Come Vivere Più A Lungo e Sentirsi Meglio (Vitamina C) - Linus Pauling
Come Vivere Più A Lungo e Sentirsi Meglio (Vitamina C) - Linus Pauling
Come Vivere Più A Lungo e Sentirsi Meglio (Vitamina C) - Linus Pauling
PAULING
PREMIO NOBEL PER LA CHIMICA
PREMIO NOBEL PER LA PACE
Traduzione di Carla Sborgi e
Nicoletta Della Casa
A cura di re d./studio redazionale, Como
How to Live Longer and Feel Better
First published in the Unite d States
By W.H. Freeman and Company,
New York, New York and Oxford.
Copyright 1986 by W.H. Freeman and Company
All rights reserved
Sull'autore
Bibliografia
Indice analitico
Introduzione
Il regime
1
Cibi sani per una vita sana
1 UI equivale a Unità Internazionale: corrisponde alla quantità di una vitamina, o altra sostanza, spe-
cificata secondo una convenzione internazionale adottata dall'Organizzazione M ondiale della Sanità.
vostre possibilità.
10. Bevete alcolici con moderazione.
11. NON FUMAT E SIGARETT E!
12. Evitate ogni forma di stress; fate possibilmente un lavoro che vi piace e
cercate di essere felici in famiglia.
La caratteristica principale di questo regime è l'apporto di vitamine. È facile
abituarsi ad assumere quotidianamente vitamine ed è importante farlo.
Il grande vantaggio di questo regime, rispetto ad altri metodi proposti per
prolungare la vita e migliorare la salute, è che esso è basato soprattutto sulla
nuova scienza dell'alimentazione. La grande differenza fra la vecchia scienza
dell'alimentazione e la nuova sta nel fatto che quest'ultima ha riconosciuto che
le vitamine, prese in dosi ottimali, hanno un valore di gran lunga maggiore di
quando sono ingerite nelle piccole quantità usualmente raccomandate (vedi il-
lustrazione a pagina 14). Inoltre, con l'assunzione ottimale di vitamine supple-
mentari non c'è più bisogno di seguire altre misure dietetiche, come il diminui-
re l'apporto di grassi animali o il non mangiare uova. Il regime che suggerisco
si può seguire senza sforzo, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Se fosse gra-
voso e sgradevole non sarebbe seguito mai da molti. La qualità della vita si in -
nalza anche quando ci si libera dalle restrizioni dietetiche.
Nella tabella di pagina 14 sono indicate le Razioni Giornaliere Raccomand-
ate (RGR). Queste razioni, stabilite dal Food and Nutrition Board (Comitato
per l'Alimentazione e la Nutrizione) dell'Accademia Nazionale delle Scienze
degli Stati Uniti, specifica per i maschi adulti un elenco di alimenti necessari a
prevenire malattie da carenze alimentari. La lista include quattro macronutritivi
(l'acqua, i carboidrati, i grassi e le proteine) e ventiquattro micronutritivi da
ingerire giornalmente attraverso il cibo o i supplementi. L'RGR per le vitamine
non copre la dose ottimale necessaria per uno stato di salute ottimale. Altri
nutritivi, non enumerati qui, sono gli acidi grassi essenziali, l'acido para-
aminobenzoico (APAB), la colina, la vitamina D, la vitamina K, il selenio, il
cromo, il manganese, il cobalto, il nichel, lo zinco, il molibdeno, il vanadio, lo
stagno e il silicio.
La scoperta delle vitamine, avvenuta tre quarti di secolo fa, e il riconosci-
mento che esse sono elementi essenziali per una dieta sana, fu uno dei contri-
buti più importanti per la salute. Di uguale importanza fu il riconoscimento, av-
venuto circa venti anni fa, che l'assunzione ottimale di molte vitamine, netta-
mente superiore a quella generalmente raccomandata, conduce a un ulteriore
miglioramento della salute, a una maggior protezione contro molte malattie e
costituisce un valido contributo nella terapia convenzionale delle varie malat-
tie.
La vitamina C e le altre vitamine funzionano principalmente rafforzando i
naturali meccanismi di difesa di cui è provvisto il corpo umano, in particolar
modo il sistema immunitario, e nell'aumentare l'efficacia degli enzimi nel cata-
lizzare le reazioni biochimiche.
Le quantità giornaliere ottimali di vitamine sono di gran lunga superiori a
quelle che si possono trovare nel cibo, anche se si selezionano gli alimenti in
base al loro alto contenuto vitaminico. L'unico modo per fornire le quantità di
vitamine che possano consentire il migliore stato di salute è di prenderne delle
dosi supplementari. Per esempio, per raggiungere i 18 g. di vitamina C che
prendo personalmente ogni giorno, dovrei bere più di duecento grandi bicchieri
di succo d'arancia.
Per assicurarmi le dosi raccomandate di vitamine e minerali supplementari,
riportate nella tabella alla pagina seguente, prendo soltanto quattro pastiglie al
giorno.
La vitamina C può anche essere presa sotto forma di ascorbato di sodio o
ascorbato di calcio. Se mi sento stanco sul finire della giornata, o se mi sembra
di essere stato esposto al virus del raffreddore, ne prendo alcune pastiglie da 1
g.
Fra l'altro, questi supplementi vitaminici e minerali, che possono essere de-
terminanti per il passaggio da una condizione di salute comunemente mediocre
a uno stato di salute veramente buono, vengono a costare davvero poco.
Una delle caratteristiche degli esseri umani è la loro capacità di produrre la-
voro; essi sono anche in grado di mantenersi caldi pur trovandosi in un am-
biente freddo. È necessaria una fonte di energia per produrre lavoro e mante-
nersi caldi.
Molte delle sostanze che costituiscono i nostri cibi e che entrano nel circolo
sanguigno (i grassi, gli aminoacidi, i carboidrati) vengono bruciate nelle cellule
dei nostri tessuti per fornire energia necessaria alle varie reazioni biochimiche,
incluse quelle dei nostri muscoli, che ci consentono di eseguire un lavoro fisic -
o, e quelle che generano l'energia calorica che ci tiene caldi. Questo processo
di combustione consiste nella combinazione, per mezzo degli enzimi catalizza -
tori, delle molecole di combustibile con quelle di ossigeno distribuite dal san-
gue in tutto il corpo. Gli atomi di idrogeno bruciano in acqua, H2O, e gli atomi
di carbonio nell'anidride carbonica, CO2 che è trasportata ai polmoni e quindi
espirata. Gli atomi di azoto formano l'urea, H4N2 CO, che viene espulsa attra-
verso le urine.
La quantità media di energia ottenuta tramite il cibo e richie sta dall'organi-
smo varia dalle 2000 alle 3500 kcal al giorno per gli uomini e dalle 1600 alle
2400 kcal per le donne. Il fabbisogno dei giovani è maggiore rispetto a quello
degli anziani. La media giornaliera è di 2500 kcal. Questa quantità di energia
potrebbe riscaldare una vasca da bagno della capacità di circa 85 l. colma d'ac-
qua, portandola da 10 a 38 C°. Se tutta questa energia potesse essere tramutata
in lavoro, con essa si potrebbe sollevare un peso di circa 630 kg. fin sulla cima
di una montagna alta 1600 m. Si può così capire come si necessiti di maggiori
quantità di cibo in inverno piuttosto che in estate, e nei climi freddi rispetto a
quelli caldi e che un lavoro fisico pesante o esercizi sportivi assai impegnativi
aumentino il fabbisogno di cibo.
Il concetto di energia alimentare fu scoperto nel 1842 da un giovane medico
tedesco, J. R. Mayer (1814-1878). Egli era medico di bordo su una nave olan-
dese diretta a Giava e si domandava perché i marinai, che facevano ogni giorno
lo stesso lavoro, mangiassero di meno sull'Oceano Indiano che sul Mare del
Nord e perché i marinai che si affaticavano tanto mangiavano più degli ufficia -
li. Dedusse che il cibo che una persona ingerisce fornisce una certa quantità di
energia che può essere usata per produrre calore o lavoro. Nello stesso tempo,
il fisico inglese J. P. Joule conduceva esperimenti (pubblicati nel 1843) per de-
terminare la relazione fra il lavoro e il calore. Questi due encomiabili scienziati
scoprirono l'importanza della legge fisica chiamata «legge di conservazione
dell'energia».
I valori energetici del cibo si possono determinare bruciando una quantità
di cibo esattamente pesato e misurando la quantità di calore così prodotta. È
utile dare i valori per la quantità standard di 100 g. di cibo. Le quantità di ener -
gia prodotta sono di 900 kcal per 100 g. di grassi, 415 kcal per 100 g. di amido
e circa 430 kcal per 100 g. di proteine. I valori per gli zuccheri sono legger-
mente inferiori rispetto a quelli per l'amido: 395 kcal per 100 g. di saccarosio,
lattosio (zucchero del latte) o maltosio (zucchero di malto, un disaccaride otte-
nuto dall'amido per azione di un enzima), e 375 kcal per 200 g. di glucosio o di
fruttosio.
Una dieta ideale dovrebbe comprendere il 30 per cento di grassi, il 12 per
cento di proteine e il 58 per cento di carboidrati.
Parte delle ragioni per cui si raccomanda questa percentuale di grassi consi-
ste nel nostro bisogno di acidi grassi essenziali, che ricaviamo quasi interamen-
te dal cibo che mangiamo.
Una dieta dove il 10 per cento dell'energia fosse fornita dalle proteine e che
assicurasse l'apporto di 2500 kcal, richiederebbe il consumo di 58 g. di protei-
ne. Per mantenere l'assunzione delle proteine a questo livello e non oltrepassar-
lo, è necessario che l'ingestione di carne e di pesce sia limitata. 225 g. di carne
di manzo forniscono più di 58 g. di proteine e non consentono di introdurre al-
tri cibi proteici. Un uovo ne fornisce 6 g.; un bicchiere di latte 8 g.; una fetta di
pane 3 g.; una porzione di patate, di fagiolini o di altre verdure, dai 2 ai 6 g.;
una prima colazione a base di cereali dai 4 agli 8 g. Agnello, maiale e pesce
contengono dal 15 al 20 per cento di proteine, il manzo circa il 30 per cento.
L'assunzione di carne e pesce dovrebbe limitarsi a circa a 120 g. al giorno.
Probabilmente il maggior beneficio offerto da questa dieta ideale consiste
nella riduzione degli zuccheri, in particolare del saccarosio, zucchero comune,
come si vedrà al capitolo seguente.
Grande interesse per il valore della carne nella dieta derivò, circa cinquan-
t’anni fa, dalle osservazioni fatte dall'esploratore artico V. Stefansson. Nato nel
1879 nel Manitoba, in Canada, da genitori islandesi, all'età di un anno o due,
Stefansson stesso, insieme con i suoi genitori, si nutrì principalmente di pesce
per un anno intero, a causa di una carestia che imperversava nella zona. Dopo
essersi laureato all'università dello Iowa, aver studiato antropologia per tre anni
ad Harvard e aver compiuto due spedizioni archeologiche in Islanda, lo studio-
so dette inizio alla sua ricerca artica nel 1905. Visse tra gli eschimesi per un
anno, imparando la loro lingua e la loro cultura, e giunse alla conclusione che
con la loro dieta, composta di sola carne consumata alla loro maniera, ci si po-
teva mantenere in uno stato di salute ragionevolmente buono.
Entro il 1926, aveva vissuto per un totale di nove anni (sugli undici e mez-
zo che aveva trascorso nelle regioni artiche) seguendo una dieta basata quasi
esclusivamente sulla carne. Il periodo più lungo in cui non mangiò altro che
carne durò nove mesi. Uno studio fatto su di lui nel 1922, quando egli aveva
quarantatre anni, dimostrò che si trovava nello stato di salute tipico di un
uomo della sua età (Lieb, 1926); per esempio, la sua pressione sanguigna era di
115/55. Morì a ottantadue anni.
A causa di ciò che aveva affermato Stefansson, e cioè che era possibile
mantenersi sani seguendo una dieta basata esclusivamente sulla carne, venne
eseguito un esperimento, accuratamente pianificato, su di lui e un altro esplora-
tore artico; l'esperimento ebbe inizio nel 1927. Per un anno i due uomini non
mangiarono altro che carne (manzo, agnello, vitello, pollo, porzioni abbondanti
o scarse, e anche, alle volte, fegato, rognone, cervella, bacon e midollo). Ste-
fansson mangiava anche uova, burro e pesce, se aveva difficoltà a trovare della
carne quando viaggiava. La carne era solitamente bollita o stufata, ma entrambi
mangiarono anche del midollo crudo. Non bevevano latte. Si fermarono in un
ospedale sotto osservazione per i primi sei mesi, quindi ripresero le loro nor-
mali attività, attenendosi tuttavia sempre alla dieta stabilita. Riferirono che non
desideravano affatto altri cibi. Si lamentavano, tuttavia, perché il montone bol-
lito non era così buono come il bue muschiato, il caribù, o la pecora di montag-
na, particolare descritto nell'autobiografia di Stefansson, Discover (Alla sco-
perta) del 1962.
Essi furono esaminati per tutto l'anno e si giunse alla conclusione che la
loro salute era buona alla fine dell'anno tanto quanto lo era stata all'inizio.
La dieta comprendeva circa 230 g. di grassi, 120 g. di proteine e da 5 a 10
g. soltanto di carboidrati al giorno. L'alta assunzione di grassi animali non sem-
brò danneggiarli (Torry e Montu, 1931).
La loro tolleranza al glucosio era bassa al termine dell'anno, ma tornò nor-
male dopo due settimane di dieta mista. È notevole il fatto che essi non denun-
ciarono malattie da deficienza vitaminica nel seguire una dieta basata esclusi-
vamente sulla carne. Presumibilmente, la carne fresca contiene una quantità
minima di vitamina C e altre vitamine. Stefansson riferì (1918) che tre dei di-
ciassette membri della Spedizione Artica Canadese soffrirono di scorbuto du-
rante l'inverno del 1916-17. Essi avevano mangiato del cibo conservato, abban-
donato da una precedente spedizione. Presero così lo scorbuto, mentre gli altri,
che avevano mangiato soltanto carne fresca, ne furono esenti.
Non voglio concludere che una dieta basata solo sulla carne sia la migliore,
anche se la carne fresca può fornire da sola l'ammontare minimo di ogni princi-
pio nutritivo. Gli integratori vitaminici, uniti a una dieta mista che preveda
un'assunzione limitata di zucchero, consentono il migliore stato di salute.
L'esperienza di Stefansson dovrebbe servire a placare l'ansia della gente ri-
guardo alla presenza di grassi nella dieta. Quest'ansia fu risvegliata nel 1955,
quando il presidente statunitense D. D. Eisenhower soffrì di occlusione corona-
rica. Il suo cardiologo, P. D. White, della facoltà di Medicina di Harvard, colse
l'occasione per informare il pubblico sul ruolo del colesterolo
nell'arteriosclerosi e per consigliare di ridurre i cibi contenenti grassi. Stefans -
son scese in campo a sfidare White con la sua buona salute risultante da una
dieta ad alto contenuto di grassi e con le sue osservazioni sulla salute degli
eschimesi, che conosceva così bene. Egli concluse con la domanda retorica:
«Noi mangiamo carboidrati, grassi e proteine. Facciamo la polvere da sparo
con il salnitro, lo zolfo e il carbone di legna. Come possiamo dire quali di essi
causa l'esplosione?» White ritirò le sue critiche dottrinarie e scrisse un'introdu-
zione castigata alla nuova edizione del rapporto di Stefansson sulle sue espe-
rienze dietetiche, che fu pubblicato con il titolo The Fat of the Land (Il grasso
della terra).
6
Due proble mi di origine alimentare
La nuova ali-
mentazione
7
La scoperta delle vitamine
Siamo abituati a pensare alla specie umana come alla più evoluta tra tutte le
specie di organismi viventi. In un certo senso gli esseri umani lo sono: hanno
raggiunto un effettivo controllo su gran parte della Terra e hanno cominciato a
estendere il loro dominio nello spazio fino a Marte e alla Luna. Ma per quanto
concerne le loro capacità biochimiche sono inferiori a molti altri esseri viventi,
compresi perfino alcuni organismi unicellulari, come i batteri, i lieviti e le muf-
fe.
La muffa rossa del pane (Neurospora), per esempio, è in grado di compiere
nelle sue cellule un gran numero di reazioni chimiche di cui gli esseri umani
sono incapaci. La muffa rossa del pane riesce a vivere in un mezzo molto sem-
plice, consistente di acqua, sali inorganici, una fonte inorganica di azoto come
il nitrato di ammonio, una fonte appropriata di carbonio, come il saccarosio, e
un'unica vitamina, la biotina. Tutte le altre sostanze necessarie alla muffa rossa
del pane sono sintetizzate da lei stessa, grazie a meccanismi biochimici interni.
La muffa rossa non necessita di aminoacidi nella sua alimentazione, poiché è
capace di sintetizzarli tutti quanti; come pure sa fare con le vitamine, a eccezio-
ne della biotina.
Questa muffa deve la sua sopravvivenza, che risale a milioni di anni fa, alle
sue grandi capacità biochimiche. Se, come gli esseri umani, fosse incapace di
sintetizzare i vari aminoacidi e le vitamine, non sarebbe sopravvissuta, poiché
non avrebbe potuto risolvere il problema di procurarsi un'alimentazione ade-
guata. Di tanto in tanto, un suo gene è sottoposto a una mutazione, tale da pro-
vocare alla cellula la perdita della capacità di produrre uno degli aminoacidi o
delle sostanze di tipo vitaminico essenziali alla sua vita.
La spora, così mutata, da origine a un tipo deficitario di muffa, che potreb-
be continuare a vivere in modo sano soltanto aggiungendo alla sua alimenta -
zione ciò che è sufficiente al tipo originario della muffa stessa. I due scienzia ti
G. W. Beadle e E. L. Tarum si dedicarono a studi approfonditi sulle mutazioni
dei caratteri ereditari della muffa rossa del pane, quando lavoravano presso l'u-
niversità di Stanford, a partire dal 1938 circa. Essi furono in grado di mantene -
re in vita in laboratorio i tipi in via di mutazione, fornendo a ognuno di essi il
nutrimento aggiuntivo necessario alla conservazione del loro stato di salute.
È stato detto nel capitolo precedente che la tiamina (vitamina B1) è necessa-
ria agli esseri umani affinchè non muoiano di beri- beri, e che anche i polli, nu-
triti secondo una dieta che non la contiene, muoiono di una malattia di tipo
neurologico che ricorda il beri-beri. È stato trovato, infatti, che la tiamina è ne-
cessaria come alimento essenziale a tutte le specie animali studiate, inclusi i
piccioni, il ratto da laboratorio, il porcellino d'India, il maiale, la mucca, il gatto
domestico e la scimmia. Possiamo supporre che il bisogno che tutte queste spe-
cie animali hanno della tiamina, come elemento essenziale e che essi devono
ingerire per non morire di un male che assomiglia al beri-beri degli esseri uma-
ni, sia il risultato di un evento che ebbe luogo più di 500 milioni di anni fa.
Consideriamo l'epoca, agli inizi della storia della vita sulla Terra, in cui le
prime specie animali, da cui si sono evoluti gli uccelli e i mammiferi attuali,
popolavano una parte della Terra. Presumiamo che gli animali di queste specie
si nutrissero mangiando piante, probabilmente assieme ad altri cibi. Tutte le
piante contengono la tiamina. Di conseguenza, gli animali avrebbero avuto nel
loro organismo la tiamina assunta con il cibo che avevano ingerito, come pure
la tiamina che essi stessi fabbricavano usando le loro capacità di sintesi. Presu-
miamo ora che un animale in via di evoluzione comparisse tra gli altri, un ani-
male che, a causa dell'impatto di un raggio cosmico su di un gene o dell'azione
di qualche altro agente mutageno, avesse perso il meccanismo biochimico che
permetteva ancora agli altri membri della sua specie di produrre tiamina da al-
tre sostanze. La quantità di tiamina fornita dall'ingestione del cibo sarebbe stata
sufficiente a mantenere l'animale in via di mutazione in uno stato di buona nu-
trizione, quanto gli altri animali. Il soggetto in via di mutazione avrebbe avuto
un vantaggio sugli altri non ancora mutati, in quanto liberato dal peso del mec-
canismo per produrre autonomamente la tiamina.
Come risultato, il mutante sarebbe stato in grado di avere una prole più nu-
merosa rispetto agli altri della sua stessa popolazione.
Riproducendosi, l'animale ormai mutato avrebbe passato il suo gene, van-
taggiosamente alterato, a qualcuno dei suoi discendenti e questi avrebbe avuto,
a loro volta, una prole più numerosa della media. Così, nel corso del tempo, il
vantaggio di non dover fare il lavoro di produrre tiamina o di portare al proprio
interno il meccanismo atto a questa produzione, permetteva alla varietà mutata
di rimpiazzare quella originaria.
Per ricapitolare: molti tipi differenti di molecole devono essere presenti nel
corpo di un animale affinchè la sua salute sia buona. Alcune di queste molecole
possono essere sintetizzate dall'animale, altre devono essere ingerite sotto for -
ma di cibo. Se la sostanza è disponibile come cibo, è vantaggioso per la specie
animale liberarsi del peso del meccanismo che ne opera la sintesi.
Si suppone che, attraverso i millenni, gli antenati degli esseri umani diven -
nero in grado, grazie alla disponibilità di certe sostanze alimentari, che include -
vano gli aminoacidi essenziali e le vitamine, di semplificare la loro vita biochi-
mica, liberandosi del meccanismo che era stato necessario ai loro antenati per
operare la sintesi di tali sostanze. Con il passare degli anni, i processi evolutivi
di questo tipo condussero gradualmente alla comparsa di nuove specie, inclusa
quella umana.
Alcuni esperimenti interessanti riguardano la competizione fra tipi di orga-
nismi che abbisognano di una certa sostanza per nutrirsi e quelli che non ne ab-
bisognano, poiché sono capaci di sintetizzarla autonomamente. Questi esperi-
menti furono fatti a Los Angeles presso l'università della California, da Zamen-
hof ed Eichhorn, che ne pubblicarono i risultati nel 1967. Essi avevano studiato
un batterio, il Bacillus subtilis, confrontando un tipo di organismo che era in
grado di produrre l'aminoacido triptofano e un altro mutante che aveva perso la
capacità di farlo.
Se lo stesso numero di cellule dei due tipi veniva depositato in una coltura
che non conteneva triptofano, il tipo che era in grado di produrlo sopravviveva,
mentre l'altro moriva. Se invece alcune cellule dei due tipi erano poste insieme
in una coltura che conteneva una buona quantità di triptofano, avveniva il con-
trario. Il tipo mutante, che aveva perso la capacità di produrre l'aminoacido, so-
pravviveva, e quello originale, ancora in grado di produrlo, moriva. I due tipi
di batteri differivano solo rispetto alla perdita della capacità di produrre tripto-
fano.
Siamo pertanto portati a concludere che la capacità di sintetizzare il tripto -
fano era svantaggiosa per il tipo di organismo che la possedeva e che, nella
competizione con il tipo in via di mutazione, lo ostacolava a tal punto da fargli
perdere la gara. Il numero delle generazioni (divisioni cellulari) richieste per la
sostituzione definitiva in questa serie di esperimenti (cominciando con un nu-
mero uguale di cellule per finire con un numero di cellule un milione di volte
superiore nel tipo vincente), fu di circa cinquanta, che sarebbe corrisposto sol-
tanto a circa millecinquecento anni per gli esseri umani (contando trent'anni per
ogni generazione).
Potremmo dire che Zamenhof ed Eichhorn eseguirono un esperimento di
piccola portata rispetto al processo dell'evoluzione della specie. Questo esperi-
mento, e parecchi altri condotti dagli stessi, dimostrarono che può essere van-
taggioso essere liberi da meccanismi interni per la sintesi di una sostanza vita -
le, nel caso in cui essa possa trovarsi a disposizione sotto forma di cibo nelle
immediate vicinanze.
La maggior parte delle vitamine necessarie per la buona salute degli esseri
umani lo è anche per gli animali delle altre specie. La vitamina A è un nutri-
mento essenziale per tutti i vertebrati, per la vista, per il buon mantenimento
dei tessuti cutanei e per lo sviluppo normale delle ossa. La riboflavina (vitami-
na B2), l'acido pantotenico, la piridossina (vitamina B6), l'acido nicotinico (nia-
cina) e la cianocobalamina (vitamina B12), sono in dispensabili per la salute del-
la mucca, del maiale, del topo, del pollo e di altri animali. È molto probabile
che la perdita della capacità di sintetizzare queste sostanze essenziali, come la
perdita della capacità di sintetizzare la tiamina, avvenne molto presto nella
storia della vita animale sulla Terra, quando gli animali primitivi cominciarono
a vivere in gran numero sulle piante, che contengono una notevole quantità di
queste sostanze nutritive.
Nel 1965, Irwin Stone rilevò che, laddove la maggior parte degli animali è
in grado di sintetizzare l'acido ascorbico, gli esseri umani e altri primati posti
sotto esame, compresi la scimmia rhesus, la scimmia caudata di Formosa e la
cappuccina bruna, non sanno sintetizzare la sostanza e la richiedano come vita-
mina integrativa. Egli giunse alla conclusione che la perdita della capacità di
sintetizzare l'acido ascorbico avvenne probabilmente tra gli antenati comuni di
questi primati. Una stima approssimativa potrebbe far risalire il periodo in cui
avvenne tale mutamento a circa venticinque milioni di anni fa (Zuckerkandl e
Pauling, 1962).
Il porcellino d'India e un pipistrello indiano che si nutre di frutta sono gli
unici altri mammiferi di cui si sappia che necessitano di acido ascorbico nella
loro dieta. Anche l'usignolo d'Oriente e alcuni altri uccelli indiani (del tipo dei
passeracei) necessitano dell'acido ascorbico. La stragrande maggioranza dei
mammiferi, degli uccelli, degli anfibi e dei rettili è in grado di sintetizzare nei
propri tessuti questa sostanza, di solito nel fegato o nei reni. La perdita di que-
sta capacità da parte del porcellino d'India, del pipistrello che si nutre di frutta,
dell'usignolo d'Oriente e di altri passeracei risultò probabilmente da mutazio ni
indipendenti fra la popolazione di queste specie di animali, abitanti in un am-
biente che forniva loro ampiamente dell'acido ascorbico negli alimenti disponi-
bili.
Possiamo chiederci perché l'acido ascorbico non sia richiesto come tale nel-
la dieta di mucche, maiali, ratti, polli e di molte altre specie di animali, che ri-
chiedono invece le altre vitamine necessarie anche all'uomo. L'acido ascorbico
è presente nelle piante verdi insieme con queste altre vitamine. Quando le pian-
te verdi divennero la dieta abituale dei progenitori degli uomini e degli altri
mammiferi, centinaia di milioni di anni fa, perché questi progenitori non passa-
rono attraverso il processo di mutazione che eliminava il meccanismo per la
sintesi dell'acido ascorbico, come fecero invece per quello che provvedeva alla
sintesi della tiamina, dell'acido pantotenico, della piridossina e delle altre vita-
mine?
Penso che la risposta risieda nel fatto che per vivere al massimo nella buona
salute fosse necessaria una quantità di acido ascorbico maggiore di quella che
poteva essere fornita in condizioni normali dalle piante verdi usualmente di-
sponibili. Una parte della quantità extra serve agli animali perché l'acido ascor-
bico è richiesto per la sintesi del collagene, come si vedrà al capitolo 9; questa
proteina è presente in grandi quantità nel corpo degli animali, ma non nelle
piante.
Consideriamo ora il progenitore comune dei primati, circa venticinque mi-
lioni di anni fa: questo animale e i suoi predecessori avevano continuato per
centinaia di milioni di anni a sintetizzare l'acido ascorbico dal glucosio dei cibi
che ingerivano. Supponiamo che una popolazione di questa specie di animali
vivesse, al tempo, in un'area che forniva loro una notevole quantità di cibo con
un contenuto insolitamente alto di acido ascorbico, che permetteva agli animali
di riceverne, attraverso la loro alimentazione, la quantità necessaria per una sa-
lute ottimale.
Un raggio cosmico o qualche altro agente mutageno causò allora una muta-
zione, cosicché l'enzima del fegato che catalizza la conversione dell'l-glucono -
lattone in acido ascorbico non fu più reperibile nel fegato. Alcuni animali di
questa progenie mutante avrebbero così ereditato la perdita della capacità di
operare la sintesi dell'acido ascorbico. Questi animali in via di trasformazione
avrebbero avuto, in un ambiente che forniva acido ascorbico in abbondanza, un
vantaggio rispetto a quegli animali che lo producevano autonomamente, per il
fatto che essi erano stati liberati dall'aggravio di costruire e far funzionare il
meccanismo per produrre l'acido ascorbico. In queste condizioni, il mutante
avrebbe gradualmente sostituito la sua tipologia originaria.
Una mutazione che comporti la perdita della capacità di sintetizzare un en-
zima non è un fatto raro, basta soltanto che un gene venga danneggiato in qual-
che modo o soppresso; mentre la mutazione inversa, quella cioè che comporta
l'acquisizione della capacità di produrre l'enzima, è assai difficile e avviene
molto raramente. Una volta che una specie ha perso la capacità di sintetizzare
l'acido ascorbico, essa dipende, per la sua esistenza, dalla possibilità di trovarlo
nel cibo a disposizione nell'ambiente.
Il fatto che la maggioranza delle specie animali non abbia perso la capacità
di produrlo autonomamente, denuncia che la quantità di acido ascorbico gene-
ralmente presente nel cibo non è sufficiente a fornirne la dose ottimale. Soltan-
to in un ambiente particolare, in cui il cibo disponibile forniva quantità insoli-
tamente massicce di acido ascorbico, le circostanze hanno permesso a una spe-
cie di animali di perdere le proprie capacità di sintetizzare tale sostanza. Si tro-
varono in queste circostanze i progenitori degli uomini e di altri primati, il por-
cellino d'India, il pipistrello indiano che si nutre di frutta, il progenitore dell'u-
signolo d'Oriente e qualche altra specie di passeraceo, ma non gli antenati della
maggior parte degli altri animali, pur nelle centinaia di milioni di anni che oc-
corsero ai processi evolutivi. Pertanto, le considerazioni sui processi evolutivi,
come sono presentate nell'analisi in corso, indicano che il nutrimento general-
mente a disposizione può fornire adeguate quantità di tiamina, riboflavina, nia-
cina, vitamina A e altre vitamine richieste come essenziali da tutte le specie di
mammiferi, ma è carente di acido ascorbico. Il tasso ottimale di ingestione per
questa vitamina, essenziale per gli esseri umani ma sintetizzata da molte altre
specie animali, è senz'altro superiore rispetto a quello che può essere ritrovato
in una normale alimentazione.
Perciò, mentre la perdita della capacità di sintetizzare la vitamina C conferì
qualche vantaggio evolutivo ai primati e ad altri tipi di animali, questa muta -
zione genetica li espose anche a qualche rischio. Il dottor Claus W. Jungeblut,
un pioniere, già nei lontani anni Trenta, dell'uso della vitamina C nella terapia
delle malattie infettive, in una lettera del 10 febbraio 1971 mi sottopose un ar-
gomento assai interessante: «... A questo punto si potrebbe fare anche un passo
avanti, chiedendoci perché il porcellino d'India, fra tutte le cavie comuni, con-
divide con l'uomo alcune caratteristiche fisiologiche che includono la vulnera-
bilità non solo allo scorbuto, ma anche allo shock anafilattico, all'intossicazio -
ne difterica, alla tubercolosi polmonare, a un'infezione neurotropica virale si-
mile alla poliomielite e, non ultima, a una forma di leucemia virale in tutto si-
mile a quella umana. Nessun altro degli animali da laboratorio in grado di sin-
tetizzare autonomamente la vitamina C (conigli, topi, ratti, criceti eccetera) fa
altrettanto».
Ho controllato le quantità di varie vitamine presenti in centodieci cibi vege-
tali naturali e crudi, presentati nelle tabelle del manuale sul metabolismo pub-
blicato dalla Federation of American Societies for Experimental Biology (Fe-
derazione delle Società americane di Biologia Sperimentale) (Altman e Ditt-
mer, 1968). Quando si calcolano le quantità di vitamine contenute nel cibo
quotidiano di un adulto (che fornisce 2500 kcal di energia), si vede che per la
maggior parte delle vitamine queste quantità sono circa tre volte superiori a
quelle raccomandate quotidianamente a una persona con un fabbisogno calori-
co di 2500 kcal al giorno (vedi tabella illustrativa alla pagina seguente).
È quasi certo che alcune effettive mutazioni evoluzionistiche hanno avuto
luogo fra gli esseri umani e i loro più prossimi antenati in tempi piuttosto re-
centi. Esse avrebbero consentito alla vita di continuare sulla base dell'assunzio -
ne di una quantità di acido ascorbico inferiore a quella fornita dagli alimenti
presenti nei vegetali crudi, che lo contengono in abbondanza. Queste mutazioni
potrebbero essere consistite in un'accresciuta capacità dei tubuli renali di ri-
pompare l'acido ascorbico dal filtrato glomerulare (urina diluita, che si concen-
tra durante il passaggio attraverso i tubuli nel sangue) e un'accresciuta capacità
di determinate cellule di estrarre l'acido ascorbico dal plasma sanguigno. Si è
scoperto che le ghiandole surrenali sono ricche di acido ascorbico, che estrag-
gono dal sangue e che impiegano per sintetizzare l'adrenalina, l'ormone fonda-
mentale per le risposte del nostro organismo allo stress; la scorta di acido
Contenuto idrosolubile (mg.) di 110 alimenti naturali vegetali
(riferiti a una quantità che fornisca 2500 kcal di energia alimentare al giorno)
Acido
Tiamina Riboflavina Niacina
As corbico
Noci e cereali: mandorle, nocciole, arachidi, orzo, riso bruno, riso integrale, semi di sesamo, semi di girasole,
f rumento. Frutta (a basso contenuto di vitamina C, meno di 2500 mg): mele, albicocche, avocados, banane,
ciliegie, amarene, noci di cocco, datteri, fichi, pompelmi, kumquat, manghi, pesche noci, pesche, pere, ananas,
prugne, mele selvatiche, meloni, angurie. Legumi: piselli (semi maturi e acerbi), fagioli, soia (semi acerbi, semi
maturi, germogli). Frutti di bosco (a basso contenuto di vitamina E, meno di 2500 mg): more, mirtilli, rubus
ursinus, lamponi, ribes, uva spina, mandarini. Verdure (a basso contenuto di vitamina C, meno di 25W mg):
germogli di bambù, barbabietole, carote, sedano, granoturco, cetrioli, melanzane, spicchi d'aglio, rafano,
lattuga, abelmosco, cipolle (novelle, mature), pastinache, patate, zucche, rabarbaro, rape gialle, melopoponi
(invernali, estivi), patate dolci americane, pomodori, patate dolci. Alimenti vegetali (a contenuto medio di
vitamina C, 2500-4900 mg): carciofi, asparagi, bietole, meloni di Cantalupo, cicoria, cavoli cinesi, finocchi,
limoni, cedri verdi, arance, rapanelli, spinaci, zucchini, fragole, cardi, pomodori maturi,
ascorbico nelle ghiandole surrenali può essere disponibile per il resto del
corpo reinserendosi nella circolazione sanguigna quando si abbassa il suo
apporto attraverso il cibo. Basandoci su principi generali, possiamo concludere
tuttavia che questi meccanismi richiedono energia e costituiscono un fardello
per l'organismo. Il tasso ottimale di assunzione di acido ascorbico potrebbe an-
cora restare nell'ambito del tasso indicato nella tabella a pagina 72, e cioè di
2,3 g. al giorno o più, o potrebbe anche scendere un poco; naturalmente, esiste
sempre il fattore dell'individualità biochimica, di cui si parlerà nel capitolo 10.
Non sarebbe fuori luogo pensare che, durante gli ultimi milioni di anni, il
corpo umano si sia in qualche modo adeguato al cibo che aveva a disposizione,
così che le quantità delle varie sostanze nutritive potrebbero servirci da indica -
zione per conoscere le assunzioni ottimali di tali principi nutritivi. Negli ultimi
anni i paleontologi, gli antropologi e altri scienziati hanno raccolto un grande
numero di informazioni sui cibi ingeriti dagli uomini primitivi da un periodo
che risale a quarantamila anni fa fino allo sviluppo dell'agricoltura, che avven-
ne diecimila anni fa. Sono stati fatti anche degli studi riguardanti le poche co-
munità che vivevano di selvaggina, sopravvissute fino in tempi recenti o attua-
li. Un rapporto sull'alimentazione durante il Paleolitico è stato pubblicato nel
1985 dai dottor S. Boyd Eaton e dal dottor Melvin Konner della facoltà di Me-
dicina e di quella di Antropologia dell'università Emory di Atlanta, in Georgia.
Questo articolo è servito come punto di riferimento per il testo che segue.
Cinque milioni di anni fa, la frutta e i vegetali in generale erano i costituenti
dietetici fondamentali dei primati.
Fu circa a quel tempo che i tipi che condussero poi agli esseri umani attuali
e alle scimmie si differenziarono. I progenitori degli esseri umani cominciarono
a nutrirsi sempre più spesso di carne. L'uomo attuale (Homo sapiens) cominciò
la sua evoluzione circa quarantacinquemila anni or sono. La sua dieta consiste-
va per il 50 per cento di prodotti vegetali e per l'altro 50 di carne, inclusi pesci,
crostacei, animali di piccola e grande taglia.
A mano a mano che l'agricoltura si sviluppava, circa diecimila anni fa, au-
mentò fortemente il consumo dei cereali, mentre la quantità di vegetali presenti
nella dieta crebbe fino a raggiungere il 90 per cento, con una caduta drastica
nella quantità della carne. Trentamila anni fa, gli esseri umani in Europa, che si
nutrivano largamente di carne, erano circa 15 cm. più alti dei loro discendenti
originatisi dopo lo sviluppo dell'agricoltura. Eaton e Konner affermano: «Lo
stesso modello si ripete in seguito nel Nuovo Mondo: diecimila anni fa i paleo-
indi erano grandi cacciatori di selvaggina, ma i loro discendenti, nel periodo
antecedente ai contatti con l'Europa, praticavano la produzione dei cibi, man-
giavano poca carne, erano considerevolmente più bassi di statura e mostravano
nello scheletro segni di nutrizione deficitaria, che sembra riflettere sia gli effet-
ti diretti di una carenza di calorie proteiche sia l'azione sinergica della malnu-
trizione e delle infezioni. Dai tempi della rivoluzione industriale, il contenuto
di proteine animali nelle diete occidentali si è fatto quasi adeguato, come indica
l'aumento dell'età media: attualmente noi siamo tanto alti quasi quanto lo erano
i primi essere umani biologicamente moderni. Tuttavia, le diete da noi seguite
differiscono notevolmente dalle loro e queste differenze sono alla base di quel-
la che è stata denominata la «malnutrizio ne dei ricchi».
Eaton e Konner rilevano che la qualità della carne odierna è differente da
quella del Paleolitico. Gli animali addomesticati sono diversi da quelli selvati-
ci. Spesso oggi la carne contiene dal 25 al 30 per cento di grassi, mentre la sel-
vaggina ne contiene soltanto il 4 per cento. Anche i cibi vegetali sono differen-
ti: i cacciatori di selvaggina mangiavano radici, fagioli, noci, tuberi, frutta, fiori
e sostanze gommose commestibili, ma solo piccole quantità di cereali, come il
frumento, l'avena, il riso, che inve ce costituiscono in larga misura la nostra die-
ta attuale.
Eaton e Konner mettono anche in luce il fatto che l'alimentazione del tardo
Paleolitico può paragonarsi alla dieta americana media del giorno d'oggi in
quanto include più proteine e meno grassi; la stessa quantità di carboidrati (più
amido, meno saccarosio); la stessa quantità di colesterolo (circa 600 mg. al
giorno); più fibre (36 g. contro i 20 g. al giorno); molto meno sodio; più potas-
sio e più calcio; molta più vitamina C (400 mg. contro 88 mg. al giorno). I due
studiosi concludono: «La dieta dei nostri remoti antenati può servire da stan-
dard di riferimento per l'alimentazione umana moderna e da modello di difesa
contro alcune malattie da civilizzazione».
9
Le vitamine nel corpo
Come abbiamo visto nel capitolo 7, sono state le malattie causate da caren-
za vitaminica a condurre alla scoperta delle vitamine. La gravità dei sintomi di
queste manifestazioni patologiche testimoniano il fatto che ogni vitamina ha un
ruolo decisivo in uno o più dei processi vitali delle cellule e dei tessuti del cor-
po. L'azione di una determinata vitamina sulle sofferenze che si instaurano a
causa della sua mancanza è così specifica e immediata che si potrebbe conside-
rarla una «medicina miracolosa». Forse occorre ricordare che le vitamine sono
alimenti. Esse catalizzarono l'evoluzione della nostra specie e rimangono es-
senziali per la nostra esistenza e per la nostra salute.
Una caratteristica sorprendente degli esseri umani e di altri organismi vi-
venti è che essi sono in grado di produrre migliaia di differenti reazioni chimi-
che fra due sostanze che, in condizio ni normali, non reagirebbero fra di loro.
Ogni giorno noi consumiamo mezzo chilogrammo di combustibile, costituito
da carboidrati (soprattutto glucosio) e grassi, per fornire al nostro corpo calore
ed energia. Tale reazione ha luogo alla temperatura corporea di 36,8 C°. Ma
sappiamo che queste sostanze (amido, zucchero, burro, ecc...) non bruciano a
temperature ordinarie; può essere difficile farle bruciare anche a una tempera-
tura molto più elevata. Per esempio, se si prende una zolletta di zucchero (sac-
carosio) e si tiene la fiamma di un fiammifero vicino a un suo angolo, si vedrà
che un po' di zucchero si scioglie, ma che la zolletta non prende fuoco.
Come è possibile che degli organismi viventi facciano reagire con l'ossige-
no carboidrati e grassi alla temperatura corporea?
Essi, in realtà, fanno uso di sostanze ausiliarie che hanno il potere di accele-
rare le reazioni chimiche senza che avvenga in esse alcun cambiamento: queste
sostanze si chiamano catalizzatori.
Se mettete una piccola quantità di cenere di sigaretta sull'angolo di una zol-
letta di zucchero e la toccate poi con la fiamma di un fiammifero, la zolletta
prenderà fuoco e continuerà a bruciare finché il cubetto non sarà tutto consu-
mato. La combustione avrà luogo sulla superficie delle particelle di cenere, che
rimarranno immutate; un poco di cenere può quindi catalizzare la combustione
di una grande quantità di zucchero.
I catalizzatori del corpo umano si chiamano enzimi (dalla parola greca che
significa lievito); il lievito contiene gli enzimi che accelerano il processo di fer-
mentazione, cioè la conversione del glucosio in alcol attraverso una reazione
con l'ossigeno. Essi sono proteine dalle grosse molecole, spesso contenenti die-
cimila o ventimila atomi. Sono altamente specifici nella loro azione, spesso
capaci di accelerare soltanto una singola reazione biochimica o alcune a essa
simili. Nel corpo di un solo essere umano ci possono essere cinquantamila tipi
differenti di enzimi.
Alcuni enzimi sono proteine pure, una catena di aminoacidi chiusa. Altri
consistono in una molecola proteica cui si aggiunge qualcosa, un'aggiunta ri-
chiesta per consentirle di catalizza re la sua specifica reazione chimica. Questa
parte aggiunta si chiama coenzima.
Sia i metalli sia le vitamine (o le sostanze provenienti dalle vitamine, come
la tiamina difosfato, ottenuta combinando tiamina, la vitamina B1 con l'acido
fosforico) servono da coenzimi in molti sistemi enzimatici del corpo umano.
Per esempio, la molecola dell'alcol deidrogenasi, che catalizza l'ossidazione
dell'alcol in acetato nel fegato, contiene due atomi di zinco, indispensabili per
la sua attività enzimatica. Un altro enzima, l'ossidasi cisteamina, contiene un
atomo di ferro, un atomo di rame e uno di zinco.
La ragione per cui un elemento traccia, come il molibdeno, è richiesto in
quantità estremamente piccole è che esso serve da coenzima, permettendo al-
l'enzima attivo di catalizzare continuamente una reazione chimica essenziale
alla salute. Allo stesso modo, potrà essere richiesta soltanto una piccola assun-
zione giornaliera di una vitamina (alcuni milionesimi di grammo per la vitami-
na B12) ma essa, grazie alla sua attività catalitica, produrrà una quantità di gran
lunga maggiore di una determinata sostanza vitale. Si sa che la maggior parte
delle vitamine serve da coenzima in un vasto numero di sistemi enzimatici.
L'acido pantotenico, per esempio, è una parte del coenzima A, che si com-
bina con gli apoenzimi proteici (enzimi passivi) per fornire gli enzimi attivi ri-
chiesti per molte reazioni. Una di queste reazioni è la conversione, che avviene
nel cervello, della colina in acetilcolina, uno dei messaggeri coinvolti nell'atti-
vità cerebrale. La nicotinamide, una forma di vitamina B3, è una parte essenzia -
le di due enzimi importanti, la difosfopiridina nucleotide. Sembra che questi
coenzimi siano coinvolti in duecento sistemi enzimatici, ma di fatto il numero
potrebbe essere molto superiore. La vitamina B6 , di solito sotto forma di piri-
dossalfosfato, è richiesta come coenzima in più di duecento sistemi enzimatici
conosciuti; altre vitamine, a eccezione della C, servono da coenzimi.
Spesso l'apoenzima presente nel corpo si converte soltanto parzialmente in
enzima attivo. La quantità di enzimi attivi può crescere con l'aumento dell'as-
sunzione della vitamina che serve da coenzima. Tale effetto costituisce una
parte importante del fondamento logico che presiede la scienza moderna dell'a-
limentazione, con tutta l'importanza che essa attribuisce alle assunzioni ottima -
li.
I sintomi devastanti dello scorbuto, che si manifestano con il disfacimento
dei tessuti del corpo, suggerirono un'ampia e diffusa presenza nel corpo umano
del fattore alimentare che oggi conosciamo con il nome di vitamina C. Fortuna-
tamente la malattia si arrese alla semplice terapia che comportava l'integrazione
di una piccola razione di cibi contenenti questa vitamina.
La terapia funzionò con successo molto prima che la vitamina fosse identi-
ficata e anche molto prima che il suo ruolo biochimico cominciasse a essere
chiaro come lo è oggi. Mentre ancora molto rimane da scoprire, si conosce di
più sulla funzio na della vitamina C di quanto non si sappia su quella delle altre
vitamine. Per questa ragione, oltre che per la sua massima importanza ormai ri-
conosciuta, considereremo da vicino che cosa è la vitamina C, qual è la sua
funzione nel corpo umano e come essa opera.
L'acido ascorbico è una polvere bianca cristallina che si scioglie rapidamen-
te nell'acqua. La sua soluzione ha un "sapore acido che ricorda quello del succo
d'arancia. È un acido debole, un poco più forte dell'acido acetico che si trova
nell'aceto, ma più debole dell'acido citrico (presente nei limoni e nei
pompelmi), dell'acido lattico (presente nel latte acido e nei crauti) e dell'acido
tartarico (presente nell'uva). Nei fluidi del corpo, che di solito non sono né aci-
di né basici, l'acido ascorbico si dissocia completamente in uno ione di ascor-
bato e in uno di idrogeno.
Lo ione di idrogeno si combina con i gruppi basici delle proteine o con uno
ione di bicarbonato (HCO3 ). È lo ione di ascorbato che partecipa alle numerose
reazioni fisiologiche che richiedono la presenza di vitamina C, specialmente
alla sintesi del collagene, che riveste un'importanza specifica.
La vitamina C può anche essere assunta sotto forma di sali dell’acido ascor-
bico, in particolare come ascorbato di sodio e ascorbato di calcio. Queste mole-
cole si sciolgono nei fluidi del corpo per produrre ioni ascorbati, che hanno le
stesse proprietà e la stessa azione fisiologica dello ione ascorbato che proviene
dall'acido ascorbico. La vitamina C può essere assunta per via orale in soluzio -
ne o in compresse, come acido ascorbico o come ascorbato di sodio o di calcio.
Tuttavia, solo gli ultimi due, che sono sali, possono essere iniettati per via en-
dovenosa, poiché diversamente la soluzione acida danneggerebbe le vene o i
tessuti.
L'acido ascorbico nel corpo umano entra in una reazione di ossido-riduzio -
ne, che sottrae o aggiunge atomi di idrogeno a una molecola: esso si ossida ra-
pidamente in acido deidroascorbico, cedendo agli agenti ossidanti i due atomi
di idrogeno (designati dal simbolo H), che sono legati ai due atomi di ossigeno
(0) in cima alla formula di struttura delle due molecole indicate qui sotto:
Tale reazione è facilmente reversibile, poiché l'acido deidroascorbico agisce
come un forte agente ossidante e, prendendo due atomi di idrogeno, viene ri-
dotto ad acido ascorbico. Probabilmente il potere riducente dell'acido ascorbico
e il potere ossidante dell'acido deidroascorbico sono responsabili di alcune del-
le proprietà fisiologiche della sostanza stessa.
La sintesi del collagene, per la quale è essenziale la vitamina C, procede nel
corpo come una delle maggiori operazioni di elaborazione. Una persona che sta
morendo di scorbuto cessa di produrre questa sostanza e il suo corpo decade
completamente: le giunture si rilasciano completamente, poiché egli non è più
in grado di tenere in attività le cartilagini e i tendini, i vasi sanguigni si rompo-
no, le gengive si ulcerano e i denti cadono, il sistema immunologico si deterio-
ra ed egli muore (Cameron, 1976).
Il collagene è una delle migliaia di proteine presenti nel corpo umano. La
maggior parte delle proteine è presente solo in piccole quantità; i vari enzimi,
per esempio, sono così potenti nella loro capacità di determinare rapidamente
specifiche reazioni chimiche, che solo un grammo o perfino qualche
milligrammo di essi può essere sufficiente per il nostro organismo.
Naturalmente ci sono delle eccezioni. Nei globuli rossi è presente una gran-
de quantità di emoglobina, che ammonta all'un per cento del peso della perso-
na. L'emoglobina, tuttavia, non è la prima in senso assoluto. C'è una quantità
ancora superiore di collagene nella pelle, nelle ossa, nei denti, nei vasi sangui-
gni, negli occhi, nel cuore e, di fatto, in tutte le parti del corpo. Il collagene,
sotto forma di forti fibre bianche, più forti di un cavo d'acciaio dello stesso
peso, e di una rete elastica (chiamata elastina), di solito associata a macropoli-
saccaridi, costituisce il tessuto connettivo del nostro corpo.
STRUTTURA MO LECO LARE DELLA VITAMINA C
La molecola del collagene è più forte di un filo di acciaio dello stesso peso.
È una delle proteine più abbondantemente presenti nel corpo, che va a costitui-
re il tessuto connettivo, vale a dire la materia plastica naturale di cui esso è am-
piamente composto. La vitamina C ha un ruolo essenziale nella sua sintesi, a
ogni stadio. Il collagene deve le sue proprietà non solo alla sua composizione
chimica, ma anche alla disposizione fisica degli atomi che lo costituiscono nel-
lo spazio tridimensionale. Gli atomi (di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto)
sono organizzati in tre catene di polipeptidi. Ognuna di queste catene si avvol-
ge a spirale in un'elica levogira e le tre catene si intrecciano come i fili di una
fune, per formare una superelica destrogira.
Una catena di polipeptidi è tenuta insieme dall'unione completa degli ami-
noacidi attraverso legami peptidici. Questi legami collegano l'atomo di azoto
(N) di un aminoacidio a un atomo di carbonio (C) di un altro aminoacido. In al-
tri casi possono essere tra un atomo di carbonio e uno di ossigeno (O).
Circa mille gruppi peptidici, composti da sedicimila atomi, costituiscono la
sottile fibra della molecola del collagene, che è lunga 2800 ångström (un Å
corrisponde a un centomilionesimo di centimetro) e ha uno spessore di soli 72
A. Le lunghe molecole di collagene si legano per formare filamenti più lunghi.
Questi filamenti, dove le molecole di collagene si sovrappongono per un quarto
della loro lunghezza (700 Å), si allineano e si legano trasversalmente per for-
mare la fibrilla di collagene. Le striature alternate nella fibrilla del collagene ri-
flettono tutti i legami, semplici e trasversali, delle molecole di collagene che si
sovrappongono nella fibrilla.
FIBRILLE DI COLLAGENE
Nastri scuri, distanziati gli uni dagli altri di circa 700 angstrom Å, appaiono
laddove le intricate e sottili strutture delle molecole di collagene (della lun-
ghezza totale di circa 2800 Å) si sovrappongono.
In primo luogo si forma una struttura a tre fili, i cui componenti principali
sono gli aminoacidi della glicina e della prolina. Non si tratta ancora di colla-
gene, ma del suo precursore, il procollagene: un recente studio ha rivelato che
la vitamina C deve avere un ruolo importante nella sua sintesi. Un'esposizione
prolungata di colture di cellule di tessuti connettivi umani all'ascorbato ha in-
dotto un aumento di otto volte della sintesi del collagene, senza alcun aumento
nel tasso di sintesi di altre proteine (Murad e colleghi, 1981).
Poiché la produzione del procollagene deve precedere la produzione del
collagene, la vitamina C deve avere un ruolo in questo stadio (formazione delle
catene di procollagene) insieme con il suo ruolo, meglio noto, nella conversio-
ne del procollagene in collagene.
Tale conversione comporta la sostituzione di un gruppo ossidrile (OH) a un
atomo di idrogeno (H) nei residui prolinici in alcune posizioni delle catene po-
lipeptidiche, convertendo così tali residui in idrossiprolina. Questa reazione di
idrossilazione fissa le catene nella triplice elica di collagene. L'idrossilazione
dei residui aminoacidi della lisina, che li trasforma in idrossilisina, è quindi ne-
cessaria per permettere le connessioni trasversali delle triple eliche nelle fibre e
nelle reti dei tessuti.
Queste reazioni di idrossilazione sono catalizzate da due enzimi differenti:
il prolil- 4-idrossilasi e il lisil- idrossilasi. La vitamina C serve anche qui per in-
durre queste reazioni. È stato recentemente dimostrato da Myllyla e dai suoi
colleghi che, in questo suo intervento, viene distrutta una molecola di vitamina
C per ogni H rimpiazzato da un OH (Myllyla e colleghi, 1984). A questo punto
abbiamo due valide ragioni che ci spiegano perché, per la nostra buona salute,
ci occorrono quantità di vitamina C molto superiori a quelle presenti nei vege-
tali di cui siamo soliti alimentarci. In primo luogo, per il bisogno costante del
corpo affinchè esso operi la sintesi di grandi quantità di collagene necessario
per la crescita e per la sostituzione di quello utilizzato nel consumo giornaliero.
In secondo luogo, perché la vitamina C, nel corso del processo reattivo che as-
sembla il collagene nei tessuti, non serve puramente da catalizzatore, ma viene
anche distrutta.
La funzione della vitamina C coinvolge un altro aspetto della molecola: la
sua struttura nelle tre dimensioni dello spazio. La vitamina C è una sostanza
chirale (il termine chirale deriva dal greco che significa «mano»); le sue mole-
cole presentano una struttura direzionale (stereoisomerismo).
L'acido ascorbico è spesso chiamato acido l-ascorbico, poiché le sue mole-
cole si identificano come levogire piuttosto che come destrogire. La molecola
dell'acido l-ascorbico non è perciò identica alla sua immagine speculare. Si può
quasi dire che la chiralità sia la sua caratteristica vitale.
È vero che alcune sostanze inorganiche sono chirali: il quarzo, per esempio,
forma cristalli destro e levogiri, come pure altri minerali, ma le molecole orga-
niche possiedono una chiralità di gran lunga superiore. Le molecole organiche
derivano la loro chiralità da una proprietà degli atomi di carbonio. Con i suoi
quattro legami il carbonio può legare a sé quattro diffe renti tipi o gruppi di ato-
mi; le molecole così originate devono essere o destrogire o levogire e, come ac-
cade per le mani, non sono sovrapponibili alla loro immagine speculare.
I nostri principali macronutritivi sono i carboidrati, i grassi e le proteine.
Tutti i carboidrati sono chirali, come indicano alcuni loro nomi. Il glucosio è
anche chiamato destrosio; le sue molecole si possono considerare destrogire.
Uno dei nostri alimenti principali, l'amido, che è una sorta di polimero (un pro-
dotto della condensazione del glucosio, con eliminazione di acqua), può an-
ch'esso dirsi destrogiro. L'amido viene scomposto in glucosio da enzimi, a loro
volta chirali, che possono digerire l'amido comune destrogiro (amido-d), ma
non quello levogiro. Il fruttosio (lo zucchero contenuto nella frutta) è chiamato
anche levulosio: è uno zucchero levogiro.
Il fatto che esso lo sia spiega perché non venga bruciato tutto per il suo con-
tenuto energetico, come avviene per il glucosio, ma serva parzialmente come
materiale grezzo per la sintesi del colesterolo.
La maggior parte dei grassi non è chirale, mentre alcuni, come i lipidi, lo
sono. Un esempio è la vitamina E: il d-alfa- tocoferolo e l'l-alfa-tocoferolo han-
no differenti attività come vitamina E.
Le proteine sono chirali. Queste macromolecole di estrema importanza (un
essere umano può sintetizzare cinquantamila differenti tipi di molecole protei-
che affinchè esse eseguano differenti compiti nel corpo) consistono in lunghe
catene di residui aminoacidi, i quali sono tutti chirali, a eccezione dei più sem-
plici, le glicine. È interessante notare che tutti gli aminoacidi, che sono più di
venti, e che formano le proteine negli esseri umani, negli animali e nelle piante,
hanno proprietà steriche: sono tutti aminoacidi- l, a eccezione della glicina, che
è identica alla sua immagine speculare.
Si può capire ora perché gli organismi viventi siano costituiti da un unico
tipo di aminoacidi: i modi principali in cui le catene si chiudono in proteine
stabili sono noti, e vediamo che queste strutture sono stabili quando sono for-
mate da un unico tipo di aminoacido, quello d o quello l, ma non possono esse-
re composte dal tipo d ed l insieme.
Anche la Terra potrebbe essere popolata da organismi viventi composti da
un unico tipo di aminoacidi, quello d o quello l. Un individuo che fosse im-
provvisamente convertito nella sua esatta immagine speculare, all'inizio non ri-
conoscerebbe che qualcosa è cambiato in lui; potrebbe bere acqua, inalare aria
e usare le molecole di ossigeno in essa contenute per la combustione, esalare
diossido di carbonio ed eseguire altre funzioni corporali come sempre finché
non mangiasse il solito cibo. Se dovesse mangiare i comuni vegetali o del cibo
animale, scoprirebbe di non essere in grado di digerirli. Nel libro di Lewis Car-
roll Dietro lo specchio, Alice dice: «Forse il latte dello specchio non è buono
da bere». E noi ora sappiamo che aveva tutte le ragioni per supporlo.
Quest'uomo dell'immagine speculare potrebbe rimanere vivo soltanto se-
guendo una dieta contenente aminoacidi di tipo d sintetici, prodotti in un la-
boratorio chimico. Non potrebbe avere figli, a meno che non trovasse una mo-
glie che fosse stata sottoposta allo stesso processo di riflessione speculare di se
stessa. Sarebbe inoltre destinato a morire di scorbuto, anche se prendesse molta
vitamina C, poiché anch'essa è una molecola chirale (acido l-ascorbico).
La chiralità dell'acido l-ascorbico si vede con chiarezza nella rappresenta -
zione della sua struttura nello spazio tridimensio nale. L'atomo di carbonio (C)
in fondo all'anello pentagonale ha legato a sé un atomo di carbonio da una par-
te dell'anello, e un atomo di ossigeno (O) dall'altra, un atomo di idrogeno (H), e
una catena laterale costituita da nove atomi. Queste quattro diverse entità, col-
legate fra loro, rendono chirale questo atomo di carbonio.
E cioè, l'immagine speculare di questo atomo e i legami che esso forma dif-
feriscono da esso quanto l'immagine speculare di una mano differisce dalla
mano stessa.
Il primo atomo di questa catena laterale, un carbonio, è anch'esso chirale; ha
infatti quattro diverse entità a esso collegate: l'anello pentagonale, un gruppo
idrossile (un atomo di ossigeno legato a un atomo di idrogeno), un atomo di
idrogeno e uno di carbonio (con due idrogeni e un gruppo idrossile legati a
esso).
L'acido ascorbico ha, di conseguenza, quattro stereoisomeri, quattro mole-
cole con identici costituenti atomici collegati l'un l'altro nello stesso ordine, ma
disposti in modo diverso nello spazio tridimensionale. Possiamo pertanto chia-
mare la prima molecola ll e le altre ld, dl e dd. Ll è la vitamina C comune, l'aci-
do l-ascorbico. Dd è la sua esatta immagine speculare, con proprietà esattamen-
te uguali a quelle dell'acido l-ascorbico (a meno che esse non comportino chi-
ralità), e cioè lo stesso punto di fusione e la stessa solubilità nell'acqua; ma una
ruota il piano della luce polarizzata in senso orario e l'altra in senso antiorario
(entrambe attraverso la medesima angolatura). Ma la sostanza dd, che viene
chiamata acido d-xiloascorbico, non ha l'attività della vitamina C. Anche le so-
stanze ld e dl, che sono immagini speculari l'una dell'altra, non forniscono alcu-
na protezione contro lo scorbuto.
Questo fatto rivela che l'azione della vitamina C non dipende semplicemen-
te dalla sua attività di agente riducente od ossidante, che ha in comune con i
suoi stereoisomeri. Dipende invece dalla forma delle sue molecole, che si col-
locano presumibilmente in una cavità complementare degli enzimi dell'idrossi-
lazione con i quali essa lavora nella sintesi del collagene, formando pertanto un
complesso reattivo. Sono necessari ulteriori studi per determinare la struttura di
questi enzimi e di altri che possono formare tali complessi con la vitamina C.
Ce ne sono probabilmente molti tipi differenti, dal momento che la vitamina
C svolge nel nostro corpo un così gran numero di funzioni.
La reazione di idrossilazione che la vitamina C promuove nella sintesi del
collagene, ha un ruolo attivo in molti altri processi fisiologici. Una sostanza
chiamata carnitina, per esempio, aiuta a fornire il combustibile che permette la
contrazione delle fibre muscolari. La sua sintesi dall'aminoacido lisina ha luo-
go attraverso cinque successive reazioni, ognuna catalizzata da un enzima spe-
cifico. La seconda e la quinta comportano l'idrossilazione, per la quale è neces-
saria la vitamina C. Nelle ghiandole surrenali le reazioni di idrossilazione, me -
diate dalla vitamina C presente in grandi quantità, convertono similarmente l'a-
minoacido tirosina, prima in dopa, poi in dopamina e infine in noradrenalina
per la produzione dell'ormone adrenalina, di importanza fondamentale; esso,
infatti, si diffonde nel corpo nei momenti di stress. In questo ciclo critico l'aci-
do ascorbico si ricostituisce dal semideidroascorbato per mezzo di un meccani-
smo di trasporto degli elettroni, per cui la vitamina non va distrutta.
Solo conoscendo le molteplici funzioni della vitamina C nella biochimica
del corpo possiamo capire perché occorre assumerla in quantità ben superiori
rispetto alle altre vitamine. Pur lasciando da parte il fattore dell'individualità
biochimica, che discuteremo nel capitolo successivo, possiamo chiederci qual è
l'assunzione integrativa ottimale giornaliera di vitamina C.
Le piante necessitano soltanto di piccole quantità di questa vitamina. Non
producono collagene ma per sostenersi utilizzano un carboidrato, la cellulosa.
Ho controllato le quantità delle varie vitamine presenti in centodieci cibi vege -
tali crudi, come sono fornite nelle tabelle del manuale sul metabolismo, pubbli-
cato dalla Federation of American Societies for Experimental Biology (Federa-
zione delle Società Americane per la Biologia Sperimentale) (Altman e Ditt-
mer, 1968). Quando si calcolano le quantità di vitamine corrispondenti al cibo
ingerito in un giorno da un adulto (cibo che fornisce 2500 kcal) si vede che,
per la maggior parte, la quantità è circa tre volte superiore all'RGR (Razione
Giornaliera Raccomandata) del Ministero dell'Alimentazione e della Nutrizio -
ne. Per quanto concerne l'acido ascorbico, tuttavia, l'ammontare medio presente
nella razione giornaliera che si deduce dal cibo fornito dai centodieci vegetali è
di 2300 mg., circa quaranta volte quello raccomandato come razione giornalie -
ra per una persona con un fabbisogno di 2500 kcal quotidiane (vedi la tabella
al capitolo 8).
Questo calcolo suggerisce che l'RGR dovrebbe prescrivere almeno una
dose quaranta volte superiore dei suoi stiracchiati 60 mg. di vitamina C.
Il contenuto medio di acido ascorbico presente nella parte commestibile dei
quattordici vegetali più ricchi di questa vitamina, è di 9,4 g. per 2500 kcal. I
peperoni (dolci o piccanti, verdi o rossi) e l'uva passa ne sono i più ricchi, con
15 g. per 2500 kcal.
Questa teoria non rappresenta che un ampliamento e un approfondimento di
quella proposta dai biochimici G. H. Boume e Irwin Stone. Nel 1949, Bourne
rilevò che il cibo ingerito dal gorilla consiste in gran parte di vegetazione fre-
sca e in quantità tale da fornirgli circa 4.500 mg. di acido ascorbico al giorno, e
che, prima dello sviluppo dell'agricoltura, gli esseri umani si nutrivano in ab-
bondanza di piante verdi, integrate da un poco di carne: «È pertanto possibile»,
egli concluse, «che quando noi discutiamo se 10 o 20 mg. di vitamina C al
giorno siano un'assunzione adeguata, non colpiamo nel segno. Dovremmo di-
scutere, invece, se 1000 o 2000 mg. al giorno non siano piuttosto la quantità
appropriata.» Stone (1966) citò questa teoria e la arricchì delle considerazioni
sul tasso di produzione di acido ascorbico da parte del ratto. È noto che, in con-
dizioni normali, il ratto sintetizza l'acido ascorbico a un tasso variabile fra i 26
mg. (Burns, Mosbach e Schulenberg, 1954) e i 58 mg. al giorno per chilogram-
mo di peso corporeo (Salomon e Stubbs, 1961). Se si presume che lo stesso
tasso di produzione sia appropria to per un essere umano, una persona del peso
di 70 kg. dovrebbe ingerire una dose variabile fra i 1800 e i 4100 mg. al gior-
no, sempre in condizioni normali. Altri animali, inclusi la capra, la mucca, la
pecora, il topo, lo scoiattolo, il criceto, il coniglio e il gatto producono acido
ascorbico ad alto tasso, in media 10.000 mg. al giorno per 70 kg. del loro peso
corporeo (Chatterjee e colleghi, 1975). È difficile credere che tali animali pro-
durrebbero questa grande quantità di acido ascorbico se non fosse loro utile; ed
è anche difficile credere che gli esseri umani siano così diversi dagli altri ani-
mali da potersi mantenere in condizioni di salute ottimali soltanto con la due-
centesima parte delle quantità utilizzate dagli animali stessi. Se il nostro fabbi-
sogno di acido ascorbico fosse realmente così basso, come quello dettato dalle
RGR, allora la mutazione che privò i primati della capacità di sintetizzare la vi-
tamina C avrebbe sicuramente avuto luogo seicento milioni di anni fa e i cani,
le mucche, i maiali, i cavalli e gli altri animali prenderebbero l'acido ascorbico
dal cibo invece di produrlo nelle cellule del fegato.
Concludo pertanto dicendo che, per un essere umano, 2300 mg. al giorno di
acido ascorbico sono inferiori al tasso ottimale di assunzione di questa vitami-
na.
In genere, si è visto che i fabbisogni alimentari degli esseri umani sono as-
sai simili a quelli degli altri primati e gli studi sulla vitamina C che li riguarda-
no dovrebbero fornirci informazioni preziose sull'assunzione ottimale di questa
vitamina da parte della nostra specie.
Le scimmie vengono usate per un gran numero di ricerche mediche. Come
ho detto nel capitolo 1, sono stati fatti molti sforzi da parte del Subcommittee
on Laboratory Animal Nutrition (Sottocomitato per l'alimentazione degli ani-
mali da laboratorio) per trovare le esatte quantità di assunzione di vari nutri-
menti che servano alla loro buona salute. Questi studi attenti hanno condotto
alla formulazione di varie diete raccomandabili, piuttosto simili fra di loro, per
le scimmie da laboratorio.
La quantità di acido ascorbico varia da 1,75 a 3,50 g. al giorno, in propor-
zione fino a 70 kg. di peso corporeo; 1,75 g. al giorno nella scala della prescri-
zione per la scimmia rhesus (Rinehart e Greenberg, 1956) e 3,50 g. al giorno
per la scimmia scoiattolo (Portman e colleglli, 1967). Queste scimmie pesano
solo pochi chilogrammi, ma non c'è dubbio che il fabbisogno di acido ascorbi-
co sia proporzionale al peso corporeo; infatti, le quantità prodotte dagli animali
che hanno la capacità di elaborare questa sostanza, sono risultate approssimati-
vamente proporzionali al loro peso corporeo: da quello di un topo del peso di
20 g. a quello di una capra che pesa 70 kg. Da questi studi sulle scimmie pos-
siamo concludere che il fabbisogno di vitamina C per gli uomini varia da 1,75
a 3,5 g. al giorno.
Uno studio sull'assunzione ottimale di vitamina C da parte dei porcellini
d'India ha fornito ulteriori conferme. Nel 1973 Yew, basandosi su alcuni dati
(tasso di crescita prima e dopo uno choc operatorio; tempi di risveglio dopo
un'anestesia; tempi per la formazione di una crosta, per la cicatrizzazione e la
produzione di idrossiprolina e idrossilisina durante la cicatrizzazione) concluse
che i porcellini d'India giovani necessitano comunemente di circa 5,0 mg. di vi-
tamina C al giorno per 100 g. di peso corporeo e che, sotto stress, il fabbisogno
cresce. Per gli uomini, la dose corrispondente è di 3,5 g. al giorno, mentre an-
che per loro aumenta in condizioni analoghe di stress.
Perché non sono stati condotti studi simili sugli esseri umani? Si potrebbe
rispondere che è molto più difficile studiare gli uomini che gli animali.
Inoltre, sembra che molti medici e dietologi siano fermi nella loro convin-
zione che la vitamina C non abbia alcuna efficacia sugli esseri umani, se non
per la prevenzione dello scorbuto, e che sarebbe un inutile sforzo cercare di de-
terminarne l'assunzione ottimale. E ancora si può dire che questi autorevoli me-
dici persistono nell'ignorare che sono stati fatti già molti studi che hanno dimo-
strato come l'assunzione di parecchi grammi di vitamina C al giorno comporti
un miglioramento della salute.
Concludo dicendo che l'assunzione ottimale di acido ascorbico per un esse-
re umano adulto varia da 2,3 g. a 10 g. al giorno. Le differenze biochimiche in-
dividuali (capitolo 10) sono tali che, su una vasta popolazione, il tasso di as-
sunzione può essere incluso fra i 250 mg. e i 20 g., o anche più, al giorno.
Come ho già detto in precedenza, queste quantità sono nettamente superiori
a quelle indicate dalla RGR. Le dosi raccomandate dal Ministero dell'Alimen-
tazione e della Nutrizione, ente preposto al mantenimento di una buona nutri-
zione per tutti i cittadini sani degli Stati Uniti, sono di 35 mg. al giorno per i
neonati, di 45 mg. per i bambini e raggiungono i 60 mg. per gli adulti (80 per le
donne incinte e 100 per quelle che allattano). Nel raccomandare queste dosi, il
Ministero ha stabilito che l'assunzione minima giornaliera di acido ascorbico
indispensabile per prevenire lo scorbuto è di 10 mg. e che le dosi un poco
superiori che esso raccomanda dovrebbero fornire un'ampia inte grazione, atta a
compensare le differenze individuali, e costituire un sovrappiù nell'eventualità
di un'alimentazione carente. Fu respinta l'idea che effetti benefici sarebbero po-
tuti derivare da un'assunzione maggiore di acido ascorbico, sulla base di rap-
porti da cui emergeva che l'attività fisica e psicomotoria delle persone non era
stata potenziata da integrazioni di acido ascorbico varianti fra i 70 e i 300 mg.
al giorno, e che il sanguinamento delle gengive, rilevato fra i militari, non era
cessato con l'integrazione di 100 o 200 mg. giornalieri di vitamina C, sommini-
strata per un periodo di tre settimane. Esistono, tuttavia, pubblicazioni di molti
rapporti sui suoi effetti benefici, se essa viene ingerita in quantità superiori.
L'acido ascorbico non è una sostanza pericolosa: nella letteratura medica è
descritto come «virtualmente non tossico». I porcellini d'India, cui era stato
somministrato giornalmente per via orale o endovenosa (infusione di ascorbato
di sodio, il sale di sodio dell'acido ascorbico) in una quantità corrispondente
allo 0,5 per cento del loro peso corporeo, per un certo numero di giorni non
mostrarono alcun segno di intossicazione (Demole, 1934); questa quantità cor-
risponde, per un essere umano, a circa 350 g. al giorno. Ne sono state sommini -
strate grandi dosi a cani e gatti contro il cimurro, l'influenza, la rinotracheite, la
cistite e altre malattie; i risultati sono stati positivi e non è mai apparso alcun
segno di tossicità (Belfield e Stone, 1975; Belfield, 1978, 1982). La dose quoti-
diana consisteva in 1 g. per libbra (= 0,45 kg.) di peso corporeo ed era iniettata
per via endovenosa (due volte al giorno, mattina e pomeriggio); dose corri-
spondente a circa 150 g. quotidiani per un uomo adulto. Alcune persone hanno
ingerito dai 10 ai 20 g. di vitamina C al giorno per venticinque anni, senza che
si producessero calcoli renali o altri effetti collaterali (Klenner, 1971; Stone,
1967). Pazienti affetti da glaucoma sono stati trattati con circa 35 g. di vitamina
C (0,5 g. per 1 kg. di peso corporeo) ogni giorno per sette mesi consecutivi.
(Virno e colleghi, 1967; Bietti, 1967). Gli unici effetti collaterali denunciati fu -
rono disturbi intestinali (feci molli) durante i primi tre o quattro giorni. A pa-
zienti affetti da morbi virali o da schizofrenia ne sono stati somministrati fino a
100 g. al giorno, senza che si manifestassero sintomi di intossicazione (Klen-
ner, 1971; Herjanic e Moss-Herjanic, 1967). Un ammalato di cancro ne ha pre-
si 130 g. al giorno per nove anni, ricavandone beneficio. Una grande quantità
(parecchi grammi) di acido ascorbico, ingerito da solo, può causare a qualcuno
disturbi gastrici e intestinali, ma non è mai stato rilevato alcun altro effetto col-
laterale più serio. Si può dire che l'acido ascorbico non sia più tossico dello
zucchero comune (saccarosio), mentre è di gran lunga meno tossico del sale
comune (cloruro di sodio). Non è mai stato segnala to alcun caso di morte per
un'ingestione massiva di acido ascorbico e neppure alcuna malattia seria.
La quantità di vitamina C da me raccomandata come ottimale potrebbe es-
sere ingerita anche attraverso il cibo che mangiamo, ma ciò richiederebbe un
tipo di cucina in cui si facesse grande uso di peperoni (piccanti o dolci, verdi o
rossi) e di uva passa. Altri cibi vegetali forniscono meno di 350 mg. di vitami-
na C per ogni 100 g. del loro peso. Il succo d'arancia, di limo ne, dei piccoli ce-
dri verdi, di pompelmo e di pomodoro, le foglie della senape, gli spinaci e i ca-
volini di Bruxelles contengono una buona quantità di acido ascorbico: da 25 a
100 mg. ogni 100 g. I piselli e i fagiolini, il mais, gli asparagi, l'ananas, i pomo-
dori, l'uva spina, i mirtilli, i cetrioli e la lattuga ne contengono meno, in una
quantità variabile fra i 10 mg. e i 25 mg. per ogni 100 g. Quantità ancora infe -
riori (meno di 10 mg. ogni 100 g.) si trovano nelle uova, nel latte, nelle carote,
nelle barbabietole e nella carne cucinata (vedi tabella a pagina 72).
L'acido ascorbico presente nei cibi viene facilmente distrutto con la cottura
ad alte temperature, specialmente se essa avviene in pentole di rame e, in una
certa misura, anche di altri metalli. I cibi cotti trattengono generalmente soltan-
to circa la metà dell'acido ascorbico presente negli stessi cibi da crudi. La per-
dita della vitamina può essere ridotta al minimo con una cottura breve, in poca
acqua; acqua che non deve poi essere gettata, poiché contiene parte della vita-
mina estratta dal cibo.
Una buona dieta comune, comprendente verdura e succo d'arancia o di po-
modoro, può fornire 100 mg. di acido ascorbico al giorno. Molte persone, tutta-
via, non ne ingeriscono neppure questa piccola quantità. Uno studio del 1971-
72, condotto dall'Health Resources Administration (Amministrazione delle Ri-
sorse Sanitarie) compiuto su 10.126 persone di un'età compresa fra uno e set-
tantaquattro anni, in dieci aree geograficamente rappresentative degli Stati Uni-
ti, rivelò che metà delle persone acquisiva meno di 57,9 mg. di vitamina C al
giorno, mentre un terzo di loro acquisiva meno della quantità raccomandata
dalle RGR, che corrisponde a 60 mg. al giorno per un adulto (Abraham e colle -
ghi, 1976). Soltanto il 30 per cento ne assumeva quotidianamente più di 100
mg. e solo il 17 per cento più di 150 mg. L'assunzio ne media delle persone che
vivono al di sotto del livello di povertà corrisponde al 78 per cento di quella
dell'intera popolazione e il 57 per cento di quest'ultima ne acquisisce in dosi in -
feriori a quelle raccomandate dalle RGR.
Fortunatamente, questa importante componente alimentare può essere presa
in tutte le quantità desiderate (dall'assunzione ottimale giornaliera a una supe-
riore per gli scopi terapeutici che considereremo nei capitoli successivi) inge -
rendone quantità integrative sotto forma di sostanza pura, l'acido ascorbico cri-
stallino, o di uno dei suoi sali.
10
L'individualità biochimica
La medicina or-
tomolecolare
11
Che cos'è la medicina ortomolecolare
Il nostro corpo è protetto dagli assalti esterni e interni dai meccanismi natu-
rali di difesa: il più importante di questi è il sistema immunitario; mantenendo
questo sistema attivo al massimo, possiamo dare un contributo assai significati-
vo alla nostra buona salute.
Quando, mezzo secolo fa, le vitamine furono isolate e studiate attentamen-
te, si osservò che una deficienza di una qualsiasi di esse comportava uno squili-
brio nel sistema immunitario, come, per esempio, una diminuzione del numero
dei leucociti nel sangue e della resistenza alle infezioni. Le vitamine necessarie
a una buona immunità sono la vitamina A, la vitamina B12 , l'acido pantotenico,
la folina e la vitamina C. Sono le stesse vitamine che sembrano rafforzare il si-
stema immunitario, se prese in quantità maggiori di quelle abitualmente racco-
mandate. La vitamina C è la più efficace e ne discuterò in questo capitolo.
Quando trattammo il sistema immunitario in relazione al cancro in Cancer
and Vitamin C (Il cancro e la vitamina C; Cameron e Pauling, 1979), il dottor
Ewan Cameron e io scrivemmo che il sistema immunologico ha il difficile
compito di distinguere il nemico dall'amico, nel riconoscere per primo il non-
sé (i vettori della malattia come i batteri o le cellule maligne) dal sé (le cellule
normali). Il riconoscerli dipende dalla valutazione delle differenze presenti nel-
le strutture molecolari delle cellule. Per le molecole virali e batteriche, queste
differenze sono evidentissime, e riconoscerle non è difficile, mentre per le cel-
lule tumorali le differenze sono lievi e il meccanismo immunitario deve essere
altamente competente per risultare efficace. Come illustrato da Lewis Thomas,
ex direttore del Memorial Sloan- Kettering. Cancer Center, il sistema immunita -
rio funziona come una forza di polizia, che perlustra costantemente il corpo e
controlla le cellule, tenendo d'occhio quelle che sono diventate maligne, per di-
struggerle dopo averle riconosciute.
Ci sono molte prove di quanto la vitamina C sia essenziale a una efficiente
funzionalità del sistema immunitario. I meccanismi di questo sistema coinvol-
gono alcune molecole, soprattutto molecole proteiche che sono presenti in so-
luzione nei fluidi del corpo, insieme con determinate cellule. La vitamina C è
coinvolta sia nella sintesi di molte di queste molecole sia nella produzione e nel
funzionamento corretto di queste cellule.
Gli anticorpi (chiamati anche immunoglobuline) sono molecole proteiche
piuttosto grandi: ogni molecola consiste di circa quindicimila o venticinquemi-
la atomi. Un essere umano è in grado di produrre circa un milione di tipi diver-
si di molecole di anticorpi: ogni tipo è in grado di riconoscere un gruppo parti-
colare di atomi, chiamato gruppo aptenico o aptene, presente nel suo antigene,
cioè in una molecola estranea. La maggior parte delle persone non produce an-
ticorpi che possano combinarsi con i propri apteni.
Coloro che sfortunatamente li producono, soffrono di una malattia rara, det-
ta «autoimmune»; è possibile che tali siano il lupus e la nefrite glomerulare. I
gruppi aptenici di un antigene stimolano le cellule del corpo che producono gli
anticorpi specifici corrispondenti a riprodursi e a formare un clone costituito da
un gran numero di cellule. Queste nuove cellule liberano gli anticorpi specifici
nel sangue, dove essi possono combinarsi con le molecole o le cellule antigene
e condannarle alla distruzione.
E’ stato scoperto che un aumento nell'assunzione della vitamina C conduce
anche alla produzione "di un numero maggiore di molecole di anticorpi. Un au-
mento degli anticorpi dei tipi Igg. e IgM fu rimarcato da Vallance (1977), che
studiò dei soggetti che da quasi un anno vivevano isolati in una base di ricerca
britannica nell'Antartide, lontani da ogni contatto con fonti di nuo ve infezioni
nei quali fu stimolata la produzione di immunoglo buline con l'introduzione di
fattori di disturbo.
Prinz e i suoi collaboratori somministrarono 1 g. di vitamina C a venticin-
que studenti universitari di sesso maschile in buona salute e un placebo ad altri
venti soggetti.
Dopo settantacinque giorni videro che nei soggetti trattati con vitamina C si
rilevava un aumento significativo nei livelli del siero delle immu noglobuline
IgA, Igg. e IgM (Prinz e colleghi, 1977, 1980).
Una relazione simile, fra la produzione degli anticorpi e l'assunzione di vi-
tamina C, è stata osservata anche nei porcellini d'India, che dipendono quanto
noi dalle fonti esterne di questa vitamina. L'IgA è la forma di anticorpo che è
maggiormente presente (insieme con l’IgM) nelle secrezioni nasali; essa è lar-
gamente responsabile dell'azione antivirale di queste secrezioni.
Se tutte e tre le forme di anticorpi sono presenti nel sangue e nei fluidi in-
terstiziali, la IgM lo è nella quantità maggiore.
Le cellule batteriche e quelle maligne, identificate come estranee dalle mo-
lecole degli anticorpi specifici che vi aderiscono, vengono preparate a essere
distrutte mediante la combinazione con altre molecole proteiche, i componenti
del complemento, che sono presenti nel sangue; esistono delle prove a favore
del fatto che la vitamina C dovrebbe essere coinvolta nella sintesi del compo-
nente del complemento chiamato Cl-esterase e che la quantità di questa impor-
tante sostanza aumenta aumentando la dose di vitamina C; senza questo impor-
tante componente del complemento, la completa precipitazione del comple-
mento stesso non si attuerebbe e le cellule non-sé non verrebbero distrutte. Non
c'è dubbio che la vitamina C è richiesta anche dagli esseri umani per la sintesi
del Cl-esterase, poiché questo componente del complemento contiene molecole
proteiche simili alle molecole di collagene che richiedono, come è noto, la
vitamina C per la loro sintesi.
Dopo che le cellule estranee o quelle maligne saranno state identificate e
condannate alla distruzione, esse verranno attaccate e distrutte dalle cellule fa-
gocitarie che perlustrano il corpo e che sono dei globuli bianchi (leucociti) pre-
senti nel sangue e negli altri fluidi del corpo. I leucociti si trovano in gran nu-
mero nel pus che si forma negli ascessi in suppurazione o nelle piaghe, dove
sono impegnati a combattere l'infezione.
I leucociti prodotti nelle ghiandole linfatiche sono i linfociti; questi sono
convogliati nella linfa (una sospensione di cellule in un fluido chiaro e gialla -
stro che assomiglia al plasma sanguigno) e poi nella circolazione sanguigna, at-
traverso i vasi linfatici.
I linfociti sembrano essere, fra le cellule fagocitane, i più importanti nella
lotta contro il cancro o altre .malattie. Si osserva spesso come un tumore mali-
gno sia infiltrato da linfociti; e un alto grado di infiltrazione di linfociti viene
ora accettato come un indicatore affidabile che rivela come il male stia risol-
vendosi positivamente. Inoltre, è stato dimostrato che i porcellini d'India, cui
vengano somministrate dosi molto basse di vitamina C, tollerano trapianti di
derma dagli altri porcellini e che questa tolleranza è relativa ai loro livelli anor-
malmente bassi di ascorbato presente nei linfociti (Kalden e Guthy, 1972).
Quando invece si somministrano loro alte dosi di vitamina C, gli innesti di
derma vengono immediatamente rigettati, a dimostrazione che i sistemi immu-
nitari hanno ripreso a funzionare.
Queste osservazioni, e il fatto risaputo che i leucociti sono efficaci nella
loro attività fagocitaria solo se contengono una quantità rilevante di ascorbato,
portò il dottor Ewan Cameron e lo scrivente a ipotizzare, nel 1974, che un'ele-
vata assunzione di vitamina C avrebbe permesso ai linfociti di funzionare in
modo altamente efficace contro il cancro. Questa teoria è ora stata confermata.
Mentre lavoravano presso il National Cancer Institute, Yonemoto e i suoi col-
laboratori (Yonemoto, Chretien e Fehniger, 1976; Yonemoto, 1979) tennero in
osservazione cinque giovani uomini e cinque giovani donne di sana costituzio -
ne, dai diciotto ai trent'anni, a cui inizialmente venivano somministrate le basse
dosi abituali di vitamina C. Fecero quindi dei prelievi di sangue, ne isolarono i
linfociti e misurarono il tasso di blastogenesi (produzione di nuovi linfociti per
gemmazione) stimolata da una sostanza estranea antigena, !a fitoemagglutini-
na. Cominciarono poi a somministrare loro 5 g. di vitamina C per tre giorni
consecutivi. Il tasso di formazione dei nuovi linfociti, misurato secondo lo stes-
so test di separazione delle cellule, era quasi raddoppiato (si ebbe un aumento
dell'83 per cento) in pochi giorni e rimase alto per un'altra settimana. Una dose
di 10 g. al giorno per tre giorni fece si che il tasso si triplicasse e una dose di 18
g. al giorno lo quadruplicò rispetto ai valori origina li. Questo studio lascia
pochi dubbi sul fatto che un'alta assunzione di vitamina C da parte di pazienti
malati di cancro accresce l'efficacia dei meccanismi immunitari del corpo,
inclusi i linfociti e conduce" a una prognosi più favorevole per gli ammalati di
cancro o per coloro che sono affetti da malattie infettive. Senza dubbio sono
necessari studi più approfonditi per giungere a determinare l'assunzione di
vitamina C (sia per via orale sia per endovenosa) che comporti il tasso più alto
di blastogenesi dei linfociti. L'indicazione che deduciamo dal lavoro compiuto
da Yonemoto e dai suoi collaboratori è che la dose ottimale assunta per via
orale può superare i 18 g. al giorno. Molti ricercatori hanno affermato che un
aumento nell'assunzione di vitamina C da parte di soggetti normali o da altri
affetti da qualche malattia conduce a un aumento nella motilità dei leucociti e a
un loro più rapido movimento verso la zona di infezione (Anderson, 1981,
1982; Panush e colleghi, 1982).
Ci sono ulteriori prove che, appena essi la raggiungo no, la vitamina C au-
menta la loro forza di fagocitazione.
1. Si tratta di un processo per il quale i leucociti circondano e distruggono le
cellule batteriche o maligne che sono state identificate come estra nee. Ogni
singolo leucocita circonda e inghiotte la cellula estranea; e per questo pro-
cesso è richiesta la vitamina C. Molto tempo fa è stato scoperto che i leucoci-
ti non sono efficacemente fagocitari se non contengono ascorbato a suffi-
cienza (Cottingham e Mills, 1943). Un recente studio (Hume e Weyers,
1973) ha dimostrato che degli individui, che seguivano la comune dieta scoz-
zese e godevano di buona salute, presentavano nei leucociti una quantità di
ascorbato un poco superiore a quella richiesta per l'attività fagocitaria, ma
che questa quantità si era dimezzata subito dopo che essi avevano preso un
raffreddore e che questa percentuale era rimasta bassa per parecchi giorni,
rendendo i soggetti esposti a infezioni batteriche secondarie. Un'assunzione
di 250 mg. di acido ascorbico al giorno non si rivelò sufficiente a mantenere
la quantità di ascorbato nei leucociti al livello richiesto per una fagocitosi ef-
ficace; ma un'assunzione di 1 g. al giorno, elevata a 7 g. al giorno dall'inizio
dell'instaurarsi del raffreddore, si rivelò sufficiente per mantenere in funzio -
ne questo importante meccanismo protettivo.
2. Concludo dicendo che l'assunzione a scopo preventivo di acido ascorbico,
cioè la dose da prendersi regolarmente per preservarci in buona salute e for-
nirci protezione contro le malattie, dovrebbe essere, per la maggioranza di
noi, certamente superiore a 250 mg. al giorno. Altre considerazioni mi hanno
portato a suggerire un'assunzione variante fra i 250 e i 4000 mg. o perfino i
10.000 mg. per quasi tutte le persone (Pauling, 1974c). Tali dosi dovrebbero
diminuire la possibilità di prendere il comune raffreddore o l'influenza e,
qualora" si contraesse un'infezione virale, dovrebbero impedire lo svilupparsi
di un'infezione virale secondaria. Irwin Stone (1972) ha descritto la vitamina
C in relazione alle malattie batteriche nel modo seguente:
3. È battericida o batteriostatica e uccide o previene la crescita di organismi pa-
togeni. (Le prove di questa affermazione saranno considerate al capitolo 14.)
4. Disintossica e rende innocui le tossine batteriche e i veleni.
5. Controlla e mantiene efficace la fagocitosi.
6. È innocua e atossica, e può venire somministrata nelle elevate dosi richieste
affinchè si realizzino, senza danno per il paziente, gli effetti sopramenziona-
ti.
Un altro agente del sistema immunologico, di recente riconosciuto, è l'inter-
ferone. Si tratta di una proteina dall'attività antivirale, prodotta da cellule infet-
tate da un virus e, forse, anche da cellule maligne. Invadendo le cellule limitro-
fe, gli interferoni le mutano a tal punto da consentire loro di resistere all'infez -
ione. C'è qualche prova delle possibilità che gli interferoni aiutino il corpo
umano nel suo sforzo per combattere un raffreddore in via di sviluppo, o un'al-
tra infezione, o il cancro.
Tipi diversi di interferoni vengono sintetizzati dalle diverse specie animali.
Gli esseri umani producono circa venti tipi diversi di molecole di interferone,
dalle attività in qualche modo differenti fra di loro, nelle diverse cellule del
corpo. L'interferone ha suscitato un vivace interesse poiché i farmaci efficaci
contro le infezioni virali e il cancro sono pochissimi. Essendo gli interferoni
delle proteine, quelli animali agiscono come antigeni negli esseri umani e non
possono essere iniettati prima di aver sensibilizzato il paziente sul fatto che ul-
teriori iniezioni provocherebbero serie reazioni allergiche. Interferoni umani,
ricavati da leucociti umani in colture cellulari, sono attualmente disponibili, ma
ad alti costi. Alcuni studi hanno indicato che iniezioni di queste sostanze hanno
qualche validità nel trattamento del cancro e delle malattie infettive (Borden,
1984).
La supposizione che un'assunzione maggiorata di vitamina C condurrebbe
alla produzione di quantità maggiori di interferoni (Pauling, 1970) è stata veri-
ficata. Finché non ci saranno fornite prove ulteriori sul valore delle iniezioni di
interferone umano, possiamo saggiamente seguire il consiglio di Cameron:
«Prendete più vitamina C e producetevi da soli il vostro interferone!» Le pro-
staglandine sono piccole molecole lipidiche che giocano un ruolo importantis-
simo e fondamentale nel funzionamento del corpo umano. Agendo come ormo-
ni, sono coinvolte nella regolazione del battito cardiaco, in quella del flusso
sanguigno, nell'azione di contrasto ai danni prodotti alle cellule dai farmaci, e
nelle risposte del sistema immunitario. Sono state isolate e definite nei loro
caratteri soprattutto a partire dal 1960; molte scoperte a esse relative sono state
fatte dal 1970. La formula della prostaglandina PGE1 è C20 H34 O5 ; anche le altre
prostaglandine hanno formula uguale o molto simile.
Ogni volta che un tessuto viene disturbato o danneggiato, esso rilascia delle
prostaglandine (Vane, 1971). Le prostaglandine, specialmente le PGE2 e le
alfa-PGF2, sono coinvolte con altre sostanze nella produzione di infiammazio -
ni ai tessuti che si manifestano con rossori, gonfiori, dolori, acuita sensibilità e
calore, risultanti da un accresciuto flusso di sangue e dal movimento dei leuco -
citi e delle altre cellule e sostanze verso la regione colpita, come risposta agli
ormoni.
Come vedremo nel capitolo 26, confrontando fra loro farmaci e vitamine, la
funzione delle prostaglandine nelle infiammazioni è controllabile, in una certa
misura, dall'aspirina. Horrobin ha rilevato che la vitamina C inibisce la sintesi
della PGE2 e dell’alfa- PGF2, esercitando in tal modo una considerevole azione
antinfiammatoria (Horrobin, 1978). Tuttavia, egli riferì che, laddove l'aspirina
inibisce la sintesi della PGE1, la vitamina C ne accresce la quantità sintetizzata
(Horrobin, Oka e Manku, 1979). La prostaglandina PGEl è coinvolta nella for-
mazione dei linfociti e ha un ruolo fondamentale nella regolazione delle rispo-
ste immunitarie. Di conseguenza, l'effetto della vitamina C nello stimolare la
produzione di PGE1 fornisce un altro esempio di come una sua assunzione otti-
male rafforzi il sistema immunitario e contribuisca al mantenimento di una sa-
lute migliore.
13
Il raffreddore comune
Negli ultimi anni è stata scoperta una nuova malattia, chiamata AIDS (sin-
drome da immunodeficienza acquisita). Sembra essere una malattia virale,
trasmessa soprattutto da materiali fecali durante rapporti sessuali, ma anche at-
traverso trasfusioni di sangue. I pazienti sono spesso uomini e donne omoses-
suali con un'attività sessuale promiscua ma la malattia colpisce anche soggetti
eterosessuali, inclusi i bambini.
I pazienti sviluppano infezioni secondarie e una forma di cancro, il sarcoma
di Kaposi; la malattia conduce spesso alla morte.
Il successo ottenuto dalla vitamina C nella cura di altre malattie virali ne
suggerisce l'uso anche per la lotta contro l'AIDS. Il dottar Ewan Cameron, il
dottor Robert F. Cathcart e io, ognuno separatamente, avanzammo questa pro-
posta, negli ultimi tre anni, a gruppi di medici esperti, ma senza ricevere rispo-
sta.
È stato pubblicato uno studio in proposito: Cathcart (1984) esaminò novan-
ta pazienti affetti da AIDS che si erano rivolti ad altri medici per essere curati e
che prendevano anche elevate dosi di ascorbato di propria iniziativa. Cathcart
stesso trattò dodici malati di AIDS con dosi elevate (da 50 a 200 g. al giorno)
di ascorbato, somministrato oralmente o per via endovenosa. Egli concluse, in
seguito alle sue limitate osservazioni, che la vitamina C sopprime i sintomi del-
la malattia ed è in grado di ridurre l'incidenza delle infezioni secondarie. È evi-
dente che devono essere fatte altre ricerche in questa direzione.
La chemiotassi dei fagociti è una parte importante del meccanismo immuni-
tario (capitolo 12). La chemiocinesi è l'accresciuto movimento delle cellule, in
una direzione precisa o casuale, in risposta a uno stimolo chimico; la chemio-
tassi è invece l'accresciuto movimento delle cellule nella direzione giusta, vale
a dire verso il luogo dove esse sono richieste, per esempio il focolaio di un'in -
fezione. I neutrofili sono i leucociti più suscettibili alla chemiotassi, giungono
per primi al focolaio dell'infiammazione, seguiti da altri leucociti, i fagociti.
Esistono molte cause diverse di chemiotassi anomala dei fagociti (Gallin,
1981). Molte anomalie genetiche sono così gravi che già nei primi giorni di
vita compaiono degli stafilococchi, altre infezioni e problemi dermatologici,
tanto che la maggior parte dei neonati che ne sono affetti non vive a lungo. In
parecchie malattie, incluse l'artrite reumatoide e il cancro, i tessuti malati libe-
rano nel sangue delle sostanze che interferiscono sulla mobilità dei fagociti.
Molti ricercatori hanno riferito che un'assunzione maggiorata di vitamina C
migliora la risposta chemiotattica dei fagociti. Uno di loro fu Anderson (1981),
che riferì come 1 g. di vitamina C al giorno migliorò la mobilità dei neutrofili
nei bambini affetti da malattia cronica granulomatosa. Miglioramenti analoghi
sono stati riscontrati in pazienti affetti da asma e da tubercolosi.
Patrone e Dallegri (1979) giunsero alla conclusione che la vitamina C rap-
presenta la terapia specifica contro i difetti primari della funzione dei fagociti
nelle persone che manifestano infezioni ricorrenti.
La questione della funzione dei fagociti invita qui a spostare la nostra atten-
zione dalle malattie infettive a quelle genetiche. Pazienti sofferenti di una ma-
lattia provocata da geni recessivi, detta di Chediak-Higashi, soffrono di fre-
quenti e gravi infezio ni piogene (che provocano pus), risultanti da un'anomala
rispondenza chemiotattica dei neutrofili e di altri fagociti. Queste cellule sono
in grado di muoversi per la contrazione delle fibrille di actina- miosina (simili a
quelle dei muscoli) situate a una loro estremità. La buona locomozione della
cellula è consentita dalla sua struttura, dal suo assetto determinato da segmenti
chiamati microtubuli, che si estendono dalla regione centrale alla periferia.
L'alterazione genetica nel morbo di Chediak-Higashi consiste in un'anomalia
della proteina tubulina che, per aggregazione, forma i microtubuli.
Dieci anni fa si scoprì che la vitamina C potenzia la chemio tassi dei neutro-
fili (Goetzl e colleghi, 1974). Non pochi ricercatori hanno riferito che un au-
mento nell'assunzione di vitamina C da parte di coloro che soffrono del morbo
di Chediak- Higashi li protegge dalle infezioni, quantunque non corregga l'ano-
malia delle molecole di tubulina (Boxer e colleghi, 1976, 1979; Gallin e colle-
ghi, 1979). Questo chiaro esempio del valore della vitamina C nel controllo
della malattia infettiva aumenta la sua importanza per il sistema immunitario.
Il morbo di Kartagener a sua volta è provocato da un gene recessivo; esso
ha una bassa incidenza (un caso su trenta o quarantamila nascite) e un insieme
sorprendente di manifestazioni diverse. È sempre accompagnato da bronchite
cronica, da infe zioni sinusitiche e da infezioni dell'orecchio medio, con tenden-
za al mal di testa costante. I maschi che ne sono affetti sono sterili e i loro sper-
matozoi sono immobili; molti pazienti mostrano un'inversione della posizione
degli organi (situs inversus), con il cuore a destra e alcuni, o tutti gli organi in-
terni, stereoisomeri.
Ciò solleva la questione di come sia determinata la chiralità su ampia scala
nel corpo umano. Perché la maggior parte della gente ha il cuore a sinistra?
Che cosa è successo ai malati del morbo di Kartagener, caratterizzati dal situs
inversus?
Nella trattazione degli aminoacidi destrogiri e levogiri al capitolo 9 si dice -
va come tutte le proteine del corpo umano siano composte da l-aminoacidi.
Uno dei principali modi di avvolgimento delle catene di polipeptidi (sequenze
lineari di residui aminoacidi) è ad alfa elica.
A causa della struttura direzionale dei residui degli l-aminoacidi, l'alfa elica
deve essere un'elica destrogira, come una normale vite. Il diametro di un ami-
noacido è pari a circa un centomilionesimo di quello di un essere umano, ma
un segmento di alfa elica può essere cento volte più lungo, e può in tal modo
determinare lo stereoisomerismo a strutture di un milionesimo più piccole del
diametro del corpo umano.
Un altro modo di trasferire la chiralità a strutture maggiori fu scoperto nel
1953, quando fu messo in risalto, da parte mia, che una molecola globulare
proteica, composta probabilmente da diecimila atomi, poteva presentare sulla
sua superficie due zone adesive, reciprocamente complementari, tali da rendere
possibile la sua combinazione con molecole simili per produrre un'ampia elica
a forma di tubo (Pauling, 1953). Una tale struttura, nei complessi dei microtu -
buli, è in grado di determinare la struttura direzionale in una cellula.
Lo spermatozoo normalmente nuota servendosi della propria coda come di
un propellente, seguendo un movimento a spirale. La spirale (elica) potrebbe
essere destrogira o levogira. La struttura di direzione (stereoisomerismo) in uno
spermatozoo normale, è determinata da piccole protuberanze, chiamate braccia
rotanti, che spuntano dalla coda sia verso destra sia verso sinistra. Queste brac-
cia rotanti sono assenti negli spermatozoi dei maschi affetti dal morbo di Karta-
gener; le code non sanno pertanto in quale direzione ruotare; gli spermatozoi
non nuotano e i pazienti sono sterili (Afzelius, 1976).
Analogamente, le ciglia dei bronchi sono incapaci di compiere il movimen-
to ondulatorio per mantenerli liberi e, di conseguenza, i pazienti sono partico-
larmente esposti alla bronchite e alle infezioni a essa associate. La tendenza al
mal di testa cronico può risultare da un difetto delle ciglia della membrana epi-
teliale che ricopre i ventricoli del cervello e il canale midollare.
La natura delle strutture che determinano la chiralità degli organi, ponendo
il cuore a sinistra, non è conosciuta, ma probabilmente esse richiamano le brac-
cia rotanti delle code dello spermatozoo. L'anomalia di queste strutture, per
quanto concerne coloro che sono affetti dal morbo di Kartagener, può lasciare
al caso la posizione del cuore e di altri organi, così che, per la metà di essi, si
mostrano in una posizione di situs inversus.
Questi pazienti presentano una chemiotassi anomala dei neutrofili, dovuta a
un'anomalia dei microtubuli. È possibile che la loro resistenza alle infezioni
batteriche possa trarre beneficio da un aumento nell'assunzione di vitamina C,
come avviene per coloro che soffrono del morbo di Chediak- Higashi, quantun -
que ciò non sia ancora stato dimostrato.
Sono rimasto assai sorpreso, così come altri, che nell'ultimo quarto del XX
secolo una singola sostanza sia stata riconosciuta assai salutare, indipendente-
mente dalla malattia di cui una persona soffre. La ragione di ciò è da attribuirsi
al fatto che la vitamina C, grazie al suo coinvolgimento in molte reazioni bio -
chimiche che avvengono nel corpo umano, potenzia le difese naturali dell'orga -
nismo; sono indubbiamente queste difese naturali che forniscono la maggior
parte della nostra resistenza alle malattie.
Il nostro corpo può combattere le malattie solo se abbiamo negli organi e
nei fluidi corporei una quantità sufficiente di vitamina C che consenta ai nostri
meccanismi naturali di difesa di operare con efficacia. La quantità richiesta è,
naturalmente, molto maggiore di quella che è stata raccomandata in passato
dalle autorità mediche e dagli esperti in scienza dell'alimentazione.
15
Le ferite e la loro cicatrizzazione
diete in relazione al loro effetto sulla salute, allo scopo di determinare quali
elementi nutritivi nei cibi ingeriti siano più efficaci per la riduzione del tasso di
mortalità. Sul totale dei venticinque fattori considerati nella ricerca sulla Con-
tea di San Mateo, condotta da Chope e Breslow, la vitamina C è risultata il fat-
tore più importante. I soggetti della ricerca a cui erano stati somministrati 50
mg. o più al giorno di vitamina C ebbero un tasso di mortalità (tenuta nel debi-
to conto l'età) pari a solo il 40 per cento di quello dei soggetti a cui ne era stata
somministrata una quantità inferiore a 50 mg. al giorno. La maggioranza dei
decessi, come avveniva anche per la popolazione complessiva, era causata da
malattie cardiovascolari.
Una ricerca epidemiologica condotta da Knox su una popolazione inglese
molto vasta diede risultati analoghi (1973). Knox riscontrò che, come si sapeva
in precedenza, un elevato apporto di calcio concorre alla protezione contro l'i-
schemia cardiaca e i disturbi cerebrovascolari, e anche che un effetto protettivo
ancora maggiore (superiore a quello ottenuto con qualsiasi altro fattore) è asso-
ciato all'aumento dell'apporto di vitamina C. Allo scopo di raccogliere dati sul
tasso di mortalità nei soggetti che fanno uso di supplementi vitaminici, venne
effettuata una ricerca in prospettiva di sei anni su 479 soggetti anziani della
California, i quali avevano risposto a un questionario comparso nel 1972 sulla
rivista Prevention (Enstrom e Pauling, 1982). I soggetti assumevano in media 1
g. di vitamina C al giorno, oltre ad assumere dosi supplementari di vitamina E
e di vitamina A, e a seguire altre pratiche salutiste.
Rispetto al tasso di mortalità previsto per i bianchi statunitensi nel 1977, il
loro tasso standardizzato di mortalità per malattie cardiovascolari (il 58 per
cento del totale dei decessi) fu del 75 per cento per i maschi, del 46 per cento
per le femmine e del 62 per cento per entrambi i sessi. I valori per tutte le cause
di morte furono il 78, il 54 e il 68 per cento del tasso nazionale previsto per
quell'anno.
I dati riportati indicano che questi anziani della California, così attenti alle
questioni relative alla salute, hanno uno stile di vita, ivi compresa l'assunzione
di un'integrazione di vitamine, che è correlato con una diminuzio ne del 38 per
cento della mortalità cardiovascolare e del 21 per cento della mortalità dovuta
ad altre cause.
Queste ricerche epidemiologiche, insieme con altre simili, suffragano la
conclusione che è possibile conseguire un aumento significativo della protezio-
ne dalle malattie cardiovascolari aumentando l'apporto di vitamina C al di so-
pra dei 60 mg, corrispondenti alle RGR del Food and Nutrition Board.
Di recente si è parlato molto dell'efficacia di un'alimentazione basata su car-
ne di pesce, magra o no, per la riduzione dell'incidenza delle malattie coronari-
che. Una ricerca (Kromhout e colleghi, 1985) riferisce che i soggetti che non
mangiavano pesce avevano un tasso di mortalità per malattie coronariche (stan-
dardizzato in funzione dell'età) superiore di 2,5 volte a quello di soggetti che
mangiavano circa 28 g. di pesce al giorno. Parte di questo effetto si può
attribuire agli oli contenuti nel pesce (Phillipson e colleghi, 1985; Lee e
colleghi, 1985).
Centinaia di milioni di dollari sono stati spesi dai National Institutes of
Health, dalla American Heart Association e da altre organizzazioni, per soste-
nere ricerche sui disturbi cardiovascolari in rapporto al colesterolo LDL e
HDL, ai trigliceridi, ai grassi saturi e insaturi.
Più di recente, sono stati effettuati due esperimenti controllati nella Clinica
Mayo. Questo lavoro della Mayo è stato pubblicizzato come una confutazione
delle ricerche del Vale of Leven Hospital e del Fukuoka Torikai. Tuttavia, i
dati mostrano come i medici della Clinica Mayo non abbiano seguito gli stessi
protocolli. Pertanto quella ricerca ha scarsa attendibilità riguardo all'efficacia
della vitamina C nel trattamento dei malati di cancro.
La prima ricerca della Clinica Mayo (Creagen e colleghi, 1979) ha mostrato
solo un lieve effetto protettivo della vitamina C. Cameron e io abbiamo attri-
buito questo risultato al fatto che la maggior parte dei pazienti della Clinica
Mayo aveva ricevuto in precedenza forti dosi di farmaci citotossici, con danno
al sistema immunitario e interferenza con l'azione della vitamina C, e al fatto
che i soggetti di controllo prendevano anch'essi della vitamina C, in dosi
notevolmente superiori rispetto ai soggetti di controllo della Scozia e del
Giappone. Solo il 4 per cento dei pazienti del Vale of Leven era stato
sottoposto in precedenza a chemioterapia.
Nelle nostre ricerche i pazienti trattati con vitamina C ne assunsero forti
dosi, senza interruzioni, per il resto della loro vita, o fino a oggi, se sono anco-
ra in vita: alcuni l'hanno presa per quattordici anni. Nella seconda ricerca della
Clinica Mayo (Moertel e colleghi, 1985), i pazienti trattati con vitamina C ne
ricevettero solo per un breve periodo (2,5 mesi in media). Nessuno di loro morì
finché prendeva questa vitamina (in dose leggermente inferiore ai 10 g. al gior-
no). Essi furono tuttavia tenuti sotto controllo per altri due anni, durante i quali
il loro tempo di sopravvivenza non risultò migliore di quello dei soggetti di
controllo, anzi talvolta risultò addirittura peggiore. La relazio ne di Moerter e
un portavoce del National Cancer Institute, che la commentò (Wittes, 1985)
ignorarono entrambi il fatto che i pazienti trattati con vitamina C non ne riceve -
vano più al momento in cui morirono, e non ne stavano ricevendo più da un bel
pezzo (media di 10,5 mesi). Gli autori testé citati affermarono categoricamente
che questa ricerca mostrava finalmente in modo definitivo che la vitamina C
non era efficace contro il cancro in stadio avanzato, e raccomandavano che non
venissero più fatte ricerche sulla sua utilità in proposito.
I loro risultati non giustificavano una simile conclusione, perché di fatto i
loro pazienti morirono solo dopo essere stati privati della vitamina C. Se la loro
ricerca ha dimostrato alcunché, si tratta del fatto che i pazienti di cancro non
devono interrompere l'assunzione di forti dosi di vitamina C.
Eppure, da quando è stata pubblicata, questa ricerca è stata considerata
come una sorta di smentita del lavoro di Cameron-Pauling, e come tale pubbli-
cizzata.
Quando comparve questo studio svolto nella Clinica Mayo, il 17 gennaio
1985, Cameron e io eravamo irritati perché Moertel e i suoi collaboratori, il
portavoce del National Cancer Institute e anche il direttore del New England
Journal of Medicine avevano fatto in modo che noi non avessimo alcuna infor -
mazione sui risultati, se non qualche ora prima della sua pubblicazione. Sei set-
timane prima, Moertel si era rifiutato di parlarmi della ricerca, limitandosi a
dirmi che il loro articolo era di prossima pubblicazione. In una lettera diretta a
me egli mi aveva assicurato che avrebbe fatto in modo che io avessi una copia
dell'articolo vari giorni prima della sua pubblicazione; ma non mantenne tale
promessa.
Questa presentazione scorretta da parte di Moertel e collaboratori, nonché
del portavoce del National Cancer Institute, ha fatto un gran danno. Ci sono
stati malati di cancro che ci hanno comunicato di aver interrotto l'assunzione di
vitamina C a causa dei «risultati negativi» riferiti dalla Clinica Mayo.
Non accade spesso che si dia notizia di un comportamento non etico di uno
scienziato. Varie volte negli ultimi anni è stata scoperta qualche frode commes-
sa da giovani medici che eseguivano della ricerca clinica; una presentazione
scorretta dei risultati di una ricerca clinica, come è accaduto per la seconda ri-
cerca effettuata dalla Clinica Mayo, è da condannarsi in particolar modo in
quanto ha aumentato la mole della sofferenza umana.
L'articolo pubblicato dalla Clinica Mayo ha stimolato un'energica risposta
da parte del pubblico, diretta a Cameron e a me. Ricevetti le prime due lettere
cinque giorni dopo la pubblicazio ne dell'articolo. I seguenti estratti sono citati
con il permesso degli autori. Una lettera fu inviata a Moertel, in principale ri-
cercatore della Clinica Mayo, da un uomo dello Utah, che me ne inviò una co-
pia. Fu scritta il giorno dopo la pubblicazione dell'articolo, e il suo testo com-
pleto è il seguente:
«Caro dottor. Moertel,
nel marzo del 1983 mi fu asportato il polmone destro in seguito a cancro.
La radiografia non mostrava diffusione e non mi fu prescritto un trattamento di
terapia radiante.
«L'8 maggio 1984 una TAC mostrò una metastasi al cervello, due piccoli
tumori sulla parte anteriore, uno a destra e uno a sinistra, di 3 cm l'uno.
Inoltre un grosso tumore posteriore, di 6 cm.
«La prognosi era infausta: circa un anno di vita. Il trattamento fu irradiazio -
ne, allo LDS Hospital di Salt Lake City, con l'intento di ridurre e tenere sotto
controllo i tumori per un po', ma non di eliminarli.
«Immediatamente iniziai un programma dietetico che includeva la vitamina
C. Raggiunsi il mio livello di tolleranza intestinale con 36 g. al giorno. Il 9 lu-
glio fu fatta un'altra TAC allo LDS Hospital: i tumori erano completamente
scomparsi. Ho appena effettuato una TAC di controllo e una radiografia del to-
race che non hanno evidenziato segni di cancro.
«Sono fermamente convinto che la vitamina C (insieme con altri nutritivi)
associata alla terapia radiante abbiano eliminato i tumori. Ne assumo tuttora 36
g. al giorno e ho intenzione di farlo indefinitamente, essendo sicuro che la vita-
mina C ha avuto una parte importante nella mia guarigione miracolosa.
«Nel loro libro Cancer and Vitamin C, Ewan Cameron e Linus PAULING
non suggeriscono di usare esclusivamente la vitamina C per il trattamento di
cancro, ma solo di associarla alle terapie tradizionali.
«La mia cartella clinica è disponibile per qualsiasi verifica. Mi rendo conto
che lei non ama le anamnesi, ma i referti delle radiografie e dei medici, più i ri-
sultati concreti, costituiscono una valida prova.
«Non so quanta vitamina C voi abbiate somministrato ai pazienti delle vo-
stre ricerche a doppio cieco, ma il fabbisogno differisce per ogni individuo.
Pertanto una quantità qualsiasi al di sotto del livello di tolleranza (che voi non
potete accertare in un tipo di ricerca come la vostra), non serve a niente.
«È mia speranza che, se vi interessano davvero i malati di cancro, riconsi-
deriate la vostra posizione».
A scrivermi la seconda lettera fu un signore di ottantun anni, di San Franci-
sco. Eccone alcuni stralci:
«Questa lettera riguarda essenzialmente la validità delle sue teorie su cancro
e vitamina C. Come ho scritto sopra, sono stato operato per un cancro colon-
rettale il 4 settembre 1980: avevo una metastasi al fegato, in cui fu trovato un
tumore del diametro di circa 35 mm. In tali condizioni esso non risultò operabi-
le. Mi misi a leggere sull'argomento; intanto mi venivano fatte delle iniezioni
di 5-FU.
Sapevo che lei aveva scritto della vitamina C a proposito del raffreddore
comune, ma non ero a conoscenza del suo lavoro con il dottor Cameron in Sco-
zia.
«Nella letteratura medica trovai facilmente la notizia che una metastasi al
fegato equivaleva a una sentenza di morte: il tempo di sopravvivenza andava
da qualche settimana a 18 mesi. Nella maggior parte delle ricerche, le metastasi
non trattate avevano un periodo di sopravvivenza di 6,1 mesi in media.
«Compresi ben presto che le iniezioni di pirimidina fluorurata 5-FU non
erano niente di più che un placebo. Decisi di smettere di farle. L'oncologo che
mi seguiva non si oppose e prescrisse una scintigrafia del fegato, che mostrò
che il diametro del tumore era cresciuto da 35 mm a 52 mm nel periodo in cui
mi venivano praticate le iniezioni.
«Per natura, sono una persona decisa, e da quando avevo quindici anni so
che vivere vuol dire andare incontro alla morte. Chiamando a raccolta tutte le
mie forze e facendomi guidare dalle sue convinzioni sull'argomento, elaborai
un regime basato su vitamina C, vitamina E e altre integrazioni dietetiche.
«La seconda scintigrafia del fegato, dopo tre mesi in cui avevo preso da 10
a 12 g. di vitamina C al giorno, non mostrò alcun cambiamento né nelle dimen-
sioni né nella struttura della lesione epatica. Il tumore c'era, d'accordo, però
non era cresciuto.
«Continuai il mio autotrattamento e mi misi alla ricerca di un medico che
mi aiutasse. Mi trovai di fronte a un oceano di ignoranza da parte della scienza
medica nei confronti del processo, immensamente complesso, mediante cui il
corpo umano assorbe e utilizza i materiali che gli consentono di esistere. Incon-
trai anche la più profonda indifferenza per quello che stavo cercando di fare.
«Conosco personalmente dodici medici, molti dei quali considero amici.
Cinque di loro mi dissero che all'università avevano seguito soltanto un corso
di sei mesi sulla nutrizione; gli altri sette non avevano seguito neppure quello.
Nessuno di loro mi fece domande su quanto stavo facendo.
«Continuai le scintigrafie del fegato, una ogni tre mesi. La lesione rimase
com'era fino al controllo con gli ultrasuoni del 15 ottobre 1984. Con mia gran-
de sorpresa, questo esame mostrò una diminuzione che arrivava al 32 per cento
del volume del tumore. Dato il risultato così fuori dell'ordinario, la serie dei
controlli fu eseguita due volte, una dal tecnico e l'altra dal medico responsabile
del laboratorio, per raggiungere la sicurezza, circa quei risultati.
Nel tumore si notava anche l'inizio di infiltrazioni di calcio. Durante tutto
questo tempo, ero stato relativamente in buona salute, senza sintomi del can-
cro: facevo questo e quello, e andavo con la mia barca alla Baia. Ogni anno fa-
cevo una radiografia al torace, perché il decorso normale è dal fegato ai polmo-
ni: i miei polmoni però erano intatti.
«Nei suoi scritti, lei suggerisce di aumentare la dose dell'acido ascorbico
fino a quando si manifestano dei disturbi, e poi di tornare indietro di un pochi-
no. Quando io le scrissi, mi rispose suggerendomi di prenderne 25 g. al giorno.
Sto prendendone da più di due anni 36 g. al giorno, suddivisi in varie razioni,
senza che ciò mi provochi alcun problema.
«Da più di un anno avevo l'intenzione di scriverle, ed è stata la semplice pi-
grizia a impedirmelo. Se oggi mi sono deciso a farlo è a causa dell'articolo che
ho letto due mattine fa mentre facevo la prima colazione, articolo in cui si par-
lava della procedura seguita alla Clinica Mayo. La sua idea è che si tratti di una
faccenda ignobile. La Mayo è l'ultimo posto in cui vorrei che si eseguisse una
ricerca sulla vitamina C, in qualsiasi condizione.
I risultati sono invalidati dalle procedure usate nella prima ricerca, o almeno
quella che essi così definiscono. Anche un cieco vedrebbe che cosa si deve fa-
re. E cioè, nient'altro che una serie di test di massa, su migliaia di pazienti che
abbiano una quantità di tipi diversi di cancro, suddivisi secondo i vari stadi de-
generativi. Dovrebbe essere uno sforzo su scala nazionale: nessuna clinica,
nessun ospedale, nessun istituto universitario potrebbe effettuarlo
singolarmente.
«Sono sicuro che lei ha assolutamente ragione quando afferma che la vita-
mina C, pur non essendo un trattamento per il cancro, è un sussidio vitale e po-
tente nella gestione e nel controllo di questa malattia. Ed è un fatto che qualsia -
si forma di chemioterapia danneggia il sistema immunitario dell'organismo.
Nel mio caso, devo avere un sistema immunitario di prima qualità, altrimenti il
mio cancro avrebbe raggiunto da tempo una ghiandola linfatica.
«Che il mio tumore al fegato sia ormai non invasivo è sicuro. Che rimanga
così non lo è altrettanto. Il solo sapere che è li mi fa vivere sotto una spada di
Damocle.
Sono ragionevolmente sicuro che morirò di cancro... se non muoio prima di
vecchiaia: il 36 gennaio 1985 ho compiuto ottantun anni».
Queste due lettere esemplificano bene il tipo di missive che Cameron e io
abbiamo ricevuto in grande quantità. Simili dati possono essere liquidati come
aneddotici se paragonati a quelli statistici relativi a esperimenti su grande scala,
però con dosi inadeguate di vitamina C. Tuttavia gli aneddoti dovrebbero sti-
molare i ricercatori coscienziosi a fare esperimenti con dosi di vitamina C
uguali a quelle prescritte da Cameron.
Nel capitolo 26 tornerò sul comportamento di Moertel e dei suoi collabora-
tori, quando parlerò della differenza tra vitamine e farmaci.
Basandosi sui risultati delle nostre ricerche, Cameron e io abbiamo racco-
mandato che a qualsiasi paziente di cancro venga consigliato di prendere forti
dosi di vitamina C, in aggiunta alla terapia convenzionale appropriata, comin-
ciando quanto prima nel decorso della malattia.
Quante persone potrebbero essere aiutate con questo sistema? L'informazio-
ne quantitativa di cui disponiamo si basa essenzialmente sull'osservazione ef-
fettuata in Scozia su pazienti affetti da cancro avanzato, cui vennero sommini-
strati 10 g. di vitamina C al giorno; come risultato di osservazioni su varie cen-
tinaia di pazienti, Cameron è giunto alle seguenti conclusioni:
Categoria I: nessuna risposta del tumore, ma solitamente un miglioramento
nel benessere generale (nel 20 per cento circa dei casi).
Categoria II: risposta piuttosto modesta (nel 25 per cento cir ca dei casi).
Categoria III: rallentamento della crescita del tumore (nel 25 per cento circa
dei casi).
Categoria IV: nessun cambiamento nel tumore (situazione stazionaria) (nel
20 per cento circa dei casi).
Categoria V: regressione parziale del tumore (nel 9 per cento circa dei casi).
Categoria VI: regressione completa del tumore (nell'uno per cento circa dei
casi).
I risultati migliori si ottengono con dosi superiori a 10 g. al giorno.
Nel nostro libro Cancer and Vitamin C, Cameron e io abbiamo così espres-
so le nostre conclusioni: «Questo semplice e sicuro trattamento, l'inge stione di
grandi quantità di vitamina C, ha. una precisa efficacia nel trattamento di
pazienti affetti da cancro in stadio avanzato. Anche se non disponiamo ancora
di dati sufficienti, noi siamo convinti che la vitamina C abbia un'efficacia
ancora maggiore nel trattamento di malati di cancro a uno stadio precoce della
malattia, come pure nella prevenzione del cancro». Ed ecco come termina il li-
bro:
«Con l'eventuale eccezione del periodo in cui viene praticata un'intensa
chemioterapia, noi suggeriamo fortemente l'uso di ascorbato supplementare nel
trattamento di tutti i malati di cancro, a partire da quanto prima. Noi siamo del
parere che questa semplice adozione migliorerà gli effetti generali del tratta-
mento in misura notevole, non solo aumentando la resistenza dei pazienti alla
malattia, ma anche proteggendoli da alcune delle serie complicazioni (talora fa-
tali) associate alla stessa terapia del cancro. Siamo convinti che in un futuro
non troppo lontano la somministrazione di forti dosi di ascorbato avrà un posto
consolidato in tutti gli schemi terapeutici relativi al cancro».
Oggi però abbiamo avuto l'opportunità di osservare pazienti che hanno pre-
so 10 g. o più di vitamina C al giorno durante un'intensa chemioterapia. Appare
evidente che la vitamina C apporta dei vantaggi, controllando in misura note -
vole gli effetti collaterali indesiderabili degli agenti chemioterapici citotossici,
come la nausea e la perdita dei capelli, e che il vantaggio sembra assommarsi a
quello dell'agente chemioterapico stesso.
Oggi noi consigliamo l'assunzione di alte dosi di vitamina C, in certi casi
fino al livello di tolleranza intestinale (vedi capitolo 14), a partire dal più presto
possibile.
Sono molti i vantaggi dell'uso della vitamina C in aggiunta alla terapia con-
venzionale appropriata nel trattamento dei malati di cancro. La vitamina C non
è costosa. Non ha seri effetti collaterali, ma anzi stimola l'appetito, attenua l'in-
felicità tipica dei malati, migliora la salute generale e dà al paziente una mag-
giore capacità di godere la vita. Per tutti i soggetti sussiste la possibilità di te-
nere sotto controllo per molti anni la malattia, ricorrendo all'uso della vitamina
C in associazione alla terapia convenzionale appropriata e all'assunzione di al-
tri nutritivi nelle giuste dosi.
20
Il cervello
Di tutti gli organi del corpo umano, il cervello è il più sensibile alla sua
composizione molecolare; è noto che il corretto funzionamento del cervello ri-
chiede la presenza di molti tipi diversi di molecole nelle giuste concentrazioni.
Il cervello è l'ambiente fisico, molecolare della mente e la fisiologia del cervel-
lo tende a mantenere sempre costante tale ambiente. Nelle persone che soffrono
di scorbuto la concentrazione di vitamina C nel cervello si mantiene alta anche
quando il sangue e gli altri tessuti ne sono quasi privi. Il cervello è talmente
sensibile che se una persona resta priva di ossigeno per qualche minuto, esso
muore (condizione indicata da un elettroencefalogramma piatto), mentre gli al-
tri organi sopravvivono.
Nel considerare lo stato di salute del resto del corpo, abbiamo incontrato
l'individualità biochimica che fa sì che ogni persona sia completamente distinta
da tutte le altre (capitolo 10). Si può sostenere che nei vari individui non sia
differente la quantità delle sostanze indispensabili al cervello? Dobbiamo piut-
tosto chiederci quale parte abbia l'ambiente molecolare di una data mente del
determinare la specificità di quel singolo individuo.
Questa semplice domanda ci porta a ipotizzare che il cervello possa soffrire
di un'avitaminosi localizzata o di altri disturbi legati a carenze cerebrali localiz-
zate. Sussiste la possibilità che alcuni esseri umani abbiano una sorta di scor-
buto cerebrale, senza nessun'altra manifestazione di questa malattia, oppure
una sorta di pellagra cerebrale, o di anemia perniciosa cerebrale.
Zuckerkandl e PAULING (1962) hanno sottolineato il fatto che ogni vita-
mina, ogni aminoacido essenziale e qualsiasi altra sostanza nutritiva essenziale
rappresentano un disturbo molecolare, che i nostri lontani antenati impararono
a controllare quando esso cominciò ad affliggerli, selezionando una dieta tera-
peutica, e che continua a essere tenuto sotto controllo in questo stesso modo.
Le malattie dovute a una carenza localizzata che abbiamo testé citato possono
essere malattie molecolari composte, che implicano, oltre alla lesione originaria
(cioè la perdita della capacità di sintetizzare quella sostanza vitale), anche
un'altra lesione, che provoca un diminuito trasferimento attraverso una mem-
brana (per esempio, la membrana sangue-cervello) fino all'organo colpito dal
disturbo, oppure che provoca un aumento del processo di distruzione della so-
stanza vitale nell'organo, o infine qualche altra reazione che crei un'alterazione.
Questi deficit nella sintesi di sostanze chiave possono manifestarsi attraverso
sintomi diagnosticati come psicosi di un tipo o di un altro, che verranno trattate
con un tentativo di modificare il comportamento o la personalità del paziente.
Nella nona edizione dell'Enciclopedia Britannica (1881) La pazzia veniva
definita come una malattia cronica del cervello che induce sintomi di disturbi
mentali cronici. L'autore dell'articolo, il dottor J. Batty Tuke, che insegnava
alla Scuola di Medicina di Edimburgo, proseguiva affermando:
«Tale definizione ha il grande vantaggio pratico di tener presente allo stu-
dente il fatto primario che la pazzia è il risultato di una malattia del cervello, e
non è un mero disordine immateriale dell'intelletto. Ai primordi della medicina
era ammesso generalmente il carattere corporeo della pazzia mentale, e solo al-
lorché la superstiziosa ignoranza del Medio Evo offuscò le deduzioni scientifi-
che (anche se assolutamente non sempre esatte) dei primi autori, nacquero delle
teorie che ne affermavano il carattere puramente psichico. Oggigiorno non è
necessario combattere tali teorie, poiché è ormai universalmente accettato che
il cervello è l'organo attraverso cui si manifestano i fenomeni mentali; è pertan-
to impossibile concepire l'esistenza di una mente insana in un cervello sano».
Nel 1929, quando fu pubblicata la quattordicesima edizione dell'Enciclope-
dia Britannica, la situazione era mutata, soprattutto a causa dello sviluppo del-
la psicoanalisi di Sigmund Freud. La precedente definizione di pazzia era stata
tolta e sostituita da una discussione svolta da due punti di vista: quello della
scuola materialista, che sosteneva l'intervento di cambiamenti strutturali nel
cervello, e quello della scuola psicogena, che sosteneva che la pazzia è dovuta
ad anomalie dell'Io e che i cambiamenti strutturali del cervello osservati in cer-
te forme di pazzia sono dovuti a una mentalità pervertita.
Ancora oggi, quando ormai siamo perfettamente a conoscenza dell'azione
dei farmaci psicotropi, dei tumori al cervello, delle lesioni cerebrali, dei virus
lenti, della carenza vitaminica e di altri fattori che influiscono sul funziona -
mento del cervello, vi sono persone che praticano la psicoanalisi ignorando del
tutto il cervello, e cercando solo di trattare l'Io.
Quando fu introdotto l'uso della vitamina B3 (dal 1920 bevendo il latte,
dopo il 1940 mangiando pane fatto con farina arricchita di tale vitamina), essa
ha guarito migliaia di malati di pellagra dalle loro psicosi, oltre che dalle mani-
festazioni fisiche della loro malattia. Per questo scopo bastano piccole dosi; la
RGR del Consiglio Nazionale delle Ricerche degli Stati Uniti è di 17 mg. al
giorno (per un paziente di sesso maschile, del peso di 70 kg). Nel 1939 Clec-
kiey, Sydenstricker e Geeslin riferirono di aver trattato con successo dicianno-
ve pazienti, e nel 1941 Sydenstricker e Cleckiey riferirono di aver trattato con
analogo successo ventinove pazienti, affetti da gravi sintomi psichiatrici, usan-
do dosi moderatamente forti di acido nicotinico (da 0,3 a 1,5 g. al giorno). Nes-
suno di questi pazienti presentava i sintomi fisici della pellagra o di altre forme
di avitaminosi. Più di recente altri ricercatori hanno riferito l'uso di acido nico -
tinico e di nicotinamide nel trattamento di malati mentali. Tra questi spiccano il
dottor Abram Hoffer e il dottor Humphry Osmond, che dal 1952 in poi hanno
sostenuto e adottato l'uso dell'acido nicotinico in dosi elevate, in associazione
alla terapia convenzionale, nel trattamento della schizofrenia. Il loro lavoro,
che ha acceso il mio interesse per le vitamine, sarà discusso a fondo più avanti.
Una carenza di vitamina B12 , la cobalamina, quale ne sia la causa (anemia
perniciosa; una mancanza di origine genetica del fattore del succo gastrico che
è indispensabile per convogliare la vitamina nel sangue; l'infestazione della te-
nia nel pesce Diphyllobothrium, il cui elevato fabbisogno di questa vitamina
causa deprivazione nell'ospite; o ancora, una flora batterica eccessiva, con un
alto fabbisogno di questa vitamina) porta alla malattia mentale, spesso più pro-
nunciata delle conseguenze fisiche. La malattia mentale associata all'anemia
perniciosa frequentemente appare anni prima che si sviluppi l'anemia stessa.
Tutte queste manifestazioni di grave carenza della vitamina B12 sono natural-
mente controllate dalla sua somministrazione in quantità adeguate.
Anche dal punto di vista epidemiologico, sembra provato che una carenza
anche moderata di vitamina B12 può provocare la malattia mentale. Edwin, Hol-
ten, Norum, Schrumpf e Skaug. (1965) hanno misurato la quantità di vitamina
B12 nei siero di tutti i pazienti sopra ai trent'anni ricoverati in un ospedale psi-
chiatrico in Norvegia nel corso di un intero anno. Su 396 pazienti, il 5,8 per
cento (23) aveva una concentrazione patologicamente bassa di vitamina Bl2, in -
feriore ai 101 picogrammi (1 picogrammo = 1/1.000.000.000.000 di g.) per
millilitro; nel 9,6 per cento dei pazienti (38), la concentrazione era sotto la nor-
ma (da 101 a 150 pg. per millilitro). La concentrazione normale va da 150 a
1300 pg. per millilitro. L'incidenza di livelli patologicamente bassi e al di sotto
della norma di vitamina Bl2 nel siero di questi pazienti, pari al 15,4 per cento, è
circa trenta volte quella presente nella popolazione in generale, che è circa del-
lo 0,5 per cento (stimata in base alla frequenza dell'anemia perniciosa nella
zona, 9,3 casi su 100.000 persone all'anno). Altri ricercatori hanno anche riferi-
to un'incidenza ancora maggiore di basse concentrazioni di vitamina Bl2 nel
siero di pazienti con problemi mentali rispetto alla popolazione nel suo insieme
e hanno suggerito che la carenza di vitamina B12, quale ne sia l'origine, può
provocare la malattia mentale.
Queste osservazioni indicano che un aumento nell'assunzione di vitamina
B12 e delle altre vitamine potrebbe far parte del trattamento di tutti i malati
mentali. La vitamina può essere presa per bocca, salvo nel caso dei malati di
anemia pernicio sa, che devono assumerla sotto forma di iniezioni.
Una ricerca interessante sulla relazione tra l'intelligenza, quale risulta indi-
cata dai test standard di capacità mentale, e la concentrazione dell'acido ascor-
bico nel plasma sanguigno è stata riferita da Rubala e Katz (1960). I soggetti
erano 351 studenti di quattro scuole (dagli asili infantili all'università) in tre
città. Inizialmente essi furono suddivisi in un gruppo che possedeva più acido
ascorbico (più di 1,10 mg. di acido ascorbico per 100 ml di plasma sanguigno)
e in un gruppo che ne aveva meno (meno di 1,10 mg. per 100 ml) in base ad
analisi di campioni di sangue. Vennero quindi selezionati 72 soggetti in
ciascun gruppo, con cui si formarono delle coppie che si equivalevano come si-
tuazione socio-economica (reddito familiare, educazione del padre e della
madre). Si riscontrò che il quoziente d'intelligenza (QI) medio del gruppo che
possedeva più acido ascorbico era superiore rispetto a quello del gruppo che ne
possedeva meno in ognuna delle quattro scuole; in tutte le 72 coppie di
soggetti, i valori del QI medio erano rispettivamente 113,22 e 108,71, con una
differenza media di 4,51. La probabilità di riscontrare una differenza così
grande con questo test in una popolazione uniforme è inferiore al 5 per
cento; quindi la differenza osservata nei QI medi dei due gruppi è statistica-
mente significativa. I soggetti dei due gruppi ricevettero per sei mesi del succo
d'arancia supplementare; poi vennero ripetuti i test. Per coloro che appartene-
vano al gruppo che possedeva maggior concentrazione di acido ascorbico nel
plasma i QI medi erano migliorati di ben poco (0,002 unità), mentre quelli del-
l'altro gruppo erano cresciuti di 3,54 unità. Anche questa differenza è statistica-
mente significativa, e la sua probabilità di costituire una fluttuazione casuale è
inferiore al 5 per cento in una popolazione uniforme. La ricerca fu proseguita
durante un secondo anno scolastico con 32 coppie (64 soggetti), con risultati
analoghi. Il rapporto tra QI medio e concentrazione media di acido ascorbico
nel plasma sanguigno per questi soggetti, misurato quattro volte durante un
periodo di vari mesi, è riportato nella seguente tabella.
Questi risultati indicano che il QI è salito di 3,6 unità in corrispondenza di
un aumento del 50 per cento della concentrazione dell'acido ascorbico nel pla-
sma (da 1,03 a 1,55 mg. per 100 ml). Tale aumento può essere ottenuto da mol-
te persone adulte incrementando l'assunzione di acido ascorbico di 50 mg. al
giorno (da 100 a 150 mg. giornalieri).
Rubala e Katz concludono che parte della differenza nelle prestazioni del
test di intelligenza è determinata dallo «stato nutrizionale temporaneo dell'indi-
viduo, almeno per quanto riguarda agrumi e altri alimenti che forniscono acido
ascorbico». Essi suggeriscono che la «prontezza» e «l'acume» mentali diminui-
scano se diminuisce il rifornimento di acido ascorbico.
Dal grafico non risulta che il massimo delle capacità mentali è stato rag-
giunto in corrispondenza del valore di 1,55 mg. di acido ascorbico per 100 ml
di plasma sanguigno. Questa concentrazione corrisponde, per un adulto del
peso di 70 kg, all'inge stione di circa 180 mg. di acido ascorbico al giorno. Ne
deduco che, per raggiungere una prestazione mentale massima, la dose quoti-
diana di acido ascorbico dovrebbe essere almeno tripla rispetto ai 60 mg. rac-
comandati dal Comitato per l'Alimentazione e la Nutrizione, e almeno nonupla
rispetto ai 20 mg. raccomandati dall'autorità inglese corrispondente.
Le persone differiscono l'una dall'altra per la loro capacità di adattarsi al
mondo e agli altri. Per molte persone l'incapacità è innata, come si osserva nei
bambini affetti da ritardo mentale, da lentezza nell'apprendimento e da difficol-
tà a pensare con chiarezza. Circa 15 milioni di persone negli Stati Uniti presen-
tano una deficienza mentale; per qualcosa come 2 milioni di loro tale deficien-
za viene classificata come grave. Il costo dell'assistenza a questi ultimi soggetti
viene valutato come superiore a 50 miliardi di dollari all'anno.
Molte delle cause del ritardo mentale sono oggi note, e per alcune si sa
come prevenire o modificare il danno genetico. Un esempio è quello della fe-
nilchetonuria, derivante da un'incapacità di produrre l'enzima che catalizza la
conversione della fenilalanina in un altro aminoacido, la tirosina. Entrambi
questi aminoacidi sono presenti nelle proteine del nostro cibo. Un bambino af-
fetto da fenilchetonuria ha un eccesso di fenilalanina e una carenza di tirosina
nel sangue. Ciò interferisce con un corretto sviluppo e funzionamento del cer-
vello, provocando ritardo mentale. Se poco dopo la nascita si fa seguire al bam-
bino una dieta speciale a basso contenuto di fenilalanina e se lo si tiene a dieta
per parecchi anni, il ritardo non si manifesta.
La sindrome di Down (trisomia 21 o mongolismo) è dovuta a un'anomalia
genetica: le cellule della persona contengono tre, anziché due, cromosomi 21
(uno fra i più piccoli cromosomi). Le persone che hanno questa anomalia ten-
dono, di conseguenza, a produrre il 50 per cento in più di molti enzimi, che
sono programmati dalle centinaia di geni presenti nel cromosoma 21. Queste
persone presentano quindi parecchie anomalie. Sono piccole di statura; hanno
una testa di forma insolita, anormalmente grande; anche la forma delle mani e
dei piedi presenta delle anomalie; la lingua è grossa e sporgente. Gli occhi obli-
qui, con l'angolo interno coperto da una piega della pelle (epicanto), hanno fat-
to sì che in origine a questa condizione venisse dato il nome di mongolismo.
Circa un terzo di loro soffre di patologie cardiache congenite; l'incidenza della
leucemia è superiore alla norma; tutti questi problemi portano spesso a una
morte precoce. Quelli che sopravvivono presentano in età adulta un invecchia-
mento accelerato e solitamente muoiono tra i quaranta e i sessant'anni.
Sono gravi ritardati mentali, con un QI generalmente inferio re a 50. L'inci-
denza delle nascite di questi bambini da madri gio vani è circa di uno su duemi-
la parti, ma essa sale a circa uno su ventidue parti se la madre ha più di quaran-
t'anni.
Un importante problema medico e scientifico è quello di trovare un tratta-
mento per queste anomalie genetiche a partire dall'infanzia, in modo da preve-
nire gran parte sia del ritardo mentale sia delle anomalie fisiche, come la bassa
statura e l'aspetto fuori dal normale. Io ritengo che oggi possiamo considerare
questo obiettivo in parte raggiungibile, attraverso misure nutrizionali e ortomo-
lecolari. Anche una parziale diminuzione della gravità del ritardo mentale può
essere molto importante. Un aumento del QI da 50 a 70 (normale basso) può
far passare da una vita di dipendenza dagli altri all'autosufficienza.
La dottoressa Ruth F. Harrell, della Old Dominion University, di Norfolk,
in Virginia, insieme con i suoi collaboratori Ruth Capp, Donald Davis, Julius
Peerless e Leonard Ravitz, ha eseguito una ricerca a doppio cieco sull'effetto
della somministrazio ne di una miscela di diciannove vitamine e minerali a 16
bambini mentalmente ritardati tra i cinque e i quindici anni (6 maschi e 10 fem-
mine) (Harrell e colleghi, 1981). I loro valori iniziali di QI, ottenuti dalla media
di misurazioni effettuate da tre o più psicologi, variavano da 17 a 70, con un
valore medio di 47,7. I soggetti furono divisi a caso in due gruppi. Durante i
primi quattro mesi della ricerca a doppio cieco, i 6 soggetti del primo gruppo
ricevettero sei compresse al giorno di un complesso vitaminico- minerale, e i 10
soggetti del secondo gruppo ricevettero sei compresse al giorno di placebo;
poi, per altri quattro mesi tutti i soggetti ricevettero le compresse del comples-
so. A ispirare la Harrell è stato il professor Roger J. Williams, dell'università
del Texas, colui che nel 1933 scoprì l'acido pantotenico; egli scriveva che un
aumento nell'assunzione di importanti fattori nutritivi poteva essere d'aiuto nel
controllo di alcune malattie genetiche (Williams, 1956). In seguito, la Harrell
aveva effettuato un esperimento con un bambino di sette anni gravemente
ritardato, che portava ancora i pannolini come un bambino piccolo, non sapeva
parlare e aveva un QI intorno a 25-30. Un biochimico, la dottoressa Mary B.
Allen, studiò la formula di minerali e vitamine che è riportata nella seguente
tabella.
Dai temi più vasti riguardanti la salute e la malattia di cui ci siamo occupati
negli ultimi capitoli, passiamo ora a considerare quello che può fare l'uso otti-
male delle vitamine in alcuni disturbi che causano dolore e invalidità, anche se
non minacciano la vita.
Alcune delle osservazioni e raccomandazioni che farò si basano su speri-
mentazioni affidabili e ripetute; altre, tuttavia, si basano su un numero di dati
piuttosto esiguo. Se dovessi raccomandare dei farmaci, dovrei essere molto più
cauto nel citare gli usi per i quali vengono indicati. Per fortuna, però, le
vitamine hanno una tossicità sorprendentemente bassa e sono poche le persone
che devono limitarne le dosi.
La dose ottimale di vitamine migliora la salute generale e rafforza i naturali
meccanismi di difesa dell'organismo. Comunque, la vitamina D non deve esse-
re presa in dosi eccessive e troppa vitamina A può provocare mal di testa.
L'occhio è un organo importante e delicato; è sensibile all'ambiente, com-
preso l'ambiente interno costituito dalle molecole delle sostanze che gli vengo-
no fornite dal sangue. Le sostanze tossiche possono provocare una cataratta.
Una pressione parziale di ossigeno troppo alta, erogata ai neonati prematuri,
può provocare restringimento e obliterazione delle arterie della retina (fibropla-
sia retrocristallina}, portando alla cecità. In alcune persone, l'uso locale conti-
nuato di corticosteroidi può provocare glaucomi, cataratte altri problemi.
È ormai riconosciuta l'importanza di una dose opportuna di vitamine per
mantenere gli occhi in buone condizioni.
In alcuni paesi dell'Asia meridionale e orientale e in Brasile, spesso la ceci-
tà è causata dalla carenza di vitamina A. La xeroftalmia (secchezza anomala
del bulbo oculare), determinata dalla mancanza di vitamina A, è la causa prin-
cipale della cecità nei bambini piccoli. La cecità dovuta a retinite pigmentosa,
provocata dalla sindrome di Bassen-Kornzweig, si può prevenire sommini-
strando dosi massive di vitamine A ed E.
L'importanza della vitamina C per la buona salute degli occhi è suggerita
dal fatto che la concentrazione di questa vitamina nell'umor acqueo è molto
elevata, venticinque volte quella del plasma sanguigno.
È stato dimostrato il rapporto che esiste fra uno scarso apporto di vitamina
C e la formazione di cataratta. Per cataratta si intende l'opacità del cristallino
dell'occhio provocata dall'aggregazione delle molecole proteiche in particelle
abbastanza grandi da riflettere la luce. Le cataratte precoci sono provocate dal-
l'esposizione a sostanze tossiche nella donna in gravidanza o nel bambino, da
una nutrizione scorretta e da alcune malattie quali la rosolia e la galattosemia.
Le cataratte senili possono essere provocate dalla luce del sole, da radiazioni
(raggi X, neutroni), da infezioni, dal diabete e da carenze alimentari.
Molti ricercatori, a partire dal 1935 con Monjukowa e Fradkin, hanno
riferito che nell'umor acqueo degli occhi affetti da cataratta c'è pochissima vita -
mina C e che i pazienti affetti da tale malattia presentano spesso un basso tasso
di vitamina C nel plasma sanguigno (Lee, Lam e Lai, 1977; Varma, Kumar e
Richards, 1979; Varma, Srivistava e Richards, 1982; Varma e colleghi, 1984).
Monjukowa e Fradkin riferirono che la bassa concentrazione di vitamina C nel
cristallino precedeva la formazione della cataratta e ne dedussero che la caren-
za di vitamina C è la causa, e non la conseguenza, della formazione di catarat-
te.
Essi ipotizzarono che nella vecchiaia la permeabilità dell'occhio alla vitami-
na C diminuisce e che essa avrebbe potuto essere compensata assumendo dosi
elevate di tale vitamina. Varma e colleghi (1984) hanno dedotto dalle loro ri-
cerche che le vitamine E e C sono importanti per la prevenzione della cataratta
senile. Secondo alcune relazioni, l'assunzione regolare di dosi elevate di vita -
mina B2 , da 200 a 600 mg. al giorno, rallenta lo svilup po delle cataratte. Il regi-
me descritto nel capitolo 5, se fedelmente seguito, può portare a un controllo
significativo dello sviluppo delle cataratte senili.
Un certo numero di medici ha descritto esperienze positive di uso della
vitamina C per tenere sotto controllo il glaucoma.
Questa dolorosa malattia, che così spesso conduce alla cecità, ha come ca-
ratteristica fondamentale l'aumento della pressione endoculare, che provoca il
rigonfiamento del bulbo oculare. La pressione normale è inferiore a quella di
20 mm. di mercurio (mm. Hg). Le pressioni di un glaucoma semplice variano
da 22 a 30 mm Hg, quelle di un glaucoma più grave vanno da 30 a 45 mm. Hg,
e quelle di un glaucoma gravissimo raggiungono i 70 mm. Hg. Talvolta il
glaucoma ha un'origine ereditaria, altre volte è l'effetto di un'infezione
all'occhio o di altre lesioni, o di uno stress emotivo. Spesso lo si può tenere
sotto controllo mediante l'uso di farmaci.
Cheraskin, Ringsdorf e Sisley (1983), nella loro analisi del glaucoma, cita-
no il fatto che Lane (1980) aveva studiato 60 soggetti di età compresa fra i ven-
tisei e i settantaquattro anni e aveva riscontrato una pressione endoculare media
di 22,33 mm Hg, quando la dose media di vitamina C era di 75 mg. al giorno, e
una diminuzione fino a 15,15 mm Hg. quando la dose di vitamina C veniva au-
mentata a 1200 mg. al giorno. Anche altri ricercatori hanno riferito risultati
analoghi. Le osservazioni di Bietti (1967) e Virno e colleghi (1967) sono anco-
ra più sorprendenti; essi somministrarono ai loro pazienti dai 30 ai 40 g. al
giorno di vitamina C (0,5 g. per ogni chilogrammo di peso corporeo) per una
durata di sette mesi. La pressione endoculare, inizialmen te compresa fra 30 a
70 mm Hg, solitamente diminuiva a circa metà del valore iniziale. Dosi elevate
di vitamina C riuscirono, per alcuni pazienti, a tenere sotto controllo il glauco-
ma, mentre ad altri consentirono di diminuire la quantità di farmaci normalm-
ente assunti.
L'efficacia della vitamina C nella guarigione delle ustioni è stata citata nel
capitolo 14. È stato anche scoperto che questa vitamina è molto efficace nel
trattamento delle ustioni della cornea. Migliaia di queste ustioni sono provoca-
te da incidenti industriali, durante i quali l'occhio viene esposto a una soluzio ne
alcalina o ad altre sostanze chimiche. Nel 1978, la U.S. Consumer Protection
Safety Commission (Commissione per la Protezione e la Sicurezza del Consu-
matore) fece un rapporto di 22.429 casi di ustioni degli occhi, prodotte da so-
stanze chimiche, avvenute in casa.
Quando si verifica un simile incidente, l'occhio deve essere irrigato imme-
diatamente con acqua, continuando l'operazione per ben due ore. Per salvare la
vista può essere necessario ricorrere alle cure di un oftalmologo. Le ustioni
possono provocare ulcerazioni della cornea e perforazioni del globo oculare.
La lesione può interferire con il trasporto della vitamina C nell'occhio, fa-
cendo sì che la sua concentrazione nell'umor acqueo scenda a un terzo del suo
valore normale, è noto già da tempo che la vitamina C presa per via orale o
applicata localmente come soluzione di sodio ascorbato è molto efficace nel
trattamento di queste ustioni (Boyd e Campbell, 1950; Krueger, 1960; Stella-
mor- Peskir, 1981).
Negli ultimi dieci anni il professor Roswell R. Pfister e i suoi colleghi del-
l'università dell'Alabama, a Birmingham, hanno eseguito uno studio approfon-
dito sull'azione della vitamina C. Oltre al trattamento convenzionale, l'ascorba-
to preso per via orale e l'applicazione locale di una soluzione al 10 per cento di
ascorbato di sodio possono prevenire l'ulcerazione.
La congiuntivite è l'infiammazione della congiuntiva, la membrana mucosa
che ricopre la superfice interna della palpebra e che si estende sulla parte ante-
riore del bulbo oculare. Può essere provocata da infezioni virali, allergie, luce
intensa o altre fonti irritative. Le iriditi e le uveiti sono infiammazioni di una
parte dell'iride. Tutte queste situazioni possono trarre beneficio dalla sommini-
strazione in gocce nell'occhio di una soluzione isotonica, appena preparata (al
3,1 per cento) di sodio ascorbato, come coadiuvante dell'opportuna terapia con-
venzionale.
L'otite media acuta, un'infezione batterica o virale dell'orecchio medio, pro-
voca grandi sofferenze. Di solito, è dovuta a un'infezione del tratto superiore
delle vie respiratorie. Un buon modo per prevenire questo problema consiste
nell'arrestare o nel controllare l'infezione respiratoria, cosa che può essere fatta
assumendo una dose appropriata di vitamina C. Una persona mi ha scritto di
aver curato con successo un'infezione dell'orecchio medio introducendovi alcu-
ne gocce di sodio ascorbato. Anche se non esistono ricerche approfondite rela -
tive a questo trattamento, esso mi sembra ragionevole e degno di essere prova-
to.
La salute della bocca (i denti, le gengive e le membrane mucose) dipende
dall'apporto di vitamina C. Un'assunzione molto bassa ha effetti disastrasi.
Un'assunzione moderata, quale quella fornita da una normale dieta equilibrata,
assicura uno stato di salute abbastanza buono. Per un'ottima salute della bocca
è necessario assumere il dosaggio ottimale, fornito da dosi supplementari di vi-
tamina C, in quantità di parecchi grammi al giorno. Gli effetti di un'assunzione
così bassa da provocare lo scorbuto sono stati riferiti da Jacques De Vitry, ve-
scovo di Acre, nella sua descrizione dello scorbuto che affliggeva i crociati in
Terrasanta: «... I loro denti e le loro gengive furono ben presto colpiti da una
sorta di cancrena; gli ammalati non riuscivano più a mangiare». (Citato da Fuli-
mer, Martin e Burns, 1961.)
Un'assunzione insufficiente di vitamina C compromette direttamente i den-
ti. Le cellule che generano i denti si deteriorano e la dentina, non più sostituita,
diventa porosa. Una buona quantità di vitamina C, di calcio e di fluoruro è in -
dispensabile per avere denti sani.
La carenza di vitamina C provoca fragilità capillare. Quando i capillari del-
le gengive si rompono e sanguinano, il flusso sanguigno che irrora i tessuti del-
le gengive viene interrotto e i tessuti si lesionano. Le gengive assumono un co-
lore viola, diventano molli e particolarmente vulnerabili. L'infezione e la can-
crena ne sono la conseguenza, con il pericolo di perdere i denti. L'infiammazio -
ne delle gengive si chiama gengivite; peggiorando, essa si trasforma in piorrea
(periodonziopatia).
Fullmer, Martin e Burns (1961) e altri ricercatori sono giunti alla conclusio-
ne che la vitamina C è necessaria per la formazione e la buona conservazione
della dentina del tessuto osseo, delle gengive e degli altri tessuti connettivi del
periodonzio.
L'abituale trattamento delle periodonziopatie consiste nel rimuovere la plac-
ca, talvolta nel molare alcuni denti, nel rimuovere le otturazioni e le protesi e
nell'asportare chirurgicamente alcuni tessuti gengivali. Tale trattamento è dolo-
roso e costoso. Spesso lo si può evitare aumentando le dosi di vitamina C as-
sunte.
Le affermazioni precedenti non sono confermate da dimostrazioni cliniche
controllate su larga scala; per quanto mi risulta, non è stata effettuata una simi-
le sperimentazione. Esse si basano però su alcuni casi singoli che, uniti alla no-
stra esperienza sulle proprietà della vitamina C, ne raccomandono l'impiego a
tale scopo. Citerò un unico caso, quello di Joshua M. Rabach, come è descritto
nel suo libro sulla vitamina C (1972):
«Nel 1966 un dentista mi fece conoscere la vitamina C; non il mio solito
dentista ma uno che non conoscevo, che consultai in preda alla disperazione.
Causa della mia disperazione erano 900 dollari, l'onorario che un periodonzista
mi aveva richiesto per riportare le mie gengive in una forma 'migliore'.., La
prognosi del periodonzista era stata desolante. Era già un bel guaio dover paga-
re 900 dollari; come se ciò non bastasse, non poteva neppure promettermi che
il suo lavoro mi avrebbe evitato di perdere i denti prematuramente... Mi recai
dal secondo dentista (adesso il mio dentista) una settimana più tardi. Dopo aver
esaminato la mia bocca e avermi posto molte domande, fu d'accordo nel dire
che le mie gengive si stavano ritirando e che il problema non doveva essere
ignorato; non era, invece, d'accordo sulla necessità, 'almeno per il momento',
del lavoro sul periodonzio. Prescrisse il seguente ciclo di trattamento: dovevo
farmi pulire i denti allora e, in seguito, ogni tre mesi; dovevo lavarmi i denti e
massaggiarmi le gengive secondo le sue istruzioni; mattina e sera, dovevo
prendere una delle compresse bianche che mi diede.
«Passarono sei mesi prima che venissi a sapere che le compresse bianche
erano di vitamina C (500 mg) e che, in alcuni tipi di malattie gengivali, il mio
dentista impiega una terapia a base di vitamina C, prima di qualsiasi altro tipo
di trattamento più radicale... Questo avvenne sei anni fa. Io ho ancora tutti i
miei denti e le mie gengive sono sane».
Per Rabach, 1000 mg. di vitamina C al giorno furono sufficienti a prevenire
la periodonziopatia, ma per altri ne possono servire molti di più.
Non c'è dubbio, come è stato sottolineato da Cheraskin e Ringsdorf nel loro
libro Predictive Medicine (Medicina Preventiva), del 1973, che la salute gene -
rale dipende in qualche modo dalla salute della bocca e che la salute della boc-
ca è un indicatore della salute generale. Se si hanno problemi con le gengive o
con i denti, occorre aumentare il normale supplemento giornaliero di vitamina
C e di altre vitamine e vedere se non si può risolvere il problema in questo
semplice modo. Occorre, inoltre, tenersi in contatto con il dentista e assicurarsi
che conosca l'importanza di un corretta nutrizione.
24
L'invecchiame nto: come ralle ntarlo e attenuarne le conse-
guenze
Vitamine e far-
maci
25
La medicina istituzionale e le vitamine
Quindici anni fa scrissi Vitamin C and the Common Cold. Ero molto con-
tento di me stesso; avevo fatto numerose scoperte nel campo della chimica e in
altri settori della scienza e avevo apportato dei contributi alla medicina, anche
se non era chiaro come questi contributi avrebbero potuto diminuire le soffe-
renze causate dalle malattie. Adesso ritengo di aver appreso qualche nozione su
ciò che può alleviare il dolore di decine di milioni o anche di centinaia di mi-
lioni di persone, qualcosa che era già stato evidenziato da altri scienziati e da
altri medici ma che, per qualche motivo, è stato ignorato.
Credevo che tutto quello che dovevo fare fosse presentare i fatti in modo
logico, schietto e semplice, affinchè i medici e le persone comuni li potessero
accettare. Avevo ragione a nutrire questa speranza per quanto riguarda le per-
sone comuni, ma avevo torto per quello che riguarda i medici o, forse, non tan-
to i medici come individui, quanto la medicina come istituzione.
Un numero esiguo, forse l'1 per cento dei medici statunitensi, pratica attual-
mente la medicina ortomolecolare; essi si chiamano medici ortomolecolari, e ri-
corrono a misure terapeutiche e preventive convenzionali, ma le completano
con appropriate raccomandazioni riguardanti la dose ottimale di vitamine e di
altri nutritivi, insieme con sostanze ortomolecolari.
La American Orthomolecular Medical Association, della quale sono stato
presidente onorario sin da quando è stata fondata, dieci anni fa, conta oggi 500
membri. Non è facile essere un medico ortomolecolare: questa branca della me-
dicina non è stata ancora ufficialmente riconosciuta.
La medicina ortomolecolare, a quanto pare, per diversi motivi viene consi-
derata come una minaccia per la medicina convenzionale.
I medici ortomolecolari sono osteggiati dalle istituzioni mediche. Nel 1984,
un mio amico, l'attuale presidente della Orthomolecular Medical Association,
si è visto revocare l'abilitazione medica e ha dovuto trasferirsi in un altro Stato
per poter continuare a praticare la professione medica. Io stesso ho testimonia-
to nel corso dell'udienza, durante la quale mi furono rivolte, da parte del vice -
procuratore generale dello Stato della California, alcune domande piuttosto
sciocche.
Nessuno dei pazienti aveva presentato delle accuse a suo carico; le accuse
furono invece presentate da un altro medico, il quale riteneva che la medicina
ortomolecolare fosse concorrenza sleale, dal momento che i pazienti beneficia -
no di essa a costi troppo bassi (le vitamine sono molto meno costose delle me-
dicine). Credo che la principale accusa contro il mio amico fosse la seguente:
«Non è intervenuto abbastanza per far cambiare opinione al suo paziente,
ammalato di cancro, che non voleva saperne della chemioterapia».
Questo pretesto mi ricorda quello escogitato trentatré anni fa dal Diparti-
mento di Stato degli Stati Uniti per non rilasciarmi il passaporto che mi avreb-
be permesso di partecipare a un simposio internazionale di due giorni che si te-
neva a Londra, organizzato dalla Royal Society of London, per discutere le mie
scoperte riguardanti la struttura delle proteine. Avrei dovuto essere il primo
oratore. Il Dipartimento di Stato affermò che le mie dichiarazioni anticomunis -
te non erano state abbastanza vigorose.
Nel capitolo 13 ho detto che, mentre molte persone credono che la vitamina
C aiuti a prevenire i raffreddori, la maggior parte dei medici nega che questa
vitamina abbia tale potere. Le esperienze che ho avuto dopo la pubblicazione
di Vitamin C and the Common Cold (1970) hanno convalidato la mia teoria e
mi hanno stimolato a tentare di spiegare il motivo di tale atteggia mento.
Molti medici mi hanno scritto dicendo che hanno riscontrato l'efficacia del-
la vitamina C nel controllo del raffreddore comune e di altre infezioni delle vie
respiratorie e che l'hanno usata per curarsi, per curare i membri della loro fami-
glia e i pazienti. Inoltre, circa un centinaio di persone che non appartengono
alla classe medica mi ha scritto per informarmi di aver adottato con successo la
vitamina C per un certo numero di anni. Ho ricevuto solo tre o quattro lettere di
medici convinti che la vitamina C non sia efficace. È probabile, tuttavia, che
questo piccolo numero sia fuorviante: gli scettici non scrivono a me...
Il dottor Cortez F. Enloe Jr., redattore di Nutrition Today, in un editoriale
del 1971 sul mio libro scrisse che non aveva trovato un solo medico fra i suoi
amici o fra quelli presenti alla riunione di un'associazione medica statale che
almeno ammettesse di aver letto il libro. Io sospetto che la maggior parte dei
medici non abbia letto né questo libro né uno qualsiasi degli articoli che hanno
descritto le ricerche controllate che sono state eseguite sulla vitamina C in rela -
zione al raffreddore comune. Calcolo che un medico americano su mille abbia
letto l'articolo di Cowan, Diehl e Baker del 1942 e che uno su diecimila abbia
letto l'articolo di Ritzel del 1961. Le opinioni di tutti i medici, salvo quelle di
un piccolo gruppo, sono di seconda mano.
Quasi tutti i medici si basano sulle affermazioni provenienti dalle autorità e
ciò è purtroppo inevitabile. Il medico praticante è troppo occupato per fare una
ricerca approfondita sulla complessa e spesso voluminosa letteratura originale
riguardante un qualsiasi argomento medico. Per esempio, un medico di Albu-
querque, nel Nuovo Messico, scrisse una lettera al giornale locale dicendo che
era stato dimostrato che la vitamina C non aveva alcun valore nella protezione
dal raffreddore comune e dalle altre malattie respiratorie. Gli scrissi, doman-
dandogli su quali ricerche pubblicate si fosse basato per fare le sue af-
fermazioni. Rispose che lui era ginecologo e che ne sapeva poco di malattie in-
fettive; le sue affermazioni erano basate su informazioni dategli per telefono
dal suo vecchio professore, il dottor F. J. Stare. Questo medico si era fidato di
una personalità che, come molti membri dell’establishment medico, aveva
ignorato le prove in numero sempre maggiore a favore del trattamento del raf-
freddore comune con la vitamina C.
Tra gli stessi ricercatori medici, alcuni non hanno saputo analizzare le loro
osservazioni in modo valido e agire in conformità ai propri risultati. Cowan,
Diehl e Baker (1942) ne sono un esempio. Nel corso della loro accurata ricerca,
questi medici osservarono che l'incidenza di raffreddori nel gruppo che assu-
meva l'acido ascorbico (rispetto al gruppo che assumeva il placebo) era dimi-
nuita del 15 per cento e la gravità della malattia del 19 per cento (capitolo 12).
Statisticamente questi dati sono significativi e non devono essere ignorati.
Nondimeno, Cowan, Diehl e Baker li ignorarono. Nel sommario della loro rela-
zione, che è l'unica parte letta dalla maggioranza dei lettori del Journal of the
American Medical Assotiation, non citarono i risultati di questa indagine. Il
loro sommario consisteva in un'unica frase: «Questa ricerca controllata non
fornisce alcuna indicazione sul fatto che sia grandi dosi di vitamina C sia gran-
di dosi delle vitamine A, B1, B2 , C, D e dell'acido nicotinico abbiano un qual-
siasi effetto importante sul numero o sulla gravità delle infezioni del tratto su-
periore delle vie respiratorie, quando tali vitamine vengono somministrate a
giovani adulti, i quali, presumibilmente, seguono una dieta ragionevolmente
adeguata».
Secondo me, questa affermazione è scorretta. I soggetti trattati con vitamina
C ebbero soltanto il 69 per cento di invalidità da raffreddore comune (valutata
in giorni di malattia per soggetto, cioè prendendo il numero di raffreddori per
soggetto e moltiplicandolo per i giorni di malattia causati dal raffreddore) ri-
spetto ai soggetti sottoposti a trattamento con placebo. Certamente la diminu-
zione dell'incidenza del 15 per cento e quella della gravità della malattia del 19
per cento sono effetti importanti. L'unica spiegazione del modo con cui Cowan,
Diehl e Baker hanno steso il loro sommario è che non hanno considerato come
importanti gli effetti osservati; sicuramente, però, la maggior parte della gente
considererà importante riuscire a ridurre di circa un terzo il numero dei suoi
raffreddori. Nel 1970, in una lettera al New York Times, Diehl ha affermato che
né lui né i suoi collaboratori avevano ottenuto risultati positivi. In risposta a
quella lettera osservai che il dottor Diehl e io eravamo d'accordo sui fatti, ma
dissentivamo sulla parola e importante», e che Cowan, Diehl e Baker avevano
commesso un errore di giudizio omettendo di citare nel loro riassunto l'effetto
protettivo, statisticamente significativo, dell'acido ascorbico nei confronti del
raffreddore comune, pur avendolo riscontrato.
Anche Glazebrook e Thomson (1942) hanno frainteso le loro stesse osser-
vazioni nel riassunto del loro articolo. Nel capitolo 13 viene detto che nella
loro ricerca principale, condotta su 435 soggetti, essi hanno trovato che l'inci-
denza dei raffreddori e delle tonsilliti nel gruppo trattato con acido ascorbico
era del 13 per cento inferiore a quella riscontrata nei soggetti di controllo.
In questa principale ricerca, l'incidenza dei soli raffreddori fu inferiore del
17 per cento, mentre nella seconda, condotta su 150 soggetti, fu inferiore del
12 per cento; nel corso di questa seconda ricerca essi osservarono, inoltre,
un'incidenza di raffreddori e tonsilliti inferiore del 15 per cento. Questi fatti,
presentati nel testo della relazione, non sono riportati nel riassunto. Invece,
contrariamente ai fatti, essi affermano: «Le incidenze dei raffreddori comuni e
delle tonsilliti furono le stesse per i due gruppi». Simili riassunti di relazioni,
che presentano in modo non corretto il resoconto dei lavori, si possono trovare
anche nelle comunicazioni di altri ricercatori.
Il comportamento di questi ricercatori, che tendono a minimiz zare le loro
osservazioni nei riassunti delle relazioni, può essere dovuto a una sorta di con-
servatorismo e di cautela, all'opinione che non si deve affermare di aver osser-
vato un effetto di prevenzione o un effetto terapeutico, a meno che esso non sia
grande ed evidente.
Secondo me, gli atteggiamenti di questo tipo, per quanto pregevoli possano
essere, non giustificano una descrizione non corretta delle proprie osservazioni.
Gli autori di un articolo medico o scientifico devono sempre battersi per la pre-
cisione. È sbagliato tanto minimizzare i propri risultati quanto esagerarli. Non
c'è dubbio che gli stessi ricercatori sono in parte responsabili del fatto che le
istituzioni mediche non riconoscono l'importanza delle loro osservazioni.
L'atteggiamento delle autorità mediche è bene illustrato dall'affermazione
contenuta nell'editoriale non firmato, pubblicato su Nutrition Reviews (1967),
già citato nel capitolo 6, in cui si dichiara che non esistono prove conclusive
che l'acido ascorbico abbia un qualsiasi effetto terapeutico o protettivo sul de-
corso del raffreddore comune delle persone in buona salute. La ricerca di tali
prove da parte dell'anonimo autore era stata chiaramente superficiale poiché,
come abbiamo detto nel capitolo 13, egli aveva erroneamente riferito che Ritzel
(1961) aveva osservato solo una riduzione del 39 per cento nel numero di gior-
ni di malattia e del 36 per cento nell'incidenza dei sintomi, mentre i valori esatti
erano quasi il doppio (rispettivamente 61 e 65 per cento).
L'editoriale non indica neppure che il suo autore abbia fatto dei tentativi per
analizzare le prove presenti nelle relazioni pubblicate, al fine di accertare se si
poteva o no affermare che i dati provassero con significatività statistica un'a-
zione terapeutica o protettiva dell'acido ascorbico. Non sembra improbabile
che l'autore sia stato fuorviato dalle affermazioni errate contenute nel riassunto
di alcuni ricercatori, secondo quanto abbiamo appena riferito, e dalle opinioni
mediche prevalenti, e che sia stato questo pregiudizio a provocare tanta
superficialità nel suo editoriale.
Anche dopo la pubblicazione di Vitamin C and the Common Cold (7 dicem-
bre 1970), quando i dati probanti furono portati con chiarezza all'attenzione
delle autorità mediche, queste continuarono a negarne l'esistenza. Questo rifiu -
to fu talvolta accompagnato da affermazioni che contraddicevano o fraintende-
vano i fatti.
Il dottor Charles C. Edwards, capo della U.S. Food and Drug Administra-
tion (FDA), fu fra le autorità che negavano questi dati.
Il 18 dicembre 1970 il commissario Edwards mi telefonò chiedendomi di
andare a Washington per conferire sull'argomento con la FDA. Io acconsentii,
e suggerii che prima dell'incontro si chiarissero alcune questioni per lettera. Il
giorno successivo, come fu riportato da un dispaccio della United Press Inter-
national a cura di Craig. A. Palmer e pubblicato su molti giornali, egli convocò
i giornalisti per comunicare loro che l'assalto alle farmacie per acquistare la vi-
tamina C dopo la pubblicazione del mio libro era «ridicolo» e affermò: «Non
esistono prove scientifiche, e non sono mai nemmeno state svolte ricerche
scientifiche significative che indichino che la vitamina C sia in grado di preve-
nire o di guarire i raffreddori».
Scrissi parecchie lettere al commissario Edwards, chiedendogli di spiegare
come poteva conciliare questa affermazione con i dati probanti riportati nel
mio libro, specialmente con i risultati ottenuti da Ritzel. Nelle sue risposte, che
includevano il materiale del dottor Allan L. Forbes, vicedirettore della Divisio -
ne di Nutrizione della FDA, egli fece parecchi commenti critici sul lavoro di
Ritzel e degli altri ricercatori citati nel mio libro. Comunque, egli concludeva
dicendo che Ritzel presentava quelli che sembravano essere dei dati significati-
vi.
Con i «chiarimenti» portati avanti il più possibile, per corrispondenza, nel
giugno 1971 scrissi al commissario Edwards dicendogli che sarei andato a Wa-
shington per l'incontro, subito o in una data per lui conveniente. Egli ritirò il
suo invito e l'incontro non ebbe mai luogo.
Nonostante le ripetute ricerche, che affermavano che una dose supplemen-
tare di vitamina C forniva una certa protezione nei confronti delle malattie del-
le vie respiratorie e di altre patologie, le associazioni mediche federali conti-
nuarono a negare che essa avesse una qualsiasi efficacia. Nell'agosto 1975 i
National Institutes of Health pubblicarono un opuscolo (566-AMDD-975-B)
contenente molte affermazioni non esatte: «L'organismo utiliz za soltanto la
quantità di acido ascorbico che gli è necessaria ed elimina il resto con le urine!
»
«Altri problemi riguardanti la sicurezza di dosi elevate di acido ascorbico
comprendono i suoi possibili effetti sulla fertilità e sul feto, l'interferenza con
la terapia di pazienti la cui urina deve essere mantenuta alcalina...
«Ricerche recenti dimostrano, inoltre, che dosi elevate di vitamina C di-
struggono considerevoli quantità della vitamina Bl2 presente nel cibo». Nell'o -
puscolo si afferma che, presumibilmente, 45 mg. al giorno sono sufficienti a
prevenire le malattie e a conservare lo stato di salute.
L'unico riferimento ai dati è l'affermazione che le ricerche non sono convin-
centi.
Anche autori di autorevoli libri di testo e di manuali non hanno valutato
correttamente i dati riguardanti la vitamina C. Per esempio, nella sesta edizione
del libro di testo Human Nutrition and Dietetics (Nutrizione umana e
dietetica), di Davidson, Passmore, Brock e Truswell (1975), gli autori scrivo-
no: "La teoria di PAULING (1970) secondo cui l'assunzione di 1 o 2 g. di aci-
do ascorbico al giorno promuova una salute ottimale e protegga dal raffreddore
comune si basa su dati inconsistenti». A sostegno di questa affermazione essi
citano le conclusioni di Cowan e colleghi, di Glazebrook e Thomson, ma non
riferiscono i dati di questi autori. Non citano mai il lavoro di Ritzel, anche se
conoscono le sue ricerche. Uno degli autori, Passmore, ha scritto una recensio-
ne di Vitamin C and the Common Cold, in cui io discutevo quel lavoro (Pass-
more, 1971). Il perché queste autorità nel campo della nutrizione debbano
fraintendere e ignorare le prove non è chiaro.
Medical Letter, una pubblicazione per medici senza fini di lucro, riguardan-
te farmaci e terapie, della Drug and Therapeutic Information Inc., il 25 dicem-
bre 1970 ha pubblicato, senza firma, una recensione sfavorevole di Vitamin C
and the Common Cold. L'anonimo autore diceva che io mi ero basato su ricer-
che incontrollate e proseguiva affermando: «Una sperimentazione controllata
sull'efficacia della vitamina C nelle infezioni delle vie respiratorie superiori
deve essere condotta per un lungo periodo di tempo e deve comprendere molte
centinaia di persone per dare risultati attendibili. Non è stata eseguita alcuna
sperimentazione di questo tipo». Scrissi una lettera all'autore dell'articolo sotto-
lineando la falsità di questa affermazione e facendogli presente come, se non
altro, la ricerca di Cowan, Diehl e Baker soddisfacesse sicuramente tutte le
condizioni da lui esposte. Conclusi chiedendo a Medical Letter di pubblicare la
mia lettera.
Ciò non fu fatto; invece, il 28 maggio 1971, Medical Letter pubblicò un se-
condo articolo dal titolo «Vitamin C - Were the Trials Well Controlied and Are
Large Doses Safe?» Questo articolo sosteneva che la ricerca di Cowan, Diehl e
Baker doveva essere rifiutata perché non era a doppio cieco (sebbene Cowan
stesso mi avesse scritto in una lettera che avrebbe potuto benissimo essere
definita tale) e perché l'assegnazione dei soggetti al gruppo dell'acido ascorbico
e a quello del placebo non era stata casuale (sebbene i ricercatori descrivessero
nella relazione il loro metodo di casualità).
La ricerca di Ritzel veniva attaccata per la banale ragione che egli non ave-
va fornito età e sesso dei soggetti. In realtà, la sua relazione indicava che i sog-
getti erano tutti studenti (in una lettera, Ritzel mi precisò che erano tutti ma-
schi, di età compresa tra i quindici e i diciassette anni). L'articolo aveva anche
sollevato la questione, senza peraltro offrire alcuna prova, della possibile for -
mazione di calcoli renali.
La debolezza degli argomenti avanzati da Medical Letter e da alcuni altri
critici ha spinto il medico canadese dottor Abram Hoffer a fare il seguente
commento (1971): «[Questi critici] usano due logiche diverse. Per essere di-
sposti a prendere in considerazione l'ipotesi del dottor Pauling, chiedono le
prove più rigorose; quando invece combattono le sue idee, parlano della tossic-
ità dell'acido ascorbico in base alle prove più inconsistenti».
Naturalmente i profani vengono tratti in inganno da simili affermazioni
fuorvianti. In un articolo del Reader's Digest (Ross, 1971) del tutto inattendibi-
le c'è la seguente frase: «Ma alcuni di questi pazienti [che avevano preso da
4000 a 10.000 mg. di vitamina C al giorno] avevano sviluppato calcoli renali».
La mia richiesta al Reader's Digest e all'autore dell'articolo di fornirmi la bi-
bliografia della letteratura medica relativa a questi pazienti non ha dato risulta-
ti. Medical Letter non parlava di pazienti reali nei quali l'acido ascorbico aveva
provocato la formazione di calcoli renali, ma aveva soltanto citato tale possibi-
lità.
Per molti anni la posizione dell'American Medicai Association (AMA),
espressa in particolar modo dal dottor Philip L. White, suo principale portavoce
per la salute e la nutrizione, è stata quella di affermare che la vitamina C non
ha efficacia nella prevenzione o nel trattamento del raffreddore comune o di al-
tre malattie (White, 1975).
Il 10 marzo 1975 l’AMA ha rilasciato alla stampa una dichiarazione dal ti-
tolo: «La vitamina C non previene né guarisce il raffreddore comune». Venne
detto che alla base si questa dichiarazione decisamente negativa vi fossero due
articoli che erano stati pubblicati quel giorno stesso sul Journal of the Ameri-
can Medical Association (Karlowski e colleghi, 1975; Dykes e Meier, 1975).
Karlowski e i suoi colleghi avevano fatto una ricerca sull'acido ascorbico in re-
lazione al raffreddore comune, utilizzando quali soggetti gli impiegati dei Na-
tional Institutes of Health.
L'articolo di Dykes e Meier era una rassegna di alcune altre ricerche. I risul-
tati osservati da Ritzel (1961), Sabiston e Radomski (1974) e da alcuni altri ri-
cercatori non vi erano, comunque, presentati.
Nonostante l'incompletezza dei riferimenti, Dykes e Meier concludevano
dicendo che le ricerche sembravano indicare che la vitamina C diminuisse il di-
sagio che accompagna il raffreddore comune, anche se, secondo loro, l'effetto
protettivo potrebbe non essere così forte da avere importanza dal punto di vista
clinico. Di conseguenza, la rassegna dei dati disponibili non forniva alcuna
base alla dichia razione dell'AMA che la vitamina C non previene o guarisce il
raffreddore comune.
Al fine di presentare ai lettori del Journal of the American Medicail Asso-
ciation (JAMA) un resoconto di tutti i dati disponibili, preparai immediatamen-
te un'analisi breve ma approfondita di tredici prove controllate, che presentai al
curatore della rivista il 19 marzo. Essa mi fu restituita ben due volte, accompa-
gnata da suggerimenti per alcuni approfondimenti secondari, che io apportai.
Alla fine, il 24 settembre, sei mesi dopo la presentazione dell'articolo, il curato-
re mi scrisse dicendomi che esso non era del tutto convincente e che aveva de-
ciso di rifiutarlo e di non pubblicarlo su JAMA. In seguito fu pubblicato su Me-
dical Tribune (Pauling, 1976b).
A mio giudizio, non è molto corretto che il curatore di JAMA (o di qualsiasi
altro giornale) segua la politica di pubblicare soltanto gli articoli che sostengo-
no uno dei vari punti di vista in gioco su una questione medica o scientifica, e
che interferisca nella discussione della questione, trattenendo un articolo per
sei mesi, durante i quali, per consuetudine, il documento non può essere pre-
sentato a un'altra rivista.
Non è questo l'unico esempio di un comportamento di questo tipo da parte
della redazione di JAMA. La relazione di Herbert e Jacobs, nella quale si affer -
mava che la vitamina C presa durante i pasti distrugge la vitamina B12 contenu-
ta nel cibo e può provocare una grave malattia, simile all'anemia perniciosa, è
stata pubblicata da JAMA (vedi capitolo 9). Quando Newmark e i suoi collabo -
ratori scoprirono che tale affermazione non poteva essere confermata e che, in
realtà, la vitamina C non distrugge la vitamina B12 del cibo, inviarono la loro
relazione alla redazione di JAMA, evidentemente la sede giusta in cui pubblica-
re la rettifica. La rivista trattenne tale relazione per sei mesi e poi si rifiutò di
pubblicarla, ritardandone così la pubblicazione su un'altra rivista e impedendo
a molti dei lettori dell'articolo originario di Herbert e Jacobs di venire a sapere
che i risultati in esso contenuti erano sbagliati.
Questi comportamenti fanno pensare che l'AMA cerchi di proteggere i me-
dici americani da informazioni contrarie ai loro pregiudizi. I fatti dimostrano
che l'AMA ha dei pregiudizi nei riguardi della vitamina C.
La redazione di JAMA e i suoi consulenti hanno un compito difficile da
svolgere. La medicina è un argomento estremamente complesso. In larga misu-
ra essa è basata sulle scienze: fisica, chimica fisica, chimica organica, biochi-
mica, biologia molecolare, batteriologia, virologia, genetica, farmacologia e al-
tre; ma essa stessa non è ancora una scienza. Nessuno può conoscere a fondo
più di una piccola parte della medicina. Per di più, molti medici sono limitati
nelle loro conoscenze scientifiche e non hanno fatto esperienze nel campo della
scoperta scientifica; essi non sanno come accogliere e valutare le nuove idee.
La letteratura medico- scientifica è ormai diventata così vasta che un redat-
tore può formarsi la propria opinione solo in base a una piccola parte delle pro-
ve esistenti. Il curatore di JAMA può essere stato troppo occupato per appro-
fondire la questione della vitamina C. Il dottor Irvine H. Page, illustre curatore
di un'altra rivista medica, Modern Medicine, si muoveva su un terreno insicuro
quando scrisse l'editoriale intitolato «Are Truth and Plain Dealing. Going. Out
of Style?» nel numero del 15 gennaio 1976. Page esordì con la seguente affer -
mazione: «Quando persino ricercatori responsabili hanno usato tattiche equivo-
che per promuovere le loro 'scoperte', non deve meravigliare se il pubblico per-
de la fiducia nell’ establishment scientifico».
E continuava dicendo: «Per me, l'esempio più tragico di autoinganno è stato
quello del dottor Linus Pauling, che ha vinto due volte un premio Nobel, allor-
ché ha proposto e sfruttato l'uso di grandi dosi di vitamina C per il trattamento
del raffreddore comune».
Dopo uno scambio di corrispondenza, Page ritrattò le affermazioni che ave-
va fatto su di me, nel numero del 1° luglio 1976 di Modern Medicine, nel quale
scriveva:
«Ritiro questa affermazione e mi dolgo di aver usato ingiustificatamente
delle parole spregiative quando, a causa di una incomprensione, ho sostenuto
erroneamente che il dottor Pauling. chiedeva che i suoi critici dimostrassero il
suo errore. In realtà, il dottor PAULING aveva presentato nel suo libro del
1970, Vitamin C and the Common Cold, e nei suoi articoli un riassunto soddi-
sfacente delle relazioni pubblicate in merito alle molte ricerche controllate che
erano state eseguite, insieme con una discussione e con le sue conclusioni. Egli
non aveva chiesto che i suoi critici dimostrassero che era in errore, bensì li ave-
va esortati a esaminare i dati...
L'altra opionione che questa rivista ha del dottor PAULING risulta anche
dal fatto che gli abbiamo assegnato nel 1963 il Modern Medicine Award for
Distinguished Achievement, quale riconoscimento della sua scoperta che l'ane-
mia falciforme è una malattia molecolare».
Page aggiungeva che i medici dovrebbero fornire informazioni affidabili
sugli argomenti più importanti per la salute pubblica, quali la nutrizione (com-
preso l'uso della vitamina C), i farmaci, le immunizzazioni, lo stile di vita, e
che con il loro comportamento dovrebbero anche guadagnarsi e mantenersi il
rispetto e la fiducia di quelli che sperano di trarre beneficio dalla medicina pre-
ventiva. Inoltre, Modern Medicine il 1° luglio 1976 ha pubblicato una mia rela-
zione sulla vitamina C, la conservazione della salute e la prevenzione delle ma-
lattie.
Sembra che Modern Medicine stia sviluppando un atteggia mento di più lar-
ghe vedute verso i recenti progressi che concernono la nutrizione e la medicina
preventiva, seguendo l'esempio di un'altra rivista medica, Medical Tribune, la
quale per anni è stata libera da pregiudizi di ogni sorta. Spero che con il passa-
re del tempo si possa notare qualche segno di miglioramento nelle pubblicazio -
ni dell'American Medical Association.
I medici devono essere conservatori nella pratica della medicina, ma la clas-
se medica ha bisogno di essere aperta a nuove idee, se medicina significa pro-
gresso. Circa cinquant’anni fa è stata discussa una nuova idea, quella che gran-
di quantità di vitamine potessero contribuire a tenere sotto controllo le malattie.
Claus W. Jungeblut, il medico che ha dimostrato per primo che l'acido ascorbi-
co può neutralizzare i virus e fornire una certa protezione contro le malattie vi-
rali (vedi capitolo 13) fu scoraggiato dalla fredda accoglienza fatta alla sua idea
e passò a un altro campo della medicina.
L'azione più recente e più riprovevole della medicina istituzio nale nei con-
fronti della nuova scienza della nutrizione e dello stato di benessere degli ame-
ricani è stata perpetrata dalla Clinica Mayo. Questa azione, la pubblicazione di
una relazione fraudolenta sul New England Journal of Medicine del 17 gennaio
1985, è stata citata nel capitolo 19. Il dottor Charles G. Moertel, l'autore princi-
pale della relazione, e i suoi cinque collaboratori, hanno deliberatamente pre-
sentato la loro ricerca sull'efficacia di dosi elevate di vitamina C in pazienti con
cancro metastatico del colon o del retto come una ripetizione e una verifica del
lavoro del dottor Ewan Cameron e dei suoi collaboratori (uno dei quali ero io),
mentre essa non lo era.
Essi hanno concluso che dosi elevate di vitamina C non avevano alcuna ef-
ficacia nei malati di cancro in stadio avanzato. In realtà (sebbene abbiano
omesso questa informazione) essi somministrarono la vitamina C ai pazienti in
modo completamente differente da quello seguito da Cameron. I pazienti di
Cameron avevano preso dosi elevate di vitamina C dall'inizio del trattamento
fino alla fine dei loro giorni, per un periodo di dodici o tredici anni (alcuni
sono ancora in vita e le prendono tuttora), mentre i pazienti della Clinica Mayo
ne avevano preso un piccolo quantitativo e solo per breve tempo. Cameron e io
avevamo avvertito che la sospensione improvvisa di dosi elevate di vitamina C
poteva essere pericolosa. Questo avvertimento fu ignorato dai medici della
Clinica Mayo.
Anche il National Cancer Institute è stato vittima della frode della Clinica
Mayo. Ai suoi funzionari era stato fatto credere che la Clinica Mayo avesse ri-
petuto il lavoro di Cameron. Facendo un'affermazione pubblica in questo sen-
so, il National Cancer Institute ha conferito attendibilità a questa contraffazio -
ne, peggiorando la situazione.
I medici della Clinica Mayo hanno rifiutato di discutere la questione con
me. Ne deduco che non sono scienziati votati alla ricerca della verità. Suppon-
go che essi si vergognino talmente da preferire che la faccenda venga dimenti-
cata. La Clinica Mayo aveva una grande reputazione. Questo episodio mi ha
fatto capire che non ne è più degna. Parlerò ancora della Clinica Mayo nel
prossimo capitolo, facendo il confronto fra vitamine e medicine.
Mentre sto scrivendo il presente volume, l'American Medical Association,
l'American Cancer Society e le redazioni delle riviste mediche più importanti
non hanno ancora riconosciuto che i supplementi vitamici, presi in dose ottima-
le, sono efficaci. Esistono però delle indicazioni che nei prossimi anni essi pos-
sano cambiare il loro atteggiamento. I singoli medici hanno cambiato opinione
in gran numero, passando dall'antagonismo nei confronti delle vitamine prese
in dosi elevate alla disponibilità verso la loro efficacia. Sono favorevolmente
colpito dal numero di coloro che scrivono o telefonano a me o ai miei collabo-
ratori, in modo particolare a uno di loro, il dottor Ewan Cameron, chiedendo
informazioni supplementari. Inoltre, molte persone mi hanno scritto per riferir-
mi la risposta avuta dal proprio medico quando questo (più raramente questa)
aveva saputo che il paziente stava prendendo 5 o 10 g. di vitamina C al giorno.
Dieci anni fa i pazienti si astenevano spesso dal dire al medico che prende-
vano tali dosi. Quando il medico lo veniva a sapere, rispondeva: «Lei ha dato
ascolto a Linus Pauling, quel ciarlatano», quando non usava espressioni più
volgari e più forti. Negli ultimi anni, i pazienti mi vanno riferendo che il medi-
co risponde loro: «Non può essere effetto della vitamina C, ma continui a pren-
derla!» oppure, se il paziente non aveva confidato che cosa aveva preso: «Non
so che cosa ha fatto, ma continui a farlo». Una dozzina di anni fa, io ero una
«persona non gradita» nelle facoltà di Medicina. Negli ultimi anni ho parlato
parecchie volte sulle vitamine sia presso le facoltà mediche sia in convegni me -
dici: dieci volte nel 1984. Il 14 novembre 1984, per esempio, ho parlato del va-
lore della dietetica a un vasto pubblico nel Jefferson Medical College di Fila-
delfia, su invito della Divisione di Gastroenterologia e del Jefferson Nutrition
Program. Dopo la conferenza, uno dei professori di medicina mi disse: «Fino a
due ore fa credevo che le vitamine assunte in dosi superiori a quelle della RGR
non fossero efficaci. Adesso ho cambiato opinione, in seguito ai fatti che lei ha
presentato».
Sempre durante il 1984 ho tenuto venticinque conferenze a gruppi interes-
sati ai problemi sanitari, o a gruppi di profani, e ho parlato alla televisione e
alla radio, Non v'è dubbio che il pubblico mostra grande interesse all'idea di
migliorare la propria salute prendendo dosi ottimali di vitamina C e di altre so-
stanze nutritive. Nel novembre 1984 ho partecipato al programma televisivo
serale di Toronto chiamato «Speaking. Out». Gli spettatori potevano telefonare
alla rete televisiva e votare in risposta a una domanda sulle vitamine. La stazio-
ne televisiva ricevette 25.229 telefonate nel corso del programma. Mi fu detto
che era stata la risposta popolare più vasta riscossa da un programma nella sto-
ria di quella rete televisiva.
Questo grande interesse popolare per il miglioramento della nutrizione sta
ora avendo una certa influenza sull’establishment medico. Credo sia giunto il
momento che la medicina ortomolecolare sia riconosciuta non solo quale cam-
po di specializzazio ne, ma anche da tutti i medici e i chirurghi affinchè inclu-
dano nei loro trattamenti i miglioramenti dietetici per aiutare i loro pazienti.
26
Il confronto tra farmaci e vitamine
La popolazione degli Stati Uniti spende ogni anno circa 2 miliardi di dollari
in medicinali contro il raffreddore. Questi medicinali non prevengono i raffred-
dori. Possono diminuire un poco il disagio di chi è raffreddato, ma fanno anche
male, a causa della loro tossicità e dei loro effetti collaterali.
La vitamina C, presa nelle quantità giuste e al momento giusto, impedirebbe
alla maggior parte di questi raffreddori di svilupparsi e diminuirebbe molto l'in-
tensità dei sintomi nei casi in cui il raffreddore fosse già in corso. La vitamina
C non è tossica, mentre lo sono tutti i medicinali contro il raffreddore, molti dei
quali provocano seri effetti collaterali in numerose persone. Sotto tutti gli
aspetti è preferibile usare la vitamina C piuttosto che i pericolosi e solo parzial-
mente efficaci analgesici, antipiretici, antistaminici, antitussigeni, broncodilata-
tori, antispastici e depressori del sistema nervoso centrale, che costituiscono la
maggior parte delle medicine vendute per arrecare sollievo nel comune raffred-
dore.
I farmaci usati per tenere sotto controllo altre malattie possono avere effetti
collaterali ancora più gravi. Nel capitolo 24 ho parlato del successo ottenuto
dal dottor William Kaufman nel trattamento dell'artrite reumatoide, dell'o-
steoartrite e di disfunzioni meno gravi delle articolazioni, attraverso la sommi-
nistrazione di grandi quantità (circa 5 g. al giorno) di niacinamide, talvolta as-
sociata con altre vitamine. Il trattamento convenzionale è invece a base di aspi-
rina e sostanze farmaceutiche più forti. Ecco le raccomandazioni d'uso relative
a una di queste sostanze, che io qui chiamo X, anziché riportarne l'esatta
denominazione, in quanto non differisce molto dalle altre.
Controindicazioni
Non si deve usare X per pazienti che in precedenza hanno mostrato ipersen-
sibilità a X, o per individui soggetti a broncospasmo, polipi nasali e angioede-
ma, provocati da aspirina o altri farmaci antinfiammatori non steroidei.
Possibili effetti collaterali
Ulcere peptiche, perforazioni o sanguinamento gastrointestina le (talora gra-
ve, in qualche caso letale) sono stati riferiti in pazienti che avevano ricevuto X.
Se si deve somministrare X a pazienti con una storia di malattie del tratto supe-
riore gastrointestinale, occorre tenerli sotto stretto controllo medico (vedi Rea-
zioni negative).
Precauzioni d'uso
Come per altri agenti antinfiammatori, la somministrazione a lungo termine
negli animali provoca necrosi delle papille renali e patologie affini in ratti, topi
e cani. Sono stati riferiti disfunzione acuta renale e innalzamenti reversibili del-
la creatinina nel siero in concomitanza di X. Oltre a modificazioni reversibili
della funzionalità renale, sono state riferite nefrite, glomerulite, necrosi papilla -
re e sindrome nefritica durante il trattamento con X.
Anche se altri farmaci antinfiammatori non steroidei non hanno lo stesso ef-
fetto diretto dell'aspirina sulle piastrine, tutti i farmaci che inibiscono la biosin-
tesi della prostaglandina interferiscono in una certa misura con la funzionalità
delle piastrine. Poiché sono stati riferiti disturbi oftalmici in seguito all'assun-
zione di agenti antinfiammatori non steroidei, si raccomanda che i pazienti in
cui si manifestano disturbi alla vista durante il trattamento con X si sottoponga-
no a visita oftalmica. Come per altri farmaci antinfiammatori non steroidei, nel
15 per cento dei pazienti possono verificarsi innalzamenti dei valori relativi a
uno o più degli esami epatici.
Un paziente con sintomi e/o segni che suggeriscano disfunzioni epatiche, o
in cui siano stati riscontrati valori epatici abnormi negli esami del sangue, deve
essere tenuto sotto controllo durante la terapia con X, per verificare se si stiano
sviluppando reazioni epatiche più gravi.
Reazioni epatiche gravi, compreso l'ittero e casi letali di epatite, sono stati
riferiti in seguito ad assunzione di X. Anche se tali reazioni sono rare, nel caso
di persistenza o peggioramento di valori abnormi negli esami epatici, se sono
presenti segni e sintomi che suggeriscano una patologia epatica, oppure se si
manifestano reazioni sistemiche (per esempio, eosinofilia, eruzioni eccetera), si
deve interrompere l'assunzione di X (vedi anche Reazioni negative).
Anche se alle dosi raccomandate di 20 mg. al giorno di X non si manifesta
un aumento nelle perdite di sangue nelle feci dovute a irritazione gastrointesti-
nale, in circa il 4 per cento dei pazienti trattati con X, solo o in concomitanza
con aspirina, si è osservata una riduzione dell'emoglobina e nei valori emato-
critici.
Edema periferico è stato osservato approssimativamente nel 2 per cento dei
pazienti trattati con X. Pertanto, X va usato con cautela in pazienti con disturbi
cardiaci, ipertensione, o altre condizioni che predispongano alla ritenzione idri-
ca.
Una combinazione di segni e sintomi dermatologici e/o allergici che sugge-
risce una malattia del siero si è presentata occasionalmente in concomitanza al-
l'uso di X. Tra essi figu rano dolori articolari, prurito, febbre, stanchezza ed eru-
zioni, comprese reazioni vescicolobollose e dermatiti esfoliative.
Reazioni negative
Con incidenza dal 20 per cento a meno dell'un per cento: stomatiti, anores-
sia, disturbi gastrici, nausea, stitichezza, dolori addominali, problemi digestivi,
pruriti, eruzioni, capogiri, cefalea, malessere, ronzio negli orecchi, itterizia,
epatite, vomito, ematemesi, melena, sanguinamento gastrointestinale, depress-
ione del midollo osseo, anemia aplastica, coliche, febbre, gonfiore oculare, an-
nebbiamento della vista, spasmi bronchiali, orticaria e angioedema.»
Tutto questo era stampato in caratteri ben leggibili, non nei microscopici
caratteri dei soliti foglietti illustrativi contenuti nelle confezioni di medicinali.
Il farmaco X è raccomandato per l'artrite reumatoide e l'osteoartrite; viene
detto, inoltre, che esso è stato somministrato a milioni di pazienti in ottanta
paesi del mondo. Quanti di questi pazienti hanno sofferto di effetti collaterali?
Quanti hanno letto le controindicazioni che abbiamo riportato sopra, prima di
cominciare il trattamento? E quanti erano a conoscenza del fatto che la niacina -
mide, innocua, semplice, poco costosa, avrebbe potuto tenere sotto controllo la
loro artrite?
Il lavoro di Kaufman e le osservazioni di molte persone mostrano che 1 g. o
più di niacinamide al giorno è in grado di tenere sotto controllo l'artrite; il dot-
tor Ellis, inoltre, ha riferito buoni risultati con la vitamina B6 . Anche se avessi
la più grave delle artriti, dubito molto che prenderei il farmaco X, proverei in-
vece la niacinamide, 5 g. al giorno, se necessario, e aumenterei l'apporto della
B . Avvertimenti simili a quello riportato sopra per il farmaco X vengono dati
anche per farmaci destinati al trattamento di vari altri disturbi. Spesso i pazienti
vengono aiutati da questi farmaci, ma talvolta i medici prescrivono un farmaco
anche se dubitano della sua efficacia.
Per esempio, in Europa si sottopone alla chemioterapia solo una piccola
percentuale dei pazienti affetti da cancro in stadio avanzato, quelli con un tipo
di cancro che risponda a questo trattamento, mentre negli Stati Uniti quasi tutti
i pazienti di cancro a uno stadio avanzato vengono sottoposti a chemioterapia,
con i suoi spiacevoli effetti collaterali.
Nel nostro libro Cancer and Vitamin C, Cameron e io menzioniamo il fatto
che il dottor Charles Moertel della Clinica Mayo, nota autorità nel campo del
cancro, si è occupato esplicitamente dell'importante questione se un paziente
adulto, con un tumore maligno che non ha risposto agli altri trattamenti, debba
o no, come ultima risorsa, essere sottoposto a chemioterapia. In un compendio
delle opinioni correnti sull'uso della chemioterapia nel trattamento del cancro
gastrointestinale, pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 1978,
Moertel osservava che venticinque anni fa è stato scoperto che le pirimidine
fluorurate 5-fluorouracile (5-FU) e 5-fluoro- 2'-desossiuridina riuscivano a pro-
durre una diminuzione transitoria delle dimensioni del tumore in pazienti con
metastasi di origine intestinale. Un trattamento intravenoso in quantità che pro-
ducano reazioni tossiche è il più efficace, ma l'effetto non è grande.
«Secondo una vasta esperienza, anche quando vengono somministrate alle
dosi terapeutiche ideali, le pirimidine fluorurate produrrano una risposta ogget-
tiva solo in circa il 15-20 per cento dei pazienti trattati. In questo contesto, una
risposta oggettiva è solitamente definita come una riduzione di più del 50 per
cento nel prodotto fra i diametri maggiori perpendicolari di una massa tumorale
misurabile.
Queste risposte sono solitamente parziali e molto transitorie, persistendo
per un tempo medio di soli cinque mesi circa. Questo vantaggio di poco conto
di cui beneficia un'esigua minoranza di pazienti è probabilmente più che con-
trobilanciato dalla deleteria azione tossica esercitata su altri pazienti, nonché
dal costo e dai disagi sperimentati da tutti quanti i pazienti.
Non vi è una prova sicura che il trattamento con pirimidine fluorurate con-
tribuisca alla sopravvivenza complessiva dei pazienti affetti da cancro gastroin-
testinale, a prescindere dallo stadio del male.»
Moertel ha anche esaminato gli esperimenti clinici di 5-FU e di altri agenti
chemioterapeutici considerati singolarmente e in varie combinazioni in relazio-
ne al cancro colon-rettale, al carcinoma gastrico, al carcinoma a cellule squa-
mose dell'esofago, e ad altri ancora, arrivando sostanzialmente alla stessa con-
clusione, salvo che nel caso dell'adriamicina, che sembra avere un'efficacia si-
gnificativa nel trattamento del cancro epatico primario. Dopo di che, Moertel
afferma: «Nel 1978 si deve concludere che non esiste un approccio chemiotera-
pico al carcinoma gastrointestinale abbastanza valido da giustificarne l'applica-
zione come trattamento clinico standard».
Saremmo propensi a interpretare tale conclusione come una valida ragione
per non sottoporre questi pazienti alle sofferenze, al disagio e alle spese della
chemioterapia. Invece Moertel prosegue nel modo seguente:
«Tuttavia, tale conclusione non deve assolutamente implicare che questi
sforzi vadano abbandonati. I pazienti con un cancro gastrointestinale avanzato
e le loro famiglie hanno un terribile bisogno di qualcosa in cui sperare. Se non
si offre loro tale speranza, cercherebbero ben presto una speranza presso guari-
tori e ciarlatani. È stato fatto un progresso sufficiente nella chemioterapia del
cancro gastrointestinale per poter offrire una speranza realistica a questi pa-
zienti, nell'ambito di ricerche cliniche sperimentali ben progettate... Se potremo
incanalare i nostri sforzi e le nostre risorse in programmi costruttivi di ricerca
di garantita scientificità, potremo offrire agli odierni malati di cancro gastroin-
testinale un trattamento su cui appuntare le loro speranze, ponendo al contem-
po le fondamenta per un approccio chemioterapico di validità sostanziale per i
pazienti di domani».
Diametralmente opposta a questa prescrizione e alla pratica seguita nella
Clinica Mayo e in altri centri medici americani, è la pratica pressoché general-
mente diffusa negli ospedali ingle si da più di dieci anni, quella cioè di non sot-
toporre i pazienti affetti da cancro gastrointestinale in stadio avanzato e da altri
tipi simili di cancro alle sofferenze di una chemioterapia, dato che l'esperimen-
to ha dimostrato la scarsa efficacia di questo trattamento.
Questi pazienti «senza speranza» vengono invece sottoposti a un trattamen-
to palliativo, che include eroina e morfina per tenere a bada il dolore. Cameron
ha migliorato queste procedure al Vale of Leven Hospital somministrando della
vitamina C. Come abbiamo detto nel capitolo 19, egli è riuscito in tal modo ad
alleviare le sofferenze e ad aumentare il numero delle «giornate buone» negli
ultimi tempi di vita dei pazienti terminali di cancro.
È stato lo stesso Moertel a fare una presentazione distorta del lavoro di Ca-
meron attraverso gli esperimenti metodologicamente scorretti, effettuati con
pazienti della Clinica Mayo. Si faccia un confronto tra la procedura di Came-
ron e la strategia di Moertel di sottoporre questi pazienti alle sofferenze della
chemioterapia solo per tener alto il morale delle loro famiglie e dei loro medici!
Se Moertel avesse seguito le procedure del Vale of Leven, avrebbe visto che
oggi esiste una ragione reale perché questi pazienti e le loro famiglie possano
conservare qualche speranza. A questi pazienti «non curabili» si può sommini-
strare, come unica forma di trattamento, dell'ascorbato supplementare, da cui
possono trarre qualche vantaggio, e in alcuni casi tale vantaggio potrà raggiun-
gere un grado considerevole.
L'aumento medio del tempo di sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro
gastrointestinale avanzato trattati con 10 g. di ascorbato al giorno è superiore a
quello riferito da Moertel per i suoi pazienti trattati con la chemioterapia; inol-
tre, i pazienti trattati con l'ascorbato hanno il vantaggio di sentirsi bene durante
il trattamento e di non dover sopportare il peso economico della chemioterapia.
Finora sono stati fatti pochi sforzi per determinare le dosi più efficaci di vi-
tamina C e l'eventuale validità del suo abbinamento alla vitamina A, alle vita-
mine del gruppo B, ai minerali e a una dieta ricca di frutta, verdura e rispettivi
succhi. Questo trattamento nutrizionale del cancro, con l'accento posto sulla vi-
tamina C, è probabilmente assai più efficace negli stadi precoci della malattia,
e se lo si istituisse ai primi segni di cancro e nelle dosi più efficaci, potrebbe
abbassare la mortalità di una percentuale assai superiore al 10 per cento, la sti-
ma da noi fatta in un primo tempo.
Il messaggio di questo capitolo è che dovete diffidare dei farmaci, sia di
quelli che si possono acquistare liberamente sia di quelli prescritti da un medi-
co. Naturalmente dovete essere cauti anche nei confronti delle dichiarazioni
fatte a proposito di vitamine e altri nutritivi, anche se queste sostanze, in gene-
re, non possono essere altrettanto pericolose dei farmaci. Accertate voi stessi i
fatti, e prendete le decisioni più sagge possibili, seguendo i consigli migliori
che riuscite a trovare.
I testi di una volta su problemi nutrizionali e sulla salute non sono natural-
mente affidabili, perché è solo negli ultimi vent'anni che abbiamo raccolto in-
formazioni valide sulle dosi ottimali delle vitamine. Anche alcuni libri recenti
non sono affidabili. Per esempio, Nathan Pritikin, nel suo libro The Pritikin
Promise: 28 Days to a Longer, Healthier Life, espone il suo programma di
esercizio fisico e di una dieta rigorosamente limitata, la quale, senza alcun dub-
bio, farà migliorare la salute di chi la segue. Tuttavia, egli afferma ciò che se-
gue:
«Quando si segue una dieta variata, come quella raccomandata nel Pro-
gramma Pritikin, si ingeriscono tutte le vitamine che l'organismo può utilizzare.
Molti credono, invece, che prendere delle vitamine extra, specialmente B, C ed
E, sotto forma di supplementi, possa apportare ulteriori benefici fisici. Le cose
non stanno così... I supplementi di vitamine non soltanto non sono necessari,
ma possono anche nuocervi... In questo paese ci sono molti creduloni che resta-
no vittime dal punto di vista finanziario di questi 'propagandisti' delle vitamine.
L'urina degli americani è una delle più care del mondo, perché è carica di tutte
queste vitamine».
Penso che Pritikin abbia ricevuto dei cattivi consigli dai suoi consulenti me-
dici e nutrizionisti. Non c'è dubbio che i suoi pazienti traggano beneficio dal
suo regime, finché lo seguono; ma trarrebbero benefici maggiori da quantità
supplementari di nutritivi, e la dieta potrebbe essere meno restrittiva: si otter-
rebbe così una migliore collaborazione da parte del paziente stesso.
Una moderna autorità in campo nutrizionale, il dottor Brian Leibovitz, è
d'accordo con me. Nella sua intelligente analisi delle diete e dello stare a dieta
(1984), egli afferma: «Una persona che segua il programma Pritikin potrà an-
che evitare il rischio di una carenza vitaminica, ma certo non raggiungerà uno
stato ottimale di salute».
Nel libro Life Extension: a Practical Scientific Approach (Durata della vita:
un pratico approccio scientifico) (1981), gli autori, Durk Pearson e Sandy
Shaw, raccomandano l'assunzione di alte dosi di vitamine, spesso addirittura
superiori a quelle che raccomando io. Tuttavia, essi citano molti farmaci come
elementi utili per star bene e allungare la vita.
Uno di questi, una miscela di alcaloidi idrogenati presenti nella segale cor-
nuta, che blocca il funzionamento dei surreni, viene citato circa 150 volte sotto
uno suoi nomi commerciali. Leibovitz (1984), dopo aver parlato delle alte dosi
di vitamine, commenta: «Preoccupante, tuttavia, è l'introduzione di ormoni, so-
stanze farmaceutiche e altre sostanze potenzialmente dannose nella formula di
Pearson-Shaw. Mentre l'elenco dei composti potenzialmente tossici è troppo
lungo per analizzarlo nei dettagli, si deve osservare che alcune delle sostanze
raccomandate hanno tossicità nota. Uno di questi composti è la vasopressina,
chiamata anche ormone antidiuretico».
Per concludere, fate in modo di tener bassa la vostra assunzione di farmaci,
e a livello ottimale quella di vitamine e altri nutritivi.
27
La bassa tossicità delle vitamine
I medici moderni sono armati di farmaci sempre più potenti, che devono
prescrivere e somministrare con grande cura, tenendo i pazienti sotto stretto
controllo. Credo che la loro cautela nei confronti delle vitamine sia una sorta di
estensione di questo atteggiamento prudente. È facile acquisire una paura in-
giustificata ed esagerata della tossicità delle vitamine. Negli ultimi anni è di-
ventato uso comune di chi scrive su argomenti medici e sanitari mettere in
guardia i propri lettori sul fatto che forti dosi di vitamine possono avere seri ef-
fetti collaterali.
Per esempio, in The book of Health, a Complete Guide to Making. Health
Last a Lifetime (Il libro della salute, una guida completa per mantenere la salu -
te il più a lungo possibile) (1981), a cura del dottor Ernst L. Wynder, presiden-
te della American Health Foundation, viene detto: «Il cosiddetto trattamento
megavitaminico (l'assunzione di dosi massive di una determinata vitamina) va
evitato. Le vitamine sono nutritivi essenziali, ma ad alte dosi diventano dei far-
maci e dovrebbero essere prese solo per trattare una condizione specifica.
«Forti dosi delle vitamine liposolubili A e D hanno effetti dannosi ben noti;
lo stesso deve valere anche per le altre vitamine. Le dosi elevate di vitamina C
vengono in parte eliminate attraverso l'urina. In assenza di certezze sull'inno -
cuità delle 'megavitamine', è meglio evitarle». Gli autori di questi libri sulla sa-
lute privano i loro lettori dei vantaggi che derivano dall'assunzione ottimale di
questi importanti nutritivi, creando nei lettori stessi il timore che qualsiasi as-
sunzione superiore alla RGR possa causare gravi danni.
A mio giudizio, la ragione principale di questi cattivi consigli è l'ignoranza
degli autori. Essi affermano erroneamente che grandi dosi di vitamina C
vengono eliminate attraverso le urine. Non dicono di sapere assai bene che le
RGR relative alle vitamine sono le dosi che hanno la probabilità di prevenire
nelle persone «di salute normalmente buona» la morte per scorbuto, beri- beri,
pellagra, o altre malattie da carenza vitaminica, ma non sono le dosi che fanno
acquisire alla gente uno stato ottimale di salute. Sembra che questi autori non
sappiano che c'è una bella differenza tra le quantità prescritte dalle RGR e le
quantità nocive prese da coloro che presentano sintomi di intossicazione, come
pure pare che non sappiano che per certe vitamine non esiste un limite superio -
re alla quantità che se ne può assumere. Queste autorità nel campo della salute
dovrebbero mostrare una maggiore preoccupazione per la salute della gente.
La Reader's Digest Family Health Guide and Medical Encyclopedia nella
sezione dedicata alle vitamine afferma: "Una dieta ben bilanciata e variata con-
tiene tutte le vitamine che sono normalmente necessarie per una buona salute.
Le vitamine in eccesso rispetto al fabbisogno dell'organismo non accrescono la
salute o il benessere; al contrario, possono provocare dei disturbi. Una dieta
sbagliata non può essere corretta solo prendendo delle vitamine in forma
concentrata».
La prima affermazione, che sembra esprimere la convinzione di quasi tutti i
nutrizionisti e i medici, può essere vera o falsa, a seconda di che cosa si intenda
con «normalmente necessarie per una buona salute». Se si intende necessarie
per la salute media delle persone «sane» che presumibilmente seguono una die -
ta ben bilanciata e variata, allora l'affermazione non è altro che una verità evi-
dente, ovvia; ma se per «salute» si intende quello stato che può essere acquisito
attraverso l'assunzione ottimale delle vitamine, così come lo si discute in que-
sto libro, allora l'affermazione è falsa.
Inoltre, la seconda affermazione è chiaramente falsa. Esiste una mole enor-
me di dati, di cui nel presente libro può rientrare solo una piccola parte, che di-
mostrano che un supplemento di vitamina (al di là del «fabbisogno» dell'orga-
nismo secondo il criterio dell'affermazione precedente) accresce la salute e il
benessere sotto vari aspetti.
Le ultime parole, «possono provocare dei disturbi», si riferiscono a possibi-
li effetti collaterali, in modo tale da allontanare il lettore dall'idea di migliorare
la propria salute aumentando l'assunzione di questi importanti nutritivi.
L'ultima frase è gravemente fuorviante, perché è stato omesso l'avverbio
«completamente».
Un'asserzione vera sarebbe: «Una dieta sbagliata non può essere completa-
mente corretta prendendo semplicemente delle vitamine in forma concentrata,
tuttavia prendere delle vitamine può fare un sacco di bene».
Gli autori del libro del Reader's Digest avrebbero dovuto possedere nozioni
sufficienti, nel 1976, per poter formulare affermazioni migliori sull'efficacia
dei supplementi vitaminici. Mi torna alla mente un'esperienza che feci nel 1984
durante un programma medico alla radio (nella stazione KQED), a San Franci-
sco. C'era un altro ospite del programma, un professore di dietetica, già in pen-
sione, dell'università della California, a Berkeley. Io dissi qualcosa a proposito
dell'efficacia dell'assunzione di dosi elevate di vitamina C (facendo l'esempio
dei miei 18.000 mg. al giorno) e citai alcuni dati per sostenere la mia afferma-
zione, precisando i riferimenti di articoli pubblicati in riviste mediche e scienti-
fiche. Il professore di dietetica disse semplicemente: «Nessuno abbisogna di
più di 60 mg. di vitamina al giorno», senza citare alcun dato a sostegno della
sua piatta affermazione. Poi io esposi altri dati per spiegare l'alta dose che io
stesso prendevo, ed egli rispose dicendo: «60 mg. di vitamina C sono adeguati
per chiunque». Dopo che ebbi esposto ulteriori dati, il professore in pensione
disse: «Da cinquant’anni io e altre autorità nel campo della nutrizione
affermiamo che 60 mg. di vitamina C al giorno è tutto ciò di cui una persona
abbisogna!» Rimase giusto il tempo perché io potessi commentare (la trasmis -
sione era in diretta): «Appunto, proprio questo è il problema. Voi siete indietro
di cinquant’anni».
Siamo circondati da sostanze tossiche. Nelle nostre case e in campagna pos-
siamo essere esposti all'asbesto o ad altre sostanze silicee che causano dispnea
(difficoltà di respirazione) e pneumoconiosi (forme morbose aventi come con-
seguenza un indurimento fibroso dei polmoni). Nei pressi di una fattoria pos-
siamo essere esposti all'azione di insetticidi organofosforici o a base di deri-
vanti del clorobenzene oppure a pesticidi di altro genere. In casa possiamo su-
bire gli effetti di vari prodotti chimici per la pulizia della casa e quelli dei far-
maci.
Sono questi ultimi, specialmente gli analgesici e gli antipiretici, come l'aspi-
rina, i responsabili della maggior parte delle 5000 morti per avvelenamento che
avvengono ogni anno negli Stati Uniti. Su tale luttuoso totale, circa 2500 sono
bambini. Circa 400 di questi bambini muoiono ogni anno per avvelenamento
da aspirina (acido acetilsalicilico) o da altri salicilati.
L'aspirina e gli altri farmaci analoghi vengono venduti liberamente, senza
prescrizione medica. Sono considerate sostanze eccezionalmente innocue. La
dose letale va da 0,4 a 0,5 g. per ogni chilogrammo di peso corporeo, cioè da 5
a 10 g. per un bambino, da 20 a 30 g. per un adulto. Nessuno muore per avvele-
namento da dose eccessiva di qualche vitamina. Il pregiudizio contro le vitami-
ne può essere esemplificato da un episodio capitato qualche anno fa. Un ragaz-
zino ingoiò tutte le compresse di vitamina A che trovò in una boccetta. Gli ven-
ne la nausea e lamentò dei mal di testa. Sua madre lo portò all'ospedale di una
facoltà medica della Costa orientale, dove lo curarono e poi lo rimandarono a
casa.
Il professore che lo ebbe in cura scrisse, in seguito, un articolo su questo
caso di avvelenamento da vitamine, che fu pubblicato sul New England Jour-
nal of Medicine, la stessa rivista che aveva rifiutato un articolo scritto da Ewan
Cameron e da me sull'osservazione di malati di cancro che avevano ricevuto
alte quantità di vitamina C. Il New York Times e molti altri giornali pubblicaro-
no il resoconto di quanto era accaduto a questo bambino, sottolineando la peri-
colosità delle vitamine.
Ogni giorno negli Stati Uniti muore qualche bambino per avvelenamento da
aspirina. Questi avvelenamenti sono ignorati dai medici delle università, dalle
riviste mediche e dal New York Times.
Ci sono settemila voci nell'indice dello Handbook oj Poisoning. del dottor
Robert H. Dreisbach, professore di farmacologia alla Scuola di Medicina della
Stanford University. Su queste settemila voci, ce ne sono cinque che riguarda-
no qualche vitamina: esse si riferiscono alle vitamine A, D, K, K1 , (una forma
della K) e B.
Non dovete preoccuparvi della vitamina K; è quella che previene le emorra-
gie, promuovendo la coagulazione del sangue. Essa compare raramente nella
composizione delle compresse vitaminiche. Adulti e bambini solitamente ne
hanno un rifornimento adeguato, a cui normalmente provvedono i batteri inte-
stinali. Il medico può prescrivere la vitamina K ai neonati, alle donne che par-
toriscono, o alle persone che prendono alte dosi di anticoagulanti. La tossicità
della vitamina K è un problema che interessa il medico che la somministra a un
paziente.
La vitamina D è la vitamina liposolubile che previene il rachitismo. È ne-
cessaria, insieme con calcio e fosforo, per la crescita normale delle ossa. La
RGR è di 400 UI al giorno. Probabilmente è bene non andare molto oltre tale
dose.
Dreisbach dà come dose tossica 158.000 UI, associata a queste manifesta-
zioni: debolezza, nausea, vomito, diarrea, anemia, disfunzioni renali, acidosi,
proteinuria, ipertensione e altre. Kutsky [Handbook of Vitamins and Hormo-
nes, Manuale sulle vitamine e gli ormoni, 1973) afferma che 4000 UI al giorno
provocano anoressia, nausea, sete, diarrea, debolezza muscolare, dolore alle ar-
ticolazioni e altri problemi.
La vitamina A è solitamente citata come esempio principale di tutte le di-
scussioni sulla tossicità delle vitamine. Così, nel suo articolo del 1984 sul New
York Times («Vitamin Therapy: the Toxic Side Effects of Massive Doses», Te-
rapia vitaminica: gli effetti tossici collaterali provocati dall'uso massivo), la
giornalista che scrive di alimentazione, Jane E. Brody, affermava: «La vitamina
A è stata la causa del maggior numero di casi di avvelenamento da vitamine».
Essa però non citava il fatto che i pazienti non erano morti (come accade a tan-
te delle persone avvelenate dall'aspirina o da altri farmaci); riferiva invece due
casi, presumibilmente i peggiori che fosse riuscita a trovare. Eccone la descri-
zione:
«Una bambina di tre anni venne ricoverata in ospedale in preda a confusio -
ne, disidratazione, iperirritabilità, mal di testa, dolori all'addome e alle gambe,
vomito, tutte conseguenze dell'ingestione quotidiana di 200.000 UI di vitamina
A per tre mesi (2500 UI è la dose raccomandata per un bambino di quell'età,
teoricamente per prevenire infezioni respiratorie)».
«Un ragazzo di sedici anni che aveva preso 50.000 UI di vitamina A al
giorno per due anni e mezzo per combattere l'acne fu affetto da rigidità del col-
lo, secchezza della pelle, screpolamento delle labbra, ingrossamento dei nervi
ottici, e aumento della pressione intracranica. »
Queste descrizioni indicano che l'assunzione quotidina prolungata di dosi di
vitamina A da dieci a ottanta volte la RGR può provocare effetti moderatamen-
te gravi. Dreisbach, nel suo libro sui veleni, afferma che una dose da venti a
cento volte la RGR può provocare, nel tempo, un doloroso gonfiore nodulare
del periostio, osteoporosi, prurito, eruzioni cutanee e ulcerazioni, anoressia, au-
mento della pressione intracranica, irritabilità, sonnolenza, alopecia, ingrossa-
mento del fegato (occasionalmente), diplopia e papilloedema.
La RGR per la vitamina A è di 5000 .UI (per un adulto).
Un'unica dose di 5.000.000 di UI, mille volte la RGR, provoca nausea e mal
di testa. È ragionevole raccomandare di non assumere singole dosi che si avvi-
cinino a tale quantità.
Assumendo ripetutamente e regolarmente questa vitamina liposolubile, la
quantità immagazzinata nell'organismo aumenta, e alla fine la sua attività può
raggiungere un livello tale da causare manifestazioni, come il mal di testa, do-
vuto all'aumento della pressione intracranica, e le altre già citate. Assunzioni ri-
petute di 100.000 o 150.000 UI al giorno per un anno e più hanno causato que-
sti problemi ad alcuni soggetti, ma non ad altri. La mia raccomandazione è che
in generale 50.000 UI al giorno va considerato il limite massimo in caso di as-
sunzione regolare. Chiunque prenda grandi quantità di vitamina A deve stare
attento all'insorgere di segni di intossicazione.
Quanto alle vitamine del gruppo B, la B1 non ha una dose nota che abbia
una grave tossicità. La RGR per un maschio adulto è di 1,4 mg. L'assunzione
regolare di 50 o 100 mg. al giorno è tollerata dalla maggior parte delle persone,
e può risulta re vantaggiosa.
La B2 non ha una dose letale nota e neppure una dose nota di alta tossicità.
La RGR per un adulto è di circa 1,6 mg. La sua assunzione regolare, da 50 a
100 mg. al giorno, è tollerata dalla maggior parte delle persone e può risultare
vantaggiosa.
La B3 niacina (acido nicotinico, nicotinamide, niacinamide), non ha una
dose letale nota. L'assunzione di acido nicotinico pari a 100 mg. o più (diffe-
rente nelle diverse persone) provoca rossori, pruriti, vasodilatazione, aumento
del flusso sanguigno cerebrale, ipotensione. I rossori solitamente cessano dopo
quattro giorni di assunzione di una dose di 400 mg. o più al giorno. Grandi dosi
di niacina in alcuni soggetti possono provocare nausea. La RGR è di circa 18
mg. per un adulto. La bassa tossicità della nicina è dimostrata dal fatto che ne
sono state prese per anni dosi giornaliere comprese tra 5000 e 30.000 mg. da
pazienti schizofrenici senza dar luogo a effetti tossici (Hawkins e Pauling,
1973).
La vitamina B6 , piridossina, non ha una dose letale nota. Presa regolarmente
in grandi dosi giornaliere, questa vitamina provoca, in alcuni, danni neurologi-
ci significativi. È l'unica vitamina idrosolubile che abbia una tossicità significa -
tiva. Esistono varie sostanze (piridossolo, piridossale, piridossamina, fosfato di
piridoxal, fosfato di piridossamina) che hanno la stessa attività della vitamina
B6 (combattono convulsioni, irritabilità, lesioni cutanee, bassa produzione di
linfociti).
Piridossina è il termine usato per tutte le forme di vitamina B6. Convertita
nell'organismo in fosfato piridossale, la vitamina B6 funge da coenzima in mol-
ti sistemi enzimatici. L'assunzione di una buona dose di questa vitamina è ne-
cessaria perché molte reazioni biochimiche essenziali dell'organismo umano
procedano in modo ottimale.
Fino al 1983 si pensava che nessuna delle vitamine idrosolubili avesse un'e-
levata tossicità, se non a dosi molto elevate. In seguito fu riferito che in sette
persone che avevano preso da 2000 a 5000 mg. al giorno di vitamina B6 (da
mille a tremila volte la RGR), per periodi che andavano da quattro mesi a due
anni, si erano manifestate una perdita della sensibilità nelle dita dei piedi e una
tendenza a inciampare (Schaumberg. e colleghi, 1983). Questa neuropatia peri-
ferica scomparve con l'interruzio ne di queste dosi elevate della vitamina, e in
seguito i pazienti non presentarono più segni di danno al sistema nervoso cen-
trale.
Possiamo concludere che esiste un limite di assunzione della vitamina B6 di
mille volte superiore a quello indicato dalla RGR. Gli autori della relazione,
però, furono assai più prudenti: raccomandarono di non prenderne dosi supe-
riori alla RGR, cioè da 1,8 a 2,2 mg. al giorno. Seguire questa raccomandazio -
ne priverebbe molta gente della possibilità di migliorare la propria salute con
l'assunzione di una dose da 50 a 100 mg. al giorno, o anche superiore.
Molti psichiatri ortomolecolari ne raccomandano 200 mg. al giorno ai loro
pazienti: alcuni pazienti ne prendono addirittura da 400 a 600 mg. al giorno
(Pauling, 1983). Hawkins riferisce: «In più di cinquemila pazienti non abbiamo
osservato alcun effetto collaterale dovuto alla piridossina in seguito alla som-
ministrazione di 200 mg. di vitamina B6 al giorno» (Hawkins e Pauling, 1973).
Dosi singole di 50.000 mg. di vitamina B6 vengono somministrate senza seri
effetti collaterali. Dosi così elevate vengono prescritte come antidoto a pazienti
che soffrono di avvelenamento da overdose di isoniazide, una sostanza farma-
ceutica antitubercolare (Sievers e Harrier, 1984).
Non si conoscono dosi letali per l'acido folico, l'acido pantotenico, la vita-
mina B12 e la biotina. Queste quattro vitamine idrosolubili sono descritte come
prive di tossicità, anche a dosi molto elevate. I valori della RGR per i maschi
adulti sono di 400 µg. (microgrammi; un microgrammo equivale a un mi-
lionesimo di grammo) per l'acido folico, di 7 mg. per l'acido pantotenico, di 3
µg. per la vitamina B12 e di 200 µg. per la biotina.
Esiste una strana situazione riguardo all'acido folico.
Nel 1960 la FDA ordinò che nessuna compressa vitaminica e nessuna som-
ministrazione unica contenessero più di 250 µg. di acido folico, in seguito por-
tati a 400 µg. Queste misure così prudenti non erano state prese per via della
tossicità di dosi superiori di acido folico: esso infatti non è tossico; anzi, il li-
mite di 400 µg. fissato dalla FDA è inferiore alla quantità considerata necessa-
ria per una buona salute. Il professor Roger J. Williams, lo scopritore dell'acido
pantotenico, che ha svolto alcune delle prime ricerche sull'acido folico, ha
scritto: «Sarebbe raccomandabile una quantità superiore a quella specificata
(circa 2000 µg, anziché 400), se non si entrasse in conflitto con la regolamenta-
zione della FDA» (Williams, 1975).
Perché, allora, la FDA impedisce a tutti noi di usufruire della quantità ade-
guata di una vitamina così importante? L'inizia tiva fu presa dalla FDA per faci-
litare la diagnosi di una malattia, l'anemia perniciosa, da parte dei medici. Que-
sta malattia deriva dall'incapacità dell'organismo di far passare la vitamina Bl2
dallo stomaco al sangue. La conseguente carenza di vitamina è caratterizzata da
anemia e da un danno neurologico che porta alla psicosi. Tanto la vitamina B12
che l'acido folico sono necessari per la produzione dei globuli rossi nel midollo
osseo; una carenza di vitamina Bl2 si può parzialmente compensare aumentando
l'assunzione di acido folico. Di conseguenza, un'elevata assunzione di tale aci-
do può prevenire lo sviluppo dell'anemia, ma non tiene sotto controllo il danno
neurologico causato dalla carenza di vitamina B12, anzi può esacerbare tale ca-
renza, aumentando il consumo della limitata provvista di B12, per il fatto di au-
mentare la produzione di globuli rossi.
Nel 1960 alcuni portavoce dell'associazione professionale medica sostenne-
ro che i medici si basano sulla sintomatologia dell'anemia per riconoscerla e
che, se si lasciasse che l'acido folico prevenisse lo sviluppo dell'anemia, i me-
dici non si potrebbero più accorgere se un paziente che comincia a mostrare se-
gni di una psicosi soffre in realtà di anemia perniciosa. Fu allora che la FDA
pubblicò la sua disposizione che limitava la quantità di acido folico nei prepa-
rati farmaceutici. Questa decisione non era dunque volta a proteggere il pubbli-
co dalla tossicità dell'acido folico, ma ad aiutare i medici a riconoscere l'anemia
perniciosa in quei pochi pazienti a cui fossero state eventualmente prescritte
dosi elevate di acido folico.
Ora, un quarto di secolo dopo, i medici ne sanno di più sull'anemia perni-
ciosa, sulla vitamina B12 e sull'acido folico. È facile fare degli esami ai pazienti
che hanno problemi neurologici per vedere se esiste una carenza di vitamina
B12 .
Non c'è più alcun bisogno di una regolamentazione della FDA che limiti la
quantità di acido folico nei preparati vitaminici.
Tale regolamentazione andrebbe perciò revocata.
Non esiste una dose letale nota per la vitamina C. Se ne possono prendere
per bocca anche 200 g. in un lasso di tempo di poche ore senza effetti dannosi.
Da 100 a 150 g. di ascorbato di sodio sono stati somministrati per fleboclisi
senza alcun danno.
Esistono pochi casi che mostrino tossicità a lungo termine. Conosco un
uomo che ha preso più di 400 kg. di questa vitamina nel corso degli ultimi
nove anni; è un chimico che lavora in California.
Quando sviluppò una metastasi cancerosa, scoprì che poteva tenere sotto
controllo il dolore prendendo 130 g. di vitamina C al giorno, e ha preso questa
bella quantità ogni giorno per nove anni. Anche se non è riuscito a liberarsi
completamente dal cancro, gode di una salute ragionevolmente buona, senza ri-
sentire di effetti collaterali negativi dovuti alla vitamina.
Ci sono stati accesi dibattiti su eventuali effetti collaterali di elevate dosi di
vitamina C, ma approfondiremo questo argomento nel prossimo capitolo.
Non esiste una dose letale nota neppure per quelle sostanze strettamente af-
fini chiamate tocoferoli, che hanno l'attività della vitamina E. Sono in commer-
cio differenti miscele di questi tocoferoli, la cui attività, determinata da test
standard, viene espressa in unità internazionali (UI). Per esempio, 1 mg. di d-
alfa-tocoferolo equivale a 1,49 UI e 1 mg. di d,l-alfa- tocoferil acetato (una mi-
scela di d e l) equivale a 1 UI.
La vitamina E ha molteplici applicazioni fra le quali il trattamento di distur -
bi cardiaci e muscolari. Essa funge da antiossidante generale, in collaborazione
con la vitamina C, e svolge certe interazioni specifiche con proteine e lipidi,
non ancora del tutto note.
La RGR per la vitamina E è di 10 UI al giorno. Molte persone ne hanno
prese dosi notevolmente superiori per lunghi periodi. Il dottor Evan V. Shute e
il dottor Wilfrid E. Shute, del Canada, hanno riferito su migliaia di persone che
hanno ricevuto da 50 a 3200 UI di vitamina E al giorno per lunghi periodi sen-
za segni significativi di intossicazione (Shute e Taub, 1969; Shute, 1978). La
vitamina E, come antiossidante liposolubile, è una valida compagna della vita-
mina C, il principale antiossidante idrosolubile.
28
Gli effetti collaterali delle vitamine
Durante gli ultimi anni, man mano che un numero sempre più grande di
persone comprendeva l'efficacia di una maggiore assunzione di vitamina C, si è
andato sviluppando un vivace interesse per i suoi eventuali effetti collaterali.
Questa preoccupazione, avvertita dall'opinione pubblica, è stata ingigantita dal-
l'atteggiamento dei medici, che estendono al campo delle vitamine quella cau-
tela che, giustificatamente, nutrono nei riguardi dei farmaci. Nelle loro pubbli-
cazioni e nei consigli dati ai pazienti, i medici hanno messo in circolazione in-
formazioni distorte, suscitando falsi allarmi.
Il problema è reso più complesso dall'individualità biochimica (capitolo 10)
che è alla base dell'eterogeneità della popolazio ne umana. Il fatto (capitolo 27)
che esista il caso di un uomo che ha preso 130 g. di vitamina C al giorno per
nove anni senza soffrire di effetti collaterali negativi non significa che tutti gli
individui starebbero bene prendendo una dose simile.
Più pertinente è la relazione del dottor Fred R. Klenner: esso riferisce che
centinaia di persone da lui tenute sotto osservazione hanno preso 10 g. di vita-
mina C al giorno per anni, restando in buona salute, senza problemi attribuibili
a quelle alte dosi.
Esaminando gli effetti tossici della vitamina C, il dottor L. A. Barness del-
l'università del South Florida College of Medicine ne ha elencati quattordici
(Barness, 1977). Li esaminerò uno per uno. Egli afferma che molti degli effetti
tossici sono insignificanti, oppure con conseguenze irrilevanti anche se fasti-
diose, oppure rari. Tra questi egli annovera la sterilità provocata dalla vitamina
C, della quale esiste un unico caso, per di più dubbio. Sulla stanchezza, che è
stata anch'essa raramente riferita, lo stesso autore si dichiara scettico: molte
persone dichiarano invece di avere la sensazione di un aumento di energia in
concomitanza con l'assunzione di alte dosi della vitamina. La notizia che si
possa produrre un'iperglicemia in conseguenza all'assunzione di vitamina C è
poco affidabile, perché contrasta con il dosaggio del tasso di zuccheri nelle uri-
ne, come già abbiamo detto. Quanto alle reazioni allergiche occasionalmente
attribuite alla vitamina C, sembra poco probabile che esse siano state provocate
dall'acido ascorbico o dall'ascorbato di sodio, poiché i numerosi processi di pu-
rificazione a cui sono sottoposte queste sostanze cristalline, durante la loro sin-
tesi, rendono quasi impossibile che vi restino degli allergeni; personalmente
non sono a conoscenza di nessuna ricerca che abbia dimostrato che la stessa vi-
tamina C sarebbe un allergene.
Alcuni degli effetti collaterali di grandi dosi di vitamina C sono stati sotto-
posti ad attente ricerche e analisi negli ultimi dieci-dodici anni, e molte delle
inesattezze relative alla loro importanza sono state rettificate (Pauling, 1976).
Molti autori di libri divulgativi sulla nutrizione, tuttavia, hanno una conoscenza
della materia incompleta e continuano a scrivere storie allarmistiche sui
pericoli degli alti dosaggi vitaminici e a raccomandare che non si prenda più
delle RGR senza aver chiesto il parere del medico (il quale può anche non
essere aggiornato in proposito). Un esempio è l'articolo comparso nel 1984 sul
New York Times, a firma di Jane E. Brody (di cui abbiamo già parlato nel capi-
tolo 27), che si caratterizza per l'alto numero di affermazioni false o fuorvianti
che contiene. Quando cercai di richiamare l'attenzione del direttore del Times
su questi errori, fu pubblicata una «errata corrige», ma di uno solo di essi (7
maggio 1984). Quasi tutti i presunti pericoli di cui si parla in quell'articolo so-
no discussi in questo o nel precedente capitolo.
Vi è un effetto della vitamina C, presa in forti dosi, che è stato riferito da
molti: si tratta dell'effetto lassativo. Per alcune persone basta un'unica dose di 3
g. presa a stomaco vuoto per promuovere un'azione lassativa, mentre la stessa
quantità, presa dopo i pasti, non ha tale effetto. Un medico che cura i pazienti
affetti da malattie infettive facendo prendere loro il massimo di acido ascorbico
che possono tollerare senza disagi fisici ha riferito che quasi tutti i pazienti si
stabilizzano su dosi che vanno dai 15 ai 20 g. al giorno (Cathcart, 1975).
Virno e colleghi (1967) e Bietti (1967) hanno scritto che le persone affette
da glaucoma, trattate con dosi da 30 a 40 g. al giorno di acido ascorbico, sof-
frono di diarrea per tre o quattro giorni, ma non più in seguito.
Solitamente la stitichezza può essere tenuta sotto controllo aggiustando la
dose di vitamina C assunta (Hoffer, 1971). Per stare in buona salute è bene
evacuare regolarmente ogni giorno i contenuti del tratto inferiore degli intesti-
ni. Trattenere nell'organismo materiale di scarto per un tempo superiore al ne-
cessario può essere dannoso.
D'altro canto, l'uso di lassativi moderatamente irritanti, come magnesia, ca-
scara sagrada o solfato di sodio, può a sua volta essere fonte di ulteriori distur-
bi. Spesso i medici consigliano ai pazienti che soffrono di stitichezza di adotta-
re una dieta adeguata, che includa una grande quantità di frutta e verdura. Que-
sto è un buon trattamento ortomolecolare, come anche il ricorso alla vitamina
C, da aggiungersi alla dieta di frutta e verdura.
Un trattato medico molto noto afferma che non si hanno gravi conseguenze
se non si va di corpo per tre o quattro giorni, e che è meglio cercare di far fun-
zionare l'intestino senza ricorrere ai lassativi. Penso che si tratti di un'opinione
errata, per parecchie ragioni. Sappiamo dal lavoro del dottor Robert Bruce, di-
rettore della sede di Toronto del Ludwig. Cancer Research Institute, che il ma-
teriale fecale umano contiene presumibilmente delle sostanze cancerogene.
Se il tratto inferiore dell'intestino viene continuamente esposto a queste so-
stanze, aumenta la probabilità della formazione di un cancro del retto e del co-
lon; inoltre, aumenta la quantità di acidi biliari che vengono riassorbiti nel flus -
so sanguigno dal quale sono riportati al fegato e riconvertiti in colesterolo, fa-
cendo così innalzare il livello del colesterolo e la conseguente probabilità di di-
sturbi cardiaci. Anche altre sostanze tossiche di cui l'organismo dovrebbe libe-
rarsi al più presto possibile vengono riassorbite.
Talvolta la loro presenza può essere rilevata dall'alito di una persona, cosa
che può costituire un incentivo in più, a chi tiene al rapporto con l'altro sesso,
per liberarsi rapidamente dei materiali di scarto. Si può conseguire questo
obiettivo ricorrendo all'azione lassativa di una sostanza naturale, la vitamina C.
Potete prenderne una bella quantità 3, 5, 8 o 10 g., quando vi alzate la mattina.
Determinerete voi stessi la quantità giusta, facendo varie prove fino a trova-
re quella che provoca un movimento intestinale di espulsione dopo la prima co-
lazione, cosa che risolverà il vostro problema per tutto il giorno.
In base alle mie osservazioni, sono giunto alla stima approssimativa che
questa procedura accelera l'eliminazione dei rifiuti organici di circa ventiquat-
trore, o anche più.
E’ stato anche riferito che l'assunzione di alte dosi di vitamina C aumenta in
molte persone la produzione di gas intestinali (metano). Per ridurre al minimo
questo effetto, nella misura in cui esso è indesiderabile, si devono provare vari
tipi di vitamina C e varie modalità di assunzione (dopo i pasti, per esempio,
come abbiamo detto sopra). Alcuni sostengono di tollerare l'ascorbato di sodio
meglio dell'acido ascorbico, e per altri può andare bene una miscela delle due
sostanze. Alcuni effetti indesiderabili possono essere attribuiti all'eccipiente
usato per dare un particolare sapore alle compresse; in questo caso di potrà o
cambiare marca o usare la sostanza pura.
Non ci deve sorprendere che il nostro intestino ci crei qualche problema
quando prendiamo da 5 a 10 g. di acido ascorbico al giorno, anche se questa
quantità risulta ottimale proprio in base al fatto che è quella che gli animali si
fabbricano da soli per il proprio fabbisogno.
Gli animali la producono nel proprio organismo, nel fegato o nei reni; nello
stomaco e nell'intestino passa solo quella piccola quantità che essi ricavano dal
cibo. Da quando gli esseri umani hanno perso la capacità di sintetizza re questo
nutritivo e hanno cominciato a mangiare cibi che ne forniscono loro una picco-
la quantità, 1 o 2 g. al giorno, i loro sistemi digestivi non sono stati sottoposti
ad alcuna pressione evolutiva nel senso di un adattamento a riceverne quantità
superiori. Forse possiamo esserci adattati, in una certa misura, a cavarcela con
quantità inferiori, ma esistono indicazioni, di cui parleremo altrove in questo li-
bro, che la quantità ottimale per noi non è inferiore a quella sintetizzata dagli
altri animali per il loro benessere.
Qualcuno mi ha chiesto se l'acido ascorbico, con la sua azione di acido, non
possa causare un'ulcera gastrica. In realtà, il succo gastrico presente nello sto-
maco contiene un acido piuttosto forte, mentre l'acido ascorbico, che è un acido
debole, non ne aumenta l'acidità. Sono le compresse di aspirina e di cloruro di
potassio che possono corrodere la parete dello stomaco e provocare un'ulcera.
La vitamina C, invece, previene la formazione di ulcere e, se già esistono,
contribuisce alla loro guarigione (per riferimenti bibliografici e ulteriori preci-
sazioni, vedi Stone, 1972).
Nella recensione su Medical Letter del mio libro Vitamin C and the Com-
mon Cold, recensione di cui ho già parlato nel capitolo precedente, si sosteneva
che la vitamina C può avere l'effetto negativo di provocare la formazione di
calcoli renali.
L'autore di questa recensione non firmata scriveva: «Quando si prendono
giornalmente da 4 a 12 g. di vitamina C per l'acidificazio ne delle urine, tutta-
via, come nel trattamento di alcune infezioni croniche del tratto urinario, urati e
cistina possono precipitare in tale tratto dando origine a calcoli. Per tale ragio-
ne si devono evitare dosi molti elevate di vitamina C in pazienti che hanno ten-
denza alla gotta, alla formazione di calcoli di urati, e alla cistinuria».
Questa affermazione è errata, I curatori avrebbero potuto giustamente scri-
vere che questo tipo di pazienti deve evitare dosi elevate di acido ascorbico, ma
non c'è motivo che si astengano dal prendere la vitamina C, perché la possono
ingerire sotto forma di ascorbato di sodio, che non acidifica le urine.
L'affermazione fatta in Medical Letter dimostra come i curatori della pub-
blicazione semplicemente non abbiano capito l'argomento su cui stavano scri-
vendo. In realtà, la vitamina C è lo ione ascorbato. Questo ione ha una carica
elettrica negativa; pertanto, non possiamo ingerire la vitamina C senza ingerire
anche una quantità equivalente di atomi che abbiano una carica elettrica positi-
va.
Nell'acido ascorbico questo atomo è lo ione idrogeno, H+; nell'ascorbato di
sodio è lo ione sodio, Na+; nell'ascorbato di calcio è la metà di uno ione calcio,
1/2 Ca++. Tutte queste sostanze contengono vitamina C, lo ione ascorbato, e
ciascuna di esse contiene anche qualcos'altro. Gli effetti di questo «qualcos'al-
tro» (lo ione idrogeno, lo ione sodio, lo ione calcio) non vanno confusi con gli
effetti dello ione ascorbato, cosa che invece hanno fatto i curatori di Medical
Letter e continuano a fare tutti quegli autori di articoli la cui conoscenza del-
l'argomento è incompleta.
È ben noto che ci sono due tipi di calcoli renali, e che la tendenza a formarli
deve essere tenuta sotto controllo in due modi diversi. I calcoli di un tipo, che
comprendono circa la metà ai tutti i calcoli urinari, sono composti di fosfato di
calcio, fosfato di magnesio e ammonio, carbonato di calcio o miscele di queste
diverse sostanze. Essi tendono a formarsi se le urine sono alcaline: le persone
che hanno la tendenza a formarli devono acidificare la propria urina.
Un buon sistema, probabilmente il migliore, è di prendere 1 g. o più di aci-
do ascorbico al giorno. L'acido ascorbico viene usato da molti medici a questo
scopo, e non per prevenire le infezioni del tratto urinario, specie le infezioni da
organismi che idrolizzano l'urea formando ammoniaca e in tal modo alcaliniz -
zano l'urina, favorendo la formazio ne dei calcoli renali di questa classe.
I calcoli renali dell'altra classe, che tendono a formarsi nell'urina acida,
sono composti da ossalato di calcio, acido urico o cistina.
Alle persone che hanno tendenza a formare questo tipo di calcoli viene con-
sigliato di rendere alcalina l'urina. Questo obiettivo può essere raggiunto pren-
dendo la vitamina C sotto forma di ascorbato di sodio, oppure prendendo l'aci-
do ascorbico con l'aggiunta del bicarbonato di sodio o di un'altra sostanza alca-
linizzante, solo nella quantità necessaria allo scopo.
Nella letteratura medica non viene riferito neppure un caso di formazione di
calcoli renali in seguito all'assunzione di forti dosi di vitamina C. Sussiste tut-
tavia la possibilità che alcune persone abbiano una tendenza accentuata a pro-
durre calcoli renali di ossalato di calcio in seguito all'assunzione di forti dosi di
vitamina C. E’ noto che l'acido ascorbico può essere ossidato nell'organismo,
diventando acido ossalico. Lamden e Chrystowski (1954) hanno studiato cin-
quantun soggetti sani di sesso maschile che assumevano le quantità normali di
vitamina C (cioè solo quella presente nel cibo) e hanno trovato che la quantità
media di acido ossalico eliminato nell'urina era di 38 mg. (in un'escursione da
16 a 64 mg). Questa media salì di soli 3 mg. in seguito all'assunzione di 2 g.
supplementari al giorno di acido ascorbico, e di soli 12 mg. al giorno per 4 g. in
più di acido ascorbico. Un ulteriore aumento di 8 g. al giorno di acido ascorbic-
o fece salire l'eliminazione di acido ossalico di 45 mg, e quella di 9 g. la elevò
di 68 mg. (in media; un soggetto ne eliminò addirittura 150 mg.).
Appare verosimile che la maggior parte della gente non vada incontro a
problemi relativi all'acido ossalico prendendo forti dosi di vitamina C, ma un
certo numero di persone dovrà fare attenzione, proprio come deve stare attento
a non mangiare troppi spinaci e rabarbaro, che hanno un alto contenuto di ossa-
lati.
Esiste un numero molto limitato di persone che soffrono di una malattia ge-
netica piuttosto rara, che provoca una maggio re produzione di acido ossalico
nelle cellule (soprattutto dall'aminoacido glicina); è noto il caso di un giovane
che converte circa il 15 per cento dell'acido ascorbico ingerito in acido ossali-
co, cinquanta volte di più rispetto alle altre persone (Briggs, Garcia-Webb e
Davies, 1973). Quest'uomo e tutti coloro che hanno lo stesso difetto genetico
devono limitare la loro assunzione di vitamina C.
Negli ultimi anni ho ricevuto molte lettere da parte di persone che erano ri-
maste turbate dalla notizia che alte dosi di vitamina C presa ai pasti distrugge -
vano la vitamina B12 presente nel cibo, provocando una malattia da carenza si-
mile all'anemia perniciosa.
Ho risposto loro che la notizia non era attendibile, perché le condizioni del-
la ricerca di laboratorio non erano strettamente analoghe a quelle che si verifi-
cano quanto il cibo viene ingerito e trattenuto nello stomaco. Oggi è stato di-
mostrato che la relazione originale, a opera di Herbert e Jacob (1974) era erro-
nea, poiché era stato usato un metodo di analisi inattendibile; si sa inoltre che,
in realtà, la vitamina C non distrugge in misura significativa la vitamina B12
presente nel cibo.
Herbert e Jacob avevano studiato un pasto a basso contenuto di vitamina
B12 e un altro ad alto contenuto di vitamina B12; quest'ultimo comprendeva 90
g. di fegato di manzo alla griglia, cibo notorialmente ricco di vitamina B12 . Al-
cuni pasti contenevano 100, 250 o 500 mg. di acido ascorbico. I pasti furono
omogeneizzati in un frullatore, tenuti per trenta minuti alla temperatura corpo-
rea (37 C°); poi se ne era analizzato il contenuto in vitamina B12 con un metodo
basato sugli isotopi radioattivi. I ricercatori avevano riferito che 500 mg. di aci-
do ascorbico aggiunti al pasto distruggevano il 95 per cento della vitamina B12
nel pasto povero di tale vitamina, e quasi il 50 per cento in quello ricco.
Essi conclusero affermando: «Alte dosi di vitamina C, usata comunemente
come rimedio casalingo contro il raffreddore, distruggono quantità sostanziali
di vitamina B12 ingerita con il cibo... L'ingestione giornaliera di 500 mg. o più
di acido ascorbico senza la valutazione delle condizioni della vitamina B12 pro-
babilmente non è consigliabile». Negli ultimi anni questa dichiarazione è stata
ripetuta in molti articoli su nutrizione e salute in vari giornali e riviste.
È noto che l'idrossicobalamina pura e la cianocobalamina pura (forme di vi-
tamina B12) vengono attaccate e distrutte (la cianocobalamina meno rapidamen-
te) dall'acido ascorbico in presenza di ioni di ossigeno e di rame; ma l'entità di
tale distruzione riferita da Herbert e Jacob era sorprendentemente alta. Inoltre,
appariva chiaro dalla loro relazione sui risultati ottenuti che c'era qualcosa di
sbagliato nel loro lavoro. La quantità di vitamina B12 che essi riferivano in base
all'analisi dei pasti (senza l'aggiunta dell'acido ascorbico) era solo un ottavo
circa di quella comunemente specificata per i cibi presenti in quei pasti. É noto
che parte della vitamina B12 presente nel cibo è strettamente legata alle proteine
e ad altri componenti del cibo stesso.
I biochimici hanno messo a punto alcune procedure apposite per liberare la
vitamina legata. Se non si usano tali procedure, l'analisi determina esclusiva -
mente la quantità di vitamina B12 le gata debolmente.
Ricercatori di due laboratori diversi ripeterono l'esperimento, usando meto-
di analitici affidabili (Newmark, Scheiner, Marcus e Prabhudesai, 1976), tro-
vando nei due pasti quantità di vitamina B12 uguali, entro il 5 per cento alle
quantità calcolate in base alle tabelle alimentari. Tali quantità erano da sei a
otto volte quelle riferite da Herbert e Jacob; inoltre trovarono che l'aggiunta di
100, 250 o 500 mg. di acido ascorbico non cambiava la quantità di vitamina B12
presente nei pasti.
Anche altre due ricerche (Marcus, Prabhudesai e Wassef, 1980; Ekvall e
Bozian, 1979) hanno contraddetto l'affermazione che la vitamina B12 venga di-
strutta dalla vitamina C.
Possiamo concludere che il pericolo attribuito da Herbert e Jacob all'assun-
zione di quantità moderatamente alte di vitamina C (500 mg. o più) insieme
con i pasti non esiste. La conclusione a cui erano giunti i due autori era erro-
nea, perché il metodo seguito per analizzare la vitamina B 12 non era corretto.
Gli autori di articoli sulle vitamine e i medici che danno consigli sulla salute
dovrebbero smetterla di citare la distruzione della vitamina B12 come una ragio -
ne per non prendere le quantità ottimali di vitamina C.
Una delle ragioni avanzate da Medical Letter per non prendere quantità
supplementari di vitamina C è che la presenza di tale vitamina nell'urina po-
trebbe far si che i normali esami di dosaggio del glucosio nell'urina stessa dia-
no un risultato positivo falso. Questo fatto non può essere considerato come
un'argomentazione contro l'assunzione della vitamina C; piuttosto esso deve
stimolare a mettere a punto dei test che siano attendibili.
Brandt, Guyer e Banks (1974) hanno indicato un modo per modificare que-
sto esame evitando l'interferenza dell'acido ascorbico; un modo ancora più
semplice consiste nel non prendere la vitamina C il giorno in cui si raccoglie il
campione di urina.
Un altro esame comune in cui l'acido ascorbico può interferire è quello del
sangue nelle feci, che indica un sanguinamento interno (Jaffe e colleghi, 1975).
Il dottor Russell M. Jaffe dei National Institutes of Health, che ha scoperto
questo effetto, sta ora mettendo a punto un esame più attendibile.
Quando una persona ingerisce una quantità normale di vitamina C ogni
giorno, la concentrazione dell'ascorbato nel suo sangue rimane costante, cioè di
circa 15 mg. per litro.
Spero e Anderson (1973) hanno studiato ventinove soggetti, ai quali furono
somministrati 1, 2 o 4 g. al giorno di vitamina C.
I loro livelli nel sangue dapprima salirono sopra i 20 mg. per litro, ma dopo
alcuni giorni diminuirono. Un effetto analogo è stato osservato anche da Har-
ris, Robinson e PAULING (1973), che lo hanno attribuito a un aumento dell'u-
tilizzazione metabolica della vitamina C in risposta all'aumento della quantità
ingerita.
Si tratta di un fenomeno ben noto nei batteri. Il comune batterio intestinale
Escherichia coli solitamente usa come sua fonte di carbonio il glucosio, che è
uno zucchero semplice, ma può anche vivere di lattosio (lo zucchero presente
nel latte), che è un disaccaride. Quando si trasferisce una coltura di E. coli dal
glucosio al lattosio, per un po' di tempo essa cresce molto lentamente, poi si
sviluppa rapidamente. Per poter vivere di lattosio l'organismo deve contenere
un enzima che lo scinde in due parti; l'E. coli è capace di fabbricare questo en-
zima, la betagalattossidasi, perché possiede il gene corrispondente nel suo ma-
teriale genetico; ma, quando vive nutrendosi di glucosio, ogni cellula della col-
tura contiene soltanto una decina di molecole di questo enzima; se lo si trasferi-
sce in un mezzo che contiene lattosio, ogni cellula sintetizza qualche migliaio
di molecole dell'enzima, permettendogli di utilizzare bene il lattosio.
Questo processo è chiamato «formazione enzimatica indotta»; è stato sco-
perto nel 1900 ed è stato studiato in modo approfondito dal biologo francese
Jacques Monod, che nel 1965 ha ricevuto il premio Nobel per la Medicina in-
sieme con Francois Jacob e Andrew Lwoff.
Monod e i suoi colleghi dimostrarono che il tasso di produzione dell'enzima
sotto il controllo del suo gene specifico è a sua volta controllato da un altro
gene, chiamato «gene regolatore». Quando, nel mezzo in cui vive la coltura, il
lattosio è scarso o assente, il gene regolatore cessa la sintesi dell'enzima, allo
scopo di alleggerire il batterio del compito non necessario di fabbricare un en-
zima inutile. Quando invece è presente il lattosio, il gene regolatore avvia il
processo di sintesi dell'enzima, per poter utilizzare il lattosio come nutrimento.
È dimostrato che anche gli esseri umani hanno degli enzimi regolatori che
controllano la sintesi degli enzimi implicati nella conversione dell'acido ascor-
bico in altre sostanze. Queste altre sostanze, che sono prodotti di ossidazione,
sono utili; è noto, per esempio, che riescono a tenere sotto controllo il cancro
negli animali meglio dell'acido ascorbico (Omura e colleghi, 1974 e 1975).
Ma l'acido ascorbico è anch'esso una sostanza importante, direttamente im-
plicata nella sintesi del collagene e in altre reazioni dell'organismo umano.
Sarebbe catastrofico se gli enzimi dovessero svolgere il loro lavoro con tan-
ta efficacia da convertire tutto l'acido ascorbico e l'acido deidroascorbico in
prodotti di ossidazione che non hanno le stesse proprietà biochimiche che ha la
vitamina. Per questa ragione i geni regolatori arrestano o rallentano la produ-
zione degli enzimi allorché venga ingerita una bassa quantità di vitamina C; ma
quando tale quantità è grande, gli enzimi vengono prodotti in quantità mag-
giori, permettendo la conversione di una quantità maggiore di acido ascorbico
nelle altre sostanze utili.
Quando una persona riceve alte dosi di vitamina C per qualche giorno o più
a lungo, la quantità di questi enzimi è tanto grande che, se la persona torna ad
avere nel sangue solo una piccola quantità di acido ascorbico, essa viene rapi-
damente convertita in altre sostanze, e la concentrazione di acido ascorbico e di
acido deidroascorbico nel sangue diventa anormalmente bassa. Ne può conse-
guire una diminuita resistenza del soggetto alle malattie; questo effetto da ces-
sazione è detto effetto-rimbalzo e può anche non essere particolarmente intenso
per la maggior parte delle persone. Anderson, Suranyi e Beaton (1974) hanno
controllato la frequenza di malattie invernali, soprattutto raffreddori, nei loro
soggetti durante il mese immediatamente successivo all'interruzione dell'assun-
zione delle loro compresse di acido ascorbico o di placebo. Durante questo
mese i soggetti che avevano ricevuto da 1 a 2 g. di vitamina C al giorno e quel-
li che avevano ricevuto il placebo ebbero circa lo stesso numero di episodi di
malattia per persona, 0,304 e 0,309 rispettivamente.
I valori medi del numero di giorni per persona trascorsi in casa (0,384 e
0,409) e il numero di giorni trascorsi sul posto di lavoro (0,221 e 0,268) furono
un po' inferiori per il primo gruppo rispetto al secondo, anziché il contrario,
come era da aspettarsi se l'effetto-rimbalzo fosse stato notevole. Inoltre, non si
verificò un numero maggiore di tali episodi durante la prima metà del mese ri-
spetto alla seconda.
Alcune persone possono soffrire di un'anomalia relativa a questi geni rego-
latori. La presenza di una quantità eccessiva degli enzimi che catalizzano l'ossi-
dazione della vitamina C potrebbe essere responsabile dell'anomalia nell’utiliz -
zazione della vitamina che è stata osservata in alcuni soggetti schizofrenici.
Il dottor Cameron e io, tuttavia, nel nostro libro Cancer and Vitamin C
(1979) abbiamo segnalato che l'interruzione potrebbe essere pericolosa nel
caso dei malati di cancro, e abbiamo raccomandato che l'assunzione non venga
interrotta, per questi pazienti, neppure di un solo giorno. Abbiamo discusso ul-
teriormente la questione nel capitolo 19.
Già da trent'anni è noto che le donne incinte hanno un fabbisogno di vitami-
na C maggiore rispetto alle altre donne. La ragione di questo fabbisogno supe-
riore sta in parte nel fatto che il feto in via di sviluppo ha bisogno di un buon
rifornimento di questa vitamina, ed esiste un meccanismo nella placenta per
pompare la vitamina C dal sangue della madre a quello del feto. Una ricerca
precedente di Javert e Stander (1943) accertò che la concentrazione dell'ascor-
bato nel sangue del cordone ombelicale era di 14,3 mg. per litro, quattro volte
quella del sangue della madre. Il depauperamento del sangue materno a vantag-
gio del bambino continua anche dopo la nascita, dato che l'ascorbato è
contenuto nel latte materno. Il latte di mucca è molto più povero di vitamina C
rispetto al latte umano; il vitello non abbisogna di vitamina C, perché se la
fabbrica da solo nelle cellule del fegato.
È stato riferito che, in una gravidanza normale, le donne che ingerivano l'a-
bituale bassa quantità di vitamina C mostravano una costante diminuzione del-
la sua concentrazione nel plasma sanguigno, da 11 mg. per litro (media per 246
donne) a 5 mg. per litro a quattro mesi di gravidanza, e poi a 3,5 mg. per litro al
termine della gravidanza (Javert e Stander, 1943). Questi bassi valori significa -
no una cattiva salute non solo per la madre ma anche per il bambino. E’ stato
dimostrato che un valore basso nella concentrazione della vitamina C nel san-
gue è correlato con l'incidenza di malattie emorragiche nel neonato: Javert e
Stander ne hanno concluso che, per la buona salute di una gestante, occorre
una dose di 100 mg. al giorno, ed è probabile che per la maggior parte delle ge-
stanti il fabbisogno ottimale sia ancora superiore, di 1 g. o più al giorno.
Naturalmente occorre soddisfare anche il fabbisogno di altre sostanze.
Brewer (1966) ha sottolineato il fatto che una buona dose di proteine e di altri
nutritivi è essenziale per prevenire l'eclampsia puerperale, osservando inoltre
che in gravidanza le restrizioni alimentari e il ricorso a diuretici per limitare
l'aumento di peso sono misure pericolose.
Una buona dose di vitamina C risulta molto efficace anche nel ridurre il ri-
schio di aborto spontaneo, specie se ripetuto. Nella loro ricerca su 79 donne
con rischio di aborto spontaneo, Javert e Stander ebbero il 91 per cento di suc-
cessi con 33 pazienti che ricevevano la vitamina C insieme con bioflavonoidi e
vitamina K (solo tre aborti), mentre tutte le 46 pazienti che non ricevettero la
vitamina abortirono.
Nella sua analisi sull'aborto abituale, Greenblatt (1955) giunse alla conclu-
sione che la vitamina C associata a bioflavonoidi e a vitamina K rappresenta il
trattamento migliore, seguito subito dopo da progesterone, vitamina E ed
estratto di tiroide.
Durante gli ultimi anni varie autorità in campo nutrizionale che tengono
delle rubriche sui giornali hanno affermato che ingerire elevate dosi di vitami-
na C può provocare l'aborto. Alla base di questa affermazione sembra esservi
un breve articolo di due medici sovietici, Samborskaya e Ferdman (1966), in
cui essi riferivano il caso di venti donne, di età dai venti ai quarant'anni, che
avevano avuto ritardi mestruali da dieci a quindici giorni: dopo la somministra-
zione per bocca di 6 g. di acido ascorbico al giorno per tre giorni consecutivi,
sedici di loro ebbero le mestruazioni. Scrissi a Samborsaya e Ferdman, chie-
dendo loro se era stato fatto a queste donne un test di gravidanza e, come tutta
risposta, mi inviarono un'altra copia del loro articolo.
Abram Hoffer (1971) ha riferito di aver usato megadosi di acido ascorbico,
da 3 a 30 g. al giorno, su più di mille pazienti fin dal 1953, senza aver osserva-
to neppure un caso di formazione di calcoli, aborto, disidratazione eccessiva o
altre serie intossicazioni.
Sembra poco probabile che l'acido ascorbico provochi un aborto, anche se
può contribuire a risolvere problemi collegati alle mestruazioni. Lahann (1970)
ha passato in rassegna la letteratura, specialmente quella delle riviste tedesche
e austriache, arrivando alla conclusione che l'assunzione orale di una quantità
da 200 a 1000 mg. di acido ascorbico al giorno migliora notevolmente l'anda-
mento mestruale. Inoltre, l'utilizzazione dell'acido ascorbico aumenta molto du-
rante il ciclo mestruale, specialmente al momento dell'ovulazione: la misura di
questa utilizzazione può venire usata per determinare la fine dell'ovula zione,
allo scopo di individuare il momento migliore per concepire nei casi di sterilità.
Il valore preventivo dei supplementi di vitamina C, anche nelle piccole
quantità raccomandate dal Food and Nutrition Board, risulta da una relazione
inglese relativa a una ricerca sull'uso della vitamina nella prevenzione di difetti
al canale neurale, come la spina bifida, nell'embrione (Smithells, Sheppard e
Schorah, 1976).
I difetti del canale neurale si presentano nella popolazione bianca nordame -
ricana con un'incidenza pari a circa due casi su mille nati vivi. L'incidenza è
molto più alta nel caso del secondo figlio di genitori che hanno già avuto un fi-
glio con tale difetto.
La ricerca fatta in Inghilterra riguardava appunto 448 madri che avevano
già avuto un figlio con un difetto del canale neurale: a metà di loro fu sommini-
strato un preparato a base di ferro e varie vitamine, all'altra metà fu sommini-
strato un placebo. Ci fu una prevenzione quasi completa dei difetti del canale
neurale, in quanto l'incidenza fu solo dello 0,6 per cento, per i figli di madri
che avevano ricevuto il supplemento, rispetto al 5,0 per cento per i figli di ma-
dri che non l'avevano ricevuto.
PARTE QUINTA
____________________
In base alle nozioni acquisite negli ultimi vent'anni dalla nuova scienza del-
l'alimentazione, questo libro vi ha mostrato come potete vivere più a lungo e
sentirvi meglio. Per godere di questi vantaggi non occorre che vi sottoponiate a
regole faticose e fastidiose. Al contrario, il regime che dovete seguire è quello
ragionevole e piacevole specificato nel secondo capitolo del presente volume;
molte persone come voi lo stanno già seguendo, traendone i vantaggi che ab-
biamo appena citato. Moltiplicherete inoltre questi vantaggi se prenderete l'abi-
tudine di seguire la raccomandazione più importante che proviene dalla nuova
scienza dell'alimentazione, e cioè