il passato mobile, ovvero pu
mutare, anzi muta in continuazione. Ora dovremmo comprenderne la ragione: essa consiste
nellimpossibilit dellesperienza umana di trascendere il triangolo semiotico. Il passato, come
qualsiasi dato desperienza, ha natura segnica, cio coincide con i segni, o con i corpi signati, come
anche li chiama Sini, che attivano le future interpretazioni. Ma le interpretazioni, come capiremo
meglio tra poco, mutano, operando nuovi stacchi e correlative retroflessioni che rimodellano il senso
di quei segni, precludendo interpretazioni definitive. Si consideri, ad esempio, quali infinite
modificazioni di senso ha assunto la figura di Cristo nel corso dei secoli. Pescatore di anime e
taumaturgo per i primi seguaci, figura irrilevante per Tacito e Svetonio, figlio di Dio e Redentore in
San Paolo, pura anima sotto apparenti spoglie corporee per gnostici e monofisiti, consustanziale a Dio
secondo il Credo niceno, profeta la cui discesa sul minareto della grande moschea di Damasco
annuncer il Giudizio secondo una credenza islamica; puro uomo, per quanto divinamente concepito,
tra i Sociniani,, falso mago per Bruno, pericoloso sovversivo per Reimarus, figlio di giudea
scostumata per Sade, ebreo crocifisso per Nietzsche, marito della Maddalena per gli amanti dei
thriller logico-teologici e personaggio meno popolare di Berlusconi tra i bambini, secondo un recente
sondaggio. E non serve postulare lipotesi di un vero Ges, che avremmo potuto conoscere in s
stesso vivendo in Galilea ai tempi di Tiberio. Quale Ges? Quello di Ponzio Pilato o degli ebrei? Di
San Pietro o di Caifa? Di quale occhio oggettivo? Per quale sguardo veritativo? In tutti questi casi la
verit del passato inviata ad un futuro mai concluso che, retroflettendo il suo sguardo a partire dalla
sua prospettiva e dalle sue pratiche di vita, ridisegna il passato, cio il suo provenire, che infatti non
accaduto, ma accade.

Il precipitare delle interpretazioni


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Ogni evento accade a partire dalla continuit di una pratica, anzi di un intreccio di pratiche, ma altres
dalla differenza del suo stacco che nella soglia retroflette i suoi oggetti delineando il suo mondo. Ci
per significa che laccadere di quel nulla che la soglia dellevento implica il costitutivo errare delle
interpretazioni. Le interpretazioni fanno catena nelle pratiche, ma la differenza della ripetizione
produce il loro continuo, spesso impercettibile, decentrarsi con il correlativo mutare degli abiti di
risposta. E certo, ad es., che quando studiamo le credenze religiose politeistiche delle civilt
protostoriche noi, retroflettendo la nostra attitudine logico-scientifico-storiografica, ci troviamo
nellimpossibilit di ripristinare il senso del sacro e il timor panico di quella esperienza del divino (
vero altres che permane una flebile continuit che ci consente di dire almeno questo). E in tal senso
allora che, come spiega Sini, i significati si decentrano e precipitano. Ma che succede quando antichi
abiti e orizzonti di esperienza non fanno pi catena, ovvero non danno pi segni per interpretanti
futuri? La risposta, date le premesse, non pu che essere la catastrofe del significato e il suo cadere
nel nulla.
Le interpretazioni, si anche detto, fanno catena. Questa catena come un intreccio
multiverso di innumerevoli fili. Ogni filo incarna il perdurare di unattesa e di una risposta.
Se supponiamo che questi fili si distinguano per il diverso colore, accade allora, nella
continuit della catena interpretante, che le proporzioni cromatiche mutino nei loro
rapporti quantitativi. Il colore della Dea Levana [la dea che assisteva le partorienti], che un
tempo infiammava di s tutta la catena, ora ridotto a qualche filo impercettibile
nellinsieme. O forse, certi fili scompaiono del tutto; le risposte che essi incarnano non
torneranno pi: la loro attesa cade nel nulla. Dopo essersi sempre pi decentrata dal luogo
della presenza verso lo sfondo, alla fine la stessa attesa caduta oltre lorlo, nelloblio[]
Dice Whitehead: ci che accaduto, accaduto per sempre. Ebbene, non vero. Gli
interpretanti finiscono (muoiono). Un evento pu mantenere la sua efficacia, ovvero la
sua presenza (sia pure relativa), sino a che si dirige a un Interpretante futuro (come
direbbe Peirce); cio sino a che esso preso nella knesis retrograda dellinterpretazione
che, raccogliendolo e interpretandolo, apre lorlo del futuro dellinterpretazione. In altri
termini: levento permane sino a che esso giace entro la catena degli Interpretanti cui
appartiene, e questa si dilata prolungandosi[] Sorge allora uninquietante domanda: qual
la realt di ci che non ha pi Interpretanti avanti a s? A questo punto non basta dire
che non ha pi realt. Ci che si deve dire altro. Questo altro suona cos: esso
propriamente non mai accaduto. Non accaduto nulla. Questa conclusione ripugna al
senso comune. Tuttavia essa inevitabile, salvo ammettere un tempo cosmico lineare come
luogo di tutti gli eventi e un Interpretante finale assoluto come meta prefissata del
cammino di tutte le catene di Interpretanti. In questo Interpretante assoluto si
raccoglierebbe la totalizzazione cosmica universale. Tutti gli eventi troverebbero in questo
Interpretante finale la loro ultima interpretazione e il loro senso definitivo, cio la loro
conservazione sempiterna. In forza di queste considerazioni si rivela allora il senso profondo
dellannuncio di Nietzsche relativo alla morte di Dio, come evento che inavvertitamente
(ma sempre meno inavvertitamente) si viene dispiegando. Esso apre let del nichilismo
nella quale viviamo[] Dicono gli scienziati che tra qualche miliardo di anni lequilibrio
gravitazionale che regge il sistema solare collasser. Anche la terra allora, insieme
allintero sistema, scomparir. Di quel punto infinitesimale delluniverso che noi chiamiamo
la terra non ne sar pi nulla; la terra non ci sr mai (pi) stata. Rispetto a chi o a che,
infatti, ci sar stata la terra, la sua vita, la sua belle derbe famiglia e danimali, e i
suoi animali intelligenti, come disse ancora Nietzsche? In quale serie del tempo cosmico,
calcolato da dove e da chi, in quale catena di Interpretanti essa potrebbe conservare il suo
esserci stata? Ma di fatto ci sar stata, si potrebbe obiettare. Di fatto? Che fatto mai
un fatto che non ha luogo? Questo fatto, che noi diciamo, sar letteralmente un nulla
affatto: la terra non c stata affatto: essa non mai accaduta.
C.Sini, Knesis

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Nulla accade
Le frasi precedenti potrebbero suggerire limpressione che lultimo approdo della filosofia siniana
dellesperienza non sia che un nichilismo esasperato, per il quale nulla vale la pena. Ma per Sini non
affatto cos. Nichilistico non latteggiamento di chi riconosce la costitutiva finitezza dellesperienza
umana, il suo errare, e la conseguente infondatezza del progetto di ridurre le multiformi possibilit
dellumano al modello unificato dellumanit occidentale, ma proprio e precisamente quel pensiero
tecnico-scientifico, che nel mirare alla dominazione planetaria, perde il senso del suo stesso fare
riproducendosi senza un perch. Riconoscere che la nostra esperienza orlata di nulla, pu semmai
aiutarci a comprendere il limite delle nostre possibilit senza inseguire lantico sogno platonico della
verit assoluta e dellimmortalit:
Quando qui si afferma che accadere qualcosa lo stesso di accadere nulla non si
intende sostenere che tutti ci che accade nulla, polvere e cenere, che nulla vale la
pena poich tutto, prima o poi, finir e anzi non avr mai avuto luogo. Si intende proprio
dire che il qualcosa che accade in se stesso, proprio nella sua ralt attuale, accadere di
nulla[]
Come rampollo della ratio, anche il senso comune aborre dal nulla, e noi ora sappiamo
perch esso aborre anche dagli enigmi del linguaggio e dalla crudele vivisezione filosofica
delle parole. Il senso comune non vuole vedere il nulla che si cela nel fondo del parlare
comune, e di ogni evento: del fiorire come del fulminare, dellamare come dellodiare. Non
lo vuol vedere perch pensa il nulla come lassolutamente altro del qualcosa (lo pensa cio
metafisicamente); in termini psicologici lo pensa come linsensato, il misterioso, il
terrificante: emblema di morte, teschio e tibie incrociate (Fratello ricordati che dobbiamo
morire). Nella sua immaginazione, il comparire del nulla dietro il qualcosa rende ogni cosa
equivalente: il bello come il brutto, il bene come il male. In questo suo errore, il senso
comune non pu accorgersi che il nulla e la ricchezza multiversa della vita sono lo stesso.
Come un fanciullino, il senso comune ha paura del nulla. Raccontandogli la favola
dellaldil, Socrate non lo liber dalla paura; anzi, lo ribad nellerrore. E del resto,
istituendo lanima nel cuore della ratio occidentale, Socrate favor la nascita di unumanit
impegnata a combattere con tutti i mezzi la morte. Quale sia il destino veritativo di questa
umanit, che sta diventando planetaria, non possibile dire. Ma il suo rischio estremo e
connaturato certamente quello di perdere la vita. Questo rischio viene rimosso e non pi
visto proprio dalla lotta contro la morte che si configura come eliminazione del nulla. Ma se
il nulla respinto, la vita non ha significato.
C. Sini, Knesis

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La deriva dellanima
Lepoca nella quale viviamo certamente let della tecnica. I progressi scientifici e tecnologici hanno
dello straordinario e vanno esplicitamente riconosciuti, senza indulgere a mode new age o esoterismi
superficiali. Non questo infatti il senso del discorso siniano sulla scienza. Il problema consiste
piuttosto in quellinterrogativo, di matrice heideggeriana, tematizzato da Adorno e Horkheimer nella
Dialettica dellIlluminismo, che potremmo cos formulare: perch la dominazione tecnica
dellesistente coincide con il nichilismo dispiegato? Per quali ragioni let pi prossima allideale
baconiano del regnum hominis accompagnato dal pi basso rispetto delluomo, della natura, della
vita, che forse lumanit ricordi? Sono certo temi vasti e complessi, che qui non si possono che sfiorare.
C tuttavia unispirata pagina di Sini, con la quale concludiamo e che ci riporta al senso delle
considerazioni di sapore husserliano riferite nel primo brano di questa presentazione. Esse esprimono
con grande efficacia il vuoto di senso della tecnica quando, non pi sensibile alle interrogazioni
filosofiche o non disposta ad interrogarsi filosoficamente su se stessa, procede riproducendosi
allinfinito. Infatti, come direbbe Nietzsche, manca una risposta alperch?
A che serve una stazione radiotelevisiva? Mira a riprodurre se stessa. Il suo scopo di poter
funzionare ininterrottamente per 16 o 24 ore al giorno. Questa la sua logica intrinseca
(in s e per s). A questo scopo essa organizza, pianifica e strumentalizza una quantit
imponente di attivit: bisogna produrre telefilm, telequiz, teleromanzi, telegiornali,
teledibattiti, teleinterviste, ecc.; e, come radio, radiosceneggiati, radiorubriche,
radiogiornali, radiobollettini, ecc. Un piccolo esercito di persone messo allopera. La
produzione assume laspetto della serie, a sua volta sorretta dalla struttura dell e poi
e poi, cio dalla successione insignificante delle semplici presenze (anche la
radiotelevisione ha unanima temporale il che una tautologia ) caratterizzata dalla
rotazione delluso. Non pensabile che lannunciatrice, essa pure programmata come
appendice tecnica del mezzo televisivo, corpo esterno gradevole della sua voce
impersonale, geroglifico estetico, possa annunciare: - Ora avremmo voluto trasmettervi
un teledibattito, ma poich non abbiamo nulla di importante da dire, la nostra stazione
tacer per due ore. Il mezzo non al servizio di cose che mette conto dire o vedere,
quando e se esse vi siano; al contrario, si dice e si fa vedere in funzione del mezzo, il
quale esige una cosa sola: funzionare, essere in funzione.
Da ci derivano conseguenze ben note. Tra esse linvenzione di interessi: idiozie musicali
motivano classifiche di gradimento. Poi la creazione di pseudovalori: film imbecilli
occasionano sproloqui di esperti (a loro volta uomini di pseudocultura) che ne trattano
come di opere darte, documenti sociali e di costume e cos via. Altra conseguenza la
creazione di uno stuolo di specialisti, che vanno dal cretino che urla per annunciare il
titolo (inglese)di dischetti pseudopopolari, incisi da altri cretini pseudomusicisti,
sfumandone di continuo lascolto per aggiungere altre urla entusiastico-demenziali al
critico, al regista, al professore universitario ecc., impegnati in discorsi pseudoseri
(tre minuti per spiegare al pubblico che cos la psicanalisi). Queste attivit producono
funzioni vacue: annunciare il programma, introdurre lascolto di una sinfonia di Mozart
premettendo poche parole informative (la mentalit storico-critica regna sovrana, ridotta
naturalmente a scopiazzatura minimale dei vari dizionari, e tutto storico, anche il
quiz dellaltroieri); e poi: spiegare perch c il sole e invece domani piover, riassumere il
dibattito parlamentare (E tutto da Montecitorio), intervistare il personaggioecc.
Queste funzioni non esigono in genere alcuna seria preparazione o specifici talenti: son
buoni tutti (sebbene chi le incarni possa aspettarsene una vasta popolarit: diviene egli
stesso un personaggio, chiss perch autorevole)[]
Di qui la prassi inevitabile del raccomandato: non si pu selezionare il nulla. Gli individui
che scelgono e programmano (i dirigenti) sono investiti del potere tecnologico del mezzo.
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Essi stessi, per, sono interscambiabili e indifferenti, cio scelti per raccomandazione.
Il mezzo programma e produce anche i suoi utenti, assimilandone le funzioni vitali e di
relazione: mangiare davanti il televisore; andare a dormire quando i programmi sono
terminati[]Questi schiavi del mezzo, in quanto assimilati, svolgono con gioioso scrupolo
la loro funzione: palpitano ansiosi perch il concorrente sembra non conoscere la risposta
allindovinello e incrementano lipercritica del vuoto, parteggiando per questo o per quello
e ritenendo di avere gusti e gradimenti personali, meritevoli di discussione. A essi il
mezzo fornisce la realt vera, cio analizzata e scomposta: luomo che cade dalla
finestra ripreso al rallentatore; il tempo come successione di attimi ,di ora. Il mezzo
onnipotente, pi onnipotente del buon Dio, poich sa fare ci che anche al buon Dio
negato: far scorrere il tempo allindietro: lomino torna sul tetto e riprecipita gi a
piacere. Lomino e i presenti hanno vissuto una realt illusoria; la realt vera la vede il
telespettatore Dora in avanti meglio che non si muova di casa, se vuole davvero vivere e
conoscere i fatti. Reazione ormai abituale: la gente dice che successo qualcosa di grosso:
apri subito il televisore! La rivoluzione vissuta in tinello. Una stazione radiotelevisiva un
microcosmo tecnologico, uno spazio di rinvio che assegna i ruoli degli Interpretanti in
funzione di determinate Qualit materiali, le quali stanno al posto dellOggetto. Ma
lOgggetto non , come si crede, o non ha, il fine di produrre svago, informazione, cultura
ecc. (questi sono esiti collaterali); lOggetto non altro che la legge
dellautoconservazione progressiva ed evolutiva del mezzo: programmare i programma;
produrre il prodotto; utilizzare gli utenti (e riprodurli in una circolazione infinita). Si ritiene
che tutto ci obbedisca a interessi di natura economica (e infine ideologico-politica). Essi
certo non mancano, ma incarnano, a ben vedere, quel poco di esterno che ancora sfugge
alla logica intrinseca del mezzo. Del resto tali interessi sono poi tecnologicamente
programmati altrove, in altri micro e macrocosmi tecnologici. Assumere la prospettiva del
potere economico- politico e della sua volont significa infatti ricadere nellillusione
antropologico-strumentale circa lessenza della tecnica.

Lideologia scientifico-tecnologica fondamentalmente irrazionalistica, ma


opera in maniera terroristica[] Tutti gli argomenti che non assumono
preventivamente i parametri e i criteri di verit tecnologici (cio della ratio)
sono terroristicamente definiti irrazionalistici[] La creazione della pubblica
opinione artefatta e programmata la strategia dellanima portata alle sue
ultime conseguenze. Lin-formazione delle anime (delle volont) lessenza
della tecnica contemporanea[]
La tecnica moderna la versione moderna dellunica vera religione. Lunica
vera religione, lunica vera tecnica e lunico vero metodo sono tre momenti di
un unico progetto di produzione e domesticazione delle anime. La tecnica
ripudia ogni altro modo di essere uomini e di operare nel mondo che non sia
simile a s. Essa si attribuisce lunica efficacia che metta conto perseguire e
la impone mediante il dominio terroristico dellinformazione. Il mondo della
tecnica moderna il mondo del terrore pedagogico.
C.Sini, Passare il segno

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Nota bio-bibliografica

Carlo Sini , nato a Bologna nel 1933, insegna Filosofia teoretica allUniversit degli studi di Milano.
Direttore della rivista di filosofia e cultura Luomo, un segno e di varie collane di filosofia,
Accademico dei Licei e membro dell Institut international de Philosophie. Apprezzato conferenziere,
ha tenuto seminari negli Stati Uniti, in Canada, in America latina e in diversi paesi europei.
Tra le sue opere ricordiamo:
Il pragmatismo americano, Laterza 1972
Passare il segno. Semiotica, cosmologia e tecnica, Il Saggiatore 1981
Kinesis. Saggio di interpretazione, Spirali 1982
Il silenzio e la parola, Marietti 1989
I segni dellanima, Laterza 1989
Immagini di verit, Spirali 1990
Semiotica e filosofia, Il Mulino 1990
Il simbolo e luomo, Egea 1991
Etica della scrittura, Il Saggiatore 1992
Scrivere il silenzio, Egea 1995
Gli abiti, le pratiche, i saperi, Jaca Book 1996
Teoria e pratica del foglio-mondo, Jaca Book 1998
Idoli della conoscenza, Cortina 2000
La scrittura e il debito, Jaca Book 2002
Il comico e la vita, Jaca Book 2003
Lanalogia della parola. Filosofia e metafisica, Jaca Book 2004
La mente e il corpo. Filosofia e psicologia, Jaca Book 2004
Lorigine del significato, Jaca Book 2004
La virt politica. Filosofia e antropologia, Jaca Book 2005
Raccontare il mondo. Filosofia e cosmologia, Jaca Book 2005
Le arti dinamiche. Filosofia e pedagogia, Jaca Book 2005
Il segreto di Alice e altri saggi, Albo Versorio 2006
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