Criminal Profiling Il Caso Rimaru - Tatiana Tudurache
Criminal Profiling Il Caso Rimaru - Tatiana Tudurache
Criminal Profiling Il Caso Rimaru - Tatiana Tudurache
INTRODUZIONE
Il motivo dell'interesse per gli assassini seriali deriva dal fatto che questi soggetti
rappresentano quanto di più vicino al concetto di cattiveria assoluta: uomini che
agiscono svincolati da ragioni di carattere passionale o vendicativo, con un movente che
consiste nell'uccidere perché dalla morte altrui si trae un piacere diretto o indiretto.
Questo è ciò che avvicina il serial killer al dominio del male più totale: prevale la
distruzione sulla costruzione, la morte rispetto alla vita, l'orrore rispetto al piacere.
L'assassino seriale rappresenta, per definizione, la negazione stessa della società
organizzata, l'annullamento del rispetto e della solidarietà. Proprio lo sgretolamento del
tradizionale valore intrinseco della vita umana è una delle costanti dell'omicidio seriale.
Nella seconda metà del 1970 e l’inizio del 1971 Bucarest fu sconvolta da una
serie di crimini di una ferocia senza precedenti: utilizzando diverse armi come l’accetta,
una sbarra di ferro o il coltello, un individuo sconosciuto attaccava le donne che
tornavano da sole a casa dal lavoro. Prevalentemente colpiva dopo mezzanotte
avvantaggiandosi di condizioni atmosferiche a lui favorevoli: tempeste di neve, pioggia
e vento forte, nebbia o comunque freddo.
A causa del rifiuto delle forze di polizia di divulgare informazioni corrette sugli
omicidi, la paura prese proporzioni ingiustificate: le donne non uscivano più di casa
dopo le nove di sera, se non accompagnate. Solo dopo diversi delitti, le autorità
comuniste dichiararono di trovarsi davanti a un serial killer e dopo un anno di inchiesta
Rîmaru venne catturato il 27 maggio del 1971.
L’indizio che portò al suo arresto fu un frammento di certificato medico intestato
all’Ospedale Studentesco Bucarest e trovato sotto il corpo di una delle sue vittime che
inoltre stringeva tra le dita alcuni capelli dell’assassino. A distanza di undici giorni, gli
investigatori riuscirono a stabilire che il certificato medico era stato rilasciato
dall’ambulatorio del dottor Octavian Ienişte nel marzo del 1971. Questo aveva visitato
ottantatre studenti in quel mese dei quali soltanto quindici non avevano presentato i
certificati agli uffici dell’università. Le forze di polizia controllarono quindi tutti i
sospetti ed il 27 maggio 1970 venne eseguita una perquisizione nella stanza di Rîmaru
Ion all’alloggio studentesco. Verso l’una di notte arrivò anche il sospettato e dentro la
sua borsa furono ritrovate un’accetta ed un coltello. Le testimonianze delle vittime
sopravissute, insieme ad altre prove inconfutabili non lasciarono ombra di dubbio: era
lui l’assassino.
I delitti a suo carico erano:
1° Elena Oprea – 8/9 aprile 1970 – tentato omicidio (non stuprata perché l’arrivo
di un vicino lo spaventò facendolo fuggire);
2° Florica Marcu – 1/2 giugno 1970 – stupro (colpita alla testa davanti casa sua e
portata in stato di semicoscienza nel cimitero Sfânta Vineri, fu spinta brutalmente sopra
il muretto, violentata e accoltellata; l’assassino le succhiò il sangue dalle ferite. Non
venne uccisa per l’arrivo provvidenziale di un camionista);
3° OCL Negozio “Confecţia” – 19/20 luglio 1970 – furto a danno della proprietà
pubblica;
4° Margareta Hanganu – 24 luglio 1970 – furto aggravato;
5° Olga Bărăitaru – 22/23 novembre 1970 – tentato omicidio aggravato, stupro e
furto aggravato;
6° Gheorghiţa Sfetcu - 15/16 febbraio 1971 – tentato omicidio aggravato e furto
aggravato;
7° Elisabeta Florea – 17/18 febbraio 1971 – tentato omicidio aggravato;
8° Fănica Ilie – 4/5 marzo 1971 – omicidio aggravato premeditato, stupro e furto
aggravato;
9° Gheorghiţa Popa – 8/9 aprile 1971 – omicidio aggravato, stupro e furto
aggravato (48 coltellate alla testa, al petto, all’inguine e gambe, cinque colpi di piccone
alla testa, contusioni toraco - addominali, la zona pubica lacerata con i denti);
10° Stana Sǎrǎcin - 1/2 maggio 1971 – tentato stupro;
11° Mihaela Ursu - 4/5 maggio 1971 – omicidio aggravato, stupro;
12° Maria Iordache – 4/5 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato (attaccata
due ore dopo Mihaela Ursu, riuscì a scappare quando all’aggressore sfuggì di mano la
sbarra di ferro con cui la colpiva da dietro);
13° Viorica Tatu – 6/7 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato;
14° Elena Buluci - 6/7 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato;
15° Iuliana Funzinschi – maggio 1971 – furto aggravato in danno della proprietà
pubblica e privata.
Dopo l’arresto, Rîmaru rimase in silenzio per il resto della giornata, guardando
attonito nel vuoto. Come risposta al suo rifiuto di parlare, i poliziotti pensarono ad una
strategia e introdussero nella sua cella un presunto ladro, in realtà uno di loro, con il
compito di farlo parlare.
Dopo due mesi di interrogatorio, Rîmaru confessò ventitrè delitti. In realtà, al
momento dell’arresto lui fu accusato soltanto di tre omicidi; gli altri reati (un altro
omicidio, sei tentati omicidi, cinque stupri, un tentato stupro e sette furti) vennero
confessati da lui successivamente o rivelati dal proprio padre. Rîmaru durante il
processo tentò di convincere le autorità che non era capace di intendere e di volere e che
non si rendeva conto che le donne potessero morire. Il terrore da lui seminato fu cosi
grande che le vittime sopravissute e portate a fare l’identificazione cominciavano a
tremare quando i loro sguardi si incrociavano con gli occhi di Rîmaru.
Le autorità ipotizzarono che il padre fosse a conoscenza delle attività delittuose
del figlio perché a volte gli lavava alcuni indumenti sporchi di sangue e anzi si ipotizzò
che il padre stesso abbia potuto non solo aiutare il figlio ma addirittura ispirarlo.
Durante l’inchiesta, il padre venne arrestato tre volte, pero ogni volta fu rilasciato sia
perché i familiari stretti non possono essere costretti a testimoniare contro gli altri
membri della famiglia sia per la scarsità di prove a suo carico. Dopo l’ultimo reato di
Ion di derubare una cassiera, la mamma andò a fargli visita presso l’alloggio
studentesco e trovò i soldi sotto il cuscino. Informatone il padre questi si recò da Ion che
gli fa vedere dove e come era successo. Il padre prese i soldi e li nascose nella sua casa
di Caracal, con l’intento di comprare una casa nuova, e gli sottrasse l’accetta ed il
coltello, che Rîmaru era andato a prendere il giorno dell’arresto.
Il processo suscitò nella opinione pubblica romena un interesse senza precedenti:
Rîmaru sperava, inoltre, di aver convinto la giuria della sua insanità mentale, quindi
rimase molto sorpreso quando fu ritenuto capace di intendere e di volere e condannato a
morte. A quel punto tentò di cambiare immediatamente la sua deposizione, ritirando
tutto ciò che aveva detto in precedenza e si rifiutò di rispondere alle domande del suo
avvocato. Nonostante ciò, l’appello fu respinto dal Tribunale Supremo che mantenne la
sentenza a morte.
Il 23 ottobre 1971 Ion Rîmaru fu portato alla prigione Jilava con un furgoncino,
successivamente e ironicamente venne trascinato come lui aveva fatto tante volte con le
sue vittime, al posto dell’esecuzione e qui fucilato. I tre membri del comando di
esecuzione lo legarono faticosamente ad un albero, perché era in uno stato di forte
agitazione, cercava di mordere i vestiti e riuscì comunque a girarsi intorno all’albero,
gridando continuamente: “Chiamate mio padre, cosi può vedere che mi sta succedendo!
Fatelo venire! È lui l’unico colpevole!”. Chiestogli di esprimere l’ultimo desiderio, egli
risponse: “Voglio vivere!”. A causa del suo costante movimento fu difficile sparargli
frontalmente, infatti le pallottole lo colpirono tutte da dietro. Fu sepolto nel cimitero
della città, a cinque kilometri dalla prigione; la sua tomba è rimasta anonima non
recando il suo nome.
CAPITOLO 1: SERIAL KILLER & CRIMINAL
PROFILING
1
R.M. Holmes, S.T. Holmes, Omicidi seriali, p.40.
2
Ressler R.K., Burgess A. W., Douglas J. E., Sexual Homicide: Patterns and Motives, p.5
3
R.M. Holmes, S.T. Holmes, op.cit., p.82.
4
L’edonismo va qui inteso come una serie di atti aggressivi attuati per procurarsi il piacere.
differenza che nel caso del lust killer atti di necrofilia possono accompagnare
l’uccisione; per il killer che cerca il brivido, invece, è importante che gli atti di
violenza avvengano quando la vittima è ancora viva. L’omicida per tornaconto
personale uccide per soddisfare aspettative di tipo materiale.
• The Power/Controll Serial Killer (l’assassino orientato al controllo e al dominio
della vittima): desidera soggiogare totalmente la sua vittima e ama l’idea che il
destino di quest’ultima sia nelle sue mani.
Non esiste una causa unica che trasforma un individuo in un assassino seriale,
ma una serie di fattori di tipo biologico, psicologico e socio-ambientale che facilitano
l’insorgenza di questo comportamento e che hanno diversa rilevanza secondo la
persona. Escludendo quei soggetti con una malattia psichiatrica che inficia il contatto
con la realtà causando allucinazioni e deliri di varia natura, la maggior parte dei serial
killer viene definita, nel linguaggio comune, “psicopatica”. Per di più, quasi sempre
riscontriamo la presenza di una o più perversioni sessuali.
“… i dati a nostra disposizione dimostrano che non esiste una predisposizione a
diventare serial killer, ma che si entri nella «categoria» attraverso un lungo percorso che
comincia proprio nell’infanzia, con i primi traumi e le prime angosciose situazioni da
superare. Si innescano le prime perversioni che si stabilizzano con il tempo e che fanno
in modo che un soggetto maturi disposizioni psichiche molto particolari. Le
intenzionalità sono deviate fin negli impulsi più profondi a tal punto da spingere i serial
killer a trovare maggiore piacere nel manipolare il corpo di un essere umano deceduto,
piuttosto che intrattenere una normale relazione con una persona viva5.”
Il fattore che sta alla base del comportamento omicidiario seriale è una
particolare condizione psicopatologica di tipo parafilico denominata necromania, una
perversione dell’istinto della vita che determina un interesse patologico per la morte,
esperito mediante il dare la morte ed il contatto successivo col cadavere. È un bisogno
compulsivo, ossia un impulso irresistibile a ricercare il contatto diretto con la morte. Il
carattere compulsivo di tale bisogno spinge il necromane ad uccidere ripetutamente.
Infatti, la serie omicidiaria può essere interrotta solo da un fattore esterno alla sua
volontà: l’arresto, la cura o la morte.
5
F. Bruno, M. Mariotti, L’impronta del mostro, p.68.
1.2. IL CRIMINAL PROFILING
Il criminal profiling si pone come obiettivo quello di tracciare un profilo
psicologico – comportamentale dell’autore di un reato mediante l’analisi delle
informazioni raccolte sulla scena del crimine, degli elementi di acquisizione autoptica,
della rigorosa ricostruzione delle modalità di accadimento del delitto, al fine di poter
fornire un aiuto investigativo senza alcuna pretesa di prova.
Il criminal profiling ha radici antiche, ma storia recente: “È certamente con la
fine degli anni ’70, presso l’Accademia dell’FBI a Quantico, in particolare alla
Behavioral Science Unit, che si stabiliscono i primi seri e sistematici tentativi di studio
volti a provare l’utilità del profiling come strumento nelle indagini investigative6”.
Il criminal profiling parte dall’analisi delle prove rivenute sulla scena del
crimine e della ricostruzione della dinamica dell’evento basata su tali prove per
affrontare la questione del “perché ciò è accaduto” e “cosa questo ci racconta del
soggetto che lo ha compiuto”.
Non esiste una metodologia unica ed universalmente accettata nell’approccio al
criminal profiling, ma vi sono tuttavia alcuni elementi fondamentali per la costruzione
di un profilo psicologico che vengono riconosciuti da tutti i principali esperti del settore
benché vengano trattati in maniera differente da ognuno di essi, che sono l’analisi della
scena del crimine; lo studio della vittima e delle possibili relazioni con il suo
aggressore, ed il case-linkage.
6
Picozzi, Zapallà, Criminal Profiling, p.103
domande che hanno significato ed in schemi riguardanti le molte dimensioni
dell’attività criminale);
3. Crime Assessment (prima ricostruzione del comportamento dell’assassino e
della sua vittima);
4. Criminal Profile (descrizione delle più probabili caratteristiche del soggetto);
5. Investigation (rapporto scritto dato agli investigatori);
6. Apprehension (arresto del sospettato).
La definizione di una tipologia di aggressori suddivisa in organizzati e
disorganizzati rappresenta il contributo dell’FBI più noto nello studio del profiling.
Nasce da un’esigenza investigativa di semplificazione e dal bisogno di un linguaggio
condiviso dalle forze dell’ordine che non utilizza termini psicologici e psichiatrici
potenzialmente fonte di confusione per i non addetti ai lavori. Però dobbiamo
considerare che le caratteristiche di una scena del crimine o di un criminale raramente
sono del tutto organizzate o disorganizzate ed è più probabile di essere situate lungo un
continuo che va da un estremo all’altro7. Ne consegue che anche il serial killer
“organizzato” possiede caratteristiche comportamentali di “disorganizzazione” come
conseguenza di un repertorio variabile, adattabile e modulabile e non fisso e
sclerotizzato di risposte comportamentali.
7
Burgess et al, Crime Classification Manual, p.9
Per cui :
► I crimini compiuti da un soggetto non cambiano nel corso del tempo;
► La scena del crimine rifletta la personalità dell’autore del reato;
► Criminali diverso con personalità “simile” compiono crimini simili.
8
Communist Romania's Demographic Policy, U.S. Library of Congress country study,
http://www.country-studies.com/romania/demographic-policy.html
9
Idem
Vi furono anche altri abusi e violazioni dei diritti umani, tipici dei regimi
stalinisti: un massiccio uso della polizia segreta (la "Securitate"), la censura, gli
spostamenti della popolazione dalla campagna in città. La polizia segreta mantenne un
assoluto controllo sui media e su qualsiasi tipo di discorso e non tollerò nessun tipo di
opposizione interna. La cultura divenne uno strumento per la propaganda politico-
ideologica e l’individualità fu abolita dal controllo stalinista esercitato da Ceauşescu su
ogni aspetto religioso, educativo, commerciale, sociale, artistico della vita civile.
A partire dagli anni ‘70, Ceauşescu istituì un programma di sistematizzazione e
industrializzazione della Romania: il programma di demolizione, ristrutturazione e
costruzione cominciò nelle campagne e culminò con un tentativo di completo
rimodernamento della capitale del paese, Bucarest.
Forse il più noto serial killer romeno può essere considerato il conte Dracula.
Personaggio letterario diffuso dalla penna di Bram Stoker è stato successivamente
identificato come figura storica realmente esistita in Romania nel 1400 con il nome di
Principe Vlad Ţepeş detto l’Impalatore, nato in Transilvania nel 1431 e morto nel 1476
sui Monti Carpaţi. Ţepeş deriva dalla parola romena “l'impalatore” poiché questa era la
tecnica prediletta dal principe per uccidere i suoi nemici. In una lettera datata 11
febbraio 1462 indirizzata al re d'Ungheria Egli si vanta di aver ucciso con questa tecnica
ben 23.883 turchi in soli tre mesi e di aver voluto assistere personalmente a molti di tali
esecuzioni.
Vera Renczi uccise più di trenta uomini e conservò i loro corpi in cantina dentro
delle bare di zinco. Lei differisce dalle Vedove Nere perché il suo motivo era la gelosia
e non il profitto. La sua ossessione non era legata ai soldi dei suoi uomini, ma alla loro
devozione poiché non riusciva a sopportare l’idea che i suoi due mariti, i suoi amanti e
suo figlio finissero nelle mani di altre donne.
Il suo primo matrimonio con un uomo molto più grande di lei fu un disastro. Lei
lo sospettò patologicamente di tradimento, finché lo avvelenò con l’arsenico. E la storia
si ripetè una seconda volta quando ancora un altro marito scomparve. Lei l'aveva
avvelenato, anche stavolta convinta della sua slealtà.
Quindi, decise di non sposarsi più continuando però ad avere relazioni che si
concludevano, dopo alcune settimane o mesi e a volte pochi giorni, con l’uccisione per
sua mano dei vari partner. Molti di loro erano sinceramente innamorati, ma
ciononostante lei continuava a vedere in loro l'infedeltà. Crescendo, il figlio Lorenzo
scoprì la verità sulla madre e provò a ricattarla, ma pagò anche lui con la vita questa sua
“infedeltà”.
Poiché molti degli amanti di Vera erano sposati, le mogli di questi cominciarono
a guardarla con diffidenza e sospetto e una di loro provocò la sua cattura. Una sera una
signora dopo aver seguito suo marito fino alla porta di Vera lo aspettò invano per tutta la
notte. Vedendo che non usciva più chiese spiegazioni all’assassina e dopo che
quest’ultima negò di aver mai conosciuto l'uomo, lei chiamò la polizia.
Gli agenti condussero una ricerca di routine nella residenza di Vera Renczi e
trovarono i resti di più di un marito disperso. Nella sua cantina, come in un quadro
ispirato da Edgar Allen Poe, si imbatterono in trentadue cadaveri maschi, ognuno
conservato nella sua propria bara di zinco personalizzata. Lei spese il resto della sua vita
in prigione.
omicidi
Ion Sârcǎ traeva in inganno i giovani in cerca di lavoro: gli proponeva di
lavorare presso le fattorie che si trovavano nei dintorni di Bucarest e con la scusa di
accompagnarli attraverso i campi li rapinava rubandogli i vestiti e legandogli le mani ed
i piedi. Per le dodici rapine commesse fu condannato a cinque anni di prigione nel 1936.
Nel 1943, sempre sui campi nella vicinanza di Bucarest la Polizia trovò i
cadaveri di otto giovani nudi con le mani e i piedi legati e che presentavano segni di
strangolamento. Si trattava di un unico autore, ipotesi sostenuta anche dalla modalità
particolare di fare i nodi intorno ai polsi delle vittime e dalla costatazione che in tre casi
il filo apparteneva alla stessa bobina. Sui corpi di tutte le vittime furono ritrovati segni
di violenza sessuale. Per attuare lo strangolamento l’assassino utilizzava tutte e due le
mani mentre si trovava dietro le sue vittime poiché sulla parte posteriore del collo erano
rimaste imprese i segni di pressione effettuati con i pollici. Nelle vicinanze dei cadaveri
furono rivenute delle bottiglie vuote di alcol: le impronte presenti su di esse erano
identiche fra loro. Si procedette quindi alla ricerca negli schedari contenuti negli archivi
cartacei e si scoprì che le impronte digitali appartenevano a Sârcǎ Ion che arrestato
confessò tutti gli omicidi10.
10
Constantin Ţurai, Elementi di criminalistica e tecnica criminale, pp311-321
11
Dr. Tudorel-Severin B.Butoi, Criminali seriali. La psicologia del crimine, p.69
violente, diversi libri con tematica sessuale e filosofica ed alcuni quaderni-diario che
rivelarono un delirio mistico a sfondo sessuale e confermarono che era lui l’assassino.
Il posto preferito di Vereş Romulus per le sue preghiere era un armadio, dove lui
sosteneva che incontrava lo spirito di Satana il quale gli ordinava di commettere gli
omicidi e di purificare il posto attraverso il fuoco. Durante il processo non si riconobbe
colpevole, ma ammise che Satana l’aveva mandato in quei posti contro la sua volontà.
Il Vereş fu dichiarato colpevole per aver commesso i fatti, però incapace di
intendere e di volere e di conseguenza venne ricoverato in un manicomio criminale
dove rimase per altri 20 anni fine alla sua morte12.
vittime
12
…, “Le particolarità psicologiche delle diverse categorie di delinquenti”,
http://www.preferatele.com/docs/psihologie/6/particularitatile-ps11.php
13
Dr. Tudorel-Severin B. Butoi, idem, p.77
Approfittava del suo mestiere di tassista per scegliere le sue vittime, che
subivano violenza sessuale seguita da strangolamento e rapina. I cadaveri erano
abbandonati nelle cunette lungo la strada. Arrestato, confessa di aver ucciso le donne
“per pietà” in quanto durante la corsa avevano espresso sentimenti di infelicità o
insoddisfazione verso la propria vita14.
vittime
Lo scioglimento del ghiaccio invernale portò alla luce due cadaveri nel lago
Pantelimon, in Bucarest. Le vittime erano state strangolate e una di loro presentava
segni di violenza sessuale; l’altra portava i segni di un aborto subito qualche giorno
prima. Mancavano i vestiti ed i gioielli. Una terza vittima fu ritrovata ad alcuni metri dal
lago, in un canale di irrigazione che in quel periodo era privo di acqua. Il cadavere
apparteneva ad una donna all’incirca 25-30 anni ed era stato bruciato, ma la morte era
avvenuta per asfissia tramite strangolamento. Il medico legale fra le altre osservazioni
annotò che la vittima si trovava in periodo mestruale.
Trovatosi davanti a prove inconfutabili, Stroe Adrian, di professione tassista
privato, confessò i tre omicidi. Spiegò di averli commessi perché dopo la separazione
voluta dalla moglie egli provava un forte senso di rabbia verso il mondo femminile
”colpevole” ai suoi occhi di essere frivolo. Dominato da forti sensi di frustrazione e di
inferiorità egli contattava le donne che portava sul suo taxi ma al loro rifiuto di accettare
un’intimità sessuale completa dopo essersi lasciate toccare e baciare faceva esplodere la
sua rabbia e le uccideva15.
14
Dr.Tudorel-Severin B.Butoi, op.cit., pp.124-128
15
Idem, pp 128-137
al notaio per impadronirsi dei beni della vittima. Gli omicidi furono di una ferocia e
violenza estrema: i cadaveri venivano squartati, decapitati e nascosti nelle fogne, per
ritardarne il più possibile la scoperta. Uccise uno degli uomini picchiandolo
selvaggiamente con un pestacarne e gettandone il corpo in un pozzo.
Nel 2004 fu arrestato a Roma ed estradato in Romania16.
Bucarest, 1970: una Romania comunista nella quale non esistevano poveri, non
esistevano delitti, non esistevano problemi - la criminalità era un segreto di stato. Non
16
V.M. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, p.172.
esistevano malattie, non esistevano tragedie: tutta la popolazione era felice e contenta.
Solo che in questo contesto “idilliaco” avvengono una serie di crimini talmente crudeli
da renderne impossibile l’occultamento da parte del regime. Infatti, i testimoni
confessano ciò che hanno visto e sentito ai loro parenti ed amici e i giornali non
possono più evitare di parlarne. Inoltre per tali fatti criminosi la città di Bucarest si
riempie di forze di polizia che setacciano la città a tutte le ore alla ricerca di qualche
prova per prendere l’assassino.
I delitti attribuiti al Rîmaru sono stati tutti commessi in Bucarest nel periodo che
va dall’aprile 1970 al maggio del 1971. Le vittime sono state ritrovate in un’area ampia
della città, come risulta dalla cartina allegata.
1° DELITTO: OMICIDIO
Data e ora: la notte dell’8/9 (mercoledì/giovedì) aprile 1970, intorno alle ore
02:30.
Vittima: ELENA OPREA, 26 anni, cameriera al ristorante “Bǎneasa”.
Luogo dell’attacco: Via Turnul Eiffel (zona Lacul Tei) davanti alla propria
abitazione.
Condizioni atmosferiche: N/A.
Armi usate: l’arma usata non è stata ritrovata. I rilievi eseguiti hanno fatto
pensare all’utilizzo di un corpo contundente longitudinale, probabilmente una sbarra di
ferro.
I fatti: un inquilino dello stesso stabile della vittima alle 02:30 sente delle grida
provenienti dalla strada e affacciandosi alla finestra vede un uomo che trascina,
tenendolo dalle ascelle, il corpo inerme di una donna. L’aggressore, accortosi di essere
stato scoperto, scappa ed il testimone chiama aiuto.
La polizia trova la vittima, in stato di incoscienza e con abbondante perdita di
sangue dalla testa, nei pressi dell’androne del palazzo. Poiché è ancora in vita viene
accompagnata con l’autoambulanza nell’ospedale più vicino dove muore dopo circa
ventiquattro ore di coma. Tale esito è dovuto ad un trauma cranico - cerebrale,
conseguenza di tre colpi ricevuti sulla parte parietale destra della testa.
Reperti medico-legali: l’autopsia conferma la causa della morte per trauma
cerebrale conseguenza dei colpi inferti sul cranio che hanno prodotto lesioni in un’aria
di circa 15x7 cm². L’esame del cadavere da esito negativo per violenza sessuale.
Osservazioni: il movente dell’aggressione fu considerata la rapina, che non
avvenne a causa dell’interruzione forzata dell’aggressione; l’autore non fu catturato; per
tornare a casa dal lavoro, la vittima prendeva l’auto di notte in Piazza Sfântu Gheorghe.
2° DELITTO: STUPRO
Data e ora: la notte del 1/2 (lunedì/martedì) giugno 1970, intorno alle ore due.
Vittima: FLORICA MARCU, sposata con una figlia, cameriera al ristorante
“Tuşnad”.
Luogo dell’attacco: cimitero Sfânta Vineri, vicino all’abitazione della vittima.
Condizioni atmosferiche: N/A.
Armi usate: possibile sbarra di ferro e coltello (entrambe le armi delittuose non
sono state ritrovate in situ).
I fatti: la vittima si allontana dal lavoro alle 01:30. Prende l’autobus notturno
fino a Piazza Sfântu Gheorghe dove deve cambiare la linea, però si accorge di essere
seguita da un giovane con capelli di colore scuro che indossa un maglione a collo alto.
La giovane sale sull’autobus credendo che l’individuo sia sparito e scende alla fermata
“7 Novembre” dirigendosi verso casa. All’improvviso, nei pressi della propria
abitazione, la vittima viene colpita ripetutamente alla testa con un oggetto contundente.
Lei comincia a gridare, lui tira fuori un coltello e la pugnala tre volte sull’avambraccio
destro con cui la vittima cercava di parare i colpi succhiandole successivamente il
sangue.
L’aggressore la obbliga a seguirlo al cimitero Sfânta Vineri che si trova nelle
vicinanze, la spinge brutalmente oltre il muretto e subito dopo salta pure lui. Lei casca
davanti ad una lapide dove
brucia una candela e l’uomo
le dice: “Eh, sei stata
fortunata perché la candela è
accesa!” Qui, dopo averle
chiesto se era ortodossa, la
obbliga a mettersi in
ginocchio davanti ad una
croce e di giurare che lo
amerà e lo sposerà. Le
chiede di spogliarsi
completamente, dopo di che la stupra sopra una tomba mordendole le guance e la coscia
sinistra. Dopo essersi fatto promettere che il giorno seguente si sarebbero incontrati
davanti al negozio “Adam”, l’uomo la vuole accompagnare a casa pero subito dopo
l’uscita dal cimitero cambia idea e gli chiede di seguirlo dentro un cortile condominiale.
Temendo per la sua vita, la ragazza si salva buttandosi davanti ad un camion che passa;
l’autista la porta in polizia, però nessuno crede a ciò che le è appena successo. La
ricoverano in un istituto di malattie mentali dove subisce provocazioni tutti i giorni. Per
paura, la donna non reagisce alle varie violenze che subisce per opera del personale.
Inoltre, tutti i giorni, è portata dai polizziotti in caserma, dove è interrogata e picchiata
per fargli confessare il nome dell’aggressore, convinti che la donna lo conoscesse. Non
potendone più, indica il ragazzo di una sua collega, che è arrestato e picchiato finché si
attribuisce la violenza. Davanti al giudice però, Florica Marcu ritira l’accusa contro di
lui.
L’aggressore comunque non si presenta all’appuntamento concordato con la
vittima per il giorno seguente, forse perché le forze dell’ordine in divisa erano
dappertutto. Sulla base delle dichiarazioni della vittima, si realizza un identikit: “Età
intorno ai 27-28 anni, altezza 1,75-1,80 m, snello, moro, con un viso allungato e
sguardo torvo, la voce grossa e rauca, parla usando parole corte, con pause in mezzo”.
Osservazioni: il reo non fu catturato. Più tardi, durante il processo, Rîmaru
dichiarò riferendosi all’evento in discussione: “Sono uscito dal dormitorio portando un
piccone. Quel giorno mi sentivo molto agitato. Sentivo il bisogno di avere una donna,
non trovavo più pace e non avevo la testa per studiare. Non ero tranquillo neanche
nella Casa dello Studente: i colleghi mi chiedevano sempre qualche cosa, e allora per
paura di arrabbiarmi e far casino lì dentro malmenando qualcuno, sono uscito fuori
sulle strade per cercare una donna che mi potesse capire. Ero disposto a pagarla pur di
avere un rapporto sessuale e se si fosse rifiutata ero pronto ad obbligarla con la forza”.
L’aggressore anche in questo delitto esprime le sue tendenze sessuali anomale:
succhia il sangue, stupra, morde manifestando un comportamento aggressivo associato
al rapporto sessuale.
Data e ora: la notte del 4/5 marzo 1971, intorno alle ore due.
Vittima: FĂNICA ILIE, 31 anni, sposata con una figlia, cameriera al ristorante
“Vulturul”.
Luogo del ritrovamento del cadavere: nel cortile condominiale dell’immobile
situato in Via Scǎrlǎtescu no.46, nei dintorni della Piazza 1 Maggio, in prossimità
dell’abitazione della vittima.
Condizioni atmosferiche: tempesta di neve.
Armi usate: corpo contundente non ritrovato, probabilmente una sbarra di ferro.
I fatti: intorno alle ore cinque di mattina un inquilino trova il corpo insanguinato
di una donna nel giardino condominiale. Era una mattina fredda, aveva nevicato per
tutta la notte e all’ora del ritrovo ancora stava nevicando. L’uomo chiede agli altri
condomini di non uscire fuori di casa per non inquinare la scena del delitto e chiama la
polizia, che arriva, però con un ritardo considerevole perché l’ufficiale di turno pensava
che si trattasse di un’ubriacona.
4.2. L’identikit
Basandosi su questi risultati, il medico Cantemir Rişicuţǎ, responsabile del
Laboratorio Antropologico all’Istituto di Patologia e Genetica Medica “Professor Victor
Babeş” di Bucarest disegna un identikit dell’aggressore, diffuso in numerose copie fra le
forze di polizia.
4.3. Il profilo psicologico
Un’equipe di specialisti psichiatri coordinati dal medico Tiberiu Vlad fanno il
profilo psicologico: l’aggressore ha un’età compresa tra i 25 ed i 30 anni, mostra
aggressività e ferocia massima, meticolosità, è ordinato, presenta una personalità
epilettoide con o senza crisi, può essere psicopatico polimorfo e sessualmente è un
primitivo. Lo scopo degli omicidi è il soddisfacimento sessuale, presenta un carattere
introverso, non comunicativo, distante, caratterizzato dal sadismo sessuale, mancanza di
senso morale, impulsi erotici incontenibili, tendenze necrofile, dimestichezza con
l’accetta ed il coltello, non si impressiona alla vista di ferite aperte e del sangue, ha una
buona condizione fisica che lo aiuta a colpire, trascinare le vittime e scappare,
probabilmente ha avuto insuccessi con il sesso opposto che lo porta a vendicarsi sulle
donne; possibile che faccia un mestiere che lo fa stare in contatto con il sangue.
Si fa strada anche un’ipotesi al limite della scientificità e cioè che si tratti di un
“uomo lupo”. Il Rîmaru è un criminale compulsivo, epilettoide che attacca e uccide
seguendo dei cicli biologici e ambientali. L’incontro fra determinate situazioni
climatiche e fasi interne di eccitamento determina il manifestarsi della sua follia
omicida.
4.5. La cattura
La perquisizione della sua stanza è effettuata in presenza dell’amministratore
della Casa dello Studente: si trova una mappa della capitale con note e itinerari, un
quaderno cifrato con annotazioni e segni strani, una lista degli oggetti che il Rîmaru
aveva perso o doveva star attento a non perdere e tra i quali anche il certificato medico,
frasi con le quali si descriveva come l’assassino (“Morirai in questo mese – l’uomo che
ammazza donne”); sul diario inoltre egli annotava l’itinerario delle vittime e segnava
con un teschio il posto nel quale le avrebbe colpite.
I poliziotti sono sorpresi mentre eseguivano la perquisizione dall’arrivo di un
giovane moro - il Rîmaru -, con il viso aggrottato che portava con sè un borsone grande,
dentro il quale vengono trovate avvolte in un asciugamano rosso un’accetta del tipo
usato dai vigili del fuoco ed un coltello da cucina con punta affilata. Successivamente fu
provato che tali oggetti erano le armi con le quali erano stati commessi gli omicidi. Il
sospetto oppose resistenza alla cattura, mordendo la mano del poliziotto che aveva
cercato di mettergli le manette.
Per una settimana Rîmaru si rifiuta di dire una sola parola; dopo, comincia a
rispondere monosillabico a domande generali riguardanti la sua carriera studentesca, i
posti che ha visitato, la salute e altre generalità, non menzionando niente sulla sua
attività delinquenziale. Dichiara di avere 26 anni, altri due fratelli e di essere nato a
Caracal dove ha passato l’infanzia e l’adolescenza. Dopo aver superato l’esame di
ammissione alla Facoltà di Medicina Veterinaria si sposta a Bucarest. I genitori erano
separati, ma in relazioni buone. La mamma era rimasta a Caracal insieme ai due fratelli
più piccoli ed il padre invece abitava a Bucarest insieme alla sua nuova compagna, e
lavorava come autista di autobus. Poiché entrambi abitavano nella capitale, Rîmaru
vedeva più spesso il padre che la madre. Il padre lo visitava alla Casa dello Studente, gli
dava i soldi per l’università e altre spese e a volte uscivano insieme. Interrogato, il padre
riconosce che il figlio gli ha confessato di aver derubato una cassiera sulla Strada Carol
Davila colpendola alla testa con un’accetta e insieme si mettono d’accordo di seppellire
i soldi dentro un pollaio nella casa di Caracal. È sempre il padre che gli lavava i vestiti
sporchi di sangue: Rȋmaru gli diceva che si era ferito cadendo dopo aver bevuto, oppure
che si era azzuffato con altri studenti. Il padre non può essere incriminato, perché non
divulgare il fatto commesso da un parente prossimo non costituisce reato.
La mamma dichiara invece che il padre era molto violento e la picchiava tutti i
giorni. Ion è stato un bambino difficile e gli piaceva entrare in conflitto con gli altri
ragazzini che picchiava spesso per dimostrarsi forte e dominante. Quando non gli stava
bene qualcosa, sbatteva i pugni e i piedi contro al muro fino a diventare livido e che
anche quando era piccolo spesso diventava fisicamente violento verso la propria madre.
Le conclusioni:
CONCLUSIONI:
- Come risultato dei ripetuti esami psichici e neurologici, insieme alle esplorazioni
funzionali effettuate, non si è evidenziata la presenza di una malattia con carattere
psichico di natura tale da influenzare la capacità di intendere e di volere.
- Riferendosi alle manifestazioni dell’accusato in ambito familiare, scolastico, sociale
e dalle osservazioni cliniche si evince uno sviluppo anomalo della personalità di
proporzioni mostruose, che però non ha annullato lo stato di lucidità della sua
coscienza.
- Rapportandosi alle circostanze nelle quali ha commesso i delitti, non sono stati
riscontrati fondamenti per concludere che al momento del fatto-reato il Rîmaru si
trovasse in stato di incoscienza (totale o parziale). Al contrario, tutti i dati risultanti
dall’inchiesta insieme alle dichiarazioni e le risposte date direttamente alla
commissione di esperti dimostrano lo stato di coscienza vigile e correttamente
orientata con il quale sono state effettuate.
- Le misure con carattere medico non trovano giustificazione, essendo le sue azioni
commesse in condizioni di premeditazione, con preparazione adeguata,
intenzionalità chiara e profitto. Il trattamento medico-sociale, che nel passato
sarebbe stato utile ed efficiente, è adesso inutile. I reati gravi commessi non
possono essere giustificati da impulsi irresistibili con carattere sessuale perchè
l’aspetto sessuale è stato più volte associato ad interessi meschini come la rapina
ed il furto e anche perchè egli interrompeva le azioni ogni volta che compariva il
pericolo di essere sorpreso.
L’opinione degli esperti sull’oggetto della perizia (relazioni tra i reati commessi
e gli aspetti psicopatologici):
Gli aspetti psicopatologici di questo caso singolare, cioè di anormalità, non
hanno mai superato i limiti della psicopatia cioè di certe anomalie dei tratti di
carattere, temperamento e personalità delle quali Rimaru Ion era totalmente cosciente.
Inoltre, durante la sua evoluzione antisociale e criminale si è evidenziato uno sviluppo
progressivo di un metodo sempre più perfezionato ed elaborato nel commettere i suoi
atti criminali.
Sotto questi aspetti, la commissione di esperti psichiatrici non considera
giustificato nessun argomento che potrebbe attenuare le gravi colpe davanti alla
società e ai suoi simili.
La commissione.
17
Traian Tandin, Il caso Rîmaru, pp379-388.
l’assassino entrava approfittando delle condizioni atmosferiche peculiari (tempesta,
pioggia, vento forte) e le tramortiva con un oggetto contundente. Ogni volta, l’assassino
lasciava impronte digitali e l’orma di una scarpa militare no.42 o 43.
Nella notte del 29/30 giugno 1944 è uccisa Elena Udrea di 19 anni. La vittima
lavorava come donna di pulizie nell’immobile situato in str. Dr. Staicovici no.22, in un
quartiere residenziale di Bucarest e abitava in una stanza nel seminterrato del palazzo,
dove è attaccata mentre dorme. Quella notte era in atto una tempesta forte con pioggia
torrenziale che è durata fino all’alba, ed ciò impedì agli altri inquilini di sentire alcun
rumore.
La ragazza aveva il cranio fracassato e l’arma del delitto sembra essere stata
un’accetta. Dalla stanza non manca niente e non ci sono segni che l’assassino ha cercato
o preso qualcosa.
La camera era chiusa dall’interno, quindi è presumibile che l’assassino avesse
forzato la finestra. Infatti, si preleva un’impronta chiara dell’indice della mano sinistra
sull’infisso della finestra, più altre di tipo monodeltico utile ai fini dell’identificazione,
che però non hanno trovato un immediato riscontro nell’archivio della polizia. Sul
pavimento sono state trovate impronte di una scarpa maschile di tipo militare no. 42 che
ha determinato con approssimazione l’altezza dell’ assassino: 1,75 metri.
Nella notte del 23/24 luglio 1944 è attaccata Maria Ionescu, 36 anni, mentre
tornava a casa dal lavoro e poi trovata incosciente verso le ore 2 in un campo limitrofo
alla propria abitazione. La donna presentava profonde ferite alla testa e morirà
all’ospedale senza poter dire niente su come e chi gli avesse procurato quelle ferite
mortali.
L’esame medico-legale conclude che le ferite lasciate dal corpo contundente sul
suo cranio corrispondono a quelle inferte a Elena Udrea: lo stesso tipo e forma di ferita
fanno pensare alla stessa arma del delitto e allo stesso aggressore. Questo era sostenuto
anche dal fatto che l’aggressione si era svolta nelle stesse condizioni meteorologiche
particolari. Per di più, alla vittima non era stato preso niente.
La notte del 12/13 ottobre 1944 è uccisa Elena Locusteanu, detta anche Julieta,
in età di 17 anni. La ragazza lavorava come parrucchiera e abitava in un seminterrato in
str. Apolodor 10. Fu uccisa nel sonno con colpi d’accetta alla testa in condizioni
atmosferiche identiche a quelle degli altri delitti: pioggia torrenziale, vento forte.
Sugli infissi della finestra della camera da letto è prelevata un’impronta digitale
uguale a quella trovata nella casa di Elena Udrea e, proprio come nell’altro caso di
omicidio, dalla stanza non manca niente, quindi l’ipotesi della rapina è esclusa.
La mattina del 12 novembre 1944 è trovata morta Rozalia Coroiu, 20 anni,
colpita alla testa con un corpo contundente mentre tornava a casa. Siccome anche quella
notte aveva piovuto a dirotto, nel suolo umido si erano impregnate le orme delle scarpe
militari dell’assassino: no.42. I documenti di identità nonché le chiavi di casa ed il
portafoglio con soldi sono stati ritrovati nelle tasche della vittima: ancora una volta non
si tratta di aggressione a scopo di rapina ed il movente e l’autore rimangono sconosciuti.
Nella notte del 16/17 novembre 1944 il corpo senza vita di Maria Vizitiu è
ritrovato nella sua abitazione situata al seminterrato di un immobile situato in Strada
Nouă no.8. La ragazza è uccisa in condizioni simili: colpi d’accetta che gli hanno
sfondato il cranio, nebbia, pioggia e vento forte, e dalla stanza non manca niente.
Andando via, il criminale prende un gallo dal pollaio al quale gli strappa la testa
successivamente ritrovata nel cortile.
Il contesto storico dell’epoca (gli assassinati politici, il cambiamento di regime
politico, la riforma della polizia) hanno deviato l’attenzione dai suddetti casi, i quali
però rimarranno presenti nella memoria di Constantin Ţurai, all’epoca ufficiale
criminalista. Lui non scorderà mai il disegno papillare particolare dell’ indice della
mano sinistra, riscontrato una volta ogni 3000 persone.
A distanza di venticinque anni, nel 1970, un nuovo assassino seriale colpisce
nelle stesse identiche condizioni. Nasce la domanda: poteva essere lo stesso assassino?
Considerando che nel 1944 avrebbe avuto sui 20-25 anni, nel 1971 avrebbe dovuto
avere sui 50 anni e considerando l’agilità del criminale del ‘71 era quasi impossibile che
fosse lo stesso. Infatti, è incolpato Ion Rîmaru, giustiziato poi il 23 ottobre 1971.
Nel frattempo, il prof. Ţurai era diventato il capo del Laboratorio di
Biocriminalistica dell’Istituto di Medicina Legale di Bucarest. Il caso Rîmaru è stato
un’occasione per ricordare i terribili crimini del 1944.
Esattamente un anno dopo la morte di Rîmaru Ion, attraverso una strana
coincidenza, sul tavolo di autopsia all’Istituto Medico-Legale arriva il cadavere di un
uomo trovato morto in seguito ad una caduta dal treno in movimento in circostanze
ancora da scoprire: incidente, suicidio, omicidio? Era Florea Rîmaru, il padre di Ion.
Ufficialmente, il decesso è stato catalogato come incidente, anche se è possibile che gli
agenti della polizia segreta lo abbiano voluto eliminare.
Il suo corpo è portato all’Istituto di Medicina Legale dove il caso vuole che lo
stesso criminalista che si era occupato dei delitti del ’44 gli prende le impronte e
constata con sorpresa che sono identiche a quelle che erano state trovate vent’anni
prima sui luoghi dei delitti.
Tudorel Butoi, uno psicologo di Bucarest che si è da sempre interessato ai vari
serial killer romeni, teorizza che un gene contenente la predisposizione al crimine
violento sia stato trasmesso dal padre al figlio, considerando le circostanze più o meno
identiche delle aggressioni. Per capire tali affermazioni bisogna far riferimento a quanto
già detto in merito alla tradizione psichiatrica romena e alla sua predilezione per le
determinanti organiche in merito alla genesi delle psicopatologie. Ci troviamo
comunque di fronte ad un caso più unico che raro e cioè padre e figlio entrambi serial
killer. In epoche diverse operano con modalità in parte simili diventando probabilmente
anche complici. Ma questo legame fra padre e figlio pone anche alcuni interrogativi:
● il padre riconosciuto come l’assassino del 1944 perché ha interrotto la serie
omicidiaria?
● perchè Rîmaru alle soglie della fucilazione accusa il padre dei delitti a lui
imputati?
● in quali condizioni e attraverso quali sistemi coercitivi ha confessato Rîmaru,
ben sapendo come si svolgevano le indagini all’epoca?
● geneticamente, il padre è veramente il padre? Se ciò non è dimostrato, come
fanno certi “scienziati” a chiamare il caso “un’illustrazione della teoria del delinquente
nato”?
CAPITOLO VII
ASPETTI CRIMINOGENETICI E DI’
PERSONALITÀ. CONSIDERAZIONI SUGLI
OMICIDI
Ion Rîmaru nasce a Corabia, una cittadina al sud della Romania ed è il primo dei
tre figli di Florea ed Ecaterina. Il padre picchiava regolarmente la madre finchè non si
sono separati ed il padre si è trasferito a Bucarest, dove cominciò a lavorare come
conducente d’autobus.
Vive un’adolescenza tumultuosa: è bocciato nella prima superiore, provoca uno
scandalo pubblico quando è sorpreso a intrattenersi sessualmente con la figlia
minorenne di un suo professore, a 18 anni è condannato a cinque mesi di prigione per
furto aggravato (dei cinque ragazzi che erano andati a rubare cocomeri, è l’unico che
aggredisce il guardiano).
Nel 1966 è ammesso all’Università di Medicina Veterinaria di Bucarest con il
voto di 5.33/10. Ripete il secondo anno e, al momento del suo arresto, sta per ripetere
anche il terzo a causa di assenze e scarsi risultati scolastici. Uno dei professori lo
descrive come timido e semi letterato, con un vocabolario povero ed una ristretta area di
interessi.
I colleghi dell’università lo evitano a causa del suo comportamento bizzarro:
sfoga la sua rabbia attraverso atti di autolesionismo (quando catturato, le braccia e le
gambe presentavano più di venti cicatrici di ferite pregresse da punta di arma da taglio)
ed una libido irrefrenabile. Nel 1967, all’età di 21 anni, i medici diagnosticano una
sindrome reattivo nervosa e spasmi esofagei.
Ion Rîmaru ha quindi una storia familiare dominata della figura di un padre
autoritario con tratti psicopatologici e una madre assente con atteggiamenti di rifiuto e
abbandono. Ha difficoltà di inserimento nell’ambiente scolastico e fin dall’infanzia
appare scontroso, non socievole e taciturno. Il suo isolamento affettivo e sociale va
aumentando con il trascorrere degli anni. Le donne rappresentano unicamente un
oggetto da usare per soddisfare il desiderio sessuale e poi disfarsene. Infierisce sui
cadaveri e l’eccitamento sessuale raggiunto causa un senso di potenza e di benessere sia
fisico che psichico. La carriera criminale è favorita dal fatto che conduce una vita
isolata: non ha amici, non lega con nessuno. Anche la profonda solitudine è un aspetto
della sua personalità disturbata perchè incapace a relazionarsi col mondo esterno. Si
impadronisce di oggetti appartenenti alle
vittime, vuoi per uno scopo utilitaristico, vuoi
per un rituale feticistico nel quale una parte
dell’Altro rappresenta il tutto di cui
impossessarsi. L’idea è rinforzata dal rituale
totemico dell’introiezione dell’Altro attraverso modalità orali (cannibalismo e
vampirismo).
Le autorità investigative hanno definito il suo modus operandi come feroce e
crudele, caratterizzato dalla sua propensione a tagliare i vestiti e gli indumenti intimi
delle vittime, morderne la carne, trascinare le vittime in luoghi appartati dopo averle
tramortite in strada, accoltellarle in varie parti del corpo non solo con lo scopo di
ucciderle, stuprarle prevalentemente e ripetutamente quando queste donne si trovavano
in stato di incoscienza e spesso quando erano già morte. Rîmaru è stato definito come
aggressivo, impulsivo e sadico, mostra aspetti di vampirismo e di cannibalismo: per
esempio, fa dei tagli nel braccio di Florica Marcu e poi le succhia il sangue, morde le
parti genitali, pubiche e i seni e delle parti anatomiche strappate o tagliate alle vittime
non se ne trova più traccia in nessun luogo. Egli mostra inoltre tendenze necrofile
continuando gli stupri, i colpi e gli accoltellamenti anche dopo la morte della vittima.
Il criminologo romeno Tudorel Butoi ha visionato le registrazioni
dell’interrogatorio di Rîmaru qualche anno dopo l’esecuzione. Nella sua opinione i
delitti frenetici di Rîmaru sono una forma di compensazione per il suo complesso di
inferiorità che sentiva sin da piccolo: infatti, proviene da una famiglia povera, è timido,
disadattato socialmente ed ha sempre avuto relazioni disfunzionali con le donne.
Allo stesso tempo, Rîmaru è stato catalogato come “uomo-lupo” e Tudorel Butoi
teorizza che fosse affetto da una forma di licantropia clinica. A sostegno della sua tesi
egli evidenzia il camminare con fare predatorio, l’inseguimento, l’energia istintiva e
animalesca che deriva dalle condizioni meteo insolite e dal fatto che considera le sue
vittime come una preda. Rîmaru calcolava il percorso della vittima, seguendole verso il
proprio domicilio per alcune notti ed attaccandole quasi davanti casa. Tudorel Butoi
mette in discussione l’affermazione di Rîmaru di aver cercato di abbordare una donna in
una maniera civilizzata, considerandola come una simulazione, “scuse perverse”.
Nel XV secolo, quando veniva trovato il corpo mutilato di una donna, la
popolazione si rifiutava di credere che un altro essere umano era stato capace di
un’atrocità del genere, e quindi si finiva per concludere che fosse stata una forza
sopranaturale, come un vampiro o un uomo-lupo a uccidere la donna con tale violenza
selvaggia. Ogni volta che una sagoma umana fosse avvistata nelle vicinanze della scena
del crimine si pensava che l’essere umano si fosse trasformato in un lupo, aveva
commesso il crimine e poi si sarebbe ritrasformato in uomo. La credenza in licantropia
(dal greco lykos, lupo e anthropos, uomo) è abbinata al ciclo lunare e alla convinzione
che la luna piena favorisce la trasformazione. Cercare oggi le spiegazioni di un
comportamento criminale in una tale tesi è assurdo.
Krafft-Ebing18 nota che alle soglie della civiltà umana, gli uomini del periodo
premoderno utilizzavano spesso la violenza e l’aggressione per ottenere le femmine
necessarie alla propagazione della specie. In questo senso, il comportamento di Rîmaru
ripresenterebbe un’illustrazione di una pratica atavica, con la differenza che l’istinto di
vita è pervertito. Gli omicidi però soddisfano la propria necessità di un soddisfacimento
sessuale.
Le aggressioni rivelano sempre lo stesso modus operandi: l’assassino sceglie le
vittime che rientrano a casa nelle ore notturne, aggredendole di solito vicino alla loro
abitazione. La mappa mentale comprende i posti di massima accessibilità alla vittima: i
nodi (stazioni di autobus o cortili condominiali) e le rotte giornaliere percorse dalle
donne. La dinamica dei delitti ed il suo blocco-notes evidenziano come il criminale
pianifichi attentamente il crimine. L’esame medico legale e l’analisi della scena del
crimine mostrano che le vittime sono state stuprate nel momento della morte.
Sessualmente competente, si sente più a suo agio compiendo il rapporto sessuale con il
cadavere, o quanto meno con una donna che non reagisce. Si può dire che è intimorito
dalle donne ed ha un problema relazionale con il sesso opposto che probabilmente
proviene dalle indicazioni paterne. I suoi elementi psico-patologici sono stati rinforzati
dalla psicopatologia del padre che mostrava anch’esso segni di un grave disturbo nella
relazione con il mondo femminile, tanto che diceva al figlio che le donne devono essere
picchiate. Il padre lo consiglia di inserirsi nella facoltà di scienze perché è frequentata
da molte ragazze. E’ stato sempre il padre a dargli un “consiglio utile” per favorire
l’avvicinamento delle ragazze: “Picchiale!” e poi dichiara che se lui ritornasse giovane
un’altra volta e avesse voglia di una ragazza, l’avrebbe trafitta con un ferro e poi
l’avrebbe violentata.
La relazione padre-madre rispecchia i canoni di una relazione vittima-carnefice e
quindi lui probabilmente ripete ossessivamente la stessa modalità che vedeva in casa. Di
fatti lui ripeteva all’infinito questa situazione, cercando una soluzione per la sua
18
Krafft-Ebing (1886), Psychopatia Sexualis, p.60.
impotenza. Il necrofilo è da ritenersi assolutamente incapace di rapportarsi a una donna
viva e quindi ricorre ai cadaveri delle sue vittime per cercare di soddisfare il proprio
bisogno di amore, passione, sessualità.
Lui si relaziona con un oggetto inanimato e ha bisogno di possedere
completamente la vittima. In questo modo cerca probabilmente e disperatamente di
riproporre la relazione con la madre in cui lui ha rappresentato l’oggetto in totale
possesso della stessa, privato di qualsiasi attributo di identità. Egli ripropone tale
modalità relazionale con le vittime invertendo però i ruoli: ora è lui che può possedere
totalmente l’altro a cui nega qualsiasi identità propria e lo fa diventare solo oggetto dei
propri bisogni perversi. Tale modalità perversa di relazionarsi originatasi attraverso il
rapporto con la madre nei primissimi anni di vita è stata poi ulteriormente confermata e
sostenuta dalla relazione con un padre anch’esso perverso e psicopatico. Tant’è che lui
stesso da piccolo aggrediva la madre imitando il padre. Il suo comportamento si è
sviluppato in modo univoco in relazione ai fattori ambientali e biologici. Gli psicopatici
necrofili ottengono il soddisfacimento sessuale quando hanno il dominio completo sul
corpo di un essere umano. Il senso di potere totale agisce come un afrodisiaco e dissipa
anche la paura dell’inadeguatezza nella prestazione sessuale con le donne19.
I cadaveri/corpi delle vittime sono abbandonati in una posizione e/o luogo che
facilita il ritrovamento. Lasciandole con le gambe divaricate, il criminale intende
umiliare e ulteriormente degradare la vittima, provocando uno shock a chi scoprirà il
cadavere. Mostra i segni di un disturbo ossessivo – compulsivo in quanto sistema nei
due dei omicidi le scarpe delle vittime una accanto all’altra, sotto una panchina nel
omicidio Gheorghiţa Popa e sopra un muretto dopo l’uccisione di Mihaela Ursu. Per di
più, il Rîmaru ha un blocco-notes dove annota tutte le mosse utilizzando un codice
cifrato. Si autodefinisce come “l’uomo che ammazza donne” e si rimprovera per la
perdita del certificato medico. Ha l’idea che le donne hanno un’attenzione particolare al
suo riguardo: “Sembrava che me lo facevano apposta, quando sull’ autobus alzavano le
loro gonne per sedersi”.
Il suo comportamento criminale non è influenzato dalla reazione delle vittime.
Rîmaru utilizza un approccio a blitz20 ed un alto livello di forza che ha come scopo
19
Robert Simon, (1997), I buoni lo sognanao, i cattivi lo fanno, p.50.
20
Blitz: utilizzo immediato della forza per vanificare ogni possibile reazione della vittima (Burgess & Warren, The
Serial Rapist: His Characteristics and Victims in Picozzi, Zappalà, Criminal profiling, p.109)
l’annientazione immediata della vittima. Catalogato come killer che uccide per piacere
(Lust Killer), lui ha bisogno di un contatto di tipo fisico, “a pelle”, con la vittima ed è
ciò che avviene sotto la forma di un brutale assalto che esige un contatto diretto con il
corpo della donna.
La dose di violenza messa in atto dall’aggressore è significativa per i suoi
bisogni emozionali e motivazionali. Lui non vuole interagire, ma avere sin da subito il
controllo totale sulla vittima e ciò mostra il conflitto sottostante con il mondo femminile
e la mancanza di empatia e comprensione. Il controllo totale è l’unico modo per
sconfiggere i propri sentimenti di inadeguatezza ed i complessi di inferiorità.
Il bisogno di controllo sugli altri si evidenzia già nell’ infanzia di Ion Rîmaru, il
quale provocava sempre i compagni di classe ed era noto per il suo comportamento
aggressivo nei confronti degli altri ragazzini, i quali venivano intimiditi con le minacce
e con manifestazioni di violenza diretta.
Infliggere il dolore è un mezzo per creare sofferenza e provocare le risposte
desiderate di ubbidienza, sottomissione, umiliazione, paura e terrore. Poichè queste
possono essere le caratteristiche del sadico sessuale21 che si eccita in risposta alla
sofferenza altrui, non consideriamo che Ion Rîmaru appartenga a questa categoria. I suoi
desideri sessuali sono centrati sul cadavere o quantomeno sulla vittima completamente
inattiva. Lui non tortura le vittime prima di ammazzarle e non mostra nessun interesse
di tenere la vittima in vita il più a lungo possibile per poter godere della sua sofferenza.
Ha desideri necrofili in quanto non è il dolore esplicito della vittima a determinare
l’eccitamento sessuale ma il suo bisogno di relazionarsi con una vittima – oggetto -
inanimato che non gli risvegli e non gli ricordi le sue angosce. Dimostra rabbia e
overkilling che rappresentano un tema costante di dominio sul corpo inerme derivati
dall’ira e dalla collera di non poter sostenere un rapporto con una donna viva. Il
possedere e dominare l’Altro in quanto “cosa” e non come “persona” dà il massimo di
sensazione di onnipotenza e di piacere e il minimo di ansia relazionale, anche se in
questo modo si attua un’inversione di un istinto.
I cadaveri presentano quasi sempre segni di taglio o accoltellamento, in modo
particolare al petto o al livello genitale; sono frequenti i morsi della pelle, a volte un
desiderio di bere sangue e di mangiare la carne.
21
Dietz et all, The Criminal Sexual Sadist, in Practical Aspects of Rape Investigation, pp.361-362
Il dizionario Zingarelli fornisce la definizione odierna del sadismo: “Tendenza
ad associare la soddisfazione sessuale con l’infliggere dolori al compagno”. Nel 1886,
Krafft-Ebing aveva una visione diversa in quanto definiva il sadismo sessuale come
dovuto “al dominio e controllo totale di un oggetto umano impossibilitato a difendersi”
e “al desiderio di sottomettere completamente una donna”, senza fare la differenza tra
il comportamento sadico attuato sul vivente o sul cadavere. Il DSM IV include il
sadismo tra le parafilie sessuali:
“…implica azioni (reali, non simulate) in cui il soggetto ricava eccitazione
sessuale dalla sofferenza psicologica o fisica (inclusa l’umiliazione) della vittima.
Alcuni soggetti con questa parafilia sono infastiditi dalle loro fantasie sadiche, che
possono essere evocate durante l’attività sessuale ma non agite altrimenti; in
questo caso le fantasie sadiche di solito implicano il fatto di avere un controllo
completo sulla vittima, che è terrorizzata dall’anticipazione dell’atto sadico
imminente. […] Ancora altri soggetti con Sadismo Sessuale agiscono i propri impulsi
sessuali sadici con vittime non consenzienti. In tutti questi casi, è la sofferenza
della vittima che è sessualmente eccitante (s.n.). Le fantasie o gli atti sadici
possono comportare attività che indicano il dominio del soggetto sulla vittima (per
es. forzare la vittima a camminare carponi, o chiudere la vittima in una gabbia)…”
allontanandosi dal concetto originale veicolato dal Krafft-Ebbing nel quale il
potere, il dominio ed il controllo prevalgono sulla sofferenza della vittima.
L’Autore pensa che la vittima incosciente oppure deceduta non può offrire al
sadico quel tipo di feedback necessario per l’eccitamento sessuale (non piange, non
grida, non implora, non lotta, non reagisce in alcun modo). Ecco perché gli atti
postmortem (come necrofilia) oppure gli atti inflitti sulla vittima incosciente non
possono essere descritti come sadici22. Come già detto sopra la più grande soddisfazione
del sadico deriva dalla risposta della vittima alla tortura inflitta.
Cert’è che un complesso di fattori individuali, familiari, ambientali e sociali ha
fatto sì che il binomio “piacere sessuale – violenza” si è strutturato sotto forma di
comportamento non più modificabile e non più rinunciabile. Come la maggior parte dei
serial killer, Ion Rîmaru sapeva esattamente quello che stava facendo, e anche se può
controllare la sua azione fino ad un certo punto, sceglie di non farlo perché ricava
sollievo dallo stato di tensione nel quale si trova: Rîmaru dichiara che uccideva “per
rinfrescarsi sessualmente”.
22
Brent Turvey, Criminal Profiling, p.448
Di solito, il killer che uccide per ottenere piacere è organizzato, se non altro
perché si è preparato ai suoi crimini con complesse fantasie maturate nel corso degli
anni. Rîmaru non fa eccezione, come risulta dalla tabela 1.
Tabela 1
DIFFERENTI SCENE DEL CRIMINE IN OMICIDI ORGANIZZATI E DISORGANIZZATI
RIMARU
ORGANIZZATO DISORGANIZZATO