La Riscrittura Combinatoria Di Italo Calvino
La Riscrittura Combinatoria Di Italo Calvino
La Riscrittura Combinatoria Di Italo Calvino
Il corpus dell'opera calviniana si presenta alla critica come una griglia dalla quale dedurre numerosi percorsi interpretativi; dai pochi tratti obbligati si dipartono sentieri tanto pi suggestivi quanto pi incrociano trasversalmente le piste gi battute: questa singolare prospettiva aperta dall'attitudine combinatoria di Calvino, dall'inesausta iterazione e permutazione di elementi e motivi topici, tra i quali la stessa struttura reticolare. Tra lo schema compositivo del Castello dei destini incrociati, l'intera opera calviniana e l'insieme eterogeneo delle sue interpretazioni vi un necessario isomorfismo. La critica non sembra aver recepito appieno finora l'elementare necessit di ricostruire in modo combinatorio l'opera di Calvino, ovverosia trasversalmente, per singoli temi, o strutture, o stratagemmi narrativi: caratteristica di una griglia di non poter essere ricalcata interamente con una linea continua. Procedere discontinuamente qui la condizione preliminare per restituire una linearit al discorso (1). In questo ipotetico tessuto critico combinatorio vogliamo qui proporre un itinerario inedito che, attraverso l'analisi di alcuni testi che si presentano, in forme e misure diverse, come riscritture di altri testi, giunga a delineare una tipologia della riscrittura in Calvino. Occorre distinguere preliminarmente due modalit fondamentali di riscrittura: l'esperienza delle Fiabe italiane, che potremmo chiamare di riscrittura linguistica, precede di alcuni anni la riscrittura combinatoria che caratterizza i testi oggetto di questo studio. Calvino, nell'ampia introduzione, esplicita i criteri del suo lavoro di trascrizione o riscrittura (2) della tradizione fiabesca dialettale: Scegliere le versioni pi belle, originali e rare; tradurle dai dialetti in cui erano state raccolte (...); arricchire sulla scorta delle varianti la versione scelta, quando si pu farlo serbandone intatto il carattere, l'interna unit, in modo da renderla pi piena e articolata possibile; integrare con una mano leggera d'invenzione i punti che paiono elisi o smozzicati; tenere tutto sul piano d'un italiano mai troppo personale e mai troppo sbiadito, che per quanto possibile affondi le radici nel dialetto. (3) Calvino si limita a filtrare le fiabe attraverso la fitta rete della lingua italiana; la manipolazione delle varianti non assurge mai a combinatoria, perch si autolimita, non si fa regola, e perch permuta ancora elementi omogenei (4); l'intervento personale sempre finalizzato alla resa dello stile d'origine. Il Calvino delle Fiabe italiane non n fedele trascrittore, n originale riscrittore, ma piuttosto uno scrupoloso restauratore di fabule abbandonate al limbo dell'oralit. Negli anni successivi l'interesse per i procedimenti oulipiani (5) e quello per l'analisi delle strutture testuali (6) lo portano a sviluppare l'idea di una narrativa come processo combinatorio (7). S'infittisce la rete delle regole sottostanti al suo gioco letterario. Risulta allora conseguente il ricorso pi frequente alla riscrittura: il testo originale diventa una costrizione preliminare di natura formale e/o tematica, un pre-testo su cui innestare ed incrociare temi e motivi diversi. Calvino costruisce ogni volta un rapporto diverso con esso:
se il fascino della regola nella sua equidistanza tra costrizione e libert, la pervasivit del testo originale deve essere limitata. La riscrittura prende cos forma addizionando, su una piccola rete di elementi omogenei basilari (di fabula, di struttura, di rapporti attanziali...), una serie di motivi secondari che rinforzano il legame con l'originale, mantenuto per sempre ad un minimo comun denominatore, tanto da mettere in crisi la stessa denominazione di riscrittura. Ma la sua sperimentazione sempre finalizzata allo scardinamento di strutture e tipologie: circostanza che obbliga il critico a dotarsi di strumenti appositi di supporto e integrazione a quelli usati per modelli narrativi pi classici. Analizzeremo ora quattro testi in cui il modello combinatorio apre la possibilit che il nuovo oggetto, la tipologia della riscrittura, ed il vecchio, la meccanica ed il senso dei procedimenti combinatori, s'illuminino a vicenda.
Il conte di Montecristo
Posto in margine a Ti con zero (8), questo racconto deduttivo inaugura la svolta combinatoria di Calvino, oltre a costituirne uno dei migliori prodotti. Vi troviamo Edmond Dants e l'abate Faria che studiano il piano della loro evasione dal castello d'If; il primo procede deduttivamente sulla base dei tentativi empirici del secondo. Ma la fuga ricercata viene anche traslata su altri livelli: due personaggi prigionieri d'un capitolo del romanzo cercano quale delle sue varianti possibili sar quella giusta per uscirne; i ripetuti insuccessi li portano a cercare di strappare la soluzione allo stesso Dumas, alle prese con un iperromanzo che contiene tutte le varianti possibili. Il testo calviniano si propone come luogo della compresenza di molteplici rapporti metanarrativi, realizzato mediante un infernale meccanismo di iterazione combinatoria di strutture geometriche (9). E sarebbe realmente un lavoro improbo analizzare compiutamente la densissima alternanza tra cortocircuiti analogici e paralogici che costituisce la vera ricchezza del testo. L'estrema rapidit nella modulazione dei livelli narrativi e dei piani tematici, la polivalenza controllata delle immagini, possono suggerire il ricorso al concetto musicale di sospensione della tonalit. Procederemo quindi ad isolare alcuni di questi disegni incrociati, che propongono figure significative del lavoro di Calvino sul testo. 1) Una prima linea di forza la problematizzazione dei rapporti infratestuali tra i livelli narrativi, che procede attraverso l'uso di una duplice struttura concentrica, su cui si modellano le figure sovrapposte dell'organizzazione topologica (campo dell'azione diegetica) e di quella narratologica (campo dell'azione metadiegetica). Il tema della ricerca della fuga si muove su entrambe le strutture, con linee orientate verso l'esterno, ma il rcit evocato dal romanzo di Dumas risulta subordinato all'interazione con l'istanza metanarrativa. La libert ricercata dal prigioniero Dants quindi un virtuosistico raddoppiamento, sul piano della fabula, della ricerca di libert dai canoni classici della
narrazione, attuata attraverso la comunicazione fra i livelli di realt (10) e la rottura della loro organizzazione gerarchica. Il narratore ingabbiato Dants instaura due tipi di rapporti diversi con tali livelli narrativi esterni: quando immagina Faria come personaggio, o permuta le varianti della fuga alla ricerca della fortezza perfetta, mimando la scrittura combinatoria istituisce una mise en abyme (11) con i livelli dell'autore originale e dell'autore implicito (12). Quando invece vola il livello di realt di Dumas, compie un atto che chiameremo transdiegetico. I rapporti di potere fra autore e personaggio vengono stravolti: l'onniscienza del primo viene ridistribuita equamente fra i due, ed il controllo della narrazione assunto interamente dall'autore implicito (laddove prima era mediato dall'autore originale); l'esplicitazione della presenza di Dumas altera persino il riconoscimento dell'operazione di riscrittura: si aggiunge ad un giudizio di natura puramente culturale (la conoscenza del romanzo originale) un riconoscimento di carattere logico. Ecco che risulta chiaro il ricorso ad un'operazione di riscrittura, per le maggiori possibilit di struttura concentrica che essa presenta, ed ovvia la scelta del romanzo di Dumas per il valore antonomastico della prigiona di Dants e Faria. 2) Un secondo rapporto evidenziato quello fra il testo ed il supertesto che contiene tutte le varianti e le combinazioni narrative scartate dall'autore. Qui l'analisi deve partire dalla sostituzione della caratterizzazione psicologica originale di Dants e Faria con lo schema dicotomico che vede un Faria empirico ed un Dants deduttivo. La ricerca empirica di Faria finalizzata nella diegesi alla scoperta della forma reale della prigione, al reperimento di un unicum, che gli permetta di portare a termine il suo progetto di liberare Napoleone dall'Elba; il suo modello della fortezza non un modello stricto sensu, ma un quaderno dei suoi tentativi. La traslazione diegetica nello studio di Dumas aggiunge un senso secondo, metanarrativo, al personaggio: Faria ricerca il testo, l'uno derivato dalla molteplicit del supertesto, per proseguire il romanzo liberandosi dalla prigionia del capitolo. Di contro, la ricerca deduttiva di Dants vede, nella diegesi, uno spostamento dell'oggetto dalla fortezza reale a quella ideale, attraverso una sublimazione del valore della conoscenza, che da mezzo (per la fuga) diventa fine: ecco instaurata una perfetta specularit con Faria. Il modello di Dants, che contiene ogni possibile ipotesi di fortezza, il modello stesso del supertesto, dell' iper-romanzo Montecristo con le sue varianti e combinazioni di varianti nell'ordine di miliardi di miliardi, alla cui costruzione Dants lavora con un percorso a ritroso, contrario a quello di Faria (13). L' evidenza narrativa data a questo rapporto rimanda d'altronde alla tensione costante fra i due poli dell'invenzione calviniana: il progetto, l'instaurazione di regole, rapporti, sovrapposizione di figure; e la pratica empirica della scrittura, la rottura della regola. Le due forze agiscono in questo racconto nell'alternanza tra collegamenti analogici e paralogici, ma soprattutto con la loro personificazione in Dants e Faria come ennesime figure di "narratori dimezzati".
3) Nella rete di disegni sovrapposti messa in opera possibile localizzare un duplice modello di quello che per Calvino il rapporto epistemologico tra il testo e il mondo esterno, extratestuale. I modelli e le azioni di Dants e Faria, che abbiamo visto organizzarsi secondo strutture concentriche, giocano continuamente con la dilatazione e la concentrazione di tali unit chiuse, sotto l'addizione o la sottrazione di varianti. La fortezza segue, nel 5, lo stesso andamento: sotto la spinta centrifuga della crescente complessit (e quella della ricerca di fuga di Faria verso l'esterno), essa viene dedotta in continua dilatazione. Attraverso un ardito paralogismo la tendenza si inverte nel 6, e le linee di fuga si orientano verso l'interno. L'ossessivit di questa immagine di pulsazione viene stemperata dal suo utilizzo comico del 3: il tempo di Faria si contrae rispetto a quello di Dants; assistiamo cos ad un FariaBuster Keaton che perfora le pareti della cella a velocit supersonica, sbucando contemporaneamente da pi cunicoli. L'inversione dei rapporti non si fa attendere: ecco quindi Dants che aspetta un anno per vedere Faria ricomparire dalla parete e terminare il suo starnuto. Ma la reiterazione di quest'immagine non risparmia nemmeno la struttura generale dell'opera: la prima sezione di Ti con zero composta ancora di cosmicomiche, cio di racconti caratterizzati da una estrema concentrazione di spazio e tempo diegetici dentro a quelli di scrittura: in poche righe di testo, e in pochi attimi per i personaggi, si attraversano galassie o si concentrano miliardi d'anni. Nell'ultima sezione del libro, di contro, il tempo diegetico diventa istantaneo: per offrire una narrazione, e per ritagliare uno spazio alla deduzione, deve dilatarsi fino a coincidere con quello di scrittura. Gli ultimi quattro racconti vedono tutte situazioni bloccate; il mondo, per poter essere pensato nella sua complessit, deve essere fermato (14). Non stupisce, allora, il fascino che la teoria cosmologica del Big Bang esercita su Calvino; dilatazione e concentrazione dell'esistente da e verso una superficie minima costituiscono una pulsazione che informa di s diversi racconti, da Tutto in un punto, a Il niente e il poco, a L'implosione, allo stesso Ti con zero (15). E' lo stesso Calvino ad offrirci una chiave di lettura di questa immagine, che si ripropone ossessivamente sia sul piano tematico che su quello strutturale: In un caso o nell'altro, a ben vedere, egli [Faria] tende al medesimo punto d'arrivo: il luogo della molteplicit delle cose possibili. A volte io mi rappresento questa molteplicit concentrata in una risplendente spelonca sotterranea, a volte la vedo come un'esplosione che s'irradia. Il tesoro di Montecristo e la fuga da If sono due fasi d'uno stesso processo, forse successive forse periodiche come in una pulsazione. (16)
Il luogo della molteplicit delle cose possibili per Calvino il testo letterario; le due figure della pulsazione sono le due modalit gnoseologiche offerte al narratore, i due modi di crescita del testo: dall'esterno, per concentrazione in una forma chiusa della molteplicit dell'esistente, e dall'interno, come esplosione da un singolo oggetto di una molteplicit virtualmente infinita di possibilit. La concentrazione la figura dell'enciclopedismo di Calvino, innescato proprio dall'esperienza catalogatrice delle Fiabe italiane (17). Ne La sfida al labirinto se ne precisano i termini: la letteratura del labirinto gnoseologico-culturale (18) che egli persegue insiste sulla necessit di un discorso il pi possibile inglobante e articolato, che incarni la molteplicit conoscitiva e strumentale del mondo in cui viviamo (19). I referenti diretti di questa istanza sono Queneau e Borges. Ed l'aleph borgesiano, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli, a proporsi come ipostasi di questa figura. La dilatazione invece figura della crescita dall'interno del testo, come scardinamento delle possibilit latenti di significazione dell'oggetto, molteplicit generata dal testo stesso (dalle capacit analitiche e poetiche dell'autore) e non reperita dal mondo esterno. Il referente principale di Calvino per questo modello Raymond Roussel, scrittore verso cui ha manifestato apertamente il suo interesse solo in terra di Francia (20). Roussel, romanziere d' una misteriosa trasparenza matematica, mirava a costruire una realt che fosse interamente frutto dell'immaginazione attraverso l'uso ossessivo di procedimenti combinatori, che bandivano ogni riferimento ad un mondo reale, pure percorso instancabilmente da distaccato viaggiatore. La sua influenza, gi cospicua sui surrealisti, si estende pi recentemente ai "nouveaux romanciers" e all'Oulipo (gli uni attratti dal radicale descrittivismo rousseliano, gli altri dalla sua attitudine combinatoria), fino a riconvergere in Calvino. Il suo poemetto La Vue si propone come ipostasi metaforica di questo modello: si tratta di una smisurata descrizione di una microscopica immagine incastonata in una penna, uno spazio puntiforme dilatato all'infinito dallo sguardo dell'autore. All'uso di queste due figure di crescita del testo Calvino affianca altrove una condanna delle due corrispondenti opzioni di impoverimento:
La figura di dispersione la tentazione del libro di risolversi totalmente nell'esterno, di calarsi interamente nel mare dell'oggettivit. In uno splendido saggio del 1959 Calvino analizza lucidamente questa tendenza del romanzo contemporaneo (a partire dalla "scrittura oggettiva" dell'cole du regard) e delle arti, delle attivit conoscitive in genere, con intento di condanna: La resa all'oggettivit, fenomeno storico di questo dopoguerra, nasce in un periodo in cui all'uomo viene meno la fiducia nell'indirizzare il corso dell cose, non perch sia reduce da una bruciante sconfitta, ma al contrario perch vede che le cose (la grande politica dei due contrapposti sistemi di forze, lo sviluppo della tecnica e del dominio delle forze naturali) vanno avanti da sole. (21) Se la figura di dispersione significa la resa al mare dell'oggettivit, quella di contrazione, che descrive l'incapacit dell'opera ad accogliere il contenuto del mondo esterno nella sua complessit, si identifica con la resa al labirinto dell'esistente, ed in definitiva con la negazione della letteratura. Scrive Calvino: Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficolt (...). la sfida al labirinto che vogliamo salvare, una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto (...). Oggi cominciamo a richiedere di pi d'una conoscenza dell'epoca o d'una mimesi degli aspetti esterni degli oggetti o di quelli interni dell'animo umano. Vogliamo dalla letteratura un'immagine cosmica. (22) 4) L'ultimo dei rapporti instaurati nel testo da noi analizzati il fine stesso della nostra ricerca: il rapporto fra il testo, in quanto riscrittura, e l'ipotesto del romanzo di Dumas. L'incrociarsi dei discorsi ci ha gi portati ad analizzarne i tratti essenziali. Cos, il progetto di rottura della gerarchia classica dei livelli diegetici necessita di un "livello di realt" intermedio, per creare un'interazione transdiegetica che non coinvolga lo stesso Calvino: il livello dell'autore originale, che evoca la figura di Dumas, bloccata nella sua unica funzione metanarrativa. Il ricorso al romanzo di Dumas si spiega, come abbiamo visto, nella possibilit di conduzione parallela sui piani diegetico e metadiegetico di una doppia fuga da una prigione concentrica, a partire dal valore antonomastico della prigionia di Faria e Dants. I due personaggi sono svuotati del contenuto originale e sottoposti ad una stilizzazione speculare che li rende depositari delle nuove istanze metanarrative.
In definitiva, la riscrittura calviniana si pone nell'ambito dell'infinita strumentalit combinatoria della letteratura: l'ipotesto, sapientemente stilizzato, concepito come regola; la riscrittura, come prelevamento di motivi dall'ipotesto, gravitanti attorno ad una analogia centrale (qui la ricerca della fuga), vista come procedimento. Raramente Calvino si concede a citazioni isolate da opere letterarie; rapportarsi ad esse ha un senso solo nell'utilizzo di un insieme strutturato, come vincolo che veicoli l'attribuzione di nuovi significati. E che tale necessaria costrizione tecnica sia la forma stessa del suo rapporto con la letteratura evidenziato dalla sua costante elevazione a tema narrativo: ... quello che sempre stato e resta il mio vero tema narrativo: una persona si pone volontariamente una difficile regola e la segue fino alle ultime conseguenze, perch senza di questa non sarebbe se stesso n per s n per gli altri. (23)
Le citt invisibili
Un progetto di riscrittura del Milione era gi stato elaborato da Calvino nel 1960, con un trattamento cinematografico richiestogli da Franco Cristaldi, che non vide mai una realizzazione concreta (24). Molto pi ambizioso il progetto de Le citt invisibili, che intraprende dieci anni dopo (25), arricchito dalla complessit delle sperimentazioni combinatorie degli anni sessanta. L'operazione di riscrittura, quasi interamente sedimentata nella cornice dell'opera, realizza un ideale contenitore per l'evocazione di una serie di citt visitate dai racconti di Polo, altrettante incarnazioni di ipotesi e crucci dell'immaginazione calviniana. Cinquantacinque citt, incasellate nel piano individuato dai due assi della divisione in capitoli (nove, aperti e chiusi dalla cornice) e della suddivisione in categorie tematiche (undici, da "Le citt e la memoria" a "Le citt nascoste") (26), indagate dall'avveduta coscienza del mercante veneziano mostrano le ragioni invisibili della loro esistenza, nascoste dietro la caotica apparenza di disfacimento dell'impero: Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno cos sottile da sfuggire al morso delle termiti. (27) Nel giardino del palazzo imperiale, Kublai e Polo congetturano le possibili regole sottostanti all'informe architettura dell'impero. Calvino opera anche qui una significativa stilizzazione dei caratteri originali: nello spazio chiuso della cornice (e nel corrispettivo topologico del giardino imperiale), ognuno dei due personaggi riferito esclusivamente all'altro, senza alcuna intromissione esterna. Kublai definito interamente dalla sua ansia di rintracciare un senso nella difformit del suo impero, per giungere finalmente a possederlo. L'arcana saggezza del giovane Marco, mai imbarazzata dalle domande del Kan, manifesta l'unica debolezza nella nostalgia per Venezia; o forse si tratta piuttosto di una saggezza tutta umana, come umanissime sono le ragioni nascoste che erigono le citt secondo le
logiche della memoria, o del desiderio. Ci vale anche quando il confronto fra i due tocca i pi alti livelli di astrazione intellettuale. Nella ricerca del modello delle citt esistenti, il rapporto Kublai-Polo sembra ricalcare quello Dants-Faria: Adesso, da ogni citt che Marco gli descriveva, la mente del Gran Kan partiva per suo conto, e smontata la citt pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli (...). Ma le citt visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dall'imperatore. (28) Kublai parte da un modello che racchiude tutto quello che risponde alla norma. Siccome le citt che esistono si allontanano in vario grado dalla norma, basta prevedere le eccezioni alla norma e calcolarne le combinazioni pi probabili (29); il modello quindi si dilata, sotto l'addizione progressiva di eccezioni. Quello di Polo parte invece dalla totalit delle eccezioni, sottraendone progressivamente fino ad individuare le citt esistenti. La ricerca per deduzione reinterpreta il modello originale del Milione in cui l'informazione recata da Marco Polo sulle citt dell'impero rigorosamente empirica e indubitabilmente veritiera. Qui il dubbio viene invece avanzato, ed il ritorno popperiano alla deduzione esplicita la riflessione calviniana sui fondamenti epistemologici della narrazione. Se Marco abbia visitato effettivamente le citt che racconta non pi, allora, questione fondamentale: le citt esistono in funzione del progetto umano che le edifica, la loro realt non gli proviene dall'effettiva realizzazione, ma dall'appartenenza all'insieme della pura possibilit, campo d'indagine unico di Polo e Kublai. Il confronto fra Il conte di Montecristo e Le citt invisibili mostra come da un testo chiuso nella sua perfezione strutturale, in una logica programmaticamente astratta, Calvino avanzi verso una concezione meno rigorosa della contrainte combinatoria (qui, in effetti, stipulata a posteriori), e verso una logica comprensiva delle irriducibili necessit umane, della geometria dei sentimenti che disegna i profili delle nostre citt. Ne risulta intensificata la tensione dialettica tra perfezione e imperfezione, tra l'ordine e il caos, e la sospensione d'ogni soluzione proposta la logica conseguenza dell'introduzione della variabile umana nel dominio della speculazione razionale. Ogni sequenza della cornice propone cos congetture per lo pi inconciliabili fra loro, che rimandano perpetuamente a nuove e pi complesse ipotesi. Il pi vistoso scarto fra i viaggi descritti nel Milione e quelli immaginati dal Marco Polo calviniano l'assenza dell'itinerario: il suo racconto salta da una descrizione di citt all'altra senza alcun accenno ad un loro collegamento geografico, al percorso seguito dal viandante. Se tale omissione parzialmente giustificata dall'immagine futuribile di una citt continua che si estende senza limiti (30), invece la logica del discontinuo, del "discreto", che detta i ritmi del viaggio nella memoria compiuto da Marco (31): Ecco: tanto i viaggi internazionali quanto i percorsi urbani non sono pi un'esplorazione attraverso una serie di luoghi diversi: sono semplicemente spostamenti da un punto a un
altro punto tra i quali c' un intervallo vuoto, una discontinuit, una parentesi sopra le nubi per i viaggi aerei e una parentesi sottoterra per i percorsi nella citt. (32) La specificit della scelta del Milione come nucleo generatore del suo atto d'amore verso le citt proprio nella necessit di ridefinizione di archetipi narrativi (in questo caso il topos del viaggio esplorativo) in funzione dell'orizzonte culturale contemporaneo. Alla continuit lineare del viaggio del Milione, Calvino qui sostituisce il percorso discontinuo generato dal procedimento combinatorio: la contrainte il nuovo itinerario proposto da Calvino nello spazio del testo. L'immagine reticolare, che permea di s la struttura di molte fra le citt descritte, riproduce capillarmente l'ordinamento combinatorio dell'opera: Zora come un'armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno pu disporre le cose che vuole ricordare; Ottavia una cittragnatela sospesa nel vuoto; Ersilia, citt che si rifonda di continuo, costituita di ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma. Ma il conforto pi esplicito alla nostra proposta critica abita nella citt di Smeraldina: A Smeraldina, citt acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e s'intersecano. Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poich la linea pi breve tra due punti a Smeraldina non una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s'aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte (...). Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si d ogni giorno lo svago d'un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi. (33) La mappa dell'opera calviniana, come quella di Smeraldina, dovrebbe comprendere, segnati in inchiostri di diverso colore, tutti questi tracciati, solidi e liquidi, palesi e nascosti. Altrettanto rilevante la presenza dell'istanza rousseliana, variamente impiegata: A Olinda, chi ci va con una lente e cerca con attenzione pu trovare da qualche parte un punto non pi grande d'una capocchia di spillo che a guardarlo un po' ingrandito ci si vede dentro i tetti le antenne i lucernari i giardini le vasche, gli striscioni attraverso le vie, i chiostri nelle piazze, il campo per le corse dei cavalli. (34) L'esplosione di possibilit evocate dalla vista non rimane qui nella pura virtualit; la dilatazione generata dalle virt analitiche dello sguardo si concreta, e la citt cresce in cerchi concentrici come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano d'un giro. L'influenza di Roussel, che qui sfiora la citazione, pu temporaneamente liberarsi dalla geometrica alternanza all'istanza enciclopedica. Laudomia affiancata da due citt-specchio: quella dei morti e quella dei non nati. In quest'ultima si pu contemplare in una sbavatura del marmo l'intera Laudomia di qui a cento anni, gremita di moltitudini (...); in ogni poro della pietra s'accalcano folle invisibili, stipate sulle pendici dell'imbuto come sulle gradinate d'uno stadio (35). La direzione del tempo rende irreversibile l'ennesima riproposizione dell'alternanza concentrazione-
dilatazione attraverso la metafora della clessidra, in cui la Laudomia dei non nati, attraverso il passaggio della vita, riversata in quella dei morti. La descrizione di Raissa (36) rivisita un altro caratteristico procedimento rousseliano, l'apertura ininterrotta di subordinate parentetiche, equivalente sul piano del discorso alle strutture concentriche da noi gi analizzate (37); lo stesso nome di Raissa suggerisce una sospetta assonanza con Raymond Roussel (38). La mancata chiusura dei livelli aperti un espediente narrativo largamente utilizzato da Calvino, dalla prefazione del 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, che ricomincia continuamente il discorso da angolazioni diverse, alla composizione per incipit di Se una notte d'inverno un viaggiatore. Questo stilema sembra trovare spiegazione nella nostalgia calviniana per la "freschezza" dell'esordio, con l'apertura totale delle possibilit a disposizione: Finch il primo libro non scritto, si possiede quella libert di cominciare che si pu usare una sola volta nella vita, il primo libro gi ti definisce mentre tu in realt sei ancora lontano dall'esser definito; e questa definizione poi dovrai portartela dietro per la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma mai pi riuscendo a prescinderne. (39) La cornice altrettanto ricca di citazioni rousseliane: basti leggere il catalogo di meraviglie della citt immaginata da Kublai nel III, chiaramente ispirato dalle stravaganti immagini di Locus Solus (40); o la lettura di un intero mondo in un tassello della scacchiera, operata da Marco Polo nel VIII. Tra la rielaborazione combinatoria del topos del viaggio e la ricerca delle chiavi interpretative dell'impero per deduzione, che caratterizzano questa riscrittura, Calvino inserisce e reitera diversi modelli mimetici del procedimento combinatorio. Delle strutture reticolari e dei modelli deduttivi abbiamo gi parlato. I rapporti fra gli abitanti di Cloe sono solo ipotetici, immaginati combinatoriamente fino all'esaustione delle possibilit, cos come gli abitanti di Eutropia si scambiano le loro vite, i mestieri, le parentele, di modo che la citt ripete la sua vita uguale spostandosi in su e in gi sulla sua scacchiera vuota; a Clarice sono invece gli oggetti a modificare le proprie funzioni in base alle nuove esigenze: la regola mescolarli ogni volta e riprovare a metterli insieme (41). Nello spazio della cornice la scacchiera solo l'ultima delle immagini che mimano la composizione combinatoria (42). Il primo e pi suggestivo stratagemma usato da Polo per riferire i suoi viaggi, in qualche modo l'archetipo del gioco degli scacchi: non ancora padrone della lingua del Kan, Marco dispone gli oggetti riportati da lontane contrade sulle piastrelle bianche e nere del pavimento in maiolica, in un certo ordine; spostandoli via via con mosse studiate inizia un muto racconto delle sue vicissitudini, obbligando il Kan ad un'ardua decifrazione dei segni. L'episodio istituisce un naturale trait-d'union con la parallela esperienza calviniana del Castello dei destini incrociati (43), in cui il catalogo disarticolato degli emblemi che Marco propone al Gran Kan si trasforma nel sistema semiotico dei tarocchi.
presente; per converso, il fallimento architettonico della Taverna consentirebbe un trattamento stilistico diverso: M'ero reso conto che, accanto al Castello, La taverna poteva avere un senso solo se il linguaggio dei due testi riproduceva la differenza degli stili figurativi tra le miniature raffinate del Rinascimento e le rozze incisioni dei tarocchi di Marsiglia. Mi proponevo allora d'abbassare il materiale verbale, gi gi fino al livello d'un borbottio da sonnambulo. Ma quando cercavo di riscrivere secondo questo codice pagine su cui s'era agglutinato un involucro di riferimenti letterari, questi facevano resistenza e mi bloccavano. (48) Stilisticamente, la Taverna risulta un curioso ibrido tra questi due registri contrastanti, mentre i tarocchi viscontei evocano nel Castello l'orizzonte immaginario ariostesco, che agisce come humus iconico e narrativo. Prosegue quindi il fecondo dialogo con Ludovico Ariosto che, da Il cavaliere inesistente alla lettura radiofonica di brani dell'Orlando Furioso fino al libro derivatone (49), propone un'interessante convergenza rilevata dallo stesso Calvino: Un certo gusto schematizzante e combinatorio proprio della nostra epoca mi ha fatto mettere in evidenza nel Furioso il disegno tutto contrapposizioni e ribaltamenti, la struttura sfaccettata ma sempre riconducibile a figure lineari d'una geometria dei sentimenti e dei destini, d'un algebra delle avventure umane. Fin dall'inizio esso si annuncia come il poema del movimento, o meglio, annuncia il particolare tipo di movimento che lo percorrer da cima a fondo, movimento a linee spezzate, a zig zag. (50) Due storie ricamate nel tessuto reticolare del Castello possono definirsi riscritture di due delle principali linee d'intreccio dell'Orlando Furioso: la Storia dell'Orlando pazzo per amore e la Storia di Astolfo sulla Luna si ritagliano uno spazio d'onore in un'atmosfera circostante gi diffusamente ariostesca. Nel registrare la presenza di una terza riscrittura nella storia di Elena di Troia, siamo contemporaneamente presi dal dubbio per la nostra definizione di riscrittura riferita a tre brevi testi (ed altri ve ne sono nella Taverna) che, scissi dall'operazione semiotica a monte, si presentano semplicemente come succinte parafrasi dei mastodontici testi originali. In realt gli explicit delle storie di Orlando e di Astolfo differiscono dai testi di partenza: se quest'ultimo instaura sulla Luna un discorso con lo stesso Ariosto (non un espediente transdiegetico, qui l'autore a penetrare nel campo d'azione diegetico) sul senso stesso dell'operazione poetica, la Ragione ritrovata da Orlando nella lettura demistificante dell'universo, appeso a testa in gi (51). La stretta dipendenza di questi testi dall'attenzione simultanea al disegno complessivo dell'opera viene allentata da Calvino con queste varianti finali, e con proposizioni interrogative o ipotetiche che mimano l'ambiguit denotativa dei segni proposti, oltre a creare un effetto di suspense. Se la riscrittura, nelle Citt invisibili, proponeva un ideale contenitore per microstrutture in cui prevalentemente si depositava la cifra artistica dell'operazione, i rapporti qui si invertono specularmente: il disegno generale dell'opera ad avocare l'interesse primario della critica, ed il racconto particolare (sia o meno una riscrittura), pur essendo l'oggetto precipuo d'indagine di tale disegno, e costituendo la sostanza reale con cui esso si esplicita, relegato in secondo piano; la scintillante macchina che produce racconti attrae a s gli
sguardi distogliendoli dai suoi prodotti, dalle finalit della sua creazione. il destino di quelle metanarrazioni strutturali che permeano di s i livelli inferiori dell'opera, contrapposte alle metanarrazioni diffuse molecolarmente nelle fibre di opere come Le citt invisibili. Il ricorso alla riscrittura offre comunque un doppio vantaggio rispetto alla elaborazione exnovo di intrecci: presentandosi come una costrizione supplementare al semplice ricamo di storie, ne accresce il valore degli esiti; la possibilit, inoltre, di evidenziare l'essenziale combinatoriet d'una elaborazione narrativa facilitata e valorizzata proprio dall'uso di archetipi letterari. L'uso della riscrittura si accorda quindi perfettamente con l'avvertita esigenza calviniana di muoversi secondo il doppio registro dell'elaborazione artistica e della verifica teorico-critica. Contraendo ulteriormente il nostro sguardo andiamo a considerare le unit minime che costituiscono gli intrecci delle storie incrociate. Le 78 carte di cui composto il mazzo visconteo, sono divise in 38 figure e 40 carte numerali; naturalmente, la minore quantit d'informazione portata da quest'ultime le rende pi malleabili nell'inserimento in una storia. La decodificazione delle carte non avviene secondo un'operazione di puro riconoscimento simbolico, poich il loro significato condizionato dall'informazione precedente. La sequenza di segni posti in successione, di per s non rappresenta un intreccio riconoscibile: lo diventa tramite un'operazione di dilatazione semantica del contenuto denotativo di tali segni; il collegamento logico tra due di essi, cio la loro connotazione, raggiunta attraverso la loro vicendevole dilatazione semantica fino ad un punto di giunzione. Ancora una volta, l'istanza rousseliana a definire le modalit narrative usate da Calvino. Il Castello si apparenta per tal via alle opere rousseliane derivate dal procedimento rivelato postumamente dall'autore francese in Comment j'ai ecrit certains de mes livres: una serie di parole ricavate per scomposizione omofonica di una frase qualsiasi costituivano le tessere basilari da collegare logicamente per costruire un intreccio, da incrociare successivamente con altri ricavati nello stesso modo (52). L'attenzione al processo creativo, tema esplicito dell'opera, nel suo punto parossistico mostra gi gli sviluppi futuri dell'indagine calviniana sul testo narrativo: il diligente lavoro d'interpretazione delle sequenze di arcani compiuto dai personaggi lascia gi intravedere l'avvento dell'eroe-lettore di Se una notte d'inverno un viaggiatore, in accordo con le coeve predizioni: Smontato e rimontato il processo della composizione letteraria, il momento decisivo della vita letteraria sar la lettura. In questo senso, anche affidata alla macchina, la letteratura continuer a essere un luogo privilegiato della coscienza umana, un'esplicitazione delle potenzialit contenute nel sistema dei segni d'ogni societ e d'ogni epoca (...); ci che sparir sar la figura dell'autore, questo personaggio a cui si continuano ad attribuire funzioni che non gli competono. (53)
L'altra Euridice
Prezioso esempio di riscrittura di secondo grado, questo racconto (54) deriva da Il cielo di pietra, una riscrittura della storia di Orfeo in forma cosmicomica, pubblicata ne La memoria del mondo ed altre cosmicomiche (55), in edizione non destinata ad essere distribuita sul mercato normale. Analizzeremo le due operazioni di riscrittura in maniera separata: la riscrittura del mito d'Orfeo in relazione al contenuto invariato dei due testi, e la seconda riscrittura in relazione alle varianti che modificano il messaggio di L'altra Euridice. La riscrittura del mito orfico procede attraverso una serie d'inversioni dei rapporti originali: cos il mondo interno terrestre, abitato da un Qfwfq-Plutone e dalla compagna Rdix (alias Euridice), diventa confortevole, fantasmagorico; l'essere concentrato, stipato (nelle sue innumerevoli concrezioni e negli incessanti ribaltamenti di densit) ne determina la superiorit sul mondo esterno, trasformato in inferno dalla valanga di rumore che lo pervade, attraverso un'inversione del valore della musica. Invertiti specularmente rispetto al centro Rdix i ruoli di Orfeo e Plutone-Qfwfq: quest'ultimo a perdere la sua compagna sul bordo estremo del proprio mondo ad opera della musica di Orfeo, a penetrare nell'erebo dell' "esterno" per riscattarla, a ritornare infine sconfitto sui suoi passi per proseguire da solo il suo discontinuo viaggio verso il centro della vita terrestre, per rendere terrestre la vita dal centro in fuori. Il mondo plutonico disegnato da Calvino (56) memore del verniano Viaggio al centro della Terra, del quale amplifica per la natura fantastica, fisicamente irreale: la praticabilit d'un mondo del sottosuolo compatto, tematizzata diegeticamente, figura della possibilit di accesso della letteratura fantastica ad un mondo costruito e delimitato unicamente dall'uso creativamente ambiguo degli strumenti linguistici. Lo spazio diegetico di ogni singola cosmicomica si crea attorno ad una selezione ambigua degli indizi spaziali offerti dall'autore, attraverso un utilizzo ambiguo dei riferimenti alla realt fisica che attivino un mondo fantastico provvisoriamente non contraddittorio (57). Nei due testi calviniani l'ambiguit del linguaggio trova anche una seconda funzione nel supporto fantastico dato da alcuni exploit linguistici: Vi fate chiamare terrestri, non si sa con che diritto: perch il vero nome vostro sarebbe extraterrestri, gente che sta fuori (...) Alla vita terrestre, tendevamo, cio della Terra e nella Terra; non a ci che spunta dalla superficie (...) stata la via sbagliata, la vostra, la vita condannata a restare parziale, superficiale (...) siete sempre vissuti in quella dimensione piatta piatta e non supponete nemmeno che si possa esistere altrove. (58) L'applicazione di queste comuni espressioni linguistiche al mondo fantastico ne rafforza la veridicit. In particolare, l'accusa di superficialit al mondo di superficie rivela la subordinazione alle forme del linguaggio di questo racconto: si applica alla realt fisica, costituita dalla vita che si svolge necessariamente sulla superficie del pianeta, la connotazione tutta linguistica dell'asse semantico profondo-superficiale, dove il primo termine positivo, ed il secondo negativo. l'uso linguistico qui a generare l'universo diegetico, a polarizzare inversamente il mondo reale per creare lo spazio del racconto. Calvino non nuovo all'utilizzo di questa carica generativa del linguaggio; Milanini evidenzia come i romanzi della trilogia dei Nostri antenati costituiscano altrettante
amplificazioni di comuni metafore, dal "sentirsi diviso a met", al "vivere sugli alberi", al "sentirsi vuoto dentro". La riscrittura s'incardina, come nel Montecristo, su una struttura topologica di chiusura: la contrapposizione tra l'interno e l'esterno del globo terrestre. Ma qui Calvino non procede a sovrapposizioni di strutture isomorfe derivate da essa, non disegna rapporti metanarrativi sulla mappa dello spazio diegetico. Il rapporto qui indagato solo quello fra l'uomo e il mondo, anche qui stilizzato in una forma geometrica che illustra il movimento del primo rispetto al secondo lungo l'asse profondit-superficie, che unisce il nucleo terrestre alla crosta. Un'analisi lotmaniana evidenzierebbe come il superamento del limite di tale figura, la superficie terrestre, determini il processo diegetico, la ricerca di Euridice persa per mano di Orfeo (59). Ma pi di questa seconda parte dell'azione, che si presenta come semplice inversione di alcuni rapporti originali del mito, a noi interessa la particolare ricerca del protagonista che apre e chiude il racconto, nel suo movimento verso la profondit, il nucleo del pianeta. Se lo spazio interno rappresenta, come abbiamo visto, lo spazio fantastico costruito dalla scrittura, la fuga verso il suo nucleo da parte di Qfwfq- Plutone allegoria del rapporto dello stesso Calvino con il mondo: dall'abbandono del PCI nel 1957 in seguito ai fatti d'Ungheria, sempre pi sfiduciato verso le possibilit della militanza culturale come strumento di modificazione della realt, fino al solitario esilio parigino (60), Calvino viene ad isolarsi progressivamente dalla realt esterna; finisce per immergersi totalmente nel mondo scritto e a rifuggire il mondo non scritto (61). Ecco quindi l'identificazione con Plutone: l'uomo calato in quello che per gli altri l'Inferno, e per lui l'unica possibilit di vita. Cos Calvino: I morti, a non essere pi in un mondo in cui troppe cose non gli appartengono pi, devono provare un misto di dispetto e di sollievo, non diverso dal mio stato d'animo. (62) Anche dalle estreme propaggini della sua opera Calvino ribadir, in Come imparare ad essere morto, a chiusura di Palomar, la sua vocazione plutonica. Altrove confessa che il passare dal mondo scritto a quello non scritto equivale per lui ogni volta a ripetere il trauma della nascita (63). Anche questa immagine trova perfetta rispondenza con la fuga plutonica nel grembo della terra, la chiusura in una zona uterina che consenta un ripiegamento verso il centro di s stesso. L'argomento autobiografico notoriamente avversato da Calvino: la sua posizione antiviscerale (64), volta a sviluppare in superficie il concetto d'identit, rifugge dalle pastoie psicologiche di certa letteratura di esposizione della propria anima alla mostra permanente delle anime. Se qui Calvino accetta l'opzione autobiografica, la ricerca della profondit, grazie alla sua riduzione a una forma stilizzata, depurata da ogni vena psicologica e viscerale. Il cuore del racconto in questa allegoria, che innesca la prima inversione, sulla quale si generano le successive allo scopo di "agganciare" la vicenda di Orfeo al primo disegno. Cos l'ultima inversione, l'infernalit della musica, consente la piena attuazione speculare
della fabula originale, e, ne Il cielo di pietra, l'individuazione del cappello scientifico, che definisce la possibilit di una ovattata musicalit delle onde sismiche sotterranee. Anche l'avversione alla musica manifesta caratteri autobiografici. Il rapporto con la musica, sfiorato in pi occasioni da Calvino (65), risulta, a somme tirate, una voce mancante alla costruzione polifonica della sua opera. L'operazione di riscrittura del mito si presenta anche qui come depositaria di motivi esterni, che ne rielaborano la forma come una "salita agli inferi". Questa procede attraverso l'uso combinatorio della stratificazione di disegni instaurata nella tradizione da diverse istanze culturali, a partire dal dato naturale: A) REALTA': la vita si svolge di necessit sulla superficie terrestre. B) RELIGIONE: 1 - creazione degli Inferi (asse superficie-sottosuolo). 2 - loro connotazione negativa (se in superficie c' la vita, nel sottosuolo c' la morte ). C) MITO: organizzazione di una fabula, quella di Orfeo, sul disegno elementare di B. D) LINGUAGGIO: connota positivamente la profondit e negativamente la superficialit. E) RISCRITTURA: sostituzione del disegno B2 con quello D. L'insieme strutturato C si modifica di conseguenza, accogliendo il disegno allegorico di Calvino. L'abilit di Calvino nel permutare figure e motivi su cui stratificare nuovi significati esaltata dall'utilizzo di questi molteplici codici culturali tra loro irrelati. E l'attivazione sul codice classico della "discesa agli inferi" della connotazione linguistica veramente il contributo pi rilevante di questo racconto, operazione in accordo con l'attenzione tutta novecentesca allo studio delle strutture linguistiche. La seconda operazione di riscrittura, condotta oltre un decennio dopo la prima, evidenzia maggiormente la natura combinatoria della narrativa calviniana: il racconto si slega dal genere cosmicomico, eliminando il cappello scientifico e l'unicit della dimensione cosmica del protagonista. Calvino svela i nomi dei veri personaggi, quelli del mito, recuperando parte del contenuto religioso negato dalla prima riscrittura, ovvero il regno di Plutone, sovrano delle potenze demoniache: Voi avete vinto, uomini del fuori, e avete rifatto le storie come piace a voi, per condannare noi del dentro al ruolo che vi piace attribuirci, di potenze delle tenebre e della morte, e il nome che ci avete dato, gli Inferi, lo caricate di accenti funesti. (66) Ecco esplicitata l'inversione originaria gi dall'incipit; e l'atmosfera del racconto si fa davvero mefitica, mutando il tono colloquiale della cosmicomica in una
contrapposizione drammatica tra gli dei del fuori e gli dei del dentro. Si precisa ulteriormente anche il progetto plutonico: Era un corpo vivente-citt-macchina che volevamo crescesse e occupasse tutto il globo, una macchina tellurica che avrebbe adoperato la sua energia smisurata per costruirsi continuamente, per combinare e permutare tutte le sostanze e le forme.
(67)
Se il mondo interno il luogo della scrittura calviniana, come gi dimostrato, ne viene qui ribadita per l'ennesima volta la natura combinatoria. E la contrapposizione pi drammatica tra interno ed esterno dipende dalla ormai realizzata simbiosi di Calvino con il mondo scritto, come parti integranti di un solo corpo, di una sola macchina letteraria.
L'itinerario da noi percorso si riferisce agli unici testi che si presentano esplicitamente come riscritture. Pi ampio sarebbe il percorso da compiere per delineare interamente le matrici dell'intertestualit in Calvino. Abbiamo mostrato i molteplici disegni sovrapposti ad ogni operazione di riscrittura, che la rendono difficilmente classificabile, ad esempio, come travestimento. La riscrittura combinatoria si propone come tipologia a s stante in una classificazione delle riscritture, ed il suo studio necessita di strumenti particolari di indagine, desunti di volta in volta dall'oggetto. Il furore matematico di Calvino nella ricerca di chiusura delle forme, di geometrica stilizzazione, di binaria contrapposizione, pone il problema del particolare tipo di semiosi posta in opera dalla poetica combinatoria: la forma reticolare il paradigma stesso di questa operazione, in cui l'instaurazione di una forma geometrica chiusa genera un numero vertiginoso di percorsi rintracciabili nell'opera calviniana, numero tendente all'utopica cifra del controllo totale d'una semiosi illimitata.
Note
(1) Il
solo ad intuire tale peculiarit dell'opera calviniana Claudio Milanini (cfr. L'utopia discontinua, Milano, Garzanti, 1990); ma la sua analisi smentisce poi le ottime premesse, perch tenta, pi tradizionalmente, una suddivisione in periodi, in sottogriglie da percorrere in maniera continua.
(2) Fiabe (3) ibid.,
p. XXXII
(4) Chiameremo
qui omogenei gli elementi che nella riscrittura sono desunti dal testo originale, eterogenei quelli di provenienza esterna ad esso.
(5) L'Ou.Li.Po.
(Ouvroir de Litterature Potentielle), fondata nel 1960 da Franois Le Lionnais, e comprendente tra le sue file Raymond Queneau e Georges Perec (nonch lo stesso Calvino come socio onorario), si proponeva di rinnovare i procedimenti di composizione letteraria tramite giochi matematico-combinatori. Rimandiamo per questo argomento a OULIPO, La letteratura potenziale, Bologna, CLUEB, 1986.
(6) In
particolar modo Levi-Strauss, Greimas, Barthes. Cibernetica e fantasmi (1967), in Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980. Il conte di Montecristo tra il 29 Agosto e l'11 Settembre 1967.
(7) Cfr.
stessa fortezza d'If mima l'organizzazione del testo: La fortezza non ha punti privilegiati: ripete nello spazio e nel tempo la stessa combinazione di figure; Il conte di Montecristo, in Ti con zero, p. 348 (dove non altrimenti specificato la nostra edizione di riferimento : Italo Calvino, Romanzi e racconti, vol.II, coll. "I Meridiani", Milano, Mondadori, 1992).
(10) Cfr.
I livelli della realt in letteratura (1978), in Una pietra sopra, op. cit., in cui analizza la frase Io scrivo che Omero racconta che Ulisse dice: io ho ascoltato il canto delle sirene, con cui esemplifica la compresenza di livelli concentrici.
(11) Cfr.
sull'argomento L. Dllenbach, Il racconto speculare. Saggio sulla mise en abyme, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1994.
(12) I
diagrammi che io e Faria tracciamo sulle pareti della prigione assomigliano a quelli che Dumas verga sulle sue cartelle per fissare l'ordine delle varianti prescelte, Il conte di Montecristo, op.cit., p. 354.
(13) A
Faria sta a cuore una pagina tra le tante, e non dispera di trovarla; a me interessa veder crescere il cumulo dei fogli scartati, delle soluzioni di cui non c' da tener conto, che gi formano una serie di pile, un muro..., ibid., p. 355.
(14) Cosicch
io ora che ho deciso d'abitare per sempre questo secondo t (...) ho tutto l'agio di guardarmi intorno e contemplare il mio secondo in tutta la sua estensione. Ti con zero, op.cit., p. 317.,,
(15) Le
troviamo insieme nel volume Cosmicomiche vecchie e nuove, Milano, Garzanti, 1984, con cui Calvino riordina la sua ventennale produzione cosmicomica, oltre a iniziare un rapporto con un nuovo editore.
(16) Il
conte di Montecristo, op.cit., p. 352. Il gioco dei paralogismi ha qui condotto ad un'inversione dei modelli fra i due personaggi.
(17) Venivo
preso da una smania, una fame, un'insaziabilit di versioni e varianti, una febbre comparatistica e classificatoria. (...) Le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, (...) sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, Fiabe italiane, op.cit., p. I-II.
(18) La
Bibliothque Oulipienne compaiono due testi di Calvino: il Piccolo sillabario illustrato (ora in Prima che tu dica pronto, Milano, Mondadori, 1993) in cui adopera un procedimento rousseliano, mediato da Perec; Comment J'ai crit un de mes livres (ripubblicato in Nuova corrente, XXXIV [1987], 99, p. 10), che utilizza il titolo del famoso scritto teorico rousseliano, e in cui analizza la cornice di Se una notte d'inverno un viaggiatore con metodi oulipo-greimassiani.
(21) Il
mare dell'oggettivit, in Una pietra sopra, op. cit., p. 41. sfida al labirinto (1962), ibid., pp. 96-97. 1960 a I nostri antenati, Milano, Mondadori, 1991, p. 417.
(22) La
sceneggiatura inclusa oggi in Romanzi e racconti, op.cit., vol.III, 1994, pp. 509-586.
(25) Il
primo appunto autografo reca la data 23.7.70; il libro finito di stampare il 3 novembre 1972.
(26) Cfr.
lo schema costruito da Claudio Milanini, op.cit.; Pier Vicenzo Mengaldo propone invece un accostamento con lo schema metrico della sestina (cfr. L'arco e le pietre [1973], in La tradizione del Novecento, Feltrinelli, Milano 1980).
(27) Le citt (28) ibid., (29) ibid., (30) Cfr.
p. 391. p. 415.
la descrizione delle citt di Cecilia (p. 487) e di Pentesilea (p. 491) di "discreto" cfr. Cibernetica e fantasmi, op.cit., p. 167.
a Parigi, in I.C., Romanzi e racconti, vol. III, op.cit., p. 104. invisibili, op.cit., p. 433.
(37) Roussel,
in Nouvelles Impressions d'Afrique, porta le parentesi al nono grado, con giochi di ramificazioni in cui l'intreccio slitta ossessivamente da un piano all'altro, tentando di sfuggire alla sua risoluzione.
(38) Calvino
afferma in un' intervista su Le citt invisibili (in L'Espresso, 5/11/1972) che i nomi delle citt non vogliono dire niente. Ma come non riconoscere, ad esempio, nella citt di Eutropia, divisa in molte citt di eguale grandezza e non dissimili fra loro, ordinata senza grandi differenze di ricchezza o di autorit, un riferimento, peraltro non raro nella sua opera, alla grandezza termodinamica dell'entropia?
(39) Prefazione (40) Cfr. (41) Cfr.
Raymond Roussel, Locus solus, Torino, Einaudi, 1975. p. 398 (Cloe), p. 410 (Eutropia), p. 450 (Clarice).
(42) Anche la
numerologia ha le sue esigenze: cinquantacinque citt pi nove brani di cornice equivalgono a sessantaquattro testi, uno per ogni casella della scacchiera.
(43) Il
volume del 1973 comprende il Castello (gi apparso nel volume d'arte Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York, Franco Maria Ricci, Parma 1969) ed il testo inedito della Taverna.
(44) Cfr.
Il gioco dei tarocchi come creazione d'intrecci, in Il viaggio testuale, Torino, Einaudi, 1978, pp. 169-184.
(45) Nathalie
Roelens individua, oltre a queste due, una combinatoria seriale, in cui l'esistente si accumula in caotici cataloghi. Cfr. Nathalie Roelens, L'odissea di uno scrittore virtuale, Firenze, F. Cesati , 1989.
(46) L'idea
di adoperare i tarocchi come una macchina narrativa combinatoria mi venuta da Paolo Fabbri che, in un "seminario internazionale sulle strutture del racconto" del luglio 1968 a Urbino, tenne una relazione su Il racconto della cartomanzia e il linguaggio degli emblemi, Nota a Il castello dei destini incrociati, op.cit., p. 1276.
(47) Era
assurdo perdere altro tempo in un'operazione di cui avevo gi esplorato le possibilit implicite, e che aveva senso solo come ipotesi teorica. (...) Se mi decido a pubblicare La taverna dei destini incrociati soprattutto per liberarmene. Ancora
adesso, col libro in bozze, continuo a rimetterci le mani, a smontarlo, a riscriverlo. Solo quando il volume sar stampato ne rester fuori una volta per tutte, spero. ibid.,p. 1280
(48) ibid.,
(49) Introduzione
1970.
(50) Ariosto (51) Cfr.
(52) Era
del resto la caratteristica del procedimento far sorgere una specie di equazione di fatti (...) che si trattava di risolvere logicamente, in appendice a Locus solus, op.cit., p. 276.
(53) Cibernetica (54) L'altra
Euridice usc sulla rivista Gran Bazaar, settembre-ottobre 1980, corredata da una breve Autobiografia di Italo Calvino, sotto il titolo complessivo L'altra letteratura. Ora in Romanzi e racconti, op. cit., vol. III, 1994, p. 1177.
(55) Questo
libro ebbe due edizioni in tiratura limitata: nel novembre 1968, presso il Club degli Editori, e nel novembre 1975 presso Einaudi, ma in una collana (Biblioteca Giovani) che comprendeva volumi acquistabili solo in blocco. Il cielo di pietra ora in Romanzi e racconti, vol. II, op. cit. , p. 1216.
(56) La
citt invisibile di Argia riproporr questo modello del sottosuolo. Cfr. Le citt invisibili, op.cit., p. 465.
(57) In
Tutto in un punto, ad esempio, la comunit che vive in un universo puntiforme possibile grazie ad un'applicazione selettiva del concetto di punto: di esso si prende il suo significato di entit spaziale, trascurandone il significato geometrico di astrazione, di entit che non ha estensione nello spazio. Questo viene poi recuperato, istituendo cos un paradosso che viene sfruttato a scopo umoristico, quando la donna delle pulizie si ritrova disoccupata nel punto perch in esso non pu entrarvi neanche un granello di polvere. Cfr. Tutto in un punto, in Romanzi e racconti, vol.II, op. cit., p. 118.
(58) Il
cielo di pietra, op. cit., pp. 1216-1218. Miei i corsivi. J.M.Lotman, La struttura del testo poetico (1970), Milano, 1972.
(59) Cfr.
(60) Sono
passato nei miei rapporti col mondo dall'esplorazione alla consultazione, cio il mondo un insieme di dati che l, indipendentemente da me, dati che posso
confrontare, combinare, trasmettere, magari ogni tanto, moderatamente, goderne, ma sempre un po' dal di fuori, Eremita a Parigi, op.cit., p. 110.
(61) Cfr.
Mondo scritto e mondo non scritto (1983), Lettera internazionale, II, 4-5, primavera-estate 1985, pp. 16-18.
(62) Cfr.
la risposta alla recensione nostalgica di Pasolini in Nico Naldini, Pasolini, una vita, Torino, Einaudi, 1989, p. 374. La lettera di Calvino del 7/2/1973.
(63) Mondo (64) In
La sfida al labirinto Calvino individua una linea "viscerale" dell' avanguardia letteraria, distaccandosene: Una spinta visceral-esistenzial-religiosa accomuna l'espressionismo, Celine, Artaud, una parte di Joyce, il monologo interiore, il surrealismo pi umido, Henry Miller e giunge fino ai nostri giorni (op.cit., p. 89).
(65) Nel
1958 nel gruppo di Cantacronache, compone tre canzoni con Sergio Liberovici. Successivamente compone un testo per Zaide ovvero il serraglio di Mozart, e collabora con Luciano Berio per l'opera in due atti La vera storia (rappr. 1982), e per Un re in ascolto (rappr. 1984). Cfr. la sezione Testi per musica in Romanzi e racconti, vol. III, op. cit., pp. 635-761.Vedi anche Luciano Berio, La musicalit di Calvino, in Elisabetta Mondello, Italo Calvino, Pordenone, Studio Tesi, 1990.
(66) L'altra (67) ibid.,
p. 1180.