Optometria
Optometria
Optometria
#1: Oftalmoscopia.
Si effettua l'oftalmoscopia in condizioni di luce molto ridotta, per evitare uno stato di miosi
pupillare. Il soggetto esaminato siede comodamente sulla poltrona e guarda una mira proiettata
lontana su uno schermo. L'esaminatore impugna l'oftalmoscopio mantenendo il pollice sul reostato
del manico, regolatore dell'intensità luminosa in uscita dallo strumento, mentre l’indice controlla il
disco regolatore dei vari poteri diottrici inseriti nello strumento.
Prima di iniziare l'esame del fundus, è utile controllare la trasparenza dei vari mezzi oculari. Ci si
pone frontalmente a circa 30 cm di distanza dalla persona da esaminare, con il disco posizionato su
+2 D (nel caso di emmetropia o ametropie compensate dell’esaminatore). Si invia un fascio stretto
di luce all'interno degli occhi. In caso di completa trasparenza dei mezzi, la pupilla appare di colore
rosso brillante, mentre qualunque opacità presente è evidenziata dalla comparsa di macchie scure su
fondo rosso. Si evidenziano molto bene gli edemi corneali provocati dall'uso di lenti a contatto, che
compaiono come striature di colore grigiastro, di varia forma e posizione, a livello della struttura
corneale. La localizzazione delle opacità può essere effettuata con il metodo della focalizzazione e
con il metodo della parallasse.
1. Metodo della parallasse. Supponendo che le opacità siano tutte sullo stesso asse visivo
dell'occhio, appariranno nella posizione centrale del forame pupillare. Per localizzare la
posizione dell'opacità, si invita il soggetto a muovere l'occhio verso il basso o verso l'alto,
notando l'eventuale movimento della macchia. Le opacità localizzate nella zona centrale del
cristallino non manifestano nessun movimento, quelle posizionate nel segmento anteriore al
centro del cristallino manifestano un movimento omologo a quello dell'occhio, tanto più veloce
quanto più sono lontane dal centro stesso. Le opacità localizzate posteriormente al centro del
cristallino manifestano un movimento contrario a quello dell'occhio.
2. Metodo della focalizzazione. Si ruota il disco delle diottrie fino a vedere ben focalizzate le
opacità presenti e, attraverso il potere della lente, si risale alla localizzazione secondo la
seguente indicazione:
- sf+40 D: cornea e sclera;
- sf+20 D: iride;
- sf+15 D: superficie anteriore del cristallino;
- sf+10 D: struttura del cristallino;
- sf+7 D: superficie posteriore del cristallino.
Si passa quindi a esaminare il tessuto retinico. L'esaminatore impugna lo strumento con la mano
destra e utilizza il suo occhio destro per osservare l’occhio destro del soggetto, che è invitato a
osservare una mira proiettata sullo schermo. L'esaminatore, che si trova a circa 30 cm di distanza,
aumenta gradualmente il potere della lente dell'oftalmoscopio e si avvicina osservando il segmento
anteriore dell’occhio. Nella fase di avvicinamento è utile tenere un'inclinazione di circa 15°
orizzontali, rimanendo sul lato temporale e mantenendosi lievemente più in alto dell'asse visivo; in
questo modo ci si allinea alla papilla, o macchia cieca dell'occhio, con il vantaggio di ridurre al
minimo la risposta miotica indotta dalla luce dell’oftalmoscopio.
Illuminando alternativamente l'interno dell'occhio è possibile osservare il riflesso pupillare
monolaterale alla luce e le relative microscillazioni del forame pupillare. Successivamente si riduce
il potere diottrico positivo fermandosi alla prima formula che consente di vedere nitidi i capillari ai
bordi della papilla; si ha così un valore approssimato dello stato rifrattivo dell'occhio. Per osservare
l'occhio sinistro del soggetto, l'esaminatore impugna lo strumento con la mano sinistra ed utilizza il
suo occhio sinistro.
La papilla ha un diametro medio di circa 1,5 mm e una forma circolare o lievemente ovale, con il
diametro verticale maggiore; in caso di astigmatismo elevato appare più ingrandito il diametro
papillare corrispondente al meridiano corneale di maggiore potere. Vi sono diversi aspetti della
papilla da osservare: la dimensione, la forma, il colore, i margini e l’escavazione.
La dimensione e la forma della papilla dipendono dalla condizione rifrattiva dell'occhio; la papilla è
più piccola nell'ipermetrope e più grande nel miope, a causa dell'allungamento del bulbo e a volte
dello stiramento e scollamento retinico e coroidale.
Il colore dipende da numerosi fattori; si considera normale un colore rosa-giallastro di varia
gradazione e intensità, mentre un colore tendente al biancastro o bianco-grigiastro solitamente è
indice dì patologia.
I margini della papilla si presentano di solito netti, a volte con accumulo di pigmento. In caso
d'assenza di escavazione, le fibre nervose si irradiano in modo visibile nella retina, mentre in caso
di normale escavazione, una condizione chiamata ‘coppa fisiologica’, le fibre si separano
inferiormente al livello retinico, nel punto della depressione. Il colore della coppa è solitamente più
biancastro o meno roseo del resto del disco. Quando l’escavazione è fisiologica, essa si presenta
simile in entrambi gli occhi. Si può registrare la presenza dell'escavazione annotando il rapporto tra
il diametro orizzontale della coppa e il diametro orizzontale del disco.
Sono molto utili le classificazioni di Elschnig, che considerano le differenti forme di escavazione:
- Papilla 1: si presenta senza escavazione fisiologica o con una piccola coppa, la cui presenza è
nascosta dall'ingresso dei vasi retinici. La papilla è vista nitida con la medesima lente che
consente visione nitida dei capillari ai margini della papilla.
- Papilla 2: si presenta con una leggera escavazione circolare e con una differenza diottrica, tra
l'interno della coppa e i capillari situati al margine papillare, che non supera 4 D. I vasi possono
essere seguiti visivamente in tutto il loro percorso, dal margine della papilla all'interno della
coppa.
- Papilla 3: si presenta con una leggera escavazione verso il lato nasale, valutabile fino a un
massimo di 3 D, mentre il lato temporale declina dolcemente. Il colore dell'arco nasale è
rossastro, mentre il resto della papilla è arancio pallido. I vasi sono visibili normalmente in tutto
il loro percorso, persino nel lato nasale verso l'interno della coppa.
- Papilla 4: si presenta come la papilla 3, ma con un'escavazione più accentuata che può superare
anche le 5 D di profondità. Il lato nasale della papilla ha un colore rosso accentuato nei
confronti di quello temporale, che è molto pallido. I vasi del lato temporale possono essere
seguiti nel loro percorso di dolce discesa nella coppa, mentre quelli del lato nasale possono
scomparire al margine dell'escavazione e ricomparire sul fondo della stessa, fuori fuoco. La
papilla 4 è ancora di tipo fisiologico.
- Papilla 5: si presenta con un'escavazione estesa a tutta la zona papillare, con una profondità che
può essere superiore a una variazione di focalizzazione di 6 diottrie. I vasi al bordo della papilla
si inginocchiano e scompaiono, per ricomparire sfuocati al fondo della coppa. E' una papilla
patologica, il suo colorito è sovente biancastro. Un simile tipo di papilla si trova associato ad
una condizione di ipertensione endoculare
I vasi sono un'altra componente importante da osservare nel corso dell'esame oftalmoscopico. Le
vene sono di dimensioni maggiori e di colore più scuro delle arterie e la loro superficie di solito non
riflette la luce dello strumento. Il decorso delle vene è più tortuoso di quello delle arterie. Il
fenomeno della pulsazione venosa, quando si evidenzia in un tronco venoso principale nei suoi
punti di maggiore appiattimento o nel punto di incrocio con un'arteria oppure in punti di forte
cambio di percorso, non è di natura patologica.
Le arterie sono vasi più sottili delle vene, con un rapporto che secondo alcuni autori è di 4/5,
secondo altri di 2/3; il raffronto tra le loro dimensioni si effettua prendendo in considerazione i due
tronchi principali, non le diramazioni successive. Il colore delle arterie è più chiaro e brillante di
quello delle vene, la superficie delle arterie riflette maggiormente la luce dell’oftalmoscopio. Nel
fundus, oltre ai normali vasi retinici, è presente l'arteria cilioretinica, che proviene dalle arterie
ciliari e non dall’arteria centrale retinica; l’arteria cilioretinica, che si dirige verso la fovea, è più
sottile e ha un percorso più tortuoso delle normali arterie retiniche. La pulsazione di un ramo
arterioso è sempre un segno patologico; altri segni patologici sono il colore ramato o argenteo delle
arterie e gli incroci con anomala compressione delle vene. Il colore ramato delle arterie è provocato
da un ispessimento delle pareti, che genera un ampio riflesso rosso-arancio. Il colore argenteo si
nota nell'arteriosclerosi avanzata, quando i canali arteriali hanno un riflesso più pallido del normale.
Si può registrare sulla scheda di lavoro il risultato dell'esame oftalmoscopico segnalando eventuali
opacità o anomalie e utilizzando un codice numerico. Per esempio: 2/-2 -1, 1/3, 2/3. Il primo
numero (1) rappresenta la valutazione della papilla secondo Elschnig, il secondo numero (-2)
rappresenta la differenza diottrica tra il disco e la coppa, il terzo numero (-1) rappresenta il valore
diottrico dello strumento attraverso il quale sono visti nitidi i capillari ai margini della papilla ottica
e offre un'indicazione approssimata del tipo di ametropia; la quarta serie di numeri (1/3) esprime il
rapporto tra l’area della coppa e quella del disco, la quinta serie di numeri (2/3) esprime il rapporto
tra il diametro delle arterie e quello delle vene.
#2: Oftalmometria.
At = K + P x Ac
Esempi:
1. Astigmatismo corneale di 1 D secondo regola.
Astigmatismo totale = +1,25 + -0,50 = +0,75
2. Astigmatismo corneale di 1 D contro regola.
Astigmatismo totale = +1,25 + +0,50 = +1,75
3. Astigmatismo corneale di 4 D secondo regola.
Astigmatismo totale = +5,00 + -0,50 = +4,50
4. Astigmatismo corneale di 4 D contro regola.
Astigmatismo totale = +5,00 + +0,50 = +5,50
La regola di Javal indica ai neofiti di non temere la prescrizione di lenti cilindriche con potere
superiore all'astigmatismo corneale, in caso di astigmatismo contro regola ma anche di
astigmatismo secondo regola..
Le mire utilizzate per lontano nel corso dei vari test sono generalmente ottenute mediante
proiezione su schermi. I proiettori in commercio sono dotati di lampade a luce alogena e a luce
incandescenza. I tipi a luce alogena forniscono una luminosità maggiore, che produce un contrasto
eccessivo se l'illuminazione della sala è troppo bassa, realizzando un effetto di postimmagine
penalizzante per la visione del soggetto. I proiettori con lampade ad incandescenza forniscono una
luminosità minore, che produce un contrasto troppo ridotto se l'illuminazione della sala è eccessiva.
Ne consegue che se si utilizza un proiettore con lampada a luce alogena l'illuminazione della sala
deve essere più elevata, se si utilizza un proiettore con lampada a incandescenza l’illuminazione
della sala deve essere più soffusa e morbida.
Lo schermo deve essere grande almeno quanto lo spazio percepito attraverso i diaframmi di campo
del forottero, anzitutto per effettuare il test della schiascopia proiettando film o diapositive e anche
per evitare che la visione dei margini doppi dello schermo possa favorire una loro prematura
fusione e di conseguenza un errato rilevamento del valore della foria orizzontale.
I test da vicino richiedono una buona illuminazione, la mira non deve essere interessata dall’ombra
provocata dall'asta del forottero o da altri oggetti. In tre test da vicino l'intensità luminosa deve
essere notevolmente inferiore; sono il #14A, il #15A e il #14B. Di conseguenza la sala deve essere
dotata di una lampada opportuna, adatta a favorire l’esecuzione dei tre test con un’intensità
luminosa ridotta.
I test devono essere somministrati a tutti i soggetti nelle identiche condizioni di illuminazione, con
la stessa sequenza di esecuzione, con le medesime domande. Solo così, attraverso un’attenta
standardizzazione, è possibile confrontare esami effettuati in tempi diversi e comunicare i dati del
soggetto esaminato ad altri professionisti. Nel caso si effettuino variazioni alla normale procedura
d'esame, è opportuno registrare sulla scheda le relative modifiche per poterne tenere conto in sede
di valutazione.
Si rileva con la compensazione abitualmente portata dal soggetto esaminato, con la distanza
interpupillare dell'occhiale in uso. Si proietta una riga verticale di lettere con acutezza visiva pari al
minimo percepibile e si antepone all'occhio destro un prisma a base alta di 6 diottrie prismatiche, in
genere sufficienti a sdoppiare verticalmente la riga. Si fanno notare al soggetto le due righe di
lettere e si antepone all'occhio sinistro un prisma a base interna di circa 10 diottrie prismatiche,
facendo notare al soggetto che la riga in alto si è spostata a sinistra. Invitato il soggetto a leggere le
lettere una a una e a segnalare il momento dell’esatto allineamento verticale delle due righe, si
riduce gradualmente l'ammontare del potere prismatico a base interna posto davanti all'occhio
sinistro. Se l'allineamento delle due righe avviene con potere prismatico a base interna, si misura
un'exoforia, se l'allineamento delle due righe avviene con potere prismatico uguale a zero si ha
ortoforia, se l’allineamento delle due righe avviene con potere prismatico a base esterna, si misura
un'esoforia.
Tutte le forie, da lontano e da vicino, si rilevano partendo da un potere prismatico a base interna in
eccesso.
Si rileva attraverso la compensazione abituale del paziente portata per vicino. La mira utilizzata è
una scala ridotta di Snellen per 40 cm., che ha il vantaggio di offrire diverse gradazioni di acutezza
visiva, oppure si utilizzano semplici righe verticali di lettere o figure opportune (freccia, uomo in
piedi).
Si pone il cartoncino sull'asta del forottero a 40 cm, si modifica la distanza interpupillare
adattandola alla distanza ravvicinata, si inserisce il prisma verticale sdoppiante; normalmente è
sufficiente un valore di 9 diottrie prismatiche a base alta davanti all'occhio destro. Si aggiunge
quindi un prisma a base interna davanti all'occhio sinistro di circa 15 diottrie prismatiche e si fa
notare al soggetto che egli vede due mire, quella in alto è più a sinistra. Si invita il paziente a
leggere la riga di lettere più piccola possibile riferendo l’esatto momento dell’allineamento delle
due mire e intanto si riduce lentamente l'ammontare del prisma a base interna. Per la registrazione
vale quanto descritto nel #3.
La foria abituale # 13A è veramente significativa soltanto quando il soggetto ha una postura a 40
cm, condizione che raramente si verifica con bambini e studenti. Alle persone che abitualmente ed
erroneamente hanno posture più ravvicinate, è utile effettuare due rilevamenti del #13A: uno alla
distanza di 40 cm e l’altro alla distanza pari alla reale postura, che rappresenta la vera foria abituale.
Nel caso di rilevamenti eteroforici a distanze inferiori a 40 cm è necessario aumentare il potere del
prisma verticale sdoppiante.
Il rilevamento dell’eteroforia effettuato al forottero è innaturale in quanto lo strumento non consente
al soggetto esaminato di tenere il capo nella normale posizione lievemente inclinata in avanti, tipica
della visione da vicino.
Metodo di Maddox.
Un metodo alternativo per il rilevamento delle eteroforie consiste nell'utilizzo della tecnica messa a
punto da Maddox. Il metodo si fonda sull'uso del cilindretto di Maddox quale dissociatore della
visione binoculare e valuta il suo effetto nella visione di una sorgente di luce puntiforme. Il
cilindretto rifrange la luce puntiforme comportandosi come una lente pianocilindrica negativa di
potere elevato, conseguentemente l'occhio percepisce, invece della luce puntiforme, una sottile riga
con orientamento opposto all'asse del cilindretto di Maddox.
Il cilindretto con una sola striscia deve essere centrato accuratamente davanti all’occhio della
persona esaminata, pena la mancata percezione della luce. Per ovviare a tale limitazione è stata
realizzata una lente composta da più cilindretti, che non vincola la perfetta centratura della lente nei
confronti del diaframma pupillare.
Nelle lenti accessorie del forottero sono inserite due lenti con cilindretti di Maddox davanti a ogni
occhio; una è in posizione verticale e l’altra in posizione orizzontale; ciò consente di rilevare
qualunque tipo di eteroforia con il metodo di Maddox.
Il test di Maddox può essere utilizzato con diversi metodi di valutazione:
1. Croce di Maddox per lontano;
2. Nello spazio libero con opportuna compensazione prismatica (prismi di Risley o stecca di
prismi);
3. Tabella-lanterna per vicino, predisposta per la distanza di 40 cm.
Croce di Maddox.
La croce di Maddox è un test precalibrato per una distanza che simuli l'infinito. Si usa anteporre
all'occhio sub-dominante il cilindretto di Maddox con asse orizzontale, al fine di rilevare un
eventuale squilibrio eteroforico orizzontale, oppure con asse verticale, al fine di rilevare un
eventuale squilibrio eteroforico verticale. Si preferisce lasciare l'occhio dominante allineato alla
mira, in quanto è l’occhio direttore nelle differenti attività. Si chiede alla persona di osservare la
sorgente luminosa puntiforme situata al centro della croce di Maddox e di indicare su che lato e su
quale numero si pone la riga percepita; focalizzare sui numeri, anche se sono abbastanza grandi,
garantisce che l’utilizzo accomodativo sia stabilizzato per quella distanza.
Il valore numerico e il braccio della croce che il soggetto riferisce indicano il tipo e il valore in
diottrie prismatiche della sua foria.
Test di Maddox nello spazio libero con opportuna compensazione prismatica.
La mira è costituita da una semplice lampadina puntiforme. Si antepone all'occhio sub-dominante la
lente con cilindretti di Maddox. In caso di eteroforia il soggetto percepirà la striscia luminosa e la
luce puntiforme in posizioni diverse dello spazio. La quantificazione dell’eteroforia si effettua
anteponendo lenti prismatiche (stecca di prismi o prisma di Risley) fino alla sovrapposizione della
striscia luminosa alla luce puntiforme.
E' definita anche retinoscopia, in maniera impropria perché il termine significa "esplorazione della
retina". Prende origine dai termini greci "schia" (ombra) e "scopè" (visione, osservazione) in
quanto consiste nell'osservare il movimento apparente compiuto dal riflesso rosso del fondo
oculare; il riflesso è visibile in campo pupillare quando l'occhio viene illuminato da un fascio di
raggi luminosi provenienti dall'infinito e animati da un movimento pendolare, sia orizzontale che
verticale.
E' un test obiettivo che fornisce indicazioni circa lo stato rifrattivo degli occhi, sia sferico che
astigmatico. Si effettua preferibilmente proiettando delle diapositive o filmati interessanti, al fine di
tenere sollecitata l'attenzione del soggetto esaminato; alcuni clinici chiedono al soggetto esaminato
di leggere la tabella dell'ottotipo nel corso della retinoscopia, si tratta però di uno stimolo di scarso
interesse che ha inoltre l'inconveniente di essere piccolo, per questo l'esaminatore può anche
nasconderlo con la testa.
L'esaminatore lavora alla sua distanza abituale dopo aver provveduto a sistemare nel forottero la
lente con il potere adatto a neutralizzare la distanza di lavoro; questa lente si rende necessaria
perchè l'occhio del paziente che guarda la mira e la mira stessa a distanza sono punti coniugati,
mentre lo schiascopio si trova ben più vicino della mira; la lente anteposta all'occhio esaminato è
quindi necessaria per rendere punti coniugati la retina del soggetto esaminato e lo schiascopio.
La meccanica di esecuzione della retinoscopia a distanza è la seguente:
1. Si antepone all'occhio destro del soggetto esaminato l’opportuna lente di compensazione per la
distanza di lavoro. Mentre egli guarda lo schermo, l'esaminatore ispeziona i vari meridiani
dell'occhio tenendo lo schiascopio nella mano destra ed utilizzando il suo occhio destro.
2. Neutralizzati i riflessi schiascopici dell'occhio destro, si toglie la lente di compensazione e si
lasciano nello strumento i valori rilevati. Si antepone la lente di compensazione all'occhio
sinistro e si neutralizzano i riflessi schiascopici dello stesso, mentre il soggetto esaminato
osserva la mira con l’occhio destro. L'esaminatore impugna lo strumento con la mano sinistra ed
utilizza il suo occhio sinistro.
3. Dopo avere neutralizzato i riflessi schiascopici dell'occhio sinistro, si toglie la lente di
compensazione e si ritorna all'occhio destro, ricontrollando se sono avvenute variazioni nella
neutralizzazione dei riflessi. Nel caso siano avvenuti dei cambiamenti, si identifica la nuova
lente di neutralizzazione dell’occhio destro e quindi si ricontrolla quello sinistro; il tutto si ripete
finche cessano le variazioni. Questi diversi passaggi sono necessari e frequenti con pazienti
ipermetropi, lo sono meno con quelli miopi.
4. Neutralizzati ambedue gli occhi, si registrano i valori sulla scheda di lavoro e si controlla
l'acutezza visiva monoculare attraverso le lenti rilevate con il #4, registrandola nell'apposito
spazio a fianco dei valori diottrici.
E' un test obiettivo per misurare qual è lo stato rifrattivo del soggetto esaminato alla distanza di
esecuzione del test. Il #5 si esegue, secondo gli aderenti all'OEP, a una distanza di 50 cm e fa parte
della catena analitica dei 21 punti. Si può anche effettuare la retinoscopia dinamica ad altre
distanze, come 40cm o 33 cm oppure a quella di Harmon; in tal caso il risultato rappresenta un
valore più attendibile ai fini prescrittivi.
Si pone la mira sull'asta del forottero alla distanza prescelta e si chiede al soggetto di osservarla e
descriverla. Anni fa si faceva leggere un trafiletto di lettere con dimensione dei caratteri piuttosto
piccole; tale metodo aveva però l'inconveniente di richiedere un utilizzo accomodativo pari alla
distanza di esecuzione, mentre lo scopo del #5 è diverso: non deve porre richieste visive e cognitive
elevate che, come ha dimostrato la schiascopia cognitiva, creano di conseguenza delle risposte
accomodative elevate, bensì rilevare la normale risposta accomodativa del soggetto a stimoli posti
alla distanza usuale di lavoro. Per ottenere una simile risposta, la mira non deve porre richieste
difficoltose, bensì stimolare la normale risposta accomodativa per distanze prossime.
Il soggetto esaminato non è in condizione di valutare con precisione la distanza della mira vista
attraverso i diaframmi di campo del forottero a causa della mancanza di indici di profondità
dell'ambiente circostante imposta dal campo visivo ristretto dello strumento.
La mira non presenta caratteri che richiedano un elevato sforzo per la discriminazione. La
dimensione dei caratteri della mira non è inferiore all’acutezza visiva di 20/60.
La mira posta sull'asta del forottero ha una particolare forma a "T", che permette di porre lo
schiascopio ora da un lato, ora dall'altro dell'asta verticale della "T' rimanendo lo stesso vicino
all'asse visivo; sulla mira sono disegnate figure con colori vivaci, per attirare l'attenzione dei
pazienti giovani, contornate dalle lettere dell'alfabeto utilizzabili per la lettura o per l’eventuale
composizione di nomi e di parole.
Alcuni autori consigliano di addizionare sf+2 D al risultato del # 4 inserito nel forottero, per
favorire il rilascio dell’accomodazione e sveltire il procedimento di rilevazione dei dati. Il
medesimo risultato può essere raggiunto se, nella misurazione schiascopica, non ci si ferma alla
neutralizzazione ma si va oltre ottenendo un riflesso schiascopico lievemente discorde; si passa
all'altro occhio ricercando anche in questo caso un riflesso lievemente discorde. Si continua a
passare da un occhio all’altro fino a quando entrambi i riflessi sono discordi. Quindi si riduce il
potere positivo in un occhio fino alla neutralizzazione e, successivamente, si effettua la medesima
riduzione nell’occhio controlaterale. Questo procedimento aiuta il rilascio accomodativo del
soggetto e favorisce un minor numero di passaggi da un occhio all'altro quando si esaminano
soggetti piuttosto rigidi nel rilasciare l'accomodazione.
Il #5, a differenza del #4, non richiede la lente di compensazione perchè mira e schiascopio si
trovano alla stessa distanza dall’occhio esaminato.
La retinoscopia dinamica fornisce una misurazione obiettiva dell'accomodazione utilizzata dal
soggetto alla distanza di esecuzione del test nel corso di un atto dinamico, qual è la lettura
binoculare di lettere o di immagini. Con la retinoscopia dinamica si evidenzia lo stretto rapporto tra
il risultato del test e il tipo di materiale osservato; facendo osservare al soggetto una mira con
caratteri di varie dimensioni, oppure scritti con differente difficoltà di comprensione, si provoca un
diverso utilizzo di accomodazione e si rileva quindi un differente potere sferico di neutralizzazione.
#6: Retinoscopia a 1 metro.
Questo test non viene più effettuato, data la scarsa utilità di un dato a tale distanza. Può essere
comunque essere registrato come #6 il risultato di una schiascopia effettuata a distanze superiori ai
50 cm. del # 5 nei soggetti che svolgono lavori particolari (falegnami, operatori al videoterminale,
centralinisti) che hanno una postura di lavoro tra i 60 e i 90 cm.
E' il test più importante ed è anche il più lungo tra i test optometrici proposti dall’OEP; la sua
finalità è l’accurata emmetropizzazione del soggetto esaminato. Il #7 soggettivo da lontano è un test
binoculare, che prevede però dapprima una fase monoculare, successivamente una verifica in
visione dissociata e infine l’esame in condizione binoculare.
Le lenti del #7 possono essere definite come le lenti più positive (o meno negative) capaci di
permettere un’acutezza visiva pari a 20/20, oppure al massimo valore ottenibile in caso di mancato
raggiungimento dei 20/20. Per definire che l’acutezza visiva è pari a 20/20 il soggetto esaminato
può anche esitare su 1 o 2 lettere della riga dei 20/20, ma deve però leggere 1 o 2 lettere della riga
dei 20/15.
Allo scopo di chiarire ulteriormente le lenti del #7, esiste un’altra definizione che ne precisa le
caratteristiche: con la lente del #7 il soggetto deve vedere nitide le lettere del carattere 20/20 o del
massimo valore percepibile; l’inserimento di una lente di sf-0,25 D non deve migliorare la
nitidezza, mentre l’inserimento di una lente di sf+0,25 D deve indurre una leggera sfuocatura delle
lettere.
Il #7 è la base di partenza per numerosi altri test ed è altresì un possibile valore di prescrizione per
una compensazione ottica. Proprio per la sua importanza quale valore diottrico di
emmetropizzazione, il #7 deve rispondere con precisione ai requisiti precedentemente esposti.
Le tecniche e le sequenze utilizzate per effettuare il #7 sono molteplici nelle diverse nazioni, frutto
anche di cultura optometrica e disponibilità tecnologica assai diverse tra loro. In ogni caso è
opportuno attenersi a una procedura rigorosamente standardizzatra e, inoltre, scegliere modalità
leste ed essenziali per evitarsi l’eccessivo protrarsi di un esame che è già carico di un elevato
numero di test.
La partenza del #7 avviene attraverso la fase monoculare e in condizioni di annebbiamento, in modo
che l'accomodazione del soggetto sia rilassata.
Fase monoculare.
Si possono utilizzare tre metodi differenti, la cui scelta è in relazione ai risultati ottenuti nella
retinoscopia a distanza e della retinoscopia dinamica:
- Metodo dell’affinamento
- Metodo della sonda
- Metodo del quadrante
Quando i risultati delle retinoscopie esprimono valori sferici e cilindrici relativamente sicuri, si
acquisiscono tali risultati e si procede con il metodo dell’affinamento. Quando i risultati delle
retinoscopie sono sferici oppure esprimono una componente cilindrica lieve o contradditoria con
altri dati precedentemente rilevati, è opportuno utilizzare il metodo della sonda oppure il metodo del
quadrante.
1. Metodo dell’affinamento.
Si inizia il test con un annebbiamento sufficiente, quale di solito il risultato lordo della schiascopia
dinamica. Si diminuisce il valore sferico positivo delle lenti, o si aumenta quello negativo, sino a
ottenere la prima lente che consente la visione nitida dei 10/10 o, se ciò non fosse possibile, del
massimo valore di acutezza visiva raggiungibile. Questa lente è definita EM (emmetropizzazione
monoculare) e la sua precisa conferma avviene quando appare una leggera sfuocatura dopo
l'anteposizione di sf+0,25, mentre non si manifesta alcun miglioramento dopo l’anteposizione di sf-
0,25.
La lente EM è ideale per controllare la componente cilindrica quando l’esaminato è un soggetto
miope; infatti, in questo caso, garantisce la migliore acutezza visiva a distanza senza richiedere
alcun impegno accomodativo, riproponendo così la condizione abituale dei soggetti miopi per la
visione da lontano. Non è così nel caso dei soggetti ipermetropi, che sono abituati ad utilizzare
l’accomodazione a tutte le distanze, anche da lontano. Esaminando soggetti ipermetropi è
preferibile mantenere la stessa condizione di utilizzo accomodativo anche nel controllo della
componente cilindrica; a tal fine si riduce il potere positivo, o si aumenta quello negativo, della
lente EM fermandosi alla lente immediatamente precedente al rimpicciolimento delle lettere dei
10/10 o del massimo valore di AV raggiungibile; nel caso in cui non fosse notato alcun
rimpicciolimento delle lettere si riduce il potere positivo, o si aumenta quello negativo, della lente
EM di 0,50 D.
Si aggiunge una lente cilindrica negativa di cil-0,50 D e una lente sferica positiva di sf+0,25 D.
Si effettuano dei rapidi colpi di sonda, cioè rotazioni dell'asse del cilindro, nei meridiani 90° - 180°
e 45° - 135°, chiedendo al soggetto esaminato di specificare quale delle due posizioni permette la
migliore nitidezza delle lettere della mira, costituita da una riga di 20/20 o della massima acutezza
visiva raggiungibile. Ora si effettua un nuovo sondaggio, mettendo a confronto i due meridiani che
hanno permesso la migliore nitidezza nella prima fase; in caso di preferenza per uno dei due assi, si
lascia tale valore inserito nello strumento; in caso di percezione uguale, si lascia inserito un asse
intermedio tra i due.
Si controlla quindi la componente astigmatica della compensazione con uno dei due metodi a
disposizione:
- Metodo del cilindro crociato
- Metodi della rotazione e della stima percettiva
Nel caso si verificasse parità di resa tra due valori cilindrici diversi, si sceglie il potere cilindrico
minore; in caso di parità di resa tra due assi del cilindro diversi, si sceglie l’asse più vicino
all’orizzontalità (se essi sono più prossimi all’orizzontalità) o alla verticalità (se essi sono più
prossimi alla verticalità).
Si ricerca la componente sferica che fornisce la migliore acutezza visiva., cioè la lente MSD -
MVA. Si annebbia quindi con lenti sferiche positive, in modo da realizzare un astigmatismo
miopico semplice: una focale sulla fovea e una davanti a essa. Per ottenere tale obiettivo, se il
paziente ha un’acutezza visiva maggiore di 20/25 è sufficiente annebbiare la medesima riga di
lettere fino a quando la legge con difficoltà, se il paziente ha un’acutezza visiva minore di 20/30 lo
si deve annebbiare con lenti positive che riducano l'acutezza visiva almeno di una frazione
decimale.
Ora si proietta il quadrante per l'astigmatismo, chiedendo al soggetto esaminato quali siano i
meridiani puù neri e marcati; si equalizzano quindi tutti i meridiani del quadrante inserendo lenti
cilindriche negative con asse opposto ai meridiani più neri e marcati.
Successivamente si proietta la tabella completa di Snellen con l'acutezza visiva di 20/20 all'ultima
riga e si annebbia il paziente con lenti sferiche positive; si diminuisce il potere positivo delle lenti, o
si aumenta quello negativo, sino ad ottenere la prima formula che consente la visione nitida dei
10/10 o, se ciò non fosse possibile, del massimo valore di acutezza visiva raggiungibile. Questa
lente è definita EM (emmetropizzazione monoculare) e la sua precisa conferma avviene quando
appare una leggera sfuocatura dopo l'anteposizione di sf+0,25, mentre non si manifesta alcun
miglioramento dopo l’anteposizione di sf-0,25.
La lente EM è ideale per controllare la componente cilindrica quando l’esaminato è un soggetto
miope; infatti, in questo caso, garantisce la migliore acutezza visiva a distanza senza richiedere
alcun impegno accomodativo, riproponendo così la condizione abituale dei soggetti miopi per la
visione da lontano. Non è così nel caso dei soggetti ipermetropi, che sono abituati ad utilizzare
l’accomodazione a tutte le distanze, anche da lontano. Esaminando soggetti ipermetropi è
preferibile mantenere la stessa condizione di utilizzo accomodativo anche nel controllo della
componente cilindrica; a tal fine si riduce il potere positivo, o si aumenta quello negativo, della
lente EM fermandosi alla lente immediatamente precedente al rimpicciolimento delle lettere dei
10/10 o del massimo valore di AV raggiungibile; nel caso in cui non fosse notato alcun
rimpicciolimento delle lettere si riduce il potere positivo, o si aumenta quello negativo, della lente
EM di 0,50 D.
Si controlla quindi la componente astigmatica della compensazione con uno dei due metodi a
disposizione:
- Metodo del cilindro crociato
- Metodo della rotazione e stima percettiva
Nel caso si verificasse parità di resa tra due valori cilindrici diversi, si sceglie il potere cilindrico
minore; in caso di parità di resa tra due assi del cilindro diversi, si sceglie l’asse più vicino
all’orizzontalità (se essi sono più prossimi all’orizzontalità) o alla verticalità (se essi sono più
prossimi alla verticalità).
Metodo del cilindro crociato
Utilizzando il cilindro crociato si controlla e si modifica dapprima l'inclinazione dell'asse del
cilindro inserito, rilevato in retinoscopia; successivamente si controlla e si modifica il potere del
cilindro stesso. La mira è una riga orizzontale di lettere con acutezza visiva 20/40. Il potere sferico
inserito è quello della lenteEM nel caso di soggetti miopi o emmetropi, tale potere è ridotto di
sf0,50 D nel caso di soggetti ipermetropi.
Fase binoculare
Quando i risultati della fase monoculare del #7 hanno un valore diottrico identico, valore
confermato anche dai risultati delle retinoscopie e dell’acutezza visiva, si passa direttamente alla
fase binoculare. Quando invece si è evidenziata una differenza anisometropica, è preferibile
effettuare un affinamento della disparità mediante il metodo della dissociazione.
Metodo della dissociazione
Con entrambi gli occhi aperti, si annebbia binocularmente con lenti sferiche positive di sf+2,00. Si
inseriscono quindi lenti prismatiche di 3 DP a base alta davanti all'occhio destro e di 3 DP a base
bassa davanti a quello sinistro, che provocano la dissociazione verticale della mira; l'occhio destro
vede la riga in basso e l’occhio sinistro la riga in alto.
La mira è costituita da una riga di lettere con acutezza visiva 20/40 se il paziente ha un’acutezza
visiva 20/20; se ha un'acutezza minore, nel caso veda meno di 20/20 ci si adegua all'occhio
ipovedente per la dimensione della mira.
Nell’occhio destro (mira in basso) si riduce il potere delle lenti positive con progressione di 0,25 D
ogni volta, fermandosi alla prima lente che consente il riconoscimento, seppur difficoltoso, delle
lettere. Si riduce quindi il potere delle lenti positive davanti all'occhio sinistro (riga in alto) con la
stessa modalità. Quando entrambe le mire sono interpretabili, seppur con difficoltà, si ricerca la
condizione che renda le due mire egualmente sfuocate e si annota il valore di anisometropia trovato;
nel caso in cui la pari sfuocatura non sia raggiungibile, si lascia l’immagine più nitida in
corrispondenza dell'occhio dominante.
Il valore anisometropico evidenziato dal metodo della dissociazione va raffrontato con quello
evidenziato dai normali metodi monoculari; nella maggior parte dei casi riduce al minimo la
disparità sferica e va preso in considerazione mentre deve essere ignorato quando provoca un
aumento della disparità sferica tra i due occhi. La fase binoculare del # 7 prosegue ora con il valore
anisometropico del test che ha fornito la minore disparità sferica.
Misurazione del #7
La condizione sferica di partenza è il risultato della fase monoculare quando la componente sferica
dei due occhi è identica, mentre se è presente anisometropia si parte dalla soluzione che fornisce la
minore disparità sferica scegliendo tra le lenti espresse dalla fase monoculare e le lenti espresse
dalla fase della dissociazione. La mira è a tabella di Snellen con l'ultima riga di acutezza 20/20.
Si aumenta binocularmente il valore positivo delle lenti, realizzando un sufficiente annebbiamento e
inducendo il rilasciamento accomodativo nel sistema visivo del soggetto esaminato.
Si riduce quindi il potere positivo delle lenti, o si aumenta quello negativo, fino alla visione nitida
dei 10/10 o, se ciò non fosse possibile, del massimo valore di acutezza visiva raggiungibile; la sua
conferma avviene se l'aggiunta di una lente sf+0,25 provoca una leggera sfuocatura mentre
l’aggiunta di sf-0,25 non.migliora la sua nitidezza.
Le lenti che, binocularmente, sono ora anteposte agli occhi rappresentano il #7 e sono da registrare
sulla scheda d’esame. Il #7, oltre a essere la condizione di emmetropizzazione del soggetto, è anche
il punto di partenza di numerosi altri test dell’esame optometrico.
Oltre alla meccanica d'esame del #7 soggettivo da lontano, precedentemente esposta, esistono altri
test che possono permettere all'optometrista l’effettuazione dell'esame soggettivo nei casi (non
frequenti) in cui sia impossibile effettuare la normale procedura.
Test bicromatico.
Il test bicromatico si basa sul comportamento delle varie lunghezze d'onda dello spettro visibile e
sulla caratteristica aberrazione cromatica dell'occhio. Lo spettro visibile ai nostri occhi è soltanto
una piccolissima parte delle radiazioni elettromagnetiche esistenti, e h i limiti a 400 nanometri e a
760 nanometri circa (1 nanometro è uguale a 1 millimicron e a 0,1 Angstrom).
Una persona miope, che vede relativamente nitido in campo rosso, percepisce le lettere su fondo
verde molto più sfuocate a causa del cerchio di confusione; viceversa un ipermetrope che, avendo la
focale del colore verde più vicina alla retina, percepisce più nitide le lettere nel campo verde nei
confronti di quello rosso che in quel punto presenta un cerchio di confusione con visione indistinta
dei dettagli.
Il test bicromatico può essere utilizzato sia monocularmente che binocularmente; la fase binoculare
può essere effettuata con la stessa meccanica di esecuzione e di dissociazione del #7. I filtri rosso e
verde devono essere di un'adeguata lunghezza d'onda, di opportuna saturazione di colore,
precisamente anaglifici.
Come in qualsiasi modalità di esame rifrattivo, è essenziale iniziare il test in una condizione di
rilassamento dell'accomodazione, cioè da una condizione di annebbiamento e visione più nitida in
campo rosso. Nella scelta della mira, si tenga conto che i filtri colorati riducono la luminosità della
proiezione e di conseguenza il suo contrasto, è quindi consigliabile ridurre lievemente
l'illuminazione dell’ambiente al fine di mantenere un sufficiente contrasto della proiezione sullo
schermo. E’ opportuno utilizzare caratteri con dimensioni abbastanza grandi, pari ad un'acutezza
visiva non superiore a 5/10; nell'utilizzo del test bicromatico non serve infatti fare leggere al
soggetto caratteri con elevata acutezza, bensì valutare la nitidezza di caratteri di grande dimensione
visti in campo rosso e verde.
Si può effettuare il test bicromatico sia da lontano che da vicino, ne esistono diverse versioni
costruttive con svariate mire. Alcune ditte forniscono anche la possibilità di dissociazione
polarizzata delle mire per favorire l’effettuazione di un affinamento della disparità sferica.
Metodo di Freeman.
Il metodo di Freeman si avvale dell'utilizzo del test bicromatico e utilizza un cilindro crociato.
Le mire utilizzate possono essere cerchi grandi e con uno spessore ben percepibile (almeno 5/10)
posti su fondo rosso e su fondo verde, oltre a una serie identica di cerchi posta su fondo incolore; in
alternativa ai cerchi, è possibile utilizzare gli anelli di Landolt.
- Si inizia eguagliando, con lenti sferiche, la nitidezza dei cerchi neri posti su fondo rosso e su
fondo verde; questa operazione consente di rilevare la lente sferica che porta il centro della
conoide di Sturm sulla retina.
- Si controlla l'acutezza visiva raggiunta, su una normale tavola ottotipica, registrandone il valore.
- Si utilizzano i cilindri crociati, il cui potere è scelto in relazione all’acutezza visiva: cilindro
±0,25 in caso di acutezza visiva superiore a 20/30, cilindro ±0,50 in caso di acutezza
- visiva inferiore a 20/30. Si pone il cilindro crociato dapprima nelle posizioni verticale od
orizzontale e si chiede al soggetto se preferisce una delle due posizioni; si pone quindi il cilindro
crociato nelle due posizioni oblique a 45° e a 135° e si chiede al soggetto se preferisce una delle
due posizioni.
- Si toglie il cilindro crociato e si antepone all'occhio una lente cilindrica negativa di potere cil-
0,50 e con asse corrispondente al cilindro negativo della posizione preferita del cilindro oppure,
se le soluzioni prescelte fossero due, corrispondente alla posizione intermedia tra le due
preferite.
- Si perfeziona l'inclinazione del cilindro inserito utilizzando, per tale affinamento, il metodo del
cilindro crociato.
A questo punto si possono utilizzare due diversi metodi per affinare il potere della lente cilindrica
inserita:
Il foro stenopeico
Il foro stenopeico è un disco opaco di colore nero, con un foro al centro avente un diametro di circa
1,5 mm. La fessura stenopeica è un disco opaco di colore nero, con una fessura lunga circa 15 mm e
alta circa 1 mm.
Se si antepone a un occhio un diaframma molto stretto, si ottiene una notevole riduzione dei cerchi
di diffusione prodotti sulla retina da un'eventuale ametropia, cosicchè l'effetto negativo di una
condizione ametropica sulla qualità dell'immagine retinica è eliminato o considerevolmente
diminuito. Il foro stenopeico funge da diaframma e migliora l’acutezza visiva, a patto che sia ben
centrato davanti all'occhio. Il foro stenopeico, oltre a ridurre i cerchi di diffusione, riduce
notevolmente la quantità di luce che entra nell’occhio. Se si ottiene un miglioramento di acutezza
visiva mediante l'applicazione di un foro stenopeico, si può dedurre che la bassa acutezza visiva
iniziale è, almeno in parte, dovuta a una condizione rifrattiva ametropica e che la sua
compensazione deve produrre un'acutezza visiva almeno uguale a quella rilevata mediante il foro.
Nei casi di cheratocono o di astigmatismo irregolare, in cui l'acutezza visiva migliora nettamente
con il foro stenopeico, non si può ottenere un miglioramento con le normali lenti oftalmiche, ma
soltanto con l'applicazione di lenti corneali. Quando l'acutezza visiva è diminuita ma non a causa di
problemi rifrattivi, l’anteposizione del foro stenopeico non la migliora, addirittura spesso la
peggiora a causa della concomitante riduzione dell'illuminazione retinica.
Il foro stenopeico è molto utile esaminando soggetti che non raggiungono l'acutezza visiva di 10/10
con le lenti rilevate nel corso del normale test soggettivo; se l'anteposizione del foro stenopeico non
comporta alcun miglioramento o addirittura peggiora la visione, il controllo della rifrazione è stato
eseguito correttamente, mentre in caso contrario si ripete l’esame.
Un caso particolare è quello del soggetto con pupilla eccessivamente dilatata; in queste persone si
può notare un lieve miglioramento di acutezza visiva, dopo l’anteposizione del foro stenopeico,
anche se essi portano lenti compensative adeguate; infatti l’eccessiva dilatazione pupillare provoca
un’aberrazione sferica significativa e penlizzante, che il foro stenopeico riduce attraverso
l’eliminazione dei cerchi di diffusione.
La fessura stenopeica
La fessura stenopeica, al contrario del foro che riduce i cerchi di diffusione di tutti i meridiani
corneali, riduce integralmente l’ampiezza dei cerchi di diffusione soltanto sul meridiano
perpendicolare alla fessura. Si può quindi affermare che la fessura stenopeica, agendo soltanto su
uno dei due meridiani principali, si comporta come una lente cilindrica.
La fessura stenopeica trova applicazione nei casi di sospetto astigmatismo nei quali non si possono
ottenere, con altri test, dati precisi circa la sua entità e orientamento. Sono casi nei quali la fessura
stenopeica è di indiscussa utilità, purché sia usata correttamente tenendo presenti le sue possibilìtà e
i suoi limiti.
L'anteposizione della fessura stenopeica all’occhio consente l'utilizzo del solo meridiano corneale
paralllelo al suo asse ai fini rifrattivi, mentre elimina totalmente il meridiano opposto e la relativa
focalina retinica.
Esistono due tecniche di impiego per investigare l'astigmatismo con il foro e la fessura stenopeica.
- Metodo con lenti cilindriche ad assi ortogonali.
- Metodo con lenti sferiche e cilindriche.
Entrambi i metodi vanno preceduti dalla verifica con foro stenopeico. Se la sua anteposizione
migliora l’acutezza visiva, l’affinamento successivo dovrà permettere al soggetto il raggiungimento
dell’acutezza visiva raggiunta inizialmente con il foro stenopeico il quale, alla fine del test, non
dovrà più provocare un miglioramento dell’acuità visiva. L’unica eccezione è data dai casi di
cheratocono e astigmatismo irregolare che, nonostante la compensazione con lenti oftalmiche,
mantengono un’acutezza visiva ridotta; per essi la compensazione deve avvenire con lenti coneali.
Si ruota la fessura di 90° rispetto alla fase '2', che corrisponde all'inclinazione con massima acutezza
visiva, e sì riduce il potere positivo o si aumenta quello negativo fino ad ottenere l'acutezza visiva
precedente.
Test polarizzati
Alcuni sistemi di misura della condizione rifrattiva si avvalgono dell'utilizzo di test a proiezione di
tipo polarizzato. Essi presentano un contrasto lievemente ridotto nei confronti di una normale
proiezione, a causa della lastrina polarizzante incorporata nel test che riduce la trasmissione
luminosa. E’ quindi consigliabile aumentare l'intensità luminosa della proiezione o ridurre
l'illuminazione dell’ambiente per ottenere un sufficiente contrasto.
Si può proporre la tabella ottotipica polarizzata come un test assolutamente normale per un esame
della funzione binoculare, mentre il soggetto esaminato porta un occhiale con filtri polarizzanti; in
questo modo una parte della tabella ottotipica è percepita solamente dall'occhio destro e l'altra da
quello sinistro. Il rilevamento effettuato con filtri polarizzanti riduce ulteriormente il contrasto, ma
consente di misurare lo stato rifrattivo in condizione dissociata e di ottenere in alcuni casi un
migliore equilibrio tra i due occhi. Ciò vale per test da lontano e anche da vicino.
Alcune case costruttrici forniscono nella batteria di test polarizzati, oltre alle normali tabelle
ottotipiche, anche dei singoli test per il rilevamento di eteroforie orizzontali e verticali, della
disparità di fissazione, dell'aniseiconia, della stereopsi, ecc.
Metodo di Turville.
Il metodo di Turville utilizza tabelle retroilluminate per lontano, con caratteri capovolti. Si
utilizzano queste tabelle negli studi molto angusti che non consentono una distanza di rilevamento
di almeno tre metri e mezzo. La tabella è posta superiormente al capo del paziente e la sua
immagine riflessa è osservata su uno specchio frontale; in questo modo si raddoppia la distanza di
osservazione reale, simulando un rilevamento rifrattivo più distale. Si può effettuare il rilevamento
dello stato rifrattivo sia in condizione monoculare, binoculare o dissociata; si realizza la
dissociazione ponendo un separatore verticale nero sullo specchio, che nasconda all'occhio sinistro
la parte destra della tabella e viceversa.
Un grosso inconveniente di questo tipo di rilevamento deriva dalla necessità di guardare verso l'alto.
Come Ripple1 fece notare nel corso di un esperimento del 1952, mutando la posizione degli occhi
lungo l'asse verticale, cambiano sia la condizione rifrattiva sia l'ampiezza accomodativa e il punto
prossimo dell’accomodazione. Di conseguenza i normali rilevamenti rifrattivi dovrebbero essere
effettuati con la tabella posta all’altezza degli occhi o lievemente più in basso per non incorrere in
errori di rilevamento. Una soluzione per rimediare a tale limite è quella di utilizzare il Metodo di
Turville inclinando sia lo specchio che la tabella e consentendo una così la posizione primaria di
sguardo.
E' una foria rilevata attraverso le lenti del soggettivo # 7. La meccanica per il rilevamento è identica
a quella del # 3, con la differenza che la distanza interpupillare è quella esatta del soggetto.
E' un test che misura la convergenza relativa positiva da lontano. La mira è identica a quella
utilizzata per il # 8, cioè una riga verticale di lettere con acutezza 20/25 o minimo percepibile
nitidamente. Si antepongono agli occhi i prismi rotanti con possibilità di rotazione a base
orizzontale ed in posizione zero. Si aggiunge binocularmente una lente di sf+0,25 D alle lenti del #
7 e si fa rilevare un leggero annebbiamento delle lettere indotto dalle lenti, poi si toglie lo sf+0,25 D
precedentemente aggiunto. Si chiede ora al soggetto di riferire quando nota un annebbiamento
simile a quello osservato con l’addizione di sf+0,25 D e si ruotano i prismi a base esterna con una
velocità di circa 2 D.P. al secondo e con lo stesso ammontare prismatico davanti a ogni occhio. Il
valore prismatico rilevato quando la mira si annebbia, calcolato sommando i valori dei due occhi,
quantifica la convergenza relativa positiva a dispsizione del soggetto da lontano. Se egli non nota
1
I. M. Borish: ‘Clinical Refraction’; Chicago Illinois, The Professional Press, Volume 1, 1975.
annebbiamento alcuno e sopraggiunge prima la rottura, il #9 si registra con 'X' ed assume il valore
della rottura del successivo # 10.
Il sopraggiungere del leggero annebbiamento indica che la convergenza fusionale a disposizione del
soggetto esaminato è ultimata ed è stata già utilizzata una parte di convergenza legata
all'accomodazione; il trascinamento di accomodazione conseguente, quando supera l’entità di
sf0,25 D, provoca la visione leggermente annebbiata che il soggetto riferisce nel corso del test.
E' la continuazione del # 9. Dopo l'annebbiamento, continua la rotazione dei prismi a base esterna
mentre si chiede al soggetto di riferire quando vede sdoppiarsi la riga di lettere, oppure notare che
essa ritorna nitida, o anche che la riga si muove da un lato; sono tutti segnali dell’avvenuta perdita
della visione binoculare ed il valore totale dei due prismi a base esterna quantifica la rottura del #10.
A rottura avvenuta, allo scopo di evitare recuperi prematuri, si invita il soggetto a chiudere gli occhi
e contemporaneamente si aumenta il potere prismatico a base esterna favorendo così un migliore
rilassamento della convergenza, l'assunzione della posizione di riposo degli occhi ed una maggiore
separazione delle due righe di lettere verticali. Si invita il soggetto a riaprire gli occhi, fissare le due
righe di lettere verticali e riferire l’attimo in cui le due immagini si fondono in una sola; questo è il
valore del recupero della fusione.
Prima di registrare i dati dei # 9 e 10 rottura e recupero, si riportano i prismi a zero. La registrazione
del #10 si effettua separando il dato della rottura da quello del recupero con una linea obliqua; ad
esempio: rottura 19, recupero 10 = 19/10. Se il recupero oltrepassa il ritorno a 0 e avviene con i
prismi a base interna, il valore deve essere registrato come negativo e preceduto dal segno meno (-).
Oltre che per il #10, ciò vale anche per i #11, #16B e #17B.
Questo test misura la convergenza negativa a rottura e recupero. Si effettua come il #10 con la sola
differenza che i prismi sono ora a base interna. A rottura avvenuta, si invita il paziente a chiudere
gli occhi e si aumenta il potere prismatico per evitare una prematura fusione della mira. Dopo il
recupero si riportano i prismi a zero e si registrano i valori. Nell'analisi grafica si usa effettuare
prima il test a base interna del rispettivo a base esterna, per cui prima il #11 dei #9 e 10, prima il #l7
del #16.
La lente base è quella del #7 e la mira è una riga orizzontale di lettere con acutezza visiva 20/30
oppure 20/40.
Foria.
Si antepone all'occhio sinistro un prisma a base interna di potere sufficiente a sdoppiare la riga di
lettere in senso orizzontale; il potere prismatico inserito può variare da 10 a 15 D. P. e il suo effetto
provoca la stimolazione del quadrante nasale retinico dell'occhio sinistro, con susseguente diplopia
e proiezione spaziale verso sinistra dell’immagine percepita dall’occhio sinistro. Quindi si
disallineano verticalmente le due righe ponendo un prisma a base verticale davanti all'occhio destro;
se si utilizza un prisma a base alta, la riga di destra sarà vista in basso, a causa della stimolazione di
un punto retinico sito nel quadrante superiore e relativa proiezione spaziale dell'immagine verso il
basso. Si riduce quindi il valore del prisma verticale istruendo il soggetto esaminato a riferire
quando nota l’allineamento orizzontale delle due righe di lettere; raggiunto tale allineamento,
l'ammontare del prisma verticale posto davanti all'occhio destro indica la presenza o l'assenza di una
foria verticale.
Duzioni.
Si rilevano successivamente le duzioni verticali, con il soggetto che guarda sempre la stessa riga
orizzontale di lettere. Si posizionano i due prismi di Risley con possibilità di rotazione a base
verticale e si effettua la duzione monocularmente. A tal fine si ruota il prisma davanti all'occhio
destro aumentando il valore prismatico a base alta fino allo sdoppiamento della mira, e riducendolo
successivamente fino al recupero della fusione. Si mantiene una velocità di 1 D. P. ogni 2 secondi.
In questo modo si misura l'infraduzione dell'occhio destro a rottura e recupero. Si ruota quindi,
sempre davanti all’occhio destro, il prisma a base bassa e si rileva la supraduzione dell'occhio
destro a rottura e recupero. Si riporta il prisma a zero e si registrano sulla scheda i dati della
supraduzione e dell’infraduzione relativi all’occhio destro.
Si effettuano le stesse rotazioni a base bassa e a base alta anche davanti all'occhio sinistro e si
misurano le ampiezze della supraduzione e dell’infraduzione a rottura e recupero dell'occhio
sinistro. Si registra il dato del recupero separato da quello della rottura per mezzo di una barra
obliqua.
La procedura clinica è identica a quella del #13A, con la differenza che la lente di partenza è quella
del #7 e la distanza interpupillare dello strumento è quella effettiva per vicino.
Nel caso in cui il paziente è presbite e quindi non è in grado di leggere le lettere del test, si aumenta
monocularmente di sf+0,25 per volta il potere positivo delle lenti, fermandosi alla prima formula
che consente la lettura dei caratteri con un’acutezza visiva di 20/20 o minimo percepibile. Si
effettua successivamente la rilevazione della foria nel modo abituale.
Si registra sulla scheda il dato della foria, trascrivendo il potere attraverso cui è stata rilevata
ogniqualvolta esso si discosta dalla lente del #7.
I #14A, 15A, 14B e 15B sono validissimi per i dati soggettivi da vicino che evidenziano; essi
rappresentano gli indici di tendenza dell’accomodazione nel corso di un impegno prossimale e in
relazione alla convergenza utilizzata.
Il #14A si effettua in luce ridotta per limitare gli effetti dell'aberrazione cromatica indotta dai
cilindri crociati. Si inseriscono i cilindri crociati di ±0,50 D con asse negativo a 90° davanti ai due
occhi e, come mira, si utilizza un reticolo fatto di linee verticali e orizzontali incrociate tra loro. Si
consiglia, prima di effettuare il test, di fare osservare al paziente monocularmente la mira a reticolo
attraverso le lenti del #7, chiedendo se le linee verticali e quelle orizzontali gli appaiono ugualmente
nere; in caso contrario si affina l’asse e il potere della compensazione cilindrica utilizzando, con
mira a 40 cm, il metodo dei cilindri crociati. Al termine dell’affinamento cilindrico le linee verticali
e quelle orizzontali devono essere egualmente nere.
Rilevamento in monocularità
Si pone la mira a reticolo a 40 cm, illuminandola con luce ridotta, e si occlude un occhio.
Normalmente si effettua il #14A in monocularità, per semplicità di esecuzione, anche se il metodo
con dissociazione è più valido e fornisce risultati maggiormente affidabili.
Si aumenta il potere positivo di 2 diottrie; ora il soggetto esaminato vede più nere le righe verticali
del reticolo in quanto il cilindro crociato di ±0,50 D è inserito con l’asse negativo a 90° e quindi la
focalina verticale è più vicina alla retina di quella orizzontale.
Si chiede al paziente di riferire, a ogni cambio di lente, se vede più nere le righe verticali, quelle
orizzontali o se esse appaiono uguali; quindi si riduce il potere sferico positivo o si aumenta quello
negativo fino ad ottenere l'uguaglianza delle righe della mira. Se non si verifica l’uguaglianza, si
considera la lente corrispondente all'ultima posizione delle righe verticali più nere, cioè quella
immediatamente precedente alla prevalenza di nitidezza delle linee orizzontali. Nel caso si abbiano
più uguaglianze riducendo il positivo (lo si può ricontrollare andando a ritroso, cioè aumentando di
nuovo il potere positivo), si considera la lente più positiva tra quelle che hanno prodotto la
condizione di parità registrando, nel contempo, il numero di scatti che hanno prodotto la condizione
di uguaglianza. La condizione di più uguaglianze delle righe del reticolo notate dal paziente è il
frutto di variazioni dell'accomodazione del soggetto ed è tanto maggiore quanto più elevata è
l'abitudine della persona ad ampie oscillazioni accomodative; al contrario, quanto più la persona
possiede una capacità accomodativa ridotta o è rigida nell'utilizzo della propria accomodazione,
tanto meno si avranno condizioni di parità e si potrà avere anche l’assenza di parità, cioè il
passaggio diretto dalle righe verticali più nere a quelle orizzontali. Esaminato l'occhio destro, si
ripete la stessa procedura davanti a quello sinistro.
Rilevamento in dissociazione
Nei primi tempi l’OEP indicava di effettuare il test in dissociazione. E' preferibile utilizzare il
rilevamento in dissociazione nel corso di esami a pazienti giovani e a persone alle quali si vuole
controllare meglio la disparità anisometropica; spesso la differenza anisometropica rilevata in
dissociazione è minore di quella rilevata in monocularità.
Per presentare il reticolo contemporaneamente a entrambi gli occhi si antepone un potere prismatico
verticale di 3 D. P. ad ognuno degli occhi, a base alta davanti all’occhio destro e a base bassa
davanti all’occhio sinistro. Si aumenta quindi binocularmente il potere positivo di 3 diottrie e si
inizia a ridurre monocularmente il potere della lente con scatti di 1/4 di diottria fino al
raggiungimento della parità, se ottenibile, tra le linee verticali e le linee orizzontali.
Si riduce quindi il potere positivo davanti all'altro occhio fino alla parità, ritornando
successivamente al primo occhio e poi ancora al secondo finché si verificano variazioni; si
raggiunge infine la condizione di parità in entrambi.
Se non si verifica l’uguaglianza, si considera la lente corrispondente all'ultima posizione delle righe
verticali più nere, cioè quella immediatamente precedente alla prevalenza di nitidezza delle linee
orizzontali. Nel caso si abbiano più uguaglianze riducendo il positivo (lo si può ricontrollare
andando a ritroso, cioè aumentando di nuovo il potere positivo), si considera la lente più positiva tra
quelle che hanno prodotto la condizione di parità registrando, nel contempo, il numero di scatti che
hanno prodotto la condizione di uguaglianza. La condizione di più uguaglianze delle righe del
reticolo notate dal paziente è il frutto di variazioni dell'accomodazione del soggetto ed è tanto
maggiore quanto più elevata è l'abitudine della persona ad ampie oscillazioni accomodative; al
contrario, quanto più la persona possiede una capacità accomodativa ridotta o è rigida nell'utilizzo
della propria accomodazione, tanto meno si avranno condizioni di parità e si potrà avere anche
l’assenza di parità, cioè il passaggio diretto dalle righe verticali più nere a quelle orizzontali.
La registrazione dei #14A e 14B si effettua segnando il valore sferico rilevato nel forottero e non la
differenza con il soggettivo da lontano. Si registrano anche eventuali variazioni al potere cilindrico,
se si sono rese necessarie nella fase di controllo della mira prima dell'inserzione del cilindro
crociato; altrimenti, se non è variato, il potere cilindrico non si registra.
Questo test si effettua attraverso le lenti del # 14A, in luce ridotta, con i cilindri crociati inseriti e
con il reticolo come mira. La meccanica del test è identica a quella utilizzata negli altri test per la
ricerca della foria orizzontale, partendo da 9 D.P. a base alta davanti all'occhio destro e 15 D.P. a
base interna davanti all'occhio sinistro.
Quando è stato raggiunto l’allineamento tra i due reticoli, si registra il dato come #15A.
Questo test si esegue con illuminazione ridotta, mantenendo i cilindri crociati inseriti
binocularmente e il reticolo posto a 40 cm sull'asta del forottero. Ora però i due occhi del soggetto
esaminato guardano contemporaneamente il reticolo e lo fondono in una sola immagine. Egli deve
vedere, appena tolti i prismi utilizzati nel rilevamento eteroforico del #15A, una sola immagine.
Nell'eventualità che egli continui a vedere doppio, l'esaminatore si adopererà per fargli fondere le
immagini diplopiche e registrerà sulla scheda di lavoro una descrizione della manovra che ha
indotto la fusione (solitamente è sufficiente invitare il soggetto a toccare il cartoncino della mira
con un dito). Le lenti di partenza per l’esecuzione del #14B sono quelle del # 14A. Si aumenta
binocularmente il potere positivo, o si riduce quello negativo, di circa 1 diottria in modo che il
soggetto veda più nere le righe verticali di quelle orizzontali. Si riducono successivamente le lenti
positive, o si aumentano quelle negative, con scatti di 1/4 di diottria per volta istruendo il soggetto a
riferire, ad ogni cambio di lenti, quali sono le righe che vede più nere. La meta del # 14B è quella di
rendere le righe verticali e quelle orizzontali ugualmente nere; in caso di più uguaglianze si
considera, come nel caso del # 14A, la prima condizione di parità registrando sulla scheda, oltre al
suo valore diottrico, anche il numero delle condizioni di parità rilevate. Nel caso non sia possibile
ottenere l'uguaglianza, si tiene valida la prima formula che rende più nere le righe orizzontali, cioè
quella immediatamente successiva all'ultima condizione dl righe verticali più nere.
Si registra infine sulla scheda il valore rilevato nel forottero.
Si tolgono i cilindri crociati inseriti, si torna alla normale illuminazione e si sostituisce la mira a
reticolo con la scala ridotta di Snellen.
Il #15B si rileva come il #13B, con la sola differenza che le lenti utilizzate sono quelle del
# 14B.
Si invita il soggetto a leggere un testo scritto con caratteri 0,62M alla distanza di 33 cm., invece di
un carattere 20/20 a 40 cm. E’ stato notato che in tale maniera risultati sono più precisi; in effetti in
pazienti giovani e dotati di elevata ampiezza accomodativa, l'escursione con lenti negative provoca
un rimpicciolimento dei caratteri del testo che non consente di proseguire oltre, mentre
l'utilizzazione di un carattere con dimensione maggiore e posizionato più vicino non genera tale
inconveniente, pur ponendo la stessa domanda accomodativa.
La formula sferica di partenza è quella del soggettivo # 7, al quale si aggiungono binocularmente le
lenti negative, o si riducono quelle positive, fino ad un definito annebbiamento dei caratteri del
testo. Un definito annebbiamento significa che il soggetto riesce a leggerlo ancora, anche se con
fatica e con la consapevolezza di vederlo annebbiato. Le istruzioni per ottenere il punto di
annebbiamento non sono semplici, per raggiungerlo abbastanza in fretta è opportuno invitare il
soggetto a leggere il carattere e riferire quando nota di farlo con una certa fatica, mentre
l'esaminatore cambia le lenti con scatti di 0,50 D per volta; raggiunto il punto in cui il soggetto
inizia a fare fatica, gli scatti delle lenti divengono 0,25 D per volta mentre si invita il soggetto a
riferire quando legge con notevole fatica, condizione che costituisce il punto dì arrivo del test.
Il valore diottrico del #19 da registrare si calcola sommando la differenza diottrica esistente tra il #7
di partenza e la lente di consapevole annebbiamento, con le 2,50 diottrie di accomodazione richieste
inizialmente per riuscire a leggere il testo stampato sul cartoncino.
Esempio:
#7: sf+1,00 D
Lente di consapevole annebbiamento: sf-3,00
Il valore diottrico del #19 si ottiene aggiungendo 2,50 D all'escursione di 4 diottrie stimolata dalle
lenti negative. Si ottiene un totale di 6,50 D
Nel caso il soggetto non riesca a leggere con le lenti del # 7 il carattere O,62M a 33 cm., si
aggiungono binocularmente lenti positive finché riesce a leggere il traliletto, anche se con difficoltà.
Il valore diottrico del # 19 si ottiene sottraendo dalle 2,50 diottrie richieste per la lettura del
carattere O,62M a 33 cm il potere positivo aggiunto per consentirne la lettura.
Es. # 7 di partenza sf+1,.00; lente di lettura difficoltosa sf+2,00; il valore diottrico del # 19 è dato
dalle 2,50 diottrie di accomodazione richieste meno la diottria di potere positivo aggiunto per
consentire la lettura, per cui si ottiene sf+1,50 D.
Conviene utilizzare le stesse possibilità di lenti come consigliato dal metodo d'analisi
dell'Optometric Extension Program.
Questa è la formula generale per il calcolo del LAG di una persona non presbite. In caso di
presbiopia (#19 inferiore a 5 diottrie) si inserisce un fattore di modifica.
L'analisi con metodo grafico richiede che i test successivi siano effettuati con la sequenza: prima i
test a base interna e successivamente quelli a base esterna, prima le lenti positive ad annebbiamento
e successivamente quelle negative. L'analisi con metodo O.E.P. prevede che sia rispettata la
normale sequenza numerica, per cui prima le vergenze a base esterna di quelle a base interna e
prima le lenti negative ad annebbiamento di quelle positive. Se l'esame inizia non sapendo
esattamente se si procederà successivamente con metodo d'analisi O.E.P. oppure grafico, ritengo
che sia preferibile seguire la sequenza numerica esatta di rilevamento.
Questo test misura la convergenza relativa positiva, cioè quanta convergenza fusionale positiva è
tenuta in riserva. Si sistema la lente di controllo nel forottero e si pone sull'asta del forottero a 40
cm un cartoncino con una riga verticale di lettere di acutezza 20/20, o minimo percepibile, bene
illuminata. Si antepongono agli occhi i prismi rotanti in posizione zero e con possibilità di rotazione
con base orizzontale. Si invita il paziente a leggere le lettere singolarmente ed a riferire:
1. Il primo leggero annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi grafica)
2. Il totale annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi O.E.P.)
Questo test misura è la continuazione del test ad annebbiamento 16A. Dopo l'annebbiamento si
aggiunge ulteriore potere prismatico a base esterna fino a che la riga di lettere si sdoppia. Quindi si
invita il soggetto a chiudere gli occhi per favorire la loro posizione di riposo e, riducendo il potere
prismatico, gli si chiede di riferire quando le due righe tornano a fondersi in una sola. Si registrano i
valori a base esterna che hanno determinato la rottura e il recupero della fusione.
Questo test misura la convergenza relativa negativa, cioè quanta convergenza fusionale negativa è
tenuta in riserva. Si conferma la lente di controllo nel forottero e si lascia sull'asta del forottero a 40
cm un cartoncino con una riga verticale di lettere di acutezza 20/20, o minimo percepibile, bene
illuminata. Si antepongono agli occhi i prismi rotanti in posizione zero e con possibilità di rotazione
con base orizzontale. Si invita il paziente a leggere le lettere singolarmente ed a riferire:
1. Il primo leggero annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi grafica)
2. Il totale annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi O.E.P.)
Questo test misura è la continuazione del test ad annebbiamento 17A. Dopo l'annebbiamento si
aggiunge ulteriore potere prismatico a base interna fino a che la riga di lettere si sdoppia. Quindi si
invita il soggetto a chiudere gli occhi per favorire la loro posizione di riposo e, riducendo il potere
prismatico, gli si chiede di riferire quando le due righe tornano a fondersi in una sola. Si registrano i
valori a base interna che hanno determinato la rottura e il recupero della fusione.
Si rileva con le medesime modalità del #12, con la differenza che la distanza di esecuzione è 40 cm.
La mira è una riga orizzontale di lettere di facile lettura.
Si rileva a 40 cm con una mira costituita da lettere o parole corrispondente a 0,37 M. Si aumenta
binocularmente il potere negativo invitando il soggetto a riferire:
1. Il primo leggero annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi grafica)
2. Il totale annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi O.E.P.)
Si rileva a 40 cm con una mira costituita da lettere o parole corrispondente a 0,37 M. Si aumenta
binocularmente il potere positivo invitando il soggetto a riferire:
1. Il primo leggero annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi grafica)
2. Il totale annebbiamento (dato da utilizzare nell'analisi O.E.P.)