Roberto Cere

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varia

Proprietà letteraria riservata


© 2016 Rizzoli Libri S.p.A. / BUR Rizzoli

ISBN 978-88-17-08873-2

Prima edizione BUR Varia settembre 2016

Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma

Curatela redazionale: Pasquale La Forgia

Roberto Cerè devolverà i diritti d’autore di questo libro


a enti benefici selezionati personalmente di anno in anno.
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Per Antonia
Introduzione
Cercando la tua voce

Lo so. Non ti fidi. Hai aperto questo libro per curiosità,


magari con l’inconfessabile speranza di trovare la soluzio-
ne a tutti i tuoi problemi già nelle prime righe. Eppure,
anche se una parte di te vorrebbe risposte facili a qualsiasi
domanda, la tua prima reazione davanti a chiunque voglia
aiutarti a cambiare il tuo modo di affrontare la vita è sem-
pre la stessa: il sospetto.
«Ma che ne sa questo qui di come me la passo io?»
È solo una delle tante classiche frasi – dette ad alta voce,
sibilate a denti stretti o ripetute in mente – con le quali co-
struiamo una barriera tra noi e chi ci viene incontro, tra le
nostre difficoltà e chi potrebbe aiutarci ad alleviarle. La pri-
ma reazione è sempre improntata alla sfiducia e ci mettiamo
subito sulla difensiva. Questo non perché siamo fermamen-
te convinti di bastare a noi stessi, né perché pensiamo che
gli ostacoli che ci tocca affrontare siano insormontabili, ma
perché viviamo immersi nella nostra piccola particolarità,
accecati da un orizzonte limitato, completamente assorbiti
e annullati nella nostra individualità, al punto da illuderci

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Introduzione

che la sofferenza che ci attanaglia (piccola o grande, non


importa) sia unica nel suo genere, una irripetibile rarità,
impossibile da comprendere per un occhio estraneo. Del
resto, siamo noi i primi a non conoscere nel profondo chi
ci sta intorno, e forse proprio per questo presumiamo che
nessuno possa conoscere noi altrettanto bene.

Noi e gli altri

Facciamo subito un esempio concreto. Prendete un foglio


e dividetelo in due colonne. In quella sinistra scrivete le
caratteristiche che – nel bene e nel male – fanno di voi le
persone che siete. Datevi un limite di tempo molto strin-
gente, un minuto al massimo, e buttate giù le prime cose
che vi vengono in mente. Allo scadere del conto alla rove-
scia, prendetevi un altro minuto e cominciate a compilare
la seconda metà del foglio. Stavolta dovrete elencare i tratti
salienti di una persona che conoscete bene, magari qualcu-
no che vi è particolarmente vicino. Finito il tempo a vostra
disposizione, confrontate le due liste.
A meno che non siate del tutto inconsapevoli del vo-
stro carattere (e al tempo stesso incredibilmente capaci di
cogliere ogni sfumatura di quello degli altri), il risultato
sarà sempre lo stesso: nella colonna sinistra ci saranno un
buon numero di aggettivi, magari un po’ vaghi, ma tutto
sommato calzanti, che messi insieme restituiscono un qua-
dro piuttosto lineare, un po’ di spunti a partire dai quali è
possibile ricostruire un profilo personale. In quella destra,
invece, ci saranno più che altro elementi marginali, detta-
gli che compongono un identikit sommario, spesso un po’

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Cercando la tua voce

piatto e a volte decifrabile solo da chi l’ha realizzato. Qual-


cuno potrebbe obiettare: «Be’, è naturale! Io mi conosco
come le mie tasche, mentre faccio fatica a capire gli altri».
In realtà il discorso è più complesso, anche perché non
è affatto vero che ciascuno di noi conosce pienamente se
stesso, ma in estrema sintesi possiamo dire che al termine
di questo piccolo esperimento di autoanalisi le cose sono
andate così: la colonna sinistra del foglio l’abbiamo riem-
pita parlando di noi. Quella destra… pure! Solo che lo
abbiamo fatto «per interposta persona». Nella seconda
colonna, infatti, non abbiamo davvero parlato di un’altra
persona, ma ci siamo limitati a descriverla in base al rap-
porto che lei ha con noi.
Per esempio, se parlando di sé un uomo può dirsi ambi-
zioso, introspettivo e determinato, parlando della sua com-
pagna è facile che si limiti a definirla affettuosa, ritardataria,
umorale: tutti aggettivi che dicono ben poco della personali-
tà di questa donna, perché si concentrano soltanto sul modo
che lei ha di relazionarsi a lui. Siamo così accecati dalla no-
stra individualità che, anche quando parliamo di qualcun al-
tro, finiamo per metterci in mezzo. Un po’ come quei pittori
che infilano sempre una parte del loro aspetto in tutti i ritratti
che eseguono, indipendentemente dal soggetto raffigurato.
Non riusciamo a «metterci in disparte», a uscire dall’in-
quadratura e a cedere il palco a qualcun altro. Vogliamo
sempre essere il fiore e mai la mano che lo cura e coltiva, il
figlio coccolato e mai il genitore che lo mette al centro di
ogni attenzione.
E non è forse questa una delle più insidiose tentazioni
alla radice del nostro male di vivere? Dico «insidiosa» per-

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Introduzione

ché la tendenza a voler essere al centro di tutto si presenta


sotto spoglie seducenti e, in effetti, risponde molto spesso a
un legittimo istinto di automiglioramento. Ma quante volte
questa spinta propositiva si traduce in mero narcisismo?
Quante volte accumuliamo frustrazione e risentimento per
non essere riusciti ad appagare questa divorante voglia di
primeggiare? E, soprattutto, quante volte siamo pronti a
ignorare, travolgere e calpestare tutti quelli che si mettono
tra noi e i nostri obiettivi?
E qual è il costo umano di questo modo di agire? Non
solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo mette in pra-
tica in prima persona. Che cosa comporta un’esistenza
improntata all’irrefrenabile bisogno di vincere sempre e
comunque? Del resto, quante volte le nostre azioni non
portano al risultato sperato? Quanti traguardi, una volta
conquistati, si sono rivelati meno allettanti del previsto? E
quante persone abbiamo trascurato o deluso mentre erava-
mo troppo presi a realizzare i nostri obiettivi?

Le tre fasi

Siamo cresciuti all’ombra di valori ispirati a dei principi (se


non addirittura a un istinto) di sopravvivenza. Ci hanno in-
segnato a temere i momenti di crisi e ad accettare qualsiasi
compromesso pur di evitarli. Il risultato? Persone che met-
tono a tacere le proprie ambizioni, autocensurano il pro-
prio talento e si condannano, di fatto, a un’esistenza piena
di rancori e rimorsi. Quella che poteva essere una storia di
rinascita, diventa una lunga parentesi di vuoto, una prigio-
ne di (a volte neanche troppo) confortevoli paure.

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Cercando la tua voce

Ci hanno inculcato il motto del mors tua vita mea. Siamo


cresciuti con la convinzione che il nostro benessere vada con-
quistato a danno di qualcun altro. Il risultato? Prendiamo le
nostre legittime aspirazioni a migliorarci e a crescere e le ali-
mentiamo con il fuoco dell’arrivismo a tutti i costi, viviamo
nel sospetto al solo scopo di creare (quando ci va bene) una
ricchezza materiale che ha ben poche speranze di sopravvi-
verci. Quello che poteva essere un cammino di crescita di-
venta una corsa alla sopraffazione in cui non ci sono vincitori.
Ci hanno detto di tenerci ben stretto quello che ab-
biamo conquistato. Anche quando abbiamo raggiunto la
nostra realizzazione personale e non avremmo più alcuna
ragione per provare a sottomettere gli altri, diamo ascolto
ai consigli di chi ci invita a chiuderci in noi stessi, a guar-
dare al mondo con diffidenza e a non condividere con gli
altri quello che abbiamo imparato. Il risultato? Facciamo
un grande torto a noi stessi. Sprechiamo tutto quel capitale
di conoscenza e comprensione che abbiamo accumulato
negli anni. Non tramandiamo la nostra esperienza agli altri
e così tutto quello che di buono possiamo aver capito e
creato, muore con noi. Quello che poteva essere un albero
dalle solidi radici e dai rami carichi di frutti diventa una
graziosa quanto sterile piantina ornamentale.
Che spreco insopportabile! Concentriamo tutte le ener-
gie nel tentativo di prendere il controllo della nostra vita, e
poi le dissipiamo ripiegandoci su noi stessi. Creiamo qual-
cosa di importante, magari a costo di grandi sacrifici, e poi
la lasciamo sgretolare piuttosto che condividerla. Abbia-
mo eretto una torre fastosa e imponente, ma non la usiamo
per scrutare l’orizzonte, non per gustarci il panorama né

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Introduzione

per avvistare in anticipo le minacce in arrivo e mettere in


salvo le persone a cui teniamo: è come se avessimo scelto
che il solo scopo per cui l’abbiamo eretta è assicurarci un
posto in prima fila per vederla crollare.
È arrivato il momento di sovvertire questo schema che
ci spinge a vivere con l’ossessione di scalare il podio a tutti
i costi (e a tormentarci se non riusciamo a farlo). È ora
di imparare a convogliare al meglio le nostre energie per
attraversare quelle che, nella mia esperienza personale, ho
riconosciuto come le tre fasi del nostro sviluppo emotivo:

1) Io non ci sono.
2) Io ci sono, per me stesso.
3) Io ci sono, per gli altri.

Se pensiamo alle età dell’essere umano, possiamo dire che


la prima fase corrisponde al lungo periodo formativo che
va dall’infanzia alla fine dell’adolescenza, cioè a quella lun-
ga parentesi durante la quale ciascuno di noi si sforza di
assorbire tutti gli stimoli che può, spesso finendone travol-
to, nel tentativo di ricombinare in modo originale tutti i
«pezzi di puzzle» che ha raccolto fino a elaborare una per-
sonalità. Ma andando oltre il dato puramente anagrafico,
possiamo dire che la fase «Io non ci sono» può manifestar-
si in qualsiasi periodo, in concomitanza di grandi difficoltà
e di momenti di grave smarrimento.
Indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla situazione
economica, ciascuno di noi ha vissuto un momento buio.
Molti, purtroppo, si arrendono a questa sensazione o la
combattono con armi sbagliate e, così facendo, si condan-

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Cercando la tua voce

nano alla solitudine. Escono dal cerchio della loro comu-


nità (cerchia familiare, amicale, professionale…) senza
neanche affermarsi come individui.
È in queste occasioni che ci arrendiamo senza opporre
alcuna resistenza a quelle che definisco le cinque emozioni
limitanti:

1) L’Abbandono.
2) Il Rifiuto.
3) L’Ansia del Confronto.
4) L’Umiliazione.
5) L’Ossessione del Tradimento.

Si tratta di emozioni che si presentano in qualsiasi momen-


to della nostra vita. Entrano a gamba tesa nella nostra quo-
tidianità, fregandosene se siamo pronti o meno ad affron-
tarle e gestirle. Si abbattono su di noi senza preavviso e il
più delle volte ci colgono impreparati. Se ci troviamo nel
pieno della fase «Io non ci sono», siamo completamente in
balia di queste emozioni e quindi non possiamo di fatto es-
sere presenti a noi stessi. Anche se esistiamo e respiriamo,
nei fatti noi non ci siamo.

La seconda fase, invece, da un punto di vista prettamente


anagrafico, può essere associata all’ingresso nell’età adulta
e alla conseguente presa di coscienza del fatto che dobbia-
mo imparare a contare solo (o almeno principalmente) sul-
le nostre forze. Se Pinocchio aveva a guidarlo la voce del
Grillo parlante, a dirigere le azioni di chi attraversa questa
fase è un’istintiva spinta all’economia emotiva e cognitiva.

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Introduzione

In parole povere: sei consapevole che se ti lasci sopraffare


dalle cinque emozioni limitanti, non avrai testa e cuore per
fare altro, e così dovrai dire addio o almeno mettere pe-
santemente in discussione il quotidiano equilibrio che hai
faticosamente creato emergendo dalla prima fase. Adesso
ci sei, ma vivi una sorta di eterno presente. Non riesci a
pensare a lungo termine, perché le urgenze del tuo tempo
sono troppo più pressanti.
Hai imparato a prendere decisioni senza aspettare l’ap-
provazione degli altri, ma non hai idea di cosa voglia dire
fare una scelta pensando alle conseguenze per chi ti sta in-
torno: ragioni senza lungimiranza, spinto solo dal bisogno
di averla vinta e questo condiziona pesantemente la qualità
delle tue decisioni.
Se la tua comunità fosse un cerchio, tu non ci entreresti
ma ti limiteresti a costeggiarlo. Conosci le regole del gioco,
ma non le hai ancora fatte tue. Sai di esserci, ma sai altret-
tanto bene che la tua testa e il tuo cuore sono programmati
per badare a te. Il tuo motto è: «Io ci sono, per me stesso».
Se nella prima fase subivi e incassavi, ora hai cominciato
a difenderti e a combattere.

La terza e ultima fase, che idealmente coincide con la ma-


turità, è un traguardo che non tutti riusciamo a tagliare, ma
al quale tutti dovremmo puntare. Abbiamo messo da parte
l’«io a-sociale» della prima fase e il «falso io» della secon-
da. Non abbiamo bisogno di essere chiusi in noi stessi per
sentirci al sicuro né siamo schiavi del nostro istinto di so-
pravvivenza. L’altro non è più un ostacolo o addirittura un
nemico, ma un compagno di strada e d’avventura.

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Cercando la tua voce

In questa terza e ultima fase siamo dentro al cerchio dei


nostri affetti e – in senso più ampio – in quello della comuni-
tà in cui viviamo. Abbiamo capito che una scelta può giocare
a nostro favore anche se non implica l’infelicità di un altro.
Non temiamo le difficoltà né le consideriamo una buona ra-
gione per smetterla di essere generosi con chi ci è vicino.
Le emozioni limitanti, che pure non mancano di mi-
nacciare la nostra serenità, ormai non ci scalfiscono più di
tanto, perché abbiamo imparato a gestirle e a trasformarle
in sensazioni positive.
Dopo l’età della sconfitta e quella del contrattacco, arri-
va il tempo di costruire, di guardare avanti senza il peso del
passato e libero dall’ossessione del presente. È questo il
momento in cui cominci a pensare a quel che resterà di te,
di quello che hai conquistato e appreso, se non hai nessuno
a cui trasmetterlo, tramandarlo, donarlo.

Il nostro ruolo

Nelle pagine che seguiranno approfondiremo ciascuna di


queste tre fasi, vedremo in che modo le cinque emozioni
limitanti si manifestano e possono essere gestite nelle diffe-
renti tappe. Lo scopo di questo libro è quello di accompa-
gnarvi in un viaggio lungo una vita, invitandovi a recupe-
rare il filo di un’esperienza che ha come unica costante la
ricerca di se stessi. Una ricerca che parte con il timido de-
linearsi della nostra personalità, si sviluppa all’ombra delle
nostre insicurezze e si realizza pienamente nel momento in
cui riusciamo a trovare dentro noi stessi la voce guida che
troppo spesso cerchiamo là fuori nel mondo.

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Introduzione

Abbiamo cominciato questo discorso mettendo in eviden-


za la relativa superficialità che dimostriamo quando provia-
mo ad analizzare la complessità degli altri. Ricorrendo a un
semplice esercizio di autoanalisi, abbiamo evidenziato come
le capacità descrittive che sfoggiamo nel definire noi stessi
svaniscono all’improvviso (o si riducono sensibilmente) se
sotto la nostra lente d’ingrandimento ci finisce qualcun altro.
Quando parliamo di noi riusciamo a spaccare il capello in
quattro, entriamo nel particolare e anche il nostro vocabola-
rio si fa più sciolto e preciso. Magari ci rappresentiamo in un
modo del tutto falsato, ma il nostro autoritratto, per quanto
inaffidabile, porta i segni di una lunga riflessione ed è il risul-
tato di un dialogo continuo che intratteniamo con noi stessi.
Al contrario, ai nostri occhi gli altri conducono esisten-
ze più semplici e lineari (non importa se felici o meno), in
cui tutto risponde a una fredda logica consequenziale: «Ha
perso il lavoro quindi è giù di morale», oppure: «È ricco
di famiglia, di conseguenza non ha pensieri» e via dicendo.
Questa sostanziale incapacità di sentire gli altri, di in-
terpretare le loro qualità (o i loro difetti) a prescindere dal
modo in cui impattano sul nostro vissuto, la dice lunga sul-
la nostra generale mancanza di empatia e sul nostro innato
bisogno di metterci al centro di tutto a costo di calpestare
e ignorare ogni cosa che ci circonda.
Se è vero che ogni esistenza è un romanzo, allora è al-
trettanto vero che dovremmo smetterla di sgomitare tra la
folla per imporci come protagonisti unici e incontrastati
della nostra storia. È molto più saggio (e più divertente)
cominciare a impegnarsi per trasformare il libro della no-
stra vita in una lettura indimenticabile.

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Prima parte
Io non ci sono
1
Al buio

Immaginiamo di poter fermare il tempo e di rivedere al


rallentatore un momento particolarmente buio nella vita
di un uomo. L’onda di pensieri che gli attraversa la mente
traspare dal suo volto. I muscoli della sua faccia traduco-
no quella tempesta di sentimenti: l’incredulità, la rabbia, il
bisogno di capire, il dolore, l’autocommiserazione. Ha la
netta sensazione che resterà prigioniero della paura e della
sfiducia. La paura di non farcela, la sfiducia nelle proprie
capacità.
Quest’uomo potrebbe essere chiunque. Quest’uomo,
un giorno, lo siamo stati tutti.
Ci sono infinite possibilità per toccare il fondo e forse
tra noi ognuno ha fatto quella terribile esperienza in mille
modi diversi. Eppure, il più delle volte, colleghiamo l’i-
dea di fallimento al mero aspetto economico. La stessa
espressione «sono rovinato» fa immediatamente pensare
a un uomo che ha perso tutto al tavolo da gioco, o che è
strozzato dai debiti. Riusciamo a immaginarcelo mentre si
passa le mani tra i capelli e tra sé e sé ripercorre la scia di

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Io non ci sono

decisioni sbagliate che lo hanno portato a quel momento,


a quella realizzazione. Di rado, quel modo di dire evoca
nella nostra mente qualcuno che si ritrovi senza amici, lon-
tano dalla sua famiglia o ad affrontare una brutta malattia.
Eppure quella sensazione di drammatico smarrimento,
lo strisciante e ineluttabile avvicinarsi della fine di qualcosa
che ci è caro, prima o poi la sentiamo addosso tutti, indi-
pendentemente da quel che abbiamo in banca, da quanto
ci soddisfa il nostro lavoro o da quali siano le nostre con-
dizioni di salute.
Chiunque tra noi, per le ragioni più disparate, può tro-
varsi faccia a faccia con la voglia di arrendersi, di tirare
i remi in barca e di lasciarsi abbandonare alla deriva di
un ingrato destino. La scintilla può essere innescata da un
problema di salute, da un rovescio di fortuna professiona-
le, da quell’ostacolo che ci si para davanti e non possiamo
aggirare. La sua presenza incombente ci induce a prendere
le nostre piccole e umane difficoltà e a passarle sotto la
lente d’ingrandimento dell’inadeguatezza.
Ognuno di noi ha avuto il suo bagno di cruda realtà.
Chi in un modo, chi nell’altro, in diversi scenari e con di-
verse intensità. Ma quanti di noi sono riusciti a rialzarsi?
Quanti di noi hanno trovato la determinazione necessaria
a scacciare i brutti pensieri, a evadere dalla prigione in cui
il destino e i nostri errori ci hanno rinchiuso?
Qualcosa è andato storto e adesso siamo bloccati. Che
fare? Evadere o restare prigionieri? Rialzarsi o rimanere a
terra, lì dove siamo stati sbattuti?
Fino a un attimo prima andava tutto bene, credevi di
avere il mondo sotto controllo. Adesso invece tutto sem-

24
Al buio

bra volgere al peggio e sta a te decidere se lasciarti traspor-


tare dalla corrente o sbracciarti per raggiungere la riva.
Sulla carta sembra una scelta obbligata: «Be’, ovvio! Scel-
go di toccare terra e mettermi in salvo!». E invece in tanti
si stanno solo illudendo d’aver compiuto una scelta, anche
se nel migliore dei casi non fanno altro che lamentarsi del-
la situazione in cui sono finiti, mentre l’acqua comincia a
spingerli a fondo in un sinistro mulinello.
Rimettersi in sesto non è un automatismo. Certo, il no-
stro istinto di conservazione ci obbliga a far di tutto pur
di sopravvivere, ma in ultima analisi la voglia di reagire è
sempre e soltanto il frutto (e la conseguenza) di una scelta
razionale tra impegnarsi e lasciar correre, tra reagire e su-
bire. E sarà l’esito di questa decisione a dimostrare se sei
un adulto, o ancora un bambino.

Spezzando la bacchetta magica

Nella mia lunga e intensa esperienza di life coach ho incon-


trato molte resistenze: persone che diffidano a prescinde-
re, uomini d’affari abituati a vedere trappole e trabocchetti
dappertutto, gente cresciuta nella convinzione paranoide
che chiunque voglia fregarli in un modo o nell’altro. Io
stesso, in certe occasioni, ho storto il naso leggendo i libri
di chi promette cure miracolose senza che sia previsto al-
cuno sforzo per renderle efficaci.
Per questo sento l’obbligo morale di sgombrare subito
il campo dalla folle idea che esistano scorciatoie indolori
per il successo: il cammino della vita è tutto meno che una
passeggiata. Richiede costanza, impegno, fatica e una buo-

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Io non ci sono

na dose di pazienza e sopportazione. Se qualcuno vi spinge


a credere il contrario o è un truffatore o – beato lui! – non
ha mai avuto un momento difficile in tutta la sua vita.
E se non sai cos’è il dolore della caduta, la paura di restare
solo e il timore di non riuscire a rimetterti in piedi, di certo
non hai diritto di dire agli altri cosa dovrebbero fare per su-
perare quelle stesse difficoltà che tu non hai mai conosciuto.
A chi segue i miei corsi e legge i miei libri non ho mai
promesso risultati degni del tocco di una bacchetta magi-
ca e certo non comincerò a farlo proprio adesso. Chi ha
partecipato anche solo a uno dei miei incontri, sa che amo
mettermi a nudo per cancellare subito dalla mente di chi
mi sta davanti un dubbio duro a morire: «Questo qui ha
tutte le fortune, come può capire i miei problemi?».
È vero, da qualche anno ormai vivo una vita che mai e
poi mai avrei sognato di realizzare. Ho tagliato traguardi
che non credevo possibili, nel privato come nell’ambito
professionale. Ma questo non vuol dire che non ci sia sta-
to un prima, un passato che nulla ha a che fare con la mia
immagine di oggi, uno ieri da uomo in balia degli eventi,
con tutte le sue amarezze, le sue ansie, le sue paure e le sue
difficoltà. E, a dirla tutta, le parentesi di difficoltà sono
tuttora parte integrante della mia giornata, anche adesso
che – inutile nascondermi dietro un dito – non sono più
schiavo di preoccupazioni pressanti come quella di garan-
tire ai miei figli il pane in tavola e un tetto sulla testa.
Non voglio trasformare questo libro in un’autobiogra-
fia, ma nel corso di queste pagine farò di tanto in tanto
ricorso a momenti della mia esperienza personale, soprat-
tutto ai più difficili e dolorosi, per ribadire un concetto che

26
Al buio

mi sta molto a cuore: non esistono vite perfette, così come


non esistono persone immuni alla paura, all’incertezza e
con tutte le risposte sempre a portata di mano.
Esistono, invece, vite vissute pienamente da persone
che – di volta in volta, passo dopo passo – fanno il possi-
bile per capire, capirsi e farsi capire. Spezzate nella vostra
mente l’illusione della bacchetta magica, cancellate il mito
della perfezione e del successo incrollabile. Fate largo nel
vostro cuore all’idea di una vita completa di ogni aspetto,
bello o brutto che sia. Abbracciate senza timore l’intero
spettro delle emozioni umane, perché la chiave della fe-
licità non risiede soltanto nel saper godere appieno delle
sensazioni piacevoli, ma soprattutto nella nostra capacità
di trarre il meglio da una situazione difficile.

La caduta

Voglio coinvolgervi in un piccolo esercizio. È una di quel-


le cose che amo fare durante i miei seminari, soprattutto
quando mi rivolgo a un pubblico più ristretto e posso per-
mettermi un’interazione diretta con i presenti. Ma prima,
una necessaria premessa.
Per seguirmi in questo test non avete bisogno di nessu-
no strumento: niente carta, niente penna, solo una buona
dose di onestà e di sana voglia di sbagliare. Perché il più
grande nemico di chi vuole imparare è la smania di sem-
brare più intelligenti di quel che si è. Se dall’apprendimen-
to togliete la gioia del conoscersi (soprattutto attraverso gli
errori!) e l’energia del confronto, nella testa non vi reste-
ranno che un pugno di dati sterili e vuote nozioni.

27
Io non ci sono

Se sui banchi eravate tra quelli che inseguivano osses-


sivamente il dieci più o il trenta e lode, è ora di cambia-
re approccio: certo, un bel voto fa molto piacere, ma non
è tutto e non dovrebbe mai esserlo per nessuno. Se sta-
te leggendo questo libro non è perché dovete dimostrare
qualcosa a qualcuno, ma perché cercate un’occasione di
riscatto per voi stessi. Se mentre studi, lavori e rifletti non
distogli la mente dal risultato, dal podio, dalla promozione
che hai sempre atteso, non ti godrai mai il percorso, non
sentirai mai le imperfezioni della strada e non imparerai
mai a prevedere i rischi lungo il tracciato. Il più delle volte,
lasciarsi ossessionare dagli obiettivi è il modo migliore per
non raggiungerli.
Detto questo, torniamo al nostro test. Si tratta di un
semplice esercizio di visualizzazione.
Tutti quanti abbiamo una nostra idea di quel che vuol
dire «momento buio». Può essere legata a una delusione
sentimentale, a un problema familiare, a una brutta chi-
na lavorativa o a una preoccupante svolta sul fronte della
salute. Stavolta, però, è bene andare alla radice di quell’e-
spressione, attaccarsi al primo e più immediato significato
di «momento buio» e cioè all’assenza di luce. Proviamo
quindi con la nostra immaginazione a calarci in una situa-
zione che rappresenti alla lettera e in maniera universale il
concetto di «momento buio».
Immaginate di essere nella quiete di casa vostra o in
qualsiasi altro posto chiuso a voi piuttosto familiare. È sera
inoltrata e la giornata volge pigramente al termine, le ore
sono trascorse senza grandi novità e voi non avete parti-
colari preoccupazioni. A un tratto, però, va via la luce. Di

28
Al buio

scatto, il vostro sguardo volge alla finestra. Casa vostra è


l’unica rimasta senza corrente: davanti ai vostri occhi si
stende il panorama della città, una pennellata nera punteg-
giata di mille lucine. Il blackout ha colpito solo la vostra
abitazione. All’orizzonte si intravedono le finestre illumi-
nate degli altri, che continuano la loro vita come se nulla
fosse. Alcuni guardano la TV, altri stanno sparecchiando
i resti di una cena tra amici durata più a lungo del solito.
Voi invece siete lì, soli, in un posto che fino a un attimo
prima era ospitale e accogliente e che adesso, senza luce,
non vi è più familiare, è divenuto estraneo e anche un po’
minaccioso.
Che cosa fate? Qual è la prima cosa che vi viene in men-
te? Per quanto possa sembrare illogico o addirittura stupi-
do, molti di noi provano ad accendere la luce. Sappiamo
benissimo che non c’è corrente, ma il nostro istinto ci dice
di provarci. La mano corre sulla parete e il dito si accanisce
sull’interruttore, anche se il nostro cervello è ben consa-
pevole che quel gesto è solo una perdita di tempo e che il
risultato sarà solo la nostra frustrazione.
Assodato che non si tratta di una valida soluzione, tro-
viamo altre strategie. Dobbiamo arrivare all’interruttore
generale, e quindi alla radice del problema. Già, ma come?
È buio pesto!
Dobbiamo fare uno sforzo di concentrazione e ricostrui-
re nella nostra mente il percorso che ci conduce, a tentoni,
dal punto in cui ci troviamo fino al contatore. Possibilmen-
te senza inciampare in qualche cavo della corrente, senza
romperci gli stinchi contro il tavolino del soggiorno, senza
far cadere il vaso di nonna Elena, senza sbattere il naso

29
Io non ci sono

sulla porta del bagno e senza ribaltare lo stendino carico di


panni ancora umidi che chissà perché ci ostiniamo a piaz-
zare in quel corridoio che è già stretto di suo…
Insomma, la prima cosa davvero utile da fare quando ci
si ritrova persi al buio è ricordarci quali sono i nostri punti
di riferimento principali. In quei momenti non state lì a
pensare che cosa vi manca in dispensa, se i libri sulle men-
sole sono disposti in ordine alfabetico o in base ai colori o
a quante camicie vi restano da stirare. No, in quei momenti
pensate agli ostacoli da evitare lungo il tragitto che vi con-
durrà alla soluzione del problema.
Questo esercizio di visualizzazione ci permette di capire
tre insegnamenti importanti per affrontare con la dovuta
serenità delle situazioni di difficoltà:

1) La situazione è cambiata, ma non del tutto: anche al


buio, la tua casa resta la tua casa, così come la tua vita
resta la tua vita, nonostante tutti gli stravolgimenti che
può subire. A cambiare è il tuo modo di muoverti; sei
più sul chi vive e avanzi a passetti, pronto a evitare o
almeno ad attutire urti improvvisi.
2) Non far prevalere l’abitudine, adattati: pigiare l’interrut-
tore non serve a nulla se non c’è corrente, così come è
inutile insistere su soluzioni che hanno smesso di aver
senso alla luce degli ultimi cambiamenti. Non accanirti,
batti strade nuove.
3) Cancella il rumore di fondo, concentrati sull’essenziale:
se il panorama intorno a te è mutato, cerca la tua stella
polare e orientati in base a lei. Fatti guidare dai tuoi
valori, dalle tue più profonde necessità, mai da dettagli

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Al buio

secondari che – soprattutto in momenti di difficoltà –


non farebbero altro che distrarti dalla ricerca della via
d’uscita.

Ma soprattutto, impara a non temere il momento di crisi.


Quando sei al buio, l’universo ti sta offrendo una gran-
de occasione: capire una volta per tutte quali sono le tue
priorità. Nessun consulente, nessuno psicologo, nessun te-
rapista e nessun life coach sarà mai in grado di metterti di
fronte all’evidenza con la franchezza e la brutalità di un
momento di crisi. Quindi impara a non temerne il con-
fronto e smettila di fare di tutto per esorcizzarla. I periodi
difficili arrivano, sempre e per tutti. Quel che conta è in-
dividuare la causa che li ha scatenati e capire come ridurre
l’impatto che hanno sulla tua vita.
«Facile a dirsi!» penseranno i più sfiduciati tra voi. E
infatti di facile non c’è proprio nulla, come vedremo nei
prossimi capitoli di questa prima parte, nei quali consta-
teremo l’effetto devastante che hanno le cinque emozioni
limitanti su una persona ancora nel pieno della sua prima
fase di crescita emotiva, quella dell’«Io non ci sono».

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