Corsi, Copricapi e Bende Rituali Nelle Ceramich

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nuova serie

Rivista del Dipartimento di Scienze dellantichit


Sezione di Archeologia classica, etrusco-italica, cristiana e medioevale

Fondatore: giulio q. giglioli


Direzione Scientifica

maria paola baglione, gilda bartoloni, luciana drago,


enzo lippolis, laura michetti, gloria olcese,
domenico palombi, maria grazia picozzi, franca taglietti

Direttore responsabile: gilda bartoloni

Redazione:

franca taglietti, fabrizio santi

Vol. LXIII-n.s.II, 2
2012

LERMAdiBRETSCHNEiDER-ROMA

Comitato Scientifico
Pierre Gros, Sybille Haynes, Tonio Hlscher,
Mette Moltesen, Stephan Verger
Il Periodico adotta un sistema di Peer-Review

Archeologia classica: rivista dellIstituto di archeologia dellUniversit di Roma. Vol. 1 (1949)- .- Roma: Istituto di archeologia, 1949- .-Ill. ; 24 cm. - Annuale. Il complemento del titolo varia. - Dal 1972: Roma: LERMA di Bretschneider.
ISSN 0391-8165 (1989)
CDD 20.930.l05

ISBN 978-88-8265-655-3
ISSN 0391-8165
COPYRIGHT 2012 - SAPIENZA UNIVERSIT DI ROMA
Aut. del Trib. di Roma n. 104 del 4 aprile 2011

Volume stampato con contributo della Sapienza Universit di Roma

INDICE DEL VOLUME LXIi

ARTICOLI
Acconcia V., DErcole V., La ripresa delle ricerche a fossa (2010). LAbruzzo
tra il bronzo finale e la fine dellet del ferro: proposta di periodizzazione
sulla base dei contesti funerari.........................................................................
Bartoloni G. et Al., Veio, Piazza dArmi: la fossa del cane..............................
Bocci Pacini P., Gambaro C., La dispersione del celebre museo de Padri
Certosini. Dal convento di Santa Maria degli Angeli alle collezioni di Vienna, Roma, Parigi e Monaco..............................................................................
Cali L.M., Dalla polis alla citt murata. Limmagine delle fortificazioni nella
societ ellenistica.............................................................................................
Gianfrotta P.A., Da Baia agli horrea del Lucrino: aggiornamenti.....................
Granino Cecere M.G., Gallerie familiari: tra archeologia, epigrafia e antropologia..................................................................................................................
Landi A., Forme e strutture del culto di Gaia nel mondo greco............................
Laubry N., Zevi F., Inscriptions dOstie et phnomne associatif dans lEmpire
romain: nouveaux documents et nouvelles considrations..............................
Magaa J..D., Los costes de la arquitectura romana: el Capitolio de Volbilis
(Mauretania Tingitana)....................................................................................
Murgia E., Il bothros di Acelum e i rituali di fondazione.....................................
Roscini E., Considerazioni su una base iscritta da Acquasparta (Terni)...............
Zaccagnino C., Bevan G., Gabov A., The Missorium of Ardabur Aspar: new
considerations on its archaeological and historical contexts............................

p. 7
55
455
169
277
345
127
297
381
223
239
419

indice del volume lxiii

NOTE E DISCUSSIONI
Ambrogi A., Frammento di rilievo con la disputa per il possesso del tripode......
Corsi A., Copricapi e bende rituali nelle ceramiche italiote e siceliote................
De Caro V., Ceramica a vernice nera da Elba Fucens: contributo allo studio dei
bolli nominali...................................................................................................
Fileri E., Osservazioni sul cosiddetto Priapus Gallinaceus...............................
Guzzo P.G., Fibule e identit a Pithecusa..............................................................
Meloni S., Monumentum quod videtur fuisse familiae liberorum Neronis Drusi.
Un capitoletto di CIL, VI da riconsiderare.......................................................
Tabolli J., Identit nella memoria a Narce durante la prima et del Ferro..........
Tucci P.L., La controversa storia della Porticus Aemilia....................................

p. 619
537
561
637
509
593
485
575

RECENSIONI E SEGNALAZIONI
AA.VV., Tetti di terracotta. La decorazione fittile tra Etruria e Lazio in
et arcaica (F. Buranelli)..........................................................................
DEnnion au Val Saint-Lambert. Le verre souffl-moul (L. Taborelli).......
Filostrato maggiore, Immagini. Introduzione, traduzione e commento di
Letizia Abbondanza, prefazione di Maurizio Harari; Filostrato
maggiore, La Pinacoteca, a cura di Giuseppe Pucci, traduzione di
Giovanni Lombardo (L. Faedo)..............................................................
Frederiksen R., Greek City Walls of the Arcaic Period, 900-480 BC
(L.M. Cali)..................................................................................................
Koch G. (hrsg.), Akten des Symposiums des Sarkophag-Corpus 2001.
Marburg, 2.-7. Juli 2001 (M. Papini).........................................................
Koch L.C., Die Glasbgelfibeln des 8. und 7. Jahrhunderts v. Chr. aus
Etrurien. Ein Beitrag zur eisenzeitlichen Glastechnik und zu den Bestattungssitten des Orientalizzante (A. Naso)............................................
Landwehr Ch. (con Alexandridis A., Dimas St., Trillmich W.), Die
rmischen Skulpturen von Caesarea Mauretaniae, Band IV. Portrtplastik,
(L. Bianchi)...................................................................................................
Melandri G., LEt del Ferro a Capua. Aspetti distintivi del contesto
culturale e suo inquadramento nelle dinamiche di sviluppo dellItalia
protostorica (V. Bellelli)............................................................................

683
672

662
688
657
680
669
694

Pubblicazioni ricevute............................................................................................ 705

COPRICAPI E BENDE RITUALI


NELLE CERAMICHE ITALIOTE E SICELIOTE
Le immagini vascolari, per il loro eccezionale contributo sul piano informativo, si
prestano ad unindagine culturale di carattere multiforme; se ne possono, ad esempio,
prendere in esame le potenzialit espressive per quanto concerne la sfera del sacro. A
tal fine, stata condotta unanalisi sui copricapi e sulle bende rituali nelliconografia
ceramica italiota e siceliota1: questi accessori dellabbigliamento, in apparenza semplicemente decorativi, risultano essere tracce indicative di peculiarit rituali, come anche
della diffusione di specifiche tradizioni locali. Lo spoglio della documentazione stato
quindi volto a esaminare contesti e forme di questi ornamenti. In particolare, lesame del
materiale ceramico pubblicato da A.D. Trendall, ca. 20000 vasi2, ha consentito lindividuazione di ca. 300 raffigurazioni di copricapi e bende rituali. Le singole raffigurazioni
sono state analizzate e poi, in base ad analogie, raccolte in gruppi; con questo procedimento sono stati identificati cinque tipi principali: la mitra, il cordoncino di lana, la corona vegetale (con varie soluzioni), il copricapo carneo e il diadema3; di questi, quattro
mostrano un rapporto con ambientazioni e contesti cultuali, il quinto, invece, appare di
carattere pi generico.
La ricerca affronta un ambito ancora abbastanza inesplorato, nonostante la ricca letteratura scientifica su questa produzione: lassenza di riferimenti bibliografici puntuali
ha richiesto un lavoro sperimentale di raccolta e ordinamento dei dati; inoltre, alcune
tipologie di questi ornamenti sono state esaminate e denominate per la prima volta.

1
Il tema stato affrontato personalmente in occasione della tesi di Specializzazione in Beni Archeologici
presso lUniversit di Roma La Sapienza, discussa nellaprile del 2010 con il prof. E. Lippolis.
2
Trendall 1967; Id. 1970; Id. 1974; Id. 1983; Id. 1987.
3
Il nome mitra stato attribuito con relativa sicurezza, trattandosi di una denominazione estremamente
generica, assimilabile allit. benda; per gli altri ornamenti luso dei nomi antichi stato evitato, considerando
lelevato rischio di forzature terminologiche. A questo proposito, il cordoncino di lana talora viene chiamato
agrenon (Krg 1968, pp. 37-38, tavv. I e III, 11; Gllberg, strm 1970, pp. 44-45; Cleland 2007, s.v.
agrenon, p. 3), anche se i lessicografi attribuiscono questo nome ad una veste di lana a rete (Poll. Onom., IV,
116; Hesych. s.v. ). probabile che il fraintendimento sia nato dallesame delle fonti iconografiche
che testimoniano luso rituale tanto del cordoncino quanto del tessuto a rete per coprire lomphalos (Hock
1910, p. 42; Pley 1911, pp. 31-32, nota 2; Gllberg, strm 1970, pp. 43-44). Sullagrenon: E. Saglio,
in Daremberg, Saglio, I, s.v. agrenon, p. 165; Harrison 1900.

ArchCl, LXIII, 2012, pp. 537-560

538

note e discussioni

La mitra

Per pi di due terzi4 la documentazione raccolta relativa alla mitra, un nastro di


lana, abbastanza largo e relativamente lungo (veniva passato intorno al capo anche due
volte), che stringeva e fissava la capigliatura5. La forma semplice, quella che si presenta
come una fascia senza nodo, la pi comune, la indossano anche i giovani panneggiati
nelle generiche scene di colloquio, sul lato secondario del vaso e per questo motivo non
sembrerebbe propriamente rituale; compare nelle scene dionisiache, ma in maniera puramente convenzionale, a fronte della complessit e della molteplicit delle varianti note
dagli stessi contesti. La consuetudine nellutilizzo non ne esclude comunque una generica valenza simbolica.
Sono stati riconosciuti in tutto sette modelli diversi di mitra; fatta forse eccezione
per il tipo decorato con una linea (Fig. 1a), si tratta di un campionario che difficilmente
pu essere ricondotto alla fantasia dei ceramografi; solo le differenze minori allinterno
di ogni modello, come la presenza o lassenza del nodo, sembrerebbero riferibili a un
gusto o a una convenienza pittorica.
La benda rosso porpora (Fig. 1b), semplice o decorata con una fila di punti bianchi,
appare indossata quasi esclusivamente dal papposileno, limitatamente da Dioniso, mai da
giovani inseriti in unambientazione dionisiaca, ma questa osservazione non appare sufficiente per affermare che questo tipo di benda fosse confinato alla sfera mitica. La mitra
rosso porpora nota da vasi pestani, in particolare dellofficina dei Pittori di Asteas e
Python, che cronologicamente si colloca intorno alla met del IV sec. a.C.6. Finora, questa mitra conosce ununica attestazione apula: una pregevole raffigurazione in un frammento vascolare della collezione Cahn. Il giovane che la indossa stato identificato con
Olimpo e il satiro che gli accanto con Marsia, non si esclude tuttavia una lettura della
scena in chiave dionisiaca (Fig. 2)7.
Il tipo numericamente pi attestato quello decorato con una fila di punti neri (Fig.
1c). Lo indossano tutti i componenti del tiaso dionisiaco, Dioniso in primis. La ripetitivit della decorazione suggerisce una riproduzione puntuale del modello, piuttosto che una
semplificazione grafica, in quanto linventiva dei pittori avrebbe dato luogo a soluzio4

Complessivamente sono state individuate ca. 220 rappresentazioni.


Propriamente, il termine mitra indica sia una cintura, che una benda per capelli (Hesych., s.v. mitra;
Pind., Isth., V, 69; Ol., IX, 124). Generalmente la mitra, intesa come benda, era indossata da uomini e donne, sia per trattenere i capelli lunghi, sciolti, sia come ornamento; per gli atleti era invece simbolo di vittoria
(Miller 2004, p. 128, fig. 211). Spesso le veniva attribuito un potere di consacrazione, dunque la avvolgevano intorno al capo coloro che prendevano parte ai riti. Tra le divinit, Demetra e Kore erano rappresentate
frequentemente con la mitra, ma di fatto era un attributo di Dioniso, che la portava da sola o con ghirlande di
edera. I membri del tiaso dionisiaco e i partecipanti al simposio si cingevano il capo per imitare il dio del vino,
ma anche perch si diceva che la mitra scongiurasse gli effetti dellebbrezza (Diod. IV, 4, 4; Ath. XV, 674b;
675c). Sulla mitra: A. De Ridder, in Daremberg, Saglio, III, 2, s.v. mitra, pp. 1955-1956; P. Schuppe, in
RE XV, s.v. , pp. 2217-2221; Krg 1968, p. 139, tav. I, 3; 6; 7.
6
Secondo la cronologia proposta da A.D. Trendall, Asteas dipinge tra il 360 e il 330 a.C., Python nel terzo quarto del secolo (Trendall 1987, p. 56).
7
Cambitoglou, Chamay 1997, pp. 94-95, n. 34.
5

note e discussioni

539

ni, sia pure leggermente, diverse. Il tipo puntinato rivela chiaramente una connotazione
liturgica in quanto, accanto a Dioniso, lo indossano anche i giovani iniziati8.
Per accentuare a un tempo la valenza sacra e il potere consacrante della benda si
aggiungevano elementi vegetali, petali, foglie, pi raramente ramoscelli (Fig. 1d); se
poi si sovrapponeva direttamente la mitra a una ghirlanda si otteneva una corona con un
significato rituale verosimilmente accentuato. Anche la benda puntinata sembra prerogativa dei contesti campani, in particolare della zona di Paestum; liconografia non risale
oltre il 360 a.C. e probabilmente nasce nellofficina di Asteas.
Gli stessi soggetti si cingono la testa anche con unaltra mitra, bianca, pi spessa e
in apparenza soffice, con nastri terminali annodati o legati in un fiocco dietro la nuca,
similmente arricchita con piccoli elementi assimilabili a foglie (Fig. 1e). Lipotesi che
il culto di Dioniso contemplasse pi di una liturgia e che richiedesse conseguentemente
ornamenti rituali diversi, di per s plausibile, risulta meno valida in seguito allanalisi della provenienza dei vasi. Sebbene dati precisi relativi ai contesti di rinvenimento
siano molto rari e sia quindi difficile trarne informazioni pi che parziali, tuttavia, la
preminente, sia pure generica, pertinenza apula delle attestazioni di questo tipo di mitra
appare, gi di per s, significativa. Resterebbe da comprendere se la diversit delle bende
debba essere riferita a tradizioni pittoriche o piuttosto a usanze locali differenti. Daltra
parte, considerando che alle pratiche cultuali viene attribuito un valore distintivo e identitario, non si pu escludere che anche lornamentazione rituale fosse funzionale a specifiche connotazioni di area, di gruppo sociale, etc.9. Tornando alla mitra bianca, questa
particolare benda conosce le prime attestazioni nellApulo antico e un uso pi intenso
nellApulo medio; in questa fase presumibilmente viene trasmessa alle officine campane,
che la rappresentano, nel terzo quarto del IV sec. a.C., con il Pittore di Afrodite10 e il
Pittore APZ11; il primo ceramografo, in particolare, appare fortemente influenzato dalla
tradizione pittorica apula12, mostrando in maniera evidente la pertinenza originaria del
dettaglio iconografico, nonch dellattributo rituale.
Ragioni locali sono probabilmente sottese anche alla pluralit dei modi in cui le bende venivano indossate, in particolare si rivela apulo luso di compiere due giri con la
mitra intorno alla testa per fissarla poi con ripetuti passaggi, formanti anelli allaltezza
delle tempie (Fig. 1f). Esiste poi un particolare tipo di corona, composta da due bende sovrapposte, oppure avvolte una intorno allaltra (Fig. 1g), che compare solo nella
ceramica apula e non oltre il 340 a.C. Si direbbe, invece, generalizzata, in quanto dif8
Non documentata in Grecia una regolamentazione relativa agli abiti sacri, in particolare le bende
venivano indossate sia dal sacerdote che dai partecipanti alle cerimonie; tuttavia, nelle fonti si colgono cenni
sulluso di indumenti distintivi come, ad esempio, lagrenon, che era la veste degli indovini (Poll. Onom., IV,
116) e di coloro che officiavano i riti dionisiaci (Hesych., s.v. ). Sulla vestizione rituale vd. Miller
1989, pp. 319-323; Mills 1984, pp. 255-265; Pirenne-Delforge 2005.
9
Krg 1968, p. 124.
10
Sul Pittore di Afrodite, cfr. Trendall 1987, pp. 237-252.
11
Sul Pittore APZ, cfr. Trendall 1967, pp. 500-510.
12
Secondo E. Greco il Pittore di Afrodite si sarebbe formato in unofficina apula, verosimilmente in quella del Pittore di Licurgo, avrebbe quindi precorso la fase cosiddetta apulizzante della produzione ceramica
pestana, che si colloca cronologicamente nellultimo quarto del IV secolo (Greco 1970, pp. 8-9).

540

note e discussioni

Fig. 1. Esempi di bende rituali (a-d: da Trendall 1987, tavv.. 88; 95e; 30a; 21c; e, g: da Apulian
I 1978, tavv. 46,5; 107,2; f: da Apulian II 1982, tav. 327; h: da Trendall 1967, tav. 280).

note e discussioni

541

Fig. 2. Collezione Cahn. Cratere a calice apulo (fr.). 390-380 a.C.


(da Cambitoglou, chamay 1997, n. 34).

fusamente attestata nel territorio magnogreco, una particolare sistemazione della mitra,
che faceva ricadere i lembi ai lati del viso; talvolta, per ottenere lo stesso effetto, si inserivano altre bende allaltezza delle tempie. Questo particolare utilizzo interessa talvolta
anche prodotti pi pregiati, come un tipo dipinto dal Pittore delle Carnee, che presenta una raffinata decorazione con palmette alternate a fiori di loto (Fig. 1h)13. La stessa mitra poi, come attributo di Dioniso, associata a un bastone con una terminazione
inconsueta, le comuni foglie essendo sostituite da fiori di papavero14.
In merito alluso rituale della benda nel mondo greco uninteressante proposta interpretativa viene dallanalisi della figura di Dioniso mitrephoros15. Se le pi antiche rappresentazioni del dio non contemplano alcun ornamento del capo, dalla fine del V, ma
soprattutto nel IV sec. a.C., Dioniso indossa la mitra in entrambi i tipi iconografici con13
Per questo vaso, vd. P. Wuilleumier, in RA 30, 1929, pp. 197-202; id., in RA VI 2 (1933), pp. 3-30;
Beazley 1955, pp. 305-319; Arias, Hirmer 1962, pp. 386-388, figg. 230-235; Trendall 1967, pp. 54-56,
n. 280, tav. 24; DAmicis 1991, pp. 131-137; Casadio 1994a, p. 265 ss..; Lippolis, Garraffo, Nafissi
1995, p. 174; Denoyelle 2002, pp. 587-609; Ferrari 2008, pp. 127-150; Montagner 2009, pp. 71-79.
14
In relazione alla scelta di questa particolare pianta per un contesto sacro appare interessante, come confronto e come stimolo per ulteriori approfondimenti, lindividuazione di un lontano precedente: un idolo fittile
minoico raffigurante una dea dalle braccia alzate, con una corona di papaveri (da Gazi, Iraklion).
15
Su questo epiteto: Diod. IV, 4, 4; cfr. Pley 1911, p. 69; per Sofocle, Dioniso chrusomitras (Soph.,
Oid. t. 209). Cfr. Picard 1932.

542

note e discussioni

sueti: quello barbato con lunga veste e quello pi atletico, imberbe16; ora, Dioniso il
dio in grado di ingannare la mente, ma anche il dio capace di elevare gli animi a lui
devoti oltre la condizione umana, inducendo lestasi; appunto questo potere troverebbe
nella mitra un simbolo, dato che la benda si impone nelliconografia del dio nel periodo
in cui, forse con il favore di Alessandro Magno, il culto accentua la sua valenza mistica17. In Magna Grecia Dioniso mitrephoros, quale appare sia nei servizi da simposio che
nei corredi funerari, potrebbe essere stato considerato tanto dio del vino, quindi dellestasi legata allebbrezza, quanto, a un livello pi complesso, dio dellalienazione mistica
e dei misteri escatologici. Il legame tra la mitra e laspetto estatico del culto troverebbe
proprio tra i Greci dOccidente unesplicita conferma: si tratta dei papaveri da oppio che
completano il bastone del dio nel gi citato cratere del Pittore delle Carnee18. Tuttavia,
questo possibile indizio di una valenza mistica del culto rimane isolato; in altre parole,
una lettura cos puntuale tuttora priva di un adeguato riscontro iconografico. Piuttosto,
si potrebbe tornare a esaminare il riferimento della mitra al vino e intendere la bevanda
non gi come sinonimo di irrazionalit e sregolatezza, bens come anima del simposio,
ossia come gioia e forza vitale rese armoniche dalla cultura della polis19. La mitra, per,
non appannaggio esclusivo di Dioniso, la indossano infatti, sia pure con minore frequenza, anche Apollo, Afrodite, Demetra e Kore. In un discorso pi ampio si tratterebbe quindi di analizzare le diverse sfumature assunte di volta in volta da questo attributo
rituale. Degna di nota appare poi la sua sopravvivenza nei secoli: sono coronate dalla
mitra diverse figure angeliche in dipinti medievali, una in particolare, quella dellArcangelo Gabriele nellAnnunciazione di Simone Martini, mostra una benda con nastri
svolazzanti, a cui stata aggiunta una ghirlanda di mirto o di alloro20. stata in proposito ipotizzata una derivazione dal kusti sasanide21 una fascia che veniva indossata, con
una lunga e complessa serie di gesti rituali, nelle pratiche legate al culto di Zoroastro; si
potrebbe tuttavia suggerire anche una reminiscenza greca, appunto dionisiaca, tenendo
comunque sempre presente la necessit di chiarire, per entrambe le suggestioni, i rispettivi percorsi storici e iconografici.
16

N il Dioniso del vaso Franois, di Kleitias ed Ergotimos, dipinto intorno al 560 a.C., n quello del
frontone Est del Partenone si presentano bendati. Era invece probabilmente mitrephoros il Dioniso crisoelefantino di Alcamene, realizzato intorno al 420 a.C. per il nuovo tempio del dio (il tipo forse rievocato dalla testa
bronzea di Ercolano); presenta poi la mitra una scultura di Delfi a cui il noto Dioniso capitolino stato avvicinato, forse di origine prassitelica e ancora il Dioniso di Leida, da Smirne, verosimilmente derivato da un prototipo creato nellofficina di Skopas (Picard 1932, pp. 709-711). Per liconografia di Dioniso, vd. Gasparri
1986.
17
Picard 1932, p. 716; Casadio 1994a, p. 88.
18
Vd. nota 14. Le propriet di questa pianta erano note fin da tempi remoti; stato identificato come
oppio il nepenthis dellOdissea, che Omero descrive capace di calmare i dolori e di dare loblio. Ippocrate
afferma che il succo del papavero usato in medicina come antidolorifico; Aristotele definisce la pianta ipnotica. Cfr. Carcano 1997, pp. 14-15.
19
Cfr. Isler-Kernyi 2001.
20
Si ricordano a tal proposito anche la Maest di Santa Trinit di Cimabue e la Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna.
21
DOnofrio 2000, p. 81.

note e discussioni

543

Dal confronto della ceramica italiota e siceliota con la ceramica attica i richiami
sono apparsi evidenti, in particolare, in entrambi i contesti ricorrono le immagini del dio
sia con il capo cinto di foglie che con la benda22; si osserva tuttavia, nella produzione
vascolare della Magna Grecia e della Sicilia, una pi ampia variet iconografica e soprattutto uninsistenza maggiore del tipo di Dioniso con la mitra rispetto a quello del dio con
la corona vegetale.
Il cordoncino di lana

Un uso nettamente pi limitato23 documentato per un altro ornamento rituale, una


matassa di lana, cardata, non filata, tenuta insieme da nodi a intervalli regolari, simile
nellaspetto ad una catena di grani, pi o meno rotondi o affusolati24. Questo cordoncino
solitamente applicato a vittime sacrificali, a statue e altri oggetti di culto, tra cui lomphalos; presumibilmente con la stessa funzione, ossia come benda di consacrazione, lo
portano anche figure maschili, facendogli compiere due giri intorno alla testa (Fig. 3)25.
In questo caso il cordoncino si presenta come una catena di sferule, con nastri terminali
relativamente lunghi, legati in un fiocco dietro la nuca. I soggetti che lo indossano appaiono inseriti in una precisa ambientazione rituale, che ancora una volta si rivela dionisiaca: sono infatti lo stesso Dioniso, poi satiri, sileni e giovani al seguito del dio.
La corona vegetale

La tradizione attesta lusanza greca di fabbricare ghirlande con una pluralit di


piante, aventi caratteristiche e significati diversi26. La peculiarit della documentazione figurativa magnogreca e siceliota risiede nella riproposizione delle innumerevoli specie vegetali impiegate, con un interesse che non pu dirsi scientifico, data lessenzialit
del tratto, ma neppure stilistico, pensando, ad esempio, al gusto miniaturistico dei pittori
nordici del XVII secolo. Pi semplicemente, si ritiene che laccuratezza nel distinguere
le corone, anche allinterno di una stessa scena, sia da ricondurre ad una motivazione
simbolica, ossia alla capacit di ogni ghirlanda di connotare diversamente il suo deten22

Cfr. Carpenter 1986.


Sono in tutto 15 le raffigurazioni note.
24
Cfr. G. Fougres, in Daremberg, Saglio, III, s.v. infula, pp. 515-516; Cleland 2007, s.v. infula,
p. 96.
25
Nel suo studio sulla benda nellarte greca, Krg non ne attesta mai un uso come copricapo (Krg
1968, pp. 37-38, tavv. I e III, 11); per la sua identificazione nella ceramica italiota apparsa indiziale la presenza di sferule disposte in una successione ordinata, che farebbe cadere ipotesi diverse, come ad esempio lidentificazione con una corona di bacche.
26
Poll. VI, 106; Ath. XV, 669c-686b. Luso delle corone nel mondo greco non attestato da Omero, ma
intorno alla fine del VII sec. Saffo diceva: gli dei si allontanano da coloro che si presentano al loro cospetto
senza corone (Ath. XV, 664e). Sulle corone vegetali: E. Saglio, in Daremberg, Saglio, I, 2 s.v. corona,
pp. 1521-1527.
23

544

note e discussioni

tore. Purtroppo, la decifrazione di questo


codice botanico non si spinta oltre elementari associazioni, come ad esempio
ledera per Dioniso e lalloro per Apollo27; il preciso messaggio espresso da
ogni tipo di pianta sembrerebbe perduto.
Inoltre, le specie vegetali rappresentate spesso vengono individuate non dalla
forma delle foglie, come si detto, molto
semplificata, ma dal contesto, quindi per
induzione. Lidentificazione della corona
di mirto, ad esempio, si lega al riconoscimento delle figure che la indossano come
banchettanti; questa pianta infatti, secondo le fonti, era particolarmente apprezzata
nei simposi.28 Con una motivazione anaFig. 3. 
Cordoncino di lana (da Trendall
loga stata avanzata lipotesi che siano di
1987, tav. 225c).
mirto le ghirlande delle scene dionisiache,
in particolare quelle dei crateri pestani29.
In alcuni casi, tuttavia, si deve considerare la possibilit che la rappresentazione sia puramente simbolica, che non sussista quindi alcuna intenzione di indicare un tipo di corona
piuttosto che un altro.
Nelliconografia ceramica dellltalia meridionale e della Sicilia la ghirlanda orna il
capo di divinit diverse, ma, fatta eccezione per Dioniso, solo in scene che raccontano
episodi del mito, che non possono quindi essere considerate propriamente rituali. Ora,
accostando nuovamente la pittura vascolare italiota e siceliota a quella attica per analizzare nello specifico le corone di Dioniso, stato possibile rilevare, nella Grecia propria,
un uso quasi esclusivo delledera, in Magna Grecia e in Sicilia, invece, limpiego di una
notevole variet di essenze: oltre alledera (Fig. 4a), il mirto (Fig. 4b), lalloro (Fig. 4c)
ed altre che non possibile identificare.
Era verosimilmente composta da foglie di piante palustri la corona indossata dagli
atleti che partecipavano alla lampadedromia, la corsa delle fiaccole, che si svolgeva ad
Atene in diverse feste, in onore di Efesto, di Prometeo, di Atena e di Pan (Fig. 5). I corridori erano nudi e avevano sulla testa una benda sottile, senza nodo, con foglie di palma
inserite30. Probabilmente, decorata con colori o con disegni diversi, questa sorta di coro27
Offerte comunemente agli dei, le ghirlande che incoronavano le loro statue e quelle che si indossavano
nelle cerimonie in loro onore erano realizzate con le rispettive piante sacre; ad esempio, generalmente a Dioniso si offriva la vite, a Zeus la quercia, ad Apollo lalloro, ad Afrodite il mirto, ad Atena lolivo. Cos, anche
sacerdoti e sacerdotesse avevano il capo ornato da ghirlande in relazione al culto che presiedevano (E. Saglio
in Daremberg, Saglio, I, 2 s.v. corona, p. 1525).
28
Ath. XV, 676c.
29
Turner 2003, pp. 145-146.
30
Per lidentificazione degli elementi verticali appuntiti, noti dalle rappresentazioni vascolari, con foglie
di palma, vd. Apul., Met., XI, 24. Cfr. Ferrario 1826, p. 221. Secondo Martin la corona era formata da una

note e discussioni

545

Fig. 4. Esempi di corone vegetali (da Apulian I 1978, tavv. 9,2c; 4,1b; 9,2b).

Fig. 5. Cambridge. Cratere a campana attico, 450-425 a.C. (da Matheson 1995, tav. 97).

na serviva a identificare le trib in gara31. In ambito magnogreco il tema non attestato,


ma uneco quasi puntuale del caratteristico copricapo stata ravvisata nella corona di
due menadi in un cratere di Lipari, riferibile al secondo quarto del IV sec. a.C. (Fig. 6)32.
fila di piume diritte o da punte; la sua denominazione ignota. Cfr. A. Martin, in Daremberg, Saglio, III,
2, s.v. lampadedromia, p. 911; Giglioli 1951.
31
Krg 1968, p. 125, tavv. I, 13; II, 13a; Miller 2004, p. 141, figg. 226-227.
32
Trendall 1987, p. 44, n. 91, tav. 11a.

546

note e discussioni

Fig. 6. L
 ipari. Cratere a calice, 375-350 a.C. (da Trendall
1987, tav. 11a).

Lanalisi delliconografia delle corone vegetali ha favorito poi lindividuazione di


un altro tipo, simile al precedente, con foglie lunghe, appuntite, disposte a raggiera. Di
particolare interesse appare la duplice raffigurazione di questa corona nel cratere a volute
da Ceglie, dipinto dal Pittore delle Carnee33 (Fig. 7): la indossano giovani nudi che eseguono passi di danza, accanto ad altri danzatori, con copricapi diversi, presso un pilastro
iscritto con il nome karneios. Un giovane presentato di tre quarti, le foglie della sua
corona, evidentemente agitate da un movimento, sono piegate e incurvate tutte nel medesimo senso, formando una sorta di nimbo intorno al capo. Grazie allo studio delle fonti
e allesame di altre attestazioni, stato possibile attribuire un nome e un significato a
questo insolito ornamento: si tratterebbe dello psilinos stephanos34, una corona di foglie
di palma, genericamente denominata kalathos per la somiglianza a un cesto, che avrebbe
dato il nome ad una particolare danza, la danza del kalathiskos35.
A Sparta, durante le Gimnopedie36, cori composti da uomini e da fanciulli danzavano cantando peana in onore di eroi spartani e di Apollo Pizio: i danzatori che li guidava-

33

Vd. nota 13.


Sosibio in Ath. 678c.
35
Poll. IV, 105; Ath. XI, 647f; XIV, 629d; Hesych. s.v. . Cfr. Ferrari 2008, pp. 13534

150.

36
Sulle festivit spartane, vedi Petterson 1992; Calame 2001; Burkert 2003, pp, 433-437, pp. 202204; Levy 2006, p. 77; Papapostolou 2010, pp. 44-45.

note e discussioni

547

Fig. 7. Taranto. Cratere a volute da Ceglie: scena di danza. Pittore delle Carnee. Ultimo decennio del V sec. a.C. (da Trendall 1967, tav. 24).

548

note e discussioni

no avevano sulla testa le psiline (corone di palma)37. In unaltra festa spartana, le Carnee38, esibivano le stesse corone giovinetti che danzavano e cantavano nudi intorno alla
statua di Apollo Karneios39. Queste danze, che propriamente si chiamavano gimnopedie
(avevano lo stesso nome della festivit), consistevano in esibizioni ginniche accompagnate dalla musica40. E ancora, durante le feste in onore di Artemide a Karyai, una localit situata al confine tra Laconia e Arcadia, giovani danzatrici (le cosiddette Cariatidi)
indossavano un chitone leggero, corto alle ginocchia, con un ampio apoptygma e corone
di foglie palustri41. Queste Lacaenae saltantes (danzatrici laconiche) sono note da numerose rappresentazioni neoattiche, che traggono ispirazione da unopera perduta di Callimaco42.
Tornando alle rappresentazioni vascolari, sono stati individuati altri cinque vasi che raffigurano il medesimo copricapo43. Lattestazione pi antica in unhydria attica a figure
rosse da Nola, datata intorno al 450 a.C.: una suonatrice seduta accompagna col flauto i
movimenti di due danzatrici, con un chitone corto e unalta corona di foglie, sovradipinta in
bianco, unaltra suonatrice, stante, ha in una mano il flauto, nellaltra la cetra, alle sue spalle,
assiste allesibizione un giovane con un diadema, appoggiato ad un bastone (Fig. 8); segue
la rappresentazione di una danza armata, eseguita da altre due donne, una con elmo, lancia e
scudo, laltra con spada, accompagnate da due suonatrici (una parodia della pirrica?)44.
Un cratere a campana apulo, da Gnathia, databile intorno agli inizi del IV sec. a.C.,
mostra tre figure coronate con foglie di palma evidentemente impegnate in una coreografia: una donna con chitone corto al centro, tra due uomini nudi; due ghirlande sono
appese sullo sfondo e due pilastrini, uno per lato, chiudono la scena.
37

Il nome originario di questo kalathos rituale era thyreatikos, di Tirea, perch le danze nelle quali
veniva indossato erano commemorative di una vittoria spartana in quel territorio (Sosibio in Ath. 678c). Cfr.
Calame 2001, p. 43, nota 164. Per le danze che venivano eseguite durante le Gimnopedie, vd. Ath. 630e.
38
Vd. nota 36.
39
Non viene espressamene reso noto dalle fonti che si trattava del medesimo copricapo, ma ogni indizio
sembra convergere verso questa soluzione; tra laltro, luso della palma si addice al culto di Apollo in quanto
legata a questa pianta la nascita del dio (Callim. Hymn. Del., 210). Cfr. L. Sechan, in Daremberg, Saglio,
IV, s.v. saltatio, p. 1033; Ducat 2006, pp. 274-277.
40
Le gimnopedie differivano dalla pirrica, anchessa di tradizione spartana, che era invece una danza
armata ed era concepita come un esercizio preparatorio alla guerra. Tuttavia la pirrica molto presto, forse gi
nel V sec. a.C., cambi carattere e ovunque, tranne che a Sparta, divenne una danza da banchetto, con una
forte connotazione dionisiaca; in una forma degenerata era talvolta eseguita anche da donne (L. Sechan, in
Daremberg, Saglio, IV, s.v. saltatio, p. 1033).
41
La danza delle Cariatidi (le donne di Karyai), rapida, agitata e vorticosa, stata talvolta assimilata a
quella delle baccanti e delle menadi (in Daremberg, Saglio, IV, s.v. saltatio, p. 1037). Su questa danza,
vedi Calame 2001, pp. 149-156. In generale, sulla danza nellantichit: Daremberg, Saglio, IV, s.v. saltatio; Latte 1913; Sechan 1930; Lawler 1964; Prudhommeau 1965; Lonsdale 1993; Vesterinen 1997;
Constantinidous 1998; Calame 2001; Lanara 2004; Papadopoulou 2004; Smith 2004; Garelli
2006; Id. 2007; Todisco 2008.
42
Plin., N.H., XXXIV, 92. Cfr. Rizzo 1934.
43
Cfr. Cook 1940, III, pp. 995-1001, figg. 805-809.
44
Heydemann 1872, pp. 531-533, n. 3232; De Caro 1994, p. 46.

note e discussioni

549
A
B

Fig. 8. N
 apoli. Hydria attica da Nola. A: decorazione della spalla con scena di danza (concessione della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei). B: dettaglio
della restituzione grafica con il particolare dei copricapi a sovradipintura visibili solo a luce
radente, 450-440 a.C. (da Cook 1940, III, fig. 805).

Un altro cratere a campana, da Ruvo, attribuito al Pittore di Sisifo, rappresenta due


giovani nudi, con il solito copricapo raggiato, che danzano ai lati di un suonatore di flauto, barbato, con un lungo chitone. Lo stesso pittore, ancora una volta in un cratere a campana, dipinge il medesimo soggetto sostituendo la figura centrale con quella di un altro
danzatore, coronato di palma, che compie una piroetta (Fig. 9).
Queste raffigurazioni testimoniano che lo psilinos stephanos era appannaggio esclusivo dei danzatori, uomini e donne senza distinzione, ma non apportano nuovi elementi per
quanto riguarda laspetto rituale. Sotto questo profilo, appare invece degno di particolare
attenzione un cratere a campana attico, a figure rosse, della prima met del IV sec. a.C. (Fig.
10), che raffigura una giovane con un chitone corto, di stoffa ricamata, senza pieghe45, con
una corona di foglie, sia pure meno folta delle precedenti, che volteggia davanti a Dioniso,
seduto su una base, o una pedana, con tre gradini; Eros si appoggia a una spalla del dio,
indicando la giovane danzante, dietro la quale una colonna ionica, sovradipinta in bianco,
evoca un edificio di culto; accanto alla colonna, una menade con nebride, tirso e ampio timpano46. In questa scena la corona vegetale indossata in un contesto diverso, appunto dionisiaco, e si potrebbe quindi arguire che questo copricapo non fosse legato alle celebrazioni
in onore di Apollo, ma caratterizzasse piuttosto un tipo particolare danza. Non si esclude
tuttavia lipotesi di una libera contaminazione tra i culti sul piano rituale; in altri termini,

45
46

La veste suggerirebbe un costume barbarico, forse lidio (Latte 1913, p. 57).


Licht 1925, p. 122.

550

note e discussioni

Fig. 9. Z
 urigo. Cratere a campana apulo. Pittore di Sisifo. Inizi IV sec. a.C.
(da Cook 1940, III, fig. 809).

Fig. 10. B
 erlino. Cratere a campana attico, prima met IV sec. a.C. (da
Licht 1925, p. 122).

note e discussioni

la strumentazione liturgica, sia pure forse


limitata ai copricapi dei danzatori, poteva
non prevedere diversificazioni in base alle
divinit. In effetti, considerando anche altre
rappresentazioni di questa corona, appare
significativa la sua costante associazione
alla danza e in relazione a culti diversi47.
A titolo desempio, costituisce un documento di eccezionale interesse il gruppo
delle danzatrici della colonna dacanto di
Delfi, risalente al 330-325 a.C.48 (Fig. 11).
Sono tre figure femminili con chitonisco e
copricapo vegetale, precisamente una trentina di elementi triangolari in fila, inseriti
in una sorta di cercine, posto direttamente
sulla massa dei capelli ondulati. Tali elementi triangolari, tangenti alla base, dove
mostrano unampiezza di qualche centimetro, si estendono verso lalto, lunghi e
sottili, con punte lanceolate regolarmente
distanziate una dallaltra, in modo da formare una vera e propria raggiera. Limportanza, per questindagine, delle danzatrici
di Delfi risiederebbe nel carattere stesso del
santuario apollineo. Non si esclude infatti
che quella particolare danza facesse parte anche del culto prestato ad Apollo, ma
apparsa suggestiva la contestuale e alternata
consacrazione del suolo delfico a Dioniso.
Ora, nella decorazione pittorica del cratere
di Ceglie si rileva unanaloga compresenza
dei due culti, che troverebbe un trait dunion appunto nella danza49.

551

Fig. 11. D
 elfi. Colonna dacanto (restituzione
grafica). A: coronamento del monumento. B: particolare di una danzatrice, 330-325 a.C. (da Rolley 1999,
fig. 402).

47
Le divinit alle quali pi spesso si riferisce la danza del kalathiskos sono Artemide, Demetra e Atena.
Cfr. Eustath. 1627, 46-50, per Demetra; Strab. XIII, 5, 626, per Artemide in Lidia: L. Sechan, in Daremberg, Saglio, IV, s.v. saltatio, p. 1037; Lawler 1964, p. 108.
48
Tra le diverse proposte riguardanti la citt che ebbe ad innalzare questo caratteristico dono votivo,
appare suggestiva la lettura allegorica, che vede nel kalathos delle danzatrici il copricapo spartano delle feste
Carnee, dunque un riferimento a Sparta, mentre le foglie sulla colonna rinvierebbero alla citt di Acanto, che
Sparta aiut contro Atene nel 422 a.C. (Torelli 1997, p. 127).
49
Si ricorda che nella faccia principale rappresentato Dioniso, mentre in quella secondaria compare lepiteto di Apollo, iscritto su un pilastro.

552

note e discussioni

Il copricapo carneo

Nello stesso cratere raffigurato tre volte un copricapo diverso, pi vistoso e spettacolare (Fig. 7). Si tratta di un basso paniere circolare, leggero e di notevole ampiezza, formato da tre o quattro cerchi concentrici, con motivi ornamentali diversi: elementi
lanceolati, motivi vegetali, squame. Il cerchio pi alto e pi espanso costituito da una
fila di elementi simili a fiammelle; alla base presenta una calotta cilindrica da cui scendono lacci che dovevano essere annodati sotto il mento. Un giovane nudo, con una benda
intorno al capo50, lo regge con la punta delle dita; poi, lo indossa una fanciulla che danza, i pugni chiusi allaltezza del petto, la tunica leggera, stretta in vita, che si gonfia nel
movimento vorticoso; infine, un giovane, presentato di fronte, lo esibisce in orizzontale,
con la destra sollevata, si direbbe, a sostenerlo o a raddrizzarlo; una benda sottostante,
con frange, ricade su una spalla.
Questo copricapo, per il quale si potrebbe suggerire la denominazione salia carnea51, conosce altre attestazioni, ma solo vascolari52.
In una pelike apula da Ruvo linsolito ornamento curiosamente inserito in una rappresentazione mitologica (Fig. 12)53. La scena si svolge su una montagna vicino alla
frigia Kelainai, dove Marsia, il sileno suonatore di flauto, fu sconfitto e scorticato da
Apollo. Al centro siede il vincitore, Apollo, che suona la lira, con il capo incoronato da
una ghirlanda e con un himation sollevato fin sulla testa. Una Nike si presenta con la
benda della vittoria. Sotto seduto Marsia, la cui pelle giace dietro di lui, sul pavimento,
nella mano sinistra tiene un flauto, mentre appoggia la testa sulla destra con profonda
afflizione. Tre muse hanno espresso il giudizio: una ha il flauto in mano e ascolta incantata la musica di Apollo, unaltra seduta e suona larpa, mentre un cagnolino maltese
saltella ai suoi piedi, la terza legge ad alta voce la terribile pena decretata per il vinto;
dietro di lei una giovane solleva, come per indossarlo, un copricapo carneo e una benda
con frange. Sulla cima della montagna sono sedute tre divinit, Zeus, Artemide e Afrodite, questultima con in mano una phiale che Eros si china a osservare. In basso, in un
angolo, una capra che bruca. La rappresentazione di questo animale suggerisce lidentificazione della figura divina al centro della scena con Apollo Karneios, la divinit nata
50

Forse un cercine per fermare il copricapo e proteggere la testa dai suoi movimenti nei punti di contatto
e di attrito.
51
Salia il nome laconico della tholia, un copricapo femminile che riparava dal sole, verosimilmente
fatto di giunco o di paglia intrecciata, a larga tesa, con la sommit a punta e la forma simile ad una tholos, dunque rotondeggiante (Hesych. s.v. ; Poll., Onom. VII, 174; X, 127; Theocr. XV, 39; cfr. E. Pottier
in Daremberg, Saglio, V, 1, s.v. tholia, p. 268). Esichio (s.v. ) paragona questo cappello a quello di
giunco intrecciato delle danzatrici spartane; si immagina quindi questultimo come una salia rielaborata in
chiave rituale, forse proprio per la festa delle Carnee.
52
Non riconoscibile come salia carnea, in quanto scarsamente visibile, il copricapo raffigurato su un
cratere a calice da Scoglitti (Camarina). Lo indossa un fanciullo nudo, stante, davanti a una donna con ampio
chitone e himation, allinterno di un ambiente delimitato da colonne ioniche. Il copricapo descritto come un
ampio cesto con una sovradipintura in giallo (quasi del tutto scomparsa). Cfr. Cook 1940, III, p. 997; CVA,
Museo archeologico di Siracusa, tav. VII, 3.
53
Cook 1940, I, p. 128, tav. XII; Heydemann 1872, pp. 529-531, n. 3231.

note e discussioni

553

Fig. 12. Napoli. Pelike apula da Ruvo: Apollo e Marsia, 400 a.C. (da Cook 1940, I, tav. XII).

dallincontro di Apollo con il dio-ariete predorico Karneios; la cosiddetta salia carnea


troverebbe quindi una conferma per la sua specifica funzione rituale. Laspetto pi interessante di questa rappresentazione tuttavia la coesistenza, quasi una combinazione, di
mito e rito.
Unaltra attestazione del copricapo carneo in una scena di simposio, in un cratere a
campana del Pittore di Creusa (Fig. 13)54: una giovane (danzatrice?) sistema sul kottabos
un pinakiskion per un banchettante, sdraiato su una kline, con una ghirlanda sulla testa,
che tiene in mano una kylix; la donna, con un chitonisco stretto in vita da una cintura,
indossa una forma semplificata del copricapo carneo, di dimensioni minori e con la base
cilindrica non decorata. Lambientazione sembrerebbe escludere una valenza sacra del
copricapo, a meno che non si consideri la connotazione dionisiaca del simposio e il ruolo
della danza in questo contesto.
E ancora, in un cratere a campana da Paestum il singolare ornamento corona un
fliace che danza davanti a un giovane Dioniso (Fig. 14)55; il dio sembrerebbe indicarlo, mentre porge allattore danzante offerte che potrebbero essere uova. Senza ombra di
dubbio, la scena rappresenta una parodia della danza del kalathos56, tuttavia difficile
54

CVA Russia I, pp. 22-23, tavv. 26-27; Cook 1940, III, p. 1000; Reinach 1899, p. 32, nn. 5-7; Tren-

dall 1983, p. 49, n. C72.


55
56

Trendall 1987, p. 68, n. 26, tav. 22c.


Lawler 1964, p. 89.

554

note e discussioni

Fig. 13. S
 . Pietroburgo. Cratere a campana: scena di simposio.
Pittore di Creusa. 400-380 a.C. (CVA Russia I, tav. 26).

Fig. 14. Londra. Cratere a campana da Paestum: parodia


della danza sacra. Asteas. 360-350 a.C. (Trendall
1987, tav. 22c).

note e discussioni

555

stabilire se Dioniso, che si prende gioco di un rituale in onore di Apollo, o se era in


generale dionisiaca lambientazione di queste farse.
Il fatto che questo caratteristico copricapo sia noto soltanto da rappresentazioni
magnogreche ne ha suggerito lappartenenza a tradizioni locali57, tuttavia da Esichio si
evince che ad indossarlo sono le danzatrici spartane58. Lattenzione va quindi spostata
dal contesto originario, che sembrerebbe confermato, ai soggetti, per cos dire, coinvolti.
Effettivamente, il cratere delle Carnee documenta luso anche maschile della salia rituale e costituisce lunica testimonianza in tal senso. Un altro dato interessante, che emerge solo dal cratere di Ceglie, la possibile presenza nella danza del kalathiskos, di due
copricapi: quello che le d il nome, il cestino appunto, di foglie di palma (lo psilinos
stephanos) e questaltro, pi grande e complesso. Nonostante lipotetica denominazione
(copricapo carneo), non possibile affermare che venisse indossato solo in occasione
della festa delle Carnee, dal momento che le rappresentazioni vascolari lo inseriscono
anche in contesti dionisiaci. La rarit delle testimonianze non consente poi di avanzare
ipotesi sul suo specifico significato; quel che certo per che sia lo psilinos stephanos
che la salia carnea sono stati ideati con un preciso scopo: la spettacolarizzazione delle
danze59. Entrambi, infatti, bench il secondo con effetto scenografico maggiore, dovevano enfatizzare i movimenti circolari dei danzatori.60 Per il copricapo a forma di ruota,
stata anche ipotizzata una doratura, che sotto i raggi del sole lo doveva rendere lucente,
di modo che, mentre eseguiva piroette e giravolte, il danzatore avesse intorno al capo
una sorta di aureola61.
Partendo da uno studio di dettagli iconografici si quindi constatato che dal patrimonio figurativo della ceramica italiota e siceliota possono essere attinte informazioni di
notevole interesse inerenti la sfera del sacro. Alla luce dei dati raccolti, possibile affermare che luso di copricapi e bende rituali ricorre quasi esclusivamente in scene con connotazione dionisiaca. Di fatto, Dioniso la figura pi spesso rappresentata con corone di
diversa natura, di rado in scene mitologiche, quasi sempre in movimento, accompagnato
da satiri, o seduto su una roccia, tra menadi e satiri. A un rapido esame emerge a prima
vista la possibilit di una identificazione con scene di genere, che costituirebbero quasi
un leit-motiv dellarte vascolare, pi accreditabile appare tuttavia lipotesi di immagini
destinate a evocare il culto con le sue pratiche, forse anche sullo sfondo di specifiche
ambientazioni rituali62. Ornamenti della testa contraddistinguono infatti, insieme a Dio57

Montagner 2009, p. 74.


Hesych., s.v. . Vd. nota 51.
59
La bibliografia relativa quanto mai confusa: i due copricapi non solo non vengono considerati separatamente, ma non ricevono neppure denominazioni diverse; nei fumosi riferimenti di Cook alla kalathiskosdance, colui o colei che indossa indifferentemente uno o altro chiamato semplicemente basket-dancer
(Cook 1940, pp. 995-1005).
60
Leffetto che doveva creare nel movimento la corona di palma potrebbe essere quello illustrato dal Pittore delle Carnee.
61
Bendinelli 1957, p. 108.
62
Nel campionario iconografico apulo E. Lippolis distingue due raggruppamenti principali, uno a contenuto mitologico, dunque narrativo, laltro invece rappresentativo, in quanto volto ad evocare una situazione;
ora, questo secondo gruppo appare costituito prevalentemente da scene dionisiache (per unanalisi sistematica
58

556

note e discussioni

niso, anche i membri del suo tiaso (menadi, satiri, sileni, ma anche uomini giovani); tutti
sono accompagnati dagli attributi tipici del dio, che sono il tirso, il kantharos, il tamburello, il grappolo duva; nelle medesime scene ricorrono, sia pure con una valenza dionisiaca meno distintiva, anche la ghirlanda, la phiale, loinochoe, la situla. Si potrebbe
dunque supporre che in Magna Grecia le celebrazioni in onore di Dioniso avessero una
complessit liturgica tale da richiedere unadeguata vestizione rituale.
I dati desunti da una documentazione relativamente ampia hanno trovato nel cratere del Pittore delle Carnee una chiave di lettura e, allo stesso tempo, una possibilit
di sintesi; questo vaso si rivelato infatti un prezioso inventario di copricapi rituali. Di
particolare rilievo appare la scoperta della coesistenza in Magna Grecia di pratiche cultuali diverse, dionisiache e apollinee, sia pure queste ultime geograficamente circoscritte,
riferibili forse alla sola Taranto. A questo proposito poi, appare degna di nota lattestazione nel territorio tarantino di una peculiare forma di celebrazione liturgica, la danza,
per di pi con una forte connotazione spartana, a ulteriore riprova delle radici culturali
di questa colonia. Sarebbe necessario, quindi, approfondire la conoscenza tanto del culto
di Apollo a Taranto, quanto delle relazioni locali tra Apollo e Dioniso, relazioni peraltro non occasionali in quanto gi attestate nel continente greco, anche nella stessa Sparta63. Sarebbe poi importante indagare sulla possibilit e sulleffettiva responsabilit della
colonia nella diffusione non solo di culti, ma anche di pratiche rituali64.
In ultima analisi, lindagine sui copricapi e sulle bende rituali ha posto in evidenza leccezionale contributo che le testimonianze pittoriche vascolari possono offrire alla
ricostruzione di determinati comportamenti sociali. Si intende quindi ribadire limportanza di un uso ricognitivo del patrimonio documentario per accrescere e migliorare la
conoscenza storica di rituali e forme espressive.
Anna Corsi
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Oxford 1982.
delliconografia vascolare apula vd. Lippolis 1996). Nelle rappresentazioni di Dioniso e del suo corteggio
Lonsdale coglie pi di un generico riferimento al sacro in quanto arriva a definire il satiro e la menade prototypes of all initiates (Lonsdale 1993, p. 103).
63
In Laconia, Apollo Karneios mostrava tratti dionisiaci, in particolare, aveva un legame con la vendemmia (Casadio 1994a, p. 273; Id. 1994b, p. 93).
64
Nelle monete pi antiche di Metaponto (IV sec. a.C.) compare una testa virile con corna dariete, che
stata identificata con Apollo Karneios (LIMC II, p. 226, n. 337). Per la testimonianza del cratere delle Carnee, quasi certamente di fabbrica tarantina, si ipotizza una irradiazione del culto da Taranto alla citt contigua,
Metaponto, culturalmente pi debole (Pera 1986, p. 58, nota 125; Casadio 1994b, pp. 92-93).

note e discussioni

557

Apulian suppl. I 1983: A.D. Trendall, A. Cambitoglou, The red-figured vases of Apulia,
First supplement, London 1983.
Apulian suppl. II 1992: A.D. Trendall, A. Cambitoglou, The red-figured vases of Apulia,
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SUMMARY
This paper presents iconographical analysis of red-figured vases from Southern Italy and Sicily
in an attempt to reconstruct various aspects of the ritual behaviour; in particular, it focuses on the
representation of ribbons and headdresses within sacred scenes. On the whole, four types of head
ornaments have been identified: the mitra, the woollen fillet, the wreath and the carneo headdress,
use of which seems to have been exclusive the cult of Dionysos in Magna Grecia. Two types of headdress in particular are associated with ritual dances: the first is the palm crown of kalathos shape,
which gave its name to a particular rhythmic movement; the second is a larger and more spectacular
headdress, probably related to the Karneian festival, celebrated every year in Sparta in honour of
Apollo. Study of the iconographic and literary documents identifies Taranto as the city from which
spread ritual practices showing Spartan origin.