Ad - Iniziazione Alla Kabbala Ebraica
Ad - Iniziazione Alla Kabbala Ebraica
Ad - Iniziazione Alla Kabbala Ebraica
GRAD
Ne nasce, dunque, più che un classico, tradizionale libro di piana lettura, una sorta
di antologia di problematiche, accennate e brevemente dibattute nelle linee
essenziali; ma, poi, subito lasciate alla meditazione del lettore. È un approccio non
solo originale, per la stesura di un libro, ma oltremodo coinvolgente. Ogni capitolo,
ogni paragrafo, al limite ogni parola, è pesata e va valutata e considerata in tutta la
sua pregnanza. È un esercizio intellettuale molto efficace, tanto che credo di poter
tranquillamente definire la perlustrazione di questo libro come una vera e propria
conquista.
Ma torniamo, seppure con rapidi cenni, al problema nodale, la Kabbala. Sorta sul
finire del primo millennio della nostra era - sebbene molti la indichino viva, e a
nostro avviso a ragione, sin dai tempi mosaici - in ambienti europei di ovvia cultura
e tradizione ebraica - soprattutto in Spagna e Francia - questa singolare "scienza”si
diffuse celermente e con enorme successo, suffragata dal favorevole accoglimento
cui andava incontro, in quel tempo, tutto ciò che aveva sapore misterioso ed occulto,
tutto ciò che, in una strana e singolarissima commistione di incongruenze, era, al
contempo, sacro e profano, chiaro e oscuro, nitido e torbido.
Perché una certa tenebrosa immanenza non proprio sempre divina o angelica
aleggiava nella ritualistica magica teurgica kabbalistica, insomma, luce e tenebre
sembravano confondersi con una certa facilità e, soprattutto, non si poteva definire
in modo netto quale fosse e dove si trovasse il confine fra di esse. Da qui tutte le
volgarizzazioni successive, le più clamorose delle quali potremmo identificare nella
Kabbala del Lotto e nella Numerologia, rudimentali, quanto ingenui; tentativi di
traslare nel canone lessicale e simbolico dell'Occidente le auree regole di simmetria e
comparazione fra lettera, numero ed immagine, caratteristica profonda, saliente,
vitale e decisiva, invece, della lingua ebraica.
Sulla Kabbala - come il lettore attento certamente sa - sono già comparsi molti;
moltissimi lavori, tanti dei quali veramente lodevoli ed illuminanti. Questo Grad
ben lo sapeva ed ha quindi volutamente impostato questa sua nuova opera in modo,
come si è detto, originalissimo, fresco, quasi scattante. Si sono evitate così le trappole
del già detto, del ripetuto, del "rivisitato". Certo, il ritorno c'è, per forza di cose, su
determinati temi, ma è un riprenderli in modo elegante e raffinato, in totale
disimpegno - ma, attenzione, disimpegno di quantità e non certo di qualità
d'intervento.
Una messe di spunti che meriterebbero ciascuno opere a parte, uno stimolo
formidabile ad approfondire con altre letture il discorso, che per alcuni lettori;
eventualmente, qui si è solo iniziato. Questo è il fascino di Grad e di questo suo
lavoro. Una panoramica senza precedenti su un mistero tanto affascinante quanto
antico: la magica, la prestigiosa, l'incantevole armonia della Kabbala ebraica,
speculum universi come molti dotti pensatori non hanno esitato a definirla.
Franco Ossola
Tutta la nostra scienza scaturisce e deriva dalla Mente Suprema.
Essa è un dono del Dio Vivente.
Prova ne sia il fatto che moltissime sono le definizioni che le vengono attribuite. Ora
viene detta “La Saggezza Celeste", ora "L'Aritmetica Sacra", ora ancora “La Mistica
del Linguaggio”o "Esperienze dell'Essere".
Ed in realtà ciò che viene accolto (in modo positivo) per i kabbalisti altro non è che la
saggezza segreta.
Ma da dove proviene?
Ufficialmente si fa risalire la Kabbala all'inizio del XII secolo della nostra era,
periodo in cui vediamo comparire per la prima volta il vocabolo, con il particolare
senso che gli verrà riconosciuto da questo momento in avanti nel corso del libro,
nella regione di Beaucarie, ad opera di Isaac il cieco. In verità, però, è a Yehoudha
ben Barzilai, di Barcellona, che si dovrebbe riconoscerne la paternità, se volgiamo la
nostra attenzione a ciò che compare nel suo grandioso commentario il Sefer Yetsirah.
Ma la Saggezza Segreta, sino ad allora non ancora codificata, se così possiamo dire,
risale addirittura al principio del II secolo.
È, infatti, attorno agli anni 100 che si impone la personalità del Principe dei
kabbalisti, colui che è stato chiamato La Santa Lampada, Rabbi Simé on bar Yo'hai. È
in questo studioso ed esegeta galileo che alcuni riconoscono l'autore del Sefer Ha-
Zohar, "Il libro dello Splendore'', il commentario kabbalistico più imponente della
Bibbia ebraica. Ebbene, proprio in questa opera troviamo una rivelazione
fondamentale: la Saggezza Segreta di cui parla lo Zohar venne rivelata direttamente
a Mosè sul Monte Sinai, in margine alla Legge scritta.
E non basta ancora. Risalendo via via nel tempo veniamo a sapere che il mistero
della Saggezza già aveva trovato forma in un Libro magico, posseduto da Adamo.
Infatti lo Zohar afferma che il primo uomo ricevette un libro, un libro "disceso dal
cielo, consegnatogli dal Maestro dei Misteri che era preceduto - come ben viene
precisato - da tre messaggeri".
Il che per i kabbalisti significa che il primo uomo della Bibbia fu anche il primo
kabbalista. La miglior prova di questo - si sostiene - sta nel fatto che spettò proprio a
lui attribuire il nome agli animali che gli sfilavano davanti, agli uccelli del cielo ed a
tutte le bestie selvatiche. Per poter "attribuire dei nomi", soprattutto in ebraico, è
necessaria la conoscenza della struttura onto-matematica di questa lingua le cui
lettere sono in realtà numeri. Perché fu proprio l'ebraico la lingua di Abramo. La
Bibbia ci dice che prima dell'episodio della Torre di Babele, su tutta la Terra si
parlava un solo idioma e gli uomini usavano tutti le stesse parole. Ossia, tutti
parlavano l'ebraico. Dopo Babele, solo gli antenati del popolo eletto continuarono ad
usarlo. Ed è sulla base di questo linguaggio misterioso che si fondano tutte le
deduzioni e le speculazioni kabbalistiche.
L'EBRAICO, LINGUA SACRA
Perché fino a quel tempo, tutti gli uomini non parlavano che la santa lingua
Lo Zohar
Mentre i Sumeri per scrivere ricorrevano a centinaia di segni diversi e gli Egiziani
addirittura a migliaia di geroglifici, poiché questi ultimi erano segni pittografici,
vale a dire che per indicare un uccello se ne doveva disegnare uno, l'ebraico
comprende, molto più semplicemente, soltanto un alfabeto di 22 lettere, senza
vocali. Queste 22 lettere godono della sorprendente particolarità di corrispondere ai
22 poligoni regolari della geometria tradizionale (euclidea).
GEOMETRIA EUCLIDEA
22 Poligoni Regolari, corrispondenti ai 22 divisori interi di 360.
FIGURE-MADRI
- TRIANGOLO EQUILATERO
- QUADRATO
- PENTAGONO
RADDOPPIANDO
3 otteniamo
6 lati
(esagono)
12 lati
(dodecagono)
24 lati
RADDOPPIANDO
4 otteniamo
8 lati
(ottagono)
RADDOPPIANDO
5 otteniamo
10 lati
20 lati
40 lati
Partendo dal poligono a 45 lati otteniamo: 90, 180 e 360 lati. Ovvero 12 poligoni
regolari inscritti semplici.
ALFABETO EBRAICO
LETTERE-MADRI
- ALEPH
- MEM
- SHINE
Il raddoppio si indica con un punto posto nel corpo della lettera (daguèch).
Raddoppiando le tre figure madri della geometria otteniamo sette poligoni regolari
inscritti... sette poligoni in duplicazione, dunque... proprio come sette sono le lettere
ebraiche dette doppie (segnate da un puntino, dagué ch, per indicare, appunto, il
raddoppiamento).
Tre figure madri e sette raddoppiate, ossia dieci in tutto: e restano dodici poligoni
semplici... che trovano analoga corrispondenza nelle dodici lettere semplici
dell'alfabeto ebraico, che ora ci appare strano e singolare, ora razionale e
perfettamente aritmetico. Ma ciò che più di ogni altra cosa ci stupisce è che questa
magica lingua, questo alfabeto, sono utilizzati da un piccolo popolo, che ramingo
peregrinò di deserto in deserto e che piantò le proprie tende nella più remota
solitudine. Ed anche per quel che concerne i 400 gradi in cui si può dividere il
cerchio, ritroviamo ancora il valore numerico delle 22 lettere, ripartite esattamente
proprio da 1 a 400. Aleph, prima lettera dell'alfabeto, vale, infatti, 1, mentre Thaw,
che è l'ultima, vale 400. E, così come chi dice gradi sessagesimali e centesimali dice,
necessariamente, logaritmi, così chi dice lingua ebraica, con cognizione di causa ben
inteso, non può che dire Kabbala.
È ben nota l'importanza del mutamento dei nomi propri nella Sacra Scrittura, e non
solo nell'Antico, ma anche nel Nuovo Testamento.
Nel Pentateuco Abramo si trasforma in Abraamo; che vuoi dire l'aggiunta di una a-
ossia di un He, nella corrispondenza in ebraico? "Il nome tuo non sarà più Abramo, ma
Abraamo, ti chiamerai Abraamo, perché ti ho stabilito padre di molti popoli". Solo qualche
versetto oltre Sarai, sua moglie, assume il nome di Sara.
Giacobbe viene chiamato Israele: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma il tuo nome
sarà Israele, ché fosti forte lottando con Dio e con gli uomini e tu hai vinto". E per
ben tre volte ci viene ricordato che Esaù è Edom. Lo stesso Gesù, d'altro canto, nel
Vangelo secondo Matteo, dice in ebraico a Simone, figlio di Gona: "Attah hou
Chimon ben Jonah”- tu, Simone, figlio di Giona - "attah thiqra Keifa”- io ti dico che
tu sei Pietro - mentre negli Atti degli Apostoli Saulo di Tarso diventa Paolo, e così
via.
Sia sufficiente ricordare che da sempre gli esoteristi, anche quelli non del filone
kabbalistico, sono stati affascinati dalla "potenza magica”delle lettere dell'alfabeto
ebraico.
Non per nulla i sigilli, i pentacoli, le allegorie, i talismani ebraici compaiono sempre
numerosi ad illustrare i volumi di magia e di occultismo. Ma, è chiaro che ognuno è
libero di pensare, in proposito, come meglio crede. Una cosa però pare assodata e
certa. Sulla scorta delle eclatanti scoperte della fisica vibratoria subatomica, sembra
si sia approdati ad un'altrettanto strabiliante conferma, sebbene a tutt'oggi
considerata ancora a livello parascientifico, secondo la quale le raffigurazioni dei
caratteri dell'alfabeto ebraico e le loro reciproche combinazioni (tsé ruf) potrebbero
dare adito a degli effetti di forme.
Davanti a questa constatazione non si può non credere che l'ebraico celi in se
qualcosa di misterioso.
LA BIBBIA, QUESTA SCONOSCIUTA
Rami Elé azar dice "Non è per modo di dire che la Sacra Scrittura è chiamata Legge
di Verità, Legge Perfetta, Legge della Testimonianza, Legge più preziosa dell'oro e
dei gioielli. È invece perché ogni parola ch'essa contiene cela un mistero".
Al contrario, un solo errore ortografico nel testo ebraico della Bibbia è in grado di
distruggere tutta l'equazione, proprio come avviene in una qualsiasi formula
matematica; ed è per questo che un'edizione biblica, stampata in ebraico, contenente
degli errori viene immediatamente ritirata dalla circolazione e distrutta.
Ma, attenzione a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Vi sono, infatti, molti
"errori”nelle Bibbie stampate in ebraico; ma sono manifesti e voluti: lettere
capovolte, lettere rialzate o ribassate, corpi ristretti... Ma si tratta sempre di
“anomalie”che fanno tutte riferimento ad un insegnamento segreto e che
confermano la fedeltà tipo grafica al testo originale. Sì, perché tutte le Bibbie
stampate in ebraico mostrano le stesse, identiche particolarità e gli apparenti errori
cadono tutti e sempre il quel medesimo particolare passo - quella stessa Mem chiusa
nel corpo di un vocabolo in Isaia, o quella medesima
Mem aperta alla fine di un altro, come in Nehemia; errori così grossolani e banali
che manco il più sprovveduto studioso del Talmud-Thorah commetterebbe.
Eccoci, dunque, dinanzi ad un codice; ma cifrato secondo quali regole, in che modo?
La Bibbia in ebraico comprende 391.300 segni. Questo numero è un multiplo di 26. A
che cosa corrisponde 26?
Alla somma del valore numerico del Tetragramma Yod Hé Waw Hé uno dei nomi
attribuiti alla divinità, alquanto incautamente tradotto, a livello fonetico, come
Yahweh o Jé howah. Infatti, per gli Ebrei il Nome non è profferibile e ad esempio è
uso presso molti ortodossi limitarsi a scrivere, qualora vogliano significare Dio, una
lettera D. maiuscola seguita da un punto; ciò al fine di non nominarne il Nome
invano, secondo il canone antico e sacro imposto dalla tradizione.
Dunque, il sacro Tetragramma vale 26, e questo è il numero "chiave”di tutta la
Bibbia ebraica.
Ma non è solo perché la somma totale dei segni che vi compaiono è un numero pari,
perfetto multiplo di 26, che quest'ultimo è, a buon diritto, inteso come numero
chiave. Gli scettici, ovviamente, parleranno di coincidenze. Tra Adamo e Mosè
intercorrono 26 generazioni? Puro caso. È proprio al versetto 26 del Genesi che Dio
esclama: "Si faccia l'uomo a nostra immagine"? Altra coincidenza. Così come lo è
constatare che il quarto Libro del Genesi, che inizia proprio con il nome Adamo
(uomo) e si chiude con il Tetragramma sacro, si compone di 26 versetti.
La saggezza è un albero di Vita per coloro che ne divengono maestri Proverbi, III: 18
Nel Sefer Yetsirah [nota] si svela la creazione del Mondo. Si dice, con uno stile
incomparabile ed intraducibile, che il Dio Vivente creò il suo Universo tramite Sefar
e Sefer, e Sippur, vale a dire per mezzo del Verbo e del Numero. Louria precisa che
il mondo nacque grazie ad un gesto di ripiegamento, o contrazione, su se stesso -
tsimtsoum - da parte di Dio: nello spazio vuoto venutosi a determinare sorse il
Creato.
Rabbi Berekhya insegna che prima della Creazione il Pensiero Supremo emise una
fortissima luce radiosa.
Per lo Zohar, invece, tutto nacque quando l'Antico dei Giorni, il Velato,
l'inconoscibile, il senza inizio né fine, decise di dare un limite alla propria
illimitatezza. "Ad un tratto tese dinanzi a se un velo, attraverso il quale incominciò a
disegnarsi la sua Regalità".
[nota: Il Sefer Yetsirah (Il Libro della Formazione) è considerato il più antico trattato
kabbalistico di cosmogonia e cosmologia. La sua stesura è attribuita al patriarca
Abramo.]
Veniamo anche a sapere che, a partire dal misterioso Punto Supremo e via via per
tutti i livelli della Creazione, ogni cosa altro non è che il rivestimento di un'altra che
le è superiore e la sovrasta. Il cervello, avvolto com'è in un involucro, è esso stesso
involucro di un altro cervello superiore. Per ciò che gli è superiore esso è soltanto
involucro.
Ma, a sua volta, Nefesh funge da substrato ad un'altra struttura, detta Roua'h. È
questa uno stadio intermedio. E' il principio spirituale, l'anima nello stato di veglia.
E' bene precisare, però, che Nefesh e Roua'h non sono essenze o qualità diverse o
disomogenee, bensì complementari, in quanto l'una non può esistere che
accompagnata all'altra.
Infine, Roua'h è il sostegno del livello superiore chiamato Nestamah, che è l'anima
propriamente intesa. È questo il concetto tanto discusso e che tante polemiche ha
suscitato e continua a sollevare, poiché nella Kabbala si afferma a chiare lettere che
alcuni uomini non la posseggono.
"Medita su questi diversi piani dello spirito umano, esorta Rabbi Simeon bar Yo'hai,
e scoprirai il mistero dell'Eterna Saggezza. Perché è proprio questa che ha modellato
questi gradi dello spirito umano ad immagine del Supremo Mistero".
Infatti, secondo la Kabbala, tutto ciò che è in Terra rispecchia in modo fedele ciò che
sta in Alto. "Non esiste cosa alcuna in questo mondo inferiore - afferma Rabbi
Yits'haq- che non abbia il proprio omologo che lo governa in quello superiore". Ed è
così che mettendo in movimento le cose qui sulla Terra, automaticamente si
richiamano in azione le forze superiori corrispondenti, che a tutto sovraintendono.
Per questo Rabbi Elé azar parla dell'esistenza di due mondi: uno nascosto ed uno
manifesto, che però, in realtà, concorrono alla costituzione di un unico mondo.
Le sefiroth
Parlando dei 32 misteriosi sentieri della Saggezza il Sefer Yetsirah così li definisce:
- 10 sefiroth belimah
- 22 lettere fondamentali
Come è noto, esse sono disposte su di un ideale albero detto appunto albero
sefirotico. Sebbene questa sia un'ottima forma di sintesi, ho però sempre preferito
ricorrere alla disposizione a "ruota''. Ma, siano esse dispiegate ad albero o a ruota,
hanno sempre l'incredibile capacità di "parlare".
Sopra Yesod c'è Tipheseth, la Bellezza, vero e proprio cuore della ruota sefirotica.
Corrisponde al Sole.
Le due sefiroth poste a lato - kabbalisticamente parlando al di sotto del Sole - sono
Hod e Netsàh, la Gloria e la Vittoria.
Per il tramite dell'immagine della ruota sefirotica, i kabbalisti situano sempre l'uomo
nel cosmo, e la natura delle loro relazioni reciproche è, comunque, più che di tipo
matematico, di tipo igneo, vale a dire spirituale.
Lo Zohar
Lo Zohar è comparabile all'Arca di Noè, giacché non vi possono accedere che due
soli abitanti per città o sette per reame. E giungerà il tempo in cui non vi
accederanno che un solo abitante per città e due soli rappresentanti per schiatta.
Ma poi, col passare del tempo, si cominciò a considerare uno dei pilastri soltanto più
come ornamentale, se non addirittura superfluo. Si prese a giudicare nefasta
l'influenza dello Zohar, il santo Zohar dei kabbalisti, il Libro dello Splendore.
Sospettandovi apporti "estranei,' si incominciò a metterne in dubbio persino
l'autenticità. L'esoterismo rivendicò il primato della Legge Scritta su quella
"Saggezza Superiore", che era stata rilevata a Mosé parallelamente alla Torah.
L'opera attribuita a Rabbi Simé on vide così ufficialmente intaccato il proprio credito
e prestigio....; ma, fortunatamente, a dispetto dell'ostilità di una ortodossia non
mistica, ed il più delle volte riformista, il lungo e prezioso rotolo dei rotoli venne
gelosamente custodito da una é lite di accoliti e pii adepti.
Pur tenendo nel debito conto alcune fondate osservazioni e deduzioni contrarie, la
tesi che attribuisce allo Zohar un'antichità notevolissima non manca certo di rigore.
Sebbene possa parere arduo, ma non certo impensabile, non è affatto da escludere
che alla sua origine si trovi un commentario mistico, composto al tempo della
cattività babilonese.
Nel libro intitolato Idra Rabba Kadista - La Grande e Santa Assemblea - vediamo
Rabbi Simé on bar Yo'hai intento a definire dinanzi ai suoi discepoli le condizioni
per l'iniziazione kabbalistica; mentre nell'Indra Zouta Kadisha - La Piccola e Santa
Assemblea - si riprende il discorso sui Misteri esposti nella Grande Assemblea e si
narra della morte del Maestro iniziato, la Santa Lampada.
Idra de-Machkana significa "Assemblea del Santuario", mentre nei capitoli intitolati
He'khaloth si parla del meraviglioso Palazzo, appena intravisto dai mistici veggenti,
ed a cui possono trovare accesso dopo la morte gli uomini che hanno pienamente
vissuto.
E possiamo ancora ricordare i trattati intitolati Sava (Il Vegliardo), Yenuka (Il
Giovine), Rav Metivta (Il Maestro dell'Accademia), i Sithré Thorah (I segreti della
Thorah), i Sithré Othioth (I segreti delle Lettere), Mathnitin, il Midrach Ha-Neelam
(Il Libro Occulto), il Kav Ha-Midda (La Mistica Corda della Misura), il Ra'aiah Me'
hemnah (Il Pastore Fedele), il Tiqqouné Zohar e diversi Tossefta, vale a dire
appendici ed allegati.
Anche gli elementi fondamentali del Sefer Ha-Bahir, Il Libro della Luce, si ritrovano
integrati nel corpo letterario dello Zohar.
Gesù e Isacco
Gesù può considerarsi più grande, e non solo agli occhi dei Farisei, del giovane figlio
di Abramo?
Come Gesù, anche Isacco è pronto ad offrire la propria vita in sacrificio. L'interprete
della Legge riferisce una tradizione rabbinica secondo la quale Isacco avrebbe detto
al fratellastro Ismaele: "Sappi che se Dio mi dirà 'Offriti in sacrificio' io non me ne
sottrarrò".
Al pari di Gesù, Isacco porta egli stesso sulle spalle la legna che servirà per il
sacrificio, poiché sta scritto: "Abramo prese dunque la legna per l'olocausto e ne
caricò Isacco, suo figlio".
Come Gesù sa con chiarezza che sta per essere immolato, perché sa che il Monte
Moriah dove viene condotto dal padre è il monte dei sacrifici. Proprio in quel luogo
Adamo, Caino, Abele, Noè ed i suoi figli avevano immolato i loro olocausti.
Nemmeno per un attimo Isacco pensò di fuggire, non ebbe neppure un moto di
ribellione, malgrado la prorompente voglia di vivere della sua giovanissima età. Si
era mostrato disponibile e sottomesso sin dall'inizio, non aveva mosso alcuna
protesta, né pronunciata una sola parola quando il genitore lo aveva disteso
sull'altare. Era stato “un sol cuore”col padre, dice una tradizione rabbinica.
Nello stesso momento in cui Abramo leva il coltello per offrire Isacco in olocausto,
l'Angelo del Signore lo chiama due volte per nome: Abramo, Abramo!
Isacco è salvo.
Viceversa, nel caso di Gesù è il Figlio agonizzante che è costretto a chiamare per due
volte il Padre: Eli! Eli! "Mio Dio, Mio Dio".
MA INVANO.
Per lui, sul Golgota, non compare alcun montone con le corna aggrovigliate nel
cespuglio.
Il Figlio "per il quale Dio ha creato il mondo", "riflesso della sua gloria", "impronta
della sua persona", "in cui ogni cosa è compendiata per la potenza della sua parola",
non è più che un cadavere inchiodato alla croce.
Non è, dunque, così facile passare dalla legna sacrificale di Isacco alla croce di Gesù,
a meno che non si vogliano sottoscrivere gli imperdonabili abbagli di certi fantasiosi
"kabbalisti”che, invocando l'autorità dell'opera De Arte Cabalistica di Giovanni
Reuchlin, confondono la croce con... l'immagine.[nota: Gli pseudo-kabbalisti
speculano questa loro interpretazione fondandosi su di un passo di Reuchlin, grazie
al quale diviene possibile raffrontare le parole ebraiche tselem (immagine) e ets
(legno). Se è pur vero che i due vocaboli in questione hanno lo stesso valore
numerico (160), conviene però ben precisare che la parola "croce”in ebraico non si
dice tselem bensì tselav (che vale 122 e non 160). Gesù, il Crocifisso, vien chiamato in
ebraico Ha-Tsalouv. I kabbalisti cristiani sono stati forse fuorviati e confusi da quei
commentatori "yiddish", che tanto facilmente confondono, nella lingua parlata e
volgare, i termini croce ed immagine? Ma, si stia attenti, l'ebraico è l'ebraico e la
Kabala non può mettersi in pratica che con questa sacra lingua.]
Certo che lo è. Le prove non mancano e noi le abbiamo davanti. Ma gli inquirenti
incaricati di indagare su questa morte hanno, ancora una volta, scelto la via più
facile e scontata. Chi sono, dunque, i deicidi? Non possono esserci dubbi: degli Ebrei
o il freddo cinismo di un procuratore romano. A chi verrebbe in mente di
rintracciarli invece fra i cardinali o fra quelli che io chiamo i cristolatri, gli adoratori
dell'Uomo-Dio, centro di tutto? I deicidi, dunque?
Ma sono stati pur loro ad innalzare la pira degli errori: la vera "morte di Dio". LORO
HANNO UCCISO IL PADRE.
I loro nomi sono tanti. Sono il Cardinale de Bé rulle, ad esempio, senza il quale
Descartes non sarebbe probabilmente mai approdato al Discorso - sono suor Anna di
Gesù, Malebranche, il secondo Pascal, caduto egli stesso nella trappola della sua
propaganda.
Perduti nella cristolatria, hanno confuso il fine con i mezzi. Il mezzo chiamato
"Cristo”si è trasformato per loro in un soggetto di tale profonda adorazione che ha
finito per occultare ed eclissare completamente l'ultimo fine, quello vero - l'Antico
dei Giorni.
Ecco, in questo c'è tutto il dramma della lotta fra il Cristocentrismo ed il
Teocentrismo.[nota: A questo proposito consiglio di leggere l'illuminante opera
dell'Abate Milet. Si tratta, fondamentalmente, di uno studio di psicologia sociale
dedicato alle conseguenze dell'espansione del sentimento di Cristocentrismo in seno
alla Chiesa cattolica dal XVII secolo ad oggi.]
Ma i primi cristiani non si ingannarono; i più lucidi arsero come vivo fuoco. Per loro,
se Gesù è il Cristo, il Padre resta il Padre. Questi credenti dalla fede ancora
incontaminata non rivolgevano le loro preci al Signore Gesù Cristo, ma al Signore di
Israele.
Non c'è motivo di stupirsi se una simile religione così "bipolare", finì poi per
sboccare in una cristolatria tinta di antropomorfismo. Cristo resta solo al centro di
tutta la liturgia. Siamo ben lontani dal Dio di Abramo e di Mosè!
"Gesù, il vero sole e il vero centro del Mondo, dice il Cardinal de Bérulle.
Bonhoeffer, teologo cristiano degli Anni '30, che non esita, all'occasione, a rifarsi
anche a Reich, sembra quasi caldeggiare il "deicidio". D'altro canto, non è senza un
malcelato senso di giubilo che constata che Dio "perde ogni giorno sempre più
terreno".
Questi deicidi, dunque, adoratori del "vero sole'', non han proprio nulla da invidiare
ai carnefici di Gesù, sebbene esista una differenza fondamentale tra le due "vittime'',
che in nessun caso possono essere poste su di un piano di eguaglianza.
"Dio non potrebbe morire a se stesso"; mentre Gesù muore "a se stesso". Egli lo fa
come solo sanno farlo l'Intruso e la "Donna".
La tradizione ebraica riconosce soltanto nove autentici cantici. Dopo Salomone non
ne vennero più composti di nuovi. Perché il decimo cantico verrà intonato dai figli
di Israele per celebrare la fine dell'esilio, poiché sta scritto: "Ritorneranno a Sion
intonando un canto di trionfo, mentre una gioia eterna coronerà il loro capo”(Isaia
LI: 11) .
Nono e quanto mai misterioso cantico, l'identità del cui illustre autore è a volte posta
in dubbio, la cui epoca di composizione non è affatto chiara e che molti intendono
più come un'antologia di poemi diversi che non come un unico poema. Cantico per
eccellenza che troppi ancora tendono ad identificare con qualcosa di profano, e il cui
inserimento nel contesto della Sacra Scrittura non avrebbe addirittura motivo di
essere.
Cantico suscettibile di commenti infiniti, dotti e a volte persino contrastanti e
contraddittori. Basti pensare che Salfeld, solo per il periodo compreso fra il IX ed il
XVI secolo, annovera più di centotrentaquattro esegesi rabbiniche al testo. La ricerca
bibliografica sul Cantico eseguita da Paul Vulliaud cita ben trecentodiciannove
commentatori, tra i quali Alcuino, S. Anselmo, S. Bernardo, Boussuet, Gerson,
Ginsburg, Madame Guyon, Josegh Halé vry, Pierre d'Ailly, Renan, S. Tommaso
d'Aquino. E ci lascia ancora all'oscuro dei commentatori illustri: Ezra ben Salomon o
i due Ibn Tibbon, Samuele e Mosé , padre e figlio.
Se poi esistono - casi come si sostiene nel Midrach Ha-Neelam - ben duecentosedici
diverse interpretazioni dei versetti del Cantico dei Cantici tramandate da Rabbi
Eliezer a Rabbi Aqiba, è giocoforza riconoscere che ciò può non soltanto mettere in
crisi il razionalista impenitente ma anche riesce a sottolineare le incredibili ricchezze
esoteriche di cui è pregno il più bello di tutti i cantici ebraici - il nono.
E' infatti lampante che ancor oggi nessun commentatore ufficiale a qualunque
opinione si appelli, è riuscito a sfondare la formidabile barriera ottagonale che va ad
aprirsi sulla Camera del Maestro. E chi, d'altra parte, ha notato che, pur reggendosi
fondamentalmente sul numero nove, al tempo stesso radice e base del mistero del
Sacro Nome, il Cantico si compone però soltanto di otto capitoli, proiettando così la
sua strana struttura ottagonale sul deserto dell'infinito geometrico?
Ora: 117 è multiplo di 9 ( 13 x 9), così come 1251 ( 139 x 9). E che dire di 5148,
anch'esso multiplo del 9 (572 x 9)?
Caso? Coincidenza?
Non vi è più caso o coincidenza di quanto vi sia nella struttura numerica del
Pentateuco, in cui entrano in gioco la bellezza di 391.300 elementi che si
congiungono fra loro in un modo tale da sfidare apertamente ogni legge di
probabilità.
Fra tutti i cantici esistenti non ve n'è alcun altro tanto ben accetto al Signore, sia egli
benedetto, del Cantico dei Cantici.
Lo Zohar
Per rendere il canto tradizionale efficace (vale a dire per metterlo nelle condizioni
ideali per assicurare l'unione spirituale fra l'anima che l'intona e Dio), la voce
collettiva della comunità che prega con quella del suo chaliah'tsibour deve, allo
stesso tempo, concentrare e sincronizzare, nell'ambito aurico delle principali
preghiere salmodiate, tutti i valori e le ricchezze spirituali legati ai sacri testi ed alle
modulazioni melodiche riunite nel canto.
M. Behnaroche
Questo Cantico comprende e conferma tutto ciò che esiste, tutto ciò che è esistito e
tutto ciò che dovrà ancora
esistere. Tutti gli eventi che si sublimeranno nel settimo
millenario, che è il Saldato del Signore, sono racchiusi nel
Cantico dei Cantici. (Lo Zohar)
È all'inizio dell'ultimo atto de "Il Flauto Magico”di Mozart che il coro dei sacerdoti;
all'interno della piramide, intona un inno di lode ad Iside ed Osiride. E l'esaltazione
della coppia che si muove lungo il cammino dell'illuminazione illustra forse non
soltanto il principio kabbalistico fondamentale del destarsi della femminilità nella
donna ma anche il risveglio della femminilità stessa nell'uomo, perché Pamina, su
un altro piano, non è forse anche l'anima di Tamino?
Con la tragedia di Abele non è il fratello di Caino che viene assassinato, bensì sotto i
colpi sono L'INTRUSO E LA DONNA CHE CADONO UCCISI.
Nel testo ebraico, mentre sono sufficienti quattro parole per dire della nascita di
Abele, ne vengono usate ben undici per quella di Caino.
Alla luce della Kabbala sappiamo, invece, che Abele si scosta da Caino per ragioni di
fondo primarie.
Caino non poteva sapere che la creazione sussiste solo grazie alla giusta
complementarietà di questi due Principi ancestrali, del maschio e della femmina.
Senza Abele, Caino non è più nulla. Dopo la morte del fratello continuerà, certo, a
vivere, ma come privo dell'anima.
Altrove - in altra letteratura - sulla strada che mena a Tebe troviamo Edipo e la
Sfinge; qui abbiamo Abele e Caino.
È sufficiente confrontare la grafia ebraica dei due nomi - Qayin (Caino) ed Hevel
(Abele) - per renderci conto del profondo contrasto.
Qayin sfodera la spada del suo Qof, rizza lo Yod del suo sesso, libera, finalmente, lo
spermatozoo del suo Noun conclusivo.
Qayin si scrive con uno Yod centrale, la lettera maschile per eccellenza di isch, oltre
che quella iniziale del Sacro Tetragramma - YHWH - senza il quale Qayin non
avrebbe potuto essere "acquisito".
Hevel si scrive con l'iniziale Hé , lettera femminile per eccellenza. Questo nome non
ha né Yod ne Waw, possiede, viceversa, la lettera femminile Hé del Sacro
Tetragramma.
Il Principio Femminile si cela in ogni uomo, così come quello Maschile è in ogni
donna. Tuttavia- in questo caso- il primo è tanto prepotente e predominante in
Hevel quanto il secondo lo è in Qaym.
La circoncisione
Rimarrà nella vostra carne questo segno del mio patto come eterna alleanza.
Genesi XVII:13
Ciò che San Paolo non ha affatto considerato, il geniale V. Rozanov ha invece posto
in risalto. Scrive, infatti, nella sua opera intitolata Esseulement:
"I legami esistenti fra il sesso e Dio sono assai più stretti che non quelli intercorrenti
fra l'intelligenza e Dio e persino di quelli fra la coscienza e Dio".
Certo, il "tono”di Rozanov è improntato alla sua genialità indiscussa. Egli nota
limpidamente che l'uomo, creato simile nel corpo e nella mente a Dio, si orienta ed
indirizza ora verso l'esterno ora verso l'interno. Ma ciò che egli osserva, non senza
rimanerne colpito, è il fatto che essendosi l'ordine dell'Essere rivelato ai Semiti "...per
il luogo in cui ebbe la sua scaturigine e per il suo carattere essenzialmente religioso,
la circoncisione, non avrebbe potuto che nascere lì, un atto il cui sigillo si applica
proprio al nostro Essere personale ed universale''.
Ecco che, in tal modo, attraverso l'organizzazione religiosa del sesso, Dio viene ad
essere indissolubilmente legato alla circoncisione. Così che Rozanov può affermare,
in merito, che “Il teismo si sessualizza ed il sesso si teologizza":
...Per essere ancor più chiari, il Giudaismo è una lega sessuale, è una società sesso-
religiosa, una tribù fondata sul sangue di veri fratelli, di sorelle, di fidanzati, di padri
e di madri... Presso di noi il sesso è per ognuno proprietà privata ''.
Come si vede, con Rozanov siamo ben lungi dall'organizzazione ecclesiale del sesso.
Quando San Paolo conferma il suo rinnegamento alla "teizzazione”del sesso nel
corso della Prima Lettera ai Corinti con la famosa frase: "...la circoncisione non è
nulla...”(VII:19), già tutto è detto ed il resto del discorso si fa ancora più privo di
interesse, continuando egli ad ingannarsi in merito al vero intendimento della
circoncisione.
Per di più - ed in netto contrasto alla genialità dei suoi antenati - Paolo dà
chiaramente ad intendere di non sospettare nemmeno per un istante, al di fuori di
tutte le speculazioni dialettiche, che la circoncisione ebraica, eseguita dopo passare
otto giorni dalla nascita, possa in realtà avere delle ripercussioni a livello psichico
sul nuovo nato. Non gli riesce di distinguere, irrigidito com'è, ormai, in una sua
propria, singolare prospettiva di vedute, le inevitabili modificazioni provocate nel
meccanismo sensoriale e sensitivo di un giovane ebreo, da questo atto sconvolgente
che scuote con violenza tutto il suo essere. Da questo punto di vista, Paolo non
distingue nulla, nulla constata, non si pone domande. Ed invece la cosa riveste una
rara importanza, infatti da un lato, l'ebreo circonciso si differenzia in modo
addirittura spettacolare dall'animale superiore a causa di questa deliberata
operazione a cui sottopone il suo membro sessuale; dall'altro, lascia trascorrere otto
giorni dalla nascita prima di consumare l'atto, affinché la santità di un Sabato abbia
il tempo di andarsi a posare sul neonato.
CIRCONCISIONE
Ed ecco il patto mio che custodirete tu ed i tuoi discendenti. ogni maschio di tra voi
sarà circonciso in segno di alleanza fra me e voi... l'infante di otto giorni verrà
circonciso.
Come avrebbe, quindi, Paolo in simili condizioni potuto intravedere che questo
modo di suggellare l'alleanza si sarebbe poi anche riflesso fino alla donna all'atto
dell'unirsi della coppia? Chi può disconoscere, infatti, l'eventualità che questa
millenaria pratica non sia in grado, per un sottile ed arcano meccanismo, di mettere
in atto delle modifiche ereditarie nelle condizioni di adattamento del sistema
nervoso cerebro-spinale o autonomo?
D'altra parte, ciò che più sorprende in Paolo è la dicotomia che stabilisce -
spingendosi persin oltre qualsiasi esoterismo - tra la carne e l'anima. La parentesi è
di grande importanza, sia dal punto di vista dell'Ebraismo (potremmo aggiungere,
dunque, del Giudeo-Cristianesimo) che della Kabbala.
Ed è pure sorprendente che anche ai nostri tempi un uomo di scienza dotato di una
mente così attenta all'essenziale quale fu Wilhelm Reich abbia egli pure soltanto
sfiorato l'autentico senso riposto nell'atto della circoncisione, limitandosi
semplicemente a prendere in considerazione il dolore provocato nel neonato
dall'incisione subita senza anestesia. Tutto preso dalla foga di evidenziare e
denunciare la "peste emozionale”che tiranneggia l'essere umano, Reich prende un
abbaglio incredibile allorquando scrive: "La regola della circoncisione, una fra le più
sacre istituzioni presso gli Ebrei, dimostra chiaramente che gli organi genitali erano
considerati come fonte di male e peccatore.
Per lui, dunque, tutto viene inteso come se l'organizzazione religiosa del sesso non
costituisse nient'altro che una "mutilazione'' vendicativa. Con i dovuti ritocchi del
caso, mi sembra quasi superfluo sottolineare come questa "mutilazione'' rimandi
direttamente al concetto freudiano di "castrazione". Infatti, nel saggio intitolato Mosè
ed il Monoteismo Freud non considera forse la circoncisione come un atto sostitutivo
e simbolico della castrazione, che il padre primitivo ed onnipotente già aveva inferto
ai suoi figlioli?
Ad ogni buon conto, qualunque sia il valore che si voglia attribuire ai, diciamo così,
“referenti”delle loro rispettive analisi psicologiche, è certo che Freud e Reich assai
più hanno contribuito all'evolversi dello sviluppo degli studi psicoanalitici di quanto
non siano riusciti a chiarire in modo serio il problema della circoncisione.
La verginità
Riserbatevi tutte le ragazze vergini
Numeri XXXI:18
- L'uomo celibe non è completo, è come un infermo agli occhi del Re, e la santità
del Re si allontana da lui In un altro passaggio il concetto è espresso ancor più
esplicitamente:
- La parola uomo non contempla colui che non è maritato. La sua offerta è senza
valore, le benedizioni celesti non possono fermarsi a sufficienza su di lui, visto
che non può considerarsi un uomo. E anche la Shekhinah non si posa su lui,
perché è essere incompleto, e porta il nome di infermo
È assai sintomatico ritrovare anche nella letteratura alchemica frasi analoghe come,
ad esempio, una delle famose cosiddette “chiavi”del monaco Basilio Valentino,
formulazione che fa parte dell'opera Le Dodici chiavi della Filosofia. L'iniziato
benedettino di Erfurt scrive a proposito della fase della Grande Opera detta
"congiunzione”o "coniugazione".
"L'uomo senza la donna è da considerarsi come un corpo separato in due, così come
la donna senza l'uomo similmente è pari ad un essere dimezzato; giacché , in modo
particolare, ciascuno di loro separato non può da solo produrre alcun frutto.
Quando, invece, vivono uniti dal legame coniugale il loro corpo diventa perfetto
giacché dalla loro unione può procedere un accrescimento".
È chiaro che questi commenti, kabbalistici od alchimistici che siano, trovano tutti
fondamento e sostegno nella Bibbia.
Non c'è nessuno, infatti, che ignori la traduzione letterale di questi due versetti del
Genesi:
1. Non è bene che l'uomo sia solo. Facciamogli (è YHWH che parla) un aiuto simile
a lui. (II:18)
2. Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua moglie, e saranno due
in un corpo solo. (II:24)
E, sempre intendendo il testo biblico in modo "semplice”- vale a dire letterale - nel
Deuteronomio si va ancora più oltre, quando stipula:
"L'uomo che di recente ha preso moglie non andrà alla guerra, né gli verranno
accollati pubblici pesi; ma se ne starà in pace nella sua casa per un anno, libero da
ogni incombenza, per godere la donna che ha preso". (XXIV:5)
Si stia attenti a non perdere mai di vista il concetto che l'unione sessuale deve
sapersi anche intendere al suo più alto livello, per finire - in modo particolare e
specifico - con l'esilio della Regina, per facilitare la vera ed autentica "unione".
È senza dubbio per questo, il lettore non ne dubiti, che i kabbalisti sono soliti
storcere il naso - quando si trovano dinanzi alla Prima Lettera ai Corinti di San Paolo
nel Nuovo Testamento.
“Sicché fa bene chi dà in sposa la sua figliola; ma chi non la dà in sposa farà ancora
meglio". (7:38)
Molto gliene attribuisce, comunque, Salomone nel suo Cantico, quando parla del
giardino inviolato, della sorgente chiusa, della fonte sigillata.
Sia comunque chiaro che il concetto di verginità in seno al Cristianesimo è una cosa,
mentre ben altra è l'opposizione Paolina ai principi tradizionali ebraici.
Se, come sostiene Rabbi Na'hman di Breslavia, ogni forma di sperimentazione
dell'Unità e della Santità divine dipende dall'unione tra l'uomo e la donna, allora chi
dà in sposa la propria figlia farebbe meglio, tradizionalmente parlando, di colui che
non la marita affatto.
Da una parte, pertanto, con Salomone, il Sole radioso della sensualità che illumina la
trascendenza; dall'altra, con Paolo, l'ascetismo acosmico - ovvero metacosmico, per
una forte volontà di "spiritualizzazione".
LETTURA DELLA KABBALA
- Rabbi Yossé: "Per suscitare le azioni in Alto, si deve iniziare con un'azione
compiuta in Basso".
- Rabbi Abba: "Ciò che qui è visibile non è che il riflesso di ciò che è invisibile".
- Rabbi Simeon: "Non dire: 'Mi consacrerò allo studio della legge quando,
finalmente, godrò di una felice, agitata condizione'. Lo studio della Legge, infatti,
non richiede né ricchezze, né vasi d'argento o d'oro. Ciò che occorre è un cuore
ferito che trova la propria guarigione nella Legge".
- Rabbi Ya'akov ben Sheshet: "Tutto ciò che un uomo avviato nel cammino della
fede può immaginare di nuovo nella Legge serve ad aumentare la glorificazione
della Legge stessa".
- La Santa Lampada: "Se l'Eterno dovesse sottrarre la sua parte all'uomo, a questi
non resterebbe più nulla".
- Rabbi Elé azar: "L'aiuto dell'Eterno non è sempre quello di cui riteniamo avere
bisogno".
- Raschi Nahman di Breslavia: "Ogni uomo porta impressi nell'architettura del suo
volto i confini del proprio paradiso".
Ancora Rabbi Nahman: "Colui che non può dormire mediti sulla resurrezione dei
morti".
- Il Pastore Fedele: "Anche gli idolatri più ignoranti ammettono, nel fondo del loro
cuore, che fanno del male".
- Ancora il Pastore Fedele, stando alla testimonianza dei Maestri della Michnah:
"Colui che si incollerisce è pari a quello che adora gli idoli".
- Un maestro disse, stando ad Isacco d'Akko: "Fino a quando non godrete della
serenità e risentirete ancora il pungolo di un insulto subito, non avrete raggiunto
la condizione nella quale il vostro pensiero potrà fermarsi sull'Eterno".
- Rabbi Yossé : "L'uomo che più non avverte la sferza del Signore vuoi dire che da
Lui non è più amato".
- Rabbi Elé azar: "La Gloria Divina non rimane su di un uomo triste".
- Raba: “Si può anche trasgredire ad un principio legale se ciò torna nell'interesse
della Legge".
- La Santa Lampada: "Il mondo non trova stabilità che nel segreto".
- Rabbi Yossé : "Gli uomini non sanno né cercano di sapere su che cosa si fondi il
mondo, e neppure ciò che può servire come appoggio a loro stessi".
- Rabbi Hiya: "È grazie alla diversa combinazione dei sacri nomi del Dio Vivente
che si possono operare meraviglie in questo mondo''.
- Rabbi Simé on: "Tutti gli infiniti tesori del Re Supremo sono racchiusi sotto una
stessa chiave". Ed ancora: "La tradizione ci insegna che un solo angelo non deve
compiere due missioni''.
- Infine, il Maestro dice: "Ho meditato a lungo ed ho potuto dedurre che nulla di
tanto certo esiste nel mondo quanto coloro che sanno dominarsi''.
Chi crede che il Libro del Genesi sia il Libro della Creazione si inganna.
Chi crede che il Libro del Genesi non sia il Libro della Creazione si inganna.
La prima parola della Bibbia, la prima parola del primo Libro della Bibbia, è la
chiave che tutto cela, "...è la chiave che chiude ed apre", per riprendere la stessa frase
che compare nello Zohar.
In principio...
Tutte le traduzioni letterali riconosciute rendono la prima parola della Scrittura con
“in principio". La Bibbia, dunque, esordirebbe proprio, né più né meno, come un
normalissimo racconto profano, con un banale "c'era una volta...", anche se,
naturalmente, più "carico”di quello che possiamo trovare all'inizio di una fiaba
di Perrault, visto che si tratta del "c'era una volta”per eccellenza, prima ed unica
"volta”nella storia della Creazione, quella "volta'' da cui si dipana poi l'albero di
tutta la cosmogonia, a partire dal virgulto iniziale.
In principio
È semplice. E' un'interpretazione, direi, troppo semplicistica per una parola che si
rivelerà una chiave di lettura completa, di chiusura ed apertura, della Bibbia intera.
Come se l'idea di un inizio non ponesse alcun problema neppure quello che ritorna
senza fine nell'eco perenne del domandarsi come il mondo, che non ha avuto inizio,
possa esistere da sempre; ecco che, per forza di cose, anche un libro deve pur avere
un principio, figuriamoci poi, se si tratta di quello della Creazione. Ed è per questo
che la prima parola della Bibbia in ebraico, Beré chith, è stata tradotta in tutte le
lingue profane con quel famigerato “c'era una volta", “al tempo della Creazione",
“all'inizio del tempo", “al principio", “alla frontiera del non-tempo e del non
essere"...
In principio...
In ebraico: Beré chith.
- poi, la parola ré chith compare nella Bibbia solo nei composti e mai sotto forma
di locuzione isolata.
Un errore grammaticale nella sacra lingua e sin dal primo vocabolo del Libro Sacro,
sarebbe proprio un intollerabile sacrilegio.
- che il valore numerico di una parola (Beré chith vale 913) è immutabile,
- che l'ebraico si compone esclusivamente di consonanti, cosa che elimina del tutto
l'importanza della vocalizzazione,
- che la tradizione insegna che l'ordine di successione dei paragrafi della Bibbia
non è quello autentico, essendo questo conosciuto solo dal Signore dell'universo -
altrimenti chiunque li leggesse potrebbe creare un mondo, rianimare i morti e
compiere miracoli,
Le due lettere di centro di Beré chith (Aleph e Shine) si leggono Esch ed Esch vuoi
dire Fuoco.
La prima parola della Bibbia, pertanto, deve intendersi come: ALLEANZA DEL
FUOCO, ed il titolo del primo Libro deve di conseguenza essere secondo il costume
esoterico ebraico, IL LIBRO DELL'ALLEANZA DEL FUOCO.
- dall'altra, il fuoco centrale ed universale che arde nel cuore della parola Beré
chith è anche il primo elemento citato nell'iniziale versetto del Genesi, prima
ancora delle acque e della terra.
La prima lettera del testo ebraico della Bibbia - Beith della parola Beré chith - viene
stampata sempre con un carattere enorme. Questa singolare, voluta, anomalia
tipografica posta all'inizio del libro sacro, trova l'unico equivalente nel segno iniziale
del Cantico dei Cantici - Shine della parola Chir.
Tralasciando la già citata prima lettera che, in assoluto, compare nel testo, si deve
arrivare al capitolo II versetto 4 del Libro detto del Genesi - che noi, invece,
chiamiamo dell'Alleanza del Fuoco - per ritrovare la successiva anomalia
tipografica:
Vi si legge: "Queste sono le origini del cielo e della terra quando furono creati".
Sebbene questa parola non sia l'ultima del versetto è quella che, però, conclude il
Libro dell'Alleanza del Fuoco.
Ebbene, il giorno della creazione di Adamo - così come si trova scritto più oltre (in
Genesi V:2) - abbiamo una dizione del tutto analoga, quando si legge:
be(yom)hibaram.
Dal che la Kabbala deduce che i due momenti coincidono, vale a dire che il giorno
della creazione del nome di Adamo e di Abramo è lo stesso.
Il giorno della creazione del nome di Adamo è così per i kabbalisti il primo della
Creazione del mondo. Perché , secondo la tradizione, se ciascun elemento del Creato
venne collocato al suo proprio posto nel giorno assegnatogli, è però indubbio che
tutti vennero contemporaneamente alla luce il primo giorno.
Sappiamo, per di più, che il luogo del sepolcro di Adamo è lo stesso in cui trovò
sepoltura Abramo. Questi due grandi patriarchi - unitamente ad Isacco e a Giacobbe
- riposano, infatti, con le loro consorti, nella grotta di Makpela a Kiryath-Arha
(Hebron).
Narra la leggenda che un giorno Abramo, capitato per caso nella grotta, scorse una
luce intensa, nella quale gli si manifestò il volto di Adamo. È solo al giungere di
Abramo nella caverna - sostiene lo Zohar - che Adamo ed Eva trovano finalmente la
pace del riposo eterno. Questo è il senso di behibaram, perché è proprio “tramite
Abramo”che i due progenitori dell'umanità vennero salvati (I:128b).
Questo collegamento fra i patriarchi è simbolizzato dai tre bracci della lettera Shine.
Due stanno all'estremità, il terzo, al centro, funge da unione.
Questa forma - sempre secondo lo Zohar (I:224a) - fa allusione alle parole dell'Esodo
(XXVI:28): "Le travi di mezzo passeranno all'interno e attraverso le traverse
legandole fra loro da un'estremità all'altra''. È per questo che Giacobbe dice: "Ed io
riposerò con i miei antenati".
In ebraico perfetto si dice tham. Preponendo come iniziale Aleph si ottiene Emeth,
"verità”- “Starai garante a Giacobbe della verità (emeth)”dice il profeta Michea
(VII:20).
ALLEANZA DEL FUOCO. Il Principio che ha dato vita e creato ogni cosa. Il Tutto, il
Fuoco, l'Acqua e la Terra.
Non esisteva nulla in quel tempo, salvo il Nome dell'Antico dei Giorni e la Sua
Sapienza.
Ora, la Terra era tohou ed il Fuoco sacro copriva tehom. Il Trono di fuoco si librava
sulla superficie delle acque grazie alla potenza del soffio divino.
Il Dio Vivente creò il mondo con dieci parole. Disse: che nasca la Luce dal Fuoco
Sacro.
Disse: che le colonne del Cielo si consolidino dalla fluidità e divengano barriere.
Disse: che tutte le acque si uniscano sotto il Trono di fuoco, Divino Luogo dell'Uno.
Disse alla Terra: facciamo, ora, l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza.
Questa è l'origine del Cielo e della Terra quando venne creato il nome di Abramo.
Ora, quando gli uomini iniziarono a moltiplicarsi sulla Terra e nacquero loro delle
figlie, i figli di Elohim videro che le figlie di Adamo erano belle e le presero in
moglie, accoppiandosi. In questo tempo, ed ancora dopo, i Nefilim precipitarono
sulla Terra dal Cielo. Anch'essi non disdegnarono le figlie di Adamo e vi si unirono.
Questi soffrivano molto e molto pativano a causa della loro doppia natura.
Cercarono rimedi nelle proprietà delle piante e molti, per loro danno, morirono.
I kabbalisti vantano tutta una nomenclatura, tratta dallo Zohar per celebrare la
Shekhinah. Ben ordinata, essa si mostra secondo lo schema e la cadenza di un
poema, o di una singolare litania:
Pupilla dell'occhio
Gloria del Signore
Gloria del Signore in Sua Vece
Grande Mare
Decimo Cielo
Terra Celeste
Terra del Santo, sia Egli benedetto
Olocausto del Santo, sia Egli benedetto
Fuoco
Figlia del Re
Fidanzata
Angelo
Angelo liberatore
Angelo di YHWH
Benedizione di YHWH
Altare Supremo
Shekhinah dai Tre Angeli e dai Settanta Troni
Guida d'Israele nel deserto
Sorella
che fu con Sara
con Abramo
con Isacco
con Giacobbe
con Mosè
con Davide
Valle della Visione
Muraglia
Porta
Capezzale del letto
Piccola
Umile
Serva
Tutrice dei poveri
Goccia
Grande Bene
Grande Bontà
Pane della Terra
Anima del Tabernacolo
Candeliere del Santo, sia Egli benedetto
Corona sul capo del Re Supremo
Mezouza
Sabato
Pietra d'angolo
Pietra intatta
Pilastro centrale
Segno dell'Alleanza
Figlia del mio Cuore
Ano'khi
Olam
Promessa del Signore
Tribunale
Beltà d'Israele
Colomba
Cumulo di pietre
Pozzo
Rifugio dell'anima dei giusti
Pane azimo
Quotidiano sacrificio del mattino
Base del mondo.
Il pianeta Arqa
Su questo argomento tanto affascinante esiste nella Bibbia un versetto che, da solo, si
mostra ben più eclatante ed esplosivo di ciò che vien detto nel Genesi, nel
Deuteronomio o nei Salmi messi insieme.
Si tratta di un'insolita frase redatta nel testo non in lingua ebraica, ma caldea. Questo
versetto in caldeo termina tuttavia con una parola ebraica.
Come tutti i versetti biblici è numerato, esattamente come quello che, nel testo, lo
precede e lo segue, versetti che, naturalmente, sono scritti però in ebraico.
Ma, proviamo a vedere. Dove si trova, dunque, questo strano versetto in caldeo, e
che cosa dice - stando alla traduzione proposta dalla scuola francese che, comunque,
rispecchia fedelmente tutte le altre traduzioni ufficiali della Bibbia in lingua
d'oltralpe?
È un versetto che fa parte del Libro di Geremia. Eccolo: "Voi, dunque, direte loro
così: gli dei che non hanno creato né il Cielo né la Terra spariranno dalla Terra e di
sotto del Cielo".
Tutto qui? Sarebbe solo per ciò così insolito questo versetto?
Vediamo.
Prima cosa: nella traduzione manca una parola, l'ultima. Infatti si è bellamente
saltato il vocabolo ebraico Elleh ("questo"), che riveste invece una qual certa
importanza.
Ma, soprattutto, ciò che rende sospetta per i nostri gusti questa traduzione affrettata
è che anche la sua trascrizione non è corretta. Ed apriamo una parentesi: la Bibbia è
un testo sacro che non si dovrebbe mai e poi mai snaturare né modificare. Ciò che è
scritto è scritto e male incolga a colui che si prende libertà esegetiche o la libertà di
proporre dei canoni interpretativi non condivisi - o condannati - dalla Santa Scienza.
La Bibbia consente, è vero, tutte le arditezze - e la nostra lettura kabbalistica del
cosiddetto Libro del Genesi dovrebbe esserne una prova inconfutabile -, ma non è
concesso modificarne i termini nel modo più assoluto. È, infatti, solo partendo da
questi dati immutabili che può prendere le mosse qualsiasi forma di rigorosa
esegesi. La legge è legge.
"Gli Elahaya (Elohim) che non hanno fatto né di-Chemaya (il Cielo) né we'Arqa
(Arqa) saranno sterminati da (la Terra)...".
Non si può fare a meno di notare che, in questa frase, vi sono due parole molto
simili: ARQA e AREA.
- AREA è il nome caldeo della NOSTRA TERRA, del nostro mondo. E si scrive con
un Ayinn.
Non si può, pertanto, tradurre: "Gli Elohim che non hanno né il Cielo né la TERRA
saranno sterminati dalla TERRA...", bensì: "Gli Elohim che non hanno fatto né il
Cielo né ARQA saranno sterminati da AREA...". La traduzione letterale suona così:
"Voi, dunque, direte loro così: gli Elohim che non hanno creato né il Cielo né Arqa
saranno sterminati dalla Terra e periranno sotto il Cielo. Questo (sia)".
Arqa è un pianeta. Un pianeta abitato. Un pianeta abitato - stando allo Zohar -, tanto
che uno dei suoi abitatori si incontrò qui, sulla Terra, con Rabbi Yossé , testimone
prestigioso la cui parola non può certo essere messa in dubbio. Un incontro in
ebraico. Credo di fare cosa gradita al lettore riportando il racconto di questo
incredibile episodio, così come lo si trova nello Zohar. Eccolo trascritto testualmente:
"Essi (Rabbi Yossé e Rabbi Hiya) andarono, dunque, a sedersi dinanzi alla fenditura
di una roccia dalla quale videro, all'improvviso, uscire un uomo. I due viandanti
vennero presi da un grande stupore.
E Rabbi Yossé gli rispose: 'Il nome della nostra terra è Erets (Terra, in ebraico),
giacché è qui, sulla nostra terra, che risiede la vita, in quanto sta scritto: La Terra
(Erets) dove nacque il pane'. Il pane, infatti, non nasce che qui, sulla nostra Terra e
su nessun'altra"'.
Non appena Rabbi Yossé ebbe finito di parlare, l'abitante di Arqa scomparve nella
fenditura della roccia.
Ma il mistero del pianeta Arqa non viene evocato soltanto da questo incredibile
incontro.
In un altro passaggio dello Zohar, questa volta proprio all'inizio del primo libro, si
indica Arqa come la residenza del discendenti di Caino:
"Dopo essere stato cacciato dalla Terra, Caino venne 'precipitato', su Arqa, dove
generò dei figli. Egli si trovò in quel luogo improvvisamente, senza neppure sapere
come vi fosse stato trasportato".
Ecco che, dinanzi a queste parole, c'è poco da avere dei dubbi. Scacciato e reietto,
dopo il suo ignobile delitto, Caino sarebbe stato, infine, "trasportato”su di un altro
pianeta forse dai "fratelli di Nefilim, che caddero dal cielo”non solo una volta, ma
molte altre ancora, dopo la prima. Giudicato indegno della Terra, il figlio di Adamo
venne "recuperato”altrove, lasciando, in tal modo, al fratello Set - terzo figlio della
coppia primigenia, generato per occupare il posto lasciato 'vacante' dal povero Abele
- la responsabilità di una progenie terrestre degna dell'Altissimo.
"Arqa è formato da due parti, una costantemente inondata di luce, l'altra sempre
sprofondata nelle tenebre. Vi sono due capi o reggenti: uno che regna sulla parte
luminosa, l'altro su quella priva di luce. Essi, e le loro genti, sono costantemente in
guerra".
Nel Libro dei Misteri Kabbalistici troviamo il nome di questi due sovrani, sono:
Afrira e Qastimon. È da loro, dalla loro progenie, che discenderanno gli "angeli
ribelli”o decaduti.
Se qualcuno nutre ancora dei dubbi sulla precisa identificazione della "terra'' d'esilio
di Caino, è sufficiente si rivolga, ancora, ad un altro passo dello Zohar, per chiarirli
subito.
Leggenda e tradizione
GOLEM nome maschile (parola ebraica). Massa informe, corpo bruto, embrione. "I
tuoi occhi videro il mio Golem”(Golmi raou eyné 'kha - Salmi 139:16).
Solo Rabbi Loew, una sera di Sabato nella città di Praga, conobbe sorte più propizia.
Avendo quella volta dimenticato di "neutralizzare”il suo devoto Golem, com'era sua
abitudine prima di ogni Sabato, mentre già stava intonando nella Sinagoga Alt-Neu
il Chir Leyom Ha Chabbath, venne interrotto da un messaggero che gli annunziava
che la sua creatura era stata presa da furore e stava seminando il panico per l'intera
città, travolgendo ogni cosa al suo furibondo passaggio.
A quella notizia Rabbi Loew si era allora lanciato di corsa fra le strade del ghetto e,
raggiunto il Golem, era riuscito a neutralizzarlo. Ciò fatto, per non venir meno alla
celebrazione sabbatica, era ritornato in seno alla comunità dei fedeli ed aveva
ripreso, per la seconda volta, il Salmo di lode e ringraziamento, pratica che, da quel
giorno in avanti, venne sempre rinnovata a Praga a ricordo di questa incredibile
peripezia. Rabbi Loew nascose quindi i resti del Golem, da lui creato e distrutto, nel
sottotetto della Sinagoga, dove si dice siano ancor oggi.
Narra la leggenda che un solo rabbino praghese, dopo un rigido e severo digiuno,
osasse salire gli scalini che conducevano al luogo in cui giaceva il "mostro”distrutto.
Ma quando ridiscese era spaventato a morte ed impedì a tutti di ripetere l'impresa o
anche solo di avvicinarsi alla fatidica "bara".
Maestro Loew - cosa singolarissima per un rabbi - è effigiato in una statua sita
proprio nel cuore della vecchia Praga. Nello zoccolo del monumento si può
distinguere un'iscrizione in ebraico. Questo grande iniziato era amico personale del
colto ed erudito imperatore Rodolfo II di Asburgo, cui andava sovente a rendere
visita di notte ad Hradcany, il palazzo reale.
La plasticità e duttilità del mito del Golem gli è valso un posto del tutto singolare
nella tradizione ebraica. Al pari della Kabbala che presiede alla sua generazione,
anche per il Golem ci troviamo di fronte ad una discreta confusione nella
valutazione del concetto e del termine. Divenuto preda della letteratura e del lessico
volgare e fantasioso è stato frainteso o, meglio, “denaturato”persino da rinomati
studiosi di ebraismo. Dall'ignoranza alla parafrasi, il mito sbocca quasi sempre nella
caricatura.
Peccato che, contrariamente alla parola scritta sul volto del Golem, anche quelle del
Dizionario relative alla voce che lo riguarda non si siano cancellate col tempo!
E' fondamentalmente sulle indicazioni scaturite dalla volgarizzazione del mito, che
il regista Paul Wegener inscenò per il cinema - nel 1920 - il film Der Golem.
Nel film, del quale riportiamo alcuni fotogrammi in queste pagine, il Golem ci
appare come una specie di Messia ante-litteram, vendicatore e liberatore di Israele.
In Meyrink, invece, - sebbene lo scenario temporale, spaziale ed etnico non muti per
niente - il mito viene inteso in modo diverso e discosto da quello proposto dalla
versione per lo schermo. Ma, come già abbiamo detto, a ciascuno il suo Golem.
È il caso, ad esempio, di un altro film, il cui soggetto non ha in apparenza nulla da
spartire con il tema in discussione. Questa volta l'azione si svolge in qualche remoto
far-west agli antipodi dell'Europa orientale, in un tempo non precisato e con la
partecipazione di un altro popolo perseguitato ma di origine amerinda. Faccio
riferimento all'opera cinematografica del regista cileno Alexandro Todorowsky
intitolata El Topo (1971). El Topo è, al tempo stesso, il vendicatore delle vittime di un
tiranno ed il liberatore di gente murata viva in una grotta-ghetto. Anche qui non c'è
il lieto fine. Se, all'improvviso - così come è nata - l'opera di salvazione si frantuma,
la colpa è di El Topo, Messia giunto troppo tardi. Il protagonista sarà costretto ad
immolarsi, proprio come il Golem di Geremia, che si distrusse volontariamente,
esigendo da parte del profeta la cancellazione della lettera Aleph dalla sua fronte.
Ma il filo della speranza non si recide del tutto: spetta proprio al figlio di El Topo
riprendere le redini della ribellione, reinnestando il processo della "spirale
ascendente''.
"Ed ecco il segno del veggente: convertendo egli ha ottenuto tutte le forme e tutte le
parole, l'Unico Nome ed il segno della parola: ventidue elementi in un unico corpo".
Nel settimo giorno - racconta una nota leggenda del ghetto di Praga - si vide,
all'improvviso, un raggio di luce comparire sul volto del Golem. Non è possibile -
direi, addirittura, lecito - vista l'estrema duttilità del mito che sempre si presta a
mille sfumature, non pensare, anche in questo caso, ad un'immagine, ad una
fantasia, senza conseguenze. Ed è così. Molteplici e varie possono essere le
interpretazioni di ciò che sembra essere la componente di un sapere non laicizzato.
Senza porre in pregiudizio l'eccellenza e la qualità delle cosiddette esegesi letterali,
mi pare che sovente sarebbe meglio provare ad intendere una testimonianza - come,
ad esempio, questa - senza "transazioni”o, meglio, "trasposizioni'', vale a dire
istituendo dei rapporti più diretti ed immediati fra l'enunciato ed il suo reale
significato - in tal modo liberandosi dalle costrizioni di un'interpretazione forzata,
tanto cara agli esegeti. Così, la visione di un raggio luminoso che avvolge il volto del
Golem suggerirebbe semplicemente un fatto: ad un certo livello è possibile giungere
alla percezione di se anche senza partecipare della Grande Coscienza.
Ma il segreto del Golem ha radici ancora altrove. Ci spinge, sopra ogni cosa, a
considerare i misteri della sua fabbricazione. I kabbalisti, senza l'opera dei quali il
mito sarebbe del tutto inconcepibile, ammettono, di norma, che un tal segreto si
troverebbe racchiuso nel breve Trattato della Formazione, il Sefer Yetsirah.
Quel che dà consistenza a questa affermazione è il fatto che le lettere ebraiche ed il
Nome Occulto dell'incisore Supremo hanno parte attiva nel disegno della creazione
del Golem.
Ora, il Sefer Yetsirah è una specie di grammatica che tratta delle lettere dell'alfabeto
ebraico considerandole alla stregua di elementi, ma non di un semplice alfabeto
bensì della Creazione stessa. Fondamenti della Creazione - da intendere, se
vogliamo, nel senso dello stoikheion greco -, elementi di base, contenenti
l'attributivo originario e primordiale della parola, di cui Platone, si dice, avrebbe
metaforicamente inteso il segno, o suono in senso fisico. Lettere-elementi, che
accrediterebbero la tesi del kabbalista provenzale Isacco il Cieco secondo cui la
"causa”delle lettere deriverebbe direttamente dall'"Unico Nome".
La parola, per la Kabbala, è sostanza del mondo superiore; sostanza identica - dice
Ya'akov Cohen - a quella della Luce.
È più che evidente che il pensiero occidentale è alquanto restio ad avvicinarsi senza
prevenzioni ad un qualsiasi aspetto del cosiddetto mondo dell'avere o, se
preferiamo, dell'ottenere. Questo, in realtà, non è l'atteggiamento ottimale, in quanto
converrebbe evitare di “tenere in sospetto", sia a livello razionale che intuitivo,
l'atteggiamento magico in generale e, in particolare, evitare di compromettere il
nostro avvicinarsi alla "gnosi”ebraica tracciando, sin dall'inizio, una distinzione
aprioristica tra Kabbala teorica e pratica.
Senz'altro il risvolto più imbarazzante per coloro che contestano la Kabbala nel suo
lato pratico, sta nel fatto che il discredito gettato su questo aspetto esteriore e magico
comporta da una parte l'accusa di apparente improvvisazione di colui che opera
(questi, il meqqoubal ma'assi, non sarebbe che la vittima di un'illusione dovuta alla
completa assenza in lui dello spirito critico), dall'altra, viceversa, il riconoscimento
della rara efficacia degli strumenti e dei rituali adottati (sebbene non si tratti -
sostengono gli oppositori - di rigettare in toto la positività pragmatica della
cosiddetta Kabbala ma'assith, bensì in mancanza di evidenti "coincidenze", di
attribuire ogni manifestazione del potere demiurgico alla conoscenza del principio
che nell'ambito scientifico è della casualità che per uno spirito semplice, privo di
qualsiasi atteggiamento critico, sarebbe qualcosa di superiore ed incombente).
D'altro canto, poi - a dispetto della concreta materialità delle loro realizzazioni - non
si può certo negare agli adepti della Kabbala pratica un raffinamento elevato della
spiritualità a cui approdano tramite rituali ascetici molto spinti, lunghe meditazioni
sulle Scritture e particolari tecniche per il raggiungimento dell'estasi
"inconsciamente cosciente". Ma, a margine di queste considerazioni e per limitarci
soltanto alla "potenza' magica dello strumento, credo sia stato importante -
indipendentemente da qualsiasi discorso di iniziazione tradizionale o a prescindere
dall'atteggiamento psicologico dell'officiante - aver messo in risalto, nell'ottica di
questa problematica, il fatto che anche nel cuore di un oggetto o di una cosa
qualunque, ritenuti apparentemente inerti ma dalle indubbie proprietà allotropiche -
esiste, al contrario, un principio attivo, in diretta colleganza con il suo stesso
numero. [nota: È, questo, un concetto base delle operazioni di magia pratica. Per
dirla in modo più semplice di Grad: ogni oggetto, ogni cosa - in specie quelle
naturali - trattiene in se una forza, un principio vitale energetico ed attivo che, grazie
all'intervento del "mago", può essere "richiamato'' e concretizzarsi nella realtà del
quotidiano. Ciò è consentito in quanto questa forza immanente suscita - al momento
dell'atto magico di potenza - il principio attivo metto nel concetto primordiale
(noumeno) che presiede allo specifico oggetto su cui l'operatore agisce e per mezzo
del quale giunge all'ottenimento dello scopo pratico prefisso (fenomeno).
Logos e Davar
Ma, attenzione: l'unità proposta da Democrito non è quella ebraica, ed è per questo
che - in modo per nulla né casuale né fortuito - è ormai constatazione comunissima,
oggi, osservare riuniti in incontri e convegni interdisciplinari, illuminati scienziati -
matematici, fisici, chimici, linguisti, biologi, epistemologi - che ammettono in modo
indiscusso l'eventualità di ricorrere anche alle cosiddette teorie "tradizionali”-
ovvero alla Tradizione esoterica -, sorretti dalla speranza di riuscire a comprendere
ciò che di norma viene definita la "trascendenza esistenziale". Concetto che - a mio
avviso - ben si potrebbe armonizzare con quello di Ma'hshavah Tehorah, il Pensiero
Puro, di cui parla il Sefer Bahir, o con quello di Ratson HaMa' hshavah, la Volontà
dell'Idea Primordiale di Azriel.
Possibilità e necessità
Quando si penetra nel regno del puro pensiero speculativo, la Kabbala si presenta
come un sistema opposto a quello rappresentato dalla cosiddetta filosofia naturale o,
per meglio intenderci, la scienza. Così il concetto pseudo-filosofico - e pseudo-
scientifico - di "casualità”le è totalmente estraneo. Direi di più, il vocabolo "caso`'
non esiste neppure nel dizionario ebraico e suona incomprensibile alle orecchie di
un kabbalista. La parola "azzardo”(caso) deriva direttamente da quella araba az-zahr
che significa "gioco dei dadi". Ebbene, in ebraico "gioco d'azzardo”si dice mis'haq-
mazzal, vale a dire non il gioco fortuito legato al caso - come potrebbe essere quello,
tradizionalmente inteso, di “colpo di fortuna e buona sorte", del tutto imprevedibile
- bensì, traducendo parola per parola, "il gioco che è governato dal corpo celeste
(pianeta).
Dunque, un pianeta (o, meglio, il pianeta Terra) segue il suo corso prestabilito ed
influenza ora un luogo ora un altro secondo delle modalità ben precise. Per la
mentalità ebrea “il gioco del pianeta' non è pertanto un azzardo ma è il gioco stesso
del destino. Non per nulla, anche nel vocabolario del parlare comune "azzardo”-
che, come si è visto, ufficialmente non è contemplato - si dice miqreh, ossia
concretamente l'evento o il caso preso in considerazione. Come si nota, siamo ben
lungi dall'infantile nozione di casualità avanzata dai biologi a proposito delle
mutazioni delle sequenze di aminoacidi del DNA (acido desossiribonucleico).
“Sono stolti - dice Rabbi Magi - coloro che ignorano la Saggezza e non vi meditano
sopra, pretendendo che il mondo intero sia soggetto al caso". Mentre Rabbi Yits'haq
cita il verso di Isaia: "Sono io - dice il Signore - che annuncio le cose che verranno sin
dall'origine e con grande anticipazione disvelo ciò che ancora ha da compiersi”.
Intenti e contenuti della filosofia sono problematici. I primi vengono il più delle
volte assimilati ai fatti, mentre i secondi sono così mutevoli che altri non avrebbero
potuto sedurre che gli antichi Greci, gente del tutto priva di preconcetti e amante
della "novità per la novità”come Giamblico, un loro compatriota, ebbe a dire. Sono,
dunque, questa irragionevole confusione fra intenzione e fatto e questo contenuto
policromo e sfaccettato ad impedire che si possa, onestamente, parlare della filosofia
in senso assoluto. Inoltre, è necessario intendersi sin dal principio sul senso che ad
essa si vuole attribuire, vale a dire se la si vede in termini di sapere assoluto, di
"propedeutica”logica per l'esercizio della saggezza o come atto di purificazione
dell'intelletto; senza contare poi che è opportuno chiarire a quale "tipo'' di filosofia ci
si rivolge, ossia se ci si orienta, ad esempio, soltanto verso quella "occidentale', - la
quale contempla con altrettanta disinvoltura una moltitudine di pensatori
contrastanti, che va da Platone a Berkeley, da Kant a Nietzsche - oppure no.
Stabilire quindi che cos'è la filosofia è cosa che ogni filosofo ha tentato di ingegnarsi
di dire e ogni “sistema,, non può che portare ad una definizione particolare, fondata
su un convincimento personale e soggettivo. Ossia tutto il contrario di quel che
dovrebbe essere un discorso scientifico. Ci troviamo, cioè, di fronte al passaggio
riduttivo da una formulazione rigorosa dei principi logico-scientifici ad una egoicità,
che paga, chiaramente, tributo alla struttura individualizzata della "coscienza".
Perché , in realtà, lo spirito scientifico si arena sin dai primi passi in questa disciplina
che gli sfugge e che non riesce a governare, e ciò non soltanto perché essa non può
essere definita in modo univoco e rigoroso - cosa di cui si ha prova evidente nel
modo stesso, sempre diverso, di esprimersi a seconda delle correnti di pensiero -, ma
soprattutto perché come sottolineava Berkeley, nella sua opera De Motu: "Le vere
cause sfuggono alla considerazione della scienza". "La scienza non pensa”sentenzia,
a suo modo, Heidegger. E aggiunge: "Fino a che si rimane ancorati al contesto della
filosofia naturale, quale che sia il termine che si usa, non si fa altro che riportare dei
fatti particolari a delle regole più generali ottenute per deduzione".
Supporre che nella realtà esistano delle serie causali singole ed isolabili, dei fatti
razionalmente indipendenti gli uni dagli altri e che, infine, tutto nel suo evolversi
eluda un senso teleologico o finale, non è, a mio parere, che un capriccio (o, meglio,
un abuso) di pensiero, nel tentativo di determinare regole di interpretazione,
altrimenti sfuggevoli.
Il mito che la scienza naturale chiama evoluzionismo e che scorge, in modo alquanto
superficiale, nella biosfera il prodotto di una lunga catena di modificazioni che
presero le mosse dalla primigenia struttura cellulare di un batterio, è Sull'altro che
una tautologia dell'altro mito di cui già si è parlato, quello del caso. Ambedue non
presentano alcuna connotazione di qualità rigorosamente scientifica o filosofica;
abbinati in complice unione, poi, provocano, nello scenario di fondo
dell'inesplicabile universo in cui siamo immersi, un fermento di idee e constatazioni
tale da rivelarsi subito intollerabile alla mente dell'uomo, proiettandola sul baratro
di frontiere abissali e sempre nuove.
Non è possibile, cioè, considerare a livello scientifico come "assodato”il fatto che sia
esistito un momento
particolare e privilegiato nella storia del pianeta in cui, in seno a prolifiche ed
immense distese di acque, abbia iniziato a svilupparsi una primitiva infusione di
costituenti cellulari.
Né possiamo spiegare grazie a quale singolare "colpo della sorte", una volta
comparso il brodo primordiale, il sistema metabolico precellula abbia appreso a
mobilitare il suo tremendo potenziale biochimico sintetizzando, infine, le
componenti essenziali alla vita.
Caso ed evoluzionismo sono due miti che tendono in modo subdolo ed insidioso a
trasformare, sempre ed in ogni occasione, il miracolo in dogma, sia che si tratti
dell'origine della vita, che di quella del cosmo o, più semplicemente, della nascita
del linguaggio.
Per gli evoluzionisti qualcosa (e non qualcuno, sia chiaro, sebbene al mito della
casualità molti tendano, ormai, ad attribuire vere e proprie connotazioni di entità
divina) "gioca ai dadi”riuscendo stranamente a vincere su tutti i tavoli.
Perché - come già abbiamo detto - la scienza "non pensa''. E dunque, trova molto
comodo puntellarsi, con grave danno, a dei miti ridicoli, razionalmente
inconsistenti. Questo la conduce a situazioni e ad affermazioni paradossali in
discipline e campi in cui tali incongruenze compaiono subito all'occhio, e che vanno
dalle osservazioni riferite al mondo animale a quelle relative alla dinamica di un
campo fisico elettromagnetico. Ed è quasi ridicolo - e bello, al tempo stesso -
osservare come tutto ciò evidenzi la cieca pesantezza mentale dei sedicenti sapienti
"positivisti”e "utilitaristi", specie nei momenti in cui - e sono sempre più frequenti -
la loro ricerca li porta a cozzare contro i confini della realtà superiore sovrasensibile.
La ricerca dell'ineffabile
Questi "pazzi d'Amore”in Dio - mechuga'im per gli Ebrei, majun per gli Arabi - non
sono solamente dei lucidi esegeti e dei fisici del sacro. Originale e complessa al
tempo stesso, la loro scienza è in grado di agire a livello magico sia sugli esseri
viventi che sulle cose inanimate, invocando l'aiuto ed il potente concorso di forze
superiori.
Proprio questo aspetto "pratico”della loro saggezza suscita la repulsione di molti,
che lo considerano come un aberrante e cieco retaggio medioevale, non
risparmiandogli ogni sorta di opposizione e contrasto.
Fintantoché , nel caso della cultura ebraica, questo tipo di Saggezza viene etichettata
come di matrice "orientale'' - al pari del Sufismo arabo - si è ancora pronti ad
accettarla- anche se stentatamente - come una specie di formulazione filosofica,
stravagante ed originale. Non appena però vi si intravedono quelle connotazioni che
la fanno contraddistinguere con l'appellativo di Kabbala, ecco levarsi la voce dei
detrattori, subito pronti a relegarne - o, meglio, a diluirne - l'apporto e l'intero
significato mistico a livello di epifenomeno - ossia alla stregua di fenomeno
secondario e di dubbio valore.
Kabbala e Framassoneria
Colui che crede di poter comprendere appieno il senso esoterico e profondo della
Massoneria senza far riferimento d'obbligo alla Kabbala - foss'anche pervenuto ad
un alto grado di iniziazione - non potrà però mai essere ritenuto un grande
illuminato.
Agli occhi dei kabbalisti la leggenda del grande ed abile architetto e sovrano Hiram
o il tipo di strumenti di lavoro prescelti non sono che evidenti simbolismi di fondo.
Tutti questi elementi, infatti, esprimono soprattutto a livello pratico, la proiezione
necessariamente mutila ed incompleta di un simbolismo più elevato e di gran lunga
superiore.
È indubbio che la maggioranza della gente non sa cogliere il reale simbolismo celato
nel Tempio salomonico, vuoi per la scarsa conoscenza della lingua ebraica e, quindi,
dell'autentico significato dei versetti ad esso dedicati; vuoi per la superficialità con
cui si è soliti accostare il testo biblico. È, infatti, più che necessario leggere la
Scrittura nella lingua originale ed intendere ciascuna parola per quella che
realmente è, senza dover essere costretti, ignorando l'ebraico, a "digerire”le
manipolazioni approssimative con cui i traduttori e gli esegeti propongono la
versione "ufficiale”del testo. È certo che la versione nelle lingue, diciamo così,
profane non facilita per niente l'esegesi corretta di un tale testo.
Dunque, non appena Hiram termina il lavoro, Salomone convoca tutti i Figli di
Israele a Gerusalemme. Si deve, come prima cosa, trasferire l'Arca dell'Alleanza nel
Santo dei Santi del Tempio, costruito sul Monte Moriah.
“Nell'Arca non v'era altro che le due tavole di pietra che Mosé vi aveva deposte sul
Monte Horeb”(I Re, VIII:9). Non appena i sacerdoti lasciano il santo ricettacolo, una
nube cala sul Tempio. Allora Salomone pronuncia queste parole importantissime: "Il
Santo Tetragramma (il Signore) ha detto che Egli risiede nell'oscurità”(YHWH amar
lichkon ba' arafel - I Re, VIII:12).
Stando al puro enunciato del versetto pare che la Residenza del Sacro Tetragramma
sia dunque ba'arafel, “nell'oscurità", e allo stesso tempo nel Tempio, su cui si è
posata la nube. Ma, giacché "né il cielo, né i cieli dei cieli”potrebbero contenerlo, è
solo tramite il suo Nome che il Sacro Tetragramma potrà rendere effettiva la sua
presenza nel recinto del Tempio. Yiheyeh Chemi cham, si legge nella Bibbia. Vale a
dire: "Qui regnerà il mio Nome!”(I Re, VIII:29).
All'inizio, pertanto, il Tempio di Salomone non viene innalzato con blocchi di pietre
intere e tronchi di cedro, ma è costituito di fede vivente, affinché il Dio -
nell'oscurità possa abitarlo. Non è in alcun modo né logico né possibile intendere la
primitiva costruzione del Tempio in termini diversi da questa immagine della
manifestazione tangibile del "Cuore Divino”- We-libi (I Re, IX:3). In modo analogo
per l'ebreo fervente, il "servizio dell'Eterno”trascende di gran lunga il Tempio e gli
oggetti che esso racchiude. Ed è sufficiente rifarsi ai
commentatori tradizionali per intendere nel dovuto modo l'accostamento ebraico al
Regno del Nome.
Un'attenta descrizione della loggia detta Arca Reale ci viene offerta da Tuileur de
Vuillame: "Per quel che è possibile, la loggia è un luogo sotterraneo dal soffitto a
volta, senza porte né finestre. Vi si entra tramite una botola ricavata nel soffitto''.
Una cosa che sorprende il kabbalista sono i nove nomi degli architetti incisi su
ciascuno dei novi archi che sostengono la volta della loggia. Eccoli secondo le
indicazioni di Tuileur:
Mosè si rese subito ben conto che le donne hanno una potenza grandissima.
Esattamente ciò che Kafka fa dire a K., il protagonista del suo Processo, quando si
rivolge all'Abate, nel capitolo intitolato "Alla Cattedrale".
Come non scorgere in queste parole del grande scrittore una, seppur lontana, eco del
famoso commento omelitico del Libro del Genesi?
In effetti, nel Beré chit Rabba si può leggere questa frase rivelatrice:
Un'altra sua opera, La Muraglia Cinese è una vera e propria ricerca iniziatica, una
volontà persino spasmodica, di "riunire nuovamente ciò che si è perduto", per
ritrovare la Tradizione autentica.
Ma, per i "non addetti ai lavori'', è oltremodo difficile distinguere fra queste due
classi di studiosi, a volte complementari l'una all'altra, a volte addirittura
antagoniste. Un talmodista nemico della Kabbala si sente Investito dal sacro fuoco di
Savonarola quando ha a che fare con lo Zohar; un kabbalista devoto al Talmud
tenderà invece a porre la mistica al di sopra ed oltre la "religione'' - sempre che sia
possibile parlare di religione a proposito di ebraismo.
Comunque sia, i talmudisti come i kabbalisti contemplano, gli uni come gli altri, tra
le loro letture il trattato talmudico intitolato "La Porta di Mezzo”(Baba Metsia).
E leggono, quindi, insieme questa sentenza del Talmud, che consacra la potenza
della donna:
Forse che la donna deve questa sua speciale dote alla mancanza del cromosoma Y?
Qualunque sia la risposta, è indubbio notare che qualcosa che fa la differenza esiste
ed è curioso sapere, ad esempio, che - stando alla convinzione di alcuni scienziati -
la donna avrebbe una percezione dello spazio meno precisa di quella dell'uomo.
Se fosse davvero così, allora i kabbalisti avrebbero i loro buoni motivi per gioire e
rallegrarsi di una simile eccezionale deficienza.
Non sappiamo se i taoisti siano più galanti di talmudisti e kabbalisti messi insieme,
li crediamo però certamente alquanto "realisti". Infatti, se per il Beré shit Rabba
"tutto dipende dalla donna", per il Tao è la donna che si impone su ogni cosa.
Il breve poema 61 del Tao ci assicura su questa innegabile evidenza con queste
parole:
"Il femminile sempre si impone al maschile per la sua dolce passività. Dolce e
passiva, la donna si impone dal basso".
"Come l'acqua sgretola la pur dura roccia, così il principio femminile prevale su
quello maschile".
È una delle più eminenti ed illustre figure dell'assidismo, il Rabbi di Lublino - colui
che venne detto il Veggente - a darci come meglio non si potrebbe, il punto di vista
della Kabbala sulla questione femminile. Egli non mancava mai di rammentare
queste parole dei grandi saggi:
La donna non stipula altra alleanza che con colui che ha fatto di lei un vaso. Perché
quando la conosce per la prima volta come marito facendo di lei un vaso, ridesta in
lei la sua femminilità.
E per i kabbalisti questo risveglio alla femminilità è di gran lunga più importante
della preminenza di un sesso sull'altro. Non dimentichiamo dunque mai la legge
sessuale fondamentale che regge tutto il simbolismo kabbalistico: un sesso non è
valorizzato che per il tramite dell'altro.
Francois Menard, l'eminente critico della rivista Le Symbolisme sulla quale è stato
pubblicato questo studio, osserva, in una sua nota: "Questo fatto importantissimo
dimostra che gli autori concordano pienamente, in armonia con la tradizione
universale, che l'uomo può dirsi totalmente completo e realizzato solo quando si
considera l'ambito della coppia uomo-donna e non i due sessi separati. Ed in ciò non
possiamo non ritrovare l'eco dello Zohar, laddove si legge: "Il Santo, sia Egli
benedetto, discende solo dove l'uomo e la donna sono riuniti in un tutt'uno".
Quanto ad Amé lie André -Gé dalge scrive, a proposito della famosissima scena
delle "prove'':
"La donna che non teme né le tenebre né la morte è ben degna dell'iniziazione".
Si noti, tra l'altro, che sia che si tratti della "Pietra Cubica a punta", dei sette gradini
del Tempio o dell'età dei Maestri, il settenario è un simbolo caratteristico della
framassoneria, al pari, comunque, di molte altre tradizioni occultistiche. Proprio
come si dice nella Kabbala, secondo Rabbi Hyra: "Tutto ciò che è settenario è
superiore. Il settimo giorno in alto (in Cielo) sovrasta e domina gli altri sei, proprio
come accade per i giorni qui in basso (in Terra). Il trono di Salomone aveva sei
scalini ed allora il grande sapiente ne fece innalzare un settimo. In alto vi sono sette
corone e Salomone aveva sette nomi: Salomo, Yedidyah, Agour, Ben Yaqa, Lamouel,
Ithiel, Quheleth. Salomone pronunciò sette volte la parola Hevel (velo, vanità)".
Dopo aver dimostrato che i Fidanzati, sono capaci non solo di vivere l'uno per l'altra
e viceversa, ma anche "di morire", la nostra commentatrice sostiene che anche i nomi
di Tamino e Pamina sono rivelatori, indicando "la qualità del loro essere".
Eccoci, qui, davanti alla conferma di quel grandioso primario principio kabbalistico
secondo il quale l'uomo "abita”il suo proprio nome, che, a sua volta, è un numero.
Nella fattispecie dell'analisi particolare, però, a parte la validità teorica
dell'osservazione della André -Gé dalge, il riferimento alle lettere ebraiche
componenti i due nomi è totalmente errato.
Quel che ce lo fa credere con giusta convinzione almeno così pare - è il fatto che
nell'ultimo atto del Flauto Magico è "proprio Pamina”- una volta ricongiuntasi col
principe Tamino nel succedersi delle prove - che svela la sensibilità e le virtù del
Flauto all'adorato fidanzato. Infatti, il Flauto, ci vien rivelato, è stato trasmesso in
eredità alla giovane dal padre prima di morire.
Egli, pertanto, quasi sicuramente, non si accostò al libretto nel modo giusto e di certo
fu più attratto, nel sogno del suo Faust mozartiano, dall'ispirata bravura del
musicista che non dall'iniziato. D'altro canto, il solo fatto di aver a lungo cullato
l'idea di scrivere un seguito al Flauto dimostra che Goethe non intuì fino in fondo
nell'opera la sua autentica natura esoterica ed il suo profondo senso della
trasposizione. Pare che Goethe venisse sedotto ed ammaliato sopra ogni cosa dal
lato spettacolare dei contrasti calati sulla scena, capaci - a suo dire - di “produrre un
grande effetto drammatico'' . Secondo me, infine, l'affinità fra Mozart e Goethe
sembra emergere in modo significativo quando si prenda in attenta considerazione il
Coro mistico del Faust con cui si conclude la tragedia. È qui che Faust fa realmente
eco al Flauto, ed è proprio in questo momento che Goethe si collega a Mozart:
Credo, fra l'altro, sia assai illuminante notare come i due versi finali siano dell'ultima
opera di Goethe, come Il Flauto Magico fu l'ultima di Mozart.
LA KABBALA MAGICA
Non credo esistano florilegi e momenti tanto belli da cogliere in seno alla mistica del
linguaggio quanto quelli della Kabbala della Luce, tanto che la stessa rigorosa
Kabbala ontologica non può esimersi dal porre l'accento su quell'inviluppo di luce
radiosa che conferma la consapevolezza dell'esistere.
Nessuna forma poetica, nessuna metafisica riesce ad. approfondirsi, a ripiegarsi su
se stessa con tanto vigore ed in modo così rimarchevole; e tutto questo
semplicemente e soltanto prendendo lo spunto dalla meditazione di una parola di
tre lettere, dalle quali giungere alla fonte stessa della coscienza, al più puro e
profondo mistero dell'Essere. Perché secondo la Kabbala dell'Oro, oltre ed al di là
della sfolgorante ricchezza dell'equazione, il legame che esiste tra luce e
consapevolezza, o tra luce e vita, è oltremodo evidente.
La parola ebraica Oro risulta composta dalle lettere Aleph-Waw-Resch, alle quali
corrisponde un rispettivo valore numerico di 1-6-200. Nella Kabbala ontologica si
sottolinea, a questo proposito, un'antinomia, una contrapposizione, rappresentata
dalla congiunzione (Waw) tra l'Unità informante e propagante (Aleph) e la Dualità
cosmica (Resch).
L'intero creato, trascinato nel turbine della velocità luminosa, consiste, in pratica, di
tutto quanto esso riesce a sottrarre al "movimento assoluto'' - che, all'estremo limite,
può ridursi alla fissità totale, proprio a causa di questa violenta contrapposizione.
Viceversa, il movimento assoluto dell'Aleph suscita la luce, anche a costo di doversi,
per necessità, confrontare con un infinito imperfetto, quale è appunto il cosmo.
Ciò significa - in altre parole - che, proprio come il Waw del vocabolo ebraico Oro
lega l'Unità alla Dualità, così il Waw di tov concilia, nel seno della Creazione, la
perfezione del tet con la dualità di Beith. Sebbene già perfetta in se stessa, l'Unità
dota la Dualità del cosmo - in origine, certamente, in modo perfetto - della
vibrazione vitale più elevata compatibile con la sua preservazione e conservazione.
Ed ecco così come l'iniziale, apparente, contrasto trova, alla fine, conciliazione in
questa meravigliosa unione di perfetti.
Il duplice enigma del quadrato magico ROTAS è contraddistinto sia dalla singolarità
strutturale del palindromo' che dalla sua presenza, immancabilmente insolita, su
oggetti e manufatti rari o monumenti religiosi. Lo si può ritrovare, infatti, ad ornare
ora una chiesa italiana, ora il muro di un granaio di un castello francese del XII
secolo. Lo si può curiosamente notare impresso su di una medaglia venuta alla luce
a Pompei, e istoriato su una Bibbia latina dell'822. Ed, ancora, su un manoscritto
greco del XII secolo o sulle monete austriache di quattrocento anni dopo.
sATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Vi si legge, dunque: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS in tutti i sensi. Balza
subito all'occhio che solo la lettera centrale N non compare più nel quadrato. Le
traduzioni proposte sono numerose, ma tutte semplicistiche ed è chiaro che un
kabbalista non può fare a meno di respingerle, a maggior ragione quando sono
suggerite da saccenti "saggi”esegeti che si intendono tanto poco di Kabbala quanto
di agricoltura - attività alla quale andrebbe, secondo il loro giudizio, il riferimento
del magico quadrato.
Volendo a tutti i costi tradurre una ad una le parole che vi compaiono, sono venute
fuori soluzioni a dir poco "gustose", tipo: "Il Seminatore (Sator) raccoglie il frutto del
suo lavoro'', oppure: "Il lavoratore tiene fra le mani le sue opere", “Il seminatore
Arepo dirige le ruote con cura"... Anche se si desse per buona una di queste versioni,
chi saprebbe spiegare che cosa mai ci starebbe a fare tracciata sulla parete di una
chiesa medioevale o su un'antica Bibbia in latino?
Le due parole TENET, perpendicolari fra loro, formano una croce greca a bracci
eguali. Se si uniscono con una retta ciascuna A con ciascuna O di una stessa linea la
figura che ne risalta è la croce TENET potenziata. Se poi, si uniscono, sempre con
delle rette, tutte le A e tutte le O con la lettera N che sta al centro, otteniamo la
cosiddetta croce triangolata. Assumendo, infine, N come centro del cerchio di raggio
NA o NO eccoci davanti alla famosa Croix patté e dei Cavalieri Templari.
Come inizio stabiliamo una sequenza a cinque livelli, nell'ordine numerico delle
cifre, in questo modo:
1 2 3 4 5
6 7 8 9 10
11 12 13 14 15
16 17 18 19 20
21 22 23 24 25
Le due colonne corrispondenti alla croce composta dalle parole TENET danno la
stessa somma: 65, esattamente come le due diagonali. Ma le altre colonne verticali ed
orizzontali danno invece valori dissimili.
A questo punto, allora, costruiamo un altro quadrato magico, in cui sempre si
ottenga, sia verticalmente che orizzontalmente, che diagonalmente, il valore 65, nella
sommatoria dei numeri componenti le varie colonne.
17 23 6 4 15
20 14 10 16 5
9 7 3 24 22
1 13 21 19 11
18 8 25 2 12
11 24 7 20 3
4 12 25 8 16
17 5 13 21 9
10 18 1 14 22
23 6 19 2 15
1. che i numeri corrispondenti alle lettere S ed R della parola esterna ROTAS danno
la stessa somma: 26 ( 11 + 15 = 26; 23 + 3 = 26);
I rapporti che intercorrono tra 26, 65, 13 ed 1 si ritrovano inscritti nel quadrato
ROTAS, come possiamo ben osservare, nella sua versione ebraica (di cui alla figura),
che compare in una delle composizioni geroglifiche ermetiche realizzare in una serie
di incisioni da T. du Chenteau, conservate nel Castello di Schaerbeeck, nei pressi di
Bruxelles, nel 1778.
La presenza della lettera G (ghimel = 3) nel riquadro centrale a fianco di Yod - che
determina l'UNO, di valore 13 - non è poi che uno dei tanti altri, grandi e piccoli,
misteri che contrassegnano questo incredibile quadrato magico, tipo ROTAS, di
fattura ebraica, la cui articolazione strutturale kabbalistica giustifica ed aiuta a
comprendere i fondamenti su cui si basa il cosiddetto palindromo tradizionale.
Un'ultima cosa, infine, a chiusura del paragrafo: la parola ROTAS in ebraico si
scrive:
Resch-Waw-Taw-Samekh
"Qui sta la Sapienza. Chi ha intendimenti conti il numero della Bestia. Poiché è
numero d'uomo; ed il suo numero è pari a 666”(Apocalisse, XIII:18).
I. Tutta la nostra scienza scaturisce dalla Mente Suprema. Essa è un dono del Dio
Vivente.
IV. Colui che è Saggio vede il lavoro della Natura e regola la propria ora alla
meridiana celeste.
VI. Sta scritto nel nostro sacro Libro: L'ALLEANZA DEL FUOCO. E' la prima parola
che vi compare (Berith-Esch). Il Fuoco è in alto, a Nord. Il Nord è suggellato con
Waw-Hé -Yod. Ed è per questo che la Scrittura afferma: L'ORO viene dal NORD
(Giobbe, XXXVII:22). L'ORO viene dal NORD ed Eloah vi dimora, coperto dalla sua
temibile maestà.
VII. Quando la Terra era tohov ed il Fuoco sacro copriva theom, il Trono di Fuoco
aleggiò sulla superficie delle acque. In tal modo prese inizio la determinazione della
materia.
VIII. Avvenne poi la separazione tra la Luce e le Tenebre, tra le Acque e le Acque.
Poi il Sole e la Luna riflettente presero ad irraggiare la Terra.
IX. ROSSA (adamah) era la terra dell'Eden ed il fiume che ne sortiva si divideva in
QUATTRO RACHIM (rami).
X. Il primo dei rachim si chiama Pichon. Fluisce tutto attorno alla TERRA DI
'HAWILAH, dove si trova l'ORO. L'ORO di questo luogo è puro, dice la Scrittura. E
qui si trovano anche il bdellio e la pietra onice (choham).
XIII. Primo corollario del teorema di Rabbi Yossé : uno spandimento di raggi
policromi.
XIV. I giorni delle ACQUE IMPAZZITE sono quaranta e per la loro piena se ne
contano centocinquanta. Al principio del loro defluire Noè apre la finestrella
dell'Arca ed invia il nero corvo.
XVI. Occorrono diciotto fasi per arrivare dalla STELLA DEI SAGGI alla STELLA DI
DAVIDE. Poiché il numero completo delle fasi è pari a ventidue, quante sono le
lettere ebraiche di fondamento. Ma se YHWH non veglia sulla loro glorificazione, è
vano iniziare a contare partendo da Aleph.
XVIII. Dalla testa mozzata al rechech di-dehav che è la TESTA D'ORO (Daniele:
II:32), il principio d'EVEN porta al tempo di Salomone, quando la Luna era piena.
Così si può rendere volatile il GAFRITH ottenuto.
XX. L'ORO FILOSOFALE è come l'oro celeste del settimo grado. Esso tutto rischiara.
FINE