Pierfrancesco Tosi - Opinioni De' Cantori Antichi, e Moderni o Sieno Osservazioni Sopra Il Canto Figurato - ITA
Pierfrancesco Tosi - Opinioni De' Cantori Antichi, e Moderni o Sieno Osservazioni Sopra Il Canto Figurato - ITA
Pierfrancesco Tosi - Opinioni De' Cantori Antichi, e Moderni o Sieno Osservazioni Sopra Il Canto Figurato - ITA
[-III-] Lettore.
L' Amore è una passione, che offusca l' intelletto. Se tu sei Cantante sei mio
rivale, e se sei Moderno io sono Antico. Ma se l' affetto immenso, che abbiamo
per la bella, ed ottima Musica ci toglie la ragione, almeno ne' nostri lucidi
intervalli siamo egualmente generosi: Tu in perdonarmi gli errori, che scrivo; Io
in compatirti quelli, che fai. Se poi per tua gloria sei letterato sappi, che per
mia vergogna sono ignorante; se non lo credi, leggi.
IMPRIMATUR
[-1-] Varie sono le opinioni degli antichi Storici sopra l' origine della Musica.
Plinio crede, che Anfione ne sia l' Inventore: I Greci sostengono, che sia stato
Dionisio: Polibio gli Arcadi: e Svida, e Boezio ne danno tutta la gloria a Pitagora
asserendo, ch' egli dal suono di tre Fabbrili Martelli di peso differente ne
ritrovasse il Diatonico, a cui poscia Timoteo Milesio aggiugnesse il Cromatico, e
Olimpico, o sia Olimpo l' Enarmonico. Nelle Sacre Carte però si legge, che Jubal
della stirpe di Caino fuit Pater Canentium Cithara, et Organo Strumenti
probabilmente di più corde armoniose, dal che s' intende, che la Musica sia
nata poco dopo del Mondo.
Per sicurezza di non errare ella ascoltò molti precetti dalla Matematica, da cui
dopo diverse Istruzioni di linee, di numeri, e di proporzioni fu chiamata col
dolce nome di Figlia, affinchè meritasse quello di Scienza.
E da supporsi, che nel corso di migliaja d' anni la Musica sia stata sempre la
delizia del genere umano, mentre dall' eccessivo piacerc, che ne traevano i
Lacedemoni bisognò, che quella Repubblica esiliasse il suddetto [-2-] Milesio,
acciò gli Spartani più non abbandonassero gli economici, i politici, e i militari
interessi.
Parmi però impossibile, ch' ella abbia fatta mai tanta pompa della sua bellezza
quanto negli ultimi Secoli, quando con la più nobile, e soave maestà comparve
alla gran mente del Palestina, a cui lasciò di se un divino originale perchè
servisse a posteri d' immortale esempio; E vaglia 'l vero, la Musica colla
dolcezza della sua armonia è giunta tant' oltre (mercè l' intendimento sublime
de' Maestri insigni anche de' tempi nostri) che sebben foss' Arte liberale, dalle
Compagne non gli si potrebbe contrastar con giustizia il Principato.
Premessi questi vantaggi, il merito de' Vocalisti dovrebb' essere distinto anch'
esso per le difficoltà particolari, che l' accompagnano: Abbia un Cantante
intelligenza fondamentale capace di superar con franchezza ogni più scabrosa
composizione. Possegga di più un' ottima voce, e se ne vaglia [-3-] con artificio,
non per questo meriterà nome di singolar Professore, quand' ei manchi d' una
pronta variazione, difficoltà, che nelle altr' Arti non s' incontra.
Dirò finalmente, che i Poeti, i Pittori, gli Scultori, gli Architetti, e gli stessi
Compositori di Musica prima di esporre le loro Opere in pubblico hanno tutto
quel tempo, che basta per emendarle, e repulirle, ma pel Cantor che falla non
v' è più rimedio, l' errore è incorreggibile.
Quanta applicazione poi debba esser quella di chi è in obbligo di non errare
nelle produzioni improvvise dell' ingegno, e quale studio convenga a chi deve
soggettar una voce in moto quasi sempre diverso ad un' Arte così difficile è più
da immaginarsi, che da descriversi. Confesso ingenuamente, che ogni
qualvolta il pensiero mi guida a riflettere, che l' insufficienza di molti Maestri, e
gl' infiniti abusi, che questi lasciano introdurre rendono inutili a loro Scolari, e l'
applicazione, e lo studio, non posso bastantemente maravigliarmi, che fra' tanti
Professori di prima sfera, che hanno scritto, chi per insegnare come trovar si
debba la vera armonia mediante i precetti del Contrappunto, e chi con
ammaestramenti d' Intavolature, o di Pratica al Gravecembalo per [-4-] facilitar
le laboriose vie agli Organisti, non vi sia stato mai (per quanto io sappia) chi
abbia intrapreso di far conoscere se non che i primi Elementi a tutti noti,
celando le regole più necessarie per cantar bene; Nè giova il dire, che i
Compositori intenti solo allo scrivere, e i Sonatori ad accompagnare non
devono ingerirsi in ciò, che a Vocalisti appartiene, perchè ne conosco alcuni
capacissimi di disingannar chi se lo pensasse. L' incomparabile Zarlino nella
terza parte delle sue Istituzioni armoniche a capitolo 46. appena cominciò ad
inveire contra di chi a suoi giorni cantava con qualche difetto, che si fermò, e
voglio credere, che se fosse passato più oltre, que' documenti invecchiati da
quasi due Secoli non servissero al gusto raffinato de' tempi nostri. Rimproveri
più giusti merita bensì la negligenza di molti Cantanti celebri, che quanto più
sono stati e sono d' intendimento di gran lunga superiore agli altri, tanto men
possono giustificare il loro silenzio (nè anche a titolo di modestia) cessando
questa d' esser virtù, allorchè pregiudica al pubblico interesse. Mosso io quindi
non da vana ambizione, ma dallo svantaggio, che a diversi Professori ne risulta,
non senza ripugnanza, ho determinato d' essere il primo ad esporre sotto gli [-
5-] occhj del Mondo queste mie poche Osservazioni col solo fine di aggiugnere
(se mi riesce) qualche lume a chi insegna, a chi studia, e a chi canta.
Cercherò in primo luogo di far comprendere qual sia l' obbligo del Maestro per
ben istruire un Principiante: Parlerò secondariamente di ciò, che allo Scolaro
convenga: e proccurerò da ultimo con maggiori riflessi di agevolar la strada ad
un Cantor mediocre affinchè giunga a migliorar condizione. Ardua, e forse
temeraria è l' impresa, ma quando anche non corrispondessero all' intenzione
gli effetti, almeno inciterò gl' intelligenti a più ampiamente, e correttamente
trattarne.
Se taluno dicesse, ch' io dovea esimermi dal pubblicar cose già comuni ad ogni
Professore, potrebbe ingannarsi, la ragione si è, che fra queste Osservazioni ve
ne son molte, che per non averle mai da altri intese le tengo per mie, e come
tali è probabile, che non sieno state universalmente conosciute. Abbiano così la
sorte d' esser approvate da chi ha intelligenza, e gusto.
Sarebbe superfluo bensì s' io dicessi, che gl' insegnamenti verbali non servono
a Cantanti (per lo più ) che a non errare, poichè ognuno sa che la stampa è
incapace di ridurli in atto. Dall' evento però di questi, o m' incoraggirò [-6-] ad
innoltrarmi a nuove scoperte in vantaggio della Professione, o confuso (ma non
sorpreso) soffrirò in pace, che i Maestri col loro nome in fronte pubblichino la
mia ignoranza, acciò possa disingannarmi, e ringraziarli.
Per l' intenzione poi, che ho di dimostrare una quantità di moderni abusi, e
difetti, che si sono sparsi per la canora Repubblica, affinchè (se mai lo fossero)
fosser anche corretti, non vorrei, che quegli che per debolezza d' ingegno, o
per negligenza di studio non han potuto, o voluto emendarsene s'
immaginassero, che con malizioso disegno gli avessi dipinti colle loro
imperfezioni al naturale, perchè altamente protesto; Che se attacco con poca
dolcezza per troppo zelo gli errori, onoro però chi li commette; Insegnandomi
un Morale Spagnuolo, Che le Satire tornano a Casa, e il Cristianesimo dice
qualche cosa di più a chi ha religione. Parlo generalmente, e se talvolta mi
ristringo al particolare sappiasi, che non mi servo d' altro originale, che del mio
in cui pur troppo vi è stata, e v' è materia degna di critica senza cercarla
altrove.
HAnno tanta facilità d' insinuarsi negli animi puerili i difetti Musicali, e s'
incontra tale difficoltà in trovar chi li corregga nascendo, che sarebbe d' uopo,
che gli ottimi Cantori se ne pigliassero l' impegno, poichè meglio degli altri
conoscono i mezzi per riuscirvi, e con più intelligenza possono da i primi
Elementi condurre l' abilità dello Scolaro alla perfezione; ma non trovandosi in
oggi fra loro (se non erro) chi non ne odj la memoria è forza di riservarli per la
finezza dell' artificio in cui veramente consiste quel dolce incanto, che se 'n va
per la strada più breve a dilettare il cuore.
L' istruzione dunque de' fondamenti sinchè lo Scolaro canti franco bisogna, che
ad un Professor mediocre appartenga, purchè sia di costumi illibati, diligente,
pratico, senza difetti di naso, e di gola, e che abbia agilità di voce, qualche
barlume di buon gusto, [-8-] facile comunicativa, perfetta intonazione, e
pazienza, che resista alla più dura pena del più nojoso impiego.
Soprattutto senta con orecchio disinteressato se chi brama d' imparare abbia
voce, e disposizione per cantare, affinchè non sia in obbligo di rendere
strettissimo conto a Dio del denaro malamente speso da' Genitori, e di aver
ingannato il Figlio nella perdita irreparabile di quel tempo, che in qualche altra
Professione gli sarebbe stato di profitto. Io non parlo a caso. I Maestri antichi
distinguevano il ricco, che voleva applicarsi alla Musica per suo nobile
ornamento, dal povero, che cercava di studiarla per bisogno; Insegnavano al
primo per interesse, e al secondo per carità, se in vece di denaro scoprivano in
lui talenti per farne un' Uomo. [-9-] Pochissimi moderni ricusano Scolari, e
purchè questi paghino, poco lor preme se la loro ingordigia rovini i Professori, e
distrugga la Professione.
Signori Maestri, l' Italia non sente più le voci ottime de' tempi andati,
particolarmente nelle Femmine, e a confusione de' colpevoli ne dirò il perchè:
L' ignoranza non fa sentire a' Genitori la voce pessima delle loro Figlie come la
miseria lor fa credere, che cantare, e arricchire sia lo stesso, e che per imparar
la Musica basti un pò di bel viso: Potete voi istruirle?
Potete forse insegnar a quelle a cui il Canto .... la modestia non vuol ch' io più
m' innoltri.
Se l' Istruttore è umano, non consiglierà mai lo Scolaro a perdere una parte
della umanità forse con pregiudicio dell' Anima.
Dalla prima lezione sino all' ultima si ricordi il Maestro d' esser debitore di tutto
quello, che non insegnò, e degli errori, che non avrà corretti.
Sia moderatamente severo facendosi temere senza farsi odiare. So, che non è
facile di trovare il mezzo tra 'l rigore, e la dolcezza, ma so ancora, che sono
nocivi gli estremi, poichè dalla eccessiva rigidezza sovente nasce l' ostinazione,
e dalla soverchia indulgenza lo sprezzo.
[-10-] Non parlerò della cognizione delle note, del loro valore, della battuta,
dello spartire, de' tempi, delle pause, degli accidenti, nè d' altri principj triviali;
perchè sono generalmente noti.
Proccuri il Maestro, che nel solfeggiar la Scaletta le note sieno dallo Scolaro
perfettamente intonate. Chi non ha delicatezza d' orecchio non dovrebbe
impegnarsi, nè d' insegnar, nè di cantare, non essendo assolutamente
tollerabile il difetto d' una voce, che cresce, e cala come il flusso, e il riflusso
del Mare. Vi rifletta con tutta l' attenzione l' Istruttore, perchè ogni Cantante,
che stuona perde immediatamente tutte le più belle prerogative, che avesse. Io
posso dir senza mentire, che (a riserva di pochi Professori) la moderna
intonazione è assai cattiva.
Nell' istesso solfeggio cerchi il modo di fargli guadagnare a poco a poco gli
acuti, acciò mediante l' esercizio acquisti tutta quella dilatazione di corde, che
sia possibile; Avverta però, che quanto più le note son' alte, tanto più bisogna
toccarle [-12-] con dolcezza per evitar gli strilli.
Deve fargli intonare le mezze voci secondo le vere regole. Non tutti sanno, che
vi sia il Semituono maggiore, e il minore, perchè il divario non si può conoscere
dall' Organo, nè tampoco dal Gravecembalo, quando questo non abbia i tasti
spezzati. Un Tuono, che di grado passi ad un' altro si divide in nove intervalli
quasi insensibili, che in Greco (se non m' inganno nominansi Commi, cioè a dire
la più piccola parte, e in nostra favella Còme, cinque delle quali formano il
Semituono maggiore, e quattro il minore; V' è opinione però, che non sieno più
di sette, e che il più gran numero della loro metà componga il primo, e il
minore il secondo; Il mio debole intelletto non la trova sussistente, imperocchè
l' udito allora non avrebbe alcuna difficoltà di distinguere la settima parte d' un
Tuono, e ne incontra una ben grande per iscoprir la nona. Se si cantasse
continuamente al suono de' suddetti due Strumenti questa cognizione sarebbe
inutile, ma da che s' introdusse da Compositori l' uso di far sentire in ogni
Opera una quantità d' Arie accompagnate solo dagli Strumenti d' arco diventa
così necessaria, che se (per cagion d' esempio) un Soprano intuona il D la fol re
diesis acuto, come l' E le fa, [-13-] chi ha l' orecchio fino sente, che stuona,
perchè quest' ultimo cresce. Chi non ne restasse soddisfatto legga molti Autori,
che ne trattano, o consulti i più abili Violinisti. Nelle parti di mezzo non è poi
così facile di sentirne la differenza, bench' io creda, che tutto ciò, che si divide
sia distinguibile. Di questi due semituoni parlerò più diffusamente nel Capitolo
dell' Appoggiatura, acciocchè gli uni non sieno confusi cogli altri.
Insegni allo Scolaro d' improntare con perfetta intonazione, e prontezza ogni
salto di voce nella Scaletra, e lo tenga applicato, anche più del bisogno a
questa urgentissima lezione, se desidera, che canti franco in poco tempo.
Fra le maggiori diligenze del Maestro una ne richiede la voce dello Scolaro, la
quale, ò sia di petto, ò di testa deve uscir limpida, e chiara senza che passi per
naso, nè in gola [-14-] si affoghi, che sono due difetti i più orribili d' un Cantore,
e senza rimedio, quando han preso possesso.
Molti Maestri fanno cantare il Contralto a' loro Discepoli per non sapere in essi
trovar il falsetto, o per isfuggire la fatica di cercarlo.
La voce di testa è facile al moto, possiede le corde superiori più che le inferiori,
ha il trillo pronto, ma è soggetta a perdersi per non aver forza, che la regga.
Faccia profferir distintamente allo Scolaro le vocali, acciò sieno intese per
quelle, che sono. Certi Cantori credono di formare il suono della prima, e fanno
sentir quello della seconda, se la colpa non è del Maestro, l' errore è di que'
Vocalisti, che appena usciti dalle lezioni studiano di cantare affettato per
vergognarsi di aprire un poco più la bocca; Alcuni poi, forse per ispalancarla
troppo, confondono quelle due vocali con la quarta, e allora non è possibile di
capire, se abbiano detto Balla, o Bella: Sesso, o Sasso: Mare, o More.
Deve farlo cantar sempre in piedi, affinche la voce trovi libera tutta la sua
organizzazione.
[-16-] Proccuri (mentre canta) ch' egli stia in positura nobile, acciò appaghi
anche con una decorosa presenza.
Gli faccia imparare di sostener le note senza, [-17-] che la voce titubi, o vacilli,
e se l' insegnamento comincia da quelle di due battute l' una, il profitto sarà
maggiore, altramente dal genio, che hanno i Principianti di muoverla, e dalla
fatica di fermarla si assuefarà anch' esso a non poterla più fissare, e avrà
indubitamente il difetto di svolazzar sempre all' uso di chi canta di pessimo
gusto
Coll' istesse lezioni gl' insegni l' arte di metter la voce, che consiste nel lasciarla
uscir dolcemente dal minor piano, affinche vada a poco a poco al più gran
forte, e che poscia ritorni col medesimo artificio dal forte al piano. Una bella
messa di voce in bocca d' un Professore, che ne sia avaro, e non se ne serva,
che su le vocali aperte non manca mai di fare un' ottimo effetto. Pochissimi
sono adesso que' Cantanti, che la stimino degna del loro gusto, o per amare l'
instabilità della voce, o per allontanarsi dall' odiato antico. Gli è però un torto
manifesto, che fanno al rosignuolo, che ne fu l' inventore, da cui l' umano
ingegno non può vocalmente imitar altro, quando frà que' canori Augelletti non
se ne udisse qualcheduno, che cantasse alla Moda.
Se poi gli facesse cantar le parole prima. ch' egli abbia un franco possesso di
solfeggiare, e di vocalizzar appoggiato lo rovina.
FRa tutti gli abbellimenti del Canto non v' è istruzione più facile per il Maestro
ad insegnarsi, nè meno difficile per lo Scolaro ad impararsi, che quella della
Appoggiatura; Questa oltre alla propria sua vaghezza ha degnamente ottenuto
dall' Arte l' unico privilegio di farsi udir sovente, e di non istufar mai, purchè
non esca da que' limiti, che dal buon gusto de' Professori gli sono stati
prescritti.
Che da ogni Diesis accidentale, che possa trovarsi in essa si può salir di grado
di mezza voce alle note vicine coll' Appoggiatura, e ritornarvi colla medesima.
Che da ogni nota, che abbia il B quadro si può ascendere per semituoni a tutte
quelle, che hanno il B molle coll' Appoggiatura.
Sento vice versa, che dal F fa ut, del G sol re ut, dall' A la mi re, dal C sol fa ut,
e dal D la sol re non si può salir di grado coll' Appoggiatura per mezze voci,
allorchè qualcheduno di que' cinque Tuoni avesse il Diesis alla sua nota.
Che non si può passare coll' Appoggiatura di grado dalle terze Minori del Basso
alle maggiori, nè da queste a quelle.
Che due Appoggiature consecutive non possono andar di grado per Semituoni
da un Tuono all' altro.
Che da tutte le note col B molle non si può [-21-] ascendere per mezze voci
coll' Appoggiatura.
E che finalmente dove l' Appoggiatura non può salire, nè men può scendere.
L' Udito però essendo Arbitro, e supremo Maestro della Professione (se ben'
intendo i suoi precetti) par che mi dica, che l' Appoggiatura discerne con si fino
giudizio la qualità de' Semituoni, che basta osservare dove ella volga per suo
divertimento il passo per conoscere i maggiori. Se così è, andando con tanto
piacere verbi gratia dal Mi al Fa si deve credere, che quel semituono sia
maggiore, nè può negarsi. Ma se ha quel transito libero di mezza voce
ascendendo, da che procede, che dall' istesso Fa non può [-22-] salire al Diesis
vicino, che pur il passo è di un Semituono? Egli è minore risponde l' Udito;
Dunque suppongo di poter conchiudere, che la cagione, che toglie all'
Appoggiatura una gran parte della libertà deriva, ch' ella non può passar di
grado da un Semituono maggiore ad un minore, nè da questo a quello;
Rimettendomi sempre però al giudizio di chi intende.
L' Appoggiatura può andare ancora da una nota distante all' altra, purchè il
salto non sia d' inganno, poichè in quel caso chi non l' impronta di posta non sa
cantare.
Giacchè non è possibile (come si disse) che un Cantante salga di grado coll'
Appoggiatura dal Semituono maggiore ad un minore, il buon gusto gl' insegna
di ascendere un Tuono per discendervi poscia coll' Appoggiatura, ovvero gli
suggerisce di passarvi senza la medesima con una messa di voce crescente.
Se 'l Trillo sia necessario a chi canta chieggasi a i primi Professori, che più degli
altri sanno quante, e quali sieno le obbligazioni, che precisamente gli devono,
allorchè sorpresi da una improvvisa astrazione, o dalla sterilità d' una mente
addormentata non potrebbono celare al pubblico l' importuna povertà del loro
artificio, se 'l Trillo mallevadore non li soccorresse col suo pronto ripiego.
[-25-] Chi ha un bellissimo Trillo, ancorchè fosse scarso d' ogn' altro ornamento,
gode sempre il vantaggio di condursi senza disgusto alle Cadenze, ove per lo
più è essenzialissimo; E chi n' è privo (o non l' abbia che difettoso) non sarà
mai gran Cantante benchè sapesse molto.
Essendo dunque il Trillo di tanta conseguenza a' Cantori proccuri il Maestro per
mezzo d' esempli vocali, speculativi, e strumentali, che lo Scolaro giunga ad
acquistarlo eguale, battuto, granito, facile, e moderatamente veloce, che sono
le qualità sue più belle.
Supposto, che chi insegna non sapesse quanti sieno i Trilli dirò, che l' arte
ingegnosa de' Professori ha trovato il modo di prevalersene in tante forme
diverse, dalle quali hanno i loro nomi, che francamente può dirsi, che sieno
diventati otto.
Il primo è il Trillo maggiore, che riconosce il suo essere dal moto violento di due
Tuoni vicini, uno de' quali merita il nome di principale, perchè occupa con più
padronanza il sito della nota, che lo chiede; L' altro poi ancorchè col suo
movimento possegga il luogo della voce superiore, nulladimeno non vi fà altra
figura, che di ausiliario. Da questo Trillo nascono tutti gli altri.
Il terzo è il Mezzotrillo, che dal suo nome si fà conoscere. Chi possiede il primo,
e il secondo facilmente lo impara coll' arte di strignerlo un poco più, lasciandolo
poco dopo, che si fa sentire, e aggiugnendovi un po' di brillante, per cui nell'
Arie allegre piace più, che nelle patetiche.
Il sesto è il Trillo lento, che porta anch' esso le sue qualità nel nome. Chi non lo
studiasse crederei, che non dovesse perdere il concetto di buon Cantore,
poichè s' egli e solo è un Tremolo affettato, se poi si unisce a poco a poco col
primo, o col secondo Trillo, parmi che non possa piacere al più al più, che la
prima volta.
Tutti questi Trilli, disaminata che sia la loro sostanza, si ristringono in pochi,
cioè in quelli, che sono i più necessarj, e quelli più degli altri chieggono dal
Maestro maggiore applicazione. Sò, e pur troppo lo sento, che si canta senza
Trillo, ma non è da imitarsi l' esempio di chi non istudia abbastanza.
Il Trillo per sua bellezza vuol esser preparato, però non sempre esige la sua
preparazione, poichè alle volte non glie la permetterebbe nè il Tempo, nè il
gusto; La chiede ben sì quasi in tutte le Cadenze terminate, e in diversi altri siti
congrui ora sul Tuono, ora sul Semituono più alto della sua nota secondo la
qualità del componimento.
Molti sono i difetti del Trillo, che bisogna sfuggire. Il Trillo lungo già trionfava
mal a proposito, come fanno in oggi i Passaggi; Ma raffinata che fù l' Arte, si [-
29-] lasciò a Trombetti, o a chi volea esporsi al rischio di scoppiare per un'
Eviva dal popolaccio: Quel Trillo, che si fà sentir sovente, ancorchè fosse
bellissimo, non piace: Quel che si batte con disuguaglianza di moto dispiace; Il
Caprino fa ridere, perchè nasce in bocca come il riso, e l ottimo nelle fauci:
Quel che è prodotto da due voci in terza disgusta: Il lento annoja: E il non
intonato spaventa.
Dopo un franco possesso del Trillo osservi l' Istruttore se lo Scolaro abbia l'
istessa facilità nel lasciarlo, perchè non sarebbe il primo, che avesse il difetto di
non poter distaccarlo a suo beneplacito.
Per insegnar poi dove il Trillo convenga fuor di Cadenza, e dove proibir si debba
è lezione riservata alla pratica, al gusto, ed alla intelligenza.
Benchè il Passaggio non abbia in se forza, che basti al produrre quella soavità,
che s' interna, nè sia considerato per lo più, che per ammirar in un Cantante la
felicità d' una voce flessibile, nondimeno è di somma urgenza, che il Maestro
nè istruisca lo Scolaro, acciò con facile velocità, e giusta intonazione lo
possegga, che quando in sito proprio è ben eseguito esige il suo applauso, e fa
il Cantore universale, cioè capace di cantare in ogni stile.
Chi avvezza la voce di chi studia alla pigrizia di farsi strascinare non gl'
insegna, che la più picciola parte della sua Professione, e lo riduce alla
impossibilità d' imparar la maggiore; Chiunque non ha la voce agile ne'
Componimenti, che corrono in tempo stretto, e nè meno negli andanti tedia a
morte colla più melensa flemma, e tanto va tardando finalmente col tempo,
che tutto quel che canta è quasi sempre fuor di Tuono.
Nella Istruzione del primo il Maestro deve insegnar allo Scolaro quel moto
leggierissimo della voce in cui le note, che lo compongono sieno tutte articolate
con egual proporzione, e moderato distaccamento, affinchè il Passaggio non
sia, nè troppo attaccato, nè battuto soverchio.
Il secondo formasi in maniera, che la sua prima nota conduca tutte quelle, che
gli vengono apresso così strettamente unite di grado, e con tanta uguaglianza
di movimento, che cantando s' imiti un certo sdruccioloso liscio, che da'
Professori è detto Scivolo, i di cui effetti sono veramente gustosissimi, allorchè
un Vocalista se ne serve di rado.
Il Passaggio battuto per essere il più frequentato degli altri, chiede anche
maggior esercizio.
La giurisdizione dello Scivolo è assai limitata nel Canto, Egli talmente a poche
corde ascendenti, e discendenti di grado si ristringe, che se non vuol dispiacere
non può passar la quarta. All' orecchio parmi più grato però quando scende,
che quando cammina per moto contrario.
[-32-] Lo strascino poi consiste in diverse voci dolcemente strascinate dall' arte
migliore col forte, e col piano, della di cui bellezza ne parlerò altrove.
Gl' insegni di battere i Passaggi coll' istessa agilità nell' ascender di grado, che
nel discendere, perchè se l' ammaestramento è da Principiante, l' esecuzione
non è comune ad ogni Cantore.
Dopo i Passaggi di grado gli faccia imparare colla maggior franchezza tutti
quelli, che sono rotti da ogni salto più difficile, imperciocchè intonati, che sieno
con prontezza, e possesso meritano con giustizia d' esser distintamente
considerati. Lo studio di questo insegnamento chiede più tempo, e fatica d'
ogn' altro, non solo per le sue stravaganti difficoltà, che per le conseguenze
premurose, che seco porta; E in fatti, non resta più sorpreso un Cantante,
allorchè le note più scabrose gli sono famigliari.
Non trascuri d' istruirlo del modo di mischiar [-33-] qualche volta ne' Passaggi il
piano col forte, lo scivolo colle note battute, e di frapporvi il Metrotrillo
spezialmente su le note puntate, purchè non sieno troppo vicine, acciò conosca
ogni abbellimento dell' Arte.
Miglior di qualsivoglia lezione ne' Passaggi sarebbe quella da cui s' impara di
unirvi di quando in quando il Mordente, se chi studia lo avesse dalla natura, o
dall' artificio, e che il Maestro con intelligenza di Tempo sapesse indicargli il
sito in cui sono maravigliosi gli effetti; Ma non essendo documento proprio per
chi insegna le prime regole, e molto meno per chi comincia ad apprenderle,
sarebbe stato meglio di posporlo (come forse avrei fatto) se non sapessi, che ci
sono de' Scolari di così fina penetrazione, che in pochi anni diventano
bravissimi Vocalisti, e che non mancano Istruttori dotati d' ogni insegnamento
adequato all' acuto ingegno de' loro Discepoli; Oltre ciò non mi è paruto
convenevole nel Capitolo de' Passaggi (ne' quali fa più bella pompa d' ogn'
altro ornamento il Mordente) di non farne parola.
Ogni Maestro sa, che sulla terza, e quinta vocale i Passaggi sono di pessimo
gusto, ma non tutti sanno, che dalle buone Scuole non si permettono tampoco
sulla seconda, e quarta, allorchè queste due vocali vanno pronunziate strette, o
chiuse.
Molti difetti scorgonsi ne' Passaggi, che bisogna conoscere per non intopparvi;
Oltre a quelli di naso, di gola, e d' altri già noti, sono anche dispiacevoli quelli di
chi non li batte, nè li scivola, perchè allora un Vocalista non canta, ma urla.
Sono assai più ridicoli però quando un Professore li batte soverchio, e con tal
rinforzo di voce, che pensando verbi gratia di formare il Passaggio sull' a fa
sentir un certo effetto, come se dicesse, ga, ga, ga; e l' istesso sull' altre vocali.
Il peggior poi d' ogni difetto è di chi non gl' intuona.
Sappia l' Istruttore, che se una buona voce agiatamente sparsa si fa migliore,
agitata poi dal moto velocissimo de' Passaggi in cui non ha tempo d'
organizzarsi si converte in mediocre, e talvolta per negligenza del Maestro, e
con pregiudicio dello Scolaro diventa pessima.
Dopo, che lo Scolaro si sarà impadronito francamente del Trillo, e del Passaggio
il Maestro gli dovrà far leggere, e pronunziar le parole senza quegli erroracci
ridicoli d' Ortografia in cui molti tolgono a qualche vocabolo le sue doppie
consonanti per regalarne un' altro, che le ha semplici.
Gli faciliti quella franchezza, che si ricerca in sillabar sotto le notte, acciò non
intoppi, nè vada tentone.
Gli proibisca di prender fiato in mezzo d' una parola, imperciocchè il dividerla in
due respiri è un errore, che la natura non soffre, e si deve imitarla per non
esserne burlato. In un movimento interrotto, o in un Passaggio lungo non v' è
questo rigore, allorchè non si possa cantare, o l' uno, o l' altro in un sol fiato.
Anticamente lezione simile non era propria, che per chi studiava i primi
principj, ora l' abuso è uscito dalle Scuole moderne, e fatto adulto si domestica
troppo con chi pretende distinzione. Il Maestro può correggerne lo Scolaro con
quegl' insegnamenti da cui s' impara di far un buon uso del respiro, di
provvedersene, sempre più del bisogno, e di sfuggir gl' impegni se 'l petto non
resiste.
Cerchi l' Istruttore qualche emulazione allo Scolaro d' infelice ritenitiva, che lo
inciti a studiar per impegno (che qualche volta ha più forza del genio) perchè
se in vece d' una lezione ne sente due, e che la competenza non lo avvilisca,
imparerà forse prima quella del Compagno, e poi la sua.
Non gli permetta mai cantando di tener la carta di Musica sul volto, acciò non
impedisca il suono alla sua voce, nè lo renda timido.
Non trascuri il Maestro di fargli comprendere quanto sia grande l' errore di chi
trilla, passaggia, o ripiglia il fiato sulle note sincopate, o legate: e quanto sia
grato l' effetto di chi vi distende la voce, giacchè i componimenti in luogo di
perdere acquistano maggior bellezza.
Lo istruisca del forte, e del piano con patto però, ch' egli eserciti più il primo,
che il secondo, essendo più facile di far cantar piano chi canta forte, che di far
cantar forte, chi canta piano. La sperienza insegna, che non bisogna fidarsi del
piano, poichè alletta per ingannare, e chi vuol perder la voce lo frequenti. A
questo proposito v' è opinione fra' Musici, che vi sia un piano artificioso, che si
faccia sentir come il forte, ma è opinione, cioè Madre di tutti gli errori; Il piano
di chi canta bene non si sente per arte, ma dal profondo silenzio di chi
attentamente l' ascolta; Per prova di ciò, se ogni più mediocre Vocalista sta in
Teatro un quarto di minuto tacendo quando deve cantare, allora l' Udienza
curiosa di sapere il [-39-] motivo di quella pausa inaspettata ammutolirà in
modo, che s' egli in quello istante profferirà una parola sotto voce sarà intesa
anche da i più lontani.
Si ricordi il Maestro, che chi non canta a rigor di tempo non può meritar mai la
stima degli Uomini intelligenti, sicchè insegnando avverta, che non vi sia
alcuna alterazione, o diminuzione se pretende di ben istruire, e di fare un'
ottimo Scolaro.
Un' ora di applicazione al giorno non basta nè meno a chi ha pronte tutte le
potenze dell' anima; Consideri dunque il Maestro quanto tempo debba
impiegare per chi d' eguale prontezza non le possiede, e quanto ne chiegga l'
obbligo di adattarsi alla capacità [-40-] di chi studia. In un Mercenario, che
insegna non può sperarsi questa necessaria convenienza; Aspettato dagli altri
Scolari, annojato dalla fatica, sollecitato dal bisogno, pensa, che il Mese è
lungo, guarda l' orologgio, e parte. Se istruisce per poco, vada a buon viaggio.
Il primo essendo Ecclesiastico è di ragione, che si canti adattato alla Santità del
luogo, che non ammette scherzi vaghi di stile indecente, ma richiede qualche
messa di voce, molte Appoggiature, e una continua nobiltà sostenuta. L' arte
poi colla quale esprimesi non s' impara, che dallo studio mellifluo di chi pensa
di parlare a Dio.
L' ultimo, a giudizio di chi più intende, si accosta più degli altri al cuore, e
chiamasi Recitativo da Camera. Questo esige quasi sempre un particolar
artificio a cagion delle parole, le quali essendo dirette (poco men [-42-] che
tutte) allo sfogo delle passioni più violenti dell' animo, impegnano l' Istruttore
di far imparare al suo Allievo quel vivo interesse, che arriva a far credere, che
un Cantore le sente. Uscito poi che sia lo Scolaro dagli ammaestramenti, sarà
pur troppo facile, che non abbia bisogno di questa lezione. Il diletto immenso,
che i Professori nè traggono deriva dalla cognizione che hanno di quell' arte,
che senza l' ajuto de' soliti ornamenti produce da se tutto il piacere; E vaglia 'l
vero, dove parla la passione i Trilli, e i Passaggi devon tacere, lasciando che la
sola forza d' una bella espressiva persuada col Canto.
Il Recitativo Ecclesiastico concede a Vocalisti più libertà degli altri due, e gli
esime dal rigore del Tempo, massimamente nelle Cadenze finali, purchè se ne
prevalgano da Cantanti, e non da Violinisti.
Il Teatrale toglie ogni arbitrio all' artificio per non offendere ne' suoi diritti la
narrattiva naturale, quando però non fosse composto in qualche Solliloquio all'
uso di Camera.
Il terzo rifiuta una gran parte dell' autorità del primo, e si contenta d' averne
più del secondo.
Sono senza numero i difetti, e gli abusi [-43-] insoffribili, che nè Recitativi si
fanno sentire, e non conoscere da chi li commette. Proccurerò di notarne
diversi Teatrali, acciò il Maestro possa emendarli.
V' è chi canta il Recitativo della Scena come quello della Chiesa, o della
Camera: V' è una perpetua Cantilena, che uccide: V' è chi per troppo
interessarsi abbaja. V' e chi lo dice in segreto, e chi confuso: V' è chi sforza l'
ultime Sillabe, e chi le tace: Chi lo canta svogliato, e chi astratto: Chi non l'
intende, e chi nol fà intendere: Chi lo mendica, e chi lo sprezza. Chi lo dice
melenso, e chi lo divora: Chi lo canta frà denti, e chi affettato: Chi non lo
pronunzia, e chi non l' esprime: Chi lo ride, e chi lo piange: Chi lo parla, è chi lo
fischia: V' è chi strida, chi urla, e chi stuona: E cogli errori di chi s' allontana al
naturale, v' è quel massimo di non pensare all' obbligo della correzione.
Con troppo nociva negligenza trascurano i moderni Maestri l' istruzione di tutti i
Recitativi a' loro Scolari, poichè in oggi lo studio dell' espressiva, o non è
considerato come necessario, o è vilipeso come antico. E pur dovrebbono
giornalmente avvedersi, che oltre all' obbligo indispensabile di saperli cantare,
son quelli che insegnano di recitare; [-44-] Se nol credessero, basta che
osservino senza lusinghe dell' amor proprio, se frà loro Alllevi vi sia alcuno
Attore, che meriti gli encomj di Cortona nell' amoroso, del Signor Baron
Ballerini nel fiero, e d' altri famosi nell' agire, che presentemente operano, che
è l' unico motivo per cui in queste mie Osservazioni ho costantemente
determinato di non nominarne alcuno in qualsivoglia perfetto grado della
Professione, e di stimarli quanto meritano, e quanto devo.
La cagione però del non esprimersi più il Recitativo all' uso de' nominati Antichi
non sempre procede dalla insufficienza de' Maestri, nè dalla trascuraggine de'
Cantanti, ma dalla poca intelligenza di certi Compositori moderni, i quali (a
riserva de' meritevoli) li concepiscono così privi di naturale, e di gusto, che non
si possono nè insegnare, nè agire, nè cantare. Per giustificar chi insegna, e chi
canta la ragione se ne piglierà l' incombenza: Per biasimar chi compone, la
medesima mi vieta d' entrare in una materia tropp' alta dal mio basso
intendimento, e saggiamente mi dice di rimirar con miglior vista quella mia
poca, e superficial tintura, che appena basta per un Cantore, o a scriver nota
contra nota. Se poi considero all' impresa in cui mi posi in queste Osservazioni
di procurar diversi vantaggi, a Vocalisti, e ch' io non parli della composizione a
quali è tanto necessaria due mancamenti commetto. Dubbiosa, e irresoluta mi
lascierebbe [-46-] la perplessità in un intrigato laberinto se non me ne porgesse
il filo l' opportuno riflesso col suggerirmi, che i Recitativi non han comercio col
Contrappunto. Se così è, chi sarà quel Professore, che nou sappia, che molti
Recitativi Teatrali sarebbon ottimi se non fossero confusi gli uni cogli altri: Se si
potessero imparar a mente: Se non mancassero d' intelligenza di parole, e di
Musica: Se non ispaventassero chi canta, e chi sente co' salti mortali dal bianco
al nero: Se non offendessero l' orecchio, e le regole con pessime modulazioni:
Se non tormentassero il buon gusto con una perpetua somiglianza: Se con
attroci voltate di corde non traffiggessero l' anima: E se finalmente i periodi
non fossero storpiati da chi non conosce nè punti, nè virgole? Io mi stupisco,
che questi tali non cerchino d' imitare per loro profitto i Recitativi di quegli
Autori, che ci rappresentano in essi una viva immagine della verità coll'
espressiva di certe note, che cantano da loro stesse, come se parlassero. Ma a
che serve ch' io mi affanni! Pretenderò io forse, che queste ragioni con tutta la
loro evidenza sieno buone, quando nella Musica la ragione istessa non è più
alla Moda? Gran dominio ha l' Usanza! Costei assolvendo con ingiusta potenza
suoi parziali [-47-] da i veri precetti per non obbligarli che all' unico studio de'
Ritornelli non vuole, che impieghino inutilmente il tempo prezioso nell'
applicazione de' Recitativi, che secondo i suoi dogmi si devono lasciar cadere
dalla penna, e non dalla mente. Se sia negligenza, o ignoranza non sò; ma sò
bensì, che i Cantanti non ci trovano il loro conto.
Ritorno al Maestro per risovenirgli solamente, che il suo obbligo è d' insegnar la
Musica, e se lo Scolaro prima di uscir dalle sue mani non canta franco, il danno
cade sull' innocente, e chi n' è reo non può risarcirlo.
[-48-] Se dopo questi documenti l' Istruttore realmente conosce d' aver
capacità bastante per comunicare allo Scolaro cose di maggior rilievo e
concernenti al di lui progresso, dovrà immediatamente introdurlo allo studio
dell' Arie Ecclesiastiche, in cui bisogna lasciar da parte ogni vezzo Teatrale, e
femminile, e cantar da Uomo; Perciò lo provvederà di varj Motetti naturali,
nobilmente vaghi, misti d' allegro, e di patetico, adattati all' abilità scoperta in
lui, e proseguire con frequenti lezioni a farglieli imparar sì, che con franchezza,
e spirito li possegga. Nel medesimo tempo proccurerà, che le parole sieno ben
pronunziate, e meglio intese; Che i Recitativi sieno espressi con forza, e
sostenuti senza affettazione: Che le Arie non manchino nè di Tempo, nè di
qualche principio di gustoso artificio: E soprattutto, che i finali de' Mottetti
sieno eseguiti da' Passaggi distaccati, intonati, e veloci. Successivamente gl'
insegnerà quel metodo, che al gusto delle Cantate richiedesi, affinchè coll'
esercizio ei scopra la differenza, che verte fra l' uno, e l' altro stile. Contento
che sia il Maestro del profitto dello Scolaro non s' immaginasse mai di farlo
sentire in pubblico se prima non ode il savio parere di quegli Uomini, che sanno
più cantare, [-49-] che adulare, poichè non solo sceglieranno quelle
composizioni più proprie a fargli onore, ma lo correggeranno anche di que'
difetti, e forse di quegli errori, che dall' ommissione, o dall' ignoranza dell'
Istruttore non erano stati emendati, o conosciuti.
Se tutti quegli, che insegnano considerassero, che dalle nostre prime comparse
in faccia al Mondo dipende il perdere, o l' acquistar nome, e coraggio, non
esporrebbono così alla cieca i loro Allievi al pericoloso azzardo di cadere al
primo passo.
Se poi il Maestro non avesse altra cognizione di quella, che basta per le scorse
regole, allora per impegno di coscienza non può innoltrarsi, anzi deve esortar lo
Scolaro di passare per suo vantaggio a migliori Istruzzioni. Innanzi però ch' egli
vi giunga non sarà forse del tutto inutile, ch' io seco parli, e se l' età non gli
permette di capirmi, m' intenda chi ne ha direzione, e cura ne' seguenti
capitoli.
AVanti d' entrare nella vasta e difficultosa applicazione del Canto Figurato è
necessario, che si consulti la propria vocazione senza di cui ogni studio sarebbe
gettato al vento, non essendo possibile di resistere all' ostinato contrasto della
medesima, quando con forza occulta ci porta altrove; Dove poi impiega le sue
lusinghe immediatamente persuade, e risparmia al Principiante la metà della
fatica.
Se chi studia brama di cantare pensi che indispensabilmènte dalla sua voce
dipende, [-51-] o la sua fortuna, o la sua disgrazia; sicchè per conservarsela
deve astenersi da ogni sorta di disordini, e da tutti i divertimenti violenti.
In caso, che il Maestro non sapesse correggere i difetti della pronunzia proccuri
di apprender la migliore, poichè la scusa di non esser nato in Toscana non
esime chi canta dall' errore d' ignorarla.
Con esatta diligenza cerchi ancora di emendarsi di tutti quegli altri, che fossero
stati dalla negligenza dell' Istruttore ommessi.
Studj insieme colla Musica almeno la Grammatica, acciò possa intendere quelle
parole che dovrà cantare in Chiesa, e per dar quella forza, che all' espressione
conviensi sì nell' una, che nell' altra lingua. Ardirei quasi di credere, che diversi
Professori non intendono il volgare non che il latino.
Il Canto esige l' applicazione con tanto rigore, che a viva forza obbliga di
studiar colla mente, quando non si può colla voce.
Senta più che può i Cantanti più celebri, e gli ottimi Sonatori ancora,
imperocchè dall' attenzione di ascoltarli se ne ricava [-53-] più frutto, che da
qual si voglia insegnamento.
Cerchi poi di copiare, e gli uni, e gli altri per entrar insensibilmente nel buon
gusto collo studio altrui. Questo documento, benchè utilissimo a chi studia, con
tutto ciò pregiudica infinitamente un Cantore, e in qualche suo luogo ne dirò la
ragione.
Canti sovente le più gustose composizioni de' migliori Autori, che sono dolci
incentivi per frequentarne l' uso, ed assuefanno l' orecchio a ciò, che piace.
Sappia chi studia, chè dalla suddetta imitazione, e dall' impulso de' buoni
componimenti il gusto col tempo diventa arte, e l' arte natura.
Impari d' accompagnarsi s' egli aspira à cantar bene. Invita con affetto così
violento il Gravecembalo allo studio, che ne vince la più pertinace negligenza, e
illumina sempre più l' intelletto; L' evidente profitto, che da quell' amoroso
strumento a Vocalisti ne risulta assolve gli esempli dall' impegno di persuadere;
Oltrechè spesse volte accade a chi non sa sonare, che senza l' ajuto altrui non
può farsi sentire, nè ubbidir talvolta a Sovrani comandi con suo gran danno, e
maggior confusione.
[-54-] Sinchè un Cantante non piace a se stesso, certo è, che non piacerà mai
agli altri. Onde riflettasi che se i Professori d' intendimento più che mediocre
son privi di quel diletto per non aver imparato quanto basta, cosa dovrà mai far
lo Scolaro? Studiare, e poi studiare, e non compiacersi per poco.
Stò quasi per dire, che sia infallibilmente vana qualunque applicazione al Canto
se non è accompagnata da qualche poca cognizione di Contrappunto. Chi sa
comporre sa render conto di quello, che fà, e chi non ha l' istesso lume opera
allo scuro, ne può cantar molto tempo senza errare: I più rinomati Antichi dagli
effetti conoscevano il valore intrinseco di questo documento, e un ottimo
Scolaro deve imitarli senza che gli prema se la lezione sia, o non sia alla moda;
Che sebben in oggi odansi di quando in quando delle cose mirabili concepite da
un gustoso naturale sono tutte fatte a caso, e raccomandate all' Udienza dall'
azzardo; Le altre poi (a chi ben le considera) se non sono pessime saranno
indubitatamente cattive, perchè non potendo la fortuna coprir sempre i difetti,
non si accorderanno nè col Tempo, ne' col Basso. Questa intelligenza ancorchè
necessaria non è però bastante a farmi consigliar [-55-] lo Scolaro ad
immergersene in una profonda occupazione, essendo certo, che gl' insegnerei
il modo più facile di perder la voce; Lo esorto ben sì quanto posso ad impararne
solamente le regole principali per non cantare alla cieca.
Studiare assai, e conservar la voce nella sua bellezza son due cose poco men
che incompatibili; V' è tra loro una tal quale amicizia, che quantunque senza
interesse, e senza invidia difficilmente dura; Se si riflette però, che la
perfezione nella voce è un dono gratuito, e nell' arte un acquisto penoso si
decide, che questa prevalga a quella sì nel merito, che nella lode.
Chi studia cerchi l' ottimo, e lo cerchi dov' è senza che gl' importi se sia nello
stile di quindici, o vent' anni sono, o di questi giorni, poichè il buono (come il
cattivo) è di tutti tempi; Basta saperlo trovare, conoscere, e approfittarsene.
Per mia disgrazia irreparabile son vecchio, ma se fossi giovane vorrei imitare
quanto mai potessi nel cantabile quegli, che sono chiamati col brutto nome d'
Antichi, e nell' allegro questi che godono il bellissimo carattere di Moderni. Se 'l
mio desiderio è vano all' età in cui mi trovo, non sarà infruttuoso ad un savio
Scolaro, che brami egualmente [-56-] d' esser abile nell' una, e nell' altra
forma, che è l' unica strada per arrivare alla perfezione; Se poi si dovesse
scegliere, gli direi con franchezza, che si attaccasse al gusto de' primi senza
temere, che la parzialità m' ingannasse.
Chi non aspira ad occupare il primo luogo già comincia a cedere il secondo, e a
poco a poco si contenta dell' ultimo.
Studiando a Casa le sue lezioni canti di tempo in tempo avanti d' uno specchio,
non [-57-] per incantarsi alla compiacenza delle proprie bellezze, ma per
liberarsi da i moti convulsivi del corpo, o del volto (che con tal nome chiamo
tutti que' vizj smorfiosi d' un Cantore affettato) che quando han preso piede,
non se ne vanno mai più.
Le ore più proprie per lo studio sono le prime del Sole; Le altre poi, escluse le
necessarie all' individuo, sono per chi ha bisogno di studiare.
SE chi primo introdusse l' uso di ripigliar le Arie da capo ebbe per motivo il far
comprendere l' abilità di chi canta variando le repliche nell' intercalare non può
biasimarsi l' invenzione da chi ama la Musica, però tolse una gran forza alle
parole.
Da i nominati Antichi le Arie si cantavano anch' esse in tre maniere diverse: Per
il Teatro lo stile era vago, e misto: Per la Camera miniato, e finito: E per la
Chiesa affettuoso, e grave. Questa differenza a moltissimi moderni è ignota.
Non v' è per un Cantore obbligo più preciso, che lo studio dell' Arie, poichè son
quelle, che gli formano, o distruggono il concetto. Ad un acquisto così prezioso
poche lezioni verbali possono servir d' insegnamento, nè gran profitto
risulterebbe nè meno allo Scolaro, quando anche avesse una quantità d' Arie in
cui fossero scritti in mille forme i Passi più rari, perchè non basterebbono per
tutte, e mancherebbon sempre di quel dolce [-59-] portamento di voce dell'
Autore, che incontrastabilmente è il primo mobile dell' arte, e della natura.
Tutto quello, che a mio credere dir si possa, consiste in persuaderlo di osservar
attentamente il bellissimo Disegno col quale regolansi i migliori Cantanti col
Basso, e a misura, che la sua capacità si aumenta egli ancora anderà
scoprendo l' artificio, e l' intelligenza. Se poi non sapesse come copiare il
Disegno di que' Valentuomini, glie lo insegnerà l' esempio d' un mio
cordialissimo amico, che non andava mai a sentir Opere senza la composizione
di tutte quell' Arie, che il più famoso Professore cantava; Ivi nel moto de' Bassi
contemplando con ammirazione la più studiata finezza dell' Arte totalmente
ristretta nel rigor più severo del Tempo ne ricavò qualche progresso.
Si avvezzi dunque chi studia a replicarle sempre diversamente, che (se non m'
inganno) un abbondante, benchè mediocre Vocalista merita assai più stima d'
un migliore, che sia sterile, perchè questi non può dilettar gl' intelligenti, che la
prima volta, e quello se non sorprende colla rarità delle sue produzioni, almeno
colla diversità alimenta l' attenzione.
Quegli che sono nel numero degli ottimi Antichi s' impegnavano di sera in sera
di cangiar nell' Opere non solo tutte le Arie patetiche, ma qualcheduna delle
allegre ancora. Chi studia, e non assoda bene i fondamenti non può sostenere il
grave peso d' un' esempio così importante.
Senza variar l' Arte nell' Arie non si scoprirebbe mai l' intendimento de'
Professori, anzi dalla qualità della variazione facilmente si conosce fra due
Cantori di prima sfera qual sia il migliore.
Chi studia impari prima di sapere, e poi del molto, che saprà sappia anche
prevalersene con giudizio. Per esserne pienamente persuaso osservi, che i
Cantanti più celebri non fanno mai pompa del loro talento in poche Arie, non
ignorando che quando i Vocalisti in un giorno solo espongono al pubblico tutto
ciò, che hanno in bottega son vicini a far Banco rotto.
Allo Studio dell' Arie (già 'l dissi) non v' è diligenza che basti; E se trascuransi
certe cose, che pajono o sieno di poco rilievo, come potrà l' Arte esser perfetta
se non è finita?
Nell' Arie a solo l' applicazione di chi studia l' artificio è solamente soggetta al
Tempo, e al Basso, ma in quelle, che sono accompagnate da Strumenti, allora
bisogna, che sia intenta al loro andamento ancora per evitar quegli errori, che
si commettono da chi non imparò a conoscerli.
Per non metter piede in fallo cantando le Arie due forti insegnamenti fanno un
gran lume a chi studia; Il primo esorta con un [-62-] savio consiglio ad errar
mille volte in privato (se occorre) con sicurezza di non fallar mai in pubblico; E
il secondo a forza di ragioni, che non hanno risposta, ordina che si cantino alla
prima prova senz' altri ornamenti che naturali, con ferma intenzione però, che
si esamini nello stesso tempo colla mente il sito dove convengano gli artificiali
nella seconda; Così di ripetizione in ripetizione, e di ben in meglio cangiando
sempre si diventa insensibilmente un gran Cantore.
Lo studio più necessario, e molto più difficile d' ogn' altro per cantar
perfettamente le Arie è quello di cercare il facile, e di ritrovarlo nella bellezza
del pensiero. Chi ha la sorte di poter unire doti si pellegrine ad un soave
portamento di voce, fra Professori è il più felice.
Chi studia a dispetto d' un ingrato naturale per sua consolazione sovvengasi,
Che l' Intonare, l' Esprimere, le Messe di voce, le Appoggiature, i Trilli, i
Passaggi, e l' Accompagnarsi sono qualità principali, e non difficoltà
insuperabili. So che non bastano per cantar bene, e che bisognerebbe esser
pazzo per contentarsi di non cantar male, ma sogliono chiamar l' artificio in
ajuto, che di rado le abbandona, e talora viene da se. Basta studiare.
[-63-] Fugga tutti quegli abusi, che si sono sparsi, e stabiliti nell' Arie se vuol
conservare alla Musica il suo pudore.
Ogni Cantante (non che lo Scolaro) deve astenersi dalle caricature per le
pessime conseguenze, che seco portano. Chi fà ridere, difficilmente si fà
stimare: Disgustano chi non ha piacere di passar per ridicolo, o per ignorante:
Nascono per lo più dalla simulata ambizione di corregger gli altri per far pompa
della propria intelligenza; Piacesse a Dio, che non fossero nudrite col velenoso
latte dell' invidia, o della mormorazione: E gli esempli ci fanno pur troppo
sentire, che si attaccano; Giustissimo è il gastigo, ut poena Talionis istituita da
San Damaso, e il rimprovero è a proposito, giacchè le Arie caricate han
rovinato più d' un Cantore.
Se non consiglio chi studia ad imitare diversi Moderni nel loro modo di cantar le
Arie se n' incolpi il rigoroso precetto del Tempo, che essendo costituito dall'
Intelligenza per legge inviolabile alla Professione severamente me lo proibisce;
E a dire il vero, il poco conto che ne fanno per sacrificarlo al gusto insulso de'
loro amati Passaggi è troppo ingiusto per tollerarlo.
Non terminano però cogli errori del Tempo i giusti motivi di obbligar chi studia
a non imitare i Signori Moderni nell' Arie, orchè patentemente scorgesi, che
tutta la loro applicazione è diretta a romperle, e a sminuzzarle in guisa, che
non è possibile di poter più sentire, nè parole, nè pensieri, nè modulazioni, nè
discernere un' Aria dall' altra a cagione di tal somiglianza, che una che se ne
senta serve per mille: E la Moda trionfa? Si credeva (non sono molt' anni) che
in ogni Opera bastasse al più gorgheggiante Professore un' Aria rotta per [-68-]
isfogarsi, ma i Cantanti d' oggidì non sono di quel parere, anzi come non
fossero contenti appiendo di trasformarle tutte con orrida metamorfosi in tanti
Passaggi corrono a briglia sciolta ad attaccare con rinforzate violenze i loro
finali per riparazione di quel tempo, che sognansi d' aver perduto nel corso dell'
Arie. Nel capitolo delle tormentate Cadenze vedremo in breve se la Moda sia di
buon gusto, e in tanto ritorno agli abusi, e a i difetti dell' Arìe.
Non so positivamente chi sia stato fra' Moderni quel Compositore, o Vocalista
ingrato, che ha avuto cuore di riformar l' amoroso Patetico dall' Arie come non
fosse più degno dell' onore de' suoi comandi dopo una lunga, e grata servitù;
Chiunque però siasi, certo è ch' egli ha tolto alla Professione ciò, ch' ella avea
di migliore. Il mio debole intendimento non arriva a svilupparne la causa tanto
più, che se chiedo a tutti i Musici in generale, che concetto abbiano del
Patetico, questi uniti d' opinione (cosa che di rado succede) mi rispondono, Ch'
egli è la delizia più cara dell' udito, la passione più dolce dell' animo, e la base
più forte dell' armonia; E di si belle prerogative non se ne sentirà più nota
senza saperne il perchè? Ho inteso. [-69-] Non bisogna ch' io interroghi
Professori, ma la pazza bizzaria del popolo Protettor volubile della Moda, che
non potrà soffrirlo. Eh che questo è un inganno della mia opinione; La Moda, e il
popolo vanno a seconda come l' acque di que' Torrenti, che portate dalla piena
cangiano sovente d' alveo, e poi al primo Ciel sereno si ritirano nel loro nulla; Il
male è nella sorgente, la colpa è de' Cantori; Lodano il Patetico, e cantan l'
Allegro? Sarebbe ben privo affatto di senso comune chi non gl' intendesse.
Conscono il primo per ottimo, ma sapendo ch' egli è assai più difficile del
secondo lo lasciano a parte.
Non si niega però, che i migliori Vocalisti d' oggi non abbiano in qualche parte
raffinato il gusto passato con produzioni degne d' esser imitate non solo da chi
studia, ma anche da chi canta; Anzi per evidente contrassegno di stima
bisogna pubblicamente confessare, Che se amassero un poco più il Patetico, e
l' espressiva, e un pò meno i [-71-] Passaggi potrebbono gloriarsi di aver
condotta l' Arte alla sommità del grado.
Potrebbe anch' essere, che le stravaganti idee, che in molte composizioni ora si
sentono fossero quelle che togliessero a suddetti Cantori il modo di poter unire
il cantabile alla loro intelligenza, imperocchè quest' Arie all' usanza vanno a
spron battuto ad agitarli con moti così violenti, che li privano di respiro, non
che di far pompa del loro finissimo intendimento. Ma Dio immortale! Giacchè ci
sono tanti Compositori moderni (tra' quali più d' un ve n' ha di mente eguale, e
forse più aperta di quelle de' migliori Antichi) per qual ragione, con qual motivo
escludono sempre dalle rare invenzioni de' loro bellissimi pensieri il sospirato
Adagio? Che delitto può mai commettere il suo flemmatico temperamento? Se
non può galoppare coll' Arie, che corrono la posta, perchè non lasciarlo con
quelle, che han bisogno di riposo, o almen almeno con una sola, che pietosa
assista un infelice Eroe, allor che deve piagnere, e morire in Teatro? Signor nò,
la gran Moda vuol che pianga, e crepi cantando presto, e allegramente. Ma
chè! L' ira del gusto moderno non si placa col sacrificio solo del Patetico, e dell'
Adagio amici indivisibilissimi, [-72-] ma passa tant' oltre, che se le Arie non
hanno la terza maggiore sono anch' esse per confederazione proscritte. Si può
sentir di peggio? Signori Compositori (io non parlo agl' insigni, che colla dovuta
venerazione) la Musica a mio tempo cangiò tre volte stile; Il primo, che piacque
sù le Scene, e in Camera fù quello di Piersimone, e di Stradella; Il secondo è de'
migliori, chè vivono, e lascio giudicare agli altri se sieno giovani, e moderni. Del
vostro, che non è ancora stabilito affatto in Italia, e che di là da Monti non hà
credito alcuno, ne parleranno fra poco tempo i posteri giacchè le mode non
durano. Ma se la Professione deve esistere, e finir col Mondo, o voi stessi vi
disingannerete, o lo riformeranno i vostri Successori; Sapete come? Esiliando
gli abusi; e richiamando il primo, il secondo, e il terzo Tuono per sollevare il
quinto, il sesto, e l' ottavo oppressi dalle fatiche: Faranno risuscitare il quarto, e
il settimo morti per voi, e sepolti in Chiesa co' Finali: Per gusto di chi canta, e di
chi intende si udirà l' Allegro misto di quando in quando col Patetico: Le Arie
non saranno tutte soffocate dalla indiscrezione degli Strumenti, che coprono l'
artificiosa miniatura del piano, le voci delicate, e quelle ancora di chi non vuol
urlare: Non soffriranno più [-73-] l' importuna vessazione degli Unisoni inventati
dall' ignoranza per nascondere al popolo la debolezza di tanti, e tante.
Ricupereranno la perduta armonia strumèntale: Saranno composte più per i
Cantanti, che per i Sonatori: La parte che canta non avrà più la mortificazione
di cedere il suo luogo ai Violini: I Soprani, e i Contralti non canteranno tutte le
Arie all' uso de' Bassi a dispetto di mille ottave: E finalmente faranno sentir le
Arie, più gustose, e meno simili: Più naturali, e più cantabili: Più studiate, e
meno penose: E tanto più nobili quanto più lontane dalla plebe. Ma già sento
dirmi, che la libertà Teatrale è vasta, che la moda piace, e che la mia temerità
cresce; Ed io non dovrò rispondere, che l' abuso è maggiore, che l' Invenzione è
perniziosa, e che la mia opinione è comune? Sarò io forse tra Professori quel
solo che non sappia, che l' ottima composizione fa cantar bene, e che la
pessima pregiudica? Non abbiamo più d' una volta sentito, che la qualità della
medesima è stata capace di stabilire in poche Arie il concetto ad un Cantor
mediocre, e distruggerlo a chi a forza dl merito se lo avea acquistato? La
Musica composta da chi ha intelligenza, e gusto istruisce chi studia, perfeziona
chi sa, e diletta chi sente. Ma giacchè sono entrato in ballo si danzi.
Sò che con giusti applausi il Mondo onora cert' altri pochi Maestri
intelligentissimi sì nell' uno, che nell' altro stile a quali indirizzo chi studia per
cantar bene; E se 'l loro numero non fosse così ristretto, come si crede e penso,
io ne chieggo perdono a chi non vi restasse compreso, sperando facilmente d'
ottenerlo, perche l' errore involontario non offende, e l' Uomo grande non
conosce altra invidia, che quella che è virtù. Gl' ignoranti per lo più non soglion
essere indulgenti, anzi sprezzando, e odiando tutto ciò, che non comprendono
saranno quegli appunto, che non mi daran quartiere.
[-77-] Che il nostro vaghissimo stile sia stato inventato per nascondere col bel
nome di MODERNO gl' insegnamenti troppo difficultosi del Contrappunto, non si
può negare.
Ma che da satrapi vetusti si abbia a dire, che andiamo a gara a chi fà spropositi
più stravaganti, e mai più intesi per vantarci poi d' esserne gl' Inventori, questa
è una maligna e nera impostura di chi ci vede esaltati. Crepi l' invidia. A buon
conto voi vedete, che quella stima che con pieni suffragj ci siamo acquistata
decide; E se un Musico non è della nostra Tribù non trova Protettor che lo
guardi non che lo stimi; Ma giacchè parliamo in confidenza, e colla sincerità
sulla lingua, Chi può cantar bene, Chi può ben comporre senza la nostra
approvazione? Ogni merito che avesse (voi lo sapete) non ci mancano modi per
rovinarglielo, anzi poche sillabe ci bastano per distruggerglielo. GLI E' ANTICO.
Ditemi in cortesia; Chi mai senza di noi avrebbe portata la Musica al colmo
della felicità colla sola facilità di levare all' Arie la nojosa emulazione de' primi,
de' secondi [-78-] Violini, e delle Violette? V' è forse chi tanto osasse di
usurparci la gloria? Noi, noi siam quegli, che a forza d' ingegno l' abbiamo fatta
salire al grado più sublime togliendogli ancora lo strepitoso rumore de' Bassi
fondamentali in modo .... (udite, e imparate) Che se in una Orchestra vi fossero
cento Violinisti siamo capaci di comporre in maniera, che tutti suonino nell'
istesso tempo la medesima Aria, che canta la Parte. Che ne dite? Ardirete di
biasimarci?
Il nostro amabilissimo metodo, Che non obbliga alcuno di noi allo studio penoso
delle regole: Che non inquieta la mente cogli affanni della Specolativa, nè ci
delude con quella vana cognizione, che pensa di ridurre in atto ciò, che
specolando si può investigare: Chc non pregiudica alla salute: Che incanta le
orecchie alla Moda: Che trova chi lo ama, chi lo pregia, e chi lo paga a peso d'
oro; E voi oserete di criticarlo?
Mi stupisco ben sì, o Cantori amatissimi, del profondo letargo in cui siete con
tanto vostro svantaggio. Voi dovreste svegliarvi, che è ormai tempo, e dire a
Compositori di questa fatta, Che volete cantare, e non ballare.
Le Cadenze poi di quinta in giù non componevansi dallo stile antico per un
Soprano cantando Arie a solo, o co' Strumenti se l' imitazione di qualche parola
non avesse obbligato il Compositore. Queste per non aver altro merito che d'
esser le più facili [-81-] di tutte, e per chi scrive, e per chi canta sono in oggi le
dominanti.
Nel capitolo dell' Arie ho esortato chi studia a sfuggir il Torrente de' Passaggi
alla Moda, e mi sono anche impegnato di dire il mio debole sentimento sopra le
Cadenze correnti, ed eccomi pronto colla solita protesta però di esporlo con
tutte le mie opinioni al Tribunale inappellabile dell' Intelligenza, e del Gusto,
affinchè come Sovrani Giudici della Professione, o condannino gli abusi delle
moderne Cadenze, o gl' inganni della mia mente.
Ogni Aria (per lo meno) ha tre Cadenze, che sono tutte e tre finali. Lo studio de'
Cantori d' oggidì (generalmente parlando) consiste nel terminar la Cadenza
della prima parte con un profluvio di Passaggi ad libitum, e che l' Orchestra
aspetti. In quella della seconda si multiplica la dose alle fauci, e l' Orchestra s'
annoja; Nel replicar poi l' ultima dell' Intercalare si da fuoco alla girandola di
Castel Sant' Angelo, e l' Orchestra tarocca. Ma perche mai assordare il Mondo
con tanti Passaggi? Io priego i Signori Moderni di perdonarmi la troppo ardita
libertà di dire in favor della Professione, Che il buon gusto non risiede nella
velocità continua d' una voce errante senza guida, [-82-] e senza fondamento,
ma nel cantabile, nella dolcezza del Portamento, nelle Appoggiature, nell' Arte,
e nell' Intelligenza de Passi, andando da una nota all' altra con singolari, e
inaspettati inganni con rubamento di Tempo, e sul MOTO de' Bassi, che sono le
qualità principali indispensabilmente essenzialissime per cantar bene, e che l'
umano ingegno non può trovar nelle loro capricciose Cadenze. Soggiugnerò,
che antichissimamente lo stile de' Vocalisti (secondo la relazione di chi m'
insegnò di solfeggiare) era insopportabile per motivo d' una quantità di
Passaggi nelle Cadenze che non finivano mai, come adesso, e che sempre
erano gl' istessi, quali appunto son' i presenti; Diventarono alla fin fine così
odiosi, che furono, come perturbatori dell' udito prima esiliati, che corretti; Così
anche succederà a questi al primo esempio d' un Cantore accreditato, che non
si lasci più sedurre dalle vane lodi popolari. Di quella correzione i Successori di
gran sfera se ne fecero una legge, che forse non sarebbe distrutta se fossero in
istato di farsi sentire, ma l' opulenza, le flussioni, l' età, e la morte han privato
chi vive di ciò, che nel Canto v' era di più mirabile; Ora i Cantori si ridono a
bocca aperta si della riforma, che [-83-] de' Riformatori de' Passaggi nelle
Cadenze, anzi coll' averli richiamati dal bando, e fatti comparir sù le Scene con
qualche caricatura di più, acciocchè passino nell' opinione de' gonzi per
invenzioni pellegrine, guadagnando somme immense d' oro, poco, o nulla
premendo loro se sieno stati abborriti, e detestati per dieci, o dodici Lustri, o da
cento Secoli. E chi può biasimarli? Ne l' invidia, nè la pazzia oserebbon di farlo.
Però se la Ragione, che non è invida, nè folle li chiamasse alle segrete
confidenze del cuore, e all' orecchio lor dicesse: Con qual ingiusto pretesto
potete voi usurparvi il nome di Moderni se cantate all' antichissima? Credete
forse, che il flusso della vostra gorga sia quello che vi produca richezze, e lodi?
Disingannatevi, e ringraziate l' abbondanza de' Teatri, la penuria d' ottimi
Soggetti, e la stupidità di chi v' ascolta. Cosa risponderebbono? Nol sò.
Veniamo ancora a conti più stretti.
Signori Moderni, potete voi dir di non burlarvi frà voi altri, allorchè nelle
Cadenze ricorrete alla lunga filza de' vostri Passaggi per mendicare applausi
dalla cieca ignoranza? Voi chiamate quel ricorso col nome di Limosina
chiedendo come per carità quegli eviva, che conoscete di non meritar per [-
84-] giustizia, e in ricompensa mettete in derisione i vostri Fautori, quando non
hanno mani, piedi, nè voci, che bastino per lodarvi? Dov' è la buona legge, dov'
è la gratitudine? E se mai se n' accorgessero? Dileissimi Cantori, gli abusi delle
vostre Cadenze se vi sono utili, sono altrettanto perniziosi alla Professione, e
sono i maggiori che commettiate, perchè son fatti a sangue freddo sapendo d'
errare. A vostro vantaggio disingannatene il Mondo, ed impiegate in cose
degne di voi quel belissimo tallento, che Dio vi diede. Con più coraggio intanto
ritorno alle mie opinioni.
Diversi altri di quella sfera fanno le suddette Cadenze all' uso de Bassi, cioè di
quinta in giù con un Passaggio di note veloci cadendo di grado col supposto di
cantar bene, o di coprir l' ottave, però, benchè mascherate si fan conoscere, e
ne restano delusi.
In qualsivoglia Cadenza tengo ancora per infallibile, che i Professori primarj non
possano formare ne' Trilli, nè Passaggi sulle penultime sillabe di questi Vocaboli
verbi gratia Confonderò, Amerò eccetera poichè sono ornamenti, che non
convengono sù quelle sillabe che son brevi, ma bensì sù le loro antecedenti.
Sento, che tutti i Moderni (o amici, o inimici del trillo, che sieno) vanno alle
suddette Cadenze inferiori con una Appoggiatura alla nota finale sù la
penultima sillaba del vocabolo, e questo ancora mi sembra difetto, parendomi,
che in quella occasione l' Appoggiatura non sia gustosa, che sull' ultima sillaba
all' uso antico, o di chi sa cantare.
Se nelle stesse Cadenze di sotto i migliori Vocalisti d' oggi dì credono di non
errare, allorchè fanno sentire la nota finale prima del Basso, s' ingannano all'
ingrosso, perchè gli è error massimo, che ferisce l' orecchio, e i precetti, e che
diventa doppio andando, (come fanno) alla medesima nota coll' Appoggiatura,
la quale, o che ascenda, o discenda se non cade dopo del Basso è sempre
pessima.
E non sarà forse peggior d' ogni difetto il tormentare gli ascoltanti con mille
Cadenze [-87-] tutte fatte a un modo? Da che procede questa secca sterilità, se
ad ogni Professore è noto, che per farsi stimar cantando il mezzo più efficace è
la fertilità de' ripieghi?
Se frà tutte le Cadenze dell' Arie l' ultima concede qualche moderato arbitrio a
chi canta, acciò si conosca il fine delle medesime l' abuso è soffribile, ma si
cangia in abbominevole, quando un Cantore si mette di piè fermo co' suoi
nojosi gargarismi a nausear gl' intelligenti, che tanto più penano, quanto più
sanno, che i Compositori lasciano ordinariamente in ogni Cadenza finale
qualche nota, che basta ad un ornamento discreto, senza cercarlo fuor di
Tempo, senza gusto, senz' arte, e senza intendimento.
Stupor maggiore m' occupa assai più la mente se rifletto, che lo stile moderno
dopo di aver esposte tutte le Cadenze dell' Arie Teatrali al martirio d' un moto
perpetuo, abbia anche la crudeltà di condennare nella stessa pena non
solamente quelle delle Cantate, ma di non perdonarla nè meno alle Cadenze
de' loro Recitativi. Pretendono forse i Vocalisti col non distinguere la Camera
dalle smoderate gorghe della Scena d' esigere gli eviva plebei ne' Gabinetti
Reali? Povere note! Voi non siete più figure di [-88-] Musica, che se lo foste,
non senza ingiustizia sareste alienate dalla Sovranità delle Leggi.
Un' ottimo Scolaro ne fugga l' esempio, e coll' esempio gli abusi, i difetti, e
tutto ciò, che è dozzinale, e comune sì nelle Cadenze, che altrove.
Se l' inventar Cadenze particolari senza offesa del Tempo è stata una delle
degne occupazioni de' chiamati Antichi, chiunque studia la rimetta in uso,
proccurando d' imitarli nell' intelligenza di saper rubare un pò di Tempo
anticipato, e di ricordarsi, che i Conoscitori dell' artificio non aspettano di
ammirarne la bellezza nel silenzio de' Bassi.
Molti, e molt' altri errori odonsi nelle Cadenze i quali erano antichi, e son
diventati moderni; Furono ridicoli, e le sono; Onde considerando, che chi muta
stile non lo migliora, posso probabilmente conchiudere, Che il cattivo si
corregge dallo studio, e non dalla Moda.
ECco il Cantore in pubblico mediante gli effetti di quello studio a cui si applicò
nelle già scorse lezioni. Ma a che serve il farvisi vedere! Nel gran Teatro del
Mondo, Chi non rappresenta un degno Personaggio non fà altra figura, che di
vile comparsa.
Se tanti, e tanti non fossero persuasi d' aver abbastanza studiato non sarebbe
cosi rado il numero degli ottimi, nè così folto quello degl' infimi. Questi per dir a
mente quattro Kirie pensano d' esser arrivati al Non plus ultra; Se poi lor
presentate una Cantata facile, e ben copiata, allora in vece di soddisfare al
debito coll' impegno, vi diranno con impudente disinvoltura, [-90-] Che gli
Uomini grandi non sono obbligati di cantar volgare all' improvviso. E chi non
riderebbe! Quel Musico che sa, che le parole, o latine, o italiane che sieno, non
fanno cangiar forma alle note s' immagina subito, che il pronto ripiego di quell'
Uomo grande nasca dal non cantar franco, o dal non saper leggere, e l'
indovina.
Infiniti sono quegli altri, che sospirano il momento d' uscire dalle penose fatiche
de' primi studj per aver la sorte d' entrare nellla turba de' Mediocri; Quando poi
giungono con quel poco che sanno ad urtare per Divina Providenza in chi li
pasca, fanno immediatamente una bellissima riverenza alla Musica, nulla
curandosi, che il Mondo sappia se sieno, o non sieno frà viventi. Questi non
credono, che la Mediocrità in un Cantante significhi ignoranza.
Ve ne sono auche diversi, i quali non istudian altro, che i difetti, e sono dotati d'
una maravigliosa facilità d' impararli tutti, e d' una memoria profonda per non
dimenticarsene mai. Il loro genio è così inclinato al cattivo, che se dalla natura
hanno per sorte un' ottima voce, sono inconsolabili se non trovano l' arte di
farla diventar pessima.
Chi nutre però sentimenti migliori cercherà [-91-] una più nobile, e più ristretta
compagnia. Conoscerà il bisogno, che hà d' altri lumi, d' altri documenti, e d'
altro Maestro ancora. Da questo vorrà apprendere coll' arte di ben cantare
quella di saper vivere, che tutta consiste nelle belle convenienze della vita
civile. Unita, che questa sia al merito, che si farà nel Canto, allora ei potrà
sperare la grazia de' Monarchi, e la stima universale.
Ottima scuola è la Nobiltà da cui tanto s' impara, quanto è gentile; Ma siccome
non v' è regola senza eccezione, dove il Musico non trova il suo luogo se ne
discosti senza dolersene, perchè bastantemente parlerà per lui il suo ritiro.
I miei lunghi, e raddoppiati viaggi mi hanno dato campo di fermarmi poco men,
che in tutte le Corti d' Eurpoa, e gli esempli più che le mie parole dovrebbono
persuadere ogni buon Cantante di vederle sì, ma senza impegnare la libertà all'
inganno. Le catene benchè d' oro non lasciano d' esser catene, e non son tutte
di quel prezioso metallo; Oltre di che il pane che vi si tira co' denti (quando non
è di farina de' Padroni, e non si regala bene i loro Fornaj) ve lo impastano d' un
certo loglio, che lo fà parer bianco di fuori, ma dentro è cosi nero, che se non si
converte in veleno produce effetti di tanto pregiudicio, Che incanta chi lo
compra, accieca chi lo vende, chi lo mangia non istudia più, inganna chi lo
crede perpetuo, è poco cotto per la salute del corpo, e troppo crudo per quella
dell' anima.
Il Secolo della Musica sarebbe già finito se i Cigni non facessero il loro nido sù
qualche Teatro d' Italia, o sù le sponde Reali del gran Tamigi. O cara Londra! Sù
gli altri fiumi non cantano più come soleano con soave dolcezza la propria
morte, ma piangon [-93-] ben sì amaramente quella d' AUGUSTI, e adorabili
PRINCIPI, da' quali erano teneramente amati, e stimati. In oggi Alia res
Sceptrum, alia Plectrum. Questo è il solito corso dell' umane vicende, e per
divino Decreto giornalmente si vede, Che tutto ciò che quaggiù è in moto,
giunto che sia al sommo bisogna che per necessità declini. Lasciamo le lagrime
al cuore, e si parli di chi canta.
Questo s' egli è prudente non dovrà lasciar uscire dalla sua bocca senza motivo
di ragione quelle affettatissime parole, che disgustano, e sono tanto in uso,
cioè Oggi non posso cantare, son raffreddato morto, e nel dir Vostra Signoria
mi scusi, si tosse un poco. Potrei attestare, che nel lungo corso della mia vita
non ho potuto sentir mai da Vocalisti questa benedetta verità Oggi stò bene,
quantunque la sincerità gli obbligasse di pubblicarla; Riservano quella
intempestiva confessione pel giorno seguente, in cui non hanno poi alcuna
difficoltà di dire Non sono stato a miei dì così bene in voce come jeri; E' però
vero, che in certe congiunture non solo è compatibile, ma necessario il
pretesto, perchè a dirsela, l' indiscreta economia di taluno che vuol sentire la
Musica se gli costasse anche un vi ringrazio, arriva tant' [-94-] oltre, che crede
obbligati i Professori di servir subito gratis, e che il rifiuto sia un' ingiuriosa
offesa, che meriti odio, e vendetta. Ma se è legge Umana, e Divina, che ognuno
viva delle sue onorate fatiche, qual barbaro Istituto condanna i Musici a servir
senza mercede? O maledetta prepotenza! O sordida avarizia!
Chi canta per desiderio di farsi onore già canta bene, e canterà meglio col
tempo; E chi non pensa, che al guadagno impara la miglior lezione per essere
un povero ignorante.
Chi crederebbe mai (se la sperienza nol facesse vedere) che la più bella virtù
pregiudicasse un Cantore? E pur dove trionfa l' ambizione, o la superbia
(innoridisco a dirlo) l' adorabile umilità tanto più avvilisce quanto è più grande.
Parmi a prima vista, che la superbia con audace possesso usurpi il luogo all'
intelligenza, però se metto gli occhiali ci vedo l' ignoranza in maschera.
[-95-] La superbia altro non è, che un' artificio del corpo, gonfio dalla politica
per nascondere la debolezza dell' ingegno: Eccone l' esempio: Certi Cantanti
non sarebbono imperturbabili nella disgrazia di non poter dire all' improvviso
quattro note, se colla loro intumidita malizia non sapessero dar ad intendere al
pubblico a forza di strette di spalle, d' occhiate torbide, e di maligne voltate di
testa, che quegli errori massicci, ch' essi commettono sono dell' Organista, o
dell' Orchestra.
Chi s' insuperbisce a i primi applausi senza riflettere se vengono dalla sorte, o
dalla adulazione è pazzo; E se crede di meritarli ha finito.
Chi non regola la sua voce a misura del sito dove canta deve correggersi,
essendo grandissima balordagine di chi non distingue un vasto Teatro da un
Gabinetto angusto.
E' da biasimarsi assai più chi cantando a due, a tre, e a quattro copre la voce
de' Compagni, poichè se non è ignoranza è qualche cosa peggiore.
Tutte le composizioni a più voci devono [-96-] cantarsi come stanno, nè voglion
altr' arte, che semplice, e nobile. Mi sovviene, o mi sognai d' aver sentito un
famoso Duetto messo in pezzi minuti da due Professori di grido, impegnati
dalla emulazione a proporre, e vicendevolmente a rispondersi, che in fine
terminò in una gara a chi faceva più spropositi.
Chiunque canta tenga per indubitato, che gli errori corretti dagl' inimici sono
così ben purgati, che non lasciano segno alcuno, e tosto si dileguano dalla
vista, e dalla memoria; Ma gli emendati da se, o si fanno incurabili, o restano
cicatrici perpetue, che minacciano ad ogni momento di riaprirsi.
Chi canta con applauso in un luogo solo non formi gran concetto del suo
sapere; Cangi più volte Clima, e allora con discernimento migliore conoscerà
sin dove arriva il suo talento.
Per piacere universalmente la ragion dice che si deve cantar sempre bene; e s'
ella [-97-] tace, l' utile con forti espressioni esorterà d' unirsi al gusto (purche
non sia depravato) di quella Nazione che ascolta, e spende.
Se dissi che un Cantante non deve più copiare, ora lo replico colla ragione
appresso: Il copiare è da Scolaro, e l' inventar è da Maestro.
Chi canta sovvengasi, che l' oziosa pigrizia è quella che copia, e non si copia
male, che dall' ignoranza.
Prima, che l' intelligenza collo studio faccia un bravo Cantore, l' ignoranza con
una copia sola ne fa mille cattivi; Però frà questi non v' è chi la riconosca per
Precettrice.
Se tante e tante Cantatrici (trà le quali rispetto chi devo) si accorgessero, che
per copiarne una buona sono diventate pessime, [-98-] non si farebbono
ridicolosissimamente burlar su Teatri colle loro affettazioni presumendo di
cantar le Arie della medesima cogli stessi passi. Il loro inganno è così grande
(quando non fosse de' loro Maestri) che si lascian più tosto guidare dall' istinto
delle pecore, e delle grue, che dalla ragione, poichè questa fà vedere, che per
strade diverse si cammina agli applausi, e cogli esempli passati, e presenti fà
anche in oggi sentire, che due Donne non sarebbono egualmente sublimi se
una copiasse l' altra.
Se la convenienza, che si deve al bel Sesso non gli perdona l' abuso di copiare
allorchè pregiudica alla Professione, cosa dovrà dirsi mai della debolezza di
que' Vocalisti, che in vece d' inventare copiano non solo le Arie intere degli
Uomini, ma anche quelle delle Femmine? O gran cecità che toglie il lume al
buon senso! Supposto un' impossibile, cioè, che un Cantante arrivasse a
copiare in maniera, che non si conoscesse l' originale, crederebb' egli forse di
poter attribuirsi un merito che non è suo, e di star sulle gale cogli abiti altrui
senza temer di restare ignudo?
Chi sa copiare nella Musica non piglia altro che il Disegno, perchè quell'
ornamento che si considera con ammirazione [-99-] sinchè gli è naturale, perde
immediatamente la sua bellezza se gli è artificiale.
L' artificio più degno d' un Professore deve imitarsi, e non copiarsi; A
condizione ancora che non somigli nè men per ombra all' originale, altramente
in vece d' una bella imitazione diventa una copiaccia.
Non so decidere se sia più da sprezzarsi chi non può imitar senza caricature chi
canta bene, o chi non imita bene se non chi canta male.
Se molti Cantori sapessero, che la cattiva imitazione è un mal contaggioso, che
non si attacca a chi studia, il Mondo non sarebbe ridotto all infelicità di non
poter vedere in un Carnovale altro che un Teatro provvisto d' ottimi Soggetti
senza speranza di vicino rimedio. Suo danno; Impari di lodare il merito, e di non
confettar il biasimo, per servirmi d' un vocabolo modesto.
O gran Maestro è il Cuore! Ditelo voi Cantori amatissimi, e dite per obbligo di
gratitudine, Che non sareste i primarj della Professione se non foste suoi
Scolari: Dite, Che in poche lezioni ei v' insegnò l' espressiva più bella, il gusto
più fino, l' azione più nobile, e l' artificio più ingegnoso: Dite (benchè non sia
credibile) Che corregge i difetti della natura, poichè raddolcisce la voce aspra,
migliora la mediocre, e perfeziona la buona: Dite, che quando canta il cuore voi
non potete mentire, nè la verità ha maggior forza di persuadere: E pubblicate
in fine (giacchè non posso dirlo io) Che da lui solo imparaste quel non sò che d'
ignoto soave che sottilmente passa di vena in vena, e trova l' anima.
Ancorchè la strada del cuore sia lunga, scabrosa, e cognita a pochi, nondimeno
le sue difficultose opposizioni non sono insuperabili da chi non si stanca di
studiare.
Il primo Vocalista del Mondo studia sempre, e tanto studia per mantenersi il
concetto quanto facea per acquistarselo.
Per arrivare a quel glorioso fine ognun sa [-101-] che non v' è altro mezzo che
lo studio, ma non basta; Bisogna anche saper come, e da chi si deve studiare.
A molti parrà, che ogni perfetto Vocalista debba essere perfetto Insegnatore
ancora, e non è così, imperciocchè quel suo intendimento (quantunque grande)
è insuffistente se non è accompagnato da una facile comunicativa, da un
metodo addossato all' abilità di chi cerca d' imparare, da qualche cognizione di
Contrappunto, dall' istruire in modo che non si conosca la lezione, e dall'
ingegnoso talento di scoprire il forte, e di coprir il debole di chi canta, che sono
i principali, e i più necessarj insegnamenti.
Un Maestro che le suddette qualità possegga può insegnare. Con esse invita il
desiderio allo studio: Colle ragioni corregge gli errori: E cogli esempli incita il
gusto ad imitarlo.
Ei sa, che tanto dispiace la sterilità degli ornamenti quanto l' abbondanza, non
ignorando, [-103-] che un Cantore fà languir col poco, ed annoja col troppo;
Anzi di questi due difetti odierà più il primo, benchè offenda meno, essendo più
facile il secondo ad emendarsi.
Non avrà stima alcuna di chi non ha migliore artificio, che i Passaggi di grado, e
dirà, che abbellimenti di quella fatta, che con giusta comparazione chiamansi
Razzi sono per i Principianti.
Lo stesso farà di chi pensa di far isvenire gli ascoltanti con nna languidezza,
passando di sua invenzione dalla terza maggiore del Basso alla minore.
Dirà, che quel Cantante è fiacco, quando insegna in Teatro di sera in sera tutte
le sue Arie all' Udienza, che per sentirle sempre senza la minima variazione non
ha difficoltà d' impararle a mente.
Lo spaventerà l' ardito coraggio di chi troppo s' ingolfa con poca pratica, e
meno studio di Nautica musicale, poichè all' oscurarsi dell' aria perde la
tramontana, e lontano dal Porto chiede ajuto per salvarsi, correndo
grandissimo pericolo di naufragare se non è soccorso.
Non loderà chi presume di cantar due terzi d' Opera da se con ferma promessa
di non istufar mai, come se gli fosse concesso [-104-] quaggiù il privilegio
divino di piacer sempre. Quello non sa i primi principj della canora politica, ma
glie l' insegnerà il tempo. Chi canta poco, e bene, canta benissimo.
Non sentirà senza nausea l' inventato stile emetico di chi canta a onda di Mare
provocando le note innocenti con villane spinte di voce; Difetto disgustoso, e
incivile, però essendo venuto anch' esso di là da Monti passa per rarità
moderna.
Si stupirà del Secolo incantato in cui molti, e molte si fanno pagar bene per
cantar male. Se la Moda avesse buona memoria non avrebbe forse piacer di
ricordarsi, che vent' anni sono chi cantava mediocremente rappresentava su'
Teatri di secondo rango un misero Personaggio, e in oggi gl' imboccati come i
Papagalli tesorizzano su i primi.
Biasimerà assai più l' ignoranza negli Uomini per l' obbligo, che hanno di
studiar più delle Donne.
[-105-] Non soffrirà chi a distruzione del Tempo cerca d' imitarle per acquistarsi
il nome di Moderno.
Gli dispiacerà l' imprudenza di chi fa tradurre in latino le parole dell' Arie più
lubriche del Teatro per cantare l' istessa Musica con applauso in Chiesa, come
se tra l' uno, e l' altro stile non vi fosse differenza alcuna, e convenissero a Dio
gli avanzi delle Scene.
Cosa non dirà egli di chi ha trovato l' artificio prodigioso di cantar come i grilli?
Chi si sarebbe mai sognato prima della Moda, che dieci, o dodici crome in fila si
potessero [-106-] tritolare a una a una con un certo tremor di voce, che passa
da poco tempo in quà sotto nome di Mordente fresco?
Più forte impulso però lo sforzerà a detestar l' invenzione di rider cantando, o di
cantar come le galline quando han fatto l' uovo. Vi saranno altri animalucci
degni d' essere imitati per metter sempre più in ridicolo la Professione?
Non potrà tollerare la vanità di quel Cantante, che pieno di se stesso per quel
poco, che imparò s' ascolta con tanto diletto, come se andasse in estasi.
Idolatra di se medesimo, e tiranno d' intenzione con tutto il Genere Umano
pretende d' impor silenzio, e maraviglia, e che la sua prima nota dica all'
Udienza Ascolta, e muori; Questa, che vuol vivere senza curarsi di sentirlo parla
forte, e forse poco ben di lui. Cresce intanto alla second' Aria il tumulto, che
finalmente diventando maggiore alla terza ei se lo figura [-107-] un torto
manifesto, e in vece di gastigare la sua mal concepita ostentazione collo studio
maledice il gusto depravato di quella Nazione, che non lo stima, e
minacciandola di non tornarvi mai più, l' orgoglioso se ne consola.
Con simile derisione osserverà cert' altri, che con una umiltà peggior della
superbia vanno di palchetto in palchetto raccogliendo le lodi più illustri sotto
pretesto di profondo ossequio, e la sera seguente diventano più famigliari, che
l' Epistole di Cicerone. L' umiltà, e la modestia sono le più belle virtù dell'
animo, ma però se non sono accompagnate da un pò di decoro si assomigliano
all' ipocrisia.
Non formerà gran concetto di chi non si contenta della Parte, e non l' impara
mai: Di chi non canta senza inchiudere in ogni Opera un' Aria, che porta
sempre in tasca: Di chi regala il Maestro per aver un' Aria composta per un'
altro: Di chi studia una quantità di cose inutili, e trascura le più importanti: Di
chi a forza di raccomandazioni [-108-] ingiuste si fa burlar col Prorettore: Di chi
non distende la voce in odio del patetico: Di chi galoppa per seguir la Moda: e
di tutti i più cattivi Vocalisti, perchè son quegli appunto, che la corteggiano
(non conoscendo il forte) per impararne il debole.
Non troverà in somma degno di merito, che quel Cantore corretto, che
eseguisce con abbondanza di ripieghi particolari ciò, che gli detta l' intelligenza
all' improvviso, sapendo, che un Professore di primo grido non può (benchè
volesse) replicar un' Aria cogli stessi Passi. Chi canta premeditato già studiò la
sua lezione a Casa.
Dopo d' aver emendati diversi altri abusi, e difetti in vantaggio di chi canta, egli
ritornerà con più forti ragioni a persuaderlo di ricorrere alle regole
fondamentali, acciò gl' insegnino d' operare sul Basso andando con sicuri, e
misurati passi da un intervallo all' altro senza timor di cadere. Se poi il
Cantante gli dicesse, Signore voi vi affaticate indarno; La cognizione degli errori
non basta, ho bisogno d' altri documenti, che di parole, e non so dove impararli
orchè l' Italia mi sembra scarsa di buoni Istruttori; Allora strignendosi nelle
spalle, più co' sospiri, che colla voce gli risponderà; Che [-109-] se per l'
avvenire i Vocalisti non bevessero la Musica col latte, o non fossero innestati
come i virgulti ei proccuri d' apprenderli da i migliori, che cantano (tra' quali vi
è sempre il più cospicuo) osservando specialmente due Donne di merito
superiore ad ogni lode, che ajutano anch' esse a sostener in oggi con forza
eguale, e con differente stile la vacillante Professione, affinchè dalla decadenza
non vada si tosto in rovina. Una è inimitabile per privilegato dono di cantare, e
d' incantar il Mondo con una prodigiosa felicità di eseguire, e con un certo
brillante singolare, e gustoso che inventato (non sò se dalla natura, o dall' arte)
piace in eccesso. La nobiltà del cantabile amoroso dell' altra unita alla dolcezza
d' una bellissima voce, ad una perfetta intonazione, al rigor di Tempo, e alle
produzioni pellegrine dell' ingegno sono doti così particolari quanto difficili ad
imitarsi. Il patetico di questa, e l' allegro di quella sono le qualità più mirabili sì
nell' una che nell' altra. Che bel misto si farebbe, se l' ottimo di queste due
angeliche Creature potesse unirvi in un' oggetto solo! Ma non perdiamo di vista
il Maestro.
Questi intanto continuerà col suo zelo, e con evidenze infallibili a far conoscere,
che [-110-] l' artificio d' un Professore non è mai più grato, che quando inganna
gl' ascoltanti con dolcissime sorprese; Onde lo consiglierà di ricorrere ad una
simulata innocenza, che faccia credere, che tutto lo studio in quella sua
candida purità consista.
Allor poi che l' Udienza non spera di sentir altro (e per così dire) s' addormenta,
in quello stesso momento lo esorterà di svegliarla con un Passo.
Desta che sia, gli ordinerà di ritornare alla sua finta semplicità, ancorchè non
sia più capace di deluder chi l' ode, poichè con impazienza curiosa gia aspetta
il secondo, e di mano in mano gli altri.
Lo istruirà con un' ampia, e necessaria descrizione della quantità e qualità de'
Passi per provvederlo di lumi, di regole, e di profitto.
Quì dovrei inveire (non però quanto bastasse) contra l' infedeltà della mia
memoria, che non ha saputo conservar vive, come dovea, tutte quelle preziose
prerogative, che un Valentuomo simile mi scoprì ne' Passi, e mi riduce l' ingrata
con sommo mio rammarico, e forse con pregiudizio altrui, alla mortificazione di
non poter pubblicar che queste poche che mi sono restate impresse (misero
avanzo) che anderò quì notando.
ESsendo il Passo il più lodevol parto di chi sa cantare, e la delizia più cara di chi
lo conosce, è d' uopo, che la mente d' un Cantore sia tutta intenta ad imparar l'
arte di produrlo.
Sappia, che cinque sono le qualità principali, che unite insieme lo formano
mirabilmente perfetto, e sono Intelligenza, Invenzione, Tempo, Artificio, e
Gusto.
Che ammaestrato da rigorosi, ma degni [-112-] precetti del TEMPO non può
uscir mai dalle sue regolate misure senza perdere la propria estimazione.
Che guidato dal più finito ARTIFICIO sul Basso ivi (e non altrove) ei trova il suo
centro; Ivi scherza con diletto, e innaspettato innamora.
Che non è concesso, che alla esquisitezza del GUSTO più fino il piacere
immenso d' accompagnarlo sempre con quel soave Portamento di voce, che
incanta.
Dalle qualità accessorie s' impara.
Che il Passo sia facile in apparenza, acciò universalmente alletti.
Che sia difficile in sostanza, affinchè si ammiri l' intendimento dell' Inventore.
Che sia egualmente eseguito dall' espressiva delle parole, che dall' arte.
Che sia scivolato, o strascinato nel patetico, perchè faccia miglior effetto, che
battuto.
Che non sia conosciuto per istudiato se pretende di non esser negletto.
Che sia raddolcito col piano nel patetico, e sarà più gustoso.
Che nell' allegro sia accompagnato talvolta dal forte, e dal piano così, che
venga [-113-] a formare una specie di chiaroscuro.
Che sia ristretto in poche note aggruppate, acciocchè piaccia più che vagante.
Che in sito spazioso di Tempo sia propagato in molti (se lo consente il Basso)
con obbligo al Cantore di sostener l' impegno del primo motivo, affinchè la sua
capacità sia palese.
Che sia ben situato, altramente fuor del suo nicchio disgusta.
Che sia piuttosto lontano dagli altri Passi che vicino, se vuol esser distinto.
Che sia prodotto più dal cuore, che dalla voce per insinuarsi più facilmente nell'
interno.
Che non sia eseguito su la seconda, e quarta vocale quando vanno pronunziate
strette, e molto meno su la terza, e quinta.
Che non sia replicato mai nel medesimo luogo, particolarmente nell' Arie
patetiche, poichè sono le più osservate dagl' intendenti.
Quando sul movimento eguale d' un Basso, che lento cammini di croma in
croma un Vocalista mette la prima voce sugli acuti strascinandola dolcemente
al grave col forte, e col piano quasi sempre di grado con disuguaglianza di
moto, cioè fermandosi più su qualche corda di mezzo, che su quelle che
principiano, o finiscono lo strascino, ogni buon Musico crede per indubitato, che
nell' arte migliore del Canto non vi sia invenzione, nè studio più atto a toccar il
cuore di questo, purchè sia però formato dalla intelligenza, e dal Portamento di
voce sul Tempo, e sul Basso. Chi ha maggior dilatazione di corde ha più
vantaggio, [-115-] poichè questo vago ornamento tanto più è mirabile quanto
più grande è la sua caduta. In bocca d' un famoso Soprano, che se ne serva di
rado diventa un prodigio; Ma se tanto piace allorchè discende, altrettanto
dispiacerebbe ascendendo.
Se poi le mie esortazioni, legitime figlie del zelo, non avessero appresso di voi
credito alcuno sul riflesso, che i consigli degl' inferiori non si ascoltano,
sappiate, che chi ha facoltà di pensare può una volta in sessant' anni pensar
bene. E quando mai v' immaginaste, che fossero troppo parziali de' tempi
andati, allora (purchè non vi tremasse [-116-] la mano) vi persuaderei di pesare
con giusta lance i vostri più rinomati Vocalisti (che stimate moderni, e non lo
sono, che nelle Cadenze) e disingannati scorgereste in essi, in vece d'
affettazioni, d' abusi, e d' errori, che cantano secondo que' forti insegnamenti,
che guidano il diletto nel più interno dell' animo, e che il mio cuor pensava d'
aver già messo nel numero delle sue felici memorie. Consultateli come ho fatt'
io, e colla verita sul labbro apertamente vi diranno, Che vendono le loro gioje
dove son conosciute: Che la Moda non è fra gli Uomini distinti; E che in oggi si
canta male.
Pochi sì, ma degnissimi Cantori abbiamo anche adesso i quali passato, che sia il
bollore della loro gioventù insegneranno per obbligo di conservare alla bella
Professione il suo splendore, e per lasciare a' posteri un' eterna, e gloriosa
fama delle loro fatiche. Io ve li mostro a dito, affinchè errando non vi manchi,
nè modo di correggervi, nè fortuna di sentire in ogni lezione un' Oracolo. Dal
che ho giusto motivo di sperare, che il vero buon gusto nel Canto non debba
finir, che col Mondo.
Chiunque arriva a comprendere ciò, che gli è stato da queste, e da molt' altre
Osservazioni dimostrato non ha più bisogno di stimolo [-117-] per istudiare.
Sollecitato dal desiderio corre all' amato Strumento, indi a forza d' applicazione
capisce, che di tutto quello, che imparò non ha ragione di soddisfarsi. Fa nuove
scoperte inventando Passi, fra' quali dopo severe, e ben ponderate
comparazioni sceglie il migliore, di cui se ne compiace finchè per tale lo
considera; Ma va tanto raffinando l ingegno, che ne trova diversi sempre più
meritevoli del suo affetto, e della sua stima; Passa da questi, in conclusione, ad
un numero poco men, che infinito di Passi mediante i quali egli apre la mente
in modo, che i tesori più reconditi dell' artificio, e più lontani dalla sua
immaginazione se gli presentano così volontarj, che se la superbia non lo
accieca, se lo studio non lo annoja, e se la memoria non lo tradisce accrescerà
ornamenti al Canto con un metodo che sarà suo, che è l unico oggetto di chi
cerca i maggiori applausi.
Uditemi finalmente per vostro profitto, o giovani Cantanti. Gli abusi, i difetti, e
gli errori da me divolgati in queste Osservazioni, e ingiustamente addossati al
moderno Stile erano quasi tutti miei, e perchè erano miei non era facile, che li
potessi conoscere sul fior di quegli anni, in cui la mia cieca opinione con tiranna
potenza mi faceva credere [-118-] d' essere un' Uomo insigne. In età poi
matura il pigro disinganno arriva troppo tardi. Sò d' aver cantato male, e
piaccia a Dio ch' io non abbia scritto peggio; Ma giacchè l' ignoranza mi serve
di danno, e di pena, sia almeno d' esempio, e d' emenda a chi pensa di cantar
bene. Chi studia imiti l' Ape ingegnosa, che da i fiori più grati ne fugge il miele.
Da i nominati Antichi, e da i creduti Moderni (gia 'l dissi) v' è di che imparare;
Basta trovar il fiore, e saperlo ben distillare per ricavarne l' essenza.
I consigli più cordiali, e non meno profittevoli ch' io possa darvi sono questi:
Sovvengavi di chi saggiamente disse, che il merito mediocre, che nasce è una
ecclisse, che non oscura che per pochi momenti il sublime, che s' invecchia, e
invecchiato non muore.
Abborrite gli esempli di chi odia la correzione, perchè costei fà come il lampo a
chi cammina al bujo, spaventa, ma fa lume.
E studiate negli errori altrui: Oh gran lezione! Costa poco, insegna molto, da
tutti s' impara, e il più ignorante è il più gran Maestro.
IL FINE.