Criminal Profiling Il Caso Rimaru - Tatiana Tudurache

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“One sin, I know, another doth provoke;

murder’s as near to lust as flame to smoke”


(Shakespeare, Pericles, I, 1)
“In the intercourse of the sexes, the active or aggressive
role belongs to man… This aggressive character, however,
under pathological conditions, may likewise be excessively
developed, and express itself in an impulse to subdue
absolutely the object of desire, even to destroy or kill it.”
(Krafft-Ebing, Psycopathia Sexualis)

INTRODUZIONE

I sentimenti che ho sempre provato e che credo appartengano a molti di fronte ad


un omicida seriale è l'incredulità e lo stupore. L'apparente assenza di movente, la
serialità, la ripetizione accompagnata dalla mostruosità dell'azione portano
inevitabilmente a domandarsi: perché si commettono crimini così atroci? È davvero la
follia a fare di un uomo un serial killer?

Il motivo dell'interesse per gli assassini seriali deriva dal fatto che questi soggetti
rappresentano quanto di più vicino al concetto di cattiveria assoluta: uomini che
agiscono svincolati da ragioni di carattere passionale o vendicativo, con un movente che
consiste nell'uccidere perché dalla morte altrui si trae un piacere diretto o indiretto.
Questo è ciò che avvicina il serial killer al dominio del male più totale: prevale la
distruzione sulla costruzione, la morte rispetto alla vita, l'orrore rispetto al piacere.
L'assassino seriale rappresenta, per definizione, la negazione stessa della società
organizzata, l'annullamento del rispetto e della solidarietà. Proprio lo sgretolamento del
tradizionale valore intrinseco della vita umana è una delle costanti dell'omicidio seriale.

Di fronte ad un'aggressività e ad una violenza spropositate e gratuite, tutti


tendono ad attribuire alla follia, a riversare negli altri, ciò che ci genera paura;
l'importante è placare quell'angoscia dell'incomprensibile che suscitano taluni eventi e
talune condotte. Del resto, è insito nella natura umana il bisogno di collocare tutto
quanto accade nel grembo di una spiegazione generale che dia certezza. È la necessità di
rassicurazione che spinge a fare questo, proprio perché ciò che viene spiegato appare,
naturalmente, meno angoscioso di ciò che non si comprende.

Nella seconda metà del 1970 e l’inizio del 1971 Bucarest fu sconvolta da una
serie di crimini di una ferocia senza precedenti: utilizzando diverse armi come l’accetta,
una sbarra di ferro o il coltello, un individuo sconosciuto attaccava le donne che
tornavano da sole a casa dal lavoro. Prevalentemente colpiva dopo mezzanotte
avvantaggiandosi di condizioni atmosferiche a lui favorevoli: tempeste di neve, pioggia
e vento forte, nebbia o comunque freddo.
A causa del rifiuto delle forze di polizia di divulgare informazioni corrette sugli
omicidi, la paura prese proporzioni ingiustificate: le donne non uscivano più di casa
dopo le nove di sera, se non accompagnate. Solo dopo diversi delitti, le autorità
comuniste dichiararono di trovarsi davanti a un serial killer e dopo un anno di inchiesta
Rîmaru venne catturato il 27 maggio del 1971.
L’indizio che portò al suo arresto fu un frammento di certificato medico intestato
all’Ospedale Studentesco Bucarest e trovato sotto il corpo di una delle sue vittime che
inoltre stringeva tra le dita alcuni capelli dell’assassino. A distanza di undici giorni, gli
investigatori riuscirono a stabilire che il certificato medico era stato rilasciato
dall’ambulatorio del dottor Octavian Ienişte nel marzo del 1971. Questo aveva visitato
ottantatre studenti in quel mese dei quali soltanto quindici non avevano presentato i
certificati agli uffici dell’università. Le forze di polizia controllarono quindi tutti i
sospetti ed il 27 maggio 1970 venne eseguita una perquisizione nella stanza di Rîmaru
Ion all’alloggio studentesco. Verso l’una di notte arrivò anche il sospettato e dentro la
sua borsa furono ritrovate un’accetta ed un coltello. Le testimonianze delle vittime
sopravissute, insieme ad altre prove inconfutabili non lasciarono ombra di dubbio: era
lui l’assassino.
I delitti a suo carico erano:
1° Elena Oprea – 8/9 aprile 1970 – tentato omicidio (non stuprata perché l’arrivo
di un vicino lo spaventò facendolo fuggire);
2° Florica Marcu – 1/2 giugno 1970 – stupro (colpita alla testa davanti casa sua e
portata in stato di semicoscienza nel cimitero Sfânta Vineri, fu spinta brutalmente sopra
il muretto, violentata e accoltellata; l’assassino le succhiò il sangue dalle ferite. Non
venne uccisa per l’arrivo provvidenziale di un camionista);
3° OCL Negozio “Confecţia” – 19/20 luglio 1970 – furto a danno della proprietà
pubblica;
4° Margareta Hanganu – 24 luglio 1970 – furto aggravato;
5° Olga Bărăitaru – 22/23 novembre 1970 – tentato omicidio aggravato, stupro e
furto aggravato;
6° Gheorghiţa Sfetcu - 15/16 febbraio 1971 – tentato omicidio aggravato e furto
aggravato;
7° Elisabeta Florea – 17/18 febbraio 1971 – tentato omicidio aggravato;
8° Fănica Ilie – 4/5 marzo 1971 – omicidio aggravato premeditato, stupro e furto
aggravato;
9° Gheorghiţa Popa – 8/9 aprile 1971 – omicidio aggravato, stupro e furto
aggravato (48 coltellate alla testa, al petto, all’inguine e gambe, cinque colpi di piccone
alla testa, contusioni toraco - addominali, la zona pubica lacerata con i denti);
10° Stana Sǎrǎcin - 1/2 maggio 1971 – tentato stupro;
11° Mihaela Ursu - 4/5 maggio 1971 – omicidio aggravato, stupro;
12° Maria Iordache – 4/5 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato (attaccata
due ore dopo Mihaela Ursu, riuscì a scappare quando all’aggressore sfuggì di mano la
sbarra di ferro con cui la colpiva da dietro);
13° Viorica Tatu – 6/7 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato;
14° Elena Buluci - 6/7 maggio 1971 – tentato omicidio aggravato;
15° Iuliana Funzinschi – maggio 1971 – furto aggravato in danno della proprietà
pubblica e privata.

Dopo l’arresto, Rîmaru rimase in silenzio per il resto della giornata, guardando
attonito nel vuoto. Come risposta al suo rifiuto di parlare, i poliziotti pensarono ad una
strategia e introdussero nella sua cella un presunto ladro, in realtà uno di loro, con il
compito di farlo parlare.
Dopo due mesi di interrogatorio, Rîmaru confessò ventitrè delitti. In realtà, al
momento dell’arresto lui fu accusato soltanto di tre omicidi; gli altri reati (un altro
omicidio, sei tentati omicidi, cinque stupri, un tentato stupro e sette furti) vennero
confessati da lui successivamente o rivelati dal proprio padre. Rîmaru durante il
processo tentò di convincere le autorità che non era capace di intendere e di volere e che
non si rendeva conto che le donne potessero morire. Il terrore da lui seminato fu cosi
grande che le vittime sopravissute e portate a fare l’identificazione cominciavano a
tremare quando i loro sguardi si incrociavano con gli occhi di Rîmaru.
Le autorità ipotizzarono che il padre fosse a conoscenza delle attività delittuose
del figlio perché a volte gli lavava alcuni indumenti sporchi di sangue e anzi si ipotizzò
che il padre stesso abbia potuto non solo aiutare il figlio ma addirittura ispirarlo.
Durante l’inchiesta, il padre venne arrestato tre volte, pero ogni volta fu rilasciato sia
perché i familiari stretti non possono essere costretti a testimoniare contro gli altri
membri della famiglia sia per la scarsità di prove a suo carico. Dopo l’ultimo reato di
Ion di derubare una cassiera, la mamma andò a fargli visita presso l’alloggio
studentesco e trovò i soldi sotto il cuscino. Informatone il padre questi si recò da Ion che
gli fa vedere dove e come era successo. Il padre prese i soldi e li nascose nella sua casa
di Caracal, con l’intento di comprare una casa nuova, e gli sottrasse l’accetta ed il
coltello, che Rîmaru era andato a prendere il giorno dell’arresto.
Il processo suscitò nella opinione pubblica romena un interesse senza precedenti:
Rîmaru sperava, inoltre, di aver convinto la giuria della sua insanità mentale, quindi
rimase molto sorpreso quando fu ritenuto capace di intendere e di volere e condannato a
morte. A quel punto tentò di cambiare immediatamente la sua deposizione, ritirando
tutto ciò che aveva detto in precedenza e si rifiutò di rispondere alle domande del suo
avvocato. Nonostante ciò, l’appello fu respinto dal Tribunale Supremo che mantenne la
sentenza a morte.
Il 23 ottobre 1971 Ion Rîmaru fu portato alla prigione Jilava con un furgoncino,
successivamente e ironicamente venne trascinato come lui aveva fatto tante volte con le
sue vittime, al posto dell’esecuzione e qui fucilato. I tre membri del comando di
esecuzione lo legarono faticosamente ad un albero, perché era in uno stato di forte
agitazione, cercava di mordere i vestiti e riuscì comunque a girarsi intorno all’albero,
gridando continuamente: “Chiamate mio padre, cosi può vedere che mi sta succedendo!
Fatelo venire! È lui l’unico colpevole!”. Chiestogli di esprimere l’ultimo desiderio, egli
risponse: “Voglio vivere!”. A causa del suo costante movimento fu difficile sparargli
frontalmente, infatti le pallottole lo colpirono tutte da dietro. Fu sepolto nel cimitero
della città, a cinque kilometri dalla prigione; la sua tomba è rimasta anonima non
recando il suo nome.
CAPITOLO 1: SERIAL KILLER & CRIMINAL
PROFILING

1.1. I SERIAL KILLER


Inoltrarsi nel mondo dei serial killer è una sfida in quanto sono sempre stati
considerati personaggi enigmatici: le loro uccisioni non sembrano, infatti, avere alcun
senso immediatamente evidente. Le vittime sono spesso persone a loro del tutto
sconosciute e prive di qualsiasi colpa punibile con la morte.
Ma chi sono i serial killer? Nonostante oggi se ne parla quasi quotidianamente,
esiste una grande confusione in quanto il termine è a volte utilizzato come un
contenitore onnicomprensivo in cui sono inseriti indistintamente tutti i casi in cui un
assassinio uccide più di una vittima.
In accordo con il Crime Classification Manual (1992), testo di riferimento in
materia, possiamo dividere gli assassini multipli in tre categorie – ad eccezione dei
double killer che uccidono due vittime nello stesso tempo ed in un solo luogo, e dei
triple killer, che uccidono tre vittime nelle stesse condizioni:
• Mass Murderer (“assassino di massa”): uccide quattro o più vittime in un
medesimo luogo, in uno stesso evento. Il soggetto non conosce le sue vittime,
che per lo più, sono scelte casualmente.
• Spree Killer (“assassino compulsivo”): uccide due o più vittime in luoghi diversi
ed in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti spesso hanno un’unica
causa scatenante e sono tra loro concatenati; anche in questo caso, il soggetto
non conosce le vittime, e dato che non nasconde le sue tracce, tende ad essere
catturato facilmente.
• Serial Murderer (“assassino seriale”): uccide tre o più vittime in luoghi diversi e
con un periodo di «raffreddamento» emotivo (cooling off time) fra un omicidio e
l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima;
può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima; spesso, si ritiene
invincibile e quindi ama sfidare le forze dell’ordine.
Il crimine seriale quindi è un tipo particolare di violenza situato nella categoria
dell’omicidio plurimo. Il serial killer è stato recentemente definito da Holmes &
Holmes1 come un soggetto che uccide ripetutamente, ad intervalli di tempo variabili (da
poche ore a mesi e perfino ad anni) con una coazione a ripetere che viene interrotta solo
dall’arresto o dalla morte del mostro stesso. La vittima in genere è una persona
sconosciuta o della quale egli ha una conoscenza solo superficiale. Essa non svolge
un’azione induttrice diretta sull’omicida. Mancano motivi apparenti o espliciti quali la
vendetta, il lucro, la passione, l’ira o il litigio2.
La maggior parte delle vittime sono giovani donne che hanno un’età compresa
tra i 15 e i 24 anni. I serial killer si servono di armi “impugnabili” (ossia uccidono con
corpi contundenti o addirittura a mani nude) e anche lo strangolamento ricorre sovente.
Il fatto che l’omicidio possa apparire privo di senso al profano non significa che
non ne possiede alcuno in termini assoluti.
Per capire l’omicida seriale occorre capire le motivazioni ed il tipo di incentivo,
di ordine prettamente psicologico, che hanno ispirato l’opera dell’assassino. In base al
significato che il delitto e le sue modalità possano avere per l’omicida, Holmes &
Holmes3 hanno sviluppato una classificazione che include quattro differenti tipi di
serial killer:
• The Visionary Serial Killer (“l’allucinato”): è uno psicotico e soffre di un grave
distacco dalla realtà. Una voce interiore o un’apparizione gli ordina di uccidere.
• The Mission Serial Killer (il “missionario”): questo soggetto, che non è
francamente psicotico, si assume il compito di “liberare” il mondo o la comunità
da un gruppo di persone da lui considerate indesiderabili. Si suddividono in due
gruppi: gli inviati del diavolo e gli inviati di Dio.
• The Hedonistic4 Serial Murderer (“l’edonista”). Questa categoria ha tre
sottotipi:
 The Lust Killer (l’omicida orientato al piacere sessuale);
 The Thrill Killer (l’omicida che cerca il brivido);
 The Comfort Killer (uccide per tornaconto personale).
I primi due sottotipi sono simili in quanto entrambi hanno stabilito una
connessione totale tra la violenza personale e la gratificazione sessuale, con la

1
R.M. Holmes, S.T. Holmes, Omicidi seriali, p.40.
2
Ressler R.K., Burgess A. W., Douglas J. E., Sexual Homicide: Patterns and Motives, p.5
3
R.M. Holmes, S.T. Holmes, op.cit., p.82.
4
L’edonismo va qui inteso come una serie di atti aggressivi attuati per procurarsi il piacere.
differenza che nel caso del lust killer atti di necrofilia possono accompagnare
l’uccisione; per il killer che cerca il brivido, invece, è importante che gli atti di
violenza avvengano quando la vittima è ancora viva. L’omicida per tornaconto
personale uccide per soddisfare aspettative di tipo materiale.
• The Power/Controll Serial Killer (l’assassino orientato al controllo e al dominio
della vittima): desidera soggiogare totalmente la sua vittima e ama l’idea che il
destino di quest’ultima sia nelle sue mani.
Non esiste una causa unica che trasforma un individuo in un assassino seriale,
ma una serie di fattori di tipo biologico, psicologico e socio-ambientale che facilitano
l’insorgenza di questo comportamento e che hanno diversa rilevanza secondo la
persona. Escludendo quei soggetti con una malattia psichiatrica che inficia il contatto
con la realtà causando allucinazioni e deliri di varia natura, la maggior parte dei serial
killer viene definita, nel linguaggio comune, “psicopatica”. Per di più, quasi sempre
riscontriamo la presenza di una o più perversioni sessuali.
“… i dati a nostra disposizione dimostrano che non esiste una predisposizione a
diventare serial killer, ma che si entri nella «categoria» attraverso un lungo percorso che
comincia proprio nell’infanzia, con i primi traumi e le prime angosciose situazioni da
superare. Si innescano le prime perversioni che si stabilizzano con il tempo e che fanno
in modo che un soggetto maturi disposizioni psichiche molto particolari. Le
intenzionalità sono deviate fin negli impulsi più profondi a tal punto da spingere i serial
killer a trovare maggiore piacere nel manipolare il corpo di un essere umano deceduto,
piuttosto che intrattenere una normale relazione con una persona viva5.”
Il fattore che sta alla base del comportamento omicidiario seriale è una
particolare condizione psicopatologica di tipo parafilico denominata necromania, una
perversione dell’istinto della vita che determina un interesse patologico per la morte,
esperito mediante il dare la morte ed il contatto successivo col cadavere. È un bisogno
compulsivo, ossia un impulso irresistibile a ricercare il contatto diretto con la morte. Il
carattere compulsivo di tale bisogno spinge il necromane ad uccidere ripetutamente.
Infatti, la serie omicidiaria può essere interrotta solo da un fattore esterno alla sua
volontà: l’arresto, la cura o la morte.

5
F. Bruno, M. Mariotti, L’impronta del mostro, p.68.
1.2. IL CRIMINAL PROFILING
Il criminal profiling si pone come obiettivo quello di tracciare un profilo
psicologico – comportamentale dell’autore di un reato mediante l’analisi delle
informazioni raccolte sulla scena del crimine, degli elementi di acquisizione autoptica,
della rigorosa ricostruzione delle modalità di accadimento del delitto, al fine di poter
fornire un aiuto investigativo senza alcuna pretesa di prova.
Il criminal profiling ha radici antiche, ma storia recente: “È certamente con la
fine degli anni ’70, presso l’Accademia dell’FBI a Quantico, in particolare alla
Behavioral Science Unit, che si stabiliscono i primi seri e sistematici tentativi di studio
volti a provare l’utilità del profiling come strumento nelle indagini investigative6”.
Il criminal profiling parte dall’analisi delle prove rivenute sulla scena del
crimine e della ricostruzione della dinamica dell’evento basata su tali prove per
affrontare la questione del “perché ciò è accaduto” e “cosa questo ci racconta del
soggetto che lo ha compiuto”.
Non esiste una metodologia unica ed universalmente accettata nell’approccio al
criminal profiling, ma vi sono tuttavia alcuni elementi fondamentali per la costruzione
di un profilo psicologico che vengono riconosciuti da tutti i principali esperti del settore
benché vengano trattati in maniera differente da ognuno di essi, che sono l’analisi della
scena del crimine; lo studio della vittima e delle possibili relazioni con il suo
aggressore, ed il case-linkage.

 Crime Scene Analysis


Il modello di indagine dell’F.B.I. riguardante lo stilare un profilo psicologico del
criminale autore di omicidi seriali o crimini violenti consta in sei fasi che però sono
state oggetto di forti critiche poiché riflettono un tipo di ragionamento induttivo che
parte dalle interviste ai criminali in carcere per poter delineare i profili psicologici e le
ipotesi sulle caratteristiche di autori sconosciuti di un certo crimine.
Le fasi del modello F.B.I. sono così sviluppate :
1. Profiling Inputs (Raccolta di tutte le informazioni disponibili tranne i sospetti
della polizia);
2. Decision Process Models (consiste nell’organizzare il materiale informativo in

6
Picozzi, Zapallà, Criminal Profiling, p.103
domande che hanno significato ed in schemi riguardanti le molte dimensioni
dell’attività criminale);
3. Crime Assessment (prima ricostruzione del comportamento dell’assassino e
della sua vittima);
4. Criminal Profile (descrizione delle più probabili caratteristiche del soggetto);
5. Investigation (rapporto scritto dato agli investigatori);
6. Apprehension (arresto del sospettato).
La definizione di una tipologia di aggressori suddivisa in organizzati e
disorganizzati rappresenta il contributo dell’FBI più noto nello studio del profiling.
Nasce da un’esigenza investigativa di semplificazione e dal bisogno di un linguaggio
condiviso dalle forze dell’ordine che non utilizza termini psicologici e psichiatrici
potenzialmente fonte di confusione per i non addetti ai lavori. Però dobbiamo
considerare che le caratteristiche di una scena del crimine o di un criminale raramente
sono del tutto organizzate o disorganizzate ed è più probabile di essere situate lungo un
continuo che va da un estremo all’altro7. Ne consegue che anche il serial killer
“organizzato” possiede caratteristiche comportamentali di “disorganizzazione” come
conseguenza di un repertorio variabile, adattabile e modulabile e non fisso e
sclerotizzato di risposte comportamentali.

 Il modello di Ronald Holmes e Stephen Holmes


La posizione dei due autori non solo differisce dall’approccio adottato
dall’F.B.I., ma appare anche fortemente critica nei suoi riguardi. Per Holmes & Holmes
l’offender profiling deve contribuire alla :
1. valutazione psicologica e sociologica dell’aggressore;
2. valutazione psicologica degli oggetti personali trovati in possesso del presunto
colpevole;
3. suggerimento di strategie per l’interrogatorio del soggetto.
Il modello sviluppato secondo queste teorizzazioni si basa sui seguenti assunti :
● La personalità di un individuo non cambia radicalmente nel corso del tempo;
● Il comportamento riflette la personalità;
● Persone diverse con personalità ”simili” si comportano in maniera simile.

7
Burgess et al, Crime Classification Manual, p.9
Per cui :
► I crimini compiuti da un soggetto non cambiano nel corso del tempo;
► La scena del crimine rifletta la personalità dell’autore del reato;
► Criminali diverso con personalità “simile” compiono crimini simili.

 David Canter e l’Investigative Psychology


Attraverso caratteristiche importanti e studi sulle modalità di interazione tra
vittima e aggressore, David Canter ha elaborato un modello centrato su cinque aspetti
fondamentali che si basa sull’assunto che l’aggressore si relaziona alla vittima con
modalità analoghe a come si rapporta con altri soggetti nel quotidiano. Di conseguenza,
variazioni nell’attività criminale possono essere collegate a modificazioni nelle relazioni
interpersonali.
Il modello della psicologia investigativa si basa su cinque aspetti derivanti dalla
combinazione di elementi propri della vittima ed elementi propri dell’autore
dell’aggressione:
1. La coerenza interpersonale: gli assassini si comportano con le loro vittime
così come si comportano con la gente nella vita di tutti i giorni;
2. Il significato del tempo e del luogo: poiché il luogo e l’ora vengono
principalmente scelti dall’aggressore, questi possono dare indicazioni
riguardanti il luogo in cui abita, lavora o passa il suo tempo libero;
3. Le caratteristiche criminali: le modalità di esecuzione del crimine e le
particolarità della scena dell’aggressione sono utilizzate dai ricercatori per
sviluppare sistemi di classificazione di specifiche tipologie di criminali;
4. La carriera criminale: appare fondamentale determinare se l’aggressore sia stato
coinvolto nel passato in attività criminali e, specificatamente, quali reati abbia
con maggior frequenza commesso;
5. La conoscenza della legge e dei meccanismi della polizia: è qualunque tipo di
prova che possa far pensare che l’aggressore sia a conoscenza delle tecniche
relative all’acquisizione di prove, o ne sia del tutto ignaro.
 Brent Turvey e la Behavioral Evidence Analysis
Tale modello comportamentale si basa sull’assunto che durante l’interrogatorio, la
maggior parte dei criminali mente e che spesso, anche la trascrizione più oggettiva di un
dato crimine, altro non è che una ricostruzione dei fatti realmente accaduti. Tale metodo
si divide in quattro fasi :
1. Equivocal Forensic Analysis: scopo di questo stadio è quello di formulare una
prima interpretazione delle prove;
2. Victimology: consiste nell’analisi accurata di tutte le informazioni riguardanti e
provenienti dalla vittima;
3. Crime Scene Characteristics: tratta le caratteristiche distintive della scena del
crimine che apportano informazioni sul comportamento decisionale
dell’aggressore riguardo la scelta della vittima e del luogo;
4. Offender Characteristics: è lo stadio ch porta alla stesura del profilo
comportamentale e personologico dell’autore del crimine.
Queste quattro fasi possono essere utilizzate in due momenti o fasi principali:
ovvero nella fase investigativa (inductive criminal profiling) e nella fase del processo
(deductive criminal profiling). La prima riguarda la fase iniziale di un crimine in cui
l’autore è sconosciuto e permette di ridurre il numero dei sospetti, collegare il crimine in
questione con altri delitti, valutare la possibile escalation di violenza, suggerire e fornire
modelli da seguire per gli investigatori. La seconda si riferisce invece ai crimini in cui
l’autore è noto e serve principalmente nello sviluppo delle strategie di interrogatorio
avvalendosi della comprensione dello stato mentale dell’aggressore.

 Il modello di Vernon Geberth & R. N. Turco


È un modello a quattro fasi:
1. Analisi della scena del crimine intesa come un test proiettivo di personalità;
2. Riferimento alla discontrol syndrome necessaria per interpretare il
comportamento criminale;
3. Elaborazione del profilo che offra una valutazione delle interazioni ed
espressioni dei primi tre anni di vita dell’offender;
4. Lo studio delle caratteristiche demografiche del crimine.
 Geographical Profiling
L’obiettivo del profilo geografico è quello di delimitare un’area geografica quale
probabile luogo di residenza del reo, autore di una serie di crimini. La presunta
conoscenza della zona in cui è più probabile che il ricercato risieda permette un
razionale impiego delle forze impegnate nelle indagini e rappresenta un criterio
aggiuntivo per l’elaborazione della lista dei sospetti.
E’ un metodo elaborato presso il dipartimento di Psicologia Investigativa di
Liverpool diretto dal prof. Canter e basato sui seguenti aspetti:
1. Si deve trattare di crimini che possono, con una certa ragionevolezza, essere
collegati tra loro cioè commessi da un unico aggressore;
2. Devono esserci almeno cinque delitti nella serie perché effettuando analisi
geografiche con un numero inferiore, la probabilità di localizzazione decresce.
Ogni informazione geografica relativa alle caratteristiche delle vittime deve essere
tenuta in particolare considerazione come la dislocazione areale del crimine e le strade
di collegamento. Possibilmente, l’esame dettagliato della scena del crimine, della
disposizione del cadavere e delle fotografie della zona si debe avvalere del metodo
computerizzato.
La conoscenza del profilo territoriale si affianca a quello psicologico e si
caratterizza in due componenti principali: una oggettiva (basata su procedure statistiche
e quantitative per stabilire zone di maggiore probabilità di localizzazione
dell’aggressore) ed una soggettiva (ricostruzione ed interpretazione della mappa
mentale dell’aggressore con le interazioni provenienti dal profilo psicologico).
La scelta del luogo, da parte dell’autore del crimine è influenzata da diversi fattori,
prima di tutto dal principo del minimo sforzo secondo cui, a parità di altre condizioni, il
serial killer sceglierà come luogo d’azione quello più vicino al suo punto di partenza.
Altri fattori che influiscono sono: la disponibilità di un determinato mezzo di
trasporto, l’appetibilità delle zone d’origine e di destinazione per effettuare lo
spostamento e la familiarità con le vie di comunicazione con la presenza, quantità e
qualità delle barriere geografiche ovvero di strade alternative.
In generale, le principali osservazioni basate su tali studi portano a concludere che:
• il crimine viene spesso compiuto in prossimità del luogo di residenza del reo;
• il numero di crimini commessi da un certo delinquente decresce all’aumentare
della distanza dalla sua abitazione;
• i giovani criminali commettono delitti molto vicino alla residenza e sono meno
mobili degli adulti;
• esistono differenti comportamenti spaziali, in relazione al tipo di reato
commesso. I crimini violenti, per esempio, si verificano più vicino alla residenza
del reo;
• all’incremento della “carriera” criminale corrisponde un allargamento dell’area
di attività in cui si esercita l’azione predatoria e un aumento del tempo impiegato
per gli spostamenti;
• gli spostamenti criminali spesso avvengono verso zone ad alta concentrazione di
reati.
CAPITOLO 2: BREVE INCURSIONE NELLA
STORIA DEI SERIAL KILLER ROMENI

2.1. IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO


La Romania (in romeno România) deriva il suo nome dall’aggettivo latino
Romanus, (Romano) ed è uno stato del sud-est d’Europa. Il termine è emblematico per
le origini culturali e linguistiche della nazione romena risalenti alla colonizzazione
romana dell’antica provincia della Dacia. L'occupazione romana durò solo 165 anni, ma
lasciò un'eredità permanente sulle terre che avrebbero costituito la futura Romania.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Romania divenne una nazione comunista
ruotante nell'orbita dell'Unione Sovietica, alla quale la Romania rimase sostanzialmente
allineata fino alla fine degli anni cinquanta. Nel 1948 fu abolita la monarchia e varata la
Costituzione della Repubblica Popolare Romena, che diede luogo ad una realtà sociale
che presuppone la comunanza dei beni di produzione a cui si accompagna l’assenza
delle classi sociali. Si instaurò la collettivizzazione che portò alla nascita delle fattorie
collettive e statali che controllavano il 77% delle terre arabili, e la nazionalizzazione con
l’acquisizione da parte dello stato delle banche, delle fabbriche e delle società elettriche
e di gas, ecc. Negli anni sessanta i contrasti con l'Unione Sovietica, di natura
principalmente economica, portarono ad una politica estera indipendente e, nel 1965, al
varo della nuova Costituzione della Repubblica Socialista di Romania. Nel 1965 iniziò
il governo dittatoriale del presidente Nicolae Ceauşescu il quale adottò una politica
indipendente sfidando la supremazia dell’Unione Sovietica in Romania e condannò
pubblicamente l’invasione della Cecoslovacchia del 1968.

2.2. LA ROMANIA COMUNISTA ED IL CONTESTO SOCIALE


Nel 1966 il regime decretò il divieto di qualsiasi forma di contraccezione o
aborto ed introdusse altre politiche a sostegno dell'incremento del tasso di natalità,
inclusa una tassa tra il dieci e il venti per cento del reddito sia per gli uomini che per le
donne (sposati o celibi/nubili) che dopo i 25 anni rimanevano senza prole. L'aborto era
ammesso solo per le donne alle quali il parto avrebbe messo la vita in pericolo, quando
la gravidanza era il risultato di uno stupro o dell’incesto, oppure quando esisteva la
possibilità che il bambino nascesse con una deformazione o malattia congenita. Madri
che avevano più di cinque bambini ricevevano vari benefit, mentre le madri di più di
dieci bambini erano dichiarate madri-eroine, ricevevano una medaglia d'oro, una
macchina gratis, trasporto gratuito sui treni ed altri bonus. Poche donne in ogni caso
raggiunsero questi obbiettivi e la famiglia romena aveva mediamente da due o tre
bambini. Inoltre, un numero considerevole di donne morì o contrasse gravi malattie
durante l'esecuzione di aborti clandestini8. Il governo si diede anche l'obiettivo di
diminuire la percentuale dei divorzi rendendo l’annullamento del matrimonio molto più
difficoltoso e possibile solo in casi eccezionali. Nel 1967 furono ammessi soltanto 28
divorzi in tutto il paese, mentre solo l’anno prima erano stati 26.000. Nei tardi anni
Sessanta la popolazione iniziò a crescere accompagnata da un incremento della povertà
e del numero di persone senza fissa dimora (bambini di strada) nelle aree urbane. Un
nuovo problema iniziò a rendersi manifesto a causa della crescita incontrollata del
fenomeno dell'abbandono dei bambini: una crescita esponenziale della popolazione
degli orfanotrofi che facilitò la diffusione dell'AIDS negli ultimi anni Ottanta. Il
contagio e il conseguente aumento dei casi di malattia conclamata fu favorita anche
dalla decisione del governo di non ammettere l'esistenza di questa malattia in Romania e
di conseguenza di non permettere l'esecuzione del test HIV.
Inoltre fu impedita sia la fabbricazione che l’importazione di contraccettivi e il
ricorso all’aborto clandestino divenne l’unico sistema di controllo delle nascite tanto
che ancora oggi anche dopo la legalizzazione dell’aborto le donne romene sia in patria
che all’estero sono quelle che più di altre ricorrono a tale pratica. La sessualità è sempre
stata considerata per tradizione un argomento tabù tanto che qualsiasi informazione sul
tema anche negli anni ottanta era praticamente inesistente. La politica pro natalista ebbe
un effetto immediato, il numero di nati vivi passò da 273,687 nel 1966 a 527,764 nel
1967 con un aumento del 92,8%. Gli aborti legali precipitarono drammaticamente nel
1967 ne furono effettuati 52.000 contro i più di un milione del 1965. Questo risultato fu
ottenuto con metodi coercitivi quale ad esempio quello della presenza di polizia negli
ospedali9. Tutto ciò non fece altro che incrementare enormemente il numero degli aborti
clandestini con le note e gravi conseguenze sulla salute delle donne romene.

8
Communist Romania's Demographic Policy, U.S. Library of Congress country study,
http://www.country-studies.com/romania/demographic-policy.html
9
Idem
Vi furono anche altri abusi e violazioni dei diritti umani, tipici dei regimi
stalinisti: un massiccio uso della polizia segreta (la "Securitate"), la censura, gli
spostamenti della popolazione dalla campagna in città. La polizia segreta mantenne un
assoluto controllo sui media e su qualsiasi tipo di discorso e non tollerò nessun tipo di
opposizione interna. La cultura divenne uno strumento per la propaganda politico-
ideologica e l’individualità fu abolita dal controllo stalinista esercitato da Ceauşescu su
ogni aspetto religioso, educativo, commerciale, sociale, artistico della vita civile.
A partire dagli anni ‘70, Ceauşescu istituì un programma di sistematizzazione e
industrializzazione della Romania: il programma di demolizione, ristrutturazione e
costruzione cominciò nelle campagne e culminò con un tentativo di completo
rimodernamento della capitale del paese, Bucarest.

2.3. SERIAL KILLER ROMENI

Forse il più noto serial killer romeno può essere considerato il conte Dracula.
Personaggio letterario diffuso dalla penna di Bram Stoker è stato successivamente
identificato come figura storica realmente esistita in Romania nel 1400 con il nome di
Principe Vlad Ţepeş detto l’Impalatore, nato in Transilvania nel 1431 e morto nel 1476
sui Monti Carpaţi. Ţepeş deriva dalla parola romena “l'impalatore” poiché questa era la
tecnica prediletta dal principe per uccidere i suoi nemici. In una lettera datata 11
febbraio 1462 indirizzata al re d'Ungheria Egli si vanta di aver ucciso con questa tecnica
ben 23.883 turchi in soli tre mesi e di aver voluto assistere personalmente a molti di tali
esecuzioni.

In Romania ancora oggi è considerato un principe di grande potenza ed il suo


nome è sinonimo di rispetto verso colui che riuscì a portare la regione della Transilvania
e della Moldavia all'indipendenza strappandola cosi dall'Impero Ottomano. Ma fu un
principe estremamente spietato e sadico con i suoi nemici dando sfogo alla sua vendetta
facendo impalare tutti i nobili che nel tempo lo avevano tradito; addirittura si racconta
che dopo il rifiuto di tre emissari turchi di togliersi il copricapo quando erano davanti
alla sua presenza ordinò ai suoi soldati di infilzare un palo nelle loro teste prima di
rimandarli al sultano. L'associazione di Vlad Ţepeş con la leggenda del vampiro è solo
una semplice e felice combinazione letteraria in quanto non ci sono prove che
dimostrano sia stato un "bevitore di sangue” delle sue vittime. L'impalamento avveniva
però nel più brutale dei sistemi: infilzando un palo unto di miele su per l'intestino e
conficcandolo su fino alla scapola della spalla facendo attenzione che non lesionasse
organi vitali, solo cosi la morte dei malcapitati poteva essere più atroce e l’agonia
durare addirittura dei giorni. A quanto sappiamo aveva anche altre tecniche di tortura
comunemente usate nel medioevo come lo squoiamento, il rogo o l'allungamento del
corpo forzato da una ruota che gira. La realtà che tutt'oggi non ha mai trovato
spiegazione è il fatto che non è mai stato ritrovato il corpo di Vlad Ţepeş all'interno
della sua tomba. Mistero o realtà? Storia o leggenda?

 VERA RENCZI: periodo omicidi 1920-1935

Vera Renczi uccise più di trenta uomini e conservò i loro corpi in cantina dentro
delle bare di zinco. Lei differisce dalle Vedove Nere perché il suo motivo era la gelosia
e non il profitto. La sua ossessione non era legata ai soldi dei suoi uomini, ma alla loro
devozione poiché non riusciva a sopportare l’idea che i suoi due mariti, i suoi amanti e
suo figlio finissero nelle mani di altre donne.

Nata nel 1903 a Bucarest, era l’erede di un'emergente famiglia aristocratica


ungherese. La sua incapacità a mantenere una relazione di coppia cominciò a
manifestarsi sin da quando lei era giovanissima: disse ai suoi amici che non avrebbe mai
tollerato di non essere sempre al centro dell'attenzione del suo fidanzato e che se questo
fosse successo sarebbe fuggita lontano da lui. Tuttavia, le radici del suo problema erano
molto più profonde e si esprimevano in una profonda convinzione che lei non dovesse
avere fiducia negli uomini. Il solo sospetto che il suo uomo stesse guardando un'altra
donna le provocava un tale stato di crisi psichica da indurla ad uccidere il suo partner.

Il suo primo matrimonio con un uomo molto più grande di lei fu un disastro. Lei
lo sospettò patologicamente di tradimento, finché lo avvelenò con l’arsenico. E la storia
si ripetè una seconda volta quando ancora un altro marito scomparve. Lei l'aveva
avvelenato, anche stavolta convinta della sua slealtà.

Quindi, decise di non sposarsi più continuando però ad avere relazioni che si
concludevano, dopo alcune settimane o mesi e a volte pochi giorni, con l’uccisione per
sua mano dei vari partner. Molti di loro erano sinceramente innamorati, ma
ciononostante lei continuava a vedere in loro l'infedeltà. Crescendo, il figlio Lorenzo
scoprì la verità sulla madre e provò a ricattarla, ma pagò anche lui con la vita questa sua
“infedeltà”.

Poiché molti degli amanti di Vera erano sposati, le mogli di questi cominciarono
a guardarla con diffidenza e sospetto e una di loro provocò la sua cattura. Una sera una
signora dopo aver seguito suo marito fino alla porta di Vera lo aspettò invano per tutta la
notte. Vedendo che non usciva più chiese spiegazioni all’assassina e dopo che
quest’ultima negò di aver mai conosciuto l'uomo, lei chiamò la polizia.

Gli agenti condussero una ricerca di routine nella residenza di Vera Renczi e
trovarono i resti di più di un marito disperso. Nella sua cantina, come in un quadro
ispirato da Edgar Allen Poe, si imbatterono in trentadue cadaveri maschi, ognuno
conservato nella sua propria bara di zinco personalizzata. Lei spese il resto della sua vita
in prigione.

 ION SÂRCǍ: periodo omicidi 1941-1943 in Bucarest – otto

omicidi
Ion Sârcǎ traeva in inganno i giovani in cerca di lavoro: gli proponeva di
lavorare presso le fattorie che si trovavano nei dintorni di Bucarest e con la scusa di
accompagnarli attraverso i campi li rapinava rubandogli i vestiti e legandogli le mani ed
i piedi. Per le dodici rapine commesse fu condannato a cinque anni di prigione nel 1936.
Nel 1943, sempre sui campi nella vicinanza di Bucarest la Polizia trovò i
cadaveri di otto giovani nudi con le mani e i piedi legati e che presentavano segni di
strangolamento. Si trattava di un unico autore, ipotesi sostenuta anche dalla modalità
particolare di fare i nodi intorno ai polsi delle vittime e dalla costatazione che in tre casi
il filo apparteneva alla stessa bobina. Sui corpi di tutte le vittime furono ritrovati segni
di violenza sessuale. Per attuare lo strangolamento l’assassino utilizzava tutte e due le
mani mentre si trovava dietro le sue vittime poiché sulla parte posteriore del collo erano
rimaste imprese i segni di pressione effettuati con i pollici. Nelle vicinanze dei cadaveri
furono rivenute delle bottiglie vuote di alcol: le impronte presenti su di esse erano
identiche fra loro. Si procedette quindi alla ricerca negli schedari contenuti negli archivi
cartacei e si scoprì che le impronte digitali appartenevano a Sârcǎ Ion che arrestato
confessò tutti gli omicidi10.

 ION URSACHE: periodo omicidi 1970-1972 in Predeal,

Braşov - tre omicidi e cinque tentati omicidi


Mise in atto un comportamento primitivo, selvaggio, tipico del criminale
disorganizzato: seguiva le vittime sui sentieri isolati, preparava l’agguato e attaccava
all’improvviso strangolando le vittime; poi le trascinava nei posti appartati dove le
stuprava e le rapinava11.

 ROMULUS VEREŞ, l’uomo col martello: periodo omicidi

1972-1974, in Cluj-Napoca - tre omicidi e cinque tentati


omicidi
Nel periodo che va dal settembre al dicembre del 1972, la città di Cluj-Napoca
fu travolta da una serie di omicidi e tentati omicidi con stupro aventi come vittime
ragazze e donne di età compresa tra i 9 e 84 anni. Il criminale si introduceva la mattina
presto o la sera tardi nell’abitazione delle vittime e le tramortiva con violenti colpi alla
testa. A volte finiva l’azione omicidiaria accoltellando a morte la vittima. Dopo essersi
impossessato della biancheria intima delle donne e dei diversi beni trovati, l’aggressore
incendiava la stanza dove era avvenuto l’attacco e di solito il focolaio iniziale fu
localizzato nell’armadio.
Nel 1974, a distanza di due anni dai precedenti reati, fu attaccata nella sua
abitazione una signora di 84 anni: le autorità stabilirono che si trattava dello stesso
modus operandi e quindi dello stesso assassino. In quel caso, però, l’incendio ebbe
come sorgente il cuscino della vittima.
Furono verificate più di 4000 persone tra quale anche i malati psichiatrici e
l’attenzione degli investigatori si concentrò su Vereş Romulus, diagnosticato come
parafrenico. Durante la perquisizione domiciliaria vennero trovate un trattato di
medicina legale con diverse annotazioni riguardanti i traumatismi cranici e le morti

10
Constantin Ţurai, Elementi di criminalistica e tecnica criminale, pp311-321
11
Dr. Tudorel-Severin B.Butoi, Criminali seriali. La psicologia del crimine, p.69
violente, diversi libri con tematica sessuale e filosofica ed alcuni quaderni-diario che
rivelarono un delirio mistico a sfondo sessuale e confermarono che era lui l’assassino.
Il posto preferito di Vereş Romulus per le sue preghiere era un armadio, dove lui
sosteneva che incontrava lo spirito di Satana il quale gli ordinava di commettere gli
omicidi e di purificare il posto attraverso il fuoco. Durante il processo non si riconobbe
colpevole, ma ammise che Satana l’aveva mandato in quei posti contro la sua volontà.
Il Vereş fu dichiarato colpevole per aver commesso i fatti, però incapace di
intendere e di volere e di conseguenza venne ricoverato in un manicomio criminale
dove rimase per altri 20 anni fine alla sua morte12.

 FRANCISC TROMBIŢAŞ: periodo omicidi 1992-1999 in

Bistriţa-Nǎsǎud – cinque omicidi


Vedovo, autore di cinque omicidi a sfondo sessuale commessi in un periodo di
sette anni in un ambiente relativamente ristretto – un paesino in una regione collinare.
Trombiţaş Francisc era un pastore senza istruzione né educazione, con forti pulsioni
sessuali. I reati erano favoriti dal consumo preliminare di alcool.
Tutti i crimini avevano alcuni elementi in comune: le vittime erano donne
anziane, abitavano da sole e prima di essere ammazzate tramite strangolamento erano
state violentate. Nessuna di esse fu mai rapinata. L’attacco era eseguito con
comportamenti di tipo animalesco: agguati sui sentieri isolati, attacchi sorpresa. Si
disfaceva dei corpi buttandoli in un pozzo dove successivamente furono scoperti dagli
investigatori.
Interrogato nel 2000 perché sospettato di un crimine commesso nel 1999 egli
finisce per confessare anche gli altri omicidi13.

 NICOLAE PASCU, l’angelo della morte: 1990, Bucarest, 3

vittime

12
…, “Le particolarità psicologiche delle diverse categorie di delinquenti”,
http://www.preferatele.com/docs/psihologie/6/particularitatile-ps11.php
13
Dr. Tudorel-Severin B. Butoi, idem, p.77
Approfittava del suo mestiere di tassista per scegliere le sue vittime, che
subivano violenza sessuale seguita da strangolamento e rapina. I cadaveri erano
abbandonati nelle cunette lungo la strada. Arrestato, confessa di aver ucciso le donne
“per pietà” in quanto durante la corsa avevano espresso sentimenti di infelicità o
insoddisfazione verso la propria vita14.

 ADRIAN STROE, il torturatore di donne: 1992, Bucarest, 3

vittime
Lo scioglimento del ghiaccio invernale portò alla luce due cadaveri nel lago
Pantelimon, in Bucarest. Le vittime erano state strangolate e una di loro presentava
segni di violenza sessuale; l’altra portava i segni di un aborto subito qualche giorno
prima. Mancavano i vestiti ed i gioielli. Una terza vittima fu ritrovata ad alcuni metri dal
lago, in un canale di irrigazione che in quel periodo era privo di acqua. Il cadavere
apparteneva ad una donna all’incirca 25-30 anni ed era stato bruciato, ma la morte era
avvenuta per asfissia tramite strangolamento. Il medico legale fra le altre osservazioni
annotò che la vittima si trovava in periodo mestruale.
Trovatosi davanti a prove inconfutabili, Stroe Adrian, di professione tassista
privato, confessò i tre omicidi. Spiegò di averli commessi perché dopo la separazione
voluta dalla moglie egli provava un forte senso di rabbia verso il mondo femminile
”colpevole” ai suoi occhi di essere frivolo. Dominato da forti sensi di frustrazione e di
inferiorità egli contattava le donne che portava sul suo taxi ma al loro rifiuto di accettare
un’intimità sessuale completa dopo essersi lasciate toccare e baciare faceva esplodere la
sua rabbia e le uccideva15.

 ION BARBU, il Carnefice: periodo omicidi 1996-2000 in

Argeş - sei vittime


Fu il capo di una pericolosa banda di criminali e sopranominato “il Carnefice”
per il suo sadismo accentuato e gli atti di violenza gratuiti.
Insieme ad un complice, rubava i documenti delle vittime, sostituendo la foto
con la sua per assumere ogni volta una nuova identità, poi inscenava una recita davanti

14
Dr.Tudorel-Severin B.Butoi, op.cit., pp.124-128
15
Idem, pp 128-137
al notaio per impadronirsi dei beni della vittima. Gli omicidi furono di una ferocia e
violenza estrema: i cadaveri venivano squartati, decapitati e nascosti nelle fogne, per
ritardarne il più possibile la scoperta. Uccise uno degli uomini picchiandolo
selvaggiamente con un pestacarne e gettandone il corpo in un pozzo.
Nel 2004 fu arrestato a Roma ed estradato in Romania16.

CAPITOLO 3: I DELITTI DEL RÎMARU

Bucarest, 1970: una Romania comunista nella quale non esistevano poveri, non
esistevano delitti, non esistevano problemi - la criminalità era un segreto di stato. Non
16
V.M. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, p.172.
esistevano malattie, non esistevano tragedie: tutta la popolazione era felice e contenta.
Solo che in questo contesto “idilliaco” avvengono una serie di crimini talmente crudeli
da renderne impossibile l’occultamento da parte del regime. Infatti, i testimoni
confessano ciò che hanno visto e sentito ai loro parenti ed amici e i giornali non
possono più evitare di parlarne. Inoltre per tali fatti criminosi la città di Bucarest si
riempie di forze di polizia che setacciano la città a tutte le ore alla ricerca di qualche
prova per prendere l’assassino.
I delitti attribuiti al Rîmaru sono stati tutti commessi in Bucarest nel periodo che
va dall’aprile 1970 al maggio del 1971. Le vittime sono state ritrovate in un’area ampia
della città, come risulta dalla cartina allegata.

1° DELITTO: OMICIDIO
Data e ora: la notte dell’8/9 (mercoledì/giovedì) aprile 1970, intorno alle ore
02:30.
Vittima: ELENA OPREA, 26 anni, cameriera al ristorante “Bǎneasa”.
Luogo dell’attacco: Via Turnul Eiffel (zona Lacul Tei) davanti alla propria
abitazione.
Condizioni atmosferiche: N/A.
Armi usate: l’arma usata non è stata ritrovata. I rilievi eseguiti hanno fatto
pensare all’utilizzo di un corpo contundente longitudinale, probabilmente una sbarra di
ferro.
I fatti: un inquilino dello stesso stabile della vittima alle 02:30 sente delle grida
provenienti dalla strada e affacciandosi alla finestra vede un uomo che trascina,
tenendolo dalle ascelle, il corpo inerme di una donna. L’aggressore, accortosi di essere
stato scoperto, scappa ed il testimone chiama aiuto.
La polizia trova la vittima, in stato di incoscienza e con abbondante perdita di
sangue dalla testa, nei pressi dell’androne del palazzo. Poiché è ancora in vita viene
accompagnata con l’autoambulanza nell’ospedale più vicino dove muore dopo circa
ventiquattro ore di coma. Tale esito è dovuto ad un trauma cranico - cerebrale,
conseguenza di tre colpi ricevuti sulla parte parietale destra della testa.
Reperti medico-legali: l’autopsia conferma la causa della morte per trauma
cerebrale conseguenza dei colpi inferti sul cranio che hanno prodotto lesioni in un’aria
di circa 15x7 cm². L’esame del cadavere da esito negativo per violenza sessuale.
Osservazioni: il movente dell’aggressione fu considerata la rapina, che non
avvenne a causa dell’interruzione forzata dell’aggressione; l’autore non fu catturato; per
tornare a casa dal lavoro, la vittima prendeva l’auto di notte in Piazza Sfântu Gheorghe.

2° DELITTO: STUPRO
Data e ora: la notte del 1/2 (lunedì/martedì) giugno 1970, intorno alle ore due.
Vittima: FLORICA MARCU, sposata con una figlia, cameriera al ristorante
“Tuşnad”.
Luogo dell’attacco: cimitero Sfânta Vineri, vicino all’abitazione della vittima.
Condizioni atmosferiche: N/A.
Armi usate: possibile sbarra di ferro e coltello (entrambe le armi delittuose non
sono state ritrovate in situ).
I fatti: la vittima si allontana dal lavoro alle 01:30. Prende l’autobus notturno
fino a Piazza Sfântu Gheorghe dove deve cambiare la linea, però si accorge di essere
seguita da un giovane con capelli di colore scuro che indossa un maglione a collo alto.
La giovane sale sull’autobus credendo che l’individuo sia sparito e scende alla fermata
“7 Novembre” dirigendosi verso casa. All’improvviso, nei pressi della propria
abitazione, la vittima viene colpita ripetutamente alla testa con un oggetto contundente.
Lei comincia a gridare, lui tira fuori un coltello e la pugnala tre volte sull’avambraccio
destro con cui la vittima cercava di parare i colpi succhiandole successivamente il
sangue.
L’aggressore la obbliga a seguirlo al cimitero Sfânta Vineri che si trova nelle
vicinanze, la spinge brutalmente oltre il muretto e subito dopo salta pure lui. Lei casca
davanti ad una lapide dove
brucia una candela e l’uomo
le dice: “Eh, sei stata
fortunata perché la candela è
accesa!” Qui, dopo averle
chiesto se era ortodossa, la
obbliga a mettersi in
ginocchio davanti ad una
croce e di giurare che lo
amerà e lo sposerà. Le
chiede di spogliarsi
completamente, dopo di che la stupra sopra una tomba mordendole le guance e la coscia
sinistra. Dopo essersi fatto promettere che il giorno seguente si sarebbero incontrati
davanti al negozio “Adam”, l’uomo la vuole accompagnare a casa pero subito dopo
l’uscita dal cimitero cambia idea e gli chiede di seguirlo dentro un cortile condominiale.
Temendo per la sua vita, la ragazza si salva buttandosi davanti ad un camion che passa;
l’autista la porta in polizia, però nessuno crede a ciò che le è appena successo. La
ricoverano in un istituto di malattie mentali dove subisce provocazioni tutti i giorni. Per
paura, la donna non reagisce alle varie violenze che subisce per opera del personale.
Inoltre, tutti i giorni, è portata dai polizziotti in caserma, dove è interrogata e picchiata
per fargli confessare il nome dell’aggressore, convinti che la donna lo conoscesse. Non
potendone più, indica il ragazzo di una sua collega, che è arrestato e picchiato finché si
attribuisce la violenza. Davanti al giudice però, Florica Marcu ritira l’accusa contro di
lui.
L’aggressore comunque non si presenta all’appuntamento concordato con la
vittima per il giorno seguente, forse perché le forze dell’ordine in divisa erano
dappertutto. Sulla base delle dichiarazioni della vittima, si realizza un identikit: “Età
intorno ai 27-28 anni, altezza 1,75-1,80 m, snello, moro, con un viso allungato e
sguardo torvo, la voce grossa e rauca, parla usando parole corte, con pause in mezzo”.
Osservazioni: il reo non fu catturato. Più tardi, durante il processo, Rîmaru
dichiarò riferendosi all’evento in discussione: “Sono uscito dal dormitorio portando un
piccone. Quel giorno mi sentivo molto agitato. Sentivo il bisogno di avere una donna,
non trovavo più pace e non avevo la testa per studiare. Non ero tranquillo neanche
nella Casa dello Studente: i colleghi mi chiedevano sempre qualche cosa, e allora per
paura di arrabbiarmi e far casino lì dentro malmenando qualcuno, sono uscito fuori
sulle strade per cercare una donna che mi potesse capire. Ero disposto a pagarla pur di
avere un rapporto sessuale e se si fosse rifiutata ero pronto ad obbligarla con la forza”.
L’aggressore anche in questo delitto esprime le sue tendenze sessuali anomale:
succhia il sangue, stupra, morde manifestando un comportamento aggressivo associato
al rapporto sessuale.

3° DELITTO: TENTATO OMICIDIO, STUPRO E FURTO


Data e ora: la notte di 22/23 (domenica/lunedì) novembre 1970, intorno alle ore
due.
Vittima: OLGA BĂRĂITARU, sposata con una figlia, barista al bar “Uranus”.
Luogo dell’attacco: il secondo piano del palazzo dove abita la vittima.
Condizioni atmosferiche: nevischio, freddo.
Armi usate: corpo contundente non rivenuto sulla scena dell’aggressione.
I fatti: la vittima arriva a casa dal lavoro verso le due di notte. Un individuo la
aspetta nell’androne della scala e la colpisce da dietro fortemente alla testa con un corpo
contundente provocandole sette ferite. La vittima sviene e lui la trascina dietro il
palazzo dove la stupra. Improvvisamente, al piano terra si accende una luce che induce
l’aggressore a scappare con la borsa della vittima rimasta in stato di incoscienza.
Osservazioni: la vittima si ricorda di aver visto più volte un individuo strano sul
tram di notte, quando lei tornava a casa dal lavoro.

4° DELITTO: TENTATO OMICIDIO


Data e ora: la notte del 17/18 (mercoledì/giovedì) febbraio 1971, intorno alle ore
tre.
Vittima: ELISABETA FLOREA, cameriera al ristorante “Vulcan”.
Luogo dell’attacco: Via Ştefan Negulescu, in prossimità dell’abitazione della
vittima.
Condizioni atmosferiche: pioggia forte.
Armi usate: coltello non ritrovato sul posto.
I fatti: intorno alle tre di notte la ragazza esce dal ristorante dove lavorava
insieme a dei colleghi e arrivano con l’autobus notturno a Piazza Sfântu Gheorghe, dove
lei deve cambiare la linea per arrivare nel quartiere Floreasca dove abita. Alla fermata
successiva sale un giovane che mostra l’abbonamento al controllore. La vittima scende
in Piazza Dorobanţi dirigendosi verso casa situata in Via Banu Antonache no.7, e
l’uomo di cui sopra la segue. A un certo punto le tira il cappotto con una mano, mentre
con l’altra tira fuori un coltello minacciandola di morte. Elisabeta Florea comincia a
gridare e lui la spinge dentro un cortile condominiale e le infligge sette coltellate sulla
testa, tre sulla mano con la quale la ragazza si difende e altre due coltellate sulla gamba
destra. Svegliato dalle grida, un inquilino si affaccia ad una finestra e ciò induce alla
fuga il Rîmaru.
Osservazioni: l’autore non è stato catturato.

5° DELITTO: OMICIDIO, STUPRO E FURTO

Data e ora: la notte del 4/5 marzo 1971, intorno alle ore due.
Vittima: FĂNICA ILIE, 31 anni, sposata con una figlia, cameriera al ristorante
“Vulturul”.
Luogo del ritrovamento del cadavere: nel cortile condominiale dell’immobile
situato in Via Scǎrlǎtescu no.46, nei dintorni della Piazza 1 Maggio, in prossimità
dell’abitazione della vittima.
Condizioni atmosferiche: tempesta di neve.
Armi usate: corpo contundente non ritrovato, probabilmente una sbarra di ferro.
I fatti: intorno alle ore cinque di mattina un inquilino trova il corpo insanguinato
di una donna nel giardino condominiale. Era una mattina fredda, aveva nevicato per
tutta la notte e all’ora del ritrovo ancora stava nevicando. L’uomo chiede agli altri
condomini di non uscire fuori di casa per non inquinare la scena del delitto e chiama la
polizia, che arriva, però con un ritardo considerevole perché l’ufficiale di turno pensava
che si trattasse di un’ubriacona.

SC & cadavere: il corpo era posizionato abbastanza in vista, in fondo al sentiero


che dal portone conduce all’ingresso del palazzo. Situato tra il muro di questo ed il
muretto che separa i giardini di due condomini, è coperto da uno strato di neve spesso
dieci centimetri, che una volta tolto scopre anche due imprecise orme di scarpe che si
suppone appartenessero all’assassino. La donna è stata trascinata dal portone al posto
dove è stata trovata, ipotesi sostenuta dalle grosse macchie di sangue rivenute lungo il
sentiero, mentre fuori del portone sono state trovate soltanto alcune gocce, e dal
ritrovamento di un guanto appartenente alla stessa lungo il viottolo.
Il cadavere è ritrovato in posizione supina con le mutande, il reggicalze e la
gonna strappate a coltellate e messe accanto al corpo. La morte si presume sia dovuta
alle lesioni craniche di cui due frontali nella parte sinistra e cinque parietali, tutte
prodotte da un corpo contundente. Sul corpo
vengono trovati anche segni di denti: l’assassino
aveva morso la mammella sinistra della vittima ed
entrambe le cosce nella parte superiore.
Reperti medico-legali: l’autopsia eseguita
subito dopo il ritrovamento del cadavere diede i
seguenti risultati: i primi due colpi sferrati alla
radice dei capelli sul lato sinistro del cranio hanno
determinato la frattura dello stesso tanto da far
pensare che ci fosse nell’aggressore l’intenzione
di uccidere. L’analisi delle ferite fa pensare ad un autore destrimano che ha applicato i
primi due colpi davanti al cancello di entrata del condominio e gli altri cinque mentre la
vittima era caduta a terra nel cortile condominiale. Nella vagina della vittima vengono
repertati spermatozoi appartenenti ad un soggetto avente il gruppo sanguino A2 tipo
secretorio e soprattutto nessuna lesione o abrasione della mucosa sanguinanti, ciò
portando alla certezza della violenza sessuale eseguita mentre la vittima si dimenava
negli spasmi della morte o era già morta.
Spunti criminalistico-investigativi: la donna era priva di borsa e di documenti.
Durante le indagini si scopre che le mancava anche l’orologio comprato insieme con
un’amica, che ne ha uno identico. La borsa, invece, era stata confezionata su
ordinazione, il ché induce gli organi di inchiesta di distribuire le foto della borsa e
dell’orologio nella capitale.
L’inchiesta segue diverse piste secondo il movente ipotizzato: l’aggressione ha
come scopo principale la rapina, seguita da stupro e omicidio, oppure si tratta di un
omicidio a sfondo sessuale con occultamento di oggetti personali per deviare le
indagini, oppure la borsa e l’orologio sono stati presi come “trofei” o ricordi
dall’assassino.
Per la prima volta è utilizzata in Romania la tecnica del prelievo delle impronte
dentali. In pratica non esistevano precedenti riguardanti la procedura
dell’identificazione a base dell’orma dentale del morso. È utilizzato l’alginato, una
sostanza liquida che si indurisce al contatto con l’aria. L’applicazione di tale sostanza
nei buchi lasciati dai denti sulla pelle permette di ottenere un calco positivo dei denti
dell’aggressore. Il morso più profondo è quello sul seno sinistro e l’arcata dentaria
superiore produce la traccia più rilevante. Si riesce a ricostruire un dente e mezzo,
fotografati e disegnati sulla carta utilizzata per il prelievo di impronte digitali. Un
gruppo di specialisti stomatologi dell’ospedale “Victor Babeş” di Bucarest stabiliscono
che l’arcata dentale superiore dell’assassino è di forma trapezoidale e presenta una
malformazione: l’incisivo è spinto verso l’interno.
Sempre per la prima volta in campo criminalistico le procedure di sopralluogo si
avvalgono della tecnica fotografica che utilizza la pellicola a colori: tutto viene
immortalato sui film Agfa e Kodak che costituirono la base per lo sviluppo delle
pellicole a colori moderne.
Osservazioni: Viene fuori l’ipotesi dello psicopatico sessuale in seguito al
ritrovamento degli morsi sul corpo della vittima, quindi si comincia a cercare nei
dossier delle unità di neuropsichiatria, dominio non tanto sviluppato nel comunismo
perché i malati mentali erano una categoria negata dal regime. In Romania era il periodo
nel quale la dittatura di stato cominciava a diventare culto della personalità ed un
individuo del genere non poteva esistere perché non si allineava agli standard promossi
dal Ceausescu. Il criminale non contribuiva a sostenere l’ideologia comunista e anzi
obbediva soltanto ai suoi istinti. Cert’è che l’omicidio scatena una follia generale: il
fatto che un assassino si intrattiene sessualmente con un cadavere non poteva essere
compreso dall’opinione pubblica dell’epoca. Si organizzano pattuglie di volontari per
aiutare la cattura di un tale individuo pericoloso che minacciava la sicurezza della
capitale.
Ancora non si fa nessun collegamento con i delitti precedenti della stessa
tipologia.

6° DELITTO: OMICIDIO, STUPRO E FURTO


Data e ora: la notte di 8/9 (giovedì/venerdì) aprile 1971, intorno alle ore due.
Vittima: GHEORGHIŢA POPA, 35 anni, separata, cameriera al ristorante
“Prietenia”.
Luogo del ritrovamento del cadavere: nel cortile condominiale dell’immobile
situato in Via Vulturi no.40, nella zona del settore 4 di Bucarest.
Condizioni atmosferiche: tempesta, pioggia, vento forte.
Armi usate: arma di taglio e punta, accetta/piccone non ritrovate sulla scena del
crimine.
I fatti: nella notte dell’omicidio la vittima lascia il ristorante “Prietenia” dove
lavorava intorno alle ore 01:30 insieme con una collega con la quale arriva nella Piazza
Sfântu Gheorghe, dove si separano. Gheorghiţa Popa cambia l’autobus e scende alla
fermata “Traian”. Intorno alle due di notte un inquilino sente una donna urlare e la
mattina del venerdì, 9 aprile, le forze dell’ordine ricevono una telefonata che li avverte
che nel cortile condominiale della persona che aveva chiamato giace il corpo di una
signora a pancia in su, sfigurata e piena di sangue.
SC & cadavere: il corpo è trovato in posizione supina, vicino ad un muretto con
ringhiere che separa il condominio dalla strada. Presenta numerose lesioni inflitte con
un’arma da taglio e punta disposte nelle zone della testa, petto, pube e membra inferiori
e sembra essere stato stuprato. Si prelevano tracce di sperma dalla zona vaginale, sopra
la coscia destra e da sopra la gonna della donna. Questa stringeva nella mano tre capelli
castani della lunghezza di 2,5 cm probabilmente appartenenti all’assassino che le aveva
morso i seni, il pube e le cosce, strappando con i denti lembi di carne che non furono
più trovati. I vestiti della donna erano stati lacerati a coltellate; una parte del reggiseno e
delle calze sono stati appoggiati sull’albero accanto al cadavere ad un’altezza di circa
1,40 m da terra. Sotto il corpo sono stati rivenuti i pezzi mancanti degli indumenti
intimi: le mutande, parti del reggiseno e del reggicalze. Le scarpe della vittima furono
trovate una vicino all’altra sotto una panchina nello stesso cortile.
Sulla strada, ad una distanza di circa 17 metri dal portone del condominio, è
trovata una macchia di sangue del diametro di 25-30 cm, che si prolunga fino all’entrata
del cortile, il ché fa avanzare l’ipotesi che la fase iniziale dell’attacco sia avvenuto in
strada, e poi la vittima incosciente è stata trascinata nel cortile.
Sulla stessa Strada Vulturi, al no.50, è trovata la borsa della vittima contenente
una ricetta medica e un cavatappi; dopo qualche giorno un uomo porta alla polizia anche
la carta d’identità della vittima, trovata sempre nelle vicinanze. Dalla borsa mancano i
soldi e alla vittima gli è stato preso anche l’orologio marca “Pobeda” che le aveva
regalato un ex-fidanzato.
Reperti medico-legali: l’esito dell’autopsia conferma la morte dovuta alle 48
lesioni inflitte sul corpo di cui: cinque ferite profonde al livello cranico procurate con
l’accetta/piccone sia con la parte contundente che con quella tagliente che aveva
presumibilmente una lama lunga 10 cm e una larghezza di 9 cm. I colpi inflitti fanno
pensare che l’assassino stava dietro la vittima, un po’ spostato verso sinistra. L’autore ha
utilizzato due armi: il piccone ed il coltello, con quest’ultimo infligge due tagli alla
trachea di 2 cm ognuno e due tagli al seno sinistro; il seno destro presenta orme di
morsi. La zona pubica appare interessata da due profonde ferite trasversali da arma da
taglio e dai segni di diversi morsi; altri tagli e morsi vengono rinvenuti sulle cosce (12
ferite sulla destra e 9 sulla sinistra con dimensioni tra 2 e 8 cm); si riscontrano anche
altre lesioni contusive toraciche ed addominali. Il coltello è appuntito con un lato
tagliente; la lunghezza della lama è di 16 cm e la larghezza vicino al manico di 2 cm.
Poiché la maggior parte dei morsi e delle ferite sono poco sanguinanti, si deduce che
sono state inflitte quando la vittima era moribonda oppure post-mortem.
Spunti criminalistico-investigativi: sulla base di alcuni elementi comuni si fa il
collegamento con l’omicidio di Fǎnica Ilie avvenuto circa un mese fa. Entrambe le
vittime sono cameriere, hanno più o meno la stessa età, stavano tornando dal lavoro
verso le due di notte, sono state attaccate nei pressi della loro abitazione e poi trascinate
in un cortile condominiale dove sono state stuprate e morse dall’assassino dopo averle
strappate i vestiti. Entrambe presentano fratture cranio-cerebrali causate da contusione
con corpo contundente non ritrovato. Il rapporto sessuale è consumato in condizioni
atmosferiche estremi (freddo, neve, pioggia) con le vittime in fin di vita o già decedute.
Sono state depredate degli orologi e dei soldi.
Sorge l’ipotesi che l’assassino non attacca all’improvviso, ma prima sceglie le
vittime poi le segue aspettando il momento propizio. Sembrerebbe quindi adottare una
vera e propria tecnica di caccia: individuazione della vittima, inseguimento, scelta del
luogo e del momento opportuno dell’attacco, predazione della vittima. Infatti, l’autista
si ricorda che Gheorghiţa Popa è scesa da sola alla fermata “Traian”. Quindi l’assassino
l’ha aspettava nascosto nelle vicinanze della sua abitazione, conoscendo le strade,
l’illuminazione, il tragitto che la vittima percorreva tutte le sere. Il fatto che l’assassino
ha usato armi che si era portato con se fa nascere la certezza della premeditazione.
Si analizzano le impronte dentali sul cadavere per vedere se corrispondono con
quelle rilevate nell’omicidio di Fǎnica Ilie e le indagini si concentrano sugli uomini
aventi un comportamento sessuale aberrante: si ipotizza che i sintomi non si sono
sviluppati improvvisamente, ma che si sono evoluti in lasso temporale piuttosto lungo.
Si inizia quindi ad esaminare i dati dell’Istituto di Medicina Legale riguardanti gli esami
su donne che hanno subito aggressioni simili, con particolare attenzione per quelle che
presentano morsi. Negli archivi della polizia si rivedono anche i casi irrisolti simili e si
risale agli altri delitti successivamente confessati dal Rîmaru: Elena Oprea, Florica
Marcu, Elisabeta Florea, Olga Bǎrǎitaru.
La notizia dell’uccisione di Gheorghiţa Popa si propagò nell’opinione pubblica
romena più ad opera dei testimoni e dei sospettati di allora che non dagli organi di
informazione: era la terza volta che una donna veniva uccisa brutalmente per poi essere
violentata. Considerando l’aspetto mostruoso del delitto, la ferocia e l’aggressività
dell’assassino nonché il carattere seriale degli omicidi, le autorità romene avviano
l’operazione “Airone”, che ha preso il nome dalla strada dove Gheorghiţa Popa è stata
uccisa. 6000 uomini appartenenti a diverse divisioni di sicurezza, 100 macchine e 40
motocicli pattugliarono le strade di Bucarest tutte le notti. Il personale medico, i
conducenti di bus e tram dei turni notturni, gli addetti agli alberghi e bar sono stati
allertati, per non parlare dei dipendenti della Polizia Segreta (Securitate), Ministero
degli Interni e Polizia di Stato. Ci sono stati più di 2500 arresti e più di 8000 persone
sono state fermate, Rîmaru però continua a colpire pressoché indisturbato.
Osservazioni: escalation, necrofilia, cannibalismo, overkilling. In questo delitto
l’autore esprime il massimo della sua follia omicida.
All’interrogatorio Rîmaru cosi ricorderà quest’omicidio: “Una sera sono uscito
dalla Casa dello Studente con un coltello ed il piccone. Ad un certo punto ho visto
venendo verso di me una donna sola sullo stesso marciapiede. Gli ho chiesto di venire
con me. La donna mi ha detto di andare via se no in caso contrario avrebbe gridato. Mi
ha spinto dicendomi delle parolacce. Le ho inflitti tanti colpi per la rabbia e per
vendicarmi delle donne perché pure loro mi hanno sempre preso in giro. Sembrava che
me lo facessero apposta, quando andavo all’università e sull’autobus alzavano le loro
gonne per sedersi. L’ho trascinata dentro un cortile e l’ho posata vicino ad un albero.
Le ho alzato la gonna e l’ho violentata due volte. Durante l’atto sessuale le ho morso i
seni, non mi ricordo quale, però dopo aver sentito qualcosa nella bocca ho sputato. Per
poter violentare la vittima, ho strappato e tagliato i vestiti. Penso che abbia tagliato col
coltello ed abbia strappato col piccone”.
La notte di 1/2 maggio 1971 Rîmaru è accusato di aver compiuto un tentato
stupro a danno della signora Stana Sǎrǎcin.

7° DELITTO: OMICIDIO, STUPRO


Data e ora: la notte del 4/5 (martedì/mercoledì) maggio 1971, intorno alle ore 2.
Vittima: MIHAELA URSU, 39 anni, assistente universitaria alla Facoltà di
Fisica Bucarest, Cattedra di ottica.
Luogo del ritrovamento del cadavere: nel cortile condominiale dell’immobile
situato in Strada Stupinei no.24 A, settore 3 di Bucarest.
Condizioni atmosferiche: pioggia forte per tutta la notte.
Armi usate: coltello, piccone non ritrovati sulla scena del crimine.
I fatti: la vittima abita lontano dalla scena del crimine, però andava tutte le sere
a portare cibo ai suoi sette gatti (gli abitanti del suo condominio non permettevano che
lei li tenesse a casa, quindi lei pagava una persona per ospitarglieli). Un’inquilina torna
a casa dal lavoro verso mezzanotte e trova il cadavere nel cortile del suo condominio.
SC & cadavere: in fondo al cortile tra il muro del palazzo ed il muretto che
separa il no.24 dal no.26 giace il cadavere di una donna in posizione a pancia sotto, con
il viso rivolto in giù e le gambe aperte; sotto l’addome erano sistemati tre mattoni che
facevano assumere al cadavere una posizione atta alla penetrazione ab tergo. Sopra il
muretto avente un’altezza di circa 2,20 m erano state appoggiate le scarpe della vittima
e ad una distanza di circa 4 m da essi la borsa contenente i documenti di identità, tre
agende con indirizzi e numeri di telefono, un mazzo con 25 chiavi diverse, 250 lei e un
orologio d’oro. Presumibilmente l’assassino interrotto dall’arrivo della inquilina, pensa
a scappare lasciando lì la borsa.
Il vestito della vittima era stato tagliato nella parte anteriore e alzato per scoprire
la parte dorsale e le membra inferiori. Tra le dita della mano sinistra sono stati ritrovati
alcuni capelli scuri non appartenenti alla vittima. La mano destra era posata sulla borsa
della spesa contenente tre candele, residui alimentari e la custodia di un ombrello, e ciò
conferma il fatto che la vittima non era preparata per un appuntamento.
Davanti al portone i poliziotti hanno trovato una macchia grande di sangue e
dentro al cortile a tre metri dall’entrata sono state rivenute diverse macchioline di
sangue di forma irregolare: ancora una volta la vittima è stata colpita fortemente alla
testa in strada per poi essere trascinata in un cortile condominiale.
Reperti medico-legali: l’esame
del cranio conta due ferite aperte nella
regione tempo-parietale di cui una con i
bordi frastagliati e l’altra con i bordi
regolari e tre ferite nella regione
parietale sinistra di cui una di forma
rettangolare. Intorno al collo sono
presenti delle ferite di cui una tanto
profonda da arrivare alla trachea che
appare sezionata insieme alla vena giugulare destra. Sopra la scapola sinistra si vedono i
segni di un morso con le orme ben evidenti delle arcate dentali. L’esame dà risultati
positivi anche per violenza sessuale.
Spunti criminalistico-investigativi: il personaggio che portò alla cattura di
Rîmaru non fu né procuratore, né poliziotto, né appartenente alla Securitate: quando
ormai l’equipe di criminalisti era andata via, l’autista dell’ambulanza trova sotto il
cadavere un certificato medico con il timbro dell’Ospitale Studentesco Bucarest.

8° DELITTO: TENTATO OMICIDIO


Alle ore quattro della stessa notte (4/5 maggio 1971) Rîmaru attacca anche la
signorina MARIA IORDACHE, in Strada Mehadiei, (quartiere Crangaşi). La donna si
stava recando al lavoro, quando all’improvviso riceve da dietro due colpi forti in testa,
ma alla fine riesce a scappare.

9° DELITTO: TENTATO OMICIDIO


Data e ora: la notte del 6/7 maggio 1971, intorno all’una di notte (a 48 ore dai
delitti precedenti).
Vittima: VIORICA TATU, cameriera di ristorante.
Luogo dell’attacco: Strada Portile de Fier, settore 2 di Bucarest.
Condizioni atmosferiche: pioggia forte.
Armi usate: corpo contundente, coltello non ritrovati sulla scena del crimine.
I fatti: un guardiano di notte vede un giovane girovagare sotto la pioggia verso
l’una e un quarto. Vedendo che inizia a correre pensa che è stato oggetto di una tentata
aggressione, esce fuori e vede una ragazza, che abitualmente tornava a casa dal lavoro a
quell’ora. Allarmato dalle grida di aiuto di questa vede il giovane che tira sopra un
muretto la borsa e l’ombrello della ragazza. La vittima è stata colpita alla testa due volte
con un corpo contundente e sul viso presenta gravi ferite da coltello. La pioggia forte
aveva lavato tutte le tracce.

10° DELITTO: TENTATO OMICIDIO


Data e ora: la notte del 6/7 maggio 1971, intorno alle ore quattro (stessa notte).
Vittima: ELENA BULUCI, cameriera al ristorante della Gara de Nord.
Luogo dell’attacco: nella parte opposta di Bucarest, vicino al cavalcavia
Constanţa, alla fermata del tram.
Armi usate: accetta non ritrovata sulla scena del crimine.
I fatti: la vittima si recava al lavoro, quando alla fermata del tram “Carpaţi” un
giovane che la guardava insistentemente la colpì fortemente alla testa. Lei perde la
coscienza e si risveglia dietro ad un palazzo, in una pozzanghera non ricordando niente
di quanto è successo dopo l’attacco. Un’inquilina la aiuta a mettersi le scarpe e chiama
la polizia.

11° DELITTO: RAPINA A DANNO DELLA PROPRIETÁ PUBBLICA E


PRIVATA
Data e ora: la sera dello stesso 7 maggio 1971, intorno alle ore 22.
Vittima: IULIANA FRUNZINSCHI, 43 anni, cassiera ad un negozio di
alimentari.
Luogo dell’attacco: str. Carol Davila, vicino al negozio dove lavora la vittima.
Armi usate: l’accetta non ritrovata sulla scena del crimine.
Condizioni atmosferiche: pioggia forte.
I fatti: Tutte le sere dopo la chiusura del negozio la donna portava l’incasso alla
cassieria situata nelle vicinanze, sempre accompagnata da una collega. Quella sera le
due escono dal negozio alle 21:55 sotto la pioggia avendo dentro la busta l’incasso che
ammontava alla somma di 25.687 lei. Quando erano quasi arrivate dal cortile di
un’immobile compare all’improvviso un giovane che colpisce fortemente da dietro la
cassiera alla testa. La donna casca per terra, mentre l’altra scappa cercando aiuto.
Quando gira la testa, la seconda vede il giovane che continua a colpire la vittima alla
testa. Ritorna dopo con un poliziotto e trovano Iuliana ferita alla testa con tre colpi
d’accetta. Gli organi d’inchiesta stabiliscono che si tratta sempre di delitti commessi da
Rîmaru.
Osservazioni: più tardi quella sera Rîmaru è stato fermato per un controllo di
routine, però riesce a fuggire. I poliziotti non fanno rapporto sull’accaduto per paura
delle conseguenze. Dell’incidente Rîmaru racconterà più tardi al processo.

CAPITOLO 4: NUOVI SVILUPPI CRIMINALISTICO-


INVESTIGATIVI

4.1. Tecniche odontostomatologiche ed antropologiche


Partendo dall’impronta dei morsi dell’assassino sui cadaveri l’esperto
odontostomatologo dott. Petre Firu riesce a risalire all’immagine dei denti. È per la
prima volta che in Romania le tecniche odontostomatologiche sono applicate ai fini
criminalistici.
In Europa all’epoca il centro di odontostomatologia era in Danimarca. Qui il
professore Keiser Nielsen insieme ad altri specialisti della Francia, RFG e Spagna
cercano di stabilire tecniche di identificazione della persona partendo dall’impronta dei
denti. Per la conservazione delle orme dei morsi sui tegumenti si sezionava il derma e si
poneva in formalina tesa su un legnetto e fissata con chiodini per evitare la ritrazione;
sul derma si possono studiare le suffusioni sanguigne che indicano se la vittima è stata
morsa ancora in vita. Con questa tecnica si possono stabilire: la forma delle estremità
incisiale dei denti, come sono disposti i denti sull’arcata, il grado di usura, diverse
anomalie dentali, diverse particolarità delle estremità incisionali.
I morsi più rappresentativi sono stati rilevati
dai corpi di Gheorghiţa Popa e Mihaela Ursu,
quindi gli specialisti hanno potuto ricostruire i
denti frontali superiori ed inferiori da canino a
canino. Il criminale ha tutti i denti superiori ed
inferiori, non fa uso di protesi, il consumo dei
denti è di secondo grado e quindi corrisponde
ad un soggetto di età tra i 26 ed i 35 anni;
presenta un’anomalia dentale (ammassamento dentale) e cioè l’incisivo laterale destro è
situato in posizione più linguale del canino; tra il canino e l’incisivo destro esiste uno
spazio di 1 mm. Non esistendo ammassamento dentale sulla parte sinistra, si suppone
che l’assassino morde movendo la mandibola verso la destra.
Partendo dalle caratteristiche dentali, il professore Firu trae un primo ritratto
antropologico dell’assassino: tipo dinarico, con elementi mediterranei o alpini, altezza
media di 172 - 175 cm, testa tonda, la nuca appiattita, il viso allungato, il mento
sporgente a forma di zoccolo, naso aquilino, con narici larghe, orecchie alte con i
padiglioni grandi, capelli neri, pelosità accentuata. “I risultati hanno soltanto valore
indicativo, e non di probazione poichè questo non è un metodo validato in ambito
scientifico come le impronte digitali”, dichiara il prof. Rişicuţǎ. Le sue considerazioni
vengono dedotte dallo studio su una parte della popolazione rumena (30.000 persone)
durante le inchieste medico-antropologiche condotte dal professore accademico Ştefan
Milcu per un periodo di 10 anni (1950-1960); dopo, il professore Firu continua gli stessi
studi, esaminando altri 20.000 soggetti.

4.2. L’identikit
Basandosi su questi risultati, il medico Cantemir Rişicuţǎ, responsabile del
Laboratorio Antropologico all’Istituto di Patologia e Genetica Medica “Professor Victor
Babeş” di Bucarest disegna un identikit dell’aggressore, diffuso in numerose copie fra le
forze di polizia.
4.3. Il profilo psicologico
Un’equipe di specialisti psichiatri coordinati dal medico Tiberiu Vlad fanno il
profilo psicologico: l’aggressore ha un’età compresa tra i 25 ed i 30 anni, mostra
aggressività e ferocia massima, meticolosità, è ordinato, presenta una personalità
epilettoide con o senza crisi, può essere psicopatico polimorfo e sessualmente è un
primitivo. Lo scopo degli omicidi è il soddisfacimento sessuale, presenta un carattere
introverso, non comunicativo, distante, caratterizzato dal sadismo sessuale, mancanza di
senso morale, impulsi erotici incontenibili, tendenze necrofile, dimestichezza con
l’accetta ed il coltello, non si impressiona alla vista di ferite aperte e del sangue, ha una
buona condizione fisica che lo aiuta a colpire, trascinare le vittime e scappare,
probabilmente ha avuto insuccessi con il sesso opposto che lo porta a vendicarsi sulle
donne; possibile che faccia un mestiere che lo fa stare in contatto con il sangue.
Si fa strada anche un’ipotesi al limite della scientificità e cioè che si tratti di un
“uomo lupo”. Il Rîmaru è un criminale compulsivo, epilettoide che attacca e uccide
seguendo dei cicli biologici e ambientali. L’incontro fra determinate situazioni
climatiche e fasi interne di eccitamento determina il manifestarsi della sua follia
omicida.

4.4. Le indagini tradizionali


Lo studio attento con stereo microscopio del frammento di certificato medico
trovato sotto il cadavere di Mihaela Ursu evidenzia nella zona superiore destra parte del
numero seriale del documento che insieme alla data ben evidenta (marzo 1971) e al
frammento di timbro in cui appare la scritta OCTAV porta gli investigatori all’ospedale
per gli studenti universitari dove presso la cattedra di neurologia lavora il medico
OCTAVIAN IENIŞTE, il quale conferma di aver firmato il suddetto documento.

All’epoca, la prassi era che i certificati medici si emettevano in un unico


esemplare, servivano per giustificare le assenze da uno a tre giorni e dovevano essere
consegnati dagli studenti alla segreteria della facoltà. Essi non sono annotati in un
registro ma direttamente inseriti nelle cartelle cliniche degli studenti. Poichè il numero
seriale del documento è in parte cancellato e si distinguono con difficoltà solo due
numeri che possono essere il 42, il 62, il 47, oppure il 67 gli investigatori sono costretti
a controllare circa 30.000 cartelle cliniche, facendo attenzione a quelle che contenevano
una delle combinazioni sopra scritte con la data del marzo 1971. Il cerchio si stringe
intorno agli ottantatre studenti che hanno ricevuto un certificato medico corrispondente
ai criteri di ricerca. Tra questi, soltanto quindici non avevano ancora depositato presso la
segreteria della facoltà il certificato. Di questi quindici sette lo presentano alla richiesta
degli organi di inchiesta e i rimanenti otto dichiarano di averlo perso.
Tra gli ultimi, il certificato medico con cui si giustificavano due giorni di
malattia per psicopatia instabile e contenente la combinazione seriale 347 apparteneva a
Rîmaru Ion, studente nel terzo anno alla Facoltà di Medicina Veterinaria. È lui il
principale indiziato: ha il gruppo sanguigno A2 corrispondente a quello trovato nelle
tracce biologiche rinvenute sulla scena dei delitti, carattere chiuso ed impulsivo e porta
sempre con sè un coltello o un bisturi. Abita da solo in una stanza con due letti alla Casa
dello Studente sul boulevard Mǎrǎşeşti. La portiera dichiara che per un periodo ha
tenuto la porta chiusa con due lucchetti, che spesso manca di casa la notte, e che il
materasso, il tavolo e le sedie presentano tagli e punture d’accetta e coltello.

4.5. La cattura
La perquisizione della sua stanza è effettuata in presenza dell’amministratore
della Casa dello Studente: si trova una mappa della capitale con note e itinerari, un
quaderno cifrato con annotazioni e segni strani, una lista degli oggetti che il Rîmaru
aveva perso o doveva star attento a non perdere e tra i quali anche il certificato medico,
frasi con le quali si descriveva come l’assassino (“Morirai in questo mese – l’uomo che
ammazza donne”); sul diario inoltre egli annotava l’itinerario delle vittime e segnava
con un teschio il posto nel quale le avrebbe colpite.
I poliziotti sono sorpresi mentre eseguivano la perquisizione dall’arrivo di un
giovane moro - il Rîmaru -, con il viso aggrottato che portava con sè un borsone grande,
dentro il quale vengono trovate avvolte in un asciugamano rosso un’accetta del tipo
usato dai vigili del fuoco ed un coltello da cucina con punta affilata. Successivamente fu
provato che tali oggetti erano le armi con le quali erano stati commessi gli omicidi. Il
sospetto oppose resistenza alla cattura, mordendo la mano del poliziotto che aveva
cercato di mettergli le manette.

CAPITOLO 5: L’INTERROGATORIO, IL PROCESSO E


L’ESECUZIONE DI’ ION RÎMARU
5.1. Spontanee dichiarazioni

Per una settimana Rîmaru si rifiuta di dire una sola parola; dopo, comincia a
rispondere monosillabico a domande generali riguardanti la sua carriera studentesca, i
posti che ha visitato, la salute e altre generalità, non menzionando niente sulla sua
attività delinquenziale. Dichiara di avere 26 anni, altri due fratelli e di essere nato a
Caracal dove ha passato l’infanzia e l’adolescenza. Dopo aver superato l’esame di
ammissione alla Facoltà di Medicina Veterinaria si sposta a Bucarest. I genitori erano
separati, ma in relazioni buone. La mamma era rimasta a Caracal insieme ai due fratelli
più piccoli ed il padre invece abitava a Bucarest insieme alla sua nuova compagna, e
lavorava come autista di autobus. Poiché entrambi abitavano nella capitale, Rîmaru
vedeva più spesso il padre che la madre. Il padre lo visitava alla Casa dello Studente, gli
dava i soldi per l’università e altre spese e a volte uscivano insieme. Interrogato, il padre
riconosce che il figlio gli ha confessato di aver derubato una cassiera sulla Strada Carol
Davila colpendola alla testa con un’accetta e insieme si mettono d’accordo di seppellire
i soldi dentro un pollaio nella casa di Caracal. È sempre il padre che gli lavava i vestiti
sporchi di sangue: Rȋmaru gli diceva che si era ferito cadendo dopo aver bevuto, oppure
che si era azzuffato con altri studenti. Il padre non può essere incriminato, perché non
divulgare il fatto commesso da un parente prossimo non costituisce reato.
La mamma dichiara invece che il padre era molto violento e la picchiava tutti i
giorni. Ion è stato un bambino difficile e gli piaceva entrare in conflitto con gli altri
ragazzini che picchiava spesso per dimostrarsi forte e dominante. Quando non gli stava
bene qualcosa, sbatteva i pugni e i piedi contro al muro fino a diventare livido e che
anche quando era piccolo spesso diventava fisicamente violento verso la propria madre.

5.2. L’interrogatorio ed il processo. La probazione


Rîmaru, dopo lunghi e continui interrogatori, confessa di aver ucciso Mihaela
Ursu, Gheorghiţa Popa, Fǎnica Ilie, Elena Oprea nel 1970 e ammette pure di aver
commesso altri sei tentativi di omicidio utilizzando una sbarra di ferro e nello stesso
tempo indica anche il luogo dove è nascosta.
Durante il periodo della detenzione per gli interrogatori la notte si mostra vigile
e disposto a rispondere alle
domande mentre durante il
giorno appare sonnolente e
taciturno, ciò è da mettere in
relazione allo stile di vita che il
soggetto aveva assunto negli
ultimi anni. Infatti, egli si aggirava nelle strade di Bucarest dalla sera tardi all’alba alla
ricerca delle sue vittime.
Ion Rîmaru confessa che non colpiva per derubare, ma che l’idea di prendere gli
effetti personali delle vittime gli veniva durante o dopo che l’attacco era iniziato:
“Attaccavo le donne di notte e volevo avere un rapporto sessuale con loro. A volte,
dopo che le colpivo, mi veniva l’impulso di impossessarmi dei loro oggetti personali”.
Allora, perché colpiva le donne? “Per rinfrescarmi un po’… sessualmente”, risponde.
Alla domanda se era consapevole che poteva provocare la morte come conseguenza dei
colpi di accetta o sbarra di ferro, Rîmaru si difende dicendo che è stato malato e quindi
non era cosciente che la vittima poteva morire.
Le prove a sostegno della sua colpevolezza erano inconfutabili:
● le armi utilizzate nei delitti sono state trovate in suo possesso;
● le sue impronti dentali corrispondono con quelle lasciate sulle tre vittime
Fǎnica Ilie, Gheorghiţa Popa, Mihaela Ursu;
● le prove sierologiche depongono contro di lui: Rîmaru ha il gruppo sanguinino
A2, che corrisponde alle tracce biologiche rivenute sulla scena dei crimini;
● le macchie presenti su diversi abiti a lui appartenenti risultarono essere sangue
umano;
● i capelli ritrovati nella mano di Gheorghiţa Popa avevano caratteristiche
strutturali e morfologiche identiche a quelle dell’assassino;
● l’orologio marca “POBEDA” appartenente alla vittima Gheorghiţa Popa fu
trovato al polso dell’assassino e fu riconosciuto senza orma di dubbio dall’amica della
vittima e dall’ex fidanzato che glielo aveva regalato; fu ritrovato anche l’ombrello di
Mihaela Ursu e i soldi rubati alla cassiera Iuliana Funzinschi.
● il modus operandi è identico in quasi tutti i delitti: attacca di solito le vittime
nei pressi della loro abitazione, le colpisce con violenza da dietro mirando alla testa e le
riduce in stato di incoscienza, le finisce a coltellate e poi le violenta; preferisce le
condizioni meteo insolite: pioggia, neve, nevischio, tuoni e fulmini, attaccando sempre
di notte e più o meno alla stessa ora. La maggior parte delle vittime lavorano nei
ristoranti e nei bar e hanno intorno ai trent’anni. Sono attaccate nei pressi della loro
abitazione.
● commette i reati con premeditazione, mettendo in atto un comportamento
predatorio: esce di casa portando l’arma con sè, da la caccia pedinando la vittima per
giorni e giorni prima dell’assalto e aspetta il momento opportuno per colpire.

5.3. La perizia psichiatrica


Durante la detenzione e prima del processo venne eseguita una perizia
psichiatrica qui di seguito riportata integralmente. Nel leggerla bisogna tenere conto sia
delle difficoltà che ho incontrato nel tradurla e sia della situazione culturale e scientifica
del periodo. Infatti, all’epoca prevaleva nella psichiatria l’orientamento organicista che
poneva alla base della psicopatologia le determinanti genetiche con scarsa o nulla
attenzione agli aspetti psicodinamici e inconsci.

La commissione psichiatrica è stata costituita da nove periti, che si sono dovuti


pronunciare sui seguenti quesiti:
- se, da un punto di vista oggettivo, considerando le esplorazioni funzionali, si
evidenzia la presenza di una malattia psichica in grado di compromettere la capacità di
intendere e di volere; quale sarebbe questa malattia e che esami di natura oggettiva la
confermano.
- se, rapportandosi alle manifestazioni del soggetto all’interno della famiglia,
scuola, società e alle osservazioni cliniche si evidenzia la presenza di una malattia a
sfondo psichico, qual’ è ed in quale misura influenza la capacità di intendere e di
volere.
- se, considerando le circostanze nelle quali ha commesso i reati, ci sono reali
fondamenti per concludere che nel momento nel quale ha agito, il soggetto si trovava in
uno stato totale oppure parziale di infermità mentale;
- se si avverte il bisogno di misure di sicurezza con carattere medico e quale
sarebbe la loro finalità.

Le conclusioni:

Dati anamnestici, somatici e di laboratorio che possono essere considerati:


- Proviene da una famiglia disorganizzata, con i genitori divorziati, sono tre figli di
cui lui è il più grande. Il secondogenito, sempre di sesso maschile, presenta alcuni
disturbi di comportamento. In famiglia è presente un’atmosfera di immoralità: ha
uno zio con antecedenti penali. Il padre, essendo a conoscenza di una serie di
violenze e rapine commesse dal figlio, non soltanto non prende provvedimenti, ma
lo consiglia su come nascondere i beni ed i soldi rubati. L’indagato stesso ha
precedenti penali: nel agosto del 1965 ha colpito gravemente un guardiano che lo
ha sorpreso mentre rubava cocomeri dalla proprietà dello stato, reato per il quale è
condannato a 5 mesi di prigione per rapina.
- Durante il periodo scolastico, ottiene risultati molto scarsi, ripete il primo anno alle
superiori, ed il liceo lo assolve con la media di 5,33/10. Sempre nella prima
superiore provoca uno scandalo pubblico nella città natale perché sorpreso mentre
aveva rapporti sessuali con la figlia minorenne di un suo professore.
- Si nota una discrepanza tra il voto per buona condotta (10, durante il liceo) ed
alcune dichiarazioni dei professori e dei colleghi: sin d’allora presentava una serie
di manifestazioni particolari (durante una gita scolastica è stato sorpreso mentre
urinava sopra la maniglia di una porta).
- Ammesso alla facoltà con la media 5,33 (il minimo era il 5,00) nel 1966,
approfittando del fatto che erano meno candidati che posti. Ripete il secondo anno
universitario e quando è arrestato stava per ripetere il terzo, sotto la prospettiva di
essere espulso a causa di innumerevoli assenze e risultati catastrofici nello studio.
- Durante l’università, abita alla Casa dello Studente e dalle dichiarazioni dei
colleghi e professori risulta che i disturbi comportamentali e l’asocialità di Rîmaru
erano evidenti per tutti. Questo ha portato ad un crescente evitamento da parte dei
colleghi, che si sono rifiutati di abitare nella stessa stanza con lui.
- Sono stati segnalati stati di ubriachezza seguiti da manifestazioni comportamentali
gravi come per esempio quando ha urinato in una stanza vicina sul letto di un
collega oppure quando ha camminato in maniera dimostrativa a piedi nudi sui pezzi
di vetro.
- Nei momenti di rabbia ha presentato anche tendenze auto aggressive, come si può
dedurre dalla constatazione che sulle braccia e sulle gambe presenta più di 20
piccole ferite da arma da taglio provocate da lui stesso. La sua aggressività ed il
carattere impulsivo risultano anche dalla violenza con la quale ha distrutto il
tavolo, il materasso ed altri mobili della stanza.
- Ha presentato e presenta un capovolgimento del ritmo sonno-veglia. Quasi tutte le
notti lasciava l’asilo tra le ore 22 e 4 del mattino. Durante l’inchiesta si è mostrato
più propenso a rispondere alle domande durante la notte, mentre durante il giorno
si mostra sonnolento e chiuso. Un collega ha raccontato che durante il sonno
spesso saltava all’improvviso e bruscamente dal letto, producendo rumori strani. Le
sue attività notturne culminano con l’arrampicamento sul parafulmine della
struttura.
- Il contenuto della sua mente, la problematica connessa alla scuola ed ad altre sue
preoccupazioni sono estremamente povere. I colleghi si rendevano conto di tutto
questo. Viorel Ciurea, uno dei suoi professori, lo definisce come “un timido, con un
linguaggio povero contenendo non più di 300 parole” - questa definizione
rappresenta un’esagerazione, ma ci fa rendere conto dell’incultura e dell’orizzonte
spirituale estremamente povero dello studente.
- Un collega racconta come una volta per difendersi dall’ipotesi che soffriva di lue, si
è tagliato con un bisturi per dimostrare che il suo sangue era sano.
- Per quanto riguarda la sessualità si è dimostrato sin dall’adolescenza senza
inibizioni, senza freno morale (vedi il rapporto sessuale in sala di classe alla età di
15 anni!). Durante l’università si racconta come una notte non ha dormito per
niente girando intorno alla stanza dove una ragazza era venuta a visitare un suo
collega.
- Sin dal 1967 nella cartella clinica sono state annotate considerazioni come “nodo
in gola”, “spasmo esofageo” (06.06.1967) e sindrome nevrotica reattiva (1968).
Nel 1969 si è aggiunto alla diagnosi di sindrome nevrotica reattiva la menzione
“disadattamento” con la raccomandazione di un esame elettroencefalografico.
L’esame EEG effettuato all’epoca evidenzia un tratto medio - voltato debolmente
espresso, dove comparivano spontaneamente frequenti onde teta, con la
preponderanza nella regione temporale. Il 04.03.1971, il medico dell’ospedale
studentesco nota uno stato confusionale lieve, che registra come “sospetto di crisi
comiziale temporale”. La coincidenza di questa manifestazione nella stessa
mattinata che l’accusato ha commesso un crimine di un sadismo raramente
incontrato pone in modo giustificato il problema se la visita medica richiesta ha
avuto un carattere premeditato, per nascondersi eventualmente dietro una diagnosi
psichiatrica oppure si trovava effettivamente in uno stato psichico particolare ma
direttamente collegato all’intenzione di commettere un altro crimine.
- I tratti elettroencefalografici effettuati durante l’inchiesta non mostrano onde che
potrebbero confermare da un punto di vista bioelettrico la comizialità temporale.
- Altre annotazioni nella cartella clinica di Rîmaru Ion mostrano confermando le
ipotesi su esposte e cioè una frequente corrispondenza tra le visite mediche
richieste ed effettuate e gli atti antisociali commessi. Per di più, dopo l’efferata
uccisione sulla str. Vulturi si fa ricoverare presso l’ospedale di chirurgia plastica
per effettuare un intervento ai tendini del polso che si era lesionato due mesi prima
durante un tentato stupro con rapina.
- Ulteriori annotazioni cliniche sono: “Ulcero duodenale, disprotidemia, curva di
entrambi i piedi fortemente cava. I tegumenti, fortemente pigmentati, presentano al
livello delle estremità una lieve tendenza violacea”.
- Gli esami psichiatrici effettuati ripetutamente durante l’inchiesta non hanno
evidenziato disturbi di tipo psicotico. Non si sono evidenziati stati allucinatori,
confusionali, deliranti o di altra natura psicotica. Nonostante nel primo periodo si
sono manifestati fenomeni di tipo isteroide (negativismo, opposizione
all’ortostatismo, perdita episodica del tono posturale e risposte pseudo demenziali:
quartiere Floreasca – Fiorentina, Il Monastero Casin – Costin, Piazza Unirii –
Uniunii), atteggiamento sospettoso davanti al cibo, queste manifestazioni furono
valutate come aspetti di tipo reattivo nei confronti della situazione post arresto,
della quale è stato sempre cosciente. Questi aspetti con carattere reattivo sono state
risolti rapidamente tramite l’intervento tempestivo di mezzi terapeutici psichiatrici.
- Nello stesso modo interpretiamo i precedenti scritti nella cartella clinica
riguardanti la cosiddetta “nevrosi” sempre come manifestazioni psicopatiche
situazionali, condizionate dalle sue stesse azioni.
- Durante l’inchiesta non si sono segnalate crisi parossistiche di perdita o
alterazione dello stato di coscienza. I dati anamnestici che segnalavano in passato
una serie di anomalie elettroencefalografiche non sono state confermati dagli esami
elettroencefalografici effettuati durante la detenzione presso l’ospedale n° 9 di
Bucarest.
- I risultati degli esami clinici psichiatrici, effettati ripetutamente, i dati anamnestici,
la storia della vita del Rîmaru evidenziano chiaramente spiccate deviazioni e
anomalie del carattere, anomalie a carattere familiare in quanto presenti in altri
membri del suo nucleo originario (ha un fratello con tratti simili) ma anche
elementi che fanno pensare ad uno sviluppo disarmonico al quale ha contribuito
senza ombra di dubbio l’ambiente familiare, con un’influenza negativa diretta e
un’eccessiva tolleranza verso comportamenti disturbati e violenti da parte dei
membri del contesto sociale nel quale viveva.
- Il quadro psichico dell’accusato è molto variegato, contenendo quasi l’intera
gamma dei tratti negativi con cui si manifestano le strutture psicopatiche della
personalità. Tra queste dobbiamo menzionare per primo l’aggressività,
l’impulsività, la crudeltà feroce, viscosità e la lentezza dei processi ideativi, con
inerzia tra i processi di eccitazione e inibizione e soprattutto l’amoralità assoluta
con aberrazioni sessuali di un’intensità difficilmente incontrata anche nella
letteratura specialistica.
1. SADISMO – esempio: il caso della vittima M.F. (mentre la obbliga a saltare il
muretto del cimitero Santa Venerdì, bruscamente la spinge provocandone la caduta
a terra e la vittima perde conoscenza battendo il capo contro il suolo).
2. VAMPIRISMO – lo stesso caso M.F. – la vittima che si è salvata dopo lo stupro ha
successivamente riferito agli inquirenti che il reo dopo averla ripetutamente punta
con il coltello le aveva succhiato il sangue che fuoriusciva dalle ferite.
3. CANNIBALISMO – morde le vittime nelle regioni erogene: vagina, pube,
mammelle, strappando pezzi di carne che non sono mai stati trovati sulla scena del
crimine evidenziandosi soltanto la mancanza di sostanza sui corpi.
4. FETICISMO – gli indumenti intimi delle vittime sono tagliati, ordinati ed esposti
con un’attenzione ed una ritualità che suggerisce l’estasi feticista.
5. TENDENZE NECROFILE – la tendenza di continuare l’atto sessuale anche dopo la
fine degli spasmi agonici. Per di più, in alcuni casi (particolarmente in quello sulla
str. Vulturi) l’aggressività indifferenziata continua anche dopo la morte della
vittima, cosi come risulta dai risultati degli esami medico-legali che segnalano
multiple ferite non sanguinanti e provocate dopo la morte delle vittime.
- La sua impulsività esplosiva prende un’apparenza epilettoide non solo per
l’intensità della ferocia, ma anche per la viscosità, povertà intellettuale, adesività,
tendenze nel dettagliare e minuziosità (sistema tutti gli oggetti delle vittime con un
ordine da rituale) ed anche attraverso manifestazioni di misticismo paradossale
(giuramenti sulle croci, la frequentazione delle chiese e preghiere notturne anche
nella cella).
- L’ intelletto limitato dell’accusato, insieme al contenuto povero di nozioni è dovuta
alle scarse preoccupazioni verso la suola, la disciplina, la cultura, la morale, la
convivenza sociale e le soddisfazioni di ordine superiore.
- Non si sono segnalati sintomi di malattia organica cerebrale.
- Non presenta segni di intossicazione cronica da alcool. Le alterazioni embrionali
segnalate in anamnesi hanno avuto un carattere incidentale dimostrando anche il
tipo di psicopatia polimorfa esplosiva la cui sensibilità all’alcool è spesso
menzionata in letteratura.
- La commissione di esperti psichiatrici stabilisce la diagnosi di Rîmaru Ion:
“psicopatia polimorfa con carattere dominante impulsivo e perverso sessuale”.

CONCLUSIONI:

- Come risultato dei ripetuti esami psichici e neurologici, insieme alle esplorazioni
funzionali effettuate, non si è evidenziata la presenza di una malattia con carattere
psichico di natura tale da influenzare la capacità di intendere e di volere.
- Riferendosi alle manifestazioni dell’accusato in ambito familiare, scolastico, sociale
e dalle osservazioni cliniche si evince uno sviluppo anomalo della personalità di
proporzioni mostruose, che però non ha annullato lo stato di lucidità della sua
coscienza.
- Rapportandosi alle circostanze nelle quali ha commesso i delitti, non sono stati
riscontrati fondamenti per concludere che al momento del fatto-reato il Rîmaru si
trovasse in stato di incoscienza (totale o parziale). Al contrario, tutti i dati risultanti
dall’inchiesta insieme alle dichiarazioni e le risposte date direttamente alla
commissione di esperti dimostrano lo stato di coscienza vigile e correttamente
orientata con il quale sono state effettuate.
- Le misure con carattere medico non trovano giustificazione, essendo le sue azioni
commesse in condizioni di premeditazione, con preparazione adeguata,
intenzionalità chiara e profitto. Il trattamento medico-sociale, che nel passato
sarebbe stato utile ed efficiente, è adesso inutile. I reati gravi commessi non
possono essere giustificati da impulsi irresistibili con carattere sessuale perchè
l’aspetto sessuale è stato più volte associato ad interessi meschini come la rapina
ed il furto e anche perchè egli interrompeva le azioni ogni volta che compariva il
pericolo di essere sorpreso.

L’opinione degli esperti sull’oggetto della perizia (relazioni tra i reati commessi
e gli aspetti psicopatologici):
Gli aspetti psicopatologici di questo caso singolare, cioè di anormalità, non
hanno mai superato i limiti della psicopatia cioè di certe anomalie dei tratti di
carattere, temperamento e personalità delle quali Rimaru Ion era totalmente cosciente.
Inoltre, durante la sua evoluzione antisociale e criminale si è evidenziato uno sviluppo
progressivo di un metodo sempre più perfezionato ed elaborato nel commettere i suoi
atti criminali.
Sotto questi aspetti, la commissione di esperti psichiatrici non considera
giustificato nessun argomento che potrebbe attenuare le gravi colpe davanti alla
società e ai suoi simili.

La commissione.

5.4. “Voglio vivere!”


Durante il processo - che durò due(!) giorni – Rîmaru confessa tutti i reati
commessi. Di conseguenza, il pubblico ministero chiede la pena di morte, che viene
accolta dal giudice.
Nel momento dell’esecuzione, Rîmaru comincia a sbattere le mani e i piedi e
grida “chiamate mio padre, è lui il colpevole” e riesce a girarsi dietro l’albero dove era
legato esprimendo l’ultimo desiderio: “Voglio vivere!”. Purtroppo, non si approfondisce
il ruolo del padre nella follia omicidiaria del figlio, poiché il processo doveva essere
portato a termine il più presto possibile perché tutti volevano vedere il vampiro di
Bucarest giustiziato.

CAPITOLO 6: UN AFFARE DI’ FAMIGLIA

Il padre di Rîmaru è stato anche lui un criminale seriale, conosciuto come


“l’assassino della tempesta” perché colpiva in condizioni meteorologiche particolari allo
stesso modo in cui venticinque anni dopo lo farà Ion Rîmaru17.
Nel giugno 1944 Bucarest era sotto i bombardamenti degli alleati. Accanto alle
notizie sulla guerra, i giornali dell’epoca descrivevano in dettaglio una serie di crimini
avvenuti nella capitale. Le vittime, tutte donne, abitavano in seminterrati dove

17
Traian Tandin, Il caso Rîmaru, pp379-388.
l’assassino entrava approfittando delle condizioni atmosferiche peculiari (tempesta,
pioggia, vento forte) e le tramortiva con un oggetto contundente. Ogni volta, l’assassino
lasciava impronte digitali e l’orma di una scarpa militare no.42 o 43.
Nella notte del 29/30 giugno 1944 è uccisa Elena Udrea di 19 anni. La vittima
lavorava come donna di pulizie nell’immobile situato in str. Dr. Staicovici no.22, in un
quartiere residenziale di Bucarest e abitava in una stanza nel seminterrato del palazzo,
dove è attaccata mentre dorme. Quella notte era in atto una tempesta forte con pioggia
torrenziale che è durata fino all’alba, ed ciò impedì agli altri inquilini di sentire alcun
rumore.
La ragazza aveva il cranio fracassato e l’arma del delitto sembra essere stata
un’accetta. Dalla stanza non manca niente e non ci sono segni che l’assassino ha cercato
o preso qualcosa.
La camera era chiusa dall’interno, quindi è presumibile che l’assassino avesse
forzato la finestra. Infatti, si preleva un’impronta chiara dell’indice della mano sinistra
sull’infisso della finestra, più altre di tipo monodeltico utile ai fini dell’identificazione,
che però non hanno trovato un immediato riscontro nell’archivio della polizia. Sul
pavimento sono state trovate impronte di una scarpa maschile di tipo militare no. 42 che
ha determinato con approssimazione l’altezza dell’ assassino: 1,75 metri.
Nella notte del 23/24 luglio 1944 è attaccata Maria Ionescu, 36 anni, mentre
tornava a casa dal lavoro e poi trovata incosciente verso le ore 2 in un campo limitrofo
alla propria abitazione. La donna presentava profonde ferite alla testa e morirà
all’ospedale senza poter dire niente su come e chi gli avesse procurato quelle ferite
mortali.
L’esame medico-legale conclude che le ferite lasciate dal corpo contundente sul
suo cranio corrispondono a quelle inferte a Elena Udrea: lo stesso tipo e forma di ferita
fanno pensare alla stessa arma del delitto e allo stesso aggressore. Questo era sostenuto
anche dal fatto che l’aggressione si era svolta nelle stesse condizioni meteorologiche
particolari. Per di più, alla vittima non era stato preso niente.
La notte del 12/13 ottobre 1944 è uccisa Elena Locusteanu, detta anche Julieta,
in età di 17 anni. La ragazza lavorava come parrucchiera e abitava in un seminterrato in
str. Apolodor 10. Fu uccisa nel sonno con colpi d’accetta alla testa in condizioni
atmosferiche identiche a quelle degli altri delitti: pioggia torrenziale, vento forte.
Sugli infissi della finestra della camera da letto è prelevata un’impronta digitale
uguale a quella trovata nella casa di Elena Udrea e, proprio come nell’altro caso di
omicidio, dalla stanza non manca niente, quindi l’ipotesi della rapina è esclusa.
La mattina del 12 novembre 1944 è trovata morta Rozalia Coroiu, 20 anni,
colpita alla testa con un corpo contundente mentre tornava a casa. Siccome anche quella
notte aveva piovuto a dirotto, nel suolo umido si erano impregnate le orme delle scarpe
militari dell’assassino: no.42. I documenti di identità nonché le chiavi di casa ed il
portafoglio con soldi sono stati ritrovati nelle tasche della vittima: ancora una volta non
si tratta di aggressione a scopo di rapina ed il movente e l’autore rimangono sconosciuti.
Nella notte del 16/17 novembre 1944 il corpo senza vita di Maria Vizitiu è
ritrovato nella sua abitazione situata al seminterrato di un immobile situato in Strada
Nouă no.8. La ragazza è uccisa in condizioni simili: colpi d’accetta che gli hanno
sfondato il cranio, nebbia, pioggia e vento forte, e dalla stanza non manca niente.
Andando via, il criminale prende un gallo dal pollaio al quale gli strappa la testa
successivamente ritrovata nel cortile.
Il contesto storico dell’epoca (gli assassinati politici, il cambiamento di regime
politico, la riforma della polizia) hanno deviato l’attenzione dai suddetti casi, i quali
però rimarranno presenti nella memoria di Constantin Ţurai, all’epoca ufficiale
criminalista. Lui non scorderà mai il disegno papillare particolare dell’ indice della
mano sinistra, riscontrato una volta ogni 3000 persone.
A distanza di venticinque anni, nel 1970, un nuovo assassino seriale colpisce
nelle stesse identiche condizioni. Nasce la domanda: poteva essere lo stesso assassino?
Considerando che nel 1944 avrebbe avuto sui 20-25 anni, nel 1971 avrebbe dovuto
avere sui 50 anni e considerando l’agilità del criminale del ‘71 era quasi impossibile che
fosse lo stesso. Infatti, è incolpato Ion Rîmaru, giustiziato poi il 23 ottobre 1971.
Nel frattempo, il prof. Ţurai era diventato il capo del Laboratorio di
Biocriminalistica dell’Istituto di Medicina Legale di Bucarest. Il caso Rîmaru è stato
un’occasione per ricordare i terribili crimini del 1944.
Esattamente un anno dopo la morte di Rîmaru Ion, attraverso una strana
coincidenza, sul tavolo di autopsia all’Istituto Medico-Legale arriva il cadavere di un
uomo trovato morto in seguito ad una caduta dal treno in movimento in circostanze
ancora da scoprire: incidente, suicidio, omicidio? Era Florea Rîmaru, il padre di Ion.
Ufficialmente, il decesso è stato catalogato come incidente, anche se è possibile che gli
agenti della polizia segreta lo abbiano voluto eliminare.
Il suo corpo è portato all’Istituto di Medicina Legale dove il caso vuole che lo
stesso criminalista che si era occupato dei delitti del ’44 gli prende le impronte e
constata con sorpresa che sono identiche a quelle che erano state trovate vent’anni
prima sui luoghi dei delitti.
Tudorel Butoi, uno psicologo di Bucarest che si è da sempre interessato ai vari
serial killer romeni, teorizza che un gene contenente la predisposizione al crimine
violento sia stato trasmesso dal padre al figlio, considerando le circostanze più o meno
identiche delle aggressioni. Per capire tali affermazioni bisogna far riferimento a quanto
già detto in merito alla tradizione psichiatrica romena e alla sua predilezione per le
determinanti organiche in merito alla genesi delle psicopatologie. Ci troviamo
comunque di fronte ad un caso più unico che raro e cioè padre e figlio entrambi serial
killer. In epoche diverse operano con modalità in parte simili diventando probabilmente
anche complici. Ma questo legame fra padre e figlio pone anche alcuni interrogativi:
● il padre riconosciuto come l’assassino del 1944 perché ha interrotto la serie
omicidiaria?
● perchè Rîmaru alle soglie della fucilazione accusa il padre dei delitti a lui
imputati?
● in quali condizioni e attraverso quali sistemi coercitivi ha confessato Rîmaru,
ben sapendo come si svolgevano le indagini all’epoca?
● geneticamente, il padre è veramente il padre? Se ciò non è dimostrato, come
fanno certi “scienziati” a chiamare il caso “un’illustrazione della teoria del delinquente
nato”?
CAPITOLO VII
ASPETTI CRIMINOGENETICI E DI’
PERSONALITÀ. CONSIDERAZIONI SUGLI
OMICIDI

Ion Rîmaru nasce a Corabia, una cittadina al sud della Romania ed è il primo dei
tre figli di Florea ed Ecaterina. Il padre picchiava regolarmente la madre finchè non si
sono separati ed il padre si è trasferito a Bucarest, dove cominciò a lavorare come
conducente d’autobus.
Vive un’adolescenza tumultuosa: è bocciato nella prima superiore, provoca uno
scandalo pubblico quando è sorpreso a intrattenersi sessualmente con la figlia
minorenne di un suo professore, a 18 anni è condannato a cinque mesi di prigione per
furto aggravato (dei cinque ragazzi che erano andati a rubare cocomeri, è l’unico che
aggredisce il guardiano).
Nel 1966 è ammesso all’Università di Medicina Veterinaria di Bucarest con il
voto di 5.33/10. Ripete il secondo anno e, al momento del suo arresto, sta per ripetere
anche il terzo a causa di assenze e scarsi risultati scolastici. Uno dei professori lo
descrive come timido e semi letterato, con un vocabolario povero ed una ristretta area di
interessi.
I colleghi dell’università lo evitano a causa del suo comportamento bizzarro:
sfoga la sua rabbia attraverso atti di autolesionismo (quando catturato, le braccia e le
gambe presentavano più di venti cicatrici di ferite pregresse da punta di arma da taglio)
ed una libido irrefrenabile. Nel 1967, all’età di 21 anni, i medici diagnosticano una
sindrome reattivo nervosa e spasmi esofagei.
Ion Rîmaru ha quindi una storia familiare dominata della figura di un padre
autoritario con tratti psicopatologici e una madre assente con atteggiamenti di rifiuto e
abbandono. Ha difficoltà di inserimento nell’ambiente scolastico e fin dall’infanzia
appare scontroso, non socievole e taciturno. Il suo isolamento affettivo e sociale va
aumentando con il trascorrere degli anni. Le donne rappresentano unicamente un
oggetto da usare per soddisfare il desiderio sessuale e poi disfarsene. Infierisce sui
cadaveri e l’eccitamento sessuale raggiunto causa un senso di potenza e di benessere sia
fisico che psichico. La carriera criminale è favorita dal fatto che conduce una vita
isolata: non ha amici, non lega con nessuno. Anche la profonda solitudine è un aspetto
della sua personalità disturbata perchè incapace a relazionarsi col mondo esterno. Si
impadronisce di oggetti appartenenti alle
vittime, vuoi per uno scopo utilitaristico, vuoi
per un rituale feticistico nel quale una parte
dell’Altro rappresenta il tutto di cui
impossessarsi. L’idea è rinforzata dal rituale
totemico dell’introiezione dell’Altro attraverso modalità orali (cannibalismo e
vampirismo).
Le autorità investigative hanno definito il suo modus operandi come feroce e
crudele, caratterizzato dalla sua propensione a tagliare i vestiti e gli indumenti intimi
delle vittime, morderne la carne, trascinare le vittime in luoghi appartati dopo averle
tramortite in strada, accoltellarle in varie parti del corpo non solo con lo scopo di
ucciderle, stuprarle prevalentemente e ripetutamente quando queste donne si trovavano
in stato di incoscienza e spesso quando erano già morte. Rîmaru è stato definito come
aggressivo, impulsivo e sadico, mostra aspetti di vampirismo e di cannibalismo: per
esempio, fa dei tagli nel braccio di Florica Marcu e poi le succhia il sangue, morde le
parti genitali, pubiche e i seni e delle parti anatomiche strappate o tagliate alle vittime
non se ne trova più traccia in nessun luogo. Egli mostra inoltre tendenze necrofile
continuando gli stupri, i colpi e gli accoltellamenti anche dopo la morte della vittima.
Il criminologo romeno Tudorel Butoi ha visionato le registrazioni
dell’interrogatorio di Rîmaru qualche anno dopo l’esecuzione. Nella sua opinione i
delitti frenetici di Rîmaru sono una forma di compensazione per il suo complesso di
inferiorità che sentiva sin da piccolo: infatti, proviene da una famiglia povera, è timido,
disadattato socialmente ed ha sempre avuto relazioni disfunzionali con le donne.
Allo stesso tempo, Rîmaru è stato catalogato come “uomo-lupo” e Tudorel Butoi
teorizza che fosse affetto da una forma di licantropia clinica. A sostegno della sua tesi
egli evidenzia il camminare con fare predatorio, l’inseguimento, l’energia istintiva e
animalesca che deriva dalle condizioni meteo insolite e dal fatto che considera le sue
vittime come una preda. Rîmaru calcolava il percorso della vittima, seguendole verso il
proprio domicilio per alcune notti ed attaccandole quasi davanti casa. Tudorel Butoi
mette in discussione l’affermazione di Rîmaru di aver cercato di abbordare una donna in
una maniera civilizzata, considerandola come una simulazione, “scuse perverse”.
Nel XV secolo, quando veniva trovato il corpo mutilato di una donna, la
popolazione si rifiutava di credere che un altro essere umano era stato capace di
un’atrocità del genere, e quindi si finiva per concludere che fosse stata una forza
sopranaturale, come un vampiro o un uomo-lupo a uccidere la donna con tale violenza
selvaggia. Ogni volta che una sagoma umana fosse avvistata nelle vicinanze della scena
del crimine si pensava che l’essere umano si fosse trasformato in un lupo, aveva
commesso il crimine e poi si sarebbe ritrasformato in uomo. La credenza in licantropia
(dal greco lykos, lupo e anthropos, uomo) è abbinata al ciclo lunare e alla convinzione
che la luna piena favorisce la trasformazione. Cercare oggi le spiegazioni di un
comportamento criminale in una tale tesi è assurdo.
Krafft-Ebing18 nota che alle soglie della civiltà umana, gli uomini del periodo
premoderno utilizzavano spesso la violenza e l’aggressione per ottenere le femmine
necessarie alla propagazione della specie. In questo senso, il comportamento di Rîmaru
ripresenterebbe un’illustrazione di una pratica atavica, con la differenza che l’istinto di
vita è pervertito. Gli omicidi però soddisfano la propria necessità di un soddisfacimento
sessuale.
Le aggressioni rivelano sempre lo stesso modus operandi: l’assassino sceglie le
vittime che rientrano a casa nelle ore notturne, aggredendole di solito vicino alla loro
abitazione. La mappa mentale comprende i posti di massima accessibilità alla vittima: i
nodi (stazioni di autobus o cortili condominiali) e le rotte giornaliere percorse dalle
donne. La dinamica dei delitti ed il suo blocco-notes evidenziano come il criminale
pianifichi attentamente il crimine. L’esame medico legale e l’analisi della scena del
crimine mostrano che le vittime sono state stuprate nel momento della morte.
Sessualmente competente, si sente più a suo agio compiendo il rapporto sessuale con il
cadavere, o quanto meno con una donna che non reagisce. Si può dire che è intimorito
dalle donne ed ha un problema relazionale con il sesso opposto che probabilmente
proviene dalle indicazioni paterne. I suoi elementi psico-patologici sono stati rinforzati
dalla psicopatologia del padre che mostrava anch’esso segni di un grave disturbo nella
relazione con il mondo femminile, tanto che diceva al figlio che le donne devono essere
picchiate. Il padre lo consiglia di inserirsi nella facoltà di scienze perché è frequentata
da molte ragazze. E’ stato sempre il padre a dargli un “consiglio utile” per favorire
l’avvicinamento delle ragazze: “Picchiale!” e poi dichiara che se lui ritornasse giovane
un’altra volta e avesse voglia di una ragazza, l’avrebbe trafitta con un ferro e poi
l’avrebbe violentata.
La relazione padre-madre rispecchia i canoni di una relazione vittima-carnefice e
quindi lui probabilmente ripete ossessivamente la stessa modalità che vedeva in casa. Di
fatti lui ripeteva all’infinito questa situazione, cercando una soluzione per la sua

18
Krafft-Ebing (1886), Psychopatia Sexualis, p.60.
impotenza. Il necrofilo è da ritenersi assolutamente incapace di rapportarsi a una donna
viva e quindi ricorre ai cadaveri delle sue vittime per cercare di soddisfare il proprio
bisogno di amore, passione, sessualità.
Lui si relaziona con un oggetto inanimato e ha bisogno di possedere
completamente la vittima. In questo modo cerca probabilmente e disperatamente di
riproporre la relazione con la madre in cui lui ha rappresentato l’oggetto in totale
possesso della stessa, privato di qualsiasi attributo di identità. Egli ripropone tale
modalità relazionale con le vittime invertendo però i ruoli: ora è lui che può possedere
totalmente l’altro a cui nega qualsiasi identità propria e lo fa diventare solo oggetto dei
propri bisogni perversi. Tale modalità perversa di relazionarsi originatasi attraverso il
rapporto con la madre nei primissimi anni di vita è stata poi ulteriormente confermata e
sostenuta dalla relazione con un padre anch’esso perverso e psicopatico. Tant’è che lui
stesso da piccolo aggrediva la madre imitando il padre. Il suo comportamento si è
sviluppato in modo univoco in relazione ai fattori ambientali e biologici. Gli psicopatici
necrofili ottengono il soddisfacimento sessuale quando hanno il dominio completo sul
corpo di un essere umano. Il senso di potere totale agisce come un afrodisiaco e dissipa
anche la paura dell’inadeguatezza nella prestazione sessuale con le donne19.
I cadaveri/corpi delle vittime sono abbandonati in una posizione e/o luogo che
facilita il ritrovamento. Lasciandole con le gambe divaricate, il criminale intende
umiliare e ulteriormente degradare la vittima, provocando uno shock a chi scoprirà il
cadavere. Mostra i segni di un disturbo ossessivo – compulsivo in quanto sistema nei
due dei omicidi le scarpe delle vittime una accanto all’altra, sotto una panchina nel
omicidio Gheorghiţa Popa e sopra un muretto dopo l’uccisione di Mihaela Ursu. Per di
più, il Rîmaru ha un blocco-notes dove annota tutte le mosse utilizzando un codice
cifrato. Si autodefinisce come “l’uomo che ammazza donne” e si rimprovera per la
perdita del certificato medico. Ha l’idea che le donne hanno un’attenzione particolare al
suo riguardo: “Sembrava che me lo facevano apposta, quando sull’ autobus alzavano le
loro gonne per sedersi”.
Il suo comportamento criminale non è influenzato dalla reazione delle vittime.
Rîmaru utilizza un approccio a blitz20 ed un alto livello di forza che ha come scopo

19
Robert Simon, (1997), I buoni lo sognanao, i cattivi lo fanno, p.50.
20
Blitz: utilizzo immediato della forza per vanificare ogni possibile reazione della vittima (Burgess & Warren, The
Serial Rapist: His Characteristics and Victims in Picozzi, Zappalà, Criminal profiling, p.109)
l’annientazione immediata della vittima. Catalogato come killer che uccide per piacere
(Lust Killer), lui ha bisogno di un contatto di tipo fisico, “a pelle”, con la vittima ed è
ciò che avviene sotto la forma di un brutale assalto che esige un contatto diretto con il
corpo della donna.
La dose di violenza messa in atto dall’aggressore è significativa per i suoi
bisogni emozionali e motivazionali. Lui non vuole interagire, ma avere sin da subito il
controllo totale sulla vittima e ciò mostra il conflitto sottostante con il mondo femminile
e la mancanza di empatia e comprensione. Il controllo totale è l’unico modo per
sconfiggere i propri sentimenti di inadeguatezza ed i complessi di inferiorità.
Il bisogno di controllo sugli altri si evidenzia già nell’ infanzia di Ion Rîmaru, il
quale provocava sempre i compagni di classe ed era noto per il suo comportamento
aggressivo nei confronti degli altri ragazzini, i quali venivano intimiditi con le minacce
e con manifestazioni di violenza diretta.
Infliggere il dolore è un mezzo per creare sofferenza e provocare le risposte
desiderate di ubbidienza, sottomissione, umiliazione, paura e terrore. Poichè queste
possono essere le caratteristiche del sadico sessuale21 che si eccita in risposta alla
sofferenza altrui, non consideriamo che Ion Rîmaru appartenga a questa categoria. I suoi
desideri sessuali sono centrati sul cadavere o quantomeno sulla vittima completamente
inattiva. Lui non tortura le vittime prima di ammazzarle e non mostra nessun interesse
di tenere la vittima in vita il più a lungo possibile per poter godere della sua sofferenza.
Ha desideri necrofili in quanto non è il dolore esplicito della vittima a determinare
l’eccitamento sessuale ma il suo bisogno di relazionarsi con una vittima – oggetto -
inanimato che non gli risvegli e non gli ricordi le sue angosce. Dimostra rabbia e
overkilling che rappresentano un tema costante di dominio sul corpo inerme derivati
dall’ira e dalla collera di non poter sostenere un rapporto con una donna viva. Il
possedere e dominare l’Altro in quanto “cosa” e non come “persona” dà il massimo di
sensazione di onnipotenza e di piacere e il minimo di ansia relazionale, anche se in
questo modo si attua un’inversione di un istinto.
I cadaveri presentano quasi sempre segni di taglio o accoltellamento, in modo
particolare al petto o al livello genitale; sono frequenti i morsi della pelle, a volte un
desiderio di bere sangue e di mangiare la carne.

21
Dietz et all, The Criminal Sexual Sadist, in Practical Aspects of Rape Investigation, pp.361-362
Il dizionario Zingarelli fornisce la definizione odierna del sadismo: “Tendenza
ad associare la soddisfazione sessuale con l’infliggere dolori al compagno”. Nel 1886,
Krafft-Ebing aveva una visione diversa in quanto definiva il sadismo sessuale come
dovuto “al dominio e controllo totale di un oggetto umano impossibilitato a difendersi”
e “al desiderio di sottomettere completamente una donna”, senza fare la differenza tra
il comportamento sadico attuato sul vivente o sul cadavere. Il DSM IV include il
sadismo tra le parafilie sessuali:
“…implica azioni (reali, non simulate) in cui il soggetto ricava eccitazione
sessuale dalla sofferenza psicologica o fisica (inclusa l’umiliazione) della vittima.
Alcuni soggetti con questa parafilia sono infastiditi dalle loro fantasie sadiche, che
possono essere evocate durante l’attività sessuale ma non agite altrimenti; in
questo caso le fantasie sadiche di solito implicano il fatto di avere un controllo
completo sulla vittima, che è terrorizzata dall’anticipazione dell’atto sadico
imminente. […] Ancora altri soggetti con Sadismo Sessuale agiscono i propri impulsi
sessuali sadici con vittime non consenzienti. In tutti questi casi, è la sofferenza
della vittima che è sessualmente eccitante (s.n.). Le fantasie o gli atti sadici
possono comportare attività che indicano il dominio del soggetto sulla vittima (per
es. forzare la vittima a camminare carponi, o chiudere la vittima in una gabbia)…”
allontanandosi dal concetto originale veicolato dal Krafft-Ebbing nel quale il
potere, il dominio ed il controllo prevalgono sulla sofferenza della vittima.
L’Autore pensa che la vittima incosciente oppure deceduta non può offrire al
sadico quel tipo di feedback necessario per l’eccitamento sessuale (non piange, non
grida, non implora, non lotta, non reagisce in alcun modo). Ecco perché gli atti
postmortem (come necrofilia) oppure gli atti inflitti sulla vittima incosciente non
possono essere descritti come sadici22. Come già detto sopra la più grande soddisfazione
del sadico deriva dalla risposta della vittima alla tortura inflitta.
Cert’è che un complesso di fattori individuali, familiari, ambientali e sociali ha
fatto sì che il binomio “piacere sessuale – violenza” si è strutturato sotto forma di
comportamento non più modificabile e non più rinunciabile. Come la maggior parte dei
serial killer, Ion Rîmaru sapeva esattamente quello che stava facendo, e anche se può
controllare la sua azione fino ad un certo punto, sceglie di non farlo perché ricava
sollievo dallo stato di tensione nel quale si trova: Rîmaru dichiara che uccideva “per
rinfrescarsi sessualmente”.

22
Brent Turvey, Criminal Profiling, p.448
Di solito, il killer che uccide per ottenere piacere è organizzato, se non altro
perché si è preparato ai suoi crimini con complesse fantasie maturate nel corso degli
anni. Rîmaru non fa eccezione, come risulta dalla tabela 1.

Tabela 1
DIFFERENTI SCENE DEL CRIMINE IN OMICIDI ORGANIZZATI E DISORGANIZZATI
RIMARU

ORGANIZZATO DISORGANIZZATO

Aggressione pianificata x Aggressione improvvisa, non


pianificata
La vittima è persona sconosciuta x Vittima/luoghi conosciuti
Personalizza la vittima Depersonalizza la vittima x
Controlla la relazione verbale con Minimo controllo della relazione x
la vittima. verbale
La scena del crimine riflette un x La scena del crimine si presenta
controllo completo. caotica e disordinata.
Esige una vittima sottomessa x Improvvisa violenza sulla vittima
Utilizza mezzi di contenzione Minimo uso di contenzione fisica x
Compie atti aggressivi prima della Atti sessuali successivi alla morte x
morte
Nasconde il corpo Cadavere lasciato in vista x
Armi e tracce/prove assenti sulla x Armi e tracce/prove spesso presenti
scena
Trasporta la vittima o il cadavere x Cadavere lasciato sul luogo
dell’omicidio
Bibliografia:

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