Il Sinodo 47° Della Chiesa Ambrosiana - Card. Martini
Il Sinodo 47° Della Chiesa Ambrosiana - Card. Martini
Il Sinodo 47° Della Chiesa Ambrosiana - Card. Martini
MARTINI
Introduzione: IL SINODO 47° DELLA CHIESA AMBROSIANA Parte prima: MINISTERI FONDAMENTALI
Capitolo 2. IL MINISTERO DELLA LITURGIA pag. 27
I. LA CHIESA AMBROSIANA pag. 16
1. La fede di cui la Chiesa vive 50. Il rinnovamento del ministero liturgico
2. La memoria storica
3. Dall'ultimo Sinodo I. L'EUCARISTIA, CENTRO DELLA VITA DELLA CHIESA E DELLA
4. La necessità della conversione SUA MISSIONE pag. 27
51. Liturgia e vita
II. I COMPITI DEL MOMENTO pag. 18 52. La "sapienza celebrativa"
5. Il tempo presente 53. L'assemblea dei fedeli, soggetto attivo della celebrazione liturgica
6. Il dovere della evangelizzazione 54. La partecipazione ai ministeri
7. La forma della evangelizzazione 55. Alcune attenzioni per la celebrazione dell'Eucaristia
8. I luoghi della evangelizzazione 56. La liturgia delle Ore
9. Obiettivi fondamentali 57. Il culto dell'Eucaristia fuori della messa
10. Direzioni di intervento 58. Liturgia e preghiera personale
I. ORIENTAMENTI GENERALI
Parte seconda: FORME DEL MINISTERO 247. Comunità cristiana e malati
Sezione II. ALCUNI AMBITI DI PASTORALE 248. Comunità cristiana e mondo della sanità
Capitolo 11. PASTORALE GIOVANILE E ORATORIO pag. 61 249. Cura della salute e promozione dell'assistenza
250. Linee della pastorale sanitaria
I. ORIENTAMENTI DELLA PASTORALE GIOVANILE DIOCESANA
188. L'impegno educativo della comunità cristiana II. LUOGHI E AMBITI DELLA PASTORALE DELLA SANITÀ pag. 72
189. Educatori che sanno incontrare i giovani 251. L'attenzione ai malati nelle comunità parrocchiali
190, Elaborare un progetto comune 252. Pastorale nelle strutture sanitarie e assistenziali
191. L'attenta lettura della realtà 253. Le parrocchie ospedaliere
192. Il primato dell'annuncio del Vangelo 254. Le cappellanie ospedaliere
193. La dimensione vocazionale 255. La parrocchia in cui sono presenti strutture sanitarie o assistenziali
194. La cura delle vocazioni al matrimonio cristiano e alla famiglia
195. La cura delle vocazioni ai ministeri ordinati e alla vita di speciale III. ISTITUZIONI E VOLONTARIATO pag. 73
consacrazione 256. Istituzioni sanitarie cattoliche
196. Coeducazione: educare al maschile e al femminile 257. Volontariato
197. I destinatari
198. La formazione alla missionarietà e alla corresponsabilità dei più motivati IV. STRUTTURE DIOCESANE PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ
199. La cura pastorale di chi in vario modo partecipa alla vita della comunità 258. L'ufficio diocesano pag. 73
200. L'attenzione e la proposta agli indifferenti e lontani 259. La consulta diocesana
201. L'attenzione agli studenti
202. L'attenzione verso adolescenti e giovani lavoratori
203. L'attenzione ai giovani disabili Parte seconda: FORME DEL MINISTERO
204. L'attenzione ai giovani in situazioni di marginalità Sezione II. ALCUNI AMBITI DI PASTORALE
205. Attenzione ad alcuni momenti particolari dell'esperienza giovanile Capitolo 14. PASTORALE DEGLI ESTERI pag. 74
206. Itinerari educativi: tappe e passaggi secondo l'età
207. Appuntamenti diocesani annuali I. PRINCIPI GENERALI
208. L'attenzione ai diversi tipi di parrocchia 260. Il fenomeno migratorio oggi
209. L'oratorio nel progetto di pastorale giovanile 261. Orientamenti generali
210. Parrocchia, decanato e zona soggetti di pastorale giovanile 262. Alcuni aspetti dell'azione pastorale
211. Altri soggetti educativi
212. La famiglia nel progetto di pastorale giovanile II. TIPOLOGIE DI AZIONE PASTORALE pag. 75
213. Adulti e giovani nel progetto di pastorale giovanile 263. Gli esteri appartenenti alla Chiesa cattolica
264. Gli esteri appartenenti alle altre Chiese cristiane
II. STRUTTURE DIOCESANE DI PASTORALE GIOVANILE pag. 66 265. Gli esteri appartenenti ad altre religioni
214. Le strutture diocesane centrali e periferiche
215. L'Ufficio diocesano per la pastorale giovanile III. SOGGETTI E STRUTTURE DI PASTORALE pag. 75
216. La Consulta decanale per la pastorale giovanile 266. Soggetti ecclesiali
217. La parrocchia 267. La Segreteria e la Consulta per gli esteri
268. Forme di coordinamento
III. L'ORATORIO pag. 66
218. L'oratorio nella pastorale giovanile della parrocchia IV. MISSIONE TRA I ROM - SINTI - KAOLIE pag. 76
219. La strutturazione dell'oratorio 269. Un lavoro missionario da continuare
220. I gruppi di base 270. Una attenzione della pastorale parrocchiale
221. I gruppi di interesse e di servizio
222. Gruppi per una formazione specifica. L'Azione Cattolica
223. Attività comunitarie Parte seconda: FORME DEL MINISTERO
224. Attenzioni educative Sezione II. ALCUNI AMBITI DI PASTORALE
225. La coeducazione in oratorio Capitolo 15. LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO,
226. L'attenzione al territorio TURISMO, SPORT pag. 76
227. L'attenzione alle situazioni di marginalità
228. Lo sport in oratorio 271. Nuove condizioni culturali
229. Ambienti e strutture 272. Il tempo libero
230. Il bar 273. Il turismo
231. Gestione amministrativa e assicurazioni 274. Lo sport
232. Il direttore dell'oratorio 275. Le strutture diocesane per la pastorale del tempo libero, turismo e sport
233. I consacrati in oratorio 276. Circhi e luna park
234. Il responsabile laico
235. Gli educatori
236. Gli animatori Parte seconda: FORME DEL MINISTERO
237. I gruppi educatori delle singole fasce d'età Sezione III. DIMENSIONI DELLA PASTORALE
238. La comunità degli educatori e degli animatori Capitolo 16. MISSIONE AD GENTES E COOPERAZIONE
239. Il consiglio d'oratorio TRA LE CHIESE pag. 77
240. La formazione degli educatori I. LA CHIESA CHE E' IN MILANO: SOGGETTO CORRESPONSABILE
241. Rapporti fra oratorio e famiglia NELL'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI
277. Il mandato missionario e la Chiesa che è in Milano 322. La Chiesa e i beni temporali
278. Invocazione del regno e missione 323. Finalità dei beni temporali
279. La cooperazione tra le Chiese 324. Osservanza delle normative
280. In dialogo con le altre Chiese cristiane
281. La formazione allo spirito missionario II. IL DOVERE DI SOVVENIRE ALLE NECESSITÀ DELLA CHIESA 87
282. Diocesi, istituti missionari e altri istituti e soggetti impegnati 325. Dovere di tutti i battezzati
nella missione 326. Modalità di contribuzione
283. Presbiteri e diaconi fidei donum 327. Offerte per la celebrazione della messa
284. Laici in missione 328. Forme ordinarie di solidarietà tra enti ecclesiastici
285. Partenza, servizio e ritorno dei missionari 329. Collette annuali obbligatorie
330. Forme particolari di solidarietà
II. LA COMUNITÀ PARROCCHIALE pag. 79 331. Impegno caritativo
286. Pastorale missionaria e parrocchia
287. Il ministero della Parola III. AMMINISTRAZIONE ORDINARIA pag. 88
288. Liturgia 332. Criteri di corretta amministrazione
289. Carità e servizio 333. Regole di amministrazione
290. Commissione missionaria parrocchiale 334. Inventari o stati patrimoniali
291. Commissione missionaria decanale 335. Stipula di adeguate assicurazioni
336. Rendiconto amministrativo annuale
III. L'UFFICIO DIOCESANO PER LA PASTORALE MISSIONARIA E IL 337. Pubblicità dei rendiconti annuali
CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO pag. 79
292. L'Ufficio diocesano per la pastorale missionaria IV. AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA pag. 88
293. Centro missionario diocesano 338. Atti di amministrazione straordinaria
294. Collaborazione con la Chiesa italiana e con gli uffici pastorali diocesani 339. Nuove costruzioni, ristrutturazioni e restauri
340. Proporzionalità tra beni e attività pastorali
341. Modifiche della destinazione d'uso
Parte seconda: FORME DEL MINISTERO 342. Case canoniche delle parrocchie prive di parroco residente
Sezione III. DIMENSIONI DELLA PASTORALE
Capitolo 17. ECUMENISMO E DIALOGO pag. 80 V. L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI DELLA PARROCCHIA pag. 89
343. Funzioni amministrative del parroco
PREMESSA 344. Intestazione dei beni mobiliari
295. Ecumenismo e dialogo: ambiti e obiettivi 345. Separazione tra beni ecclesiastici e beni personali
296. Ecumenismo e dialogo nella vita spirituale e pastorale 346. Il consiglio parrocchiale per gli affari economici
347. Attività pastorali connesse
LA SPIRITUALITÀ ECUMENICA NELLA 348. Formazione e aggiornamento
I. VITA DELLE COMUNITÀ pag. 81 349. Preparazione amministrativa dei parroci
297. Atteggiamenti che ostacolano una spiritualità ecumenica 350. Consulenza
298. Atteggiamenti che favoriscono una spiritualità ecumenica 351. Personale laico e volontariato
299. Lo stile di carità e di dialogo all'interno delle nostre comunità suscitatore
di spiritualità ecumenica VI. ATTRIBUZIONI DELL'ARCIVESCOVO E DEGLI UFFICI DI CURIA
300. La pastorale ordinaria per una spiritualità ecumenica 352. Attribuzioni dell'Arcivescovo pag. 90
301. Alla sequela del Signore in cammino verso Gerusalemme 353. Attribuzioni degli uffici di curia
354. Organi collegiali diocesani
II. LA FORMAZIONE ALL'ECUMENISMO E LE ATTIVITÀ 355. Apporto dei laici
INTERCONFESSIONALI pag. 82
302. La formazione all'ecumenismo
303. La conoscenza dei cristiani di diversa tradizione confessionale Parte seconda: FORME DEL MINISTERO
304. Predicazione e catechesi in prospettiva ecumenica Sezione IV. STRUMENTI A SERVIZIO DELLA PASTORALE
305. La preghiera per implorare il dono della piena comunione Capitolo 19. I BENI CULTURALI DI INTERESSE RELIGIOSO
306. La comunicazione nei sacramenti e nelle altre forme di culto
307. La collaborazione ecumenica nel servizio della carità e per una 356. Principi generali pag. 90
testimonianza comune 357. Scelte fondamentali
358. Valorizzazione pastorale
III. LA COSCIENZA CRISTIANA DELLA RELAZIONE CON IL POPOLO 359. Tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali
EBRAICO pag. 84 360. I beni culturali mobili
308. La conoscenza della tradizione ebraica vivente 361. I musei
309. L'integrale accoglienza della rivelazione ebraico-cristiana 362. Gli archivi parrocchiali
363. I beni culturali immobili
IV. ECUMENISMO E DIALOGO DI FRONTE AL PROBLEMA 364. Formazione degli amministratori, degli esperti e dei collaboratori
RELIGIOSO E NELL'INCONTRO CON LE RELIGIONI pag. 84 365. Attribuzioni degli uffici di curia
310. Le attuali sfide alle Chiese e l'esigenza di una risposta ecumenica
311. Una società religiosamente composita
312. L'incontro con l'Islam Capitolo 20. I FEDELI LAICI pag. 92
313. L'incontro con le tradizioni religiose dell'Asia
314. L'incontro con le religioni africane I. LA CHIESA AMBROSIANA E I FEDELI LAICI
315. Le nuove forme di religiosità 366. I fedeli laici nella Chiesa
316. Specificità della fede cristiana 367. Riconoscimento e promozione di autentiche figure laicali nella Chiesa
317. Dialogo con ogni persona ambrosiana
368. Scelte prioritarie per la formazione dei fedeli laici
V. LE STRUTTURE DIOCESANE PER
L'ECUMENISMO E IL DIALOGO \pag. 86 II. PROMOZIONE DELLA VOCAZIONE E DELLE VOCAZIONI
318. Commissione diocesana e Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo 369. L'universale vocazione alla santità
319. Gli incaricati per l'ecumenismo e il dialogo 370. Cammini laicali di santità
320. Le scuole per operatori pastorali e la specializzazione 371. La cura delle diverse vocazioni
in ecumenismo e dialogo
321. La proposta di costituire un consiglio pastorale interconfessionale III. CORRESPONSABILITÀ DEI LAICI NELL'EVANGELIZZAZIONE
372. Il dovere di annunciare il Vangelo pag. 93
373. Evangelizzazione e cura pastorale della comunità ecclesiale
Parte seconda: FORME DEL MINISTERO 374. Nuova evangelizzazione
Sezione IV. STRUMENTI A SERVIZIO DELLA PASTORALE 375. Evangelizzazione e attività missionaria specifica
Capitolo 18. I BENI ECONOMICI \pag. 86 376. Evangelizzazione e promozione umana
I. PRINCIPI GENERALI pag 86
IV. FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CRISTIANA pag. 94
377. La necessità della formazione B. Matrimoni interconfessionali pag. 106
378. La crescita nella fede 434. Principi generali
379. L'educazione al sensus Ecclesiae 435. Preparazione al matrimonio
380. Diversi strumenti formativi 436. Esame dei fidanzati
381. La cultura teologica 437. Celebrazione delle nozze ed Eucaristia
382. L'attenzione ai più deboli e alle esperienze cruciali della vita 438. Dispensa dalla forma canonica
383. Ambiti specifici di educazione alle responsabilità civili 439. Celebrazione ecumenica delle nozze
384. La speranza cristiana 440. La cura delle famiglie interconfessionali
Parte terza: FIGURE DELLA VITA CRISTIANA G. Matrimoni di sieropositivi pag. 110
Capitolo 21. MATRIMONIO E FAMIGLIA 450. Matrimonio di sieropositivi
II. ALCUNE LINEE PER UN PIANO PASTORALE pag. 137 III. STRUTTURE DIOCESANE pag. 140
597. Presupposti per l'elaborazione di un piano pastorale 609. L'attuale struttura diocesana
598. Obiettivi per un progetto pastorale 610. Rivedere e coordinare le strutture esistenti
599. Conoscenza del mondo della comunicazione sociale 611. Strumenti per la formazione e l'animazione
600. La comunicazione sociale al servizio del Vangelo
601. Formare a una mentalità comunicativa APPENDICE pag. 140
602. La formazione degli utenti
603. La formazione degli educatori
DECRETO DI PROMULGAZIONE
Con la grazia di Dio e per l'intercessione di Maria e dei nostri santi siamo giunti alla conclusione del Sinodo diocesano 47°, indetto il 30
maggio 1993, solennità di Pentecoste.
Il Libro sinodale, che oggi viene promulgato, raccoglie l'intenso lavoro di chi in questi anni ha servito la Chiesa di Dio che è in
Milano preparando l'assise sinodale, partecipando alla fase di consultazione, prendendo parte all'Assemblea sinodale ed esprimendo il suo
voto; ma anche di tutti i fedeli, che con il loro amore per il Signore e la sua Chiesa, hanno pregato e sperato, sostenendo l'impegno di chi più
direttamente è stato coinvolto nell'evento del Sinodo 47°. Non va dimenticato il prezioso contributo derivato dalla presenza dei delegati
fraterni delle Chiese cristiane di Milano, a cui esprimo la riconoscenza dell'intera diocesi.
Il risultato di tale lavoro è stato a me affidato, come Vescovo di questa Chiesa e pastore di essa anche per mezzo dell'esercizio della
potestà legislativa, e ora, dopo averlo attentamente esaminato, lo propongo autoritativamente all'intera comunità diocesana, perché, come
affermavo nel decreto di indizione riprendendo le parole del Papa, esso costituisca “il piano pastorale della diocesi per gli anni a venire”.
Pertanto, in questa solenne celebrazione liturgica, che ci raccoglie nella memoria del beato Card. Andrea Carlo Ferrari,
confidando nell'intercessione dei santi Ambrogio e Carlo e di tutti i santi della nostra Chiesa,
promulgo
il 47° Sinodo della diocesi di Milano.
1. le costituzioni sinodali entreranno in vigore con la prossima Pasqua, domenica 16 aprile 1995;
2. le norme sinodali costituiscono diritto particolare della Chiesa ambrosiana e, come tali, hanno valore per tutto il suo territorio;
3. esse dovranno essere conosciute e osservate da tutto il popolo di Dio della diocesi di Milano ed essere oggetto di particolare studio
soprattutto da parte dei ministri ordinati, dei consacrati e dei laici, che a vario titolo e con vari ministeri partecipano della cura pastorale di
questa comunità;
4. con l'entrata in vigore delle costituzioni del Sinodo 47° vengono abrogate: le precedenti norme sinodali, in particolare quelle del
Sinodo 46°; le disposizioni applicative delle stesse e le altre norme diocesane contrarie alle nuove costituzioni o riguardanti una materia che il
Sinodo 47° ha inteso ordinare integralmente;
5. sono, inoltre, revocate le consuetudini vigenti che siano contrarie alle disposizioni del nuovo Sinodo, anche se centenarie o
immemorabili e, per il futuro, vengono proibite le consuetudini contrarie;
6. salvo sia disposto diversamente in singoli casi, in futuro le leggi diocesane e i decreti generali saranno promulgati con l'edizione
nella Rivista diocesana milanese ed entreranno in vigore con il primo giorno del secondo mese successivo al mese indicato sul fascicolo della
Rivista; i decreti generali esecutivi, le istruzioni e gli atti amministrativi singolari cominceranno ad aver vigore il giorno stesso in cui sono
sottoscritti dalla competente autorità, a meno che venga stabilito diversamente dal diritto o dallo stesso provvedimento;
7. l'interpretazione autentica delle costituzioni del Sinodo 47° e delle norme diocesane è riservata all'Arcivescovo, sentito il parere
dell'Avvocato generale della Curia;
8. quando il Sinodo prevede, per una determinata materia, l'emanazione di ulteriori norme o disposizioni, comprese quelle a carattere
statutario o regolamentare, fino alla loro entrata in vigore restano valide quelle attuali, salvo per i punti in cui le costituzioni sinodali siano già
immediatamente applicabili. Al fine, comunque, di favorire una prima attuazione delle costituzioni sinodali, corretta e tempestiva, in data
odierna vengono emanate alcune norme transitorie e applicative. Esse, pubblicate in appendice al Libro sinodale, entrano in vigore
contemporaneamente al Sinodo 47°;
9. sarà cura del Vicario generale, coadiuvato, per quanto di competenza, dall'Avvocato generale della Curia e dal Cancelliere
arcivescovile, fare in modo che le disposizioni necessarie o utili per l'attuazione del Sinodo vengano predisposte ed emanate tempestivamente
e fatte conoscere in modo idoneo e coordinato a quanti hanno il dovere di osservarle.
Dopo essermi messo con voi in ascolto del Signore che ci parla, nello stesso clima di raccoglimento e di semplicità vorrei parlare a
voi, rileggendo il cammino fatto ed esprimendo timori e speranze per questo momento di promulgazione del testo sinodale. Vorrei rispondere
alle seguenti domande:
- 1. Come mi sono collocato in questi ultimi due anni rispetto al processo sinodale?
- 2. Come leggo il cammino fatto?
1. Come mi sono collocato rispetto al processo sinodale, fin dall'inizio della consultazione "La Chiesa di Milano si interroga", cioè a
partire dai primi mesi del 1993?
Mi sono messo in una disposizione di riverente ascolto di quanto lo Spirito volesse dire alla nostra Chiesa mediante le voci dei vari
organismi sinodali e di tutti coloro che venivano chiamati a dire il loro parere. Ho inteso mettermi in una situazione di attenzione e recettività
verso quanto tutta la base ecclesiale potesse dire o esprimere. Non intendevo e non potevo certamente rinunciare al mio compito di
discernimento, ma volevo che esso nascesse da un lungo tempo di macerazione e di ascolto.
Mi interessava anche capire quanto dei programmi pastorali di questi anni e della loro ispirazione evangelica di fondo fosse passato
di fatto nella base della nostra Chiesa e potesse venire riespresso da gruppi rappresentativi. Mi premeva cioè di verificare fino a che punto le
grandi linee sia tematiche (silenzio, Parola, Eucaristia, missione, carità) sia trasversali (educare, comunicare, vigilare) godessero di un
consenso comune nella media dei nostri fedeli.
Mi pare che l'icona che ci ha accompagnato nel Sinodo esprima bene la chiave di lettura del cammino. Il firmavit faciem suam dice
la situazione di Gesù all'inizio del "grande viaggio" verso Gerusalemme. Gesù è cosciente del cammino già percorso ed esprime il suo
proposito forte di andare avanti nella nuova decisiva fase della sua vita.
Così si è mossa la nostra Chiesa, prestando attenzione al "già" delle grazie ricevute, presenti nella sua struttura istituzionale e nelle
sue tradizioni, per discernere il "non ancora", il cammino da intraprendersi con decisione. Anche se non abbiamo fatto un'analisi dettagliata del
difficile contesto contemporaneo, esso era ben presente nello sfondo di molti interventi, con le sue tentazioni di pessimismo e di frustrazione.
Così la nostra Chiesa ha capito di trovarsi in un momento decisivo della sua storia, in una fine di millennio che chiede scelte coraggiose.
I sinodali hanno avuto modo di mostrare la loro profonda passione per il regno, il loro sincero amore alla Chiesa e la volontà ferma
di una revisione di vita per orientare il cammino futuro. Mi ha molto colpito il grande spirito di responsabilità, la forte coscienza di
appartenenza alla Chiesa ambrosiana nella comunione della Chiesa cattolica e nel vincolo col successore di Pietro. Ho ammirato la precisione
organizzativa, la disciplina del lavoro, la capacità del rispetto dei tempi. Mi ha impressionato il sincero sforzo di dire tutto quanto potesse
essere pertinente al cammino di una Chiesa locale, tenendo conto delle sue tradizioni e sullo sfondo dei grandi principi del Concilio Vaticano
II e delle prescrizioni del diritto. Ho apprezzato l'impegno per unire una visione teologica dei problemi con l'attenzione agli adempimenti
pratici propri di una comunità cristiana.
Mi è sembrato anche che la preoccupazione di dire tutto, ben comprensibile da parte di una larga rappresentanza in cui ciascuno ci
teneva a che non fosse trascurato il proprio particolare problema e settore di interesse, rendesse l'insieme un po' pesante. I testi venivano così
ad assumere quello stile tipico di molti documenti ecclesiali, dove la completezza del discorso va a scapito dell'incisività. Non ho però ritenuto
che si dovesse o neppure si potesse porre rimedio con qualche intervento autoritativo a tale situazione. Essa è probabilmente oggi in larga parte
inevitabile, così come è praticamente inevitabile, in una società vasta e complessa, il moltiplicarsi sia delle leggi civili sia dei documenti
ecclesiastici. Mi è sembrato che la via fosse un'altra, quella cioè di lasciar emergere il documento così come lo si veniva elaborando,
suggerendo insieme di sottoporlo a qualche chiave di lettura che gli facesse ricuperare, nell'uso pratico, unità, energia e scioltezza.
Ho dunque sentito sempre più come mio contributo al Sinodo quello di dare qualcosa che, senza rinnegare il desiderio di
completezza e di attenzione a tutte le "cose da fare", aiutasse a leggere l'insieme con un'impressione più vicina a quella che si ha leggendo gli
Atti degli apostoli: un'impressione cioè di freschezza e di gioia, di apertura del cuore, di coraggio, quasi di "facilità", nella grazia dello Spirito,
del vivere cristiano.
Cerchiamo dunque di esplicitare meglio il senso del nostro cammino. Infatti, pur con tutti i valori sopra ricordati, in tutto ciò che
abbiamo fatto vi sono implicazioni più profonde che è importante mettere bene in luce.
C'è soprattutto un aspetto del firmavit faciem suam che merita maggiore attenzione. Questo motto pone infatti al centro il "Suo"
volto, il volto di Gesù. Ciò che tutti abbiamo cercato di fare con diligenza è stato lo sforzo di verificare il nostro volto di Chiesa sullo sfondo
delle sfide contemporanee. Ciò era giusto e necessario. Ma forse il senso di disagio che abbiamo avvertito talora nel percorso dipendeva anche
dal fatto che ancora troppo poco abbiamo fissato lo sguardo nel volto di Lui. Ora la Chiesa sta tutta sub Verbo Dei, dipende cioè totalmente
dalla Parola del Signore, da cui è generata come creatura Verbi. Parlando di lei dobbiamo avere la coscienza che parliamo di Gesù,
descrivendo il suo volto facciamo riferimento a quello di Gesù. Solo così il nostro parlare della Chiesa, delle sue strutture e delle sue attività,
delle sue figure di valore e delle sue regole è un parlare vero, purificante, pacificato, liberante.
Mi sono convinto sempre di più che la vera lettura del cammino sinodale vada cercata proprio in quell'approfondimento del volto di
Cristo che ha fatto la Chiesa degli apostoli, la quale viveva della contemplazione del volto di Gesù e la traduceva in azioni, strutture e regole
nella gioia e nella pace dello Spirito santo. Le Chiese degli apostoli non ci testimoniano altro che questa sequela sorgiva, irradiante e
contagiosa di Gesù Crocifisso e Risorto. Essere Chiesa degli apostoli vuol dire voler essere il Corpo di Cristo crocifisso nella storia, la
ripresentazione del Suo volto nel tempo, confidando nella grazia dello Spirito e nella misericordia di Colui che perdona le mancanze con cui
sfiguriamo quotidianamente questo volto dolcissimo e santo.
Ma qual è il volto che traspare dalla scena del firmavit faciem suam? E' quello di Gesù che si orienta decisamente a compiere il
destino del Servo sofferente del Signore: il suo volto è quello dell'Uomo dei dolori dei Carmi del Deutero-Isaia.
E' il volto dell'umile, che accetta di essere consegnato alla morte per amor nostro. E' il volto di Colui che ci ha amato e vive in noi:
“Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha
consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).
In Lui, misericordia fatta carne, siamo chiamati a essere la Chiesa della misericordia; in Lui, povero per scelta, la Chiesa povera e
amica dei più poveri; in Lui, appassionato per la comunione del regno, la Chiesa dell'unità intorno ai Pastori da Lui voluti per noi, nell'attesa
fiduciosa e orante del dono della piena comunione tra tutte le Chiese cristiane; in Lui, ebreo osservante, la Chiesa che ama i suoi fratelli
maggiori e si nutre sulla santa radice, Israele; in Lui, Servo umile e consegnato per amore al dolore e alla morte, la Chiesa che accetta di farsi
consegnare dal Padre alla via dolorosa per amore del suo popolo, fino alla fine.
Ma si tratta allora forse di rinunciare a un'immagine forte di Dio e a un'immagine trionfante della Sua Chiesa? Si è talora affermato,
come osservazione critica al nostro Sinodo, che l'immagine di Dio soggiacente a certi nostri discorsi era quella di un Dio forte, che suscita una
comunità forte, compatta e vittoriosa; un Dio che mostra la sua gloria nel successo apostolico dei suoi seguaci e non nell'insuccesso e
nell'insignificanza; che ci invia a una missione che è anzitutto "conquista" non solo di nuovi seguaci ma anche di prestigio sociale e culturale.
Di qui sarebbe conseguita l'autocoscienza di una Chiesa che cerca di organizzarsi per "contare" in questo mondo; che si compiace dei suoi fasti
e delle sue glorie; che vorrebbe dominare e primeggiare, non sa rassegnarsi al ruolo marginale in cui la riduce inevitabilmente la società
moderna, non sa vedere in esso la chiamata provvidenziale ad assumere il ruolo di Cristo umile servitore.
Personalmente ho riflettuto su questi interrogativi, come molti altri di voi, e me ne sono fatto carico. Non siamo certo immuni, come
non lo è nessun cristiano e nessuna comunità, rispetto alle tentazioni che hanno assalito Gesù nel deserto. Siamo anche fragili e dobbiamo
continuamente, come ci ha detto Giovanni Paolo II, fare autocritica e rileggere con spirito di umiltà e di pentimento il nostro passato remoto e
recente (cf Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, 10 novembre 1994, nn. 33-36).
Sono convinto però che non si tratta di rinunciare a un'immagine forte di Dio e trionfante della Sua Chiesa: siamo pur chiamati a
vedere “il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26).
Ma si tratta di capire (e in questo senso va letto tutto il libro sinodale) di quale tipo è la nostra forza e la nostra vittoria nel periodo
presente della storia di questo mondo. Si tratta di capire, contemplando il volto dell'uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia, che il
nostro volto non potrà essere diverso dal Suo; che la nostra debolezza sarà forza e vittoria se sarà la ripresentazione del mistero della
debolezza, dell'umiltà e della mitezza del nostro Dio.
Abbiamo bisogno di riscoprire la mistica ecclesiale della imitatio Christi che tanto stava a cuore al nostro Paolo VI e che fu motivo
ispiratore della Lumen Gentium fin dal suo esordio: “La luce di Lui, splendente sul volto della Chiesa, deve illuminare tutti gli uomini” (LG
1); “La Chiesa, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di
annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio” (LG 5); “Dalla virtù del Signore risuscitato trova forza per vincere con
pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà e per svelare al mondo, anche se non perfettamente, il mistero di Lui” (LG 8).
Questa imitatio non è ripetizione di un modello esteriore, ma vera ripresentazione di Cristo in noi per la grazia dello Spirito, che ci
conduce a imparare sempre di nuovo a percorrere la via dell'umiltà per completare nella nostra carne ciò che manca alla passione di Cristo a
vantaggio del Suo Corpo, la Chiesa (cf Col 1,24).
La via dell'umiltà è dunque la via regale dell'imitazione di Cristo in ciascuno di noi e nella Chiesa che noi siamo: lo è stata per la
Chiesa degli apostoli, che ha rivelato il volto di Gesù nel suo essere perseguitata. Stefano colpito dalle pietre ripete il grido di abbandono di
Gesù al Padre (cf At 7,59). Saulo riconosce per grazia, nei cristiani che perseguita, il volto di Cristo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At
9,4).
Noi, Chiesa ambrosiana, abbiamo oggi più che mai bisogno di confermare il nostro volto nel volto di Cristo umile e abbandonato,
non per razionalizzare i nostri insuccessi o consolarci del nostro diminuito influsso sulle masse, ma per riconoscerci davvero qui e ora, in
questa situazione concreta e difficile, partecipi del disegno di salvezza del Figlio crocifisso. Per imparare ancora una volta ad amare e servire
come Lui ha amato e servito e ritrovare quella semplicità e scioltezza con cui la Chiesa degli apostoli, piccolo gruppo insignificante, ha
affrontato il colosso della cultura del proprio tempo senza complessi, affidandosi alla forza e alla gioia del Vangelo.
4. Il cammino continua
Il cammino dell'imitazione di Cristo nella Chiesa comprende tre gradi: quello del sì incondizionato alla legge di Dio e dell'attenta
osservanza di tutte le norme che regolano la vita di una Chiesa locale; quello di una libertà del cuore che cerca sinceramente, anche al di là
delle norme, la volontà di Dio per il momento presente, così come indicata dalle urgenze del tempo e dall'ispirazione dello Spirito santo;
quello infine della sequela incondizionata del Cristo povero e umiliato. Faccio liberamente riferimento, in questa triplice classificazione, a
quanto S. Ignazio di Loyola scrive nei suoi Esercizi spirituali a proposito dei "tre gradi di umiltà" (nn. 164-168), per trarne un criterio di lettura
dei testi sinodali. Si possono infatti distinguere nel libro sinodale come tre tipi di testi: le norme precise a cui obbedire, le descrizioni di
situazioni e atteggiamenti che hanno a che fare con le grandi disposizioni del cuore e della mente e infine le grandi intuizioni evangeliche di
fondo, quelle che invitano a seguire Gesù sulla via del radicalismo evangelico. La differenza tra questi tipi di testi può essere ben illuminata
dalla riflessione sui tre gradi della sequela di Gesù.
a. Il primo grado della sequela è il sì incondizionato alla legge di Dio. La nostra Chiesa in sinodo si è dichiarata disposta a obbedire a
Dio e a seguire Cristo accettando anche quelle disposizioni normative che sono una esigenza della comunione e descrivono le condizioni
concrete per partecipare alla vita della Chiesa locale e alla sua Eucaristia.
b. Il secondo grado di sequela è accettare di sciogliere il cuore per vivere l'imitazione di Gesù con una disponibilità totale alla
volontà di Dio manifestata dalle circostanze della vita, liete o tristi, e dalle ispirazioni interiori. E' una situazione di costante discernimento, di
libertà del cuore, di attenzione al presente. Un Sinodo non può evidentemente legiferare su un simile atteggiamento: esso è frutto costante
dell'ascolto della Parola e della purificazione del cuore. E' però un atteggiamento indispensabile per una Chiesa che voglia riprodurre in
qualche modo il volto del suo Signore. Perché Gesù è stato per eccellenza l'ascoltatore della Parola del Padre, il Servo obbediente, e chiama la
Chiesa intera a seguirlo così. Per questo, tante indicazioni del Sinodo vanno lette come un invito a questo secondo modo di sequela, di cui
descrivono le necessarie premesse. Nell'opuscolo che conto di scrivere più tardi a partire dal dettato del Sinodo, per offrire a tutti come una
"Regola di vita del cristiano ambrosiano", mi propongo di valorizzare, insieme con le pagine normative del Sinodo di cui ho detto sopra, anche
tutta quella manna di indicazioni che il libro sinodale offre a questo proposito.
Sono le indicazioni che ci invitano a metterci volentieri in ascolto della Parola, a celebrare fruttuosamente la liturgia, a vivere la
comunione delle menti e dei cuori, a camminare per la via dell'umiltà, intesa come verità su di sé, su Dio e sugli altri e come capacità di
accettare e tollerare nell'amore la diversità, non ritenendola minaccia ma dono.
Abbiamo bisogno tutti di riscoprire queste attitudini di fondo, e in particolare quell'umiltà, che ci fa umili ascoltatori di Dio e degli
altri, ci rende indifferenti a successo o insuccesso, ci fa reciprocamente ospitali nell'amore: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse
voi per la gloria di Dio” (Rm 15,7). Il Sinodo ci ha fatto fare esperienza di questa reciproca accoglienza nell'amore e ci ha aiutato ad accettarci
nelle nostre diversità per la gloria di Dio. Ora c'è bisogno di proseguire a tutti i livelli questa esperienza, maturando stili di vita di vera
accoglienza reciproca e di collaborazione pastorale.
In questo contesto assume grande rilievo l'indicazione, offerta in più parti del libro sinodale, delle "unità pastorali" intese non solo
come esperimento limitato a casi di necessità, ma come avvio a un nuovo stile di collaborazione pastorale sul territorio tra presbiteri,
consacrati e laici.
c. Infine il terzo grado della sequela è la decisione di seguire incondizionatamente Gesù povero e umiliato e perciò di scegliere, per
ciò che sta in noi, ciò che ci rende più simili a Cristo, gustando la gioia della persecuzione, il nascondimento e la partecipazione alle Sue
sofferenze. Si ripropone qui la grande meta della santità, che è l'assimilazione totale al Signore Gesù, allo spirito umile del Cristo evangelico.
E' chiaro che questa meta può essere solo segnalata e proposta: non è certo oggetto di norme o di regole. Queste, semmai, sono
strumento per giungere a entrare nel Cuore di Cristo. Ma proprio perché non è questione qui di norme scritte, la meta dell'unione con Gesù
crocifisso e abbandonato deve essere sempre presente davanti ai nostri occhi, come lo fu per la Chiesa degli apostoli, che si affidava alla
Parola di Dio e si lasciava plasmare da essa, fra persecuzioni e consolazioni, come umile serva dell'Altissimo.
Vorrei che leggessimo con questo spirito le pagine del libro sinodale che qui presento: qui sta il loro cuore. Qui sta quel vento che
non spegne le fiammelle di fuoco di ciascuno ma le attiva ancor più potentemente. E' il volto del Cristo umile e povero quello nel quale
ritrovare e su cui plasmare il nostro volto di Chiesa. Solo su questa via potremo anche noi cantare in verità il Magnificat, che l'umile serva
Maria, la Madre in cui quel volto santissimo si plasmò, cantò come voce della Chiesa di tutti i tempi e che ci aiuta anche oggi a cantare nella
vita con la sua intercessione materna, alla quale ci affidiamo: “Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo
spirito di Maria a esultare in Dio” (S. Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca/1, II, 26).
Il nostro libro sinodale inizia con le parole: “La Chiesa ambrosiana rende grazie a Dio che la convoca come "popolo adunato
dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Formata a immagine della Chiesa universale, in essa e con essa, crede che in Gesù morto
e risorto la sovrabbondante carità di Dio dona all'umanità vita e salvezza” (cost. 1, § 1) .
1. Ripartiamo da Dio.
Come negli Atti dunque, anche nel nostro libro sinodale ripartiamo da Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo, che conosce il
cuore di tutti e compie ancora opere meravigliose in favore dei suoi figli; ripartiamo dal Dio dei nostri padri che ha accreditato Gesù e lo ha
risuscitato dai morti; dal Dio ignoto, che ha fatto il mondo e tutto ciò che in esso si trova, e che dà a tutti la vita ed è a tutti vicino; dal Dio che
ha parlato e continua a parlare anche a noi per mezzo delle sacre Scritture, della storia quotidiana, del suo Spirito; dal Dio che dà la
conversione anche ai pagani, che non fa preferenze di persone, ma vuole che tutti, proprio tutti, uomini e donne, siano salvati e vivano felici
sempre (cf At 17,28; 1,24; 2,11; 2,22.24; 3,13; 17,23-25; 10,34-36 ecc.).
La Chiesa degli apostoli, prima di essere una Chiesa che "fa" qualcosa (predica, battezza, organizza la carità, ecc.) è una Chiesa che
loda Dio, ne riconosce il primato assoluto, sta davanti a Lui in silenziosa adorazione: "per Cristo, con Cristo, in Cristo, a Te, Dio Padre
onnipotente, nell'unità dello Spirito santo, ogni onore e gloria". Siamo grati per questo ai consacrati e alle consacrate della Diocesi (cf costt.
451-473) per il loro “richiamo profetico al primato del regno e alla dimensione escatologica della vita cristiana” (cost. 452, § 1).
Contemplando la Chiesa degli apostoli che proclama il primato di Dio in Gesù Cristo, noi ci sentiamo interrogati sulla nostra fede
cristiana. Tante pagine del libro sinodale ci serviranno per verificare la qualità e l'incisività della nostra fede. E' questo pure il tema dell'ultima
lettera pastorale dei vescovi lombardi ai loro fratelli e sorelle delle Chiese di Lombardia (8 settembre 1994). La nostra fede non è forse talora
più dubbiosa che certa? Più tradizionale che personale? Più verbale che vitale? Dal dubbio, o dal folclore, o dal nominalismo, al vuoto reale di
Dio il passo è breve.
Dobbiamo ritrovare una autentica fede nel Dio vivo e vero rivelatosi in Gesù di Nazareth crocifisso e risorto; essere certi della sua
vicinanza, della sua immanenza, pur riconoscendone la trascendente diversità da noi; dobbiamo ascoltare, ogni giorno, con attenzione e
stupore, Gesù Cristo che con il suo Vangelo ci parla di Dio Padre rendendocelo familiare. Il Padre è necessario per la vita di tutti, è presenza
significativa nel nostro disorientamento. Dobbiamo testimoniare, nel nostro modo di pregare, di celebrare, di vivere, quanto sentiamo la sua
presenza, quanto ci dia pace la certezza della sua provvidenza.
Guai a noi se privilegiamo solo il fare pratico, svuotandolo delle sue profonde motivazioni cristiane e dimenticando il "fare del
cuore"; se ci buttiamo nella missione trascurando le esigenze di una vita interiore senza la quale il cristiano resta sprovvisto di quello spirito
che deve comunicare agli altri.
La vita interiore, o vita di fede e di amore, dei singoli e delle comunità, ha le sue irrinunciabili esigenze. Negli Atti degli apostoli,
queste sono particolarmente evidenziate nei tre quadri sommari (cf At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16) che, in uno stile essenziale, descrivono la
vita della primitiva comunità cristiana e ci tramandano l'atmosfera umana e religiosa dentro la quale i primi cristiani vivevano e operavano.
I primi cristiani
a. erano perseveranti nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli che annunciavano la Parola di Dio, portavano il lieto annuncio che
Gesù è il Cristo, predicavano parole di vita. Gli apostoli ricordavano, riproponevano e testimoniavano la vita e gli insegnamenti di Gesù,
conosciuto di persona e compreso pienamente perché ricolmi dello Spirito illuminante mandato su loro dal Padre. Il nostro Sinodo descrive
simili atteggiamenti specialmente nel capitolo 1: Il ministero della Parola (cf costt. 28-49);
b. erano perseveranti nella vita comune: stavano insieme e avevano tutto in comune; le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne
facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. La vita di comunione dei primi credenti è così descritta da Luca: “La moltitudine di
coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola” (At 4,32). Vivevano in relazione e comunione profonda con Gesù e tra
di loro, coscienti di essere corpo di Cristo, famiglia di Dio, popolo di salvati dall'amore del Signore. Il loro amore per Dio e per i fratelli era il
generatore e forgiatore dei loro pensieri, sentimenti e azioni. I nostri luoghi e strumenti di comunione sono descritti dal Sinodo in particolare
nei capitoli 5 - 10 (cf costt. 132-187), mentre le diverse figure generatrici di comunione sono presentate nei capitoli 20 - 23 (cf costt. 366-520);
c. erano perseveranti nella frazione del pane e nella preghiera. Il momento più solenne delle loro riunioni era quello dell'Eucaristia,
dell'azione di grazie, della cena del Signore. Recitavano insieme le preghiere, lodavano Dio coralmente, lo invocavano con insistenza.
Nell'orazione comunitaria avevano piena consapevolezza di essere, con Cristo, alla presenza del Dio creatore, ispiratore dei profeti e dei santi,
salvatore del mondo; creavano preghiere genuine, ispirandosi alle circostanze quotidiane, e riversavano nel cuore del Signore le apprensioni,
aspirazioni e propositi del proprio. Si leggano le risonanze di questi atteggiamenti nella nostra Chiesa nei capitoli 2 e 3 del testo sinodale (cf
costt. 50-112).
“L'evangelizzazione come annuncio della "buona notizia" dell'amore del Padre che si è rivelato nella storia di Gesù, diventa così la
gioiosa missione di ogni credente e delle singole comunità” (cost. 6).
La categoria della "evangelizzazione" e della "nuova evangelizzazione" qualifica ampiamente il nostro testo sinodale: cf costt. 6-10;
28, § 5; 42, § 2; 43; 44; 150 e altre. Il documento sviluppa, con analisi dettagliate, suggerimenti articolati e indicazioni operative, i molteplici
ministeri ecclesiali al servizio della missione. Si vedano in particolare i capitoli 11 - 17 (cf costt. 188-321) e 24 - 26 (cf costt. 521-611),
dedicati rispettivamente ad alcuni ambiti e dimensioni della pastorale e all'incontro tra Chiesa, cultura e società.
Nel nostro Sinodo si è anche evidenziato a più riprese che nella società contemporanea ci sono aspetti culturali che rendono difficile
o quasi impossibile l'evangelizzazione: il venir meno del senso cristiano della vita; lo smarrimento della fede, con l'uscita dalla Chiesa di molti
e l'abbandono della pratica religiosa; un numero crescente di persone che si dichiarano atee o non cristiane; la presenza di chi sembra faccia
comodamente a meno della religione e di Gesù Cristo, avendo messo a tacere l'inquietudine religiosa stimolatrice del senso mistico
embrionalmente presente in ognuno (cf costt. 5; 28, § 5; 42, § 1; 521-527).
Leggendo gli Atti e le Lettere degli apostoli noi vediamo che simili situazioni hanno segnato la primitiva evangelizzazione: divisioni
tra cristiani, defezioni, gente che cercava l'utile proprio e che considerava stoltezza la parola della Croce; una sapienza umana che non voleva
riconoscere Dio; uomini carnali dominati da invidie e discordie, e che soffocavano la verità nell'ingiustizia e nella menzogna; uomini e donne
che avevano cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile; gente testarda e pagana nel cuore e
negli orecchi, che si opponeva alla predicazione bestemmiando, che si rifiutava di credere e che rinnegava il Santo e il Giusto resistendo allo
Spirito santo.
Come vivere allora, nelle difficoltà odierne, il mandato di evangelizzare?
La Chiesa primitiva, così come descritta dai documenti del Nuovo Testamento, è una Chiesa che evangelizza con entusiasmo ed
efficacia. Da essa dobbiamo lasciarci ispirare per mettere in pratica le indicazioni del Sinodo. Ma evangelizzare oggi è lo stesso che al tempo
degli Atti degli apostoli? Sì e no.
Sì, nel senso che identico è l'oggetto del messaggio e identici sono i bisogni del cuore umano, identica è la sorgente che è lo Spirito
santo e identici i grandi mezzi dell'annuncio e della testimonianza.
No, nel senso che molte delle condizioni esterne dell'annuncio sono mutate, e occorre tenerne conto. Per questo si parla oggi di
"nuova" evangelizzazione.
Per evitare dunque un fraintendimento dei testi sinodali mi pare opportuno richiamare qui qualche nozione essenziale sul significato
della "evangelizzazione" (cf Alzati, va' a Ninive, la grande città!, 1991, pp. 7-14).
E' infatti facile confondere nella pratica la evangelizzazione o la missione con forme varie di proselitismo o comunque di
propaganda di un'idea o di una dottrina. E' anche frequente l'errore di non tener conto delle prospettive mutate, applicando ai contesti odierni
forme di evangelizzazione non più attuali. Molti poi ritengono ancora che l'evangelizzazione e la missione riguardino anzitutto i preti e ben
poco i laici cristiani.
Chiediamoci dunque: 1. che cosa intendiamo quando diciamo che è mutato il contesto sociale e culturale rispetto ai tempi della
prima predicazione cristiana? 2. che cosa è propriamente l'evangelizzazione nel suo significato perenne? 3. quali sono i diversi livelli in cui il
Vangelo è vissuto? 4. quali i diversi ambiti di comunicazione del Vangelo?
1. Mentre da una parte le grandi esigenze del cuore umano e l'apertura illimitata dei suoi desideri caratterizzano l'uomo di oggi come
quello di sempre, dall'altra le condizioni culturali e i contesti in cui tali cose sono espresse mutano nel volgere dei secoli. Di qui noi assistiamo
nella storia a diversi modi di evangelizzazione: altro è per esempio il metodo neotestamentario, esso pure diversificato secondo, ad esempio, il
mondo ebraico e quello greco-romano; altro quello usato per la conversione dei popoli germanici e di quelli slavi; altro ancora quello che ha
caratterizzato l'evangelizzazione dell'America latina, eccetera.
L'evangelizzazione nel mondo occidentale odierno deve tener conto del fatto che da una parte è meglio riconosciuta e apprezzata la
soggettività di ogni persona, così come sono cresciuti lo spirito critico e l'abitudine al metodo scientifico; dall'altra si sono accumulati grandi
pregiudizi storici contro la Chiesa e contro la stessa fede, che sono spesso operanti almeno nell'inconscio. Da più secoli divisioni confessionali
e guerre di religione, precomprensioni di tipo filosofico e mutamenti epocali nel lavoro, nella famiglia, nella costituzione della società hanno
messo in crisi quelle forme di cristianesimo che si legavano alla società medievale. Evangelizzare oggi significa parlare in una società che si
sforza di organizzarsi pubblicamente senza far riferimento a valori confessionali ed è percorsa ovunque da fermenti di secolarizzazione.
Evangelizzare è ancora possibile in una società così? L'esperienza e la certezza di fede rispondono che evangelizzare oggi è più che
mai necessario, che mai come oggi la gente ha tanto bisogno di significati e di valori alti (cf cost. 8). Anzi il contesto odierno ci riporta in
qualche modo ad alcune sfide che dovette affrontare la primitiva comunità e ci permette quindi di comprendere meglio che cosa significa
evangelizzare. Forse per questo l'espressione "nuova evangelizzazione" ha oggi tanta fortuna. Sentiamo come per istinto soprannaturale che
evangelizzare è importante, che è la questione di sempre, che però va portata avanti tenendo conto delle mutate condizioni culturali e spirituali
del nostro tempo.
3. Quali sono i diversi livelli in cui viene vissuto il Vangelo (cf cost. 7)?
Guardando le cose dal punto di vista del soggetto che riceve l'annuncio evangelico è opportuno distinguere molteplici livelli di vita
in cui la buona notizia si incarna nella persona e nel suo vissuto individuale e sociale. Ne indichiamo alcuni.
a. Il Vangelo è vissuto anzitutto come dono "interiore" che dà gioia, riempie la vita, fa gustare una pace e una calma dello spirito che
niente può turbare. E' il dono di quella vita libera dall'angoscia di cui parla il discorso della montagna con le espressioni: “guardate gli uccelli
del cielo [...], osservate come crescono i gigli del campo [...] cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date
in aggiunta” (cf Mt 6,26-30).
b. Dall'intimo del cuore il Vangelo irradia nella totalità della propria "vita personale", come fonte di senso e di valori per tutta la vita
quotidiana. Le azioni di ogni giorno appaiono ricche di significato, i gesti del rapporto quotidiano acquistano verità e pienezza. Le pagine della
Scrittura danno luce sulle vicende della giornata, la preghiera riempie il cuore di conforto e sostiene nel cammino, i sacramenti danno il gusto
di essere in Gesù e nella Chiesa.
c. Si apre di qui lo spazio della vita di "carità" come spinta ad amare come Gesù ha amato, con particolare attenzione ai più poveri, e
lo spazio della vita della "comunità cristiana" come luogo di significati e di valori che rischiarano il cammino della vita e di gesti sacri (in
particolare i "sacramenti") che riempiono l'esistenza. Nasce la possibilità di intessere rapporti autentici, di crescere nella comunione e nella
vera amicizia. Le singole relazioni umane ne vengono illuminate fino alla costituzione di quell'alleanza in Cristo che è il sacramento del
matrimonio.
d. Gli orizzonti della "vita sociale" appaiono come orizzonti di un'azione per la giustizia e la solidarietà, di dedizione ai più poveri,
come spazio per un servizio al bene comune nella vita professionale e civile e per l'irradiazione di quei significati della vita che il Vangelo ha
insegnato a riconoscere.
e. Gli orizzonti "al di là della vita" non vengono più emarginati come fonte di paura ma si aprono a speranze che confortano nelle
prove.
Di qui appare evidente che per comunicare il Vangelo occorre che esso sia operante in noi a questi molteplici livelli, anche se sempre in stato
di acquisizione e di crescita. Non possiamo irradiare se non ciò che in qualche modo lo Spirito ha messo dentro di noi e fa crescere pur nelle
resistenze del nostro cuore.
I diversi livelli qui evocati si compenetrano e si richiamano a vicenda. Nelle diverse persone e storie individuali può essere più
evidente ora l'uno ora l'altro di essi. Il Vangelo però è forza penetrante che tende a pervadere l'intera esistenza.
4. Quali i diversi contesti o ambiti di comunicazione del Vangelo vissuto (cf cost. 8)?
Dal momento che la realtà dell'Evangelo del regno abbraccia tanti aspetti dell'esistenza umana, da qui fino al compimento eterno, ne
deriva che molti e molteplici sono i contesti o ambiti in cui tale realtà può essere comunicata. Si può partire dai più semplici e in apparenza
quasi profani per giungere fino a quelli che coinvolgono in pieno nella vita della comunità cristiana e nel servizio delle istituzioni
ecclesiastiche.
a. Un contesto o ambito che possiamo ritenere primario è quello del "senso della vita". La vita vissuta secondo il Vangelo non appare
più come assurda o dominata dal caso, ma come ricca di senso e degna di esser vissuta, anche nei suoi lati oscuri e dolorosi.
L'irradiare attorno a sé, con il proprio modo sereno e convinto di fare le cose, che la vita ha un senso, che vivere non è un'avventura
assurda e cieca, che esistono valori per cui vivere, che vale la pena essere onesti, giusti, sinceri, è un primo grande servizio di
evangelizzazione. Di esso la gente ha un bisogno enorme. Oggi il dubbio se valga o no la pena di vivere con un certo ordine o non sia piuttosto
il caso di lasciarsi vivere alla rinfusa e secondo le attrazioni del momento è molto diffuso. Questa incertezza esistenziale, questo pessimismo
sulla vita è causa di disimpegno, frustrazione, noia, ricerca continua di evasioni e di eccitazioni, al limite anche disperazione. Quanto bene può
fare oggi un cristiano laico col suo solo credere a ciò che fa, nel campo familiare e professionale! Quanto conforto nasce da questo primo
semplice modo di evangelizzare!
b. Ciò vale in maniera particolare quando il contesto è quello del dolore e della malattia. Il far intendere, con la pace del cuore e la
serenità nelle prove, che le malattie e le disgrazie non sono la cosa più brutta della vita; il far capire che non tutte le partite si chiudono in
questa vita, ma che c'è una speranza più alta, è un grande atto di evangelizzazione. Ciò non ha bisogno neppure di molte parole e argomenti: è
una persuasione che chi crede irradia col suo modo di guardare e di parlare, di affrettarsi con calma e di rispondere con pazienza, di sopportare
il male e infondere speranza nel bene. Si giunge così persino a far intravvedere non solo che la vita ha comunque un significato, ma anche uno
sbocco, che supera la stessa oscurità della morte.
c. Un altro contesto per la comunicazione del Vangelo è quello della comunione. Si tratta di far comprendere in pratica che non è
necessario guardarsi da tutti come nemici o possibili concorrenti, anzi ha senso ed è praticabile un modo di vita solidale, in cui la fiducia degli
uni negli altri costruisca comunità autentiche, e una prassi di solidarietà che porti a un interesse per ogni forma di liberazione dell'uomo.
d. Un quarto ambito è quello del superamento delle inimicizie: non solo sono possibili amicizie sincere senza sottintesi
mercantilistici, ma ci è addirittura dato di superare le situazioni di odio e di conflitto traendo bene dal male e perdono dall'odio.
Si vede di qui come questi e simili ambiti sono esprimibili in termini semplicemente umani e "laici", anche se sono resi possibili da
quella luce che in contesti più precisi diventa quella del Gesù dei vangeli e in particolare del discorso della montagna, del Cristo morto e
risorto per la nostra salvezza, della Chiesa come comunità di coloro che sono "in Cristo", dell'istituzione ecclesiastica come riferimento
normativo e sicuro per coloro che cercano Dio con tutto il cuore.
e. Un ambito molto importante per la comunicazione del Vangelo è quello che il Papa ha ricordato nella sua lettera Tertio millennio
adveniente con le parole "sconfiggere il male". “Cercando l'uomo tramite il Figlio, Dio vuole indurlo ad abbandonare le vie del male, nelle
quali tende a inoltrarsi sempre di più. "Fargli abbandonare" quelle vie vuol dire fargli capire che si trova su strade sbagliate; vuol dire
sconfiggere il male diffuso nella storia umana. Sconfiggere il male: ecco la Redenzione” (n. 7).
Gesù manda i discepoli a guarire gli infermi, a risuscitare i morti, a sanare i lebbrosi, a cacciare i demoni. Oggi v'è un enorme
bisogno di uomini e donne fortemente cristiani, dal cuore grande, capaci di impegnarsi nel risanamento del cuore umano e delle strutture
ingiuste. Gesù indica il "cuore" come causa di ogni malvagità (cf Mc 7,20-23). Lo dice con chiarezza anche Pietro al mago Simone: “Il tuo
cuore non è retto davanti a Dio” (At 8,21).
Il risanamento del cuore e il conseguente cambio delle strutture di peccato in cui si sono accumulati e come solidificati gli errori e i
peccati dell'umanità è un atto che manifesta la forza di quel Vangelo che ci insegna a rendere bene per male, a trarre il bene dal male, a vincere
il male col bene. Il nostro Sinodo ci incoraggia in questa azione rinnovatrice dei cuori e della società (cf in particolare i capitoli 24-26: costt.
521-611).
Di qui appare evidente che per “dare ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15) occorre che questa speranza davvero ci sia nel
nostro cuore, che il Vangelo ci illumini interiormente, che la visuale del regno ci sia familiare e che tutto ciò appaia nel nostro modo di parlare
e di agire, semplice e onesto, concreto e fattivo, non pettegolo né saccente, modesto e fiducioso, aperto a ogni realtà umana e rispettoso di tutti.
E' così che l'evangelizzazione supera il rischio del "proselitismo". Mentre esso è l'espressione di un gruppo chiuso che cerca semplicemente di
allargare il numero degli adepti, l'evangelizzazione è l'espansione spontanea e lieta di quel senso della vita che ci è stato dato di trovare come
dono dall'alto.
2. I ministeri.
Nei capitoli riguardanti i ministeri ecclesiali il Sinodo ci offre un contributo fondamentale al lavoro di evangelizzazione: in dense
pagine presenta i tre ministeri della Parola, della Liturgia e della Carità; ne precisa e codifica le forme, alcuni ambienti specifici, la dimensione
universale e gli strumenti operativi (capitoli 1 - 4: costt. 28-131). La descrizione delle forme, ambiti e dimensioni del ministero sottolinea di
frequente l'istanza di "nuova evangelizzazione" propria di ciascuno. Parlando delle figure della vita cristiana viene specificato il compito
missionario dei diversi soggetti (capitoli 20 - 23: costt. 366-520). Due capitoli sono dedicati ai beni economici (cap. 18: costt. 322-355) e ai
beni culturali (cap. 19: costt. 356-365) letti nel loro rapporto con una pastorale missionaria.
Questi capitoli sono un richiamo al servizio del Vangelo per tutti coloro che si dicono cristiani; un appello insistente al dovere di
lavorare, con spirito, sapienza e coraggio, per la difesa, la crescita, la diffusione della vita cristiana, fondata nella fede in Gesù Cristo e nella
carità misericordiosa di Dio per ogni singola persona; un forte richiamo alle armi di Dio, come scrive l'apostolo Paolo agli Efesini (cf Ef 6,10-
17) per resistere al male e combattere.
Il Sinodo chiede una mobilitazione generale e un maggior coordinamento di tutti i figli della Chiesa ambrosiana e delle sue
istituzioni, per riqualificare i cristiani, recuperare i dispersi, guadagnare a Cristo nuovi amici; esprime la speranza che la nostra Chiesa riattivi
il suo proverbiale dinamismo per il Signore e per il bene comune, con la certezza che uno sforzo capillare di tutti i suoi membri la potrà
ringiovanire, rinvigorire, dilatare.
Questo grande sforzo missionario deve essere generale: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici devono dare il massimo di se stessi.
Otterremo noi gli effetti sorprendenti della Chiesa degli apostoli?
Vedendo il modo di vivere e ascoltando le parole dei primi cristiani, la gente si convertiva al Signore, gruppi interi aderivano a Lui: i
pagani diventavano credenti; i giovani chiedevano di diventare discepoli del Signore; i dubbiosi si sentivano riconfermati nella fede; gli
ammalati guarivano e si rimettevano a camminare con i fratelli; lo Spirito di Cristo discendeva sulle loro assemblee; gli uditori prenotavano gli
apostoli per il sabato successivo; in molti glorificavano la Parola di Dio.
Non dobbiamo però pensare che questi fenomeni toccassero necessariamente grandi masse di uomini. Si trattava per lo più di piccoli
gruppi, di uomini e donne già ben disposti o il cui cuore veniva toccato in maniera un po' straordinaria dal Signore. Non è il successo di massa
che caratterizza i primi cristiani, ma una incisiva penetrazione nella massa.
Tutto questo sarà possibile anche a noi, se, come i primi cristiani, ci lasceremo sempre più permeare dallo Spirito di Dio e plasmare
dalla sua Parola, perché la fede non si fonda su una saggezza di uomini, ma sulla forza di Dio (cf cost. 28, § 1).
Il documento sinodale nella sua terza parte presenta le figure della vita cristiana, cioè le persone che formano la comunità ecclesiale
(capitoli 20 - 23: costt. 366-520). Anche gli Atti e le Lettere degli apostoli ci tramandano che gli aderenti alla fede in Cristo erano tra loro
diversificati dai servizi e dai carismi ricevuti dallo Spirito per il bene comune: c'erano apostoli, profeti, dottori, vescovi, evangelisti,
collaboratori, inviati, sposati, diaconi, presbiteri. Ma di tutti questi primi cristiani lo scrittore sacro mette continuamente in evidenza la loro
identità più che le differenze, le caratteristiche che li uniscono più di quelle che li diversificano: tutti sono discepoli di Gesù e suoi testimoni.
Essere discepolo di Cristo era la scelta fondamentale di ogni vero credente che si impegnava personalmente a trasformare
progressivamente la propria vita a imitazione sempre più fedele di Cristo Gesù. Il loro sguardo quindi era costantemente puntato sul volto di
Gesù, con un sentimento di ammirazione e di amicizia. E l'amicizia autentica conduce necessariamente a desiderare ciò che l'amico desidera, a
volere o a rifiutare le medesime cose.
La loro fede era la risposta quotidiana e vitale alla vocazione, vissuta dal di dentro, di imitare Cristo, le sue qualità, i suoi amori, le
sue resistenze, i suoi gesti, la sua passione, la sua intera vita. Era quindi indispensabile conoscerlo. I vangeli sono nati anche per il bisogno
religioso e vivo dei primi cristiani di sapere sempre di più sulla persona di Gesù, di conoscerne il mistero e quei particolari che meglio
potevano rivelarlo.
Per diventare discepoli bisogna vivere in intimità con il Maestro, ricevere le sue confidenze, acquistare il suo modo di pensare e di
amare, condividere le sue fatiche e gioie, vivere come lui. Attraverso Gesù si può sapere che cosa Dio esige dai sudditi del suo regno: povertà
di spirito, mansuetudine, sopportazione delle afflizioni, fame e sete di giustizia, misericordia, purezza del cuore, concordia, martirio. I primi
cristiani avevano impresso nella memoria della mente e del cuore l'insegnamento di Gesù, e lo ripetevano, lo comunicavano, lo
sperimentavano insieme.
Il vero discepolo di Gesù diventa naturalmente l'eco delle parole del suo Maestro, il ricordo dei suoi gesti, l'imitatore del suo stile, il
riflesso della sua vita: "è testimone di Cristo", con la vita più che con le parole. Il testimone cristiano è colui che vive ogni esperienza alla
maniera di Gesù; con Lui ritrovato nel Vangelo, nell'Eucaristia, nei fratelli; per Lui fa il bene alla gente che incontra; in Lui lavora, fatica,
soffre, ama e salva.
Da questo nasce nel discepolo, fedele ed entusiasta del suo Maestro, l'obbligo urgente di comunicare agli altri, con parole, a voce o
scrivendo, la propria scoperta ed esperienza, come i discepoli di Emmaus che sono ritornati a Gerusalemme di corsa a raccontare a tutti gli altri
l'incontro con Gesù risorto, come la Maddalena e le altre donne, come gli apostoli e i discepoli della prima Chiesa. Pietro è il primo testimone:
aveva ricevuto l'ordine di confermare nella fede i suoi fratelli; è testimone eminente di ciò che il Signore aveva fatto e detto; diventa regola
vivente della comunità. Tutte le Chiese apostoliche lo stimano e lo ascoltano come colui che Cristo aveva scelto per primo, ponendolo nella
comunità ecclesiale, guida, coordinatore, pastore, testimone della resurrezione. Anche Paolo, il secondo grande testimone-modello presentato
negli Atti, ricorda spesso il suo incontro con Cristo e afferma che è Apostolo del Vangelo per essere presso tutti gli uomini testimone di Gesù
Cristo crocifisso e risorto, e di tutto ciò che ha visto e udito da Lui.
Mediante la lectio divina noi entriamo in contatto con i testimoni e ne assimiliamo gli insegnamenti (cf costt. 38 - 41).
Il documento sinodale ci ricorda l'impegno della catechesi partendo dal Vangelo: ai fanciulli, ai giovani, agli adulti; per categorie,
situazioni, problemi (cf costt. 33 - 37).
Come Gesù e gli apostoli, anche noi nel predicare e catechizzare dobbiamo prima conoscere bene i problemi e i desideri che le
persone si portano dentro, e avere il coraggio di confrontarli con la Parola di vita che annunciamo. Solo attraverso un serio e serrato confronto
tra verità, mentalità, culture, problematiche, ideali, le nostre comunità aiuteranno la gente ad acquisire una fede cristiana più personale,
consapevole e convinta.
Per prevenire le delusioni e gli scoramenti è opportuno ricordare che, nonostante il nostro impegno e i nostri sforzi, non tutti i
cristiani della nostra Chiesa riusciranno ad aderire a Cristo, a essere subito e pienamente discepoli e testimoni suoi, con spirito e coerenza. Non
dimentichiamo che anche nella Chiesa primitiva ci sono stati Anania e Saffira, gli ellenisti malcontenti e Simon mago che voleva comprare i
doni divini, gli individui che tenevano discorsi perversi per trascinare i discepoli dietro a loro e i traditori del Vangelo. Questi non potranno
turbare la nostra pace interiore, distruggerci la fede, affievolire la nostra missione se avremo la certezza assoluta che Cristo è vivo con noi,
fedele a noi più di quanto noi lo siamo a Lui. E una paziente perseveranza, unita a quella di Cristo, permetterà alla Parola di dare a suo tempo
frutti.
La quarta parte del testo sinodale si occupa della Chiesa nella società e cultura contemporanea. Afferma che “la Chiesa ambrosiana...
auspica che i cristiani... operino efficacemente al costante miglioramento delle istituzioni pubbliche e della organizzazione dello Stato come
condizione di una maggiore libertà e giustizia a vantaggio di tutti i cittadini, specialmente di quelli più deboli” (cost. 550 e cf i capitoli 24-26:
costt. 521-611).
Dobbiamo quindi imitare, anche sotto questo aspetto, la Chiesa degli apostoli che non si oppose alle istituzioni ufficiali e necessarie
per l'organizzazione della società; né pretese creare strutture parallele o sostitutive, memori della testimonianza data da Cristo a Pilato: “Il mio
regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). La Chiesa apostolica appare dagli Atti determinata ad immettere nella società e nelle sue istituzioni
"lo spirito evangelico" che evidenzia e afferma una serie di valori-verità irrinunciabili come beni per tutti:
* la persona umana, primo valore della creazione e quindi degna del massimo rispetto;
* l'uguaglianza di tutte le persone e la scoperta che la condizione umana è unica e identica nonostante le differenze;
* la fratellanza, come amore per i propri simili e quindi la concordia; non rivalità e guerre;
* la solidarietà o capacità reale di compartecipazione di beni, esperienze, forze e anche di problemi, sofferenze, angosce;
* la libertà di coscienza sottomessa soltanto a Dio e alla sua volontà; per questo diventa indispensabile l'ascolto della Parola di Dio;
* la ricerca della verità come esigenza di ogni cultura che voglia essere libera dai condizionamenti ideologici e politici;
* la giustizia che riconosce a ciascuno il suo, non fa del male a nessuno e impegna a vivere onestamente operando il bene come Dio
comanda;
* la possibilità di conversione e di salvezza per tutti indistintamente;
* la pace, come condizione ideale per una convivenza costruttiva e più felice;
* una visione globale della vita, aperta quindi alla speranza di una vita eterna in Dio, alla quale si arriva attraversando il suo giudizio
finale.
Fin dai primi capitoli della storia scritta da S. Luca, si vede la Chiesa apostolica entrare nella società e nelle sue molteplici culture e
confrontarsi con esse. Si trova subito di fronte un popolo comprensivo, accogliente e persino entusiasta; ma anche un potere politico diffidente
o contrario. Il programma di quei primi cristiani però, non è di abbattere le istituzioni governative, ma di evidenziare gli errori e le ingiustizie
di coloro che gestiscono il potere, e di promuoverne la giustizia e la libertà di coscienza. Pietro e Giovanni, al primo processo, accusano i capi
di avere ucciso un innocente e affermano che i cristiani devono ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Lo stile di vita dei primi cristiani
mette in crisi una cultura dominante, provocando riforme e rinnovamento dei costumi sociali: per questo l'apostolo Giacomo viene ucciso da
Erode. A Filippi e a Efeso, Paolo con i suoi amici, accusati di gettare il disordine nella città, di essere sovversivi e antisociali, con la forza della
Parola libera le persone dallo sfruttamento, dall'alienazione e dall'idolatria che le rendeva spersonalizzate e dipendenti da idoli costruiti
dall'uomo, dalle cose quindi. Ancora Paolo, a Gerusalemme, denuncia la tortura e la corruzione dei funzionari di stato, pur riconoscendo al
potere politico la caratteristica della laicità e il ruolo di amministratore e tutore dell'ordine pubblico.
Da qui un'ulteriore riprova che la fede cristiana non propone specifici modelli politici e sociali, ma alcune modalità essenziali e uno
spirito capace di animare dall'interno la società e farla vivere. Parafrasando l'espressione della Lettera a Diogneto dei tempi apostolici, "i
cristiani anima del mondo", si può dire che "la Chiesa degli apostoli è anima della società". Chiediamoci allora: come possiamo anche noi
animare la nostra società? Quale lievito dobbiamo essere per smuoverla, fermentarla, promuoverla, renderla fragrante e più vivibile?
Prima di tutto dobbiamo convincerci che una simile operazione esclude ogni idea o progetto di dominio del mondo. Gesù l'ha
spiegato bene ai suoi discepoli: “I capi delle nazioni dominano... spadroneggiano...; ma voi non fate così. Voi siate ultimi e servi di tutti” (cf
Mt 20,25-26). Si tratta di penetrare in tutta la pasta come il lievito, e come la luce far risaltare la realtà anche nelle sue contraddizioni. Gesù ci
chiede non la prepotenza repressiva, ma una costante lievitazione sociale "mediante l'amore" che sempre rispetta la libertà dell'uomo, e
"mediante l'illuminazione" del mondo con la verità.
E' quindi la cultura della verità e dell'amore che dobbiamo ricostruire e diffondere proclamando, come Paolo ad Atene, la verità
rivelata da Cristo contro l'ignoranza e l'agnosticismo, e la gratuità di Dio e del suo amore come risposte al dubbio e all'angoscia dell'uomo
contemporaneo.
Conclusione
Carissimi, sto per versare nella Chiesa ambrosiana "il vino nuovo" pigiato dal Sinodo diocesano 47°.
E mi domando: come potranno berlo e gustarlo coloro che si sono fatti la bocca a quello vecchio e sono abituati a ripetere "il vecchio
è più buono", rifiutandosi di assaggiare il nuovo?
Mi chiedo ancora: che fine farà questo abbondante vino nuovo, prodotto dal lavoro paziente e costante degli operai sinodali insieme
a tanti collaboratori della nostra diocesi, se gli otri dentro i quali lo versano sono vecchi?
Ai farisei e agli scribi, sostenitori delle antiche tradizioni, Gesù ha detto: “Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino
nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi” (Lc 5,37-38).
Per questo, fraternamente, ripeto con insistente amorevolezza a voi e a me, l'invito che Pietro e gli apostoli rivolgevano alla gente
nella loro prima predicazione, secondo lo stile di Gesù: “Pentitevi e convertitevi... immergetevi in Cristo e riceverete il dono dello Spirito
santo” (At 2,38; 3,19).
Sarà proprio lo Spirito della Pentecoste a rinnovarci e a modellare il nostro cuore su quello generoso e umile di Gesù.
Soltanto attraverso una profonda riforma individuale, di mentalità, volontà e affettività, potrà rinnovarsi anche la Chiesa di Milano;
perché nessuna società può cambiare se i suoi membri restano sempre quelli.
Concludo questa mia lettera di prefazione in consonanza con gli apostoli della prima ora:
“Carissimi, vi assicuro, prima di tutto, che in ogni Eucaristia prego con riconoscenza e gioia per voi, a motivo della vostra sincera e
impegnata collaborazione nella diffusione del Vangelo di Dio e nella edificazione della sua Chiesa. Sono certo che Colui che ci ha chiamati a
questa grande opera a favore di ogni persona, la renderà anche feconda e rigogliosa, nonostante le difficoltà quotidiane e le condizioni storiche
nelle quali ci troviamo.
Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi in Cristo Gesù, e lo prego perché la vostra fede si arricchisca sempre più
in conoscenza di Lui, in ogni genere di discernimento dello Spirito. Lo prego perché la vostra concordia manifesti con umiltà e chiarezza
l'amore reale e fedele di Gesù Cristo per ogni persona. Affido voi e tutto il nostro cammino di attuazione del Sinodo a Maria Madre della
Chiesa, a S. Ambrogio, a S. Carlo, ai Santi della Chiesa ambrosiana che con Maria sono in sinodo permanente da molto tempo prima di noi e
per noi.
Vi esorto dunque a prendere sul serio questo documento sinodale: sarà un valido strumento per unire le nostre comunità e farci
sentire parte dell'unica Chiesa di Cristo. Studiamolo e pratichiamone le norme indicate per il bene della Chiesa, a gloria e lode di Dio, e a
salvezza dei suoi figli. E come Gesù firmavit faciem suam ed entrò nella città di Gerusalemme per donare ai suoi abitanti il Sangue e lo Spirito
che salva, così noi "determinati come Lui" a compiere la volontà del Padre, andiamo nella società contemporanea con l'amore e la forza della
Croce perché ritrovi i veri motivi del vivere insieme e la gioia di abitare nella stessa casa con un cuore e un'anima sola.
E la grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi”.
INTRODUZIONE
I: LA CHIESA AMBROSIANA
[1] I. LA CHIESA AMBROSIANA
§ 1. La Chiesa ambrosiana rende grazie a Dio che la convoca come “popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito
santo”1. Formata a immagine della Chiesa universale, in essa e con essa, crede che in Gesù morto e risorto la sovrabbondante carità di Dio
dona all'umanità vita e salvezza. Lo Spirito di Dio la costituisce Corpo di Cristo mediante la Parola e il Sacramento, la riunisce nella varietà
delle esperienze, la edifica attraverso l'opera molteplice di tutti i suoi membri, la rende “segno e strumento dell'intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere umano”2.
§ 2. La Chiesa ambrosiana ripresenta qui e ora lo stesso mistero della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica. Professa la sua fede in
comunione con la “Chiesa diffusa su tutta la terra”3, che il Vescovo di Roma presiede nella carità. Unita al suo Vescovo, condivide, con le
altre Chiese particolari, l'unico impegno di essere nel mondo testimone del Vangelo di Gesù.
§ 3. La Chiesa ambrosiana vive e spera, prega e opera per conoscere sempre più Gesù Cristo, “la potenza della sua risurrezione” (Fil
3,10). L'amore di Dio la salva e la rinnova costantemente e le infonde coraggio e speranza per continuare la missione che il Signore ha affidato
ai suoi discepoli. Con la proclamazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza della vita nella carità, essa annuncia e
comunica la vita nuova recata da Cristo risorto. Il cuore di ogni persona, ogni condizione umana, la realtà intera attingono da questa novità di
vita la pienezza di verità e grazia che tutto illumina, salva, trasfigura.
§ 4. La Chiesa ambrosiana - poiché, con quella universale, si riconosce “germe e inizio”4, in terra, del regno di Cristo - attende
vigilante “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3,13)5. Quale “universale sacramento della salvezza”6,
tiene desta nel mondo la fiducia che in Cristo Gesù nessuna persona è esclusa dalla misericordia di Dio, nessuna situazione umana è senza
speranza.
2. La memoria storica
§ 1. Il mistero di comunione vive e si manifesta nella forma concreta e visibile della comunità. Attraverso le vicende della storia e
nella vita quotidiana di uomini e donne, la potenza dello Spirito, mediante la fede, ha plasmato questa comunità cristiana che è la Chiesa
ambrosiana. E' una storia in cui, insieme con tensioni e difficoltà, appare la continuità del dono di Dio. Nel corso dei tempi, la fede schietta e
salda del popolo di Dio e la dedizione dei suoi pastori hanno illuminato la vita di questa nostra Chiesa con esempi concreti e vividi di carità
fraterna, di santità familiare e di operosità civile.
§ 2. Rileggendo il suo passato, la diocesi di Milano riscopre l'impronta lasciata dal vescovo Ambrogio, da cui prende nome.
L'impegno di santità da lui profuso, per l'annuncio del Vangelo nel contesto dei profondi rivolgimenti della sua epoca, si ripropone oggi
nell'appello per una rinnovata opera di evangelizzazione. La liturgia ambrosiana, che caratterizza la vita della nostra comunità cristiana, è
manifestazione peculiare della forma concreta secondo cui la tradizione apostolica si è radicata e, lungo i secoli, si è sviluppata nella nostra
tradizione ecclesiale.
§ 3. Vi ritrova ugualmente la ricca eredità di S. Carlo Borromeo, modello ed esempio per tutto l'episcopato nel dare attuazione fedele
ed efficace alle indicazioni del Concilio di Trento, soprattutto attraverso le visite pastorali e i sinodi, pilastri portanti della sua opera di riforma
della Chiesa. Al suo genio pastorale sono dovute istituzioni e strutture (catechetiche, devozionali, assistenziali e sociali) che hanno dato una
specifica impronta alla Chiesa ambrosiana fino ai giorni nostri.
§ 4. A questi due grandi vescovi, compatroni della nostra Chiesa, hanno fatto esplicito riferimento nella loro intensa attività pastorale
il beato card. Andrea Carlo Ferrari e il venerabile card. Alfredo Ildefonso Schuster. Essi ripresero e diedero impulso alla tradizione sinodale,
quale strumento efficace per una continua riforma della Chiesa, così da renderla capace di annunciare il Vangelo nelle diverse situazioni
storiche, soprattutto di fronte ai rapidi cambiamenti socioculturali, demografici e religiosi che hanno caratterizzato questo nostro secolo.
§ 5. La Chiesa ambrosiana ha goduto del servizio episcopale dell'arcivescovo Giovanni Battista Montini. Molto sensibile alle diverse
dimensioni del mistero di Dio, egli desiderava insieme vederne le immagini e i segni nel tempo. Perciò voleva che la Chiesa non restasse
estranea al progresso scientifico e tecnico. Progettava, nello stesso tempo, di rinnovare ciò che nelle strutture ecclesiali era ormai superato.
Scorgeva il legame profondo che, pur nella distinzione degli ambiti, intercorre fra l'esperienza cristiana di Chiesa e l'impegno per edificare una
società nuova. Con spiccata empatia ha coltivato l'incontro della Chiesa con il mondo moderno: nella luce della fede e della tradizione, ha
guidato la Chiesa a cercare Cristo nelle vie del mondo moderno e a scoprire in lui la risposta alle domande assillanti dell'umanità.
3. Dall'ultimo Sinodo
§ 1. Il tratto di cammino più recente è contrassegnato dal ministero pastorale degli arcivescovi Giovanni Colombo e Carlo Maria
Martini. La consapevolezza di trovarsi a un crocevia della storia e gli impulsi che il rinnovamento conciliare immetteva nella Chiesa hanno
confortato l'arcivescovo Giovanni Colombo a riprendere la direzione di cammino già intuita dal suo predecessore. La tradizione pastorale
milanese, allora come oggi, non poteva vivere di rendita del suo passato, ma forme nuove dovevano essere individuate e messe in opera. La
ricerca di una sintesi creativa di tradizione e innovazione costituì motivo dominante della sua azione pastorale e divenne richiamo
appassionato a vivere in pienezza l'originalità e la fecondità della fede cristiana e a coniugare insieme il "sentire con la Chiesa" e il "sentire con
la storia".
§ 2. Egli riservò cura attenta alle istituzioni ecclesiali e al loro rinnovamento, nella convinzione che poter disporre di un quadro
istituzionale coerente è passaggio obbligato per un'azione pastorale adeguata. In particolare, affidò questa sua intenzione alla celebrazione del
Sinodo diocesano 46°. Raccogliendo in sintesi le proprie indicazioni alla diocesi nel programma pastorale dedicato a La comunità cristiana,
esortò a una visione corretta della realtà della Chiesa, “comunione invisibile e trascendente che tende a diventare sempre più perfettamente
comunità visibile”7. Indicò, quindi, puntualmente i luoghi e le condizioni da praticare perché questa tensione potesse mantenersi in tutta la sua
fecondità nella vita quotidiana delle comunità.
§ 3. In consonanza con le istanze pastorali dei suoi predecessori, l'arcivescovo Carlo Maria Martini invita ora la comunità
ambrosiana a vivere in autenticità la comunione di vita con Dio e con i fratelli, a ricomporre in modo articolato e coerente la propria
testimonianza cristiana. Un'azione pastorale, pure intensa e non priva di meriti, ma in certa parte legata alla gestione delle strutture e delle
attività, è chiamata a integrarsi in una pastorale attenta alla sostanza dell'impegno missionario e di evangelizzazione. Per questo l'Arcivescovo
ha chiesto anzitutto nella prima lettera pastorale La dimensione contemplativa della vita di sapersi staccare un po' dalle urgenze e dall'affanno
del quotidiano, per ritrovare nel silenzio davanti a Dio le dimensioni profonde del vivere umano e cristiano.
§ 4. Nel suo ministero pastorale viene sottolineata l'immagine di una Chiesa pienamente sottomessa alla Parola di Dio, che mette
l'Eucaristia al centro della sua vita e contempla il suo Signore. Una Chiesa che parla più con i fatti che con le parole, che porta la parola
liberatrice e incoraggiante del Vangelo alla gente di oggi. Una Chiesa capace di scoprire i nuovi poveri e non troppo preoccupata di sbagliare
nello sforzo di aiutarli in maniera creativa. Una Chiesa che opera un paziente discernimento, valutando con oggettività e realismo il suo
rapporto con il mondo e con la società di oggi. Una Chiesa che spinge alla partecipazione attiva e alla presenza responsabile. Una Chiesa
saldamente fondata sulla tradizione e aperta allo Spirito di Dio.8
§ 5. Questo ideale di Chiesa deve continuare a essere modello e sollecitazione per tutta la comunità ambrosiana per recuperare
progettualità pastorale e imprimere nella vita delle comunità cristiane la consapevolezza e l'incisività della missione. In questa medesima
prospettiva il XX Congresso eucaristico nazionale (1983)9 è stato assunto come centro focale della sua programmazione pastorale e sono state
promosse alcune grandi convocazioni della Chiesa diocesana: Catechisti testimoni (Busto Arsizio 1984)10, Farsi prossimo (Assago 1986)11,
l'Assemblea di Sichem (1989)12. Tali convegni ecclesiali sono stati un momento forte di esperienza comunitaria e hanno rappresentato
un'occasione singolare di confronto e verifica dell'impegno di evangelizzazione della Chiesa ambrosiana.
§ 1. Questo tesoro di tradizione e di proposte è portato “in vasi di creta” (cf 2 Cor 4,7). Il cammino della Chiesa ambrosiana è
segnato anche da debolezze e difficoltà, da reticenze e incertezze. Il mistero del peccato, all'opera nella storia del mondo, si insinua anche nella
sua vita.
§ 2. Nella sua storia concreta, quotidiana, la Chiesa ambrosiana riconosce pigrizie e ritardi che offuscano la sua obbedienza alla
Parola. Le realizzazioni non sempre hanno corrisposto alle intenzioni. La preoccupazione per le strutture, di cui la Chiesa ambrosiana dispone
in misura ragguardevole, può in alcuni casi aver mortificato le vere esigenze della vita spirituale e la fedele corrispondenza allo spirito del
Vangelo. Un certo spirito efficientistico può aver mortificato l'esigenza per una cura più attenta della vita spirituale.
§ 3. Salvata per grazia, la Chiesa ambrosiana è consapevole della necessità di una continua conversione, che le chiede anche di porsi
in ascolto attento e disponibile delle sollecitazioni che le possono venire dalle diverse persone e da una corretta lettura e interpretazione delle
situazioni. Accoglie, perciò, con gratitudine le stimolazioni e i pungoli per un autentico rinnovamento, che lo Spirito non le lascia mai mancare
nella storia.
5. Il tempo presente
Il tempo che stiamo vivendo è un “tempo di crisi”, un tempo cioè in cui “la mancanza di prospettive storiche unita a una certa
abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità
dell'ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere”13. E', insieme, un tempo di grazia, donato da Dio all'uomo perché lo riconosca come il
Signore della sua vita e della sua storia. Nella complessità della storia, la luce della Pasqua aiuta a cogliere in unità le speranze terrene e quelle
invisibili e definitive, che danno sapore all'esistenza nella sua integralità.
Anche questo tempo è “tempo favorevole” per la testimonianza del Vangelo (cf 2 Cor 6,2). La speranza cristiana tiene viva
incessantemente questa convinzione sia pure fra le opacità e gli smarrimenti dell'epoca. Negli avvenimenti e nelle attese, nei progetti e nelle
preoccupazioni che popolano oggi il nostro mondo è da riconoscere il contesto in cui il Vangelo può essere annunciato come promessa di vita.
La forza del Vangelo aiuta a stare in questo nostro tempo con vigilanza. Lo Spirito non lascia privi di suggerimenti nella trama assai mossa
dell'esistenza cristiana. Il loro discernimento impegna ogni cristiano e la Chiesa nel suo insieme. L'evangelizzazione, come annuncio della
"buona notizia" dell'amore del Padre, che si è rivelato nella storia di Gesù, diventa così la gioiosa missione di ogni credente e delle singole
comunità.
§ 1. La parola del Vangelo cade come un seme nella vita quotidiana della gente, là dove le strade degli uomini si incontrano, e
germoglia nell'incontro dei credenti con ogni uomo e con ogni donna. Il confine tra fede e incredulità passa tra persona e persona, quando non
attraversa addirittura la persona stessa. Nel suo cuore si muove anche l'anelito, iscritto dallo stesso Creatore, verso valori umani grandi e
universali e verso l'origine e la fonte di questi valori, che è Cristo. In esso è custodita, per il cristiano, la ricchezza di vita del battesimo, anche
se, di frequente, come tesoro trascurato o dimenticato. Il cuore dell'uomo resta perciò il centro e il riferimento di ogni attenzione pastorale.
§ 2. L'incontro dell'uomo con Dio è avventura misteriosa. I suoi percorsi scaturiscono dalla grazia di Dio, che precede e accompagna
quella ricerca di una giustizia più grande che inquieta il cuore umano. Sono molte, dunque, le strade che si aprono nell'opera di
evangelizzazione. Di volta in volta, occorre intuire l'anelito che sale, forse ancora segretamente, dal cuore di ogni uomo e donna;
accompagnarne i passi anche incerti; venire incontro alle sue richieste, pur confuse, senza sottacere la verità cristiana; cogliere il richiamo
salutare presente nelle critiche anche esasperate; ravvivare le tracce forse sbiadite di un cristianesimo soltanto tradizionale; rafforzare i
propositi di quanti seguono il Signore con sincerità di cuore.
§ 3. Di conseguenza, l'azione pastorale modella forme e strutture in modo che nella Chiesa ogni persona possa “incontrare il Signore
in termini personali per conoscerlo e seguirlo in un cammino spirituale semplice e applicabile a tutti”14. Essa assume perciò il profilo di cura
premurosa per la formazione delle coscienze, nel cui compiuto attuarsi si realizza la vocazione battesimale, frutto del dono dello Spirito e
forma della personale partecipazione alla missione della Chiesa.
§ 4. Ancora una richiesta è avanzata dal Vangelo, quanto al suo annuncio. Fin dagli inizi della predicazione della buona notizia,
l'“evangelizzare i poveri” (Lc 4,18) interpella ogni progetto cristiano. Segno sempre drammatico della crisi della convivenza umana, il povero
porta con sé una domanda di vita che mira all'essenziale e suscita il confronto con ciò che veramente vale per l'uomo. Proprio per il suo
carattere impegnativo, e anche scomodo, lo "stare con gli ultimi" nella società, riveste valenza di verifica esigente dell'autenticità dell'opera di
evangelizzazione.
§ 1. La verità del Vangelo chiede di essere testimoniata nei luoghi in cui uomini e donne vivono, soffrono, gioiscono, muoiono. Si
tratta di promuovere piena umanità per il nascere e il morire e di operare perché essa sia restituita là dove appare incrinata o compromessa.
Occorre ricomprendere che cosa comporti l'accogliere la vita già nel suo primo inizio e che cosa richieda il prendersi cura della vita fin nel suo
ultimo consumarsi. La famiglia cela in sé tesori di umanità e di grazia che attendono di essere recuperati in modo significativo, così che sia
manifesta la sua funzione irrinunciabile per la crescita della persona e per una buona convivenza sociale. Uguale cura domandano l'educazione
di ragazzi e giovani, perché ciascuno possa maturare, in piena libertà e coscienza responsabile, la propria vocazione e l'attività lavorativa, in
cui si esprime e si consuma tanta parte della storia delle persone e del mondo.
§ 2. La testimonianza alla verità del Vangelo non può avvenire che nel contesto delle condizioni di fatto della vita: di ciò deve essere
consapevole l'opera di evangelizzazione. Quando si cerca di disegnare i contorni dell'odierna situazione sociale e culturale, ricorre solitamente
l'immagine della "complessità". In effetti, i fenomeni che caratterizzano il momento attuale non solo sono molteplici e fra loro variamente
intrecciati, ma presentano in se stessi ricchezze e rischi. Questa complessità sociale è carica di provocazioni per l'annuncio del Vangelo. La
partecipazione cordiale e aperta al comune cammino dell'umanità e la valorizzazione di quanto appare buono alla luce del Vangelo,
costituiscono un compito di sempre per l'evangelizzazione. Lo sono in modo particolare in questi tempi di trasformazioni rapide e profonde.
§ 3. Per queste strade, e per altre che lo Spirito non manca mai di far scorgere, si rianima la speranza di sanare quel “distacco”,
presente in molti, tra “la fede che professano e la loro vita quotidiana” e che “va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo”15. E',
insieme, modo nel quale può trovare realizzazione l'appello, oggi vivo nella Chiesa, per una "nuova evangelizzazione".
9. Obiettivi fondamentali
§ 1. Una precisa intenzione riassume sinteticamente la direzione che la Chiesa ambrosiana vuole imprimere al proprio cammino di
evangelizzazione: “mostrare che anche in una società tecnicizzata e urbanizzata è possibile promuovere comunità che vivano il Vangelo nella
semplicità e nella gioia”16. Questo proposito si pone in obiettiva consonanza con l'invito che il Papa ha rivolto alla Chiesa affinché “si rifaccia
il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” come condizione per “rifare il tessuto cristiano della società umana”17.
§ 2. Questo obiettivo richiede come presupposto e condizione che si debbano “formare i credenti a una fede adulta”. E' questo, come
ha ricordato il Papa ai vescovi lombardi in visita ad limina (1991), l'intento dei convegni diocesani e dei sinodi celebrati in questi anni nelle
nostre Chiese di Lombardia. Tale formazione comporta “il passaggio da una fede di consuetudine, pur apprezzabile, a una fede che sia scelta
personale, illuminata, convinta, testimoniante. E' tale fede, celebrata e partecipata nella liturgia e nella carità, che nutre e fortifica la comunità
dei discepoli del Signore e li edifica come Chiesa missionaria e profetica [...] Il cristiano adulto, che aderisce con scelta personale e convinta al
mistero di Cristo, va quindi guidato ad essere capace di offrire agli altri le ragioni della sua fede e della sua appartenenza ecclesiale e va
spronato ad inserirsi con stile cristiano nel mondo della cultura, nelle strutture pubbliche, nelle realtà sociali, e nell'impegno politico”18.
§ 1. L'opera di evangelizzazione si compie nella particolarità delle iniziative e situazioni della vita cristiana. Le prospettive enunciate
si ripropongono nelle forme che la missione della Chiesa assume di fatto nella storia. Le indicazioni di senso, di cui sono portatrici, si
riflettono nel concreto della vita cristiana. D'altra parte, i singoli ambiti dell'esperienza cristiana esprimono, sotto questo profilo specifico,
l'intenzione globale che guida il cammino dei credenti.
§ 2. La Chiesa ambrosiana è sollecitata a un duplice impegno. Da un lato, al di là della dispersione nella molteplicità delle iniziative
e delle attenzioni, occorre recuperare la visione d'insieme che permette di rendere conto della direzione intrapresa. D'altro lato, ci si deve
immergere nel vivo delle vicende e delle problematiche, perché l'evocazione dell'ideale non si areni in una ripetizione inefficace.
§ 3. In particolare, la costruzione di comunità cristiane autentiche, che nella originalità del presente lascino intravvedere la fedeltà
alle origini, chiede che sia rintracciato nel vissuto cristiano il modello di Chiesa che ne plasmi la figura: i gesti, le istituzioni, le presenze che
concorrono a costituire la comunità ecclesiale; gli atteggiamenti richiesti dall'attenzione doverosa all'esperienza religiosa dell'umanità; i
compiti che le sono dischiusi dal fatto di essere testimone della speranza cristiana entro la comunità umana.
§ 4. Entrando nel vivo delle questioni, ci si imbatte nelle forme di fatto assunte dai differenti profili della vita ecclesiale. Poiché esse
risultano concretamente dall'intreccio di fattori diversi, ne deve essere valutata la trasparenza evangelica. E' il momento della verifica, che si
avvale opportunamente dei programmi pastorali come di griglia di riferimento. Ma è insieme il momento della riformulazione degli intenti:
sono precisate le direzioni di marcia; sono introdotte le priorità da tenere presenti; si individuano i settori che ancora necessitano di una
migliore esplorazione. Di questo quadro d'assieme sono di seguito prospettati i tratti salienti.
§ 1. La fede nasce dall'ascolto aperto e cordiale della Parola ed esprime la risposta personale a essa che, impegnando la libertà a
vivere secondo Gesù Cristo, la coinvolge nell'annuncio. Il "primato della Parola", quale Parola che genera ed esige la conversione del cuore,
costituisce il nucleo portante e il paradigma di base dell'azione pastorale. Situazioni e avvenimenti sono colti nell'orizzonte della verità
dischiusa dall'ascolto. La ricerca di quella giustizia proclamata dalla Parola di Dio fa da orientamento per l'esistenza quotidiana e per la
convivenza sociale.
§ 2. Poiché la sacra Scrittura è luogo singolare e privilegiato di accostamento alla Parola, cura particolare è riconosciuta ad una sua
frequentazione ampia e sincera. Insieme, è data rilevanza all'annuncio, in tutte le sue forme: kerigmatiche, omiletiche, catechistiche, anzitutto,
e altre che la tradizione ha plasmato e alle quali si deve restituire rinnovata vitalità entro le odierne coordinate culturali. Inoltre, è mantenuta
un'apertura anche verso quelle forme che, nello Spirito, oggi possano essere creativamente costruite (cf costt. 28-49).
§ 1. Nella celebrazione liturgica la Chiesa rivive l'opera meravigliosa di salvezza operata dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello
Spirito santo. L'Eucaristia ridona nel mistero questa fonte, alla quale la Chiesa attinge nel suo pellegrinaggio. Nell'Eucaristia la vita cristiana
riscopre il fondamento della sua conformità a Gesù Cristo e della vita fraterna nella carità.
§ 2. La cura per questa qualità sacramentale della vita cristiana si esprime non solo nella celebrazione degna dell'Eucaristia e degli
altri sacramenti, ma soprattutto nella loro esatta comprensione, che va dalla celebrazione del rito, all'unione di vita con Gesù Cristo, nel senso
di aderire alla vita di Gesù Cristo come a principio reale e norma ideale della propria esistenza. Coerentemente si esprime nella valorizzazione
dei tempi della celebrazione e dei suoi linguaggi, nella riproposta della preghiera cristiana e nel corretto apprezzamento della religiosità
popolare. In particolare, la nostra Chiesa è sollecitata a rinnovare i linguaggi plasmati dalla tradizione ambrosiana e a formare costantemente i
suoi membri, affinché singoli e comunità possano comprendere e vivere il momento rituale in tutta la sua ricchezza simbolica (cf costt. 50-95).
Il mutato contesto culturale, che vede nella nostra diocesi la pratica del battesimo dei bambini sempre meno generalizzata e la
presenza di adulti non battezzati, spinge la Chiesa ambrosiana a porre come scelta prioritaria l'attenzione al tema dell'iniziazione cristiana. Si
tratta del cammino che porta a diventare cristiani attraverso diverse tappe e diversi momenti (catechetici, liturgici ed esperienziali) e che va
articolato in riferimento alle specifiche situazioni (cf costt. 96-112).
La disponibilità al servizio verso i fratelli è segno distintivo della comunità cristiana. In questa luce acquista forza e autenticità la
cura cristiana per l'uomo. Il "farsi prossimo" si esprime allora nel gesto di accoglienza cordiale e fattiva verso ogni persona nelle situazioni
concrete dell'esistenza. Esso prende avvio dalla verità del Vangelo e, mediante la testimonianza della vita, diventa conferma del messaggio
evangelico agli occhi disincantati di molti. Per questo l'urgenza della carità richiama al tempo stesso le condizioni e il frutto della vita cristiana.
Il farsi prossimo assume forme diversificate. La comunione fraterna e l'apertura solidale verso il povero sono risposta alla carità di Dio, che
tutto ci ha donato nel suo Figlio, e sono esse stesse realtà evangelizzanti (cf costt. 113-131).
§ 1. La comunità cristiana si rende attenta ad alcuni momenti della vita di ogni persona e ad alcune circostanze e situazioni
dell'esistenza, che meritano una cura pastorale specifica. In tal modo, essa vive i ministeri fondamentali che la contraddistinguono ed esprime
un volto di Chiesa che continuamente si lascia plasmare dalla fedeltà al suo Signore.
§ 2. La capacità di farsi incontro ai ragazzi e ai giovani nella loro situazione e di promuovere l'incontro personale di ciascuno con il
Vangelo è qualificante per la comunità cristiana. Di questo compito educativo e delle modalità della sua concreta attuazione la Chiesa
ambrosiana intende di nuovo prendersi carico, in continuità con la propria tradizione (cf costt. 188-241).
§ 3. Le mutate condizioni demografiche e sociali, con una più larga presenza di anziani nelle nostre comunità, richiedono alla stessa
Chiesa ambrosiana di riprendere e rinnovare le sue attenzioni verso questi fratelli più anziani, sostenendoli nella loro situazione e favorendo
l'espressione e il riconoscimento del "carisma della longevità" (cf costt. 242-246).
§ 4. L'attenzione all'uomo che soffre, comporta l'impegno di ogni comunità parrocchiale a favore dei malati, ma anche l'esigenza che
l'intera comunità diocesana confermi e rinnovi specifiche strutture pastorali di presenza nel mondo della sanità (cf costt. 247-259).
§ 5. I grandi flussi migratori, che interessano anche la nostra regione, richiedono una particolare attenzione perché, mediante
un'adeguata pastorale degli esteri, si sappia rispondere alle provocazioni che da questo nuovo fenomeno derivano ai singoli e alle comunità.
Ciò comporta non solo accoglienza, ma anche integrazione e dialogo, in vista di una società interetnica, interculturale e interreligiosa (cf costt.
260-270).
§ 6. Il tempo libero, il turismo e lo sport, come occasioni per l'espressione e la socializzazione di ogni persona, in particolare dei
giovani, costituiscono un ambito in cui la Chiesa ambrosiana si sente sollecitata ad intervenire con una specifica e rinnovata attenzione
pastorale (cf costt. 271-276).
§ 1. Il ministero del vescovo rende presente e realizza il vincolo della comunione ecclesiale. Attorno al suo servizio di presidenza e
di discernimento autorevole cresce e si articola la partecipazione nella Chiesa. Ciascun battezzato agisce nella Chiesa in comunione con tutti
gli altri e la comunità cristiana, nel suo insieme, si consolida per l'apporto responsabile di ogni suo membro.
§ 2. Entro questo orizzonte, la figura del fedele laico esprime la tensione alla santità nelle situazioni ordinarie della vita.
L'apprezzamento della varietà dei doni e delle vocazioni, la specifica responsabilità del laico per la missione della Chiesa nella realtà umana, la
creazione di condizioni opportune per la formazione della coscienza cristiana, la presenza di aggregazioni ecclesiali, costituiscono altrettanti
poli di riferimento per meglio coglierne il profilo (cf costt. 366-395).
§ 3. La famiglia è soggetto vivo, con una specifica missione nella Chiesa. Le attenzioni richieste nel tempo del suo costituirsi e la
valorizzazione delle responsabilità tipicamente familiari, rappresentano gli assi portanti di una pastorale familiare in grado di presentare la
vocazione alla famiglia come forma dell'esistenza cristiana (cf costt. 396-450).
§ 4. La testimonianza vissuta delle vocazioni di speciale consacrazione è attuazione esemplare del radicalismo evangelico, dono che
la nostra Chiesa riconosce e accoglie con gioia e gratitudine dallo Spirito di Dio (cf costt. 451-473).
§ 5. In virtù dell'ordine sacro, il collegio dei presbiteri e i diaconi sono collaboratori preminenti e necessari del ministero del
vescovo. Del presbitero sono precisate le differenti configurazioni istituzionali e la figura spirituale e sono prospettate le modalità di esercizio
del ministero. Attenzione specifica è riservata alla sua formazione, sia durante il ministero, sia, in particolare, durante il tempo della
preparazione nel seminario diocesano. Quanto al diaconato, il riconoscimento del carattere ancora soltanto iniziale della sua presenza nella
Chiesa ambrosiana impegna a una cura particolare per questa figura ministeriale (cf costt. 474-520).
La Chiesa ambrosiana vive con la Chiesa universale la corresponsabilità per l'evangelizzazione dei popoli. Questa condivisione si
attua nella cooperazione con le Chiese sparse nel mondo, specialmente con quelle che si trovano in aree geografiche non ancora raggiunte da
una adeguata opera di evangelizzazione, e nella cura per la crescita della sensibilità missionaria ad gentes nelle singole comunità cristiane (cf
costt. 277-294).
Partecipe della medesima cura per il Vangelo e la sua giustizia, la Chiesa ambrosiana condivide il proprio servizio al Signore e ai
fratelli con quelle Chiese e comunità cristiane con cui ha in comune l'unico Signore, l'identico Vangelo, lo stesso battesimo. Per questo è
consapevole della propria chiamata ad aprirsi, nella speranza, al cammino ecumenico, consolidando e promuovendo momenti di autentica
fraternità con le Chiese e comunità cristiane (cf costt. 295-321).
La Chiesa ambrosiana rinnova la memoria del profondo legame spirituale dei cristiani con “la stirpe di Abramo”19. L'autocoscienza
cristiana e, dunque, lo stesso cammino ecumenico presuppongono la radice ebraica (cf Rm 11,16-18). La Chiesa, infatti, in virtù delle sue
origini, ha un rapporto intrinseco, permanente e peculiare con il popolo ebraico. Vanno quindi promossi la conoscenza della sua tradizione e i
rapporti di amicizia e di fraterna cooperazione con le comunità ebraiche presenti sul territorio (cf costt. 295-321).
La crescita dei flussi migratori ha di recente intensificato il contatto con persone di altre tradizioni religiose. Ciò che in antecedenza,
nella vita della diocesi, era sporadico e occasionale, ora entra sempre più nei rapporti quotidiani. La comunità cristiana avverte l'esigenza di
comprendere in profondità che cosa comporta la responsabilità per l'annuncio del Vangelo in questo contesto di cambiamento. La conforta, in
questo suo impegno, la persuasione che scaturisce dalla fede e che invita ad accogliere come riflesso di “quella Verità che illumina tutti gli
uomini”20 quanto di bene si trova seminato nel cuore di ogni persona e nelle diverse tradizioni religiose (cf costt. 295-321).
La Chiesa, pienamente inserita nella storia e nelle vicende del mondo è chiamata a riflettere sull'odierno contesto socioculturale, per
discernere il modo e i luoghi più opportuni della sua presenza nel mondo della cultura, dell'economia e del lavoro, della politica e in ordine ad
alcuni problemi oggi particolarmente sentiti, quali l'amministrazione della giustizia, la pace e i diritti degli uomini, l'ecologia (cf costt. 521-
564).
§ 1. L'interpretazione dei fatti e la promozione di un consenso sui valori plasmano la vita delle persone, suscitando convergenze e
insinuando divaricazioni. L'elaborazione di un insieme coerente di significati è opera di una sapienza che è dono di Dio. Vi concorre però, in
larga parte, anche l'intelligenza critica a proposito delle “diverse condizioni comuni di vita e le diverse maniere di organizzare i beni della
vita”21. Il confronto esplicito e articolato con le questioni che interessano da vicino la vita del mondo e degli uomini, attiva un esercizio della
ragione, che forma la persona e la dispone a prendere posizione rispetto al proprio mondo.
§ 2. La Chiesa ambrosiana intende raccogliere la sollecitazione per una puntuale attenzione allo scambio culturale in atto nella
società. Lo chiede la sua missione, che è quella di testimoniare le ragioni della speranza cristiana (cf costt. 521-564).
§ 1. I legami che si intrecciano fra le persone, gli atteggiamenti condivisi di fronte agli avvenimenti umani, le forme civili nelle quali
si articola la vita nella società, gli apprezzamenti formulati a proposito di ciò che è giusto e buono, le modalità secondo cui si organizza la
convivenza umana e si sviluppa l'attività economica, i modi di vivere e di esprimersi della gente, coinvolgono direttamente la comunità
ecclesiale e la sollecitano a testimoniare i valori che il Signore le ha affidato. Le trasformazioni attuali della vita sociale provocano la Chiesa
ambrosiana a un ascolto cordiale e a un saggio discernimento delle aspirazioni profonde delle persone, per rintracciare percorsi praticabili di
vita riconciliata e autenticamente umana.
§ 2. La impegnano, in particolare, le forme civili in cui si articola la vita sociale. L'intuizione e la ricerca di rapporti significativi di
prossimità, proprio nell'intreccio dei rapporti di comunicazione e di scambio che si producono sul fondamento delle istituzioni civili, guidano
la comunità cristiana nel dare forma alla propria presenza nella vita sociale, testimoniando con le parole e con le opere la validità della dottrina
sociale della Chiesa (cf costt. 521-564).
La rilevanza educativa dell'istituzione scolastica interpella la Chiesa e chiede un impegno di servizio e di testimonianza della Chiesa
stessa nell'ambito della scuola. Di questa preoccupazione educativa sono sottolineati gli ambiti istituzionali rilevanti e i dinamismi
fondamentali (cf costt. 565-593).
Le attenzioni richieste dai processi comunicativi non possono rimanere estranee al compito evangelizzatore della Chiesa. La Chiesa
ambrosiana si interroga sulle proprie capacità a stare nel campo della comunicazione pubblica e sulle provocazioni salutari che questo mondo
rivolge alle forme concrete del suo ministero di annuncio (cf costt. 594-611).
§ 1. Nel suo cammino la Chiesa vive della promessa di Dio in Gesù Cristo, che ha il suo sigillo nel dono dello Spirito santo. Lungo
le strade della storia lo Spirito non manca di suggerire ciò che è secondo la volontà del Signore.
§ 2. Con questa speranza, il Sinodo indica le scelte e i percorsi che oggi appaiono più rilevanti e significativi. Convinta della distanza
che talora può continuare a esistere tra i desideri espressi e le mete individuate lungo tutto il cammino sinodale, da un lato, e le mediazioni e
gli strumenti pastorali che sono venuti delineandosi, dall'altro, la Chiesa ambrosiana riconosce che le presenti indicazioni sinodali sono
suscettibili e forse anche bisognose di ulteriori precisazioni e miglioramenti. E tuttavia sa che esse non sono da disattendere, ma da accogliere
con sincera e cordiale disponibilità, affinché la meta della fedeltà al Signore e al suo Vangelo si possa meglio realizzare nella storia. Di
conseguenza, propone con autorevolezza, alle singole comunità e ai fedeli tutti, i contenuti qui espressi. A loro il compito di riprenderli e
riproporli con fedeltà e creatività nella propria esperienza quotidiana, perché la parola del Vangelo giunga al cuore di ogni uomo e di ogni
donna come annuncio di vita, di salvezza e di libertà.
§ 3. La Chiesa ambrosiana continua così il proprio cammino, seguendo il suo Signore, che con decisione si dirige verso
Gerusalemme, incontro al compimento della volontà del Padre (cf Lc 9,51). La conforta l'esempio della comunità apostolica che, accogliendo
con cuore orante il dono dello Spirito, trova la forza di fare memoria del suo Signore, vivere l'unità nella carità, valorizzando la pluralità dei
carismi, testimoniare il Risorto fino agli estremi confini della terra. La sostiene la fraterna comunione con tutte le Chiese, anzitutto con la
Chiesa di Roma, cui presiede il Sommo Pontefice, garante della verità e dell'unità. Le infonde fiducia la confidenza in Maria, modello
altissimo di fede, che “nella sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli e
affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata”22.
1 Lumen gentium, n. 4.
2 Lumen gentium, n. 1.
3 Messale ambrosiano, Preghiera eucaristica II.
4 Lumen gentium, n. 5.
5 Cf Lumen gentium, n. 48.
6 Lumen gentium, n. 48.
7 G. Colombo, La comunità cristiana, parte I, § I.
8 Cf C. M. Martini, Così vedo la Chiesa di domani.
9 Cf Vicariato per il 20° Congresso Eucaristico Nazionale, Atti del 20° Congresso Eucaristico Nazionale.
10 Cf Atti del IV Convegno Catechistico diocesano.
11 Cf Atti del Convegno diocesano “Farsi prossimo”.
12 Cf Sichem 88-89. Andate anche voi nella mia vigna. Passi di un cammino missionario.
13 C. M. Martini, Sto alla porta, n. 2.
14 C. M. Martini, Alzati, va' a Ninive, la grande città!, p. 17.
15 Gaudium et spes, n. 43.
16 C. M. Martini, Il vento e il fuoco della Pentecoste, n. 2.
17 Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n. 34.
18 Giovanni Paolo II, Formati a una fede adulta, nn. 5-6.
19 Nostra aetate, n. 4.
20 Nostra aetate, n. 2.
21 Gaudium et spes, n. 53.
22 Lumen gentium, n. 62.
INTRODUZIONE
§ 1. L'ascolto della Parola di Dio e la volontà di obbedire ai suoi precetti, seguendo Gesù Cristo suo Signore, la Parola fatta carne,
sostengono tutta la riflessione che la Chiesa ambrosiana si propone di continuare per il rinnovamento del suo ministero pastorale. Lo stesso
ascolto e la stessa obbedienza suggeriscono gli orientamenti e le norme riguardanti il ministero della Parola, che è primario nel ministero della
Chiesa.
Questo ministero trova infatti il suo fondamento nell'evento della Rivelazione di Dio, espressa nella sacra Scrittura e nella sacra
Tradizione, tra loro strettamente congiunte e comunicanti, affidata alla Chiesa e fedelmente interpretata dal suo magistero (1).
§ 2. Alla Parola di Dio “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio”, che “scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”
(Eb 4,12), la Chiesa continuamente si volge. Questo accade nella celebrazione dell'Eucaristia, attraverso il rinnovato ascolto della Parola del
suo Signore, dei profeti, degli apostoli e della stessa predicazione dei suoi ministri. Avviene pure attraverso le molteplici forme dell'ascolto,
assiduo e obbediente, dei suoi singoli membri. Il ministero della catechesi, come pure le altre modalità con le quali la Chiesa promuove
l'accostamento personale della Parola da parte dei fedeli, mirano a rendere possibile e fruttuoso tale ascolto.
§ 3. Istruita dall'ascolto, la Chiesa intraprende la sua missione fondamentale di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini: “Andate
dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto
ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20).
§ 4. L'annuncio del Vangelo costituisce la prospettiva suprema e unificante di tutta la vita della Chiesa. L'evangelizzazione infatti si
realizza non solo attraverso la parola dei suoi ministri che annunciano e insegnano, e neppure solo attraverso la parola di tutti i suoi membri,
ma ancor più attraverso la testimonianza concreta, da parte dei singoli e delle comunità, di una vita che fruttifichi nella carità.
§ 5. Occorre tuttavia riconoscere che vi sono, nel nostro tempo e nel nostro contesto culturale europeo, ragioni storiche precise che, a
nuovo titolo, rendono particolarmente urgente una "nuova evangelizzazione":
a) esiste in primo luogo un diffuso "paganesimo di ritorno": molti battezzati si tengono lontani dalla pratica dell'Eucaristia o degli
altri sacramenti, o da ogni altra forma di partecipazione alla vita della Chiesa stessa; sembra che per essi sia andata perduta l'evidenza del
Vangelo per cui è necessario un rinnovato annuncio della buona novella;
b) distante dall'ottica della fede cristiana appare, inoltre, per molti aspetti, il contesto culturale in cui vivono gli stessi cristiani
praticanti; tale contesto minaccia di plasmare in forme subdole la loro coscienza, i modi di vedere e sentire, di apprezzare e agire;
proporzionalmente più arduo diventa, quindi, per essi il discernimento di ciò che è conforme al Vangelo; in tal senso, si rende necessaria quasi
una nuova evangelizzazione della cultura stessa;
c) un annuncio cristiano si rende poi necessario per coloro che non sono battezzati, siano essi italiani o stranieri, residenti nel
territorio della nostra diocesi. Tra questi, alcuni appartengono ad altre religioni, altri vivono forme di sincretismo, di indifferentismo religioso
o di esplicito ateismo.
§ 6. Per tutte queste ragioni è necessario che la Chiesa di Milano verifichi con rinnovata attenzione, le forme della predicazione,
quelle della catechesi, tutte le altre forme del ministero mediante le quali è incoraggiato e istruito l'accostamento personale della Parola; come
pure le forme, molteplici e difficili da ridurre a precisi modelli di ministero, nelle quali è proposto l'annuncio del Vangelo a tutti.
Momento privilegiato dell'accostamento della comunità cristiana e del singolo cristiano alla Parola di Dio è la liturgia, nella quale si
realizza uno stretto rapporto tra Parola e Sacramento, tra l'ascolto e la confessione della fede. La liturgia, con particolare riferimento
all'itinerario dell'anno liturgico (2), è la prima scuola della Parola e quindi momento assolutamente fondamentale dell'edificazione nella vita di
fede.
§ 1. In ogni celebrazione liturgica, e in particolare in quella eucaristica, nella proclamazione della sacra Scrittura è lo stesso Signore
Gesù che parla alla comunità riunita. Pertanto, la proclamazione e l'ascolto sono parti fondamentali dell'azione liturgica e come tali vanno
particolarmente curate.
§ 2. La proclamazione delle letture e dei salmi non va mai improvvisata, ma affidata di norma a fedeli che scelgano di svolgere con
continuità e adeguata preparazione il ministero di lettore (cf cost. 54). Anche la ricerca delle migliori soluzioni tecniche, che permettano una
proclamazione chiara e comprensibile nella celebrazione liturgica, sta a dimostrare attenzione e rispetto per la Parola e per la comunità dei
fedeli che ne è destinataria. Le singole letture possono essere introdotte da una breve didascalia della voce guida.
Nelle celebrazioni eucaristiche dei giorni feriali si veda l'opportunità di offrire almeno brevi indicazioni sulle letture, in particolare
quando il lezionario propone l'inizio di un nuovo libro biblico.
§ 3. L'ascolto esige raccoglimento e attenzione. Vanno valorizzati i momenti di silenzio già previsti dalle disposizioni liturgiche.
Sono da incoraggiare tutte quelle forme che rendono possibile ai fedeli la preparazione all'ascolto della Parola proclamata nella liturgia e una
sua ripresa nella preghiera personale, familiare o comunitaria e nella lectio divina. Ai competenti uffici di curia è affidato il compito di studiare
e valorizzare la preparazione di apposite schede che possano servire a sostegno dell'ascolto durante la celebrazione (con attenzione anche ai
non udenti) e per la preghiera personale durante la settimana.
31. L'omelia
§ 1. L'omelia ha un rilievo decisivo in ordine alla fruttuosa celebrazione della Parola nella liturgia. Essa mira a rendere prossima alla
coscienza dei fedeli la Parola proclamata e aiuta a entrare nella celebrazione del mistero. Con il contributo dell'omelia i membri dell'assemblea
potranno effettivamente accogliere la Parola con rinnovato atto di fede e trovare nella partecipazione consapevole al mistero celebrato un
incoraggiante invito alla testimonianza quotidiana. Si curi perciò che l'omelia sia fedele alla Parola proclamata e insieme attenta alla concreta
assemblea presente, alle sue domande esistenziali e alle problematiche socioculturali che si presentano di volta in volta.
§ 2. All'omelia occorre, dunque, che sacerdoti e diaconi accordino una cura sempre maggiore; la preparino con grande attenzione,
nella preghiera, nello studio dei testi sacri, nella riflessione sul vissuto dei destinatari. A tale riguardo è raccomandata la preparazione della
liturgia della domenica mediante momenti di dialogo che coinvolgano anche gli altri fedeli, specie quelli che sono, a vario titolo, partecipi del
ministero pastorale.
§ 3. L'omelia sia tenuta anche durante la celebrazione dei sacramenti e, se opportuno, nelle altre celebrazioni liturgiche. Essa sia
particolarmente curata specialmente quando sono presenti persone meno assidue alla pratica religiosa come, ad esempio, nei matrimoni e nei
funerali.
§ 1. Si promuovano, specialmente nei tempi forti di avvento, quaresima e pasqua, celebrazioni della Parola di Dio e, quando fosse
opportuno, anche in sostituzione di qualche celebrazione eucaristica feriale. Tali celebrazioni, soprattutto se di carattere penitenziale (cf cost.
71, § 3), appaiono particolarmente adatte nei venerdì di quaresima.
§ 2. Celebrazioni della Parola siano inserite anche lungo gli itinerari catechistici, gli itinerari catecumenali e in altri percorsi di
evangelizzazione.
§ 3. Nella consapevolezza che la Parola di Dio è dono offerto a tutte le Chiese, si valorizzi l'opportunità di celebrazioni ecumeniche
della Parola stessa, secondo le modalità stabilite (3).
II. LA CATECHESI
§ 1. La catechesi è il ministero più specificamente ordinato a promuovere una consapevolezza personale approfondita della verità
della fede, particolarmente urgente nell'odierno contesto culturale. Essa infatti è un'educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli
adulti, che comprende in modo speciale un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di
iniziarli alla pienezza della vita cristiana. L'importanza della catechesi è tale per cui essa deve raggiungere anche coloro che sono in particolari
condizioni di disagio fisico, psichico e sociale (4).
§ 2. Fonte originaria di ogni forma di catechesi è la Parola di Dio, custodita nella sacra Scrittura, proclamata nella liturgia,
interpretata dalla tradizione della Chiesa (5). Pertanto, la catechesi abbia come costante riferimento i testi della sacra Scrittura, anche facendoli
oggetto di specifico approfondimento, e preveda un insegnamento organico e sistematico della dottrina cristiana e l'assidua riflessione
sull'esperienza umana nell'ottica della fede.
§ 3. La catechesi accordi la debita attenzione alla tradizione della Chiesa e alle sue varie voci: quelle dei padri, delle liturgie, dei
santi, dei teologi, dei singoli credenti; ogni volta che l'argomento lo raccomanda, tenga presente anche la tradizione delle altre Chiese cristiane
(cf costt. 295-321).
§ 4. La catechesi presti la doverosa considerazione al magistero vivo della Chiesa cattolica e alle sue direttive, specialmente per ciò
che riguarda i complessi temi della morale, anche in campo economico-sociale. Il magistero, infatti, è interprete autorevole di tutte le
espressioni della Parola di Dio (6).
Un ambito rilevante per la catechesi è quello dell'iniziazione cristiana, in particolare dei bambini e dei fanciulli. Come per loro,
anche per gli adulti, il cammino dell'iniziazione cristiana comprende il momento dell'annuncio della Parola, in particolare sotto la forma della
catechesi, quello liturgico e quello dell'esercizio della vita cristiana nella comunità. Considerando tutto ciò, la trattazione anche dell'aspetto
catechetico è svolta nell'apposito capitolo dedicato a: Parola e liturgia nella iniziazione cristiana (costt. 96-112).
36. I catechisti
§ 1. La sapienza della fede, fondamento del ministero della catechesi, è custodita da tutta la comunità cristiana e, in essa, da ogni
fedele secondo il dono che lo Spirito gli ha dato per l'edificazione della comunità (cf 1 Cor 14,12). Infatti “la sollecitudine della catechesi,
sotto la guida della legittima autorità ecclesiastica, riguarda tutti i membri della Chiesa, ciascuno per la sua parte” (can. 774, § 1). Soltanto
alcuni però sono deputati ad esercitare tale ministero: sono la catechista e il catechista, figure che assumono rilievo sempre maggiore nelle
nostre comunità.
§ 2. La chiamata al ministero di catechista suppone alcune condizioni obiettive. Ai catechisti sono richiesti: coerente testimonianza
di vita cristiana, sufficiente maturità umana e cristiana, spiccato senso ecclesiale ed ecumenico, viva tensione missionaria, adeguata
conoscenza della Scrittura e della dottrina cristiana. Dovranno essere animati da un autentico spirito di educatori, possedere adeguate abilità
pedagogiche e didattiche ed essere capaci di ascolto e di lavoro in comune.
§ 3. Ogni comunità sia dotata di un numero sufficiente di catechisti preparati. I pastori - che hanno il dovere proprio e grave di curare
la catechesi del popolo cristiano(9) - propongano ai fedeli questo ministero e curino la loro formazione anche inviandoli alle scuole per
operatori pastorali. Nella scelta di tali persone si valorizzino in modo particolare quanti si fossero preparati nelle facoltà teologiche, negli
istituti superiori di scienze religiose o in altri istituti similari.
§ 4. La diocesi curi la formazione dei catechisti soprattutto mediante gli appositi corsi nell'ambito delle scuole per operatori pastorali
e le varie iniziative promosse dall'Ufficio catechistico diocesano. Un'attenzione specifica sia rivolta alla preparazione di catechisti per persone
in situazioni particolari (come: handicappati, malati, carcerati). Le linee fondamentali per tale formazione sono proposte dalla Conferenza
episcopale italiana nel documento-base per la catechesi e nelle indicazioni per la formazione dei catechisti(10).
§ 5. A livello decanale si esamini l'opportunità di avere alcuni fedeli adeguatamente formati come responsabili della catechesi.
Queste persone potranno offrire un servizio di consulenza e sostegno nei confronti delle parrocchie.
§ 1. Referenti autorevoli per tutta l'attività di catechesi della Chiesa ambrosiana sono i documenti del magistero sulla catechesi e il
Catechismo della Chiesa cattolica.
§ 2. La Chiesa di Milano accoglie come progetto sintetico del proprio ministero catechistico il Catechismo per la vita cristiana della
Conferenza episcopale italiana, comprensivo del programma generale Il rinnovamento della catechesi; le parrocchie, quindi, per la loro azione
catechistica, adottino i singoli testi redatti dalla Conferenza episcopale italiana per le diverse età.
§ 1. Le Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento consegnate alla Chiesa, già mediante la loro proclamazione nella liturgia e
come sorgente essenziale della predicazione e della catechesi, costituiscono il nutrimento ordinario della vita di fede del singolo cristiano: la
fede, infatti, nasce in ogni persona dall'ascolto della Parola di Dio nella Chiesa. Nel medesimo tempo, le stesse Scritture devono diventare
effettivamente questo alimento, attraverso l'accostamento personale a esse da parte di ciascuno.
§ 2. Già oggi e ancor più negli anni futuri, specifico obiettivo e meta qualificante del ministero pastorale della Chiesa ambrosiana è
l'aiutare ogni fedele a nutrirsi personalmente di questo sostanziale e quotidiano pane della Parola di Dio nella preghiera, nella meditazione
assidua e nella conoscenza più profonda della sacra Scrittura.
§ 3. Affinché tale accostamento personale si possa effettivamente realizzare, i fedeli si abituino, anche individualmente, a pregare
con la sacra Scrittura, consapevoli che, leggendo la Bibbia, il Signore parla con ciascuno personalmente.
39. L'esercizio della lectio divina
§ 1. Perché le Scritture possano diventare alimento ordinario della vita del cristiano, occorre che egli ne pratichi la lettura in
atteggiamento di ascolto, di meditazione e di preghiera. A tale obiettivo mira l'antico esercizio monastico della lectio divina, recentemente
riproposto dalla Chiesa(11) e raccomandato in particolare dall'Arcivescovo. All'origine della stessa pratica moderna della "meditazione", detta
anche "orazione mentale", più nota alla tradizione pastorale recente, sta quella meditatio che era uno dei momenti dell'antica pratica della
lectio; le forme moderne della meditazione si sono per altro spesso allontanate dal preciso riferimento alla pagina della Scrittura, che oggi
occorre ricuperare.
§ 2. La Chiesa ambrosiana intende promuovere presso tutti i fedeli la pratica della lectio. Attraverso la lettura del testo sacro, il cuore
si apre alla contemplazione dell'agire di Dio, e quindi alla conversione dei pensieri e della vita, accompagnata dall'invocazione del suo perdono
e della sua grazia. In tal modo il credente torna alla scuola del Signore e si fa suo discepolo. Guidato e sostenuto dallo Spirito, questo ascolto
della Parola è strettamente collegato alla celebrazione liturgica. Soprattutto nell'Eucaristia il Signore ci apre l'intelligenza delle Scritture, dei
suoi gesti e delle sue parole, della sua stessa persona alla quale tutte le Scritture si riferiscono (cf Lc 24,27). Ci apre quindi ad una nuova
interpretazione della nostra stessa vita.
§ 3. I monasteri, secondo l'antica tradizione, con l'ospitalità offerta a chi cerca l'incontro con il Signore nel silenzio e nella preghiera,
siano tra i luoghi privilegiati per l'apprendimento e la sperimentazione della lectio divina.
La "scuola della Parola" persegue l'obiettivo di proporre un'iniziazione alla lectio divina. Secondo l'opportunità e la maggiore
efficacia, essa sia realizzata a vari livelli: parrocchiale, decanale, interdecanale. Rivolta finora prevalentemente ai giovani, sia estesa con
modalità appropriate agli adolescenti e agli adulti.
§ 1. Oltre alle scuole della Parola, promosse prevalentemente a livello decanale, le parrocchie e le altre comunità cristiane diano
ulteriore sviluppo alla conoscenza della Bibbia. Si presti attenzione agli aspetti dottrinali e spirituali oltre a quelli storici e letterari.
Diversificate siano le modalità di introduzione nella conoscenza della Bibbia: da quelle accessibili alle persone di ogni cultura a quelle
riservate a chi desidera un approfondimento specialistico.
§ 2. I diversi "gruppi di ascolto" della Parola di Dio si qualificano per la pratica comunitaria della lectio divina condotta in modo
stabile e sistematico. Essi siano promossi in ogni parrocchia, così da incrementare la capacità personale di ascolto della Parola di Dio, anche
attraverso il dialogo fraterno.
§ 3. Anche i "gruppi di revisione di vita", con il loro specifico metodo del "vedere-giudicare-agire", costituiscono una valida
occasione di confronto con la sacra Scrittura.
§ 4. I "corsi biblici" e i "gruppi biblici" hanno la finalità di fornire gli strumenti per una più approfondita conoscenza della sacra
Scrittura. Ne sia promossa l'istituzione in varie zone della diocesi.
§ 5. Il decanato, di concerto con le parrocchie, all'inizio dell'anno pastorale, curi il coordinamento delle diverse iniziative, perché
siano distribuite equamente sul suo territorio.
§ 6. In ogni casa cristiana ci sia almeno un testo della sacra Scrittura e i suoi componenti si abituino ad usarla per lo studio, la
preghiera e la meditazione personale e familiare. Le comunità cristiane e i presbiteri ne facciano dono alle famiglie in particolari circostanze,
per esempio agli sposi in occasione del matrimonio o ai genitori in occasione dei sacramenti per i loro figli.
§ 7. Gli insegnanti cristiani si preoccupino che la Bibbia sia presente nelle biblioteche scolastiche, almeno in quella centrale. In
coerenza con i programmi per l'insegnamento della religione cattolica, gli insegnanti di religione favoriscano la conoscenza della Bibbia da
parte dei loro alunni.
§ 1. In un contesto secolarizzato come quello attuale, anche molti battezzati hanno smarrito il senso cristiano della vita, vivono la
fede come esperienza soggettiva, faticano a riconoscersi membri della Chiesa. Ci sono inoltre persone che si dichiarano esplicitamente atee o
non cristiane. Il proliferare di forme religiose dubbie e la diffusione di sètte, di pratiche esoteriche e magiche, sono un sintomo di queste nuove
situazioni.
§ 2. Di fronte a questa gravissima situazione si impone la necessità di una nuova evangelizzazione. Essa deve percorrere anche vie
diverse rispetto a quelle della tradizione pastorale consueta, affidate sia alla testimonianza personale, sia a nuove e creative iniziative pastorali.
§ 1. In ordine a tale nuova evangelizzazione, importante rilievo assume la testimonianza del singolo cristiano. Tale testimonianza
suppone una fede personale profonda, gioiosa e assiduamente nutrita dalla Parola di Dio; capace di distinguere tra verità fondamentali della
fede e forme storiche, molteplici e mutevoli, nelle quali essa si manifesta, e di discernere ciò che è secondo il Vangelo, nelle varie e complesse
vicende umane. Richiede insieme franchezza e umiltà, veracità e comprensione dell'altro, disposizione a dare il perdono e a riceverlo.
Attraverso tali attitudini la testimonianza di ciascuno concorrerà a tessere quel complesso rapporto tra fede e vita, Vangelo e cultura, amore di
Dio e amore del prossimo, confessione della grazia e confessione del peccato, indispensabile perché la comunità cristiana realizzi la missione
di essere segno del Vangelo in mezzo a tutti gli uomini.
§ 2. In ogni ambiente entro il quale si svolge la vita quotidiana del cristiano, grande opportunità alla testimonianza offrono le forme
molteplici del dialogo personale. Esso sia cercato e sostenuto con pazienza, sempre aperto all'ascolto dell'altro e dei suoi problemi, animato da
costante disposizione ad accogliere "i semi del Verbo" presenti in ogni persona.
§ 1. Nelle comunità della diocesi, anche coinvolgendo, quando è possibile, le altre Chiese cristiane, siano riconosciute e incoraggiate
nuove iniziative attraverso cui portare a tutti il Vangelo di salvezza. Esse sono segno della creatività dello Spirito, costituiscono una grande
ricchezza e possono aprire inesplorate possibilità di svolgimento della missione della Chiesa. Tali iniziative siano studiate dal consiglio
pastorale parrocchiale o decanale e siano svolte in modo attento e discreto.
§ 2. In questa linea:
a) nel corso dell'anno, oltre alla predicazione liturgica e alla catechesi, si promuovano momenti di predicazione biblica, concepiti
come primo annuncio del Vangelo e intesi a risvegliare la fede;
b) importante e fruttuoso è pure l'incontro di piccoli gruppi, proposti da alcuni credenti, in cui si realizza il primo accostamento al
Vangelo o si riprende la riflessione sulla fede;
c) si organizzino itinerari biblici per l'evangelizzazione degli adulti, sviluppati anche nel corso di più anni, indirizzati sia a chi non è
ancora credente, sia a coloro che, consapevoli della fragilità della loro fede, nutrono il desiderio di ritrovarne i fondamenti e il senso.
E' auspicabile che si possano realizzare in diverse zone della diocesi iniziative analoghe a quella della Cattedra dei non credenti(12),
che già da alcuni anni ha luogo nella città di Milano, per iniziativa e sotto la guida dell'Arcivescovo. Essa risponde all'intento di mettere a
confronto il cammino di fede dei cristiani con l'universale ricerca di senso di tutti gli uomini, di intrecciare quindi un dialogo tra cristiani e non
credenti. Mediante l'ascolto dei dubbi e delle fatiche degli uomini e delle donne del nostro tempo, il dialogo con loro, il confronto con quelle
stesse voci della cultura che paiono chiuse alla trascendenza, la comunità si propone da un lato di purificare la propria fede, dall'altro di
rendere il cammino della fede più accessibile ad ogni uomo che cerchi la verità.
§ 1. Vi sono altre forme di ministero già presenti in diocesi che, se vissute e riproposte con sapiente intelligenza pastorale,
costituiscono preziose occasioni di annuncio e di ascolto della Parola di Dio.
§ 2. Tra queste ricordiamo:
a) le missioni popolari, che hanno una lunga tradizione nella nostra diocesi. Esse si rivelano ancora efficaci per la crescita o il
ricupero della fede, ma anche per far assimilare alle parrocchie lo stile missionario, che caratterizza le autentiche comunità cristiane. Tali
missioni siano ben preparate, nutrite abbondantemente della Parola divina e seguite da qualche iniziativa che ne tenga vivo lo spirito. Ogni
parrocchia ne programmi la celebrazione secondo scadenze previste, scelte con attenzione in riferimento alle singole realtà parrocchiali;
b) gli esercizi spirituali sono uno strumento privilegiato per l'ascolto della Parola di Dio, teso alla revisione di vita e al rinnovo del
dovere della testimonianza cristiana; siano proposti a tutti i fedeli, sia nella forma di tipo residenziale che in quella parrocchiale;
c) corsi vocazionali, fondati sulla Parola di Dio, siano proposti a tutti i giovani per aiutarli a discernere la risposta personale alla loro
vocazione e a individuare i cammini esistenziali corrispondenti;
d) la direzione spirituale, esercitata con competenza e rispetto delle persone, costituisce un mezzo privilegiato per l'assidua
educazione al discernimento cristiano, in costante riferimento alla Parola di Dio;
e) i pellegrinaggi coinvolgono spesso persone che pure non hanno intendimenti religiosi precisi; essi siano proposti e quindi
realizzati come momenti di penitenza, di crescita spirituale e di fraternità cristiana; specialmente quelli in Terra santa siano anche occasione di
approfondimento della sacra Scrittura (cf cost. 273, § 3);
f) la visita natalizia o pasquale per la benedizione delle famiglie o dei luoghi di lavoro, da parte di presbiteri o di laici incaricati, è un
momento di servizio alla Parola, di dialogo personale e di annuncio. Per quanto riguarda, in particolare, la visita nei luoghi di lavoro, essa
dovrà essere precedentemente concordata con la direzione e la rappresentanza dei lavoratori (cf cost. 68, § 2).
§ 1. Il ministero della Parola, nelle sue molteplici forme, deve tenere conto dei nuovi modi di comunicare, dei nuovi linguaggi, delle
nuove tecniche e dei nuovi atteggiamenti psicologici che ne scaturiscono. Si adoperino quindi gli strumenti oggi disponibili, quali la stampa, la
radio, la televisione, valorizzandone la capacità comunicativa e l'incidenza psicologica. Ci si preoccupi in particolare che il mezzo non
prevarichi rispetto al messaggio. La forma fondamentale nella quale si produce la comunicazione della fede rimane sempre quella della parola
viva, accompagnata dalla disponibilità della persona a rendere ragione della propria parola, e soprattutto accompagnata dalla testimonianza
della vita (cf cost. 600).
§ 2. Le singole parrocchie o, nel caso, più parrocchie insieme, si impegnino ad organizzare e aggiornare le loro biblioteche,
arricchendole anche di strumenti audiovisivi e videoteche. Essi possono offrire risorse preziose per l'approfondimento personale della
"sapienza della fede", ed essere occasione di utili confronti interpersonali sulla verità cristiana.
I beni culturali ecclesiastici, attraverso opportune iniziative (visite guidate, didascalie, opuscoli), siano valorizzati anche come
strumenti utili per l'evangelizzazione e la catechesi (cf cost. 358).
§ 3. La diocesi, le parrocchie e gli istituti di vita consacrata si impegnino a raccogliere, preparare e diffondere opportuni sussidi, in
grado di aiutare la comunità a custodire e trasmettere nel tempo la memoria della propria tradizione di fede e delle sue espressioni.
§ 1. L'Ufficio catechistico diocesano coordina, sostiene, promuove le attività di evangelizzazione, di catechesi e di formazione degli
operatori. Svolge tale compito in collaborazione con gli altri uffici di curia e con tutti quei soggetti ecclesiali che hanno competenze rilevanti
in rapporto al ministero della catechesi; in particolare con gli istituti di insegnamento e ricerca nei quali vengono formati i catechisti e le
catechiste. L'Ufficio catechistico diocesano sia adeguatamente attrezzato per raggiungere le suddette finalità. Sia, in particolare, dotato di un
settore apposito per l'apostolato biblico.
§ 2. L'ufficio offra un giudizio critico circa i sussidi scritti o audiovisivi per la catechesi ai vari livelli e per altre forme di ministero
della Parola e ne promuova la preparazione.
§ 3. Tenendo conto delle caratteristiche dell'insegnamento della religione cattolica tutto quanto concerne questa attività venga
affidato a un apposito organismo (cf cost. 593).
§ 1. Nell'espletamento dei suoi compiti l'Ufficio catechistico diocesano si avvale della collaborazione di una consulta composta da
rappresentanti dei soggetti che operano nei diversi ambiti di sua competenza.
§ 2. L'Ufficio catechistico diocesano, inoltre, è coadiuvato da una o più commissioni composte da esperti nei singoli ambiti nei quali
si svolge la sua azione pastorale.
§ 1. L'azione di salvezza che Cristo ha compiuto è resa presente ed efficace per mezzo della liturgia celebrata dalla Chiesa. Questo
ministero richiede una rinnovata riflessione sulla sua importanza e sulla necessità di iniziative rivolte, come già proponeva il Concilio
Vaticano II, a suscitare, proprio attraverso la riforma liturgica, il fervore di una nuova vita personale e comunitaria.
§ 2. Tutto questo, però, rimane ancora un traguardo da raggiungere. E' quindi necessario riscoprire il significato della liturgia per la
fede e la vita dei cristiani: ciò comporta, in particolare, il superamento delle difficoltà dello stesso linguaggio liturgico e l'educazione dei
cristiani a vivere la liturgia come momento distinto, ma non separato, dalla propria esistenza cristiana(1).
§ 3. Per queste ragioni la Chiesa di Milano intende rinnovare le forme del ministero della liturgia attorno a queste priorità: I.
L'Eucaristia, centro della vita della Chiesa e della sua missione; II. La domenica e l'anno liturgico; III. I sacramenti nel cammino di fede del
cristiano; IV. La liturgia tra riforma e formazione liturgica. Tali priorità emergono, tra l'altro, dal cammino pastorale compiuto in questi anni
dalla diocesi e dall'esperienza spirituale e pastorale che deriva dalla continua attenzione della comunità cristiana ad accogliere il rinnovamento
promosso dal Concilio Vaticano II.
§ 1. L'Eucaristia, o Fractio panis, insieme con l'ascolto della Parola, la comunione fraterna e la comunità di preghiera (cf At 2,42), è
l'elemento inconfondibile che esprime la vita della Chiesa fin dai tempi della comunità apostolica. La stessa celebrazione eucaristica assume
un particolare rilievo nel quadro della vita della comunità: “ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa
prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo della simpatia di tutto il popolo” (At 2,46-47).
§ 2. Sul modello della Chiesa degli apostoli la Chiesa ambrosiana si impegna a rimettere l'Eucaristia al centro della sua vita e della
sua missione e a incrementare il rapporto tra Eucaristia e vita, mediante le forme e gli strumenti più adeguati allo scopo. In tal modo
l'Eucaristia plasmerà la vita di ogni cristiano così che diventi vita secondo lo Spirito o “culto spirituale” (cf Rm 12,1).
§ 3. La liturgia, quindi, non si aggiunge come momento parziale alle varie modalità della vita cristiana, ma ne costituisce momento
originario e sintetico che dà forma autentica all'intero cammino del credente. Essa è, infatti, alimento insostituibile per la vita di ciascuno e
insieme luogo in cui ogni vissuto personale e comunitario si innesta nel mistero di Cristo e da questo viene interpretato e assunto.
§ 1. Per aiutare i fedeli a riscoprire e a vivere la centralità dell'Eucaristia nella vita e nella missione della Chiesa è necessario mettere
in atto una vasta gamma di interventi pastorali. Tuttavia, il primo passo per realizzare questa educazione complessiva è il rinnovamento della
celebrazione dell'Eucaristia e, analogamente, di tutte le altre azioni liturgiche(2).
§ 2. La celebrazione eucaristica, come ogni altra celebrazione liturgica, ha la sua struttura e un suo insieme di parole, di gesti, di riti
e di preghiere, che una sapienza celebrativa è tenuta a rispettare e valorizzare. Tale sapienza celebrativa comporta: l'attuazione di tutte le
condizioni che possono aiutare l'assemblea a contemplare e a vivere il mistero che si celebra, la conoscenza e il rispetto delle premesse e dei
testi dei libri liturgici, l'attenzione alle diverse tipologie dell'assemblea, la preparazione remota e prossima della celebrazione, la scelta
pertinente tra le diverse possibilità celebrative offerte dai libri liturgici e la predisposizione dei ministri necessari. La sapienza celebrativa non
deve essere attenzione del solo presidente ma anche di coloro che svolgono un ministero nella celebrazione.
§ 3. E' necessario svolgere con cura e dignità le azioni liturgiche, cosicché tutti siano aiutati a raggiungere l'esatta percezione di
quanto avviene, attraverso la trasparenza della celebrazione piuttosto che per mezzo di eccessive spiegazioni.
§ 4. La celebrazione dell'Eucaristia, inoltre, manifesti nel modo più opportuno il suo rapporto con i grandi problemi dell'esistenza
umana e gli avvenimenti più significativi del momento in cui essa si svolge.
§ 1. L'assemblea liturgica è il soggetto della celebrazione, alla quale tutti i cristiani sono chiamati a prendere parte in forza del loro
battesimo. Uno dei principali obiettivi del rinnovamento liturgico è la presa di coscienza, da parte dei fedeli, di questa partecipazione e la
ricerca dei modi più adatti per attuarla.
§ 2. Espressione comunitaria e visibile della partecipazione alla liturgia sono: l'ascolto, le risposte, le acclamazioni, il canto, i gesti, il
silenzio. Anche gli atteggiamenti del corpo, vissuti in modo unitario dai fedeli, sono segno di un'assemblea attenta e partecipe al mistero che si
celebra. Si procurino a tutti i sussidi necessari per partecipare al rito, avendo anche presenti i problemi di chi ha difficoltà di vista o di udito.
§ 3. Per favorire una viva e adeguata partecipazione di tutti all'assemblea liturgica, è necessario che la comunità curi che ogni
celebrazione raggiunga il massimo della sua espressività. A tale scopo è molto utile anche curare, da parte sia del presidente sia di tutti i
partecipanti, una congrua preparazione.
§ 1. All'assemblea liturgica, ciascuno è convocato con i propri doni e carismi. Ogni comunità provveda a dotarsi di tutti quei
ministeri di cui ha bisogno per la sua missione. Essi nascono dall'Eucaristia e confluiscono nei molteplici servizi di tutta la vita pastorale.
§ 2. Alcuni ministeri riguardano la stessa celebrazione liturgica. Tra questi si distinguono il ministero di:
a) presidenza: appartiene ai ministri ordinati (vescovo, presbiteri, diaconi); i laici possono svolgere funzioni di presidenza, in alcuni
casi, specialmente nelle parrocchie senza presbiteri;
b) commentatore o voce guida: aiuta la presidenza con interventi discreti e precedentemente preparati;
c) animatori del canto e della musica: coro e direttore, organisti e strumentisti. Con il loro servizio aiutano l'assemblea a celebrare il
mistero con un più profondo coinvolgimento emozionale e spirituale;
d) ministranti: il loro ruolo dovrebbe essere ricoperto non solo da ragazzi e ragazze, ma anche da giovani e adulti;
e) lettori e salmisti: essi sono chiamati a proclamare la Parola di Dio e, perciò, il loro ministero è degno della massima cura. Il
ministero di lettori sia affidato a fedeli adulti, giovani, o adolescenti dopo la professione di fede. Per tutti si preveda una adeguata preparazione
biblica, liturgica e spirituale. Lettori e salmisti si preoccupino di conoscere per tempo il brano che devono proclamare, così da poter svolgere il
loro servizio con buona capacità espressiva e in modo che tutti possano seguire e comprendere;
f) ministri straordinari della comunione eucaristica a malati o anziani nelle loro case e ai fedeli durante la celebrazione della messa.
Visitando i malati o gli anziani e portando loro l'Eucaristia e la Parola essi manifestano l'attenzione dei pastori e l'amore della comunità ai
fratelli sofferenti che non possono frequentare la chiesa. Questo ministero sia promosso e diffuso in tutte le parrocchie. Può essere conferito,
dall'Ordinario diocesano, a uomini e donne, religiosi o laici, dopo adeguata preparazione, su proposta del parroco o del cappellano d'ospedale o
casa di cura, secondo specifiche norme diocesane. Questi stessi ministri possono essere incaricati di distribuire la Comunione durante la messa
in caso di assenza o impedimento di presbiteri o diaconi e allo scopo di contenere la distribuzione dell'Eucaristia in tempi ragionevoli. Se essi
non fossero presenti o non bastassero, è possibile, secondo le apposite indicazioni diocesane, incaricare ad actum un fedele adulto, uomo o
donna; in tali circostanze, il presidente usi il rito di benedizione previsto nel messale;
g) addetti all'accoglienza: soprattutto nei casi di grande affluenza, assicurano alla celebrazione un tono caldo e familiare e ne
garantiscono un ordinato svolgimento;
h) addetti alla raccolta delle offerte: ritengano il loro compito come servizio liturgico e come parte previa al rito della presentazione
dei doni.
§ 3. La presenza di tutti questi ministeri sia, per quanto possibile, adeguatamente prevista e sostenuta in ogni comunità: si
individuino le persone adatte; se ne curi la formazione anche mediante le scuole per operatori pastorali; se ne organizzi il servizio secondo
congrue scadenze.
§ 1. Tra gli aspetti che concorrono a realizzare un'autentica sapienza celebrativa dell'Eucaristia rientrano anche la conoscenza e il
rispetto delle norme liturgiche.
§ 2. Rinviando a quanto stabilito negli stessi libri liturgici, si richiamano solo alcune attenzioni anche al fine di evitare quelle
omissioni o improprietà che si verificano con maggior frequenza.
a) Si eviti un indebito ampliamento didascalico della liturgia della Parola a scapito della liturgia eucaristica che risulterebbe così
celebrata in modo affrettato o incolore.
b) La liturgia della Parola sia celebrata integralmente con i testi proposti dal lezionario secondo le disposizioni del calendario
liturgico; il salmo responsoriale, che è parte integrante della liturgia della Parola, non sia sostituito da altri canti o testi estranei al lezionario o
all'antifonale; l'ambone, ben visibile a tutti e dotato di mezzi idonei a favorire l'ascolto, sia riservato alla sola proclamazione della Parola di
Dio, all'omelia e agli altri usi previsti dai libri liturgici (letture agiografiche, preghiera dei fedeli, preconio pasquale).
c) La preghiera universale, d'obbligo nelle domeniche e feste di precetto, rispetti la successione delle intenzioni prevista nei libri
liturgici(3); essa sia composta da persone preparate, sia in sintonia con la Parola proclamata e attenta alle concrete esigenze dell'assemblea,
sappia valorizzare le intenzioni previamente proposte dai fedeli, anche a suffragio dei defunti (cf cost. 85).
d) Nel rito offertoriale, per quanto è possibile, i doni siano presentati dai fedeli al presidente; in ogni caso si eviti di collocare in
precedenza il pane e il vino sull'altare. Si predisponga il pane eucaristico in quantità sufficiente perché i fedeli possano ricevere la comunione
con il pane consacrato nella stessa celebrazione. Si attinga, pertanto, alla Riserva eucaristica solo per necessità.
e) La raccolta delle offerte - segno di partecipazione al sacrificio eucaristico, di corresponsabilità nella carità verso i fratelli
bisognosi e di attenzione alle concrete esigenze della comunità - sia contenuta nei limiti di tempo dei riti offertoriali. Si predisponga, perciò, un
numero adeguato di persone per svolgere speditamente questo servizio. E' auspicabile che, quando sia possibile, le offerte raccolte e gli altri
doni vengano presentati al presidente nell'unica processione offertoriale, senza comunque deporli sulla mensa eucaristica.
f) La preghiera eucaristica è il momento centrale e culminante di tutta la celebrazione. Di sua natura esige che tutti l'ascoltino con
rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito. La scelta della preghiera eucaristica, nei limiti delle norme del
messale, sia variata e adatta alle diverse circostanze, favorendo nei fedeli la partecipazione interiore, che si esprima in un coerente
atteggiamento esteriore. Pertanto la preghiera eucaristica non deve essere disturbata da movimenti inutili, da altre preghiere o canti, da
sottofondi musicali. Si valuti pure l'opportunità di proclamarla in forma cantata, almeno in alcune sue parti, soprattutto nelle domeniche e nelle
feste. I concelebranti usino un tono di voce sommesso, così che venga percepita chiaramente la voce del presidente.
g) Si usi, con maggior frequenza, della facoltà di comunicare i fedeli sotto le due Specie.
h) I momenti di silenzio siano rispettati: pertanto si lasci uno spazio adeguato nell'atto penitenziale, dopo l'omelia e dopo la
comunione. L'assemblea sia sollecitata a viverli come irrinunciabile elemento dell'azione liturgica.
i) Gli oggetti richiesti per la celebrazione dell'Eucaristia vengano deposti e rimossi dall'altare, secondo le esigenze del rito. L'altare
venga, in ogni modo, ornato con proprietà e sobrietà, come si conviene alla "mensa del Signore"(4).
l) Per favorire un'adeguata celebrazione, anche la chiesa, nel suo complesso, deve essere veramente accogliente: perciò sia pulita e
ordinata, ben illuminata e idonea anche dal punto di vista climatico.
m) Nelle domeniche e nelle feste di precetto il parroco è tenuto all'obbligo di celebrare e applicare la messa pro populo,
possibilmente nell'orario in cui è più ampia la partecipazione dei fedeli. In questi stessi giorni, l'intenzione della messa sia lasciata alla
disponibilità dei singoli celebranti.
§ 1. La principale forma di preghiera della Chiesa è l'Eucaristia, che racchiude in sé gli elementi fondamentali della preghiera
cristiana: ascolto della Parola, lode e ringraziamento al Padre, memoriale della Pasqua del Signore, invocazione dello Spirito santo, memoria
della Madonna e dei santi, intercessione per i vivi e i defunti, adorazione e silenzio contemplativo.
La liturgia delle Ore (ufficio delle letture, lodi mattutine, ora media, vespri, compieta), di cui il Concilio Vaticano II ha richiamato il
singolare valore anche per i fedeli laici, è da considerarsi preparazione ed estensione della liturgia eucaristica.
§ 2. La prassi, già avviata in alcune parrocchie e comunità, di celebrare comunitariamente la liturgia delle Ore nelle parti più
significative (lodi e vespri) merita di essere incoraggiata e proposta ad esempio. Per questa celebrazione le comunità di rito ambrosiano hanno
come libri liturgici ufficiali la Diurna Laus e il volume Lodi mattutine. Ora media. Vespri. Compieta (detto Diurnale). Pertanto:
a) nelle domeniche e nei giorni di precetto è opportuno prevedere, come parte dell'orario, la celebrazione solenne dei primi vespri,
delle lodi e soprattutto dei secondi vespri, riprendendo così una prassi popolare degli anni passati;
b) anche nei giorni feriali, specialmente nei tempi forti di avvento, di quaresima e di pasqua, o in altre occasioni significative,
potrebbe opportunamente essere prevista la celebrazione comunitaria delle lodi e dei vespri.
§ 3. La facoltà di unire le lodi e i vespri alla celebrazione dell'Eucaristia non diventi prassi ordinaria.
§ 4. La celebrazione individuale della liturgia delle Ore, in via di diffusione tra i fedeli, merita di essere ulteriormente incoraggiata.
§ 1. Strettamente connesso con la celebrazione eucaristica è il culto dell'Eucaristia fuori della messa. L'esposizione solenne o breve
dell'Eucaristia, la processione eucaristica e l'adorazione personale sono il prolungamento della celebrazione e in questo senso devono essere
intese e vissute.
§ 2. Per l'inscindibile unità tra Eucaristia e Parola di Dio il culto dell'Eucaristia fuori della messa sia sempre nutrito dalla
proclamazione e dalla meditazione della Parola di Dio. Per questo culto valgono le indicazioni contenute nell'apposito libro liturgico
Comunione e culto eucaristico fuori della messa, delle quali si sottolineano alcuni aspetti:
a) l'esposizione solenne dell'Eucaristia (detta tradizionalmente Quarantore, o Giornate eucaristiche) sia celebrata possibilmente ogni
anno, fuori dai tempi di avvento, di natale e di quaresima e senza sovrapporla ad altre festività. Sia intesa come momento prolungato, per
mezzo del quale le virtualità della celebrazione eucaristica si estendono nei tempi della esistenza quotidiana. Costituisca inoltre un'occasione
opportuna di catechesi sul mistero eucaristico e sui suoi rapporti con la vita cristiana. Si metta in evidenza l'inscindibile binomio Parola-
Eucaristia, prevedendo ampi spazi per la proclamazione e la meditazione della Parola di Dio;
b) l'esposizione breve si collochi dopo la celebrazione eucaristica come suo prolungamento. Comprenda un tempo conveniente per la
proclamazione della Parola di Dio, per la preghiera comune, il canto e per l'adorazione silenziosa. La benedizione può concludere l'esposizione
breve. Questa non deve essere fatta solo per impartire la benedizione;
c) nella processione eucaristica il popolo cristiano rende pubblica testimonianza di fede e di adorazione al Signore presente
nell'Eucaristia. E' preferibile che le processioni si svolgano immediatamente dopo la messa. Tuttavia possono svolgersi anche a conclusione di
una adorazione comunitaria;
d) per importanza e significato nella vita pastorale di una parrocchia o di una città si deve distinguere la processione nella solennità
del Corpo e del Sangue del Signore. In tale occasione, nelle città e nei centri con più parrocchie la processione sia possibilmente unica. In
questo caso, nelle singole parrocchie potrà svolgersi una processione eucaristica in un giorno successivo alla festa del Corpo e del Sangue del
Signore ed eventualmente a conclusione della esposizione solenne annuale;
e) l'Eucaristia sia custodita in una cappella facilmente accessibile e visibile ai fedeli, oppure in un altare o in un luogo della chiesa
che favorisca la preghiera personale e l'adorazione e si distingua per nobiltà, decoro e sicurezza. La chiave del tabernacolo sia conservata con
la massima diligenza;
f) perché i fedeli possano accogliere più ampiamente i frutti della celebrazione eucaristica, si educhino a sostare in adorazione
davanti all'Eucaristia riposta nel tabernacolo.
§ 1. E' necessario riscoprire e vivere il legame che intercorre tra liturgia e preghiera personale individuale.
§ 2. La liturgia, in particolare quella eucaristica, con le dinamiche che la caratterizzano, è come la sorgente e il modello di ogni
preghiera personale: la plasma interiormente e la vivifica in ogni momento. Ogni fedele, perciò, nella sua preghiera individuale, si lasci nutrire
dallo spirito della liturgia: da essa impari ad ascoltare la Parola rivelata, a contemplare i misteri di Gesù, a dare alla propria orazione le
dimensioni della lode e del ringraziamento, come pure dell'intercessione, della supplica e della richiesta di perdono, a vivere la preghiera come
inserimento nel rapporto di comunione filiale di Gesù con il Padre nello Spirito santo e come sostegno dell'impegno nel quotidiano.
§ 3. Nello stesso tempo, una reale esperienza personale di preghiera da parte di ogni credente è premessa e condizione
imprescindibile per una vera e piena celebrazione della liturgia: lo insegna anche l'esperienza, mostrando come la scomparsa o la crisi della
preghiera personale trascini con sé anche la preghiera liturgica e la trasformi inesorabilmente in un vuoto ritualismo. I fedeli, perciò, coltivino
momenti e spazi di preghiera silenziosa e individuale e li vivano sempre da membri di una Chiesa che ha nell'Eucaristia la fonte e il culmine
della sua adorazione e della sua lode, così che ogni forma di preghiera personale possa condurre e orientare alla celebrazione eucaristica e alla
liturgia. Per parte loro, le comunità cristiane non solo richiamino la necessità della preghiera personale, ma propongano cammini praticabili,
educhino al giusto equilibrio tra preghiera personale e preghiera liturgica e mettano a disposizione testi e sussidi adatti alle diverse situazioni
spirituali dei fedeli.
§ 4. Vivere questa sorta di circolarità tra liturgia e preghiera personale è alimento e garanzia di un'esistenza condotta in obbedienza
filiale al Padre, nella fede, nella speranza e nella carità. I fedeli, perciò, continuamente educati e sostenuti dalla comunità cristiana e dai suoi
pastori, vivano sia la preghiera liturgico-sacramentale, sia quella personale ed individuale, nella piena disponibilità a rinnovare la propria
esistenza quotidiana secondo lo Spirito, così da crescere in un autentico culto spirituale a Dio gradito (cf Rm 12,1).
§ 1. La formazione della comunità cristiana e l'esercizio del ministero si svolgono nell'anno liturgico, attraverso il quale la
celebrazione eucaristica - collocata nel ritmo quotidiano, settimanale e annuale del tempo dell'uomo - svela la sua attitudine a dare senso e
forma a tutta la vita cristiana.
§ 2. L'invito a collocare l'Eucaristia al centro del tempo non può tuttavia trascurare le obiettive difficoltà dell'uomo contemporaneo e
del cristiano a mettere in correlazione i vari tempi dell'esistenza. La sua progressiva frammentazione in una molteplicità di agende (personale,
familiare, sociale, lavorativa, liturgico-pastorale), tipica della complessità della vita odierna, non facilita la celebrazione della domenica e delle
altre ricorrenze dell'anno liturgico. Tale celebrazione, inoltre, è sottoposta a un fenomeno di costante erosione e marginalizzazione a causa
dell'estensione del lavoro festivo e della banalizzazione del tempo libero.
§ 3. E' necessario che tutta la comunità cristiana reagisca con saggezza a tale situazione, nel contesto di una proposta integrale di vita
cristiana.
§ 1. Il mistero della Pasqua, celebrato in modo particolare nel giorno di domenica e nelle grandi feste, viene vissuto anche nella
ferialità dei giorni della settimana. A tal fine ogni comunità cristiana programmi le sue celebrazioni, in particolare l'Eucaristia quotidiana,
secondo un progetto pastorale che tenga conto delle esigenze e dei ritmi della vita comunitaria e dei singoli.
§ 2. L'orario delle messe nei giorni feriali sia predisposto secondo il criterio della effettiva necessità dei fedeli e della loro
partecipazione consapevole e attiva. In particolare, il numero delle messe nei giorni feriali sia programmato in modo tale da non dover
ricorrere abitualmente alla binazione. I parroci hanno la facoltà di binare e di concedere la binazione soltanto per una vera necessità pastorale,
come, ad esempio per la celebrazione dei matrimoni e in occasione dei funerali.
Quando un parroco è responsabile di più parrocchie provveda a programmare la celebrazione feriale dell'Eucaristia nelle diverse
chiese secondo criteri di equa ripartizione. Dove non si celebra l'Eucaristia è auspicabile che ci sia la celebrazione della liturgia della Parola
con i riti di comunione, sotto la presidenza di un ministro a ciò deputato.
§ 3. La vita liturgica della comunità lungo i giorni della settimana non sia limitata alla celebrazione dell'Eucaristia, ma venga
promossa, secondo l'opportunità, nella ricchezza delle sue espressioni: la celebrazione della liturgia delle Ore, specialmente delle lodi
mattutine e dei vespri; la celebrazione della Parola e gli incontri di preghiera; la celebrazione del sacramento della penitenza nella forma
individuale e in quella comunitaria; il culto eucaristico fuori della messa e i pii esercizi (quali: devozione al S. Cuore, via crucis, rosario, e
altri).
§ 1. L'anno liturgico guida la comunità cristiana a rivivere il mistero di Cristo, dall'attesa dell'Incarnazione, e dalla Natività, fino alla
Pasqua, all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza del ritorno del Signore. Esso quindi alimenta e sostiene la vita
cristiana e traccia il cammino di fede della comunità.
§ 2. La riforma conciliare ha riportato grande equilibrio tra i diversi tempi dell'anno liturgico, tra le feste del Signore e quelle della
beata vergine Maria e dei santi, considerandone soprattutto gli aspetti celebrativi.
Per giungere però ad una più profonda valorizzazione pastorale dell'anno liturgico è necessario inserire altre dimensioni strettamente
collegate con la vita della comunità e con il cammino di fede del cristiano: i sacramenti, i sacramentali, gli itinerari di catechesi, le espressioni
della devozione e della religiosità popolare e la cosiddetta liturgia domestica.
§ 3. Attraverso l'armonioso comporsi di tutte queste dimensioni i tempi e le feste dell'anno liturgico si configurano come tappe del
cammino pastorale annuale di tutta la comunità.
§ 1. La Chiesa svolge la sua missione di annunciare il Vangelo ai credenti anche attraverso le celebrazioni delle feste e dei tempi
liturgici. In particolare, l'avvento e la quaresima, fin dalla loro origine, sono stati configurati come tempi destinati ad un più intenso ascolto
della Parola per tutto il popolo e in particolare per alcune categorie come i catecumeni e i penitenti.
§ 2. L'anno liturgico, a partire dai "tempi forti", deve configurarsi come itinerario di fede aperto a tutti, per diventare una proposta
organica di rinnovamento comunitario, quasi una scuola popolare di fede e di formazione permanente.
§ 3. E' perciò compito di una saggia programmazione pastorale fare dell'anno liturgico il punto di riferimento più alto per il cammino
dell'intera comunità cristiana, mettendo in un rapporto di reciprocità e di interdipendenza, con lo spirito e le forme dei tempi e delle feste, le
altre iniziative (catechetiche, caritative, devozionali e altre). L'anno liturgico viene così ad offrire un punto di sostegno e di comunione ai
diversi itinerari di catechesi e di celebrazione sacramentale.
E' necessario evitare che i tempi forti e le feste liturgiche diventino occasione di iniziative a servizio di finalità secondarie,
compromettendo così l'unità, la coerenza e l'efficacia dell'anno liturgico. Le "giornate speciali", opportunamente riviste quanto a numero e
calendario, andranno raccordate il più possibile con lo svolgimento dell'anno liturgico (cf cost. 329).
§ 1. L'itinerario sacramentale è strettamente connesso con l'itinerario di fede della comunità che si svolge lungo l'anno liturgico.
Questo collegamento è confermato dalla stessa tradizione della Chiesa: essa, ad esempio, ha collocato la celebrazione dei sacramenti
dell'iniziazione cristiana nella Veglia pasquale; ha escluso il matrimonio dai tempi penitenziali; e, nella tradizione ambrosiana, non celebra
l'Eucaristia nei venerdì di quaresima, il venerdì santo e il sabato santo.
§ 2. Ma la tendenza alla "privatizzazione" di alcuni sacramenti, particolarmente del battesimo, della prima Comunione, della
confermazione e del matrimonio, caratteristica di questo momento storico, sta portando alla pratica separazione della pastorale sacramentaria
da quella della intera comunità, avvalorando di fatto cammini paralleli.
§ 3. Le comunità parrocchiali, sostenute da iniziative e interventi diocesani, sono chiamate a ristabilire con fermezza un più organico
rapporto tra pastorale sacramentaria e vita della comunità. In particolare è necessario ritrovare una maggiore integrazione dei tempi di
preparazione e di celebrazione dei sacramenti di iniziazione cristiana, con i tempi del calendario liturgico e della pastorale comunitaria.
§ 4. E' necessario inoltre incrementare una più assidua memoria dei sacramenti già ricevuti attraverso iniziative diverse:
rinnovazione delle promesse battesimali durante la Veglia pasquale e in altre circostanze suggerite dalla liturgia (sabati di quaresima, tempo
pasquale); celebrazione comunitaria degli anniversari di matrimonio; anniversari di ordinazione.
§ 1. Le diverse celebrazioni dell'anno liturgico raggiungono persone e comunità nelle circostanze e negli avvenimenti concreti della
loro esistenza, risvegliando in loro la capacità di "benedire il Signore in ogni tempo" e di invocare il suo aiuto. A tal fine la Chiesa mette a
disposizione il libro liturgico denominato Benedizionale.
§ 2. Per loro natura le benedizioni anche se rivolte a persone, cose, luoghi e situazioni individuali non sono gesti privati, ma fanno
parte della liturgia della Chiesa. Richiedono perciò che siano celebrate in un contesto comunitario, che si faccia adeguato spazio alla Parola di
Dio e che si metta in particolare evidenza il simbolismo proprio del rito in questione.
§ 3. I fedeli devono essere aiutati a comprendere il significato di questi gesti, a celebrarli con rettitudine e a viverli come momenti
che concorrono alla crescita della fede e della carità. E' necessario tenere lontano da queste benedizioni qualsiasi forma di superstizione e di
miracolismo, utilizzando le possibilità offerte dall'apposito libro liturgico.
§ 1. Le espressioni della religiosità popolare (quali: mese di maggio, di ottobre, di novembre, novene, feste patronali) arricchiscono
il cammino dell'anno liturgico e ispirano usi e costumi familiari e sociali.
§ 2. Queste forme, oggi in ripresa, devono essere oggetto di attenta considerazione da parte degli operatori pastorali, per ritrovare in
esse valori positivi quali: la disponibilità a cogliere il senso religioso dell'esistenza, la fiducia nella provvidenza di Dio e il ricorso alla sua
protezione. E' necessario, tuttavia, vegliare costantemente sugli aspetti di ambiguità di certe tradizioni e feste popolari, inclini al puro folklore,
all'improvvido consumismo, magari a forme di superstizione, facendole invece evolvere verso forme più mature ed autentiche. Nello stesso
tempo, soprattutto nei nuovi agglomerati urbani e nelle parrocchie di recente costituzione, si dia inizio a forme di religiosità popolare ispirate
al nuovo contesto liturgico e pastorale e quindi capaci di trasmettere valori religiosi autentici ai parrocchiani e agli abitanti dei quartieri.
§ 3. Il tutto deve essere ordinato a comporre in armonia liturgia e pietà popolare, in modo che la prima sia continua fonte di
ispirazione, orientamento e correzione per le molteplici forme della tradizione popolare.
§ 1. Le nostre comunità parrocchiali sono composte prevalentemente da famiglie. Il "culto spirituale" che in esse si svolge si
identifica con le espressioni dell'affetto sponsale; con la riconoscente accoglienza della vita, la lieta condivisione del cibo, il godimento della
salute e della guarigione, l'offerta della malattia e della sofferenza, l'esperienza del lavoro, della scuola e della vacanza; con le feste degli
anniversari e dei compleanni, l'oblazione della vita che muore e la memoria perenne dei propri defunti. Queste molteplici forme trovano la loro
cristiana ispirazione nella lettura comunitaria e personale della sacra Scrittura, nella preghiera familiare e nella partecipazione alla liturgia
eucaristica nel giorno del Signore e di questa sono espressione e continuazione nel quotidiano. Le famiglie siano sollecitate ed aiutate, con
opportune iniziative, a celebrare e a vivere la liturgia domestica secondo i ritmi e i contenuti dell'anno liturgico, anche attraverso appositi
sussidi(7), tenendo conto delle diverse situazioni (come la presenza di bambini, di anziani, di malati).
§ 2. La visita e la benedizione natalizia delle famiglie è momento prezioso di presenza cordiale e discreta della comunità
parrocchiale nel luogo dove si svolge la vita della famiglia e può diventare un gesto significativo di evangelizzazione (cf cost. 46). A tale
scopo:
a) anche i laici, le religiose e i religiosi, quali rappresentanti della comunità parrocchiale, potranno coadiuvare i presbiteri e i diaconi
in questa visita alle famiglie, cosicché essa possa essere compiuta senza fretta;
b) quando non può essere compiuta nel suo tempo tradizionale (avvento o, per le parrocchie di rito romano, tempo di pasqua), la
visita può essere effettuata in un arco di tempo più ampio, evitando però la sua estensione a tutto l'anno pastorale;
c) presbiteri, diaconi, religiose, religiosi e laici abbiano cura di incontrare la famiglia, quando questa è riunita, dandone avviso
tempestivo;
d) si rispetti il carattere religioso della visita, senza tralasciare l'opportunità di conoscere situazioni di malattia, solitudine, anzianità,
così da poter in seguito operare con più consapevolezza e incisività;
e) il contesto di accentuata secolarizzazione e la presenza di famiglie non cattoliche, o non cristiane, possono suggerire ai presbiteri e
ai diaconi, soprattutto nelle città e nei nuovi quartieri, di recarsi presso le famiglie senza gli abiti liturgici;
f) per sottolineare la gratuità del gesto, qualora fosse tradizione proporre una raccolta di offerte in occasione della visita o
benedizione delle famiglie, si suggerisca alle famiglie stesse di portare l'offerta direttamente in chiesa.
§ 1. Battesimo, Confermazione ed Eucaristia costituiscono i sacramenti dell'iniziazione cristiana. Con il termine relativamente
recente nel linguaggio pastorale di "iniziazione cristiana" si vuole indicare che il diventare cristiani deve costituire un processo globale, nel
quale momenti celebrativi, momenti catechetici, e in genere formativi alla fede adulta, sono meglio correlati tra loro. Così avveniva nella
Chiesa antica, nella quale i sacramenti dell'iniziazione cristiana erano celebrati in stretto rapporto con la vita della comunità cristiana, con i
suoi tempi e ritmi lungo l'anno liturgico e mettendo in atto la varietà e ricchezza dei ministeri e delle figure di accompagnamento.
§ 2. La celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, perciò, esige e insieme stimola un cammino di ascolto della Parola, di
autentica conversione, di attuazione dei precetti del Vangelo, di inserimento nella comunità cristiana e, in particolare, nei suoi ritmi e tempi
scanditi dall'anno liturgico. Ciò valga per tutti i sacramenti dell'iniziazione cristiana, a cominciare dal battesimo dei bambini che di fatto viene
tradizionalmente amministrato in ogni tempo dell'anno con il rischio di relegarlo ai margini del cammino della comunità.
§ 3. A causa del profondo intreccio tra Parola, liturgia e ministeri, nell'ambito della pastorale dell'iniziazione ma soprattutto per la
rilevanza che questa pastorale assumerà nei prossimi anni, è opportuno farne esplicita considerazione in un capitolo apposito che affronti
unitariamente il tema dell'iniziazione cristiana (cf costt. 96-112).
§ 4. Per quanto concerne l'aspetto più propriamente celebrativo di questi sacramenti, oltre a quanto indicato in questo libro sinodale
occorrerà riferirsi ai libri liturgici, con un'attenta considerazione delle indicazioni di carattere liturgico-pastorale ivi contenute e delle diverse
possibilità celebrative offerte, da scegliere in riferimento alle concrete situazioni.
§ 5. Il cammino di iniziazione e l'intera esistenza cristiana non solo riconoscono il valore fondante del battesimo, ma anche fanno
costante riferimento a esso e valorizzano opportunamente il luogo della sua celebrazione. In ogni chiesa parrocchiale, perciò, quale segno
permanente del battesimo, vi sia e si tenga in onore il battistero, con il fonte battesimale e il cero pasquale. Lo si utilizzi, oltre che per la
celebrazione del battesimo, possibilmente anche per i riti della Veglia pasquale e per la commemorazione del battesimo nella celebrazione
solenne dei vespri, secondo la tradizione ambrosiana. In ogni caso non è possibile collocare il battistero nell'area presbiterale, né, di norma e
salvo eccezioni, è ammesso l'uso di fonti battesimali mobili.
§ 1. Segnato da Cristo e dal dono del suo Spirito nel battesimo e nella confermazione, e attratto alla piena comunione con Cristo
nella Eucaristia, il cristiano percorre il cammino della sua intera esistenza. Anche i personalissimi itinerari di fede, riguardanti momenti
comuni dell'esistenza, come la conversione dal peccato, la condizione di malattia e il momento della morte impegnano il ministero liturgico
della Chiesa, e quindi della comunità locale, che non può ritenersi estranea o indifferente di fronte alle prove della vita di un suo membro.
§ 2. I sacramenti celebrati per un malato e altre forme di preghiera e di benedizione che lo accompagnano fino al commiato finale,
possono trarre motivazioni forti e modalità adeguate di realizzazione, se raccordate con la vita liturgica di tutta la comunità. Sia quindi
preoccupazione della pastorale ordinaria curare in modo particolare questi aspetti della vita cristiana; sono questi i momenti che offrono al
ministero pastorale l'occasione per un rinnovato accostamento alla Chiesa da parte di molti nostri contemporanei, i quali non hanno una pratica
religiosa abituale né rapporti assidui con la realtà ecclesiale.
§ 1. Fedele alla missione ricevuta dal Signore e animata dal suo Spirito, la Chiesa continua a predicare a tutti gli uomini la necessità
della conversione e della penitenza.
La Chiesa compie questa missione nella pastorale ordinaria e in modo particolare: a) con la predicazione della Parola di Dio; b) con
la celebrazione penitenziale della Parola di Dio; c) con la celebrazione dell'Eucaristia; d) con il sacramento della riconciliazione o penitenza.
§ 2. La predicazione della Parola di Dio forma la coscienza dei fedeli così che essi possano comprendere, alla luce della fede, non
solo la gravità del peccato, che offende la bontà di Dio e reca danno a chi lo compie, alla comunità dei fratelli e al mondo intero; ma anche e
soprattutto comprendano la necessità e la bellezza della conversione e l'amore misericordioso del Signore, sempre pronto a perdonare e a
infondere la grazia necessaria a rinnovare efficacemente la vita.
La predicazione della Parola di Dio forma inoltre i fedeli a vivere ogni giorno in uno spirito di conversione e di penitenza. Esso
comporta: l'impegno nel compimento del dovere, l'accettazione della sofferenza, la mortificazione volontaria, la sollecitudine per l'aiuto ai
bisognosi, le opere di misericordia e di carità, la revisione di vita o esame di coscienza. Fa inoltre riscoprire, in questo senso, il valore
penitenziale di certi giorni, specie dei giorni di venerdì e particolarmente del tempo di quaresima.
§ 3. Indipendentemente dal sacramento della riconciliazione, la proclamazione e spiegazione della Parola di Dio, nel contesto di
canti, intercessioni e richieste di perdono, può assumere la forma compiuta di celebrazione penitenziale. In ogni parrocchia vengano
predisposte con regolare frequenza celebrazioni penitenziali della Parola di Dio, soprattutto in avvento e in quaresima, in prossimità delle feste
più solenni, in occasione dell'itinerario sacramentale o in momenti particolari nella vita della comunità (esercizi spirituali al popolo, missioni
popolari, veglie di digiuno, pellegrinaggi). Tutti siano vivamente esortati a partecipare a tali celebrazioni, perché nella comunità si ravvivi lo
spirito della penitenza e perché i fedeli si preparino al sacramento della riconciliazione, che potranno ricevere a tempo opportuno.
§ 4. La celebrazione dell'Eucaristia ha in sé una grande efficacia per la purificazione del cuore. La messa, infatti, rende presente il
sacrificio di Cristo per la remissione dei peccati, ci libera dalle colpe di ogni giorno e ci preserva dai peccati gravi. E' necessario educare i
fedeli non solo a valorizzare le parti penitenziali della celebrazione eucaristica, ma soprattutto a partecipare a ogni Eucaristia con rinnovato
impegno di conversione, in modo da offrire se stessi come sacrificio spirituale gradito a Dio (cf Rm 12,1-2).
§ 5. Occorre evitare che, nell'opinione dei fedeli, i momenti penitenziali della messa, come anche le celebrazioni penitenziali della
Parola di Dio, siano confuse con il sacramento della penitenza. I pastori e i catechisti affermino con chiarezza, secondo le disposizioni della
Chiesa, l'obbligo della confessione sacramentale prima di ricevere la santa Comunione per tutti coloro che sono consapevoli di essere in
peccato grave, salvo quanto disposto nel can. 916(8). Inoltre spieghino l'utilità di accostarsi con frequenza regolare al sacramento della
penitenza.
§ 6. Il sacramento della riconciliazione o penitenza è l'atto culminante del processo di riconciliazione. Ricordiamo le parole del
Concilio Vaticano II: “Quelli che si accostano al sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a
lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità,
l'esempio e la preghiera”(9).
§ 7. Nel cammino di conversione e penitenza acquistano rilevanza i giorni di astinenza e digiuno, che preparano alle feste liturgiche
o che, in particolari circostanze civili ed ecclesiali, richiamano più insistentemente il dovere del ricorso implorante a Dio e della carità fraterna.
Essi sono soprattutto, nel corso dell'anno liturgico, i giorni feriali di quaresima e, in ogni settimana, il venerdì, giorno di ricordo della morte
del Signore e di preparazione alla Comunione eucaristica nell'assemblea domenicale(10).
I pastori ricordino ai fedeli l'obbligo e il significato dell'osservanza del digiuno e dell'astinenza nei giorni prescritti e secondo i modi
previsti dalla Chiesa. Propongano inoltre forme volontarie di penitenza, che, unitamente alla preghiera e alle opere di carità, si inseriscano in
modo abituale e armonico nella vita personale e comunitaria(11).
§ 1. Si constata facilmente che il sacramento della riconciliazione è oggi abbandonato o almeno poco frequentato da molti fedeli.
Tale crisi è la conseguenza, da una parte, della non conoscenza del contenuto morale del Vangelo e quindi del senso del peccato e, dall'altra, di
una errata comprensione del sacramento stesso: molti fedeli, infatti, vivono il sacramento della penitenza più come una constatazione
deprimente dei peccati commessi che come un gioioso incontro con l'immenso amore del Signore; inoltre colgono con minore chiarezza che il
peccato non coinvolge solo il rapporto con Dio ma reca danno anche alla comunione ecclesiale, così che è necessario ottenere, insieme con il
perdono di Dio, la riconciliazione con la Chiesa.
§ 2. Una rinnovata considerazione per il sacramento della penitenza non può allora che essere il vertice e il coronamento dell'azione
pastorale della Chiesa relativamente al peccato e alla conversione: i fedeli, infatti, illuminati dalla Parola di Dio, proclamata in modo
particolare nelle ricorrenti celebrazioni penitenziali, e mossi dallo Spirito santo, capiranno e valuteranno il sacramento della penitenza non solo
come riconoscimento e confessione dei peccati commessi. I fedeli stessi riconosceranno il sacramento della penitenza come incontro di
esultanza con il Signore che perdona e riammette nella sua piena amicizia e come riconciliazione festosa con la comunità dei fedeli, che ha per
conseguenza il ritorno all'Eucaristia, “alla mensa del Signore, nella gioia grande del convito che la Chiesa imbandisce per festeggiare il ritorno
del figlio lontano”(12).
§ 1. Nell'attuale ordinamento liturgico la celebrazione del sacramento della penitenza può svolgersi o in forma individuale o in forma
comunitaria. Le due forme in parte coincidono, in parte si differenziano. Coincidono, per il fatto che la confessione e la assoluzione avvengono
sempre tra il singolo penitente e il confessore. Si differenziano, per il fatto che nelle celebrazioni comunitarie le altre parti del rito, compiute
appunto comunitariamente, acquistano una rilevanza maggiore dal punto di vista liturgico e pastorale: la proclamazione della Parola di Dio,
l'esame di coscienza guidato, i canti penitenziali e di ringraziamento, il Padre nostro e le diverse preghiere.
§ 2. Anche se la celebrazione in forma individuale è quella scelta più facilmente dai fedeli, si dia importanza anche alle celebrazioni
in forma comunitaria. Esse, infatti, oltre a sottolineare la natura ecclesiale della penitenza, sono l'occasione propizia per educare la comunità
cristiana a comprendere e a vivere il sacramento nei suoi elementi celebrativi.
§ 3. Pertanto ogni parrocchia inserisca nel programma pastorale annuale, possibilmente con cadenze regolari, anche in sostituzione
di celebrazioni eucaristiche feriali, alcune celebrazioni del sacramento della penitenza in forma comunitaria, assicurando la presenza di più
confessori. Occasione opportuna per la celebrazione comunitaria del sacramento della riconciliazione con assoluzione individuale possono
essere anche le missioni popolari, gli esercizi spirituali parrocchiali, i pellegrinaggi.
Oltre a quanto è contenuto e illustrato nel Rito della Penitenza, è opportuno sottolineare i seguenti punti:
a) la celebrazione della riconciliazione manifesti con chiarezza la sua natura di azione liturgica. I fedeli siano formati a partecipare al
sacramento della riconciliazione, comprendendone e vivendone gli elementi celebrativi. In particolare si educhino i fedeli, anche mediante il
sussidio diocesano Cantemus Domino, a meditare sulla sacra Scrittura, a fare l'esame di coscienza, a formulare personalmente la preghiera di
pentimento e quella di ringraziamento. Essi siano guidati a comprendere e a vivere la confessione non semplicemente come accusa dei peccati,
ma anche come ringraziamento alla bontà di Dio (confessio laudis), come riconoscimento della propria ingratitudine e sincero pentimento del
male commesso (confessio vitae) e come proclamazione della certezza di essere perdonati e rinnovati dalla misericordia di Dio (confessio
fidei);
b) la confessione dei peccati commessi deve necessariamente comportare la volontà di cambiare vita. Perché tale impegno non resti
generico e velleitario, ma diventi più preciso e quindi efficace, è importante concentrare l'attenzione su un punto o proposito particolare. La
formulazione di tale proposito è un elemento qualificante di ogni buona confessione. La scelta del proposito particolare può essere operata o
dal penitente stesso, secondo quanto egli sente più urgente, o su indicazione del confessore. Il proposito della confessione precedente può
essere opportunamente richiamato nella confessione in atto;
c) l'opera penitenziale o "soddisfazione" corrisponda per quanto è possibile alla natura dei peccati accusati e può opportunamente
concretarsi o in una preghiera, o in una rinuncia, oppure in un'opera a servizio del prossimo;
d) nell'impartire l'assoluzione il confessore usi normalmente la formula completa e non ometta il significativo gesto dell'imposizione
della mano sul penitente.
I sacerdoti curino i vari atteggiamenti e comportamenti che delineano lo stile del ministro del sacramento della riconciliazione e che
sono ripetutamente ricordati dal magistero e dalla normativa canonica. I confessori, in particolare:
a) amino il ministero della confessione, nella consapevolezza di esercitare una delle attività che è propria ed esclusiva del sacerdote
ed è pastoralmente di somma importanza;
b) abbiano chiara coscienza di essere ministri della Chiesa e quindi conformino i loro giudizi e i loro consigli al magistero e alla
normativa universale e particolare;
c) trattino con i penitenti prendendo a modello Gesù stesso, medico, maestro e amico, esercitando il ministero della consolazione,
ascoltando e comprendendo la situazione esposta dal penitente;
d) abbiano una coscienza sempre vigile non solo nell'osservare scrupolosamente l'inviolabile sigillo sacramentale, ma anche
nell'evitare qualsiasi allusione a quanto appreso nel segreto della confessione;
e) usino normalmente l'abito liturgico per manifestare anche in questo modo che si tratta di una vera e propria celebrazione
sacramentale.
§ 1. Il luogo della celebrazione della penitenza è normalmente la chiesa, dove si riunisce la comunità.
§ 2. La sede della celebrazione sia dignitosa, funzionale e di comodo accesso. In ogni modo, deve essere munita anche di una grata,
onde permettere la confessione in modo anonimo: i fedeli infatti hanno il diritto di scegliere questo tipo di confessione(13). Coloro che
preferiscono confessarsi in modo palese devono sceglierlo espressamente.
§ 1. Al fine di garantire ai fedeli una reale possibilità di confessarsi, è necessario assicurare loro una reale presenza di confessori.
Pertanto:
a) almeno nelle chiese parrocchiali, si stabiliscano gli orari per le confessioni e si portino a conoscenza dei fedeli anche con
l'affissione di avvisi (cf cost. 60, § 3, a); si tenga conto delle esigenze dei fedeli e in particolare si dia loro la possibilità di confessarsi al sabato
e alla vigilia delle festività, per una più intensa preparazione alla messa domenicale o festiva;
b) nei centri maggiormente abitati, o almeno in ogni decanato, ci sia una chiesa in cui la presenza di confessori sia più frequente,
anzi possibilmente continua, specialmente in certi giorni della settimana; questo impegno non venga lasciato esclusivamente all'iniziativa del
sacerdote responsabile della chiesa, ma coinvolga tutti i presbiteri (diocesani e religiosi) del luogo, come espressione del programma pastorale
decanale;
c) nei santuari particolarmente frequentati e soprattutto in quelli con una consistente comunità di sacerdoti sia, comunque, sempre
presente un confessore;
d) oltre al capitolo della cattedrale, anche quelli collegiali garantiscano una maggiore disponibilità di confessori, di cui uno ricopra la
figura di canonico penitenziere(14) e sia perciò particolarmente qualificato per il ministero della confessione.
§ 2. I fedeli siano abituati a non confessarsi durante la messa. Ogni celebrazione liturgica, infatti, richiede una partecipazione attiva e
quindi esclusiva, così che ad essa non debbano sovrapporsi altre celebrazioni o devozioni. A tale abitudine i fedeli siano condotti con paziente
persuasione, piuttosto che esclusivamente per disciplina.
La facoltà per amministrare il sacramento della penitenza, che è da intendersi come un vincolo di comunione con il Vescovo, viene
conferita ai presbiteri, salvo quanto previsto per la concessione vi officii(15), in base alle seguenti disposizioni:
a) ai presbiteri diocesani, la cui idoneità risulti a norma del can. 970, la facoltà di confessione viene conferita dapprima per un
quinquennio. Con la prima domenica di avvento successiva al quinto anno di ordinazione, sentiti i vicari episcopali competenti e il rettore
dell'Istituto sacerdotale Maria Immacolata, tale facoltà viene concessa ad beneplacitum;
b) ai presbiteri secolari extradiocesani la facoltà viene di norma conferita dall'Ordinario della diocesi di incardinazione. Per i
presbiteri membri di istituti religiosi o di società di vita apostolica ci si riferisca all'apposita normativa(16). A norma del can. 967, § 2, i
sacerdoti extradiocesani e religiosi possono essere ammessi a esercitare in diocesi il ministero della confessione, purché si ritenga
prudentemente che essi abbiano la facoltà dall'Ordinario di incardinazione o di domicilio. In caso di dubbio, si richieda un documento
attestante la facoltà;
c) ai parroci, ai presbiteri religiosi superiori provinciali e locali, ai rettori dei santuari è concessa la facoltà non suddelegabile di
rimettere la censura per il caso di aborto(17). I presbiteri che non hanno tale facoltà possono assolvere dalla suddetta censura solo nel caso
previsto dal can. 1357 ("caso urgente")(18).
§ 1. La comunità cristiana riconosce nella malattia un momento molto delicato per la stessa vita di fede. Inoltre, impara a riconoscere
il suo Signore nel volto sofferente del malato (cf Mt 25,31-46). Si accosta con delicatezza al malato per aiutarlo a vivere il tempo della malattia
come partecipazione alla Pasqua, come momento di fede, di speranza e di carità, occasione di continua conversione.
§ 2. E' quindi indispensabile valorizzare la visita al malato in casa o all'ospedale ed entrare in un dialogo di conoscenza, di fiducia e
di preghiera con lui e con i suoi familiari. Questo dovere riguarda i presbiteri, in particolare per quanto riguarda il sacramento dell'unzione; ma
opportunamente si estende anche alle religiose e ai laici preparati, amici o vicini alla persona malata e al suo ambiente familiare. A tale scopo
appare necessario creare una sensibilità diffusa attraverso le forme ordinarie della predicazione e della catechesi, in modo che i parrocchiani
possano informare la parrocchia circa i casi di malattia che meritano un'attenzione della comunità tutta e creino le condizioni per una proficua
visita del presbitero al malato.
I malati, credenti o non credenti, oltre il servizio pastorale, interpellano la carità di tutta la comunità in ordine alle loro necessità. Nel
venire incontro a queste situazioni di bisogno, si ponga attenzione a non confondere agli occhi del malato le due forme di servizio così che egli
non si senta in ogni caso obbligato a compiere dei gesti religiosi da lui non richiesti.
§ 3. Nel contesto della pastorale dei malati (cf costt. 247-259), particolare attenzione va data ai sacramenti destinati agli infermi: la
comunione eucaristica, la penitenza, l'unzione degli infermi.
Ai malati, sia degenti nella propria casa, sia in strutture sanitarie, va offerta l'opportunità di ricevere frequentemente la comunione
eucaristica. Pertanto, ogni parrocchia e ogni cappellania (cf cost. 254), secondo la necessità, abbia un numero sufficiente di ministri
straordinari della comunione eucaristica (cf cost. 54, § 2, f), che, oltre ai presbiteri e ai diaconi, si prestino per questo prezioso ministero a
favore dei malati. Venga convenientemente da loro utilizzato, per il rito ambrosiano, il sussidio La comunione eucaristica ai malati data da un
ministro straordinario.
In casi prolungati di infermità il parroco valuti l'opportunità di celebrare o di far celebrare la messa in casa del malato. Altri
presbiteri che fossero invitati a celebrare nella casa di un infermo avvertano sempre il parroco.
§ 4. I presbiteri rispondano con particolare sollecitudine alla richiesta da parte di malati di accostarsi al sacramento della penitenza e
siano loro stessi a proporre con una certa frequenza tale sacramento soprattutto ai malati, che ricevono regolarmente la comunione eucaristica,
anche ad opera di ministri straordinari.
§ 1. L'unzione degli infermi conferisce la grazia del conforto, della pace e del coraggio per superare le difficoltà fisiche, morali e
spirituali, connesse con lo stato di malattia grave o di debolezza nella vecchiaia. E' un dono dello Spirito santo che salva e solleva il malato,
rinnovando in lui la fiducia in Dio, fortificandolo contro la tentazione di scoraggiamento o di disperazione e liberandolo, se è necessario, dai
suoi peccati; in questo modo contribuisce anche alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini.
§ 2. L'unzione degli infermi è vera e propria celebrazione liturgica, sia che abbia luogo in casa, all'ospedale o in chiesa, per un solo
malato o per un gruppo di infermi. E' compito del presbitero celebrante utilizzare con sapienza celebrativa le possibilità pastorali e lo spazio di
creatività che offre il nuovo sussidio liturgico per le comunità di rito ambrosiano I Sacramenti per gli infermi.
§ 3. Nelle chiese parrocchiali, nei santuari, nelle cappelle di ospedali, di cliniche e di case di riposo, è opportuno che
questo sacramento sia amministrato in forma comunitaria alcune volte durante l'anno, soprattutto in occasione della Giornata dell'ammalato. E'
da evitare tuttavia che tale sacramento sia amministrato a persone che sono soltanto anziane, ma non vivono una condizione di malattia che in
qualche modo prefiguri il declino della vita e a persone che hanno malattie non gravi.
§ 1. Il significato della morte si rivela alla luce del mistero pasquale di Cristo; per questo la Chiesa guarda con materna fiducia alla
morte di un suo figlio, prega per lui e lo sostiene perché porti a compimento il cammino di fede iniziato con il battesimo e possa arrivare alla
piena comunione con Dio.
§ 2. La morte, tuttavia, sembra non aver più spazio nella città moderna. Perfino la casa sembra diventata troppo piccola per ospitare
un avvenimento così sproporzionato come la morte. L'uomo d'oggi ha difficoltà a misurarsi con un evento che lo interpella così profondamente
e radicalmente.
La comunità cristiana, nata dalla vittoria del Signore sulla morte, non può però rassegnarsi a questa censura preventiva della morte
nelle città e nelle case, e cercherà quindi di educare instancabilmente al senso cristiano della morte e alla speranza della vita beata.
§ 3. Nella catechesi non si trascuri di sottolineare, quale vero sacramento dei moribondi, il viatico; in particolare si educhi la
comunità cristiana perché il presbitero o gli altri ministri a ciò abilitati(20) vengano chiamati per tempo al capezzale dei moribondi, per la
celebrazione del viatico e per le ultime preghiere prima della morte.
§ 4. I presbiteri e i loro collaboratori dedicheranno particolare attenzione all'incontro con i familiari del defunto, offrendo umana
solidarietà al loro dolore e donando il conforto della Parola del Signore. Il parroco ricerchi sempre l'incontro personale con i familiari del
defunto che chiedono il funerale cristiano, al fine di conoscere la situazione e di individuare le forme pastoralmente più opportune per la
celebrazione dei funerali.
Si raccomanda la veglia funebre nella casa del defunto, quale preghiera di suffragio e quale gesto di condivisione del dolore da parte
della comunità cristiana. Qualora non fosse possibile celebrare la veglia in casa, si valuti l'opportunità di mettere a disposizione una cappella o
un altro luogo della parrocchia. Questi momenti di preghiera e di annuncio pasquale possono essere animati da laici predisposti e preparati per
questo ministero.
83. La celebrazione del funerale
§ 1. Le modalità concrete con cui viene preparato e celebrato il rito del funerale sono occasione propizia per annunziare a molti il
Vangelo della speranza cristiana. Queste modalità devono esprimere il coinvolgimento della comunità cristiana nel dramma della vita e della
morte, la sua comprensione delle condizioni in cui si trovano i familiari del defunto, la sua fede nella Pasqua del Signore e la sua attenzione
pastorale ai presenti al rito.
§ 2. Le esequie siano di norma celebrate nella parrocchia del defunto o in quella in cui è avvenuta la morte. Tuttavia è consentito
scegliere un'altra chiesa per motivate ragioni familiari e pastorali. In questo caso il presbitero che celebra il rito esequiale si preoccupi di
informare la parrocchia del defunto(21).
§ 3. Momento celebrativo principale è l'accoglienza del defunto nella chiesa parrocchiale. Il corteo funebre, dalla casa del defunto
alla chiesa, conserva il suo significato solo dove è possibile rispettare la sua natura di vera processione; richiede il dovuto raccoglimento e
clima di preghiera. Nei grandi centri urbani, in accordo con il Comune, il corteo potrà essere omesso. In questo caso il presbitero o il diacono,
se possibile, sia presente nella casa del defunto per i riti di inizio.
§ 4. La celebrazione delle esequie, che normalmente comporta la celebrazione dell'Eucaristia, sia uguale per tutti (senza pretendere
tariffe e lasciando ai fedeli libertà di offerte per le necessità della Chiesa) e si svolga in modo che risulti, attraverso la preghiera e il canto, un
fraterno saluto ed un corale suffragio a chi ha lasciato la sua comunità. Durante la celebrazione non si raccolgano offerte per nessun motivo.
Quando le circostanze lo richiedessero, si proponga ai familiari e si concordi con loro la celebrazione del funerale senza la messa.
§ 5. L'omelia commenti i testi biblici e liturgici, illustri il significato cristiano della morte e renda grazie a Dio per il bene operato
nella vita dei fratelli e delle sorelle, di cui si celebrano le esequie.
§ 6. Eventuali interventi di parenti e di amici nella celebrazione del funerale siano sempre concordati con il parroco e formulati come
preghiera da aggiungere alle litanie dei santi in forma di intercessione, oppure dopo la Comunione come preghiera di ringraziamento. Gli
eventuali interventi commemorativi invece siano tenuti al termine del rito esequiale, dopo la benedizione e fuori dalla chiesa.
§ 7. In assenza dell'accompagnamento del defunto dalla chiesa al cimitero, si provveda ad ampliare il rito di congedo
accompagnando la salma alla porta della chiesa.
§ 8. La sepoltura per inumazione è da preferirsi; in caso di cremazione - ammessa secondo le condizioni previste dal can. 1176, § 3 -
il rito del funerale venga celebrato prima della cremazione stessa. A cremazione avvenuta si potrà celebrare solo la messa di suffragio; tuttavia
sia accolta l'eventuale richiesta di benedizione delle ceneri quando vengono riposte nel sepolcro.
§ 9. Il parroco e il rettore della chiesa dove sono state celebrate le esequie ecclesiastiche sono tenuti a farne la registrazione nei libri
dei defunti(22) e hanno l'obbligo di trasmettere alla curia i duplicati secondo le modalità stabilite dagli uffici competenti.
§ 1. Particolare attenzione sia riservata al problema della celebrazione dei funerali religiosi di quei fedeli che, morti in una situazione
ecclesiale irregolare, non hanno dato, prima della morte, alcun segno di pentimento. La normativa canonica vigente distingue tra il caso di
coloro che “sono notoriamente apostati, eretici, scismatici” e di quanti “scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede
cristiana” e il caso dei cosiddetti “peccatori manifesti” (can. 1184, § 1).
a) Quando ci si trova con certezza nel primo caso citato, le esequie ecclesiastiche non possono essere celebrate.
b) Nel caso dei cosiddetti peccatori manifesti, invece, le esequie ecclesiastiche vanno negate solo quando non è possibile concederle
senza pubblico scandalo dei fedeli. Tale scandalo può e deve essere evitato se si tiene presente che il senso del funerale cristiano non è una
approvazione data dalla Chiesa alla vita condotta dal defunto, ma consiste propriamente nel ringraziare il Signore per il dono del battesimo a
lui concesso, nell'implorazione della misericordia di Dio su di lui, nella professione di fede nella risurrezione e nella vita eterna,
nell'invocazione per tutti, e in particolare per i familiari, della consolazione e della speranza cristiane.
Se, valutate tutte le circostanze, permane qualche dubbio circa l'opportunità di concedere la celebrazione dei funerali religiosi, si
consulti l'Ordinario del luogo e si stia alle sue indicazioni(23).
c) In ogni caso, non si proceda alla celebrazione delle esequie se risulta con certezza una precedente esplicita opposizione alla stessa,
da parte del defunto.
§ 2. Alla luce dei principi sopra esposti e delle indicazioni dei vescovi italiani(24), la celebrazione del rito delle esequie, in
particolare, non va vietata ai fedeli che si trovano in una situazione coniugale irregolare; i pastori illustrino il significato di tale funerale
soprattutto ai parenti e ne concordino con loro le modalità celebrative, agendo con intelligenza e discrezione.
§ 3. Nel caso di suicidi si abbia cura di presentare il funerale come forma di preghiera per il defunto, di conforto della Chiesa verso i
familiari e di comprensione verso le contingenze concrete che provocarono la morte; lo stile sereno e controllato della celebrazione sarà spesso
una implicita catechesi sulla necessità di attendere la morte dalla volontà misteriosa di Dio.
§ 1. I fedeli siano educati a riscoprire il significato del suffragio cristiano e a viverlo nelle forme più opportune. Tra queste va
ricordata la lodevole consuetudine di chiedere la celebrazione dell'Eucaristia per i propri defunti, anche se occorre richiamare che essa è
celebrata sempre per tutta la Chiesa e per tutta l'umanità. I loro nomi siano indicati nel calendario settimanale e richiamati eventualmente
durante la preghiera dei fedeli nelle messe feriali, il cui formulario sarà quello delle messe del giorno e non dei defunti. Il nome del defunto sia
ricordato nella preghiera eucaristica solo in occasione del suo funerale. Nelle domeniche e feste di precetto, non siano previste a livello
parrocchiale celebrazioni eucaristiche con l'intenzione per singoli defunti; nelle domeniche, tuttavia, la comunità cristiana può lodevolmente
ricordare i nomi delle persone morte durante la settimana nella preghiera dei fedeli.
§ 2. I cosiddetti uffici dei defunti sono soppressi. Le celebrazioni di suffragio previste nel Rito delle esequie siano lodevolmente
proposte come celebrazioni a sé stanti. Si eviti, quindi, di aggiungerle abitualmente alla messa, che è la preghiera di suffragio per eccellenza.
Tuttavia, affinché la comunità si soffermi più esplicitamente a ricordare i fratelli defunti e a pregare per loro, le stesse celebrazioni di suffragio
si possono compiere lodevolmente al termine dell'Eucaristia nelle ricorrenze (annuali, mensili) che riguardano la comunità parrocchiale nel suo
insieme. In questi casi lo stesso formulario della messa potrà essere opportunamente scelto tra quello per i defunti.
§ 1. La Chiesa ambrosiana celebra, legittimamente e per antichissima tradizione, la sacra liturgia secondo il rito ambrosiano; è dote
che distingue la nostra Chiesa, ne costituisce la fisionomia spirituale e, in molti aspetti, caratterizza l'azione pastorale.
La riforma della liturgia ambrosiana, avviata con il Vaticano II, verrà quindi portata a compimento, con l'edizione dei libri liturgici
ancora mancanti e con la revisione di quelli già promulgati (in particolare il lezionario che è ancora ad experimentum), con speciale attenzione
ai problemi del linguaggio.
§ 2. La Chiesa ambrosiana, riproponendo le norme riguardanti le celebrazioni nel rito suo proprio, chiede di comprenderne lo spirito,
di continuarne l'approfondimento storico e di suscitare interesse per una sua costante e rinnovata incisività pastorale. Di conseguenza:
a) la celebrazione della liturgia secondo il rito ambrosiano è obbligatoria in tutte le parrocchie, anche in quelle affidate ai religiosi, in
quanto componente essenziale del loro inserimento nella tradizione diocesana. Fanno eccezione quelle parti della diocesi che per motivi storici
seguono legittimamente il rito romano;
b) in segno di comunione con la tradizione liturgica della Chiesa particolare, le associazioni e i movimenti laicali presenti in diocesi
sono tenuti a seguire il rito ambrosiano; le chiese aperte al pubblico tenute da religiosi e le comunità di vita consacrata sono invitate a
osservarlo;
c) chi celebra in rito ambrosiano è tenuto a usare i libri liturgici legittimamente promulgati.
§ 1. Primo responsabile della vita liturgica della diocesi è l'Arcivescovo. Egli si avvale della collaborazione della Congregazione del
rito ambrosiano, quale organismo competente a garantirne la permanenza e a promuoverne l'aggiornamento. L'Ufficio per il culto divino e
l'Ufficio per la disciplina dei sacramenti coadiuvano l'Arcivescovo nell'ambito pastorale ed operativo.
§ 2. La complessità delle forme e dei ministeri, che la vita liturgica assume nell'azione pastorale delle comunità, e la varietà delle
situazioni che ad essa si presentano richiedono che l'Ufficio per il culto divino svolga il compito di sicuro punto di riferimento della pastorale
liturgica diocesana, si affermi come laboratorio liturgico per sussidi e pubblicazioni che siano di aiuto alle parrocchie e soprattutto sia il centro
propulsore della formazione liturgica dei vari operatori pastorali (ad esempio scuole per animatori, convegni, iniziative di diffusione e
conoscenza delle premesse dei libri liturgici).
§ 3. Ogni parroco ha la responsabilità ultima della vita liturgica nella sua comunità e farà del suo meglio per promuoverla,
coadiuvato dagli altri presbiteri e avvalendosi della collaborazione del gruppo liturgico e di tutti gli altri operatori della liturgia.
§ 1. Il lavoro di formazione liturgica, secondo modalità e strumenti operativi capaci di coinvolgere l'intera comunità, deve essere
decisamente ripreso. E' stato l'aspetto più carente negli scorsi decenni della riforma liturgica: infatti, alle novità rituali non si sono
accompagnati altrettanti sforzi per far maturare nelle comunità atteggiamenti e disposizioni capaci di coinvolgerle in una vera esperienza di
vita liturgica. Tale formazione richiede l'istruzione sui riti, ma soprattutto la conoscenza della spiritualità del popolo di Dio e l'educazione a
celebrare in pienezza, sia traducendo nell'esistenza quotidiana quanto viene celebrato, sia assumendo nella celebrazione quanto viene vissuto.
§ 2. Le comunità sono chiamate a inserire le diverse iniziative di formazione liturgica in un vero e proprio progetto, destinato a
coinvolgere non solo alcuni fedeli, ma tutta intera la comunità. Tale progetto dovrà articolarsi secondo due versanti:
a) la formazione "attraverso" la celebrazione liturgica stessa, secondo la nota pedagogia che a celebrare ci si educa celebrando; così
da aiutare la sapienza celebrativa secondo quanto è stato detto e stabilito in queste norme sinodali;
b) la formazione "prima" e "dopo" la celebrazione liturgica, sia promuovendo un più stretto rapporto tra ministero della Parola, della
liturgia e della carità, sia intervenendo sui fenomeni culturali che hanno generato la tipica disaffezione moderna per ogni dimensione rituale-
simbolica dell'esperienza umana, mediante la cura di un positivo rapporto tra liturgia e arte, liturgia e musica, liturgia e comunicazione in
genere (cf cost. 600).
§ 1. Alcune priorità riguardano il progetto di formazione liturgica che dovrà interessare la diocesi e le sue diverse articolazioni:
a) la formazione liturgica implica innanzitutto la conoscenza della Parola di Dio offerta dalle sacre Scritture. E' necessario
promuovere la familiarità di tutto il popolo di Dio, pastori e fedeli, con le sacre Scritture, perché di esse possa nutrirsi la predicazione e la
meditazione. In questo modo il cammino della Parola che si svolge lungo tutto l'anno liturgico con le sue feste e i suoi tempi costituirà la prima
scuola di formazione permanente per tutta la comunità;
b) alla formazione liturgica compete poi l'iniziazione al celebrare. E' celebrare "ricordando", facendo memoria dell'opera di salvezza
che è all'origine dell'esperienza cristiana; è celebrare "pregando comunitariamente" come comunità riunita, ciascuno con i suoi doni o carismi;
è celebrare "guardando", leggendo attraverso il segno e il simbolo la realtà del mistero a cui attingere; è, infine, un celebrare "coinvolgendo" la
persona con tutte le sue potenzialità.
§ 2. Luogo per eccellenza di questa particolare forma educativa è il rito, che conferisce forma al rapporto dell'uomo con il mistero e
impegna la libertà di chi celebra a riconoscere la realtà salvifica presente in esso. Il rito diventa anche simbolo di tutto ciò che nell'esperienza
religiosa ed umana è evocativo di gratuità, di bellezza, di gioia e di festa, fino alla dimensione contemplativa dell'esistenza.
§ 3. A sostegno dell'opera di formazione liturgica è opportuno stabilire alcuni momenti e forme di verifica del percorso svolto:
annuale revisione delle iniziative liturgiche, dei sussidi predisposti e del loro accoglimento nella comunità, per mezzo del consiglio pastorale,
del gruppo di animazione liturgica e degli organismi di pastorale giovanile.
§ 1. I fanciulli vivono anni caratterizzati dall'accostamento ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, perciò la loro è l'età propizia per
una prima formazione liturgica. In questo periodo essi cominciano a sperimentare le prime difficoltà nella pratica della vita cristiana, a partire
dall'Eucaristia domenicale. E' urgente pertanto promuovere esperienze liturgiche che coinvolgano i fanciulli e consentano loro di incontrarsi
con il mistero di Cristo e con la vita della comunità cristiana(25).
§ 2. Sarà necessario agire secondo un preciso progetto educativo, da attuare in modo progressivo e sistematico. Esso comporti le
seguenti sottolineature:
a) un'adeguata e puntuale catechesi liturgica che valorizzi quanto offrono i catechismi per questa età. Nella catechesi si dia spazio
adeguato alla spiegazione dei segni, dei simboli e dei riti della liturgia e si prevedano celebrazioni particolari, per educare alla dimensione
simbolica, gestuale e comunitaria della liturgia. Soprattutto si educhi attraverso un retto e coinvolgente celebrare;
b) le assemblee festive devono diventare più accoglienti e gioiose, accessibili anche ai fanciulli che vi si recano con la famiglia,
senza banalizzare l'azione liturgica o celebrare un'Eucaristia solo per loro;
c) l'educazione liturgica ed eucaristica deve essere inserita nel contesto di tutta l'azione pastorale verso i fanciulli. Educatori e
catechisti si adoperino, in particolare, perché i fanciulli facciano esperienza di quei valori umani che sono sottesi alla celebrazione eucaristica:
accoglienza, saluto, perdono, capacità di ascolto, lode e ringraziamento, dimensione comunitaria. A quest'opera educativa sono chiamate in
particolare le famiglie con la loro testimonianza.
Nel periodo dell'adolescenza e della giovinezza, durante il quale le esperienze precedenti passano al vaglio delle scelte individuali, la
formazione liturgica, inserita nel cammino di riscoperta della fede, necessita di aggregazioni coinvolgenti, di mediazioni propositive che
aiutino i giovani ad accogliere gradualmente il dono di Dio. In particolare:
a) in questo contesto evolutivo si comprende l'opportunità di valorizzare innanzitutto il momento della catechesi e le sue
sottolineature liturgiche, ispirandosi ai catechismi della Conferenza episcopale italiana per i preadolescenti, per gli adolescenti e per i giovani;
b) le celebrazioni particolari per gruppi di adolescenti e di giovani durante l'anno liturgico sono momenti fondamentali per
sperimentare, anche tramite un servizio di animazione liturgica svolto direttamente da loro, l'incontro con il Signore, la sua Parola e la
fraternità cristiana. Si favorisca la partecipazione attiva sollecitando interventi spontanei in un clima di amicizia e di condivisione;
c) l'educazione liturgica mira soprattutto a portare i giovani, quali discepoli di Gesù, ad avere un rapporto personale con Lui. Alla
maturazione del cammino personale concorrono non poco esperienze prolungate di preghiera nei ritiri ed esercizi spirituali, in comunità
monastiche o case di preghiera.
§ 1. Ogni comunità ecclesiale è chiamata a diventare soggetto di una celebrazione viva e partecipata, ciascuno secondo il proprio
dono e carisma. Al raggiungimento di tale obiettivo concorre la formazione liturgica permanente della pastorale ordinaria.
§ 2. Alla formazione e all'esercizio dei vari ministeri liturgici si provveda con specifiche iniziative a livello diocesano e parrocchiale;
l'obiettivo da raggiungere è che ogni parrocchia disponga di un numero sufficiente e preparato di collaboratori nel ministero liturgico (cf cost.
54). In particolare:
a) la diocesi incrementerà le iniziative di formazione, soprattutto nell'ambito delle scuole per operatori pastorali;
b) per i futuri presbiteri e diaconi il seminario sia luogo privilegiato di formazione liturgica;
c) l'educazione a conoscere e ad amare lo specifico patrimonio liturgico della Chiesa ambrosiana, per mezzo dello studio e attraverso
la quotidiana esperienza di celebrazione e di ministero nelle parrocchie, costituisca un momento forte di questa formazione.
§ 1. Il canto e la musica sono una forma eminente di educazione e di partecipazione alla liturgia. In questi anni si è creato e
moltiplicato in diocesi un vasto, anche se alquanto disorganico, repertorio di canti per la liturgia. Si è pure verificato un certo squilibrio tra
assemblea e schola cantorum, diverso da parrocchia a parrocchia.
§ 2. A comporre in armonioso equilibrio assemblea e schola, liturgia e musica, contribuisce la consapevolezza della natura
ministeriale della musica e la coerenza tra testo e musica, tra canto e rito. La qualità del canto e della musica nella liturgia si manifesta infatti
nella sua stretta e inscindibile connessione con la parola biblica e rituale. Inoltre i testi e la musica destinati al canto devono possedere
particolari qualità di armonia con la liturgia in cui sono usati. Esemplari per tale aspetto sono i testi dei libri liturgici direttamente impiegati nel
canto.
§ 3. E' necessario quindi promuovere l'educazione musicale delle nostre assemblee liturgiche. In particolare:
a) le scholae cantorum, da favorire in ogni parrocchia, siano a servizio della partecipazione di tutta l'assemblea e non sostitutive di
essa;.
b) si curi la formazione liturgica e la competenza musicale degli animatori mediante incontri e scuole permanenti a diversi livelli
formativi e territoriali. Oltre all'attività del Pontificio istituto di musica sacra, a livello diocesano si incrementino le scuole per organisti,
strumentisti, direttori di coro e animatori musicali per la liturgia, curando nel contempo la competenza musicale e la formazione liturgica;
c) nel patrimonio liturgico riveste parte rilevante il canto ambrosiano, la cui conoscenza, soprattutto dal punto di vista contenutistico,
musicale ed esecutivo non deve essere trascurata. In tal senso sono chiamati a svolgere un ruolo esemplare la cattedrale e la basilica di S.
Ambrogio, nonché i monasteri delle Romite dell'Ordine di S. Ambrogio ad Nemus. E' bene che in ogni parrocchia sia proposto e usato un
repertorio accessibile di canti ambrosiani;
d) si incrementi l'uso di libri appositamente preparati dalla diocesi, come il Cantemus Domino, che propongono un repertorio
comune di canti e ne offrono una scelta secondo i criteri della pertinenza liturgica e del valore testuale. Si tenda quindi ad una significativa
omogeneità musicale in tutta la diocesi;
e) nel settore degli strumenti musicali si privilegi l'uso dell'organo a canne, che tradizionalmente offre “notevole splendore”
all'azione sacra(26); si potranno usare anche altri strumenti secondo il tipo di assemblea e di celebrazione liturgica, a discrezione del
responsabile della chiesa, tenuto conto delle direttive della Chiesa su questo argomento. Durante la celebrazione non è consentito l'uso di
musica registrata(27);
f) i concerti nelle chiese e altri momenti o iniziative di elevazione musicale nelle stesse, siano svolti nel rispetto delle vigenti
disposizioni ecclesiali(28).
§ 1. L'arte, con il suo linguaggio di bellezza e di poesia, conferisce indubbio valore alla liturgia. Compito dell'arte nella liturgia -
architettura, immagini, paramenti - è quello di accompagnare il mistero che si celebra lungo l'anno liturgico, per mezzo dell'introduzione di
elementi simbolici.
§ 2. Lo svolgersi dell'anno liturgico nei suoi diversi e concreti tempi liturgici, feste e stagioni, può essere inoltre richiamato anche
dalla cura dell'edificio della chiesa, e in particolare dell'aula dell'assemblea in cui si celebra, e quindi dall'arredo, dalle immagini e dai colori
liturgici, dai fiori e dai segni di festa o di penitenza.
§ 3. In nome di una pretesa semplicità della liturgia e della povertà, in questi anni ha prevalso qua e là una ingiustificata spoliazione
dei riti, delle vesti e dell'arredo liturgico. La celebrazione richiede invece di essere accompagnata da gesti ed elementi simbolici, che siano in
grado di alimentare la capacità della fede di influire su tutta la persona e aiutare così la partecipazione sempre più attiva dei fedeli alla
celebrazione liturgica.
§ 4. Questo compito può essere più agevole nel caso della costruzione di nuove chiese, dove spazi, immagini e figure possono essere
progettati con il concorso di artisti e di artigiani di sicura qualità. Appare più difficile fare questo nell'opera di restauro e di adattamento di
vecchie chiese, di spazi e di immagini, alle esigenze della liturgia e alle nuove sensibilità.
§ 5. E' necessario quindi promuovere in ogni parrocchia la conoscenza del proprio patrimonio storico-artistico, nella sua consistenza
e rilevanza ai fini di un suo pertinente adattamento e utilizzo pastorale. E' opportuno per questo avvalersi della collaborazione delle
competenze degli uffici predisposti a questo scopo (Ufficio per il culto divino, Ufficio nuove chiese, Commissione diocesana per l'arte sacra)
oltre che degli enti civili preposti alla conservazione dei beni monumentali e artistici.
Capitolo 3.
PAROLA E LITURGIA NELL'INIZIAZIONE CRISTIANA
§ 1. Diventare cristiano richiede un'iniziazione, cioè un cammino con diverse tappe: l'annuncio della Parola, l'accoglienza del
Vangelo che provoca la conversione, la professione di fede, il battesimo, l'effusione dello Spirito santo nella confermazione, la prima
Comunione eucaristica e infine il tempo della mistagogia, cioè il tempo di una più piena e fruttuosa intelligenza dei misteri attraverso la
partecipazione ai sacramenti e all'esperienza della vita cristiana.
§ 2. Fino ad anni recenti il cammino dell'iniziazione cristiana riguardava, nella nostra diocesi, con qualche rarissima eccezione, i
bambini fin dai primi giorni di vita e i fanciulli. Tale itinerario era voluto e sostenuto dalle famiglie, oltre che dalle parrocchie, ed era favorito
da un quadro socioculturale caratterizzato dalla presenza di valori cristiani. In questo contesto non era necessario prevedere iniziative
specifiche destinate ai vari momenti dell'iniziazione, se non la catechesi, per un tempo non prolungato, prima della ricezione dei sacramenti
della confermazione e della prima Comunione.
§ 3. Il mutato contesto socioculturale, caratterizzato dalla secolarizzazione che ha investito anche le famiglie di matrice cristiana, e la
crescente presenza nel territorio della diocesi di persone non battezzate, spinge oggi a studiare e attuare specifici itinerari di iniziazione
cristiana, comprendendo quanto già viene fatto in questa direzione sia nei cammini catechetici rivolti ai fanciulli, in cui vengono inseriti i
sacramenti della confermazione e della Comunione, sia nelle iniziative della pastorale giovanile destinate a far maturare la coscienza cristiana
dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che hanno concluso il cammino sacramentale dell'iniziazione da fanciulli (ad esempio, la
professione di fede).
§ 1. Per aiutare le comunità cristiane a impostare in modo corretto ed efficace gli itinerari previsti per l'iniziazione cristiana,
soprattutto il cammino di catecumenato degli adulti non battezzati, o che hanno ricevuto solo il battesimo, e quello dei fanciulli in età scolare
non ancora battezzati, viene istituita un'apposita struttura denominata Servizio diocesano per il catecumenato.
§ 2. Esso avrà come compito:
a) la conoscenza della situazione;
b) l'avvio di nuove esperienze ai diversi livelli (parrocchie, decanati, zone pastorali);
c) la predisposizione di strumenti e sussidi;
d) la verifica e l'approfondimento di quanto si sta operando.
§ 1. L'iniziazione cristiana degli adulti si configura come un processo globale che porta a diventare cristiani. In tale processo
momenti celebrativi, momenti catechetici e momenti esperienziali sono tra loro correlati. L'iniziazione cristiana degli adulti ha come soggetto
l'intera comunità credente alla quale il Signore dona nuovi figli. Guida fondamentale è il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, che
prevede un vero e proprio catecumenato articolato in momenti catechistici e rituali strettamente legati alla vita e ai tempi liturgici della
comunità.
§ 2. All'interno del cammino di iniziazione cristiana degli adulti il ruolo del ministero della Parola è particolarmente rilevante nei
primi due tempi previsti dal rito: il precatecumenato e il catecumenato vero e proprio. La fase del precatecumenato si caratterizza come
momento dell'evangelizzazione: nel dialogo accogliente e amichevole, condotto da sacerdoti e da fedeli preparati, colui che si avvicina alla
fede cristiana viene aiutato a conoscere il Signore e il suo Vangelo, per iniziare un cammino di autentica conversione. Durante il catecumenato
“un'opportuna catechesi (...), disposta per gradi e presentata integralmente, adattata all'anno liturgico e fondata sulle celebrazioni della Parola,
porta i catecumeni non solo a una conveniente conoscenza dei dogmi e dei precetti, ma anche all'intima conoscenza del mistero della salvezza,
di cui desiderano l'applicazione a se stessi”(1).
§ 3. Le celebrazioni liturgiche stabilite dal Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti vanno proposte ai catecumeni, e alla comunità
cristiana che li accompagna, come tappe di un reale e progressivo cammino di iniziazione e non come una serie di atti puramente rituali. Si
deve prestare particolare attenzione al legame con l'anno liturgico e con la concreta vita della comunità parrocchiale in cui i catecumeni si
stanno inserendo. Nel caso, tuttora più frequente, dell'iniziazione cristiana di un singolo adulto, si consulti il Servizio diocesano per il
catecumenato in vista di un opportuno adattamento dei tempi e dei riti dell'iniziazione, come previsto dallo stesso libro liturgico.
§ 4. L'iniziazione cristiana degli adulti è compito di tutti i battezzati, soprattutto nella fase del precatecumenato. Richiede comunque
alcuni ministeri (ad esempio i catechisti degli adulti non battezzati, i "garanti" e i padrini)(2). Tali ministeri vanno fatti sorgere, a seconda delle
necessità, nelle diverse comunità parrocchiali o, almeno, a livello di decanato. Anche in questo ambito sarà opportuno attenersi alle indicazioni
che verranno offerte dal Servizio diocesano.
§ 1. Non è infrequente il caso di adulti che hanno ricevuto il battesimo da bambini e, talvolta, anche la prima Comunione, ma non
hanno poi ricevuto la confermazione. Si tratta di cristiani che, oltre a non aver completato l'iniziazione sacramentale e il corrispondente
cammino catechetico, hanno il più delle volte accostato solo occasionalmente e superficialmente la vita della comunità cristiana. L'azione
pastorale deve quindi mirare a una preparazione agli specifici sacramenti e anche ad aiutare la persona a diventare adulta nella fede, con una
vita cristiana più coerente e con l'inserimento in una concreta comunità.
§ 2. Perché ciò si realizzi, ci si attenga alle disposizioni del cap. IV del Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti e alle indicazioni
del Servizio diocesano.
In particolare:
a) gli adulti che si preparano alla confermazione o alla prima Comunione eucaristica, siano accompagnati da catechisti adulti
appositamente preparati e siano invitati a partecipare a momenti di incontro con gruppi di adulti della parrocchia;
b) i giovani che devono completare il cammino di iniziazione vengano sostenuti dall'amicizia e dalla testimonianza cristiana dei loro
coetanei dei gruppi giovanili parrocchiali;
c) il padrino o la madrina di chi riceve il sacramento della confermazione sia opportunamente la persona, in genere il catechista, che
ha accompagnato il cammino del confermando.
§ 3. Il parroco presti particolare attenzione a coloro che domandano la confermazione in vista del matrimonio. L'imminenza di
questo sacramento non deve portare a una preparazione insufficiente o affrettata al sacramento della confermazione. In casi eccezionali, tenuto
presente quanto disposto dal can. 1065, § 1, sarà opportuno rinviare il conferimento della confermazione, impegnando i nubendi interessati a
un successivo cammino di preparazione. Nell'una o nell'altra ipotesi, può essere opportuno che si incarichino della preparazione al sacramento
della confermazione le stesse coppie che guidano i fidanzati nella preparazione al matrimonio e che con loro stabiliscono un legame di
conoscenza e di accogliente familiarità. Particolare attenzione va comunque data ai nubendi che vivessero situazioni particolari (conviventi,
sposati solo civilmente), desiderosi di completare l'iniziazione prima del matrimonio. In questi casi è opportuno consultare il Servizio
diocesano.
§ 4. La celebrazione della confermazione per gli adulti avvenga normalmente a livello di decanato o, almeno, di zona pastorale. Al
vicario episcopale di zona spetta, d'intesa con i decani, programmare il calendario delle celebrazioni. Ogni candidato sia presentato dal proprio
parroco mediante un attestato di avvenuta preparazione. Nell'opportunità di procedere alla celebrazione della confermazione prima del
matrimonio, il parroco può chiedere all'Arcivescovo, tramite il competente ufficio, la facoltà di amministrarla, in deroga a quanto disposto
nella cost. 109, § 4.
§ 1. L'iniziazione cristiana dei bambini e dei fanciulli va considerata come un itinerario educativo unitario che, a partire dal
battesimo, attraverso le tappe fondamentali della ricezione del sacramento della confermazione e della prima partecipazione all'Eucaristia, li
porta a diventare adulti discepoli di Cristo, partecipi del cammino del popolo di Dio. Anche per loro, come per quella degli adulti, l'iniziazione
cristiana non può essere quindi limitata alla sola ricezione dei tre sacramenti, ma esige la partecipazione a itinerari catechetici, l'attuazione
delle prime esperienze di vita cristiana e il progressivo inserimento nella comunità(3).
§ 2. Anche nel cammino dell'iniziazione cristiana i genitori rimangono i primi responsabili dell'educazione dei figli, con e nella
comunità, coadiuvati in particolare dai presbiteri e diaconi, dai catechisti e dalle catechiste.
§ 3. Ai genitori spetta, in particolare, la scelta del battesimo per i loro figli e quindi la conseguente scelta di avviarli al compimento
della loro iniziazione cristiana mediante la catechesi e la celebrazione dei sacramenti della confermazione e dell'Eucaristia. Perché i genitori
possano compiere con adeguata consapevolezza tale scelta e possano poi far seguire ad essa comportamenti educativi conseguenti, appare
indispensabile una precisa iniziativa della comunità cristiana nei loro confronti. Ordinariamente, la comunità interessata è la parrocchia.
§ 4. Una specifica attenzione pastorale va riservata ai genitori che chiedono per i loro figli il battesimo o la confermazione e la
Comunione, pur vivendo in una situazione matrimoniale irregolare. Ci si attenga, nell'affrontare con accogliente disponibilità i singoli casi,
alle indicazioni dei vescovi italiani(4).
§ 1. La Chiesa ha sempre ritenuto che i bambini non debbano essere privati del battesimo. Per questo lo amministra già nei
primissimi giorni di vita, perché si rallegra della fede dei genitori e confida nell'azione della grazia di Dio che dona la fede. Esprime nel
contempo preoccupazione di fronte alla richiesta di quei genitori che non lasciano trasparire alcun esempio di vita cristiana e tuttavia si rende
disponibile per accompagnare il cammino di chi voglia recuperare il senso della propria fede e del battesimo ricevuto. Anche il battesimo di un
bambino è domandato alla Chiesa; domandare il battesimo è domandare la Chiesa: significa cercarla, entrare a far parte della sua vita, esservi
iniziati.
§ 2. In tal senso vanno perciò valutate e promosse le condizioni di fede e di disponibilità di chi chiede il battesimo. In particolare è
necessario verificare e promuovere, tenendo conto delle eventuali necessarie supplenze, le garanzie di educazione cristiana. Tali garanzie sono
solitamente offerte da un ambiente familiare capace di aiutare il battezzato a ratificare personalmente la fede e dalle strutture educative della
comunità cristiana. A questo scopo, sono chiamati a intervenire innanzitutto i genitori cristiani e, talora, un altro membro della famiglia,
oppure figure e strutture di accompagnamento proposte dalla comunità dei fedeli. E' importante perciò porre attenzione alle diverse situazioni e
tipologie di genitori e di famiglie (ad esempio genitori lontani dalla fede o in situazioni irregolari).
102. I genitori e la loro preparazione
§ 1. Per accogliere e valutare la domanda del battesimo presentata dai genitori e per prepararli alla celebrazione del sacramento, ogni
comunità parrocchiale predisponga un itinerario che preveda tre tipi di incontri, da articolare in più momenti: con il parroco, con i catechisti e
con la comunità.
§ 2. Uno o più incontri del parroco con i genitori di ciascun bambino sono destinati al discernimento delle varie situazioni e alla
verifica della fondata speranza di un'educazione cristiana dei battezzandi: i genitori vanno aiutati a prendere coscienza delle loro responsabilità
e a riflettere sulla correlazione tra la richiesta del sacramento, le loro convinzioni religiose e le loro scelte di vita.
§ 3. Un'altra serie di incontri è destinata a una adeguata catechesi dei genitori in preparazione al battesimo dei figli. Essa va condotta
da catechisti specificamente preparati e va strutturata in modo da essere di aiuto ai genitori, in particolare ai non praticanti, nel cammino di
riscoperta della loro fede e del loro stesso rapporto con la Chiesa e la concreta vita della comunità cristiana. E' necessario che almeno alcuni
incontri tra catechisti e genitori siano riservati alla singola coppia, anche, se possibile, presso la loro abitazione.
§ 4. E', infine, da incoraggiare qualche forma di incontro dei genitori con la comunità parrocchiale durante una messa domenicale, in
cui i genitori presentino alla comunità i loro bambini che riceveranno il battesimo.
§ 1. Nel cammino di preparazione al battesimo deve essere coinvolto, con modalità appropriate, anche il padrino o la madrina. Si
tratta di un fedele che “amplia, in senso spirituale, la famiglia del battezzando e rappresenta la Chiesa nel suo compito di madre”(5),
rendendosi disponibile a collaborare alla crescita cristiana del bambino. Il ruolo del padrino e della madrina implica pertanto l'assunzione di
tale impegno, e non è riducibile alla sola funzione liturgica. Andrà quindi scelta una persona idonea e preparata.
§ 2. Il padrino o la madrina, scelto secondo i criteri descritti, sia presentato al parroco dai genitori che ne garantiscono l'idoneità
secondo le norme canoniche.
§ 3. La persona che di fronte alla Chiesa si fa garante dell'educazione cristiana del bambino, in sostituzione o in aiuto dei genitori nei
casi sopra indicati (cf cost. 101, § 2), sia scelta come padrino o madrina.
§ 1. Se ogni prospettiva di educazione cristiana appare esclusa, il battesimo non può essere celebrato e va quindi differito. Tuttavia,
prima di rimandare il sacramento, si aiutino i genitori a comprendere l'incoerenza della loro richiesta; inoltre, nelle forme più opportune, si
avviino contatti pastorali capaci di portare in futuro alla domanda del battesimo.
§ 2. Si prevedano forme di aiuto e accompagnamento anche per quei genitori che, in contrasto con la disciplina ecclesiastica
attuale(6), intendessero differire il battesimo dei loro figli. Si ascoltino le loro motivazioni per poterli seguire ulteriormente nell'azione
pastorale.
§ 1. La celebrazione del battesimo avvenga in forma comunitaria e si svolga preferibilmente in domenica. La sua connessione con
l'Eucaristia, sempre durante una messa d'orario, può essere opportuna solo se si intende coinvolgere in modo significativo la comunità. E'
importante che la celebrazione e la preparazione al battesimo sia in sintonia con la vita e i tempi della comunità cristiana, cioè con l'anno
liturgico. Nel programmare la celebrazione del battesimo andranno quindi privilegiate le solennità qualificate da un carattere battesimale:
Veglia pasquale, giorno di Pasqua e di Pentecoste, Epifania, festa del Battesimo di Gesù. Altri momenti liturgici, come ad esempio le
domeniche di quaresima e il Natale del Signore, non sono adatti per la celebrazione del battesimo.
§ 2. Il battesimo dei bambini sia celebrato nella chiesa parrocchiale dove i genitori hanno il domicilio(7). Dalla normativa canonica,
oltre alla possibilità del battesimo presso abitazioni private in caso di necessità o di grave causa(8), sono previste però due eccezioni:
a) per giusta causa, la celebrazione in un'altra chiesa parrocchiale(9). Esempi di giusta causa sono: la famiglia del bambino si è
trasferita temporaneamente o, per giusti motivi, è attivamente inserita in una parrocchia diversa da quella del domicilio; i genitori prevedono di
trasferire il domicilio in altra parrocchia e in questa chiedono di battezzare il bambino;
b) in caso di necessità o per altra ragione pastorale cogente, la celebrazione nella chiesa o nella cappella degli ospedali o delle
cliniche(10). Esempi di caso di necessità o di altra ragione pastorale cogente sono: l'eventuale malattia del bambino, lo stato di salute della
madre, particolari difficoltà sollevate al conferimento del battesimo da parte dell'ambiente familiare.
§ 3. Nei casi sopra elencati, la richiesta di battesimo fuori parrocchia sia responsabilmente valutata dal parroco o dal cappellano a cui
i genitori si sono rivolti: egli deve assicurarsi della dovuta preparazione, o provvedere alla stessa, e deve avvertire in precedenza il parroco
competente e, per quanto è possibile, concordare con lui la soluzione pastorale più attenta alla concreta situazione.
§ 1. Il battesimo sia registrato sul libro dei battesimi della parrocchia, o della cappellania ospedaliera dove è stato amministrato. In
questo secondo caso, il cappellano comunichi l'avvenuta celebrazione al parroco del domicilio dei genitori solo a fini pastorali: il battesimo,
infatti, non deve essere registrato una seconda volta in parrocchia, essendo sufficiente la registrazione nel libro dei battesimi della cappellania.
Il parroco o il cappellano sono responsabili di questa registrazione, anche in riferimento alle annotazioni successive al battesimo, come è
previsto dalla normativa canonica(11). Si ricorda l'obbligo del segreto d'ufficio nel custodire i registri e nel compilare e rilasciare i certificati
del battesimo(12). I certificati dovranno essere firmati dal parroco o dal cappellano e rilasciati sotto la sua responsabilità.
§ 2. Il parroco o il cappellano dell'ospedale o della clinica hanno l'obbligo di trasmettere alla curia i duplicati degli atti di battesimo
secondo le modalità stabilite dai competenti uffici.
§ 1. E' importante, in continuità con il cammino di preparazione dei genitori al battesimo e con le garanzie di educazione cristiana
date all'atto del battesimo, adoperarsi per tenere vivo il rapporto con la comunità cristiana mediante opportune iniziative pastorali. Si eviterà
così che si crei un vuoto di attenzione per i bambini e le loro famiglie da parte della comunità cristiana tra il momento della celebrazione del
battesimo e quello della preparazione agli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana.
§ 2. Iniziative in tal senso possono essere: incontri durante l'anno, anche presso le singole famiglie a scadenze regolari, su temi
suggeriti dal catechismo dei bambini, opportunamente regalato ai genitori in occasione del battesimo dei figli, tenuti da catechisti per adulti
specificatamente preparati; festa di anniversario del battesimo per tutti i bambini battezzati nell'anno; invito alla messa domenicale e invio di
sussidi per la preghiera in famiglia. A questo scopo si studino e si promuovano forme di collaborazione tra le famiglie, orientando anche in
questo senso la pastorale delle giovani coppie.
§ 3. La presenza nell'ambito parrocchiale di una scuola materna, gestita dalla parrocchia o da un istituto religioso, può rivelarsi uno
strumento particolarmente utile per mantenere i contatti tra genitori e parrocchia e per accompagnare il cammino di educazione cristiana dei
bambini nei loro primi anni di vita.
§ 1. Per i battezzati in età infantile il completamento dell'iniziazione cristiana consiste in un cammino educativo che porta ad essere
adulti nella fede e inseriti nella comunità cristiana. Tale itinerario prevede una specifica catechesi e iniziative di progressiva partecipazione alla
vita della comunità. All'interno di tale cammino si collocano i sacramenti della confermazione e della prima Comunione. Sono quindi da
correggere quei modi di pensare, e le conseguenti scelte pastorali, secondo cui l'iniziazione cristiana dei fanciulli, consisterebbe solo nella
catechesi e questa soltanto per la preparazione ai sacramenti.
§ 2. Spetta a ogni comunità parrocchiale, preferibilmente in coordinamento con le parrocchie vicine, organizzare, all'interno del
progetto di pastorale giovanile (cf cost. 206), l'itinerario catechetico, con le corrispondenti iniziative di inserimento nella comunità cristiana, e
stabilire i tempi di celebrazione del sacramento della confermazione e della messa di prima Comunione. Vanno previsti almeno due bienni e di
norma verso il termine di ciascuno di essi va collocata la celebrazione dei due sacramenti, tenendo comunque conto della disposizione
pastorale della Conferenza episcopale italiana: “l'età da richiedere per il conferimento della Cresima è quella dei 12 anni circa”(13).
Si seguano le indicazioni date dalla Conferenza episcopale italiana nei suoi catechismi, già strutturati su bienni catechistici e non
inscindibilmente legati alla celebrazione dei due sacramenti.
L'ambiente in cui ordinariamente si svolge la catechesi in età scolare, in collaborazione con le famiglie, è l'oratorio, nel cui ambito i
ragazzi sono chiamati a proseguire la loro formazione cristiana anche dopo l'ammissione ai sacramenti dell'iniziazione.
§ 3. Tenendo conto che l'età scolare è contesto imprescindibile del cammino educativo di ogni ragazzo, l'itinerario di iniziazione
cristiana dovrà farvi riferimento per essere accessibile a tutti, nonostante il rischio di automatismo o di conformismo da parte delle famiglie dei
ragazzi. Di conseguenza, l'itinerario catechetico e l'età di ammissione ai sacramenti saranno, di regola, comuni per tutti i ragazzi.
I genitori, il parroco e i catechisti potranno tuttavia valutare, in un clima di serena collaborazione, se in singoli casi ricorrano precise
circostanze, tali da raccomandare come opportuno - e, in casi estremi, espressamente richiedere - un rinvio o anche un anticipo
dell'ammissione. Qualora non si tratti di singoli casi, ma si presentino situazioni che interessano più ragazzi, può essere necessario prevedere
stabilmente anche cammini catechistici differenziati.
Devono essere, in ogni caso, decisamente scoraggiati quei rinvii che siano suggeriti da considerazioni estranee al processo di crescita
cristiana dei ragazzi stessi, come ad esempio celebrare insieme la prima Comunione di più fratelli di età diversa, aspettare una data in cui
possano essere presenti i parenti lontani, o quella in cui si possa organizzare una festa più solenne, celebrare al proprio paese di origine, e
simili.
§ 4. Per favorire il cammino di fede all'interno della comunità parrocchiale, la parrocchia stessa sia il luogo in cui avviene il
cammino catechetico in età scolare e la celebrazione del sacramento della confermazione e della messa di prima Comunione. Anche quando,
per motivi eccezionali, verificati in un confronto tra la famiglia e il parroco, si scelga che la preparazione avvenga fuori da un ambito
parrocchiale, la celebrazione dei sacramenti sia tenuta comunque in parrocchia. In tale circostanza si prevedano opportuni incontri e
celebrazioni liturgiche di preparazione prossima. Si faccia sempre in modo che i fanciulli non perdano il riferimento con la loro comunità
parrocchiale, dove saranno chiamati, anche dopo il completamento dell'iniziazione sacramentale, a proseguire il loro cammino verso una fede
adulta.
§ 5. L'itinerario di iniziazione in età scolare ha come soggetto l'intera comunità parrocchiale, che agisce, anzitutto, attraverso i
catechisti e gli altri educatori (cf costt. 36; 235). Al suo interno hanno però un ruolo particolare i genitori dei fanciulli, per la loro irrinunciabile
responsabilità, anche nell'ambito dell'educazione alla fede. Nella programmazione dell'itinerario parrocchiale essi andranno, pertanto, coinvolti
con opportune iniziative, sia per coordinare l'azione catechetica verso i ragazzi, sia per favorire la crescita della fede degli stessi genitori. Va
data particolare attenzione ai genitori che non hanno partecipato alla catechesi di preparazione al battesimo e che non partecipano a iniziative
di catechesi per adulti. Per loro si preveda un congruo numero di incontri catechistici, preferibilmente da iniziare già prima che cominci la
catechesi dei figli. Si programmino contenuti e modalità di tali incontri, in modo che essi davvero servano a risvegliare nei genitori la fede
personale e la consapevolezza dei compiti, che la fede stessa propone alla loro responsabilità di educatori.
In tutti i genitori dovrà essere particolarmente alimentata la consapevolezza dello stretto nesso che deve sussistere tra la catechesi e
le forme dell'educazione cristiana in famiglia; siano anche a loro suggerite le forme più opportune, nelle quali realizzare un accompagnamento
domestico del catechismo.
§ 1. La celebrazione della cresima, che conferma la trasformazione iniziata con il battesimo, costituisce, con questo sacramento e
l'Eucaristia, vertice dell'iniziazione cristiana, un tutto unitario.
§ 2. E' opportuno che la celebrazione, programmata secondo quanto stabilito al § 2 della cost. 108, sia collocata in una data scelta
lungo tutto l'anno liturgico, evitando tuttavia i tempi di avvento e quaresima. Si possono valorizzare giorni significativi per la parrocchia, come
quello della festa patronale. Per gli aspetti celebrativi ci si attenga alle indicazioni diocesane.
§ 3. Per sottolineare la continuità di impegno assunto per la vita di fede del ragazzo, è conveniente che il padrino o la madrina sia la
stessa persona che ebbe questo compito nel battesimo. Se ciò non fosse possibile, è auspicabile che, dovendo assumere la fisionomia di guida
spirituale specialmente nel difficile passaggio dalla preadolescenza alla giovinezza, il padrino o la madrina sia una persona seriamente
credente e significativa per il ragazzo, ad esempio un educatore della comunità, che possa diventare per lui un reale punto di riferimento.
Atteso il ruolo di sostegno all'opera dei genitori, il padrino e la madrina siano persone diverse dai genitori, secondo quanto disposto dallo
stesso Codice di diritto canonico(14). Il padrino o la madrina è, di norma, presentato al parroco dai genitori, che ne garantiscono l'idoneità
secondo le norme canoniche.
§ 4. Tenendo conto della vastità della diocesi e della necessità di garantire una regolare celebrazione del sacramento della
confermazione nelle diverse parrocchie, oltre ai vescovi, hanno facoltà di amministrarlo i presbiteri che fanno parte del consiglio episcopale e
il vicario giudiziale. Il vicario episcopale di zona ha mandato speciale per delegare tale facoltà ai decani, per le parrocchie del loro decanato, in
singoli casi, in assenza dei ministri suddetti. Tale norma vale anche per la confermazione degli adulti. In caso di necessità si provvederà a
norma del can. 884.
§ 5. Fra i libri parrocchiali vi sia anche il Libro delle cresime(15), dove il parroco annoterà tutte le celebrazioni di cresime
amministrate nell'ambito del territorio parrocchiale. Egli inoltre dovrà informare dell'avvenuta celebrazione del sacramento della
confermazione il parroco o il cappellano del luogo dove il cresimato è stato battezzato, perché questi provveda alla relativa annotazione nel
Libro dei battesimi.
§ 1. Momento sacramentale centrale del cammino di iniziazione cristiana è la messa di prima Comunione. I fanciulli già battezzati
che hanno raggiunto l'uso di ragione siano perciò ammessi, sotto la responsabilità del parroco, alla Comunione eucaristica, dopo adeguata
preparazione, secondo le disposizioni del Codice di diritto canonico(16). I genitori che, unitamente al parroco sono responsabili
dell'iniziazione dei fanciulli all'Eucaristia, siano coinvolti nel cammino catechetico e nella preparazione liturgica alla messa di prima
Comunione.
§ 2. Anche per questa tappa del cammino di fede e di formazione alla vita cristiana dei fanciulli, nell'ambito della vita e dei tempi
liturgici della comunità cristiana, è da prevedere un'adeguata correlazione del momento celebrativo con quelli catechetici, nel contesto delle
feste e dei tempi dell'anno liturgico.
La messa di prima Comunione abbia luogo in domenica, preferibilmente in una domenica del tempo pasquale per sottolineare un più
evidente rapporto con la Pasqua, di cui l'Eucaristia è il sacramento permanente. Atteso il carattere memoriale della passione, morte e
resurrezione del Triduo Pasquale, di cui la messa in Cena Domini è introduzione, non è conveniente far coincidere con questa la stessa messa
di prima Comunione.
§ 3. L'ammissione all'Eucaristia di un battezzato in età infantile richiede una preparazione, dalla quale non è da escludere anche una
certa dimensione penitenziale. In conformità con quanto disposto dalla legge universale della Chiesa(17), prima di accostarsi all'Eucaristia i
fanciulli devono ricevere il sacramento della penitenza.
“La prima celebrazione di questo sacramento sia preparata con un cammino di catechesi che aiuti i fanciulli a prendere coscienza del
loro battesimo e a disporsi mediante la purezza del cuore alla piena comunione con Cristo nel Mistero eucaristico. Non è bene che l'intervallo
tra la prima confessione e la messa di prima Comunione sia di immediata successione o di prolungata separazione. E' molto conveniente
programmare la celebrazione della prima confessione durante un tempo "forte" dell'anno liturgico (avvento o quaresima), mentre tutta la
comunità cristiana è chiamata a impegnarsi maggiormente nella penitenza e nella riconciliazione”(18). L'educazione alla penitenza
sacramentale, alla quale occorrerà esortare i fanciulli ad accostarsi con frequenza, è parte del cammino verso la Comunione eucaristica con il
Signore, orientando ad entrare in prima persona nel cammino penitenziale di tutta la Chiesa e a riscoprire la centralità dell'Eucaristia nella
propria esistenza cristiana.
§ 4. Per una corretta celebrazione della messa di prima Comunione si tengano presenti alcuni aspetti:
a) nella stessa celebrazione o nei giorni che la precedono si dia risalto alla rinnovazione dei voti battesimali, che opportunamente
avrà luogo al battistero;
b) si curi che la celebrazione avvenga in un clima di raccoglimento e di decorosa sobrietà quanto all'apparato esterno(19);
c) gli abiti dei neo-comunicandi siano semplici, meglio se normali o uguali per tutti;
d) i genitori e i parenti non si accostino alla Comunione con i fanciulli, ma liberamente con gli altri fedeli.
§ 5. Si raccomanda che in ogni parrocchia ci sia il registro delle prime Comunioni(20).
§ 1. Con la ricezione dei tre sacramenti del battesimo, della confermazione, dell'Eucaristia, non si chiude il periodo dell'iniziazione
cristiana, per il fatto che ragazzi e adolescenti devono ancora crescere verso un'adesione di fede più consapevole, una vita cristiana più matura,
un inserimento definitivo e responsabile nella comunità cristiana adulta.
§ 2. Le parrocchie elaborino un progetto educativo per ragazzi, adolescenti e giovani, tenendo conto delle indicazioni offerte a livello
diocesano circa la pastorale giovanile, partendo dalle disposizioni sinodali dedicate ad essa e all'oratorio (cf costt. 188-241), considerando che
quest'ultimo costituisce l'ambito naturale della maturazione della fede del ragazzo e del giovane.
§ 3. Andrà particolarmente curata la programmazione e l'attuazione di uno specifico itinerario del dopo-cresima, che richieda
l'impegno di adulti della parrocchia come qualificati accompagnatori di ciascun cresimato o gruppo di cresimati(21).
§ 1. Un fenomeno che si è presentato recentemente, con una certa frequenza, nelle nostre comunità parrocchiali e che,
presumibilmente, è destinato ad aumentare, è quello dei fanciulli che, non essendo stati battezzati da piccoli, chiedono il battesimo nell'età in
cui i loro coetanei incominciano o stanno già percorrendo l'itinerario di completamento dell'iniziazione cristiana. Spesso ciò avviene per
iniziativa dei loro genitori o di qualche membro della famiglia; ma talvolta accade per iniziativa degli stessi fanciulli interessati alla fede
cristiana anche dall'esempio dei loro compagni. Essi non si possono considerare come infanti o bambini, dal momento che sono già in grado di
avere una fede personale e di conoscere e attuare alcuni doveri morali; non possono però essere trattati da adulti vista la loro giovane età, che li
porta ancora a dipendere dai loro genitori e a non avere ancora una personalità indipendente e autonoma. E' necessario, pertanto, prevedere per
loro uno specifico cammino di iniziazione.
§ 2. Riferimento fondamentale per questa situazione sono le indicazioni del cap. V del Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, che
tratta dell'iniziazione cristiana dei fanciulli nell'età del catechismo; a esse occorre attenersi. Meritano di essere richiamati alcuni aspetti: la
necessità di un vero e proprio cammino di iniziazione, scandito anche da specifiche tappe rituali e non ridotto a una affrettata celebrazione del
battesimo; il riferimento ai genitori, che spesso devono essere invitati a percorrere un parallelo cammino di riscoperta della fede, partendo
dalla verifica delle motivazioni che li avevano portati a non richiedere il battesimo per il figlio infante; il collegamento con il gruppo di
catechesi formato dai coetanei; l'opportunità di celebrare insieme i tre sacramenti dell'iniziazione, quando i loro compagni già battezzati sono
ammessi alla confermazione o all'Eucaristia. Non andrà poi dimenticata, neppure per questa speciale categoria di iniziandi, l'attenzione
all'inserimento nella vita della concreta comunità parrocchiale e, vista la giovane età, in particolare nell'oratorio.
§ 3. Considerata la novità di questa situazione, che esige un attento studio dei diversi casi e la sperimentazione di nuovi cammini
pastorali, catechetici e liturgici, è necessario rivolgersi al Servizio diocesano per il catecumenato e stare alle sue indicazioni.
I. CHIESA E CARITÀ
§ 1. La Chiesa, consapevole che la carità è dono di Dio in Cristo, annuncia il Vangelo non solo con la parola della predicazione, ma
anche con la comunione fraterna e con le opere di tutti i suoi membri: considerando le opere buone dei discepoli, tutti gli uomini troveranno
motivo per rendere gloria al Padre (cf Mt 5,16).
§ 2. Buone davvero sono soltanto le opere della carità, perché “tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il
prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14). In tale senso, la carità deve essere considerata non solo come una tra le molte virtù del cristiano, ma
come quella suprema (cf 1 Cor 13,13). Attraverso le opere della carità il discepolo, da una parte, imita fedelmente l'opera del Maestro che ha
detto: “Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,15) e, dall'altra, partecipa nel modo più vero alla
missione della Chiesa di annunciare il Vangelo di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”
(Gv 13,35).
§ 1. In forza dello stretto legame che intercorre tra carità e testimonianza della fede, la pratica della carità in tutte le sue espressioni è
"lieta notizia", luogo e strumento di evangelizzazione. Di conseguenza, ogni comunità cristiana:
a) ponga particolare cura nel promuovere la qualità della vita quotidiana e dei rapporti fraterni tra i suoi membri, nella
consapevolezza che la sua missione evangelizzatrice si attua anzitutto attraverso la comunione dei discepoli;
b) promuova multiformi testimonianze di servizio, solidarietà, condivisione con i più deboli, vissute al suo interno e intorno a sé,
come vie privilegiate per un cammino di autentica evangelizzazione(1);
c) sostenga e valorizzi tutti coloro che sono impegnati in qualsiasi forma di servizio di carità, a cominciare dai diaconi, riconoscendo
in ciascuno di questi suoi membri una preziosa risorsa per l'annuncio del Vangelo.
§ 2. Anche la celebrazione dell'Eucaristia acquista il suo vero significato solo se si completa con le opere della carità: “dall'Eucaristia
scaturisce [infatti] un impegno preciso per la comunità cristiana che la celebra: testimoniare visibilmente, e nelle opere, il mistero di amore che
accoglie nella fede”(2).
§ 1. Espressione più immediata e chiara della carità operosa è l'unione fraterna (koinonia) di ciascun credente con tutti coloro che
professano la fede nell'unico Vangelo di Gesù. Essa è ricordata dal libro degli Atti tra le note qualificanti della comunità di Gerusalemme:
“Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). La
koinonia si manifesta più concretamente nella comunione dei beni materiali: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e
tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44-
45); e tuttavia essa non è costituita soltanto dalla condivisione dei beni materiali, ma si esprime anche mediante la comunione dei beni
spirituali, in una reciproca testimonianza della fede. Nel contempo si deve distinguere tra unione fraterna e sua espressione concreta mediante
la condivisione dei beni materiali: tale condivisione non è necessaria alla koinonia, anche se questa esige di manifestarsi nella vita ecclesiale in
qualche forma, adatta ai tempi e ai luoghi. L'importante per i cristiani è perseguire l'unione fraterna: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se
non quello di un amore vicendevole” (Rm 13,8).
§ 2. Il riconoscimento di tale "debito" nei confronti di coloro che sono fratelli nella fede sia coltivato in ogni discepolo del Signore.
Ciò appare tanto più urgente in un tempo come il nostro, nel quale una diffusa cultura induce i singoli a rinchiudersi in se stessi, ritirandosi
entro i confini della propria vita privata, anche per quello che riguarda la vita cristiana.
§ 3. Tutte le comunità cristiane avvertano con urgenza il compito di promuovere in ogni modo vincoli di carità fraterna tra i propri
membri, cercando le espressioni concrete che più si adattano alle circostanze in cui i fedeli vivono. In particolare, le parrocchie favoriscano
forme di aggregazione fraterna e momenti di vita comune, offrendo luoghi e occasioni adeguati, come per esempio quelli che seguono alle
celebrazioni liturgiche (cf cost. 153). Così la comunità potrà vivere rapporti più concreti di comunione dove tutti saranno capaci di dialogo e di
corresponsabilità.
§ 1. L'unione fraterna, prima ed essenziale espressione di una carità che evangelizza, oltre ai rapporti tra i singoli cristiani, riguarda
anche la relazione tra le diverse realtà ecclesiali. In questo senso, la pastorale d'insieme, lungi dall'essere solo un accorgimento di tipo
organizzativo, costituisce una manifestazione privilegiata e un'esigenza ineliminabile della carità.
§ 2. In particolare, al fine di realizzare sempre più un'autentica pastorale d'insieme:
a) la coscienza di appartenere all'unica Chiesa e il dovere di concorrere all'unica missione siano ben presenti e vengano
costantemente coltivati anche in ogni singola espressione della comunità ecclesiale, associazione, gruppo o movimento;
b) associazioni, gruppi, movimenti e servizi socio-assistenziali d'ispirazione cristiana partecipino alla pastorale ordinaria di
parrocchie e decanati; questi, a loro volta, favoriscano in tutti i modi una piena integrazione delle molteplici realtà nella medesima pastorale;
c) associazioni, gruppi e movimenti, inoltre, siano a conoscenza gli uni degli obiettivi degli altri, rispettando le diversità, portando
ognuno la ricchezza del proprio carisma, animati da fraterna carità, aperti alla collaborazione;
d) i pastori compiano, con chiarezza e sollecitudine, questo lavoro di composizione delle realtà presenti e siano testimoni di unità e
promotori di gesti di fraternità con tutti. A tal fine valorizzino gli organismi pastorali, in particolare i consigli pastorali e le caritas ai diversi
livelli;
e) le parrocchie, i decanati e gli altri soggetti ecclesiali, per favorire una reciproca conoscenza e osmosi, intensifichino interscambi e
rapporti interpersonali, utilizzando i mezzi di informazione parrocchiali e decanali e il lavoro dei consigli pastorali.
117. La carità come cura per il povero
§ 1. Fra le molte forme della carità assume un rilievo particolare la cura per il povero, cioè per colui che si trova in condizione di
bisogno, di assenza di beni, sia materiali sia spirituali, e che per tale condizione è in qualche misura diminuito nella sua dignità e quasi escluso
dalla vita degli altri.
§ 2. Secondo l'esplicito insegnamento del Maestro, in particolare nella parabola del buon samaritano (cf Lc 10,29-37), la condizione
di bisogno rende invece il povero - a prescindere da ogni considerazione relativa alla cultura e alla religione - prossimo a ciascuno di noi e
ciascuno di noi prossimo al povero e addirittura fa di lui la presenza stessa del Signore: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
§ 1. La carità verso il povero deve portare il cristiano a compiere opere in aiuto del povero (cf Gc 2,14-18). E' del tutto evidente che
ciò comporta l'aiuto di tipo materiale: procurare il cibo, il vestito, la casa, il lavoro, e così via. Ma la carità verso il povero non può consistere
soltanto in tale aiuto materiale; esige anche e soprattutto l'aiuto di tipo spirituale: il conforto nel dolore; la presenza nella solitudine; il
consiglio nel dubbio; il perdono a chi offende; la correzione a chi sbaglia; l'istruzione a chi ricerca la verità; la testimonianza della fede a tutti.
§ 2. Al di là dell'aiuto materiale o spirituale e, più ancora di questo, l'amore per il povero consiste nell'accoglierlo come persona,
inserendolo in una comunione di vita e di affetto. L'opera della carità deve produrre un vincolo personale: “Accogliere il povero, il malato, lo
straniero, il carcerato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi.
La carità è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un
gesto”(3).
§ 3. Nel promuovere in tutti i suoi membri le molteplici opere di misericordia, la comunità cristiana deve anzitutto porre al centro la
persona umana nella sua dignità di figlio di Dio e deve comprenderne le esigenze profonde, anche a procedere da una sapiente lettura di quei
bisogni ai quali le condizioni del territorio oppure del contesto culturale danno concreta forma.
§ 1. Affinché la comunità cristiana viva efficacemente la carità, sia come unione fraterna sia come aiuto al povero, e attraverso di
essa evangelizzi, è necessaria un'efficace formazione. In ciascun cristiano deve, quindi, essere coltivata la consapevolezza del fondamentale
impegno a edificare una comunità di amore fraterno e a tradurre in opere l'amore preferenziale per i poveri.
§ 2. All'interno della formazione ordinaria, dovranno essere promossi itinerari permanenti di educazione alla carità, che illustrino la
ricchezza della carità evangelica e valorizzino l'esperienza della diaconia. Dovranno essere insieme indicate le forme concrete di un
corrispondente impegno stabile. La pastorale vocazionale preveda più esplicitamente la proposta di dedicare la propria vita a servizio dei più
poveri. Esemplare in questa linea è la presenza e la testimonianza di servizio ecclesiale del diaconato. Sia promossa la peculiare formazione di
chi si dedica alle opere di carità anche attraverso le scuole per operatori pastorali.
§ 3. In tale opera formativa le comunità cristiane seguiranno in particolare le indicazioni degli orientamenti pastorali dell'episcopato
italiano per gli anni '90(4) e il programma pastorale dell'Arcivescovo sul tema della carità(5).
§ 1. La carità verso il povero è un'attività dei singoli fedeli ed è insieme un ministero della comunità in quanto tale. Tale ministero,
ampiamente attestato dalla tradizione cristiana di tutti i secoli, trova i propri inizi e i propri fondamenti già nella pratica delle comunità
apostoliche. Pensiamo in particolare all'istituzione dei “sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza”, ai quali è affidato il
“servizio delle mense” nella comunità di Gerusalemme (cf At 6,1-6); o ancora al rilievo che assume la “colletta in favore dei fratelli” nel
ministero di Paolo (cf 1 Cor 16,1-4; 2 Cor 8-9; Gal 2,10; Rm 15,26-28). Il servizio della Chiesa ai poveri, documentato nel Nuovo Testamento,
è costantemente attuato nella successiva storia della Chiesa e resta ancora oggi un ministero fondamentale delle comunità cristiane.
§ 2. Tuttavia, il servizio al povero solleva, nella nostra epoca, complessi problemi, connessi ai mutati rapporti tra Chiesa e comunità
civile. Mentre, infatti, nel passato, più o meno recente, la Chiesa attuava opere di beneficenza anche in supplenza della comunità civile, questa
ora interviene, come è suo compito, nei confronti delle situazioni di bisogno. E' opportuno riconoscere e affermare che, anche in una situazione
di intervento ottimale da parte della comunità civile, la Chiesa conserva il diritto-dovere di compiere proprie attività caritative. Si tratta di
stabilire rapporti di collaborazione tra le iniziative civili e quelle ecclesiastiche e curare che tale collaborazione, da una parte, non produca un
rischioso appiattimento delle forme cristiane della cura per il povero sui modelli di un generico servizio sociale e, dall'altra, non favorisca una
progressiva deresponsabilizzazione delle istituzioni civili nei confronti di chi vive in condizioni di povertà e disagio.
121. La parrocchia
§ 1. L'attenzione della Chiesa all'uomo nel bisogno deve realizzarsi anzitutto a livello di parrocchia quale figura di comunità
cristiana più facilmente accessibile a ogni persona. La parrocchia offre, per sua natura, particolari opportunità di conoscere la situazione di
bisogno dei singoli, di stabilire rapporti personali con essi, di favorire l'inserimento della persona in condizione di svantaggio - il malato,
l'anziano, il minore con problemi di disadattamento e così via - entro il contesto sociale nel quale egli vive.
§ 2. Ogni parrocchia dunque trovi e metta in atto i mezzi necessari per individuare le situazioni di bisogno presenti sul proprio
territorio al fine di attuare iniziative continuative e non occasionali di servizio ai più poveri. Nel vivere questo servizio ai poveri la parrocchia
non si limiti a sollevarli nelle loro necessità, ma attesti loro in tutti i modi un'accoglienza fraterna e li aiuti a prendere coscienza della loro
dignità. Riconosca pure la ricchezza spirituale che viene all'intera comunità, dalla consuetudine di accostare chi vive nel bisogno. La
partecipazione alle difficoltà e alle attese di chi è povero, malato o in qualsiasi altro modo bisognoso, diventi per tutti come una scuola alla
quale apprendere di nuovo e continuamente la verità del Vangelo di Gesù (cf Lc 4,18).
§ 3. Strumento prezioso per la cura del povero è il centro di ascolto. In esso la comunità cristiana, attraverso l'opera di alcuni fedeli,
rende quotidianamente visibile l'attenzione e la sollecitudine per i poveri. Ogni parrocchia e, nel caso questo sia impossibile, ogni decanato,
abbia il suo centro di ascolto per accogliere e ascoltare le persone in difficoltà e orientarle quindi verso le strutture ecclesiali o civili
competenti ad offrire il servizio richiesto di caso in caso.
§ 4. La singola parrocchia agisca in collaborazione con le altre parrocchie, attraverso coordinamenti ecclesiali di livelli più ampi
(soprattutto decanali); curi anche il rapporto di collaborazione con le istituzioni civili e in genere con tutte le iniziative presenti nel settore
dell'assistenza, nella consapevolezza di non poter bastare a se stessa.
§ 5. In particolare, ci sono oggi alcuni problemi che, per la loro gravità, esigono risposte qualificate e molto impegnative, per le quali
è necessaria una sinergia di risorse verso iniziative comuni. Pertanto in ogni decanato le parrocchie cerchino di accrescere la loro capacità di
attuare scelte coraggiose per dare vita a servizi innovativi attraverso la stretta collaborazione reciproca. Sarà così possibile realizzare segni
profetici e raccogliere la precisa sollecitazione venuta in tal senso dal convegno diocesano Farsi prossimo (Assago, 1986).
122. La famiglia
§ 1. “Nell'edificazione di una comunità ecclesiale unita nella carità e nella verità di Cristo, è fondamentale la testimonianza e la
missione della famiglia cristiana”(6). Alla famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio, viene infatti affidata la missione di
“custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo
Signore per la Chiesa sua Sposa”(7). La famiglia stessa, perciò, con il suo esistere e con la sua azione, incarna e manifesta il nesso strettissimo
che intercorre tra carità e annuncio del Vangelo: essa è strumento e luogo di evangelizzazione attraverso la carità ed è chiamata ad essere
soggetto promotore di carità al suo interno e intorno a sé (cf cost. 418).
§ 2. Ogni famiglia cristiana viva la sua responsabilità in ordine al ministero della carità:
a) dentro lo spazio domestico, coltivando rapporti di autentica comunione tra tutti, di accoglienza e riconoscimento di ciascuno, di
rinnovata socializzazione con chiunque e vivendo particolare attenzione verso i suoi membri più deboli: bambini, anziani, malati mentali,
disabili, disagiati;
b) nei più vasti rapporti intrafamiliari, sociali ed ecclesiali, mediante uno stile di solidarietà, di apertura e di accoglienza, che esprime
la pienezza del sacramento del matrimonio. Espressioni particolari di ciò potranno essere, ad esempio, anche mediante adeguate forme di
associazionismo: la difesa della vita, la vicinanza discreta e concreta alle famiglie in difficoltà, la disponibilità all'affido e all'adozione, la
partecipazione a varie forme di prevenzione e cura delle situazioni di disagio, l'assunzione diretta di responsabilità in ordine all'animazione
sociale e all'intervento politico.
§ 3. La comunità cristiana, per parte sua:
a) favorisca nella catechesi dei giovani, dei fidanzati e nei gruppi familiari la conoscenza di esperienze vive di autentica diaconia
vissuta da alcune famiglie;
b) curi con particolare attenzione la formazione delle famiglie cristiane, così che in ciascuna di esse i genitori siano per i loro figli i
primi educatori al Vangelo della carità, anche attraverso l'accoglienza e l'aiuto verso altre famiglie e soggetti deboli;
c) sia sempre attenta a promuovere nelle famiglie cristiane atteggiamenti di accoglienza e di apertura nei confronti di chi è nel
bisogno, tipici della vocazione cristiana della famiglia stessa;
d) sostenga quelle famiglie che hanno al proprio interno situazioni difficili e debbono talvolta vivere con grande fatica situazioni che
sono ai limiti dell'umana sopportabilità;
e) valorizzi le multiformi esperienze di famiglie aperte all'accoglienza, perché diventino testimonianza feconda per tutti, occasione di
riscoperta del valore della carità e fermento di nuove iniziative.
§ 1. La presenza e l'azione apostolica di tanti consacrati e consacrate che operano anche nella nostra Chiesa è una grande ricchezza
che va più efficacemente riconosciuta, valorizzata e proposta come vocazione, al fine di favorire una efficace testimonianza della carità
nell'opera di evangelizzazione(8).
§ 2. Vi sono nella Chiesa molti istituti dediti per loro originario carisma alle opere di assistenza. “In questi istituti l'azione apostolica
e caritativa rientra nella natura stessa della vita religiosa, in quanto costituisce un ministero sacro e un'opera particolare di carità, che sono stati
loro affidati dalla Chiesa e devono essere esercitati in suo nome”(9).
§ 3. Proseguendo l'opera già intrapresa, gli istituti di vita consacrata, fedeli al proprio carisma originario, si aprano con coraggio
profetico alle nuove urgenze, riconvertendo - dove sia necessario - le proprie strutture e i propri metodi per far fronte ai bisogni attuali dei
fratelli(10).
§ 4. Per la riorganizzazione delle opere è necessario un coordinamento fra gli istituti stessi perché:
a) siano evitate concentrazioni di opere sullo stesso territorio lasciando altre zone sprovviste di servizi rispondenti alle urgenze sia
ecclesiali sia sociali;
b) si conducano, a livello intercongregazionale, opere promosse a suo tempo da singoli istituti ora non più in grado di gestirle. Venga
inoltre favorito un rapporto di corresponsabilità tra istituti, decanati e parrocchie nel portare avanti iniziative e opere di carità sollecitate e
promosse dalla diocesi (cf cost. 470, § 3).
124. Il volontariato
§ 1. Le esperienze sempre più diffuse di volontariato sono un segno della costante vitalità della carità evangelica, da cui sono nate e
alimentate, e una forte testimonianza del servizio della nostra Chiesa nei confronti delle diverse forme di povertà.
§ 2. Pur apprezzando il valore anche della più piccola esperienza di volontariato, la comunità cristiana promuova forme continuative
e impegnative di volontariato, quali: l'anno di volontariato sociale per le ragazze, i periodi di volontariato internazionale, l'adesione, con
impegni precisi e costanti, a iniziative di carattere socio-caritativo.
§ 3. Partecipi dell'amore di Dio e consapevoli della significatività del tempo gratuitamente vissuto, i volontari e le volontarie:
a) portino speranza a chi è disperato, depresso, sfiduciato;
b) valorizzino la dignità della persona e la difendano là dove è conculcata;
c) scoprano, guidati dal realismo della carità, i bisogni della gente;
d) vivano l'opzione preferenziale per i poveri;
e) siano solleciti a intervenire là dove le istituzioni, sia pubbliche sia private, tardano a risolvere i problemi di chi è nel bisogno;
f) coniughino generosità ed impegno con professionalità e competenza così da essere forza di umanizzazione della società;
g) sappiano rapportarsi con le istituzioni sociali e collaborare con esse nella giustizia e cordialità per il bene della persona.
§ 1. Il realismo tenace, con cui la carità cerca il bene di ogni uomo, la impegna anche in campo sociale e politico(11).
Particolarmente oggi, nella nostra società complessa, la carità, se vuole essere vera, deve coniugare l'impegno personale, diretto e immediato,
con un intervento più vasto e articolato nelle strutture stesse della vita associata. Tale intervento deve vedere l'impegno e la responsabilità
soprattutto dei laici.
§ 2. E' necessario, anzitutto, realizzare forme di animazione sociale. Esse tendono a infondere una sensibilità umana nell'intera
società e nelle sue articolazioni e strutture, a sollecitare e sostenere un'attenzione più vera e cordiale ai diversi bisogni delle persone, a
individuare, progettare e proporre attività culturali, iniziative assistenziali e programmi economici che favoriscano l'accoglienza, l'inserimento
sociale e la crescita libera di tutti i membri della società.
§ 3. Insieme con l'animazione sociale, e in qualche modo sostenuta da questa, occorre che la forza della carità possa esprimersi anche
a livello più propriamente politico, nella convinzione che il buon andamento della vita sociale dipende molto dalla vivacità, dall'efficienza e
dalla correttezza del sistema politico. E', quindi, indispensabile che i cristiani, con le loro proposte e iniziative e con la scelta responsabile dei
legittimi rappresentanti nelle diverse istituzioni democratiche, si adoperino perché nella vita sociale, attraverso la mediazione del bene
comune, possano essere iscritti i valori del regno di Dio.
§ 4. In ogni comunità cristiana, perciò, in particolare mediante la predicazione e la catechesi, nella fedeltà a quanto proposto dalla
dottrina sociale della Chiesa, si formino i fedeli a vivere lo stretto rapporto che esiste tra carità e impegno politico: la politica, infatti, “è una
maniera esigente - ma non è la sola - di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri”(12).
§ 1. Caratteristica dell'azione politica è la cura per il bene comune, ossia per l'“insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le
quali gli uomini, la famiglia e le associazioni, possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della propria perfezione”(13). La
sempre rinnovata determinazione di queste condizioni nel mutare delle vicende sociali esige di essere necessariamente accompagnata e
sostenuta dalla conoscenza concreta dei bisogni via via emergenti: lo stare tra la gente e la prossimità alle persone socialmente più deboli non
possono che alimentare la capacità di discernimento politico e l'impegno e le scelte pratiche conseguenti.
§ 2. Nella logica appena richiamata, l'impegno caritativo cristiano, in particolare quello di volontariato sociale, lungi dall'essere
alternativo a quello sociopolitico, è e deve diventare sempre più, occasione privilegiata per la formazione dei cristiani a operare in tale ambito.
128. Rapporto con la società civile: cultura della legalità e obiezione di coscienza
§ 1. La prossimità evangelica agli ultimi, non può andare disgiunta in alcun modo da un rapporto con la società civile e con le sue
istituzioni. Tale rapporto non deve essere di estraneità e separazione, o peggio di ostilità e concorrenza; neppure deve essere di delega o di
presa di distanza rispetto ai diversi soggetti sociali e alle istituzioni pubbliche. Ispirato al Vangelo e illuminato dall'esercizio pratico della
prossimità agli ultimi, tale rapporto sia vissuto con responsabilità e competenza; all'occorrenza sia anche critico; nel contempo sia sempre
consapevole della necessità di ordinamenti civili per la società e, insieme, dei limiti che obiettivamente si impongono ad essi.
§ 2. L'impegno politico del cristiano (cf costt. 521-564) deve, in particolare, passare attraverso il riconoscimento del valore delle
istituzioni pubbliche e degli ordinamenti giuridici a cui esse presiedono. In questo senso è necessario che ciascuno maturi un'autentica cultura
della legalità.
§ 3. Nello stesso tempo il riconoscimento del valore imprescindibile degli ordinamenti giuridici della società e un'autentica cultura
della legalità, oggi soprattutto, esigono di discernere le situazioni nelle quali è necessario obbedire a Dio piuttosto che alle leggi dell'uomo,
fino a formulare obiezione di coscienza (cf cost. 551).
§ 4. Particolare attenzione si continui a riservare, soprattutto da parte della Caritas, a quei giovani che fanno la scelta dell'obiezione
di coscienza al servizio militare (cf cost. 557).
§ 1. “La Caritas ambrosiana è l'organismo pastorale istituito dall'Arcivescovo al fine di promuovere la testimonianza della carità
della comunità ecclesiale diocesana e delle comunità minori, specie parrocchiali, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo
integrale dell'uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. La Caritas
ambrosiana è lo strumento ufficiale della diocesi per la promozione e il coordinamento delle iniziative caritative e assistenziali, all'interno delle
altre specifiche competenze diocesane”(14).
§ 2. Compiti principali della Caritas ambrosiana sono:
a) coltivare nella comunità diocesana il senso della carità e anche l'impegno a tradurlo in interventi concreti; impegnarsi a fare in
modo che l'amore preferenziale per i poveri, esigenza intrinseca del Vangelo, sia un criterio di discernimento pastorale per tutta la pastorale
diocesana;
b) promuovere, sostenere ed armonizzare le caritas parrocchiali e decanali, assicurandone l'indirizzo pastorale, secondo le
indicazioni dell'Arcivescovo;
c) curare il coordinamento delle iniziative caritative e assistenziali, operando in collaborazione con gli altri uffici di pastorale
diocesana e con la Caritas italiana;
d) mantenere rapporti con le istituzioni civili preposte ad attività socio-assistenziali;
e) indire, organizzare e coordinare interventi nelle diverse situazioni di emergenza;
f) promuovere studi e ricerche su bisogni e risorse e favorire la formazione degli operatori pastorali della carità;
g) promuovere e sostenere il volontariato, specialmente se di iniziativa cristiana;
h) coltivare l'attenzione ai problemi dello sviluppo dei paesi del Terzo Mondo, e, quindi, promuovere le opere in suo favore; in
particolare con iniziative volte a favorire l'educazione alla pace e alla solidarietà tra i popoli e a promuovere l'obiezione di coscienza e l'Anno
di volontariato sociale, formando, in collaborazione con la pastorale giovanile e gli altri ambiti pastorali interessati, i giovani impegnati in
queste esperienze;
i) promuovere iniziative concrete rivolte a bisogni di particolare gravità, attivando servizi sperimentali come modello e profezia.
§ 3. Allo scopo di promuovere la conoscenza dei bisogni e delle problematiche presenti sul territorio diocesano, la Caritas si
provvede di un Osservatorio permanente; esso rileva in modo regolare, competente e sistematico la qualità dei bisogni e insieme delle risorse
pubbliche e private disponibili per dare risposta ad essi; individua quindi le iniziative opportune mediante le quali la Chiesa nelle sue diverse
articolazioni può integrare le realtà assistenziali già presenti, o rispettivamente coordinarne l'opera. Questo strumento si propone di favorire la
presenza premurosa della comunità cristiana alla vita quotidiana delle persone che abitano sul proprio territorio. Le comunità della diocesi,
soprattutto a livello decanale, utilizzino questo strumento anche per la rilevazione delle loro necessità particolari.
§ 1. In ogni decanato deve essere costituita la Caritas decanale che opererà in stretto collegamento con il decano e con il consiglio
pastorale decanale e in armonia di indirizzi con la Caritas ambrosiana. Per la sua composizione ci si riferisca alle indicazioni diocesane.
§ 2. Suoi compiti principali sono:
a) promuovere la nascita delle caritas parrocchiali e curare il loro coordinamento;
b) favorire il loro confronto con le diverse realtà che operano in decanato nel settore dell'assistenza, in armonia con i programmi
della Caritas ambrosiana;
c) curare la formazione degli operatori della pastorale della carità;
d) coordinare gli interventi a servizio delle diverse situazioni di povertà presenti nel decanato, soprattutto in riferimento a quei
bisogni che travalicano la dimensione parrocchiale, realizzando a tal fine studi e ricerche sui bisogni e sulle risorse del territorio, nel quadro
della programmazione pastorale unitaria ed in rapporto con le istituzioni civili.
§ 3. Le caritas decanali sono coordinate dai responsabili zonali caritas, onde favorire l'approfondimento di alcune tematiche
particolarmente gravi ed il collegamento con la Caritas ambrosiana.
§ 1. In ogni parrocchia il parroco istituisca la Caritas parrocchiale. Essa opererà in stretto collegamento con il consiglio pastorale
parrocchiale, con la Caritas decanale e in armonia di indirizzi con la Caritas ambrosiana. Per la sua composizione ci si riferisca alle indicazioni
diocesane.
§ 2. Suoi compiti principali sono:
a) sensibilizzare tutta la comunità alla pratica della carità; individuare percorsi formativi sulla carità in sintonia con il progetto
educativo complessivo della parrocchia ed in collaborazione con le commissioni catechetica e liturgica;
b) coordinare le diverse iniziative caritative della parrocchia; la Caritas parrocchiale, pur non identificandosi con tali iniziative, ne
promuove la nascita e ne accompagna l'attività, in modo che tutta la comunità cristiana sia impegnata nell'opera concreta della carità.
§ 1. La Chiesa, in quanto “è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano”(1), è realtà di comunione. Ciò caratterizza essenzialmente la vita e missione del popolo di Dio nel suo insieme, ma anche la
condizione e l'azione di ciascun fedele.
§ 2. La Chiesa è popolo di Dio in cui tutti i fedeli, in virtù del battesimo, hanno la stessa uguaglianza nella dignità e nell'agire,
partecipando all'edificazione del Corpo di Cristo secondo la condizione e i compiti di ciascuno. Esiste, quindi, una reale corresponsabilità di
tutti i fedeli nella vita e nella missione della Chiesa, perché ognuno partecipa nel modo che gli è proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e
regale di Cristo.
§ 3. Il fatto che la Chiesa sia popolo di Dio, chiamato a essere realtà di comunione, in cui ogni battezzato è corresponsabile,
comporta alcune conseguenze che meritano di essere sottolineate per il momento attuale della vita della Chiesa:
a) ogni realtà in cui il popolo di Dio si articola e ogni struttura che in esso è presente si devono caratterizzare per essere realtà di
comunione e luoghi per l'esercizio della corresponsabilità dei battezzati;
b) ogni fedele deve sentirsi parte del popolo di Dio e chiamato a collaborare, secondo la propria vocazione, alla vita e alla missione
della Chiesa in comunione con tutti gli altri fedeli e a servizio della stessa comunione;
c) il ministero della presidenza presente nella Chiesa, si deve qualificare, in particolare, come servizio per la comunione tra tutti i
fedeli e come impegno a rendere consapevole ogni battezzato della sua chiamata a un'effettiva corresponsabilità nella vita e nella missione del
popolo di Dio;
d) all'edificazione della Chiesa, anche nella cooperazione alle funzioni che ne costituiscono il governo, devono essere chiamati a
partecipare tutti i fedeli, ciascuno secondo la propria vocazione e nelle forme precisate dalla disciplina ecclesiale.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, in quanto porzione del popolo di Dio e Chiesa particolare, in cui è veramente presente e operante la
Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica, si impegna a vivere con sempre maggiore profondità il duplice principio della comunione e
della corresponsabilità.
§ 2. In particolare vuole che tale principio connoti i vari ambiti che verranno delineati nelle costituzioni di questa Sezione prima: le
realtà fondamentali in cui la diocesi si articola (parrocchie, unità pastorali, decanati, zone pastorali) e le strutture di partecipazione e
corresponsabilità nel governo e nell'attività pastorale (consiglio presbiterale, consigli pastorali ai vari livelli, uffici e organismi di diretta
collaborazione con il Vescovo).
§ 1. Per fare in modo che la comunione e la corresponsabilità siano vissuti dal popolo di Dio e da ogni singolo fedele, la Chiesa
ambrosiana ritiene indispensabile impegnarsi, anzitutto, in un'opera di formazione, che porti a delineare il volto di una Chiesa particolare
conforme alle indicazioni che il Concilio Vaticano II e il magistero hanno offerto alla Chiesa di oggi, affinché essa sia più fedele a Cristo e
all'azione del suo Spirito.
§ 2. Alcune indicazioni per itinerari di formazione alla comunione e alla corresponsabilità sono:
a) si educhi costantemente a una rinnovata presa di coscienza che la comunione è innanzitutto un dono di Dio, da richiedere
continuamente nella preghiera, e che essa cresce attraverso l'ascolto della Parola e la celebrazione del mistero cristiano nella liturgia;
b) si valorizzino, come occasione di espressione della comunione nella Chiesa ambrosiana e anche come stimolo a un suo
approfondimento, le iniziative che per loro stessa natura coinvolgono tutta la diocesi o manifestano un legame tra le diverse realtà ecclesiali
con il Vescovo e tra loro. Ad esempio: i convegni e gli incontri a cui sono invitati i rappresentanti di tutte le articolazioni e realtà ecclesiali
della diocesi, gli incontri proposti a livello zonale e decanale, le assemblee parrocchiali, la visita pastorale e la presenza dell'Arcivescovo per
altre significative circostanze;
c) gli organismi competenti della diocesi forniscano a tutti, in particolare ai fedeli inviati dalle parrocchie, la possibilità di una
formazione di base all'esercizio della corresponsabilità, anche attraverso le scuole per operatori pastorali;
d) ogni comunità parrocchiale curi che i temi relativi alla comunione ecclesiale, alla partecipazione attiva dei fedeli e al "consigliare"
nella Chiesa siano fatti conoscere a tutti i parrocchiani mediante apposite iniziative (ad esempio, in occasione del rinnovo del consiglio
pastorale o di significativi anniversari della parrocchia) e vengano periodicamente ripresi nella predicazione, nella catechesi e sull'eventuale
informatore parrocchiale;
e) nelle parrocchie, in particolare attraverso l'opera dell'oratorio, e in tutti gli ambiti di pastorale giovanile, si presti particolare cura
alla formazione dei giovani, alla generosa assunzione di responsabilità e si offra loro la possibilità di esercitarla, così da far maturare in essi un
forte senso della Chiesa comunione che chiama alla corresponsabilità;
f) l'Azione Cattolica, secondo la vocazione che la caratterizza, formi a un'autentica partecipazione ecclesiale e a una vera
missionarietà; i movimenti e i gruppi ecclesiali, ciascuno con le modalità e le finalità che lo caratterizzano, abbiano attenzione a creare nei
propri aderenti un corretto senso di appartenenza ecclesiale e li preparino e li accompagnino nell'assunzione di responsabilità nella vita e nella
missione della Chiesa;
g) i consigli diocesani, decanali, parrocchiali, in quanto sono strumenti per l'attuazione della comunione organica della Chiesa
particolare e mezzo concreto per la partecipazione dei battezzati, ciascuno con la propria vocazione, alla missione salvifica della Chiesa, siano
espressione viva della porzione di Chiesa che sono chiamati a rappresentare e ad animare. In essi si attui sapientemente il "consigliare" e il
"presiedere". I loro componenti, presbiteri, diaconi, consacrati e laici, siano qualificati non solo da competenza ed esperienza, ma anche da uno
spiccato senso ecclesiale e da una seria tensione spirituale, alimentata dalla partecipazione all'Eucaristia, dall'assiduo ascolto della Parola e
dalla preghiera;
h) i presbiteri sappiano accogliere e valorizzare le diverse capacità e i carismi dei diaconi, dei consacrati e dei laici, riconoscendo
loro responsabilità e ministeri specifici, anche stabili, in un sempre più reale coinvolgimento nella vita di ciascuna comunità;
i) i presbiteri siano formati a essere, con il loro ministero di presidenza, uomini di comunione. Pertanto, il seminario educhi i
candidati al presbiterato al confronto pastorale, al lavoro d'équipe, alla collaborazione, all'esercizio equilibrato e sapiente del ministero della
presidenza come servizio, con particolare attenzione alle dinamiche di conduzione degli organismi di partecipazione ecclesiale. L'attenzione ai
temi della comunione e della corresponsabilità sia presente anche nei programmi di formazione permanente dei presbiteri.
Capitolo 6. LA PARROCCHIA
§ 1. La parrocchia rappresenta tuttora la fondamentale articolazione della Chiesa particolare e del suo ministero pastorale ordinario.
Il Concilio Vaticano II(1) e il Codice di diritto canonico(2) ne offrono una descrizione che si può esprimere in questi termini: la parrocchia è
una comunità di fedeli solitamente territoriale, nell'ambito della diocesi, presieduta dal parroco. Essa “localmente... rende presente in qualche
modo (quodammodo) la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”(3) ed è soggetto attivo della missione della Chiesa stessa. Tali principi sono
riproposti dal magistero del Papa e dei vescovi.
§ 2. Gli elementi contenuti nella suddetta descrizione orientano il pensiero e l'azione pastorale della Chiesa ambrosiana, che
considera la parrocchia come forma privilegiata della sua presenza e quindi come particolarmente adatta a disegnare il volto popolare della
comunità cristiana. La parrocchia deve continuare ad essere, anche nelle mutate condizioni sociocivili, la forma principale di presenza della
missione della Chiesa per la vita della gente.
§ 1. Il fatto che la parrocchia sia luogo ordinario della vita cristiana, qualifica la sua azione pastorale come ordinaria, cioè come cura
della comunità e di tutte le persone, come attenzione a tutte le tappe dell'esistenza e alle diverse forme della vita cristiana. La parrocchia è
luogo nel quale la fede può diventare accessibile a tutti entro le condizioni della vita quotidiana. I diversi aspetti dell'esistenza (quali la
professione, il matrimonio, gli impegni personali, sociali e politici) trovano nella vita della comunità parrocchiale il luogo in cui possono
essere interpretati e vissuti alla luce del Vangelo.
§ 2. Mèta di questa azione pastorale ordinaria è la formazione del cristiano perché diventi adulto nella fede, membro consapevole
della comunità credente e testimone del Vangelo nel mondo. La parrocchia, quindi, ha il compito fondamentale di accompagnare la costante
maturazione di ogni vocazione specifica e valorizzare i carismi e i ministeri, coltivandone la complementarietà nella comunità cristiana:
l'immagine di Chiesa che la parrocchia presenta deve promuovere sempre più una fraternità evangelica con la variegata ricchezza delle
vocazioni. Ciò comporta un profondo rinnovamento nella pastorale e un'attenzione specifica alla formazione della comunità degli adulti.
§ 1. La vita parrocchiale si esprime principalmente nella pastorale ordinaria, cioè globale e integrale, e deve sostenere i momenti che
accompagnano lo scandirsi delle diverse fasi dell'esistenza cristiana. Il rinnovamento della parrocchia intende riprendere creativamente la
fiducia nel carattere formativo dell'azione pastorale ordinaria, puntando a qualificare i gesti della vita cristiana, le "occasioni" dell'esistenza, il
discernimento delle situazioni personali, il servizio della carità, ecc. L'azione pastorale ordinaria della parrocchia richiede riflessione e
progettualità e non va lasciata all'improvvisazione o alla abitudinarietà. Perciò occorre “saper scoprire e presentare chiaramente le priorità, le
precedenze, le gerarchie di valore, nella complessa e non sempre ordinata attività pastorale”(6).
§ 2. L'azione pastorale ordinaria richiede una positiva attenzione, soprattutto nella grande città, ai settori e agli ambienti che non
sono normalmente raggiunti dall'intervento delle parrocchie(7). L'impegno di altri soggetti ecclesiali verso momenti consistenti della vita delle
persone nei vari ambienti non può, però, portare la parrocchia, proprio in quanto luogo e soggetto di pastorale ordinaria, a ignorare questi
ambiti di vita. Deve esserci, invece, una sintonia d'intenti tra la parrocchia e gli altri soggetti ecclesiali e un coordinamento della loro azione
nell'unica missione della Chiesa particolare.
§ 3. La pastorale ordinaria della parrocchia, espressa dalla totalità dei suoi membri, non si ferma alla gestione dell'esistente, ma deve
assumere oggi un respiro veramente missionario, nella fiducia che l'ascolto della Parola e i gesti della fede vissuti nello Spirito santo, hanno la
capacità di evangelizzare la vita delle persone, di plasmare la figura della comunità, di sottrarre alla dispersione anche i quartieri più anonimi,
di tessere una trama di rapporti di prossimità, che, a partire dalla centralità dell'Eucaristia, possono contribuire anche a delineare positivamente
il volto sociale e civile delle comunità.
§ 1. Il territorio costituisce l'elemento proprio per il quale la parrocchia si presenta come luogo di vita cristiana per tutti i fedeli e
ambito di pastorale ordinaria.
§ 2. Sono note le difficoltà di cui soffre la parrocchia territoriale nel nuovo contesto civile urbano, caratterizzato dalla dislocazione
degli spazi esistenziali e in genere dalla facile mobilità che porta le persone a vivere fuori parrocchia diversi momenti della loro vita quotidiana
(lavoro, scuola, tempo libero e festa, malattia e la stessa morte). Nonostante tali difficoltà, la parrocchia, proprio a partire dalla sua stessa
configurazione territoriale, continua ad essere la comunità ecclesiale fondamentale e a rispondere a una dimensione di servizio evangelico
aperto a tutti.
§ 3. Per essere parte della comunità parrocchiale è sufficiente infatti appartenere al territorio della parrocchia stessa e quindi non
sono necessari altri requisiti di tipo personale (come ad esempio questa o quella condizione sociale, questa o quella spiritualità, questo o quel
grado di istruzione). In forza del suddetto principio, tutti i fedeli sono uguali di fronte alla comunità; uguali non nelle qualità e nelle vocazioni,
ma nella dignità e nell'importanza. Per tale motivo, tutti fanno parte della stessa comunità proprio come avviene per i figli di una sola famiglia.
Il territorio, nel suo valore umano, può essere il luogo concreto dove la libertà delle persone si apre alla comunione che è suscitata
dall'annuncio evangelico, ed è celebrata e approfondita dalla liturgia.
§ 4. Il riferimento territoriale comporta e, di conseguenza, impegna a una uguale attenzione pastorale verso tutti i fedeli, anzi verso
tutte le persone che abitano nel territorio della parrocchia, al di là delle differenze personali. Pertanto, si deve evitare di considerare membri
della parrocchia soltanto alcuni fedeli, trascurandone altri e di limitare l'azione pastorale ai soli praticanti. Al contrario la pastorale
parrocchiale deve avere uguale attenzione verso tutti, compresi i non battezzati, e deve avere un'attenzione diversificata per ogni condizione di
vita.
§ 5. La territorialità della parrocchia ha come ulteriore conseguenza, che tutti i fedeli vivano in vicinanza reciproca e quindi siano
uniti in modo concreto e visibile: proprio perché abitano nello stesso territorio i fedeli possono stare insieme, conoscersi, coltivare la fraternità,
attuare insieme la missione della Chiesa. La vicinanza nel territorio facilita la celebrazione dell'Eucaristia nello stesso luogo e ciò crea una rete
di rapporti di prossimità, che trovano appunto nella celebrazione liturgica, il proprio centro.
140. Le diverse tipologie di parrocchie nella diocesi
§ 1. La diversa incidenza del territorio, come ambiente geografico e umano, pur con molti elementi comuni - come la tradizione
ambrosiana, i programmi pastorali dell'Arcivescovo, l'immagine di Chiesa, lo stile del ministero dei presbiteri, la partecipazione dei laici e dei
consacrati -, plasma diversi tipi di parrocchia: le parrocchie della città e quelle dell'hinterland spesso di grandi dimensioni, le parrocchie del
forese concentrate attorno ad una o più città o paese principale, il più delle volte di media dimensione, e quelle con popolazione ridotta,
raccolte in un decanato, percentualmente assai numerose in diocesi.
§ 2. La diversa configurazione tipologica influisce sulla vita delle singole comunità parrocchiali e sulla loro specifica azione
pastorale e va quindi tenuta presente, soprattutto in fase di progettazione pastorale. Alcune tipologie meritano una particolare considerazione:
a) le parrocchie della città di Milano. Nella città di Milano emergono problemi assai diversi tra le parrocchie del centro, le parrocchie
della fascia intermedia e quelle dei grossi quartieri di periferia e ciò esige uno studio particolare delle diverse situazioni e conseguenti scelte
pastorali coraggiose. Le indicazioni dell'Arcivescovo nella sua lettera alla città(8), la coordinazione di più decanati limitrofi per alcune
iniziative (prefetture: cost. 165, § 2), una intensa comunione dei sacerdoti, una più accentuata attenzione missionaria, la costituzione di una
giunta di sacerdoti, consacrati e laici per i problemi della città, insieme con altri strumenti, devono favorire un impegno comune di
evangelizzazione. In particolare occorre ripensare l'organizzazione pastorale del centro della città, razionalizzando, anche attraverso
accorpamenti, le parrocchie, specializzando le funzioni degli edifici di culto, coordinando l'intera azione pastorale, studiando la possibilità di
realizzare una unità pastorale;
b) le parrocchie nelle zone di turismo. Un fenomeno che caratterizza l'odierna vita pastorale è la mobilità di molti cristiani tra
parrocchia e parrocchia, in particolare a seguito del fenomeno turistico nelle sue varie forme. Per quanto riguarda le parrocchie nelle zone di
turismo della nostra diocesi spetta al vicario episcopale favorire le condizioni per un'assistenza pastorale adeguata nei periodi di villeggiatura; i
parroci cerchino un rapporto stabile soprattutto con le persone che hanno una dimora abituale nella parrocchia di vacanza, coinvolgendole
nella vita della comunità e in alcune responsabilità pastorali (cf costt. 271-276);
c) le parrocchie personali. La presenza di immigrati cattolici appartenenti a popoli e culture diverse richiederà talvolta la costituzione
di “parrocchie personali, sulla base del rito, della lingua o della nazionalità dei fedeli” (can. 518), che devono inserirsi nella più globale
attenzione pastorale agli stranieri, collaborando con le altre forme di intervento previste (cf costt. 260-270). Tali parrocchie, quando è
possibile, siano affidate a presbiteri provenienti dallo stesso luogo di origine dei fedeli.
§ 3. La ridefinizione dei confini delle parrocchie, resa opportuna e talvolta necessaria da mutamenti del territorio e della popolazione
(ad esempio per la costruzione di nuovi quartieri), comporta un sapiente ascolto delle situazioni delle persone e una cordiale intesa tra i parroci
viciniori. In alcuni casi non ci si può limitare alla revisione dei confini, ma occorre decidere l'unificazione di più parrocchie o lo
smembramento di parrocchie troppo grandi. Si tratta di un problema da non sottovalutare che può presentarsi, a volte, con una certa urgenza.
Per evitare soluzioni affrettate, il vicario episcopale di zona interessato della questione, segua una specifica procedura per questi
provvedimenti. In particolare: consulti il presbiterio del decanato, ascolti le comunità interessate tramite i rispettivi consigli pastorali,
favorisca, quando possibile e pastoralmente opportuno, soluzioni come quelle delle unità pastorali. Il criterio del numero degli abitanti
(minimo/massimo) va combinato con altri elementi di giudizio: la distanza geografica, lo spazio per la chiesa e le strutture parrocchiali, la
storia delle comunità, la presenza di figure ministeriali nelle parrocchie che vengono unite (preti con servizio a tempo determinato, diaconi,
consacrati, laici).
§ 1. L'attività liturgica e pastorale nelle chiese annesse a cappellanie, o costituenti rettorie autonome (compresi i santuari non sede di
parrocchie), o, infine, annesse alla casa di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, deve essere pensata in profonda consonanza
con quella delle parrocchie al cui territorio appartengono e valorizzata per il proprio apporto peculiare. E' necessario, pertanto, evidenziare la
specificità di queste chiese e, se necessario, qualificarne le funzioni nel più ampio contesto della pastorale decanale.
§ 2. Il decano coordini, con i parroci e i responsabili interessati, momenti e criteri per lo scambio pastorale; favorisca intese per
l'omogeneità del rito, per il calendario liturgico, per gli orari delle celebrazioni festive (curando le opportune riduzioni), per le iniziative che
rischiano di sovrapporsi o di costituire un'alternativa a quelle parrocchiali.
§ 3. In certi casi, là dove, per mutate condizioni ambientali, una chiesa risulta di fatto non più rispondente alla propria funzione
originaria, l'Ordinario diocesano valuterà se è il caso di destinarla ad altre finalità pastorali o, secondo la normativa canonica e con tutte le
necessarie cautele, procedere a una sua chiusura al culto.
§ 1. L'azione pastorale della parrocchia ha come soggetto non il solo parroco, con gli altri eventuali presbiteri, ma l'intera comunità,
animata da vocazioni, carismi e ministeri diversi e contrassegnata da un vivo senso della corresponsabilità. Tale soggettività dell'intera
comunità parrocchiale non può limitarsi a essere un'affermazione astratta, ma deve tradursi in realtà concreta in ciascuna parrocchia.
§ 2. Affinché la comunità parrocchiale sia effettivamente tale, e sia così possibile un'azione pastorale comune, è necessario
sviluppare in essa, con le iniziative più opportune (a livello catechetico, di predicazione, di formazione personale), alcuni presupposti quali:
una viva coscienza di appartenenza alla Chiesa come realtà di comunione e di corresponsabilità, un'autentica vita di carità, una reale capacità
di dialogo e di confronto, un'attenta promozione delle diverse vocazioni e dei diversi ministeri, un appassionato attaccamento alla propria
comunità ecclesiale insieme a una grande apertura alla cattolicità della Chiesa e alla sua missionarietà.
§ 3. Espressione oggettiva, segno e alimento della comunione che anima e fonda la comunità visibile della parrocchia, è il progetto
pastorale, alla cui elaborazione e attuazione tutti e ciascuno sono chiamati, secondo i propri carismi e ministeri, a portare il loro responsabile
contributo.
§ 4. Un ruolo fondamentale per la realizzazione di una vera comunità parrocchiale, capace di essere vero soggetto di
pastorale, è quello del parroco: a lui, come pastore proprio della parrocchia, è affidato il ministero della presidenza, non come modalità
esaustiva di tutta l'azione pastorale, ma come compito di guida dell'intera comunità nella realizzazione di una comunione di vocazioni,
ministeri e carismi e nell'individuazione e nell'attuazione delle linee del progetto pastorale. Soprattutto nelle parrocchie più grandi, altri
presbiteri, in qualità di vicari parrocchiali o di residenti con incarichi pastorali, sono chiamati a condividere il ministero del parroco nell'unico
presbiterio parrocchiale. Con la recente riproposizione nella nostra diocesi del diaconato permanente, anche i diaconi possono essere chiamati
ad assumere responsabilità ministeriali nelle parrocchie. Contribuiscono e devono contribuire a configurare il volto ministeriale della
parrocchia e a caratterizzare l'azione pastorale come propria della comunità, accanto ai ministeri ordinati, anche altri ministeri e funzioni
ministeriali quali quelli presenti nel campo della liturgia, della catechesi, della carità, della vita comunitaria.
§ 5. Fanno parte della comunità parrocchiale, e in essa devono attivamente esprimersi, tutti i fedeli, compresi quelli che non
esercitano uno specifico ministero. Vanno conosciuti e valorizzati i loro carismi personali e anche quelli delle aggregazioni ecclesiali in cui
essi sono eventualmente inseriti, come ricchezza per tutta la comunità parrocchiale. Particolare risalto va dato alla presenza in parrocchia di
consacrati: secondo la loro specifica vocazione e con i carismi che sono loro propri, essi, anche se non svolgono direttamente un ministero
parrocchiale, sono parte dell'unica comunità parrocchiale e contribuiscono significativamente alla sua crescita e alla sua azione pastorale.
§ 6. Strumento fondamentale per l'azione pastorale della comunità parrocchiale è il consiglio pastorale, quale organismo che vede,
con la presenza del parroco, anche quella dei rappresentanti dell'intera parrocchia e si qualifica come soggetto di programmazione dell'azione
pastorale.
§ 1. La parrocchia è una comunità visibile di credenti. La comunione deve tradursi in un cammino pastorale unitario, perché la
crescita personale e comunitaria sia veramente al servizio della edificazione della Chiesa. La necessità che la comunione si esprima anche ad
un livello di visibilità e di convergenza pastorale intende evitare la dispersione o l'egemonia di persone o gruppi particolari e favorire la
presenza e la crescita di tutti i fedeli con i propri carismi. E' compito del presbiterio costruire l'unità dell'azione pastorale della parrocchia così
che le molteplici realtà (quali: oratorio, gruppi parrocchiali, associazioni, movimenti) esprimano la medesima cura che la comunità cristiana ha
per i diversi soggetti.
§ 2. E' importante, sia per il parroco sia per la comunità, seguire criteri oggettivi per l'azione pastorale. Ciò non significa che, a
incominciare dallo stesso parroco, ogni fedele non debba portare nella vita e nell'attività della parrocchia tutta la ricchezza della propria
personalità; questo però deve avvenire in un'ottica di comunione e di fedeltà al Vangelo di Cristo e all'insegnamento e alle scelte, anche di
natura pastorale, della sua Chiesa, evitando ogni forma di soggettivismo.
§ 3. Un'espressione della comunione pastorale, che diventa strumento di oggettività per tutta la parrocchia è il progetto pastorale. Le
linee fondamentali del progetto pastorale di ogni parrocchia sono quelle disposte dalla Chiesa universale e da quella diocesana, ma queste
vanno precisate per il cammino della concreta comunità parrocchiale ad opera, in particolare, del parroco con il consiglio pastorale. Il progetto
pastorale di ogni parrocchia deve interpretare i bisogni della parrocchia, prevedere la qualità e il numero dei ministeri opportuni, scegliere le
mete possibili, privilegiare gli obiettivi urgenti, disporsi alla revisione annuale del cammino fatto, mantenere la memoria dei passi già
compiuti. Esso è un punto di riferimento obiettivo per tutti, presbiteri, diaconi, consacrati e laici; come pure per tutte le associazioni, i
movimenti e i gruppi operanti in parrocchia. Va tenuto, infine, presente che la precisazione dei criteri oggettivi di conduzione della parrocchia
favorisce la continuità della sua vita anche al di là del cambiamento dei suoi stessi pastori.
§ 1. Il parroco, i vicari parrocchiali e gli altri presbiteri presenti in parrocchia costituiscono il presbiterio parrocchiale. Esso deve
essere luogo di vera fraternità presbiterale, che deve esprimersi in una chiara testimonianza di comunione per la comunità parrocchiale e in
un'azione pastorale comune a favore degli altri componenti della parrocchia e con la loro collaborazione (cf cost. 481).
§ 2. Il parroco, come pastore proprio della parrocchia, ha un ministero necessario nella parrocchia: a lui spetta in particolare la
responsabilità di far crescere l'insieme della comunità come soggetto pastorale. Egli rappresenta il ministero della presidenza del vescovo sotto
la sua autorità(9) entro l'intera comunità dei fedeli e anche in seno al presbiterio parrocchiale. E' l'uomo della comunione e ha la cura della
comunità nel suo insieme. Egli esercita la presidenza dell'assemblea, è a tutti accessibile, nei confronti di tutti in debito del Vangelo. Questo
compito obiettivo del suo ministero lo espone ad alcuni rischi che possono essere evitati se tutta la comunità, presbiteri, diaconi, consacrati e
laici, si lascia condurre dal desiderio di edificare la Chiesa. La cura del progetto pastorale, la buona presidenza della comunità e dei suoi organi
rappresentativi sono condizioni necessarie per il fecondo sviluppo della comunità parrocchiale. Il servizio del parroco, e dei suoi collaboratori,
nella triplice funzione di insegnare, santificare, governare, non può limitarsi alla comunità dei fedeli, ma deve essere rivolto, con tensione
missionaria, a tutti gli uomini e le donne del territorio affidato alle loro cure, perché non manchi a nessuno l'annuncio del Vangelo e un segno
adeguato della vicinanza della Chiesa(10).
§ 3. Le doti umane, cristiane e pastorali richieste al parroco non possono essere improvvisate. Nella preparazione seminaristica e
nella formazione permanente del clero occorrerà, dunque, dare ad esse grande importanza; inoltre la presenza di queste capacità dovrebbe
essere attentamente verificata e valorizzata al momento della nomina ad un incarico parrocchiale.
La nomina del parroco spetta all'Arcivescovo, con la collaborazione del vicario episcopale della zona pastorale in cui è inserita la
parrocchia e dell'intero consiglio episcopale. Il vicario episcopale di zona, dopo aver consultato il decano e avere assunto, nei modi più
opportuni - sentendo anche, per quanto possibile, il consiglio pastorale - i dati conoscitivi della situazione parrocchiale e le sue specifiche
esigenze pastorali, li presenti all'Arcivescovo.
Il parroco legittimamente nominato, dopo aver partecipato ad un corso di esercizi spirituali, se non lo avesse già fatto durante l'anno,
e adempiuti gli obblighi previsti dal Codice di diritto canonico, assuma il suo ufficio entro un mese. Egli è tenuto a partecipare alle iniziative di
formazione promosse per i parroci di nuova nomina.
§ 4. Il vicario parrocchiale, partecipe dell'unico presbiterio diocesano, condivide in comunione con il parroco e sotto la sua autorità
la cura e la responsabilità dell'intera comunità parrocchiale(11). Anche se responsabile di un settore particolare, orienterà sempre la sua azione
al bene dell'intera comunità parrocchiale secondo quanto previsto dal progetto pastorale parrocchiale. L'Arcivescovo può determinare, nella
lettera di nomina, un ambito pastorale specifico per il vicario parrocchiale. Per la destinazione e il trasferimento dei vicari parrocchiali il
vicario episcopale (o i vicari episcopali se il trasferimento avviene tra parrocchie di due zone pastorali diverse) consulti i decani e i parroci
interessati. Il parroco è chiamato a riconoscere al vicario parrocchiale (o ai vicari parrocchiali), anche se alla prima destinazione, una reale
matura responsabilità, che accompagnerà con costante interessamento e con ogni appoggio necessario, così che sia garantita una vera fraternità
presbiterale e sia testimoniata l'unità del presbiterio.
§ 5. Fanno parte del presbiterio parrocchiale anche i presbiteri residenti con incarichi pastorali. Sotto questa denominazione vi sono
situazioni diverse, in particolare quella di presbiteri che, oltre ad avere un ministero diocesano non parrocchiale (scuola, decanato, curia, enti
diocesani centrali, e altri), hanno anche l'impegno di una collaborazione stabile a favore della parrocchia in cui sono residenti e quella di
presbiteri che, per motivi di salute o altro, si sono dimessi da altri incarichi. I compiti del presbitero residente con incarichi pastorali e le
condizioni del suo inserimento nel presbiterio parrocchiale sono determinati dal decreto di nomina dell'Arcivescovo e ulteriormente precisati
dalle indicazioni del vicario episcopale di zona, avendo particolare attenzione a una corretta distribuzione degli impegni che gravano su di lui
in connessione con gli altri incarichi, o ai problemi di salute e di età avanzata.
§ 6. L'incarico ministeriale di un diacono a favore di una parrocchia viene stabilito dal decreto di nomina. In esso vengono precisati
anche i compiti particolari affidati al diacono, da svolgere in comunione con il parroco e con gli altri presbiteri eventualmente presenti in
parrocchia e in un cordiale inserimento nella comunità parrocchiale.
§ 7. E' necessario sostenere alcune condizioni di vita che consentano ai presbiteri addetti a una parrocchia un esercizio più sereno del
ministero pastorale. La difficoltà a trovare servizi accessibili per la cura dei sacerdoti, soprattutto dei più anziani e dei più giovani, espongono
la vita del presbitero a condizioni a volte disagiate per una autentica disponibilità alla pastorale parrocchiale. A livello diocesano si studino
forme adeguate per poter risolvere questo problema che prevedibilmente si aggraverà negli anni futuri (cf costt. 489-490).
§ 1. Il luogo primario in cui la generalità dei fedeli laici è chiamata a prendere coscienza della propria vocazione e della propria
corresponsabilità ecclesiale è la parrocchia. Essa costituisce spesso anche l'ambito in cui i laici vivono la propria vocazione, assumono
ministeri ecclesiali, si impegnano in organismi di corresponsabilità.
§ 2. Ogni fedele laico va aiutato dalla comunità parrocchiale a scoprire la propria vocazione e a valorizzare i doni ricevuti dal
Signore, per essere sempre più suo discepolo e testimone del Vangelo non solo nell'ambito della parrocchia, ma anzitutto nelle condizioni e
negli ambienti della vita quotidiana (quali: famiglia, lavoro, scuola, impegno socio-politico). Vanno, però, proposte a tutti i fedeli, soprattutto a
coloro che offrono la propria disponibilità, avendo scoperto in se stessi una chiamata da parte del Signore, le forme di impegno ministeriale
nell'azione pastorale, con cui si costruisce la vita della comunità parrocchiale, senza mai dimenticare che la partecipazione di tutti i fedeli,
anche di coloro che non assumono uno specifico ministero, si esprime anzitutto attraverso la testimonianza comune della fede, della speranza e
della carità.
§ 3. Nuove figure ministeriali e missionarie ridisegnano concretamente l'agire della parrocchia: i ministri straordinari dell'Eucaristia,
gli animatori nelle celebrazioni liturgiche, i catechisti, gli educatori e gli animatori dell'oratorio, le caritas parrocchiali, l'Azione Cattolica, i
gruppi missionari e gli altri operatori pastorali, animano una multiforme presenza della comunità cristiana che interviene capillarmente sul
territorio. Occorre valorizzare queste presenze, sottraendole all'improvvisazione, facendole diventare in concreto figure esemplari per
l'edificazione della comunità e accessibili a tutti i fedeli. A questo proposito, particolare valore assume la presenza dell'Azione Cattolica.
§ 4. La presenza di aggregazioni ecclesiali va riconosciuta in linea di principio come un dono autentico del Signore alla Chiesa del
dopo Concilio. Una presenza quindi che, anche a livello parrocchiale, va accolta con favore e valorizzata per ciò che rappresenta, va sottoposta
a discernimento, va incoraggiata a essere di stimolo e di crescita alla comunione e alla dinamica missionaria dell'intera comunità, evitando
posizioni di isolamento, di elitarismo o di pretesa esclusività. Va comunque rispettato il diritto che scaturisce dal battesimo, ed è proprio di
ogni fedele, “di seguire un proprio metodo di vita spirituale conforme alla dottrina della Chiesa e il diritto di scegliere una realtà aggregativa,
quale forma per vivere la propria partecipazione alla comunione e alla missione della Chiesa”(12). Eventuali difficoltà si comporranno, già
nella stessa comunità parrocchiale, in uno spirito di reale dialogo, sapendo che “è necessario che le aggregazioni laicali si mettano sempre più
a servizio della comunità, se ne sentano parte viva e ricerchino in ogni modo l'unità, anche pastorale, con la Chiesa particolare e con la
parrocchia”(13).
§ 1. La presenza di consacrati nella parrocchia illumina tutte le vocazioni cristiane sul significato dei consigli evangelici, perché ogni
cristiano viva in pienezza il messaggio evangelico secondo la propria vocazione. I consacrati e le consacrate presenti nella comunità edificano
attraverso la testimonianza della loro vocazione l'intera comunità e servono alla venuta del regno di Dio collaborando all'azione pastorale,
educativa e di carità. Essi vivano in un rapporto di fraternità con i presbiteri, i diaconi e i laici, partecipino alla progettazione del lavoro
pastorale, favoriscano momenti comuni di preghiera liturgica e contemplativa particolarmente con i presbiteri. La comunità parrocchiale abbia
cura di valorizzare e promuovere le vocazioni di speciale consacrazione.
§ 2. La presenza di consacrati, in forma individuale o comunitaria, è particolarmente preziosa in una parrocchia, quando essi
assumono esplicitamente dei ministeri nella pastorale parrocchiale e nei relativi organismi di partecipazione. In questo caso, l'intera comunità
parrocchiale deve sapere valorizzare le specificità e le sensibilità che il carisma proprio dei consacrati porta alle attività pastorali. A loro volta i
consacrati, nel rispetto della loro identità e dei ritmi della vita comune, devono sentirsi parte della comunità parrocchiale, partecipando in
pienezza alla sua vita e alle sue iniziative.
§ 1. Un momento significativo della partecipazione all'azione pastorale della parrocchia si realizza anche mediante il "consigliare
nella Chiesa", in vista del comune discernimento per il servizio al Vangelo. Il consigliare nella Chiesa non è facoltativo, ma è necessario per il
cammino da compiere e per le scelte pastorali da fare. Il consiglio pastorale parrocchiale e, nel suo settore e con la sua specificità, il consiglio
parrocchiale per gli affari economici, sono un ambito della collaborazione tra presbiteri, diaconi, consacrati e laici e uno strumento tipicamente
ecclesiale, la cui natura è qualificata dal diritto-dovere di tutti i battezzati alla partecipazione corresponsabile e dall'ecclesiologia di comunione.
§ 2. Il consiglio pastorale, in una corretta visione ecclesiologica, ha un duplice fondamentale significato: da una parte rappresenta
l'immagine della fraternità e della comunione dell'intera comunità parrocchiale di cui è espressione in tutte le sue componenti, dall'altra
costituisce lo strumento della decisione comune pastorale, dove il ministero della presidenza, proprio del parroco, e la corresponsabilità di tutti
i fedeli devono trovare la loro sintesi. Il consiglio pastorale è quindi realmente soggetto unitario delle deliberazioni per la vita della comunità,
sia pure con la presenza diversificata del parroco e degli altri fedeli. E' quindi possibile definirlo organo consultivo solo in termini analogici e
solo se tale consultività viene interpretata non secondo il linguaggio comune, ma nel giusto senso ecclesiale. I fedeli, in ragione della loro
incorporazione alla Chiesa, sono abilitati a partecipare realmente, anzi a costruire giorno dopo giorno la comunità; perciò il loro apporto è
prezioso e necessario. Il parroco, che presiede il consiglio e ne è parte, deve promuovere una sintesi armonica tra le differenti posizioni,
esercitando la sua funzione e responsabilità ministeriale. L'eventuale non accettazione, da parte del parroco, di un parere espresso a larga
maggioranza dagli altri membri del consiglio potrà avvenire solo in casi eccezionali e su questioni di rilievo pastorale, che coinvolgono la
coscienza del parroco e saranno spiegati al consiglio stesso. Nel caso di forti divergenze di pareri, quando la questione in gioco non è urgente,
sarà bene rinviare la decisione ad un momento di più ampia convergenza, invitando tutti ad una più matura e pacata riflessione; invece nel caso
di urgenza, sarà opportuno un appello all'autorità superiore, che aiuti ad individuare la soluzione migliore.
§ 3. Un buon funzionamento del consiglio pastorale non può dipendere esclusivamente dai meccanismi istituzionali, ma esige una
coscienza ecclesiale da parte dei suoi membri, uno stile di comunicazione fraterna e la comune convergenza sul progetto pastorale. Una buona
presidenza richiede al parroco qualità come la disponibilità all'ascolto, la finezza nel discernimento, la pazienza nella relazione. La cura per il
bene comune della Chiesa domanda a tutti l'attitudine al dialogo, l'argomentazione delle proposte, la familiarità con il Vangelo e con la
dottrina e la disciplina ecclesiastica in genere. E' inoltre richiesta la necessità di una formazione assidua per coltivare la sensibilità al lavoro
pastorale comune e va garantita la continuità, ma anche il ricambio, dei membri del consiglio.
§ 4. Il consiglio pastorale è obbligatorio per tutte le parrocchie della diocesi. Criteri obiettivi di composizione, di rappresentanza e di
funzionamento pastorale sono precisati nell'apposito direttorio diocesano, tenendo conto delle diverse tipologie di parrocchia presenti in
diocesi. La durata del consiglio pastorale è di cinque anni e la comunità parrocchiale favorisca in ogni nuova composizione una intelligente e
opportuna alternanza dei suoi membri.
§ 5. Il consiglio, consapevole di non esaurire le possibilità di partecipazione corresponsabile di tutti i battezzati alla vita della
parrocchia, riconosca, stimi e incoraggi le altre forme di collaborazione, in piena comunione con il parroco, per la costruzione della comunità.
§ 6. Il consiglio pastorale si preoccupi di coinvolgere, ascoltare e informare tutta la comunità cristiana a proposito delle principali
questioni pastorali inerenti la vita della parrocchia, ricercando gli strumenti più opportuni ed efficaci, compresa l'assemblea generale
parrocchiale che può essere particolarmente utile in sede sia di progettazione sia di verifica.
§ 1. Il consiglio per gli affari economici è lo strumento di partecipazione per la cura pastorale dei beni e delle attività parrocchiali. E'
obbligatorio in ogni parrocchia(14), come aiuto al parroco per la sua responsabilità amministrativa ed è regolamentato dalle costituzioni
sinodali che trattano l'amministrazione della parrocchia (cf cost. 339), oltre che dall'apposito regolamento diocesano.
§ 2. Tra il consiglio pastorale e il consiglio per gli affari economici vanno mantenuti stretti rapporti. In particolare:
a) un terzo dei suoi membri viene nominato su indicazione del consiglio pastorale, mentre gli altri due terzi vengono nominati
direttamente dal parroco, sentiti gli altri presbiteri addetti alla parrocchia;
b) in generale l'opera del consiglio per gli affari economici deve iscriversi negli orientamenti tracciati dal consiglio pastorale, al
quale renderà conto mediante una relazione annuale sul bilancio;
c) le scelte di natura economica che hanno un forte rilievo pastorale, la saggia determinazione di quali beni siano necessari alla vita
futura della comunità, la decisione di alienare alcuni beni che fossero di aggravio per la loro gestione, esigono di acquisire un parere previo del
consiglio pastorale parrocchiale.
§ 3. Il consiglio per gli affari economici è moralmente responsabile con il parroco davanti alla comunità parrocchiale del corretto e
puntuale assolvimento di tutti gli adempimenti e delle obbligazioni che, per diritto canonico o norma civile, sono poste a capo della parrocchia
(cf costt. 322-355).
§ 1. Nell'ambito del progetto parrocchiale, al fine di promuovere le diverse attività pastorali, possono essere costituiti organismi o
commissioni, anche in applicazione delle indicazioni contenute in questo libro sinodale. Queste realtà vanno promosse dal consiglio pastorale
parrocchiale, al quale spetta indirizzare, animare, coordinare e verificare le attività. A loro volta, siano adeguatamente rappresentate nel
consiglio pastorale.
§ 2. Qualora, per motivi obiettivi, non fosse possibile costituire un'apposita commissione, si garantisca lo svolgimento delle attività
pastorali relative da parte almeno di qualche singola persona.
§ 1. Se vuol essere veramente se stessa, la parrocchia non può non vivere tutta la sua azione pastorale secondo un'ottica propriamente
missionaria. Occorre, pertanto, ravvivare in tutte le componenti della comunità parrocchiale la convinzione che la cura pastorale, quando è
svolta con la coscienza che la Chiesa deve accompagnare gli uomini e le donne al Signore Gesù, è per sua natura missionaria. Soprattutto il
momento attuale colloca le parrocchie in stato di missione: è quindi urgente che la pastorale parrocchiale sia contrassegnata da un impulso
missionario verso coloro che non hanno ancora accolto il Vangelo nella propria vita, o non lo ritengono più significativo.
§ 2. La prospettiva missionaria comporta il riconoscimento dell'urgenza della nuova evangelizzazione e della imprescindibilità della
missione ad gentes, come pure chiede di realizzarsi, all'interno di ogni singola comunità parrocchiale, nei confronti dei diversi ambienti di vita
delle persone e nei rapporti tra le parrocchie stesse. E' quanto viene continuamente sottolineato in tutte le articolazioni del presente testo
sinodale: le forme fondamentali del ministero ecclesiale, la promozione delle diverse figure ministeriali, la realizzazione delle molteplici
articolazioni pastorali e lo stesso rapporto tra la Chiesa e la complessa realtà sociale e civile, infatti, vedono come protagonista essenziale la
comunità parrocchiale. Nelle costituzioni seguenti si richiamano soltanto alcuni aspetti di questa prospettiva missionaria.
§ 1. La sfida della nuova evangelizzazione riguarda soprattutto le comunità di antica tradizione cristiana: “gruppi di cristiani ferventi
vivono accanto a cristiani tiepidi e a battezzati dimentichi quasi del loro battesimo. Non mancano anche i non battezzati. Siamo dunque in una
situazione in cui la cura pastorale propriamente detta deve congiungersi con l'attività missionaria”(15). E' ormai evidente che la comunità
parrocchiale non raggiunge la totalità degli abitanti. La soggettivizzazione della fede, l'appartenenza a distanza o occasionale alla comunità e
l'indifferenza richiedono una forte spinta missionaria dentro e fuori la parrocchia. L'azione pastorale della parrocchia dev'essere contrassegnata
da un'ansia missionaria per coloro che sono distanti dalla fede, chiamando le persone a vivere la propria esistenza umana nella luce
dell'Evangelo di Gesù.
§ 2. La nuova evangelizzazione non esaurisce l'impulso missionario, ma deve aprirsi alla missione ad gentes e alimentare il senso
della cattolicità della Chiesa. In questa prospettiva, le comunità parrocchiali sostengano le vocazioni missionarie, coltivino le iniziative a
favore delle missioni, accolgano con interesse e stima le esperienze pastorali provenienti dalle giovani Chiese per far crescere il senso
dell'annuncio del Vangelo per ogni persona. Lo spirito missionario aiuti le comunità cristiane a tenere comportamenti ispirati a essenzialità
nell'attività pastorale e a sobrietà nell'uso dei mezzi e delle strutture (cf costt. 286-290).
§ 3. Il carattere profetico dell'azione pastorale missionaria, a cui tutti i fedeli sono abilitati in forza del battesimo, deve sempre essere
tenuto in evidenza negli itinerari che la parrocchia promuove per la formazione dei suoi membri, così che tutti (presbiteri, diaconi, consacrati,
laici) si sentano veramente responsabili dell'annuncio. Particolare risalto va dato al ruolo dei fedeli laici: “Nelle circostanze attuali i fedeli laici
possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per ridestare lo slancio
missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno affievolito o abbandonato la pratica della vita cristiana”(16).
152. La missionarietà della parrocchia verso gli ambienti
La comunità parrocchiale, le associazioni, i gruppi e i movimenti cerchino di favorire un'attenzione pastorale alle persone nel loro
ambiente di vita, luogo di verifica e di prova della propria fede, luogo di annuncio e di testimonianza. Potranno così nascere, soprattutto a
livello decanale, esperienze di preevangelizzazione e di contatto con determinati settori (quali: la scuola, l'università, il mondo del lavoro, i
luoghi della sofferenza), in cui le persone si trovano a vivere una parte consistente del loro tempo. Il coraggio di progettare questi itinerari
(culturali, sociali, religiosi) sarà di aiuto anche alla parrocchia a non ripiegarsi su di sé.
§ 1. La parrocchia, soprattutto quella di grandi dimensioni, è sollecitata ad articolare la sua dinamica missionaria per favorire
l'annuncio del Vangelo e più intensi rapporti di prossimità. Questa accentuazione può facilitare alcune attenzioni per il futuro. Si tratta di
ricostruire il tessuto tra casa e casa, tra rione e rione, affinché la vita cristiana non sia solo un convergere verso la comunità, ma la parrocchia si
dilati verso gli spazi della vita quotidiana.
§ 2. Soprattutto nelle parrocchie particolarmente numerose o particolarmente estese si promuovano incontri di fedeli a motivo della
vicinanza di abitazione, per esempio nello stesso caseggiato o nello stesso rione. Si potranno designare, a promuovere tale comunione, fedeli
particolarmente capaci di suscitare dialogo e fraternità. In questo contesto si inseriscono i cosiddetti gruppi di ascolto della Parola di Dio. Tale
sotto-articolazione della comunità è altrettanto importante come la sua interdipendenza con le altre parrocchie della città (o del decanato).
§ 3. L'attenzione alle famiglie deve essere una dimensione tipica della parrocchia. Occorre una cura della famiglia come tale, del
singolare carisma dei coniugi, affinché la parrocchia diventi sempre più una comunità di famiglie. Bisogna che la famiglia viva in relazione
stabile con altre famiglie, valorizzando quei rapporti privilegiati connessi con il territorio.
§ 4. Inoltre si dovranno favorire le diverse espressioni della prossimità: queste prendono avvio dal pronto intervento con forme
dinamiche di ospitalità, di attenzione ai piccoli, di vicinanza agli ultimi. Questa ospitalità può farsi più competente assumendo modi più
strutturati, continuando la tradizione di molte persone che porta a porta hanno reso visibile il volto vicino della comunità cristiana, con la
parola, l'aiuto, la presenza, l'intervento nei momenti di sofferenza e di bisogno. Particolare attenzione dev'essere riservata ai malati, agli
anziani, agli emarginati, agli esteri, a coloro che non possono beneficiare della mobilità della nostra società frettolosa. Infine, vi sono forme
più complesse di presenza sul territorio, di collaborazione con i servizi sociali, di presenza critica nei contesti civili: l'esperienza
dell'assistenza, del patronato, dell'attenzione ai bisogni nella società complessa può trovare anche nella parrocchia una ripresa creativa.
La dimensione missionaria della parrocchia esige che la comunione che lega tra loro diverse comunità parrocchiali, in particolare
quelle dello stesso decanato, si esprima anche attraverso forme fattive di collaborazione in vista di iniziative comuni nel campo
dell'evangelizzazione, del ministero della carità e del rapporto con la società civile. Andranno valorizzate, in prospettiva missionaria, le
indicazioni date nei due capitoli seguenti, concernenti le unità pastorali e il decanato.
Capitolo 7.
LE UNITÀ PASTORALI NELLA PASTORALE D'INSIEME
§ 1. La pastorale d'insieme è esigenza connaturata con la Chiesa, quale realtà di comunione, e a tutta la sua missione e azione
evangelizzatrice (cf cost. 116). Tale caratteristica dell'azione pastorale, più volte richiamata nel cammino della Chiesa ambrosiana, si presenta
come particolarmente necessaria e urgente tra parrocchie vicine e nel medesimo decanato. Essa, infatti, permette di realizzare un'azione
pastorale più coordinata e unitaria nello stesso territorio. Nel contempo, presuppone e valorizza la presenza attiva, responsabile e convergente
dei diversi ministeri.
§ 2. Una modalità attuale per realizzare la pastorale d'insieme tra più parrocchie è la cosiddetta unità pastorale, nelle sue diverse
tipologie. Pur consapevole che la riflessione e le stesse realizzazioni sono in questo campo ancora molto iniziali, la Chiesa ambrosiana, anche
alla luce di considerazioni in essa già proposte(1), intende impegnarsi su questa linea, tenendo come riferimento le indicazioni seguenti.
§ 1. Si può definire unità pastorale una forma di collaborazione pastorale organica tra parrocchie vicine, promossa, configurata e
riconosciuta istituzionalmente. Tale collaborazione stabilmente determinata è espressione singolarmente significativa di pastorale d'insieme e
risponde contemporaneamente a diverse esigenze: la convenienza di un'azione pastorale più efficace e omogenea per lo stesso territorio non
sufficientemente garantita dall'impegno autonomo e isolato di più parrocchie; la possibilità di valorizzare adeguatamente i diversi carismi
presenti nella Chiesa ambrosiana con una maggiore loro responsabilizzazione a livello pastorale; la necessità di far fronte alla carenza di
presbiteri e l'opportunità di non lasciare alcuni settori della pastorale (ad esempio quello giovanile) privi di un significativo riferimento a un
presbitero appositamente incaricato. L'attuazione di una unità pastorale, quindi, non vuole privare della necessaria e specifica cura pastorale
nessuna comunità parrocchiale o ecclesiale esistente, ma vuole fare in modo che ciò sia possibile in un contesto di comunione e di
coordinamento dell'azione pastorale.
§ 2. Le tipologie delle unità pastorali sono molto diversificate. Tra queste, le principali sembrano essere:
a) la cura pastorale di più parrocchie affidate in solido a più sacerdoti, ai sensi del can. 517, § 1(2);
b) la cura pastorale di due, o più, parrocchie con scarso numero di fedeli, affidata a un solo parroco anche con la collaborazione
diretta, ad esempio, di un diacono, di una singola persona consacrata o di una comunità di consacrati, di un singolo laico o di un gruppo di laici
con una presenza articolata sul territorio;
c) la collaborazione tra più parrocchie dello stesso comune o della stessa città, diversa da Milano, nella forma della "unità cittadina";
d) l'esercizio di un'attività pastorale (ad esempio pastorale giovanile e oratoriana, pastorale familiare) in più parrocchie vicine da
parte di un unico presbitero;
e) il coordinamento di una o più attività pastorali in più parrocchie vicine da parte di un presbitero, preferibilmente uno dei parroci.
§ 3. Queste e altre tipologie differenti richiedono una collaborazione nell'azione pastorale tra presbiteri, diaconi, consacrati e laici,
che esige l'assunzione di una nuova mentalità.
§ 1. L'attuazione delle unità pastorali comporta indubbi vantaggi: favorisce la comunione e lo scambio di conoscenze e di aiuto fra le
varie parrocchie; valorizza i laici sollecitandoli ad assumere maggiori responsabilità nella loro parrocchia; pone le condizioni per una ancor più
incisiva presenza delle espressioni della vita consacrata, in particolare di quella femminile, che si dedicano a tempo pieno alla pastorale
parrocchiale in conformità al proprio carisma.
§ 2. Nella realizzazione delle unità pastorali occorre tener conto delle eventuali resistenze da parte delle comunità interessate. Esse
devono essere aiutate a capire che la cura pastorale a loro favore non viene ridotta, ma organizzata in modo diverso e più efficace, aprendo
nuovi spazi alla corresponsabilità dei fedeli.
§ 3. L'attuazione delle unità pastorali richiede ai presbiteri un non sempre facile adeguamento del loro ministero, sia a proposito
delle scelte da privilegiare, sia in relazione a una più ampia e fattiva collaborazione con laici e consacrati. Ciò può comportare anche situazioni
di fatica e di disorientamento, che vanno superate in una paziente realizzazione degli scopi pastorali prefissati, con attenzione ai ritmi e alle
esigenze delle concrete persone coinvolte.
§ 1. Nell'ambito di un decanato, prima di giungere alla costituzione di unità pastorali, per acquisire una adeguata conoscenza della
situazione ed elaborare le soluzioni più idonee al bene dei fedeli, è necessario interpellare il decano con il presbiterio e il consiglio pastorale di
decanato e, in particolare, i presbiteri, i consigli pastorali e le comunità di vita consacrata delle parrocchie interessate. Occorre inoltre acquisire
il parere tecnico dei competenti uffici di curia.
§ 2. Una volta deciso di procedere alla costituzione di una unità pastorale, si presenterà alle comunità interessate il significato e
l'opportunità di tale scelta, al fine di favorire una sua realizzazione consapevole e serena, pur in presenza delle inevitabili difficoltà. Nella fase
di realizzazione è, comunque, prioritario l'impegno di rendere sempre più responsabili i consigli pastorali parrocchiali e le realtà ecclesiali
coinvolte.
§ 3. La costituzione definitiva di una unità pastorale può anche essere opportunamente preceduta da un periodo di sperimentazione.
Sarà in ogni caso necessario prevedere una verifica dei provvedimenti adottati.
§ 4. Spetta al vicario episcopale di zona la responsabilità di dare attuazione alle diverse fasi del procedimento richiesto per la
realizzazione delle unità pastorali. E' compito del vicario episcopale, in particolare, precisare ulteriormente, rispetto al provvedimento
arcivescovile, le linee pastorali e le condizioni concrete richieste per la buona riuscita del progetto (anche, ad esempio, attraverso la stipula di
appositi accordi tra parrocchie interessate, sempre previo parere tecnico degli uffici di curia).
§ 1. L'unità cittadina è una forma di unità pastorale che riguarda la collaborazione tra più parrocchie di uno stesso comune di una
certa consistenza, o di una stessa città diversa da Milano. La necessità o, almeno, l'opportunità di costituire una unità cittadina, si giustifica sul
presupposto che il comune o la città si configuri effettivamente come una realtà omogenea e interconnessa a livello sociale, culturale,
economico, oltre che civile, e che, pertanto, esige una cura pastorale altrettanto omogenea e coordinata.
§ 2. I punti di convergenza e di azione comune tra le diverse parrocchie interessate, sono indicativamente i seguenti: i criteri e le
iniziative per un'efficace evangelizzazione, i tempi e i modi della pastorale dei sacramenti, gli orari delle celebrazioni, il progetto di pastorale
giovanile, la formazione degli operatori, gli itinerari per i fidanzati, le iniziative di volontariato, il rapporto con la società civile(3).
§ 3. Particolare responsabilità nella progettazione e nell'attuazione dell'azione pastorale comune, spetta al parroco della parrocchia
centrale (o a un altro parroco designato come coordinatore). Devono, però, essere coinvolti in tutte le fasi della vita dell'unità cittadina, oltre i
parroci e i presbiteri delle parrocchie interessate, anche i consigli pastorali, le comunità di vita consacrata e le altre realtà ecclesiali presenti e
attive nei settori che sono oggetto del coordinamento pastorale.
§ 1. L'esperienza della comunione e del coordinamento pastorale, realizzato nell'ambito di un'unità pastorale, potrà anche portare a
considerare più opportuna, a un certo punto, la decisione di accorpare in un'unica parrocchia più comunità parrocchiali, superando così la
stessa configurazione dell'unità pastorale (cf cost. 140, § 3).
§ 2. In ogni caso, sia che siano coinvolte in un'esperienza di unità pastorale o che siano invece soggetti del tutto autonomi, dovrà
essere garantita l'identità parrocchiale a quelle comunità che presentano le condizioni necessarie e sufficienti a tal fine, quali: un numero di
fedeli tale da garantire una sia pur minima vita comunitaria, la possibilità di esistenza di un consiglio pastorale parrocchiale, una precisa
identità territoriale, la dotazione di sufficienti strutture, la possibilità di dare vita almeno a quelle figure ministeriali necessarie per la vita della
comunità (ad esempio catechisti, educatori, lettori).
Capitolo 8. IL DECANATO
§ 1. Il decanato è quell'articolazione territoriale della diocesi, che raggruppa un certo numero di parrocchie tra loro vicine e, a volte,
tra loro coordinate secondo la modalità delle unità pastorali, al fine di favorire la cura pastorale mediante un'azione comune(1). Il decanato ha
quindi un duplice scopo principale: la comunione fra le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali presenti sul suo territorio e la
delineazione di un'azione pastorale comune, che dia alle parrocchie un dinamismo missionario. Una terza finalità del decanato, più tradizionale
e già implicitamente esigita dalle altre due, è l'essere luogo di fraternità e di formazione permanente tra presbiteri.
§ 2. Nell'ambito del decanato le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali si incontrano, mantenendo la propria identità e
mettendo in comune le capacità, i carismi, le competenze che contraddistinguono ciascuna di esse. In tal modo il decanato diventa forte
esperienza di Chiesa per presbiteri, diaconi, consacrati e laici che si educano all'ascolto reciproco, alla stima e alla corresponsabilità,
contribuendo efficacemente alla pastorale d'insieme per il territorio.
§ 3. Il decanato è il luogo in cui le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali confrontano e coordinano la propria azione
pastorale, concretizzando in modo specifico, cioè per la situazione del decanato, le indicazioni del piano pastorale diocesano e dei programmi
annuali. Il confronto tra le diverse parrocchie e con gli altri soggetti costituisce per se stesso, anche a prescindere da altri risultati, un
contributo significativo a superare la tendenza alla chiusura nella propria parrocchia. Si tratta di determinare bene i livelli di intervento: alcuni
debbono essere riferiti a una azione comune nel decanato ed eventualmente nella zona pastorale, altri sono propri di ciascuna parrocchia. Si
dovranno elaborare criteri comuni, lasciando alle singole comunità un legittimo spazio per la realizzazione. Si tratta di costruire una vera
mentalità pastorale comune. Gli strumenti possono essere i seguenti: una agenda delle priorità, un piano di riflessione ordinato, la
coordinazione di alcuni interventi (ad esempio date, scadenze, soggetti, luoghi dell'iniziazione cristiana; forma e contenuti degli itinerari di
preparazione al matrimonio; l'aiuto e lo scambio pastorale tra i presbiteri; i rapporti con gli insegnanti di religione e la scuola; la pastorale del
lavoro; la pastorale della sanità sul territorio; la pastorale ecumenica; le relazioni con le istituzioni sociali e di assistenza). Ogni decanato deve
stabilire gli ambiti concreti della pastorale d'insieme e promuovere opportune commissioni o consulte nel quadro dei programmi pastorali
diocesani.
§ 4. Il decanato è chiamato ad assumere in prima persona quelle iniziative pastorali riguardanti ambiti che superano l'estensione e le
capacità delle singole parrocchie e che, altrimenti, resterebbero senza una specifica cura pastorale, o anche ad assumere quelle iniziative che,
pur potendo essere promosse senza eccessiva difficoltà dalle singole parrocchie, trovano nella dimensione decanale un respiro più ampio e
maggiormente ecclesiale.
§ 5. Di fondamentale importanza per la realizzazione del decanato, come luogo di pastorale d'insieme, è la collaborazione tra i
presbiteri. Il decanato si propone, quindi, come valido aiuto e stimolo concreto per favorire nel presbiterio la fraternità, la vita spirituale, la
formazione permanente, l'arricchimento globale e un più agevole e frequente contatto dei presbiteri con l'Arcivescovo, anche attraverso il
vicario episcopale di zona.
§ 6. Responsabile del decanato e delle sue attività è il decano. I presbiteri, i diaconi, i consacrati e i laici sono tenuti a collaborare
con il decano e a riferirsi a lui per le materie di sua competenza.
L'attuale suddivisione dell'arcidiocesi in decanati deve essere attentamente riesaminata e all'occorrenza rivista al fine di porre ogni
decanato in condizione di svolgere nel modo migliore le proprie funzioni.
§ 1. L'Arcivescovo nomina il decano scegliendolo fra una terna di parroci presentata dai presbiteri e dai diaconi che svolgono il loro
ministero nel decanato per nomina dell'Ordinario. La terna risulta da elezioni, che si svolgeranno secondo le modalità stabilite a livello
diocesano. Il decano dura in carica cinque anni e il suo mandato può essere rinnovato.
§ 2. Il decano sia vicino ai parroci, agli altri presbiteri e ai fedeli operanti pastoralmente nelle parrocchie: sostenga con saggezza,
equilibrio e serenità le comunità, incoraggiando la corresponsabilità operosa di tutti.
§ 3. Il decano, in collaborazione con il vicario episcopale di zona, promuove e coordina l'azione pastorale nel decanato. In
particolare, ha il compito di:
a) promuovere, a vari livelli e nei modi che riterrà opportuni, una lettura del territorio del decanato per individuare bisogni e risorse,
stimolando al meglio le realtà ecclesiali e offrendo le indicazioni circa una migliore valorizzazione delle energie pastorali;
b) promuovere e presiedere riunioni almeno mensili dei presbiteri e dei diaconi, al fine di favorirne la fraternità e sostenerne la vita
spirituale e la formazione permanente;
c) coordinare le attività delle singole parrocchie e delle altre realtà ecclesiali, con particolare attenzione alle celebrazioni e agli orari;
d) dare attuazione agli orientamenti e ai programmi elaborati dal consiglio pastorale decanale e approvati dal vicario episcopale di
zona;
e) promuovere la collaborazione e l'integrazione dell'azione apostolica del clero, delle persone consacrate, dell'Azione Cattolica e
delle aggregazioni ecclesiali di laici nell'unica missione della Chiesa; promuovere le scuole e gli itinerari formativi per la preparazione ai
diversi ministeri ecclesiali;
f) prendersi cura dei confratelli anziani, ammalati o in qualsiasi modo bisognosi di attenzione e di sostegno;
g) assumere, in qualità di amministratore parrocchiale, la cura delle parrocchie divenute vacanti o in cui il parroco è impedito
nell'esercizio della funzione pastorale, finché l'autorità competente non abbia provveduto diversamente;
h) visitare almeno due volte, durante il proprio mandato, le parrocchie del decanato, per conoscerne le attività e le difficoltà
pastorali, verificando in particolare la buona tenuta dei libri parrocchiali e inviando al vicario episcopale di zona una relazione sulla visita
compiuta;
i) essere disponibile a fornire all'Ordinario diocesano tutti gli elementi conoscitivi, utili per la provvisione delle parrocchie vacanti e
la destinazione dei presbiteri in decanato;
l) presiedere periodicamente la liturgia eucaristica nelle parrocchie del decanato e partecipare ai loro consigli pastorali;
m) amministrare il sacramento della confermazione nelle parrocchie del decanato, su richiesta e per facoltà concessa di volta in volta
dal vicario episcopale di zona (cf costt. 166, § 3, n; 109, §4).
§ 1. Il consiglio pastorale decanale, da istituirsi in ogni decanato, è il luogo in cui le diverse comunità parrocchiali, le commissioni e
i gruppi di lavoro, l'Azione Cattolica e le altre realtà ecclesiali esistenti nel territorio, confrontano e coordinano la loro azione pastorale al fine
di renderla sempre più unitaria ed efficace.
Ogni consiglio pastorale decanale orienterà e programmerà la prassi pastorale in sintonia con il piano pastorale diocesano, le
indicazioni provenienti dagli organismi centrali e quelle inerenti i settori di maggior interesse pastorale, a cui sovrintendono gli appositi uffici
della curia arcivescovile.
§ 2. Il consiglio pastorale decanale è composto dal decano, che lo presiede, almeno da una rappresentanza dei parroci, degli altri
presbiteri e dei diaconi che svolgono un ministero nell'ambito del decanato per nomina dell'Ordinario diocesano, da una rappresentanza dei
consacrati operanti nel decanato, da laici eletti da ciascuno dei consigli pastorali parrocchiali, da un rappresentante di ogni commissione o
realtà ecclesiale esistente nel territorio, da alcuni membri scelti dal decano, secondo quanto previsto dall'apposito direttorio diocesano. Il
consiglio pastorale decanale si rinnova ogni quinquennio.
§ 3. Il consiglio pastorale decanale è convocato dal decano almeno tre volte all'anno e ogni volta che lo richieda almeno un terzo dei
membri.
§ 4. Gli orientamenti e i programmi deliberati dal consiglio pastorale decanale e approvati dal vicario episcopale di zona sono
vincolanti in tutto il decanato. Nel caso in cui il consiglio pastorale decanale ritenesse opportuno esprimersi con un documento scritto, ne
informerà il vicario episcopale di zona e ne chiederà l'assenso, al fine di mantenere l'uniformità dell'indirizzo pastorale dell'intera diocesi.
§ 5. Ogni consiglio pastorale decanale provveda a darsi un proprio regolamento in conformità a quanto previsto dal relativo
direttorio diocesano e ne chieda l'approvazione al vicario episcopale di zona.
§ 1. La zona pastorale è l'articolazione territoriale della diocesi che comprende più decanati.
§ 2. Affinché possano essere articolazioni funzionali della comunità diocesana, le zone pastorali, per quanto possibile, siano
rispondenti alla necessità di suddividere la diocesi in circoscrizioni omogenee da un punto di vista ecclesiale e sociologico.
La peculiarità della città di Milano esige una struttura intermedia tra il decanato e la zona, che tenga conto dell'articolazione civile
della città ed eventualmente del territorio immediatamente circostante. Tale struttura intermedia ha la denominazione di prefettura e viene
definita da apposite indicazioni diocesane(1).
§ 3. Ogni zona pastorale è affidata ad un vicario episcopale, che svolge l'incarico a tempo pieno (cf costt. 169-170).
§ 1. Il vicario episcopale è nominato dall'Arcivescovo, sentiti i decani della zona interessata. Egli risiede di norma nella zona
pastorale affidatagli, ma è opportuno che abbia una sede di riferimento presso la curia arcivescovile. La sede in zona del vicario episcopale è
messa a disposizione dalla diocesi e dovrà essere dotata di spazi idonei per consentire la costituzione di un servizio di segreteria e di archivio.
La diocesi assicurerà anche il necessario personale di segreteria.
§ 2. Nello svolgimento della sua attività il vicario episcopale si avvale anzitutto della collaborazione dei decani della zona. E'
opportuno che si mantenga in contatto con i membri dei consigli diocesani residenti nella zona.
§ 3. Il vicario episcopale di zona ha in particolare il compito di:
a) seguire personalmente, nell'ambito del consiglio episcopale e anche attraverso rapporti con i soggetti interessati, le nomine
riguardanti i ministri ordinati;
b) essere particolarmente vicino ai presbiteri anziani, ammalati o in qualsiasi modo bisognosi di aiuto e sostegno;
c) curare che i ministri ordinati, i consacrati e i laici dispongano e si avvalgano di adeguati programmi di formazione permanente;
d) promuovere e curare lo svolgimento di corsi di aggiornamento e di spiritualità per i ministri ordinati, i consacrati e i laici;
e) stabilire incontri frequenti e un fraterno dialogo con i decani, i ministri ordinati, i consacrati e i laici;
f) verificare periodicamente con i ministri ordinati, la loro situazione pastorale e personale, anche in vista di provvedimenti da
assumere circa la loro destinazione;
g) promuovere localmente l'attuazione del piano pastorale diocesano, formulandone le tappe e i modi concreti convenienti alla zona,
con la collaborazione dei consigli pastorali decanali;
h) guidare le eventuali nuove esperienze pastorali in armonia con le direttive dell'Arcivescovo;
i) visitare periodicamente le parrocchie e le altre realtà ecclesiali;
l) convocare i decani e presiederne le riunioni;
m) coordinare le operazioni elettorali per la scelta dei decani;
n) amministrare il sacramento della confermazione e, per mandato speciale, concedere ai decani la facoltà di amministrarla in singoli
casi, qualora non sia possibile la presenza di un vescovo o di un presbitero che ne abbia la facoltà in forma stabile (cf cost. 109, § 4);
o) insediare i consigli pastorali decanali e approvarne i regolamenti e le deliberazioni; approvare i regolamenti dei consigli pastorali
parrocchiali;
p) esprimere parere circa le pratiche di maggior rilievo che i parroci presentano agli uffici di curia.
I. I VICARI DELL'ARCIVESCOVO
L'Arcivescovo, nel governo dell'intera diocesi, si avvale dell'opera e del consiglio di diverse persone e organismi e, in particolare, del
vicario generale (e di eventuali pro vicari generali), dei vicari episcopali di zona e di settore e del vicario giudiziale che, quali suoi principali
collaboratori, hanno, nell'ambito delle rispettive competenze, potestà ordinaria vicaria, secondo quanto stabilito dal diritto universale della
Chiesa e dalle disposizioni dello stesso Arcivescovo.
§ 1. Il vicario generale, con i compiti previsti dalla normativa canonica, ha la funzione di rappresentare l'Arcivescovo e di sostituirlo
in caso di assenza. A lui spetta, in particolare, seguire la vita della diocesi nelle sue articolazioni territoriali (zone, decanati, unità pastorali,
parrocchie), coordinando l'azione dei vicari episcopali di zona e prendendosi cura dell'affidamento degli incarichi pastorali a presbiteri e
diaconi. E', inoltre, suo compito specifico svolgere la funzione di moderator curiae e coordinare l'azione dei vicari episcopali di settore.
§ 2. Il bene della diocesi potrà suggerire all'Arcivescovo di nominare un secondo vicario generale - tradizionalmente denominato pro
vicario generale -, affidandogli il compito specifico di svolgere la funzione di moderator curiae e coordinare l'azione dei vicari episcopali di
settore, secondo le indicazioni contenute nel regolamento della curia.
§ 3. L'Arcivescovo, tenendo conto delle esigenze della Chiesa ambrosiana, può nominare anche altri vicari generali - denominati pro
vicari generali -, stabilendone i compiti in riferimento al governo dell'intera diocesi.
§ 4. Nel caso di due o più vicari generali, come sopra specificato, al fine di favorire il loro coordinamento per una conduzione
unitaria del governo della diocesi, verranno indette periodiche riunioni dei vicari generali, presiedute dall'Arcivescovo.
§ 1. Nell'ambito della zona territoriale o del settore che gli è affidato, ogni vicario episcopale ha le stesse potestà che il diritto
universale riconosce al vicario generale, eccettuati i casi e le materie che l'Arcivescovo abbia riservato a sé o a uno dei vicari generali. Essi
sono nominati per un quinquennio e possono essere confermati nell'incarico per un altro quinquennio.
§ 2. Al fine di assicurare una effettiva unità di governo della diocesi, i vicari episcopali svolgono le rispettive funzioni in dialogo e
collaborazione tra di loro, mantenendosi in stretto rapporto con il vicario generale (e l'eventuale pro vicario generale), a cui spetta coordinarne
l'azione, e con l'Arcivescovo.
Nella parte del territorio della diocesi loro affidata, i vicari episcopali di zona svolgono i compiti indicati alla cost. 166, informando
periodicamente l'Arcivescovo sulle condizioni religiose e le esigenze pastorali della zona stessa.
§ 1. I vicari episcopali di settore curano un determinato ambito delle attività utili o necessarie alla vita della diocesi, provvedendo
anche ad assicurare, in accordo con il moderator curiae, un efficace coordinamento dell'azione degli organismi di curia a loro affidati, per il
necessario sostegno alle attività pastorali delle parrocchie, dei decanati, delle zone e di altre realtà ecclesiali presenti in diocesi.
§ 2. L'individuazione dei settori, con l'attribuzione a ciascuno di essi degli organismi interessati, è stabilita dal regolamento della
curia.
§ 1. Il consiglio episcopale è composto dal vicario generale (e da eventuali pro vicari generali) e dai vicari episcopali, siano essi
vescovi o presbiteri. L'Arcivescovo può invitare a farne parte, quando lo ritiene necessario in ragione delle questioni affrontate o anche in
modo stabile, altre persone in qualità di consulenti.
§ 2. L'Arcivescovo riunisce regolarmente il consiglio episcopale sotto la sua presidenza o quella del vicario generale, per trattare le
questioni di maggior rilievo della vita diocesana e in particolare:
a) stabilire i criteri unitari per l'azione e il governo pastorale della diocesi;
b) confrontare le diverse esperienze e giudicarne la validità sul piano diocesano;
c) esprimere il parere circa le nomine dei parroci e il trasferimento dei presbiteri;
d) esaminare le mozioni dei consigli presbiterale e pastorale e le proposte dell'assemblea dei decani in ordine a decisioni operative;
e) favorire i rapporti di comunione e di collaborazione, nel rispetto delle singole competenze, fra gli organismi della diocesi e le zone
pastorali.
§ 1. Il consiglio pastorale diocesano, composto da presbiteri, diaconi, consacrati e soprattutto da laici, ai sensi dei canoni 511-514 del
Codice di diritto canonico, è un organo consultivo che contribuisce a realizzare la comunione nella Chiesa particolare come strumento di
partecipazione aperto a tutte le componenti del popolo di Dio e che, sotto l'autorità dell'Arcivescovo, ha il compito di studiare, valutare e
proporre conclusioni operative per quanto riguarda le attività pastorali della diocesi.
§ 2. Il consiglio pastorale diocesano è retto da un proprio statuto, approvato dall'assemblea e promulgato dall'Arcivescovo. Lo statuto
in particolare preveda una composizione del consiglio che sia veramente rappresentativa di tutta la porzione del popolo di Dio che costituisce
la diocesi e dei vari ministeri in essa presenti.
§ 1. Al consiglio presbiterale, composto da presbiteri rappresentanti l'intero presbiterio, spetta, quale senato dell'Arcivescovo, il
compito di coadiuvarlo nel governo della diocesi per promuovere nel modo più efficace il bene pastorale della porzione di popolo di Dio a lui
affidata(1).
§ 2. Il consiglio presbiterale è retto da un proprio statuto approvato dell'assemblea e promulgato dall'Arcivescovo. Lo statuto in
particolare preveda una composizione del consiglio che sia rappresentativa, attraverso elezione, di tutti i presbiteri incardinati nella diocesi e
degli altri presbiteri che, dimorando in diocesi, esercitano un ufficio in suo favore su nomina dell'Ordinario diocesano. Inoltre dovrà essere
stabilita la presenza nel consiglio presbiterale di altri presbiteri dimoranti in diocesi, appartenenti a istituti religiosi, a società di vita apostolica
e ad altre aggregazioni presbiterali, attraverso rappresentanti designati dai rispettivi organismi.
§ 1. I consigli durano in carica cinque anni. I consiglieri elettivi possono essere consecutivamente rieletti per una sola volta.
§ 2. Ogni consigliere, senza vincolo di rappresentanza, arricchendo il consiglio della propria particolare esperienza attenta alle realtà
ecclesiali in cui è inserito, ricerca, con gli altri membri, il bene dell'intera comunità diocesana, in piena comunione con l'Arcivescovo.
§ 3. I rispettivi statuti prevedano un metodo di dibattito tale da favorire un costruttivo rapporto dialogico tra i membri di ciascun
consiglio e tra questi e l'Arcivescovo.
§ 1. Consapevoli di essere organismi di partecipazione ecclesiale e di collaborazione pastorale per l'Arcivescovo, il consiglio
pastorale diocesano e il consiglio presbiterale hanno cura di coordinare opportunamente i propri lavori.
§ 2. In particolare:
a) all'inizio dell'anno pastorale le giunte dei due organismi si riuniscono sotto la direzione dell'Arcivescovo, soprattutto in vista di
concordare, nel rispetto delle caratteristiche e dell'autonomia dei due consigli, una trattazione coordinata degli argomenti di interesse comune;
b) nel caso della trattazione di uno stesso tema, con il consenso dell'Arcivescovo, i due consigli possono dar vita ad un'unica
commissione preparatoria;
c) l'Arcivescovo può convocare in seduta comune i due consigli e sottoporre loro un unico ordine del giorno.
§ 1. Il collegio dei consultori, formato da presbiteri scelti dall'Arcivescovo tra i membri del consiglio presbiterale, ha il compito di
coadiuvare l'Arcivescovo nell'amministrazione dei beni della diocesi e delle persone giuridiche a lui soggette, con particolare attenzione alle
finalità pastorali dei beni ecclesiastici. Altre funzioni, oltre a quelle specificamente previste dal Codice di diritto canonico in caso di sede
vacante o impedita, possono essere delegate al collegio dei consultori dal consiglio presbiterale, secondo le modalità stabilite nel proprio
statuto, o attribuite dall'Arcivescovo allo stesso collegio.
§ 2. Il collegio dei consultori della nostra diocesi è composto da dodici presbiteri, scelti dall'Arcivescovo tra i membri del consiglio
presbiterale in carica, cosicché tutte le zone pastorali e i principali settori pastorali della diocesi vi siano rappresentati. E' presieduto
dall'Arcivescovo o, per mandato speciale, da un vicario.
§ 3. Nell'esaminare le diverse pratiche al fine di esprimere il proprio parere o consenso, secondo quanto previsto dalla normativa
canonica vigente, il collegio porrà particolare attenzione agli aspetti pastorali, mantenendosi in costante rapporto con i vicari episcopali di zona
ed eventualmente con i responsabili degli enti, anche tramite il componente del collegio scelto dall'Arcivescovo come collegamento con la
zona o il settore interessati.
§ 4. La struttura, i compiti e le modalità di lavoro del collegio dei consultori sono ulteriormente determinati da un apposito
regolamento emanato dall'Arcivescovo, sentito il parere del collegio stesso.
§ 1. Il consiglio per gli affari economici della diocesi è l'organismo che coadiuva l'Arcivescovo nell'amministrazione dei beni della
diocesi e delle persone giuridiche a lui soggette, con particolare riguardo ai profili tecnici, soprattutto giuridici ed economici.
§ 2. Il consiglio per gli affari economici è composto da membri scelti dall'Arcivescovo in ragione delle loro specifiche competenze,
in numero non superiore a dieci, secondo quanto stabilito dal regolamento. Essi siano preferibilmente laici a norma della costituzione 355.
Prendono parte al consiglio l'economo diocesano e i responsabili degli uffici di curia a carattere amministrativo con il compito di presentare le
pratiche e di offrire il contributo della loro esperienza per l'approfondimento delle questioni in esame. Essi non hanno diritto di voto.
§ 3. La carica di consigliere del consiglio per gli affari economici è di norma incompatibile con quella di membro dei consigli di
amministrazione degli enti centrali della diocesi, ovvero degli enti che perseguono finalità generali di carattere diocesano, qualunque sia la
loro configurazione giuridica. In ogni caso il consigliere non può intervenire alla discussione e partecipare al voto quando si tratti di questioni
relative a enti presso i quali svolge funzioni di responsabilità amministrativa.
§ 4. Il consiglio dura in carica cinque anni ed è presieduto dall'Arcivescovo o da un suo delegato(2).
§ 5. Nell'esaminare le diverse pratiche al fine di esprimere il proprio parere o consenso, secondo quanto previsto dalla vigente
normativa canonica, il consiglio porrà soprattutto attenzione agli aspetti giuridici ed economici o comunque di carattere tecnico. Nell'esercitare
le sue funzioni di controllo e vigilanza sull'ente Arcidiocesi di Milano e sugli altri enti centrali, il consiglio avrà cura di verificare gli indirizzi
delle loro attività anche al fine di assicurarne il necessario coordinamento.
§ 6. La struttura, i compiti e le modalità di lavoro del consiglio per gli affari economici sono ulteriormente determinati in un apposito
regolamento emanato dall'Arcivescovo, sentito il parere del consiglio stesso.
179. Coordinamento dei lavori del collegio dei consultori e del consiglio per gli affari economici della diocesi
§ 1. Al fine di garantire un efficace coordinamento tra il collegio dei consultori e il consiglio per gli affari economici della diocesi,
l'Arcivescovo avrà cura di nominare la stessa persona come segretario dei due organismi, scegliendola anche al di fuori dei loro membri.
§ 2. Le pratiche di competenza comune vengano di norma esaminate previamente dal collegio dei consultori, al fine di esperire
anzitutto una valutazione più direttamente pastorale.
§ 1. L'assemblea dei decani è l'organismo che riunisce tutti i decani della diocesi. Essa è convocata dall'Arcivescovo che la presiede
personalmente, o per mezzo del vicario generale competente, al fine di individuare e studiare le modalità di attuazione del programma
pastorale annuale e delle iniziative ad esso inerenti. Essa inoltre è il luogo per un confronto tra le diverse esperienze dei decani che consente di
approfondire il ruolo e i compiti del decanato e dei suoi organismi.
§ 2. I lavori dell'assemblea sono preparati e coordinati da una giunta composta da alcuni membri eletti dai decani.
§ 1. Gli uffici della curia devono, di norma, essere coadiuvati da una o più commissioni composte da membri nominati
dall'Arcivescovo secondo le indicazioni del regolamento della curia stessa. E' opportuno che alcuni di essi vengano indicati dal consiglio
presbiterale e dal consiglio pastorale secondo le diverse competenze. Possono essere costituite commissioni che fanno riferimento a più uffici
dello stesso settore o anche a più settori.
§ 2. Gli uffici a carattere pastorale si avvalgono anche di apposite consulte in cui siano rappresentate le realtà ecclesiali operanti nel
loro ambito di azione. Gli stessi uffici, possono farsi promotori, in accordo con il proprio vicario episcopale di settore e con il moderator
curiae, di coordinamenti tra realtà ecclesiali e di ispirazione cristiana per specifici settori di azione. Possono essere costituite consulte che
facciano riferimento a più uffici nello stesso settore o anche a più settori.
§ 4. Le commissioni, le consulte e, per quanto di competenza, i coordinamenti sono convocati e presieduti dal vicario episcopale di
settore o dal responsabile dell'ufficio, secondo quanto indicato dal regolamento della curia.
§ 3. Gli uffici, le commissioni e le consulte tengano gli opportuni collegamenti con le eventuali corrispondenti commissioni dei
consigli presbiterale e pastorale diocesano, nonché con gli analoghi organismi esistenti a livello di conferenza episcopale regionale e
nazionale.
§ 1. Coloro che sono chiamati a operare nell'ambito della curia diocesana assumono e svolgono il loro incarico secondo la normativa
canonica e civile in materia, come precisato dal regolamento. La loro azione dovrà essere sempre animata da quell'autentico spirito pastorale
che è richiesto per un adeguato servizio alla Chiesa ambrosiana e, in particolare, alle parrocchie.
§ 2. I presbiteri e i diaconi sono nominati per cinque anni e possono essere riconfermati. Cessano dal loro servizio al compimento del
settantacinquesimo anno di età.
§ 3. I fedeli non ordinati possono essere nominati responsabili di quegli uffici di curia che, per la natura delle loro funzioni, non
richiedano di essere diretti da un presbitero o da un diacono. La nomina dura cinque anni e può essere rinnovata.
184. Regolamento
§ 1. L'esatta composizione strutturale, l'organizzazione e il funzionamento della curia sono disciplinati da un apposito regolamento,
promulgato dall'Arcivescovo, sentiti il moderator curiae, il vicario giudiziale diocesano, i vicari episcopali di settore e i responsabili degli
uffici, e periodicamente rivisto al fine di renderlo sempre più adeguato alle esigenze di un servizio competente, efficace e disponibile alla
Chiesa diocesana; a questo proposito si effettueranno regolari verifiche tra i vicari episcopali di settore e il vicario generale che svolge la
funzione di moderator curiae.
§ 2. Il regolamento deve stabilire l'articolazione in settori con l'attribuzione agli stessi degli uffici e degli altri organismi di curia,
contenere la descrizione delle competenze e dell'articolazione di tutti gli uffici e degli altri organismi, come pure prevedere il loro
coordinamento, in particolare circa gli obiettivi, lo scambio di informazioni e le attività programmate. Deve, inoltre, precisare diritti e doveri di
chi è chiamato a collaborare nella curia arcivescovile.
Le iniziative promosse dai singoli organismi della curia, in coerenza con il cammino pastorale annuale della diocesi, devono aiutare
le diverse articolazioni della comunità diocesana a realizzarlo. Esse vanno programmate e coordinate, sotto la responsabilità del moderator
curiae, così da essere proposte in modo ordinato e organico alle comunità ecclesiali della diocesi, al fine di poter essere agevolmente accolte
nella programmazione pastorale di ciascuna.
Nella nostra diocesi esistono, oltre all'ente Arcidiocesi di Milano, anche altri enti, con diversa configurazione giuridica, che
perseguono finalità generali di carattere diocesano. Essi devono essere amministrati secondo le disposizioni statutarie, tenendo presenti gli
indirizzi di carattere generale della diocesi e la necessità di un coordinamento tra di loro e con la curia diocesana, sotto la responsabilità del
vicario generale competente e con il controllo e la vigilanza del consiglio per gli affari economici della diocesi (cf cost. 178, § 5).
La curia diocesana, secondo il proprio regolamento e le indicazioni dell'Arcivescovo, terrà gli opportuni collegamenti con gli
organismi, che senza far parte della struttura della curia diocesana, sono costituiti per seguire specifiche finalità pastorali o per realizzare
luoghi di incontro e di coordinamento per chi opera in determinati campi.
§ 1. La comunità cristiana nel suo agire pastorale testimonia Gesù Buon Pastore, percorrendo nuove strade per cercare, trovare e
avere cura dei fanciulli, dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani. Tale azione pastorale costituisce la pastorale giovanile.
§ 2. Consapevole della grande rilevanza dell'impegno educativo per l'oggi e per il futuro della Chiesa e della società, la diocesi ha
sempre profuso per esso molte energie, specialmente nell'esperienza dell'oratorio e di associazioni, gruppi e movimenti. “Nella nostra
tradizione ecclesiale c'è tanta ricchezza e saggezza: la riconosciamo, la custodiamo e la rinnoviamo con il desiderio di essere missionari”(1). Il
compito, assai esigente, può apparire sproporzionato alle forze, ma è reso possibile dalla fiducia in Dio che educa il suo popolo attraverso
l'azione dello Spirito santo. Da qui nasce la collaborazione intelligente di tutte le forze vive della nostra Chiesa per delineare e mettere in atto
alcune scelte fondamentali, capaci di perseguire un progetto educativo energico e liberante, inserito nella storia(2), aperto all'azione dello
Spirito santo.
La consapevolezza che i giovani vivono oggi in una realtà sociale complessa, dalla quale ricevono numerosi e diversificati messaggi,
e in cui sono condizionati da una pluralità di esperienze, richiede educatori che sappiano incontrarli a partire dal loro vissuto, senza tuttavia
abdicare alle esigenze radicali del Vangelo, alla cui luce vanno interpretate le diverse esperienze. I giovani domandano di essere conosciuti e
capiti, di essere accolti nella loro problematicità e nelle loro attese; desiderano educatori capaci di farsi loro "compagni di strada", ma insieme
esigono di essere illuminati e sostenuti nel loro cammino.
§ 1. La Chiesa ambrosiana ritiene necessario elaborare un progetto di pastorale giovanile che riguardi fanciulli, ragazzi, adolescenti e
giovani. Proposto a livello diocesano, tale progetto è valido per tutte le parrocchie e gli altri soggetti coinvolti nell'opera educativa per tali
fasce di età.
§ 2. Le linee generali di tale progetto sono offerte dalle disposizioni seguenti; ma andranno ulteriormente elaborate e aggiornate, da
parte degli organismi diocesani incaricati della promozione della pastorale giovanile.
§ 1. Nel tracciare il progetto educativo occorre tener presente che ragazzi, adolescenti e giovani vanno formati non per una società
ideale, ma per la società reale nella quale sono destinati a vivere. Non si tratta di programmare a tavolino un punto di partenza, ma di rendersi
conto di dove si trova in realtà il soggetto da educare.
§ 2. Da qui l'esigenza di leggere attentamente e comprendere in profondità la complessa realtà giovanile e di coglierne i segnali
positivi (ad esempio maggior consapevolezza nelle scelte, disponibilità al servizio, valorizzazione delle relazioni umane e dei cosiddetti
rapporti brevi) e gli aspetti problematici (come: soggettivismo, edonismo, difficoltà a operare scelte definitive, diffidenza verso le forme
istituzionali).
§ 3. Sempre per un'adeguata conoscenza dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, un'attenzione specifica è dovuta agli ambienti
abituali nei quali essi vivono, si aggregano e dai cui messaggi sono plasmati: scuola, lavoro, luoghi del tempo libero.
Prospettiva unitaria di tutto l'impegno della comunità cristiana nella pastorale giovanile è una reale tensione missionaria; pertanto
l'annuncio del Vangelo a ragazzi, adolescenti e giovani nella loro concreta situazione costituisce la preoccupazione primaria della pastorale
giovanile. Alla luce di questo principio vanno operate le scelte prioritarie sia a livello di contenuti educativi, sia di strutture. Occorre in
particolare avvalersi di linguaggi che favoriscano l'apertura al messaggio evangelico e la sua ricezione.
§ 1. Poiché gli adolescenti e i giovani vivono anni in cui generalmente si compiono le scelte decisive della vita, la pastorale giovanile
deve qualificarsi come intrinsecamente vocazionale e deve aiutare gli adolescenti e i giovani ad assumere motivazioni evangeliche che li
conducano a valorizzare i doni ricevuti e a servire responsabilmente la Chiesa e la società nella prospettiva del regno.
§ 2. Vanno proposte le vocazioni fondamentali al matrimonio cristiano, alla vita di speciale consacrazione e ai ministeri ordinati.
Il progetto educativo preveda un'esplicita cura per la vocazione al matrimonio cristiano e alla famiglia (cf cost. 399). Oltre alla guida
personale si predispongano, per adolescenti e giovani, cammini di educazione all'amore. Momento caratterizzante di questo processo sarà
l'educazione alla castità giovanile, in vista di un amore autentico(3).
Sono da valorizzare, in questo senso, le proposte di accompagnamento del fidanzamento, in particolare quelle promosse dall'Azione
Cattolica, le esperienze diocesane del Gruppo Samuele(4) e del Cenacolo di Azione Cattolica(5).
195. La cura delle vocazioni ai ministeri ordinati e alla vita di speciale consacrazione
Il progetto educativo esprima anche una concreta ed appassionata attenzione alla cura delle vocazioni presbiterali e diaconali e di
speciale consacrazione. A tale scopo, oltre all'accompagnamento personale:
a) siano valorizzate la giornata pro seminario, la giornata mondiale delle vocazioni, la settimana vocazionale (cf cost. 509, § 2);
b) negli itinerari di preparazione alla confermazione si preveda un'esplicita istruzione sulle tematiche vocazionali;
c) nell'itinerario per la professione di fede venga proposta la conoscenza di alcune figure di vocazione, mediante l'incontro con
testimonianze personali e con esperienze in luoghi significativi;
d) agli adolescenti e ai giovani si propongano gli esercizi spirituali come occasione di riflessione sulla chiamata del Signore;
e) venga proposta l'esperienza del Gruppo Samuele come anno di più intenso discernimento vocazionale;
f) si valorizzino le proposte di accompagnamento offerte dal Centro diocesano vocazioni, dal seminario, dagli istituti religiosi, dagli
istituti secolari, dal Cenacolo di Azione Cattolica e da associazioni, gruppi e movimenti.
197. I destinatari
§ 1. La pastorale giovanile si rivolge a ragazzi, adolescenti e giovani che vivono condizioni e storie diverse, sia in riferimento al
rapporto con la comunità cristiana, sia in riferimento agli ambienti e alle situazioni di vita.
§ 2. In riferimento alla relazione con le comunità ecclesiali, vanno tenute presenti tre situazioni di ragazzi adolescenti e giovani:
a) quella dei più motivati;
b) quella di coloro che, con diverso coinvolgimento, partecipano alle proposte oratoriane o ad altri momenti della vita della
comunità;
c) quella degli indifferenti e dei lontani, nei quali è normalmente venuto meno qualunque riferimento ai contenuti della fede cristiana
e che spesso sono disorientati anche sul senso della loro esperienza umana.
§ 3. In riferimento alle condizioni di vita vanno tenute presenti soprattutto:
a) gli studenti;
b) i lavoratori;
c) quanti sono in situazioni di difficoltà.
§ 4. La pastorale giovanile cura i cammini di fede, delineando percorsi differenziati che prevedano, senza rigide distinzioni,
un'attenzione specifica alle varie tipologie. Questi cammini non siano pensati come alternativi, ma si richiamino l'un l'altro perché
complementari e vengano tracciati con lo specifico apporto di ogni realtà ecclesiale.
§ 1. All'interno della comunità si riconoscono ragazzi, adolescenti e giovani che hanno fatto scelte più consapevoli o che possono
essere aiutati a farle e si rendono disponibili per un servizio continuativo. Ad essi sia offerto, con una particolare attenzione personale, un vero
e proprio percorso formativo alla missionarietà e alla corresponsabilità.
§ 2. Di grande aiuto per questi ragazzi, adolescenti e giovani, nel contesto della vita parrocchiale oratoriana, è la proposta
dell'Azione Cattolica, indicata dai vescovi come scuola per la formazioni di laici adulti a una stabile dedicazione alla pastorale della comunità
e alla missione.
199. La cura pastorale di chi in vario modo partecipa alla vita della comunità
§ 1. Chi abitualmente partecipa alla vita della comunità sia coinvolto progressivamente in un cammino di fede, che aiuti ad
affrontare i temi fondamentali della fede cristiana, avvii ad un percorso di preghiera e di riflessione sulla Parola di Dio, guidi all'Eucaristia e
agli altri sacramenti, educhi al servizio e alla testimonianza della carità e alla fedeltà alla Chiesa.
§ 2. L'oratorio diventi sempre più luogo privilegiato per la cura pastorale di questi ragazzi, adolescenti e giovani. In esso sia viva
l'attenzione all'intensità e al metodo della proposta educativa e all'identificazione di significative figure educative di riferimento.
§ 1. Molti giovani non sono abitualmente coinvolti dalle varie proposte dei cammini di fede, o perché indifferenti o perché più
problematici e in ricerca. Bisogna che la comunità cristiana si lasci interrogare anche da loro e aggiorni continuamente metodi e linguaggi così
da comunicare la fede in termini comprensibili per la loro esperienza di vita.
§ 2. Di conseguenza:
a) siano promosse nuove e specifiche vocazioni educative che sappiano realizzare rapporti personali sul territorio e nei luoghi di vita,
e offrano segni e momenti di accoglienza e di solidarietà e possibilità di cammini di fede;
b) sia stimolato e sostenuto l'impegno missionario di tutti i ragazzi, gli adolescenti e i giovani delle nostre comunità verso i loro
coetanei;
c) siano favorite iniziative di accoglienza a livello culturale, ricreativo, sportivo; iniziative di interesse particolare sui problemi della
pace, su quelli sociali, politici, interetnici e specifici del territorio;
d) si studino proposte indirizzate ad una riflessione più critica sulla fede a partire dalle domande esistenziali dei giovani la cui ricerca
è problematica.
§ 3. Anche negli oratori ci si deve sentire particolarmente coinvolti e sollecitati nell'attuare tali iniziative.
§ 1. Molti ragazzi, adolescenti e giovani sono studenti, per cui è importante tener conto dell'ambiente scuola nei percorsi educativi.
Occorre, quindi, promuovere l'educazione alla graduale scoperta del senso e del valore dello studio per la vita; vanno incoraggiate presenze
significative di testimonianza nella scuola; si deve incrementare un lavoro comune con le scuole cattoliche presenti sul territorio e promuovere
forme di collaborazione con le associazioni, i gruppi e i movimenti di ispirazione cristiana che operano nell'ambito scolastico. Inoltre sono
importanti forme di collegamento con gli insegnanti, specialmente quelli di religione, presenti nelle scuole statali (cf costt. 565-593).
§ 2. Una parte significativa di giovani vive l'esperienza dell'università: è necessaria una loro valorizzazione nei percorsi educativi e
un'attenzione reale a questo particolare ambiente formativo, a partire dalle proposte della pastorale universitaria.
§ 1. Nel definire gli itinerari educativi si tenga conto che una parte consistente di adolescenti entra precocemente nel mondo del
lavoro, che la maggioranza dei giovani lavora e che gli stessi studenti si stanno preparando ad entrare nel mondo del lavoro.
§ 2. Ragazzi, adolescenti e giovani vanno quindi progressivamente educati al senso umano e cristiano del lavoro, visto come luogo
di crescita, di espressione di valori, di santificazione e missione (cf cost. 543).
§ 3. Superando una situazione nella quale spesso gli adolescenti e i giovani lavoratori sono ai margini della pastorale giovanile, la
comunità cristiana:
a) si attrezzi con urgenza, passione e competenza per conoscere la realtà dei numerosi adolescenti e giovani di ambiente operaio e
popolare;
b) formi gli educatori affinché sappiano incontrarli, aggregarli e coinvolgerli in cammini di gruppo;
c) predisponga orari, linguaggi e metodi che favoriscano la loro partecipazione.
§ 4. Preziosi e competenti contributi in merito possono essere forniti dalla GIOC (Gioventù operaia cristiana) e dalle ACLI
(Associazioni cristiane lavoratori italiani). Si favorisca anche la collaborazione con l'Ufficio per la vita sociale e il lavoro e con le strutture a
esso collegate.
La pastorale giovanile rivolge particolare attenzione ai disabili. Si rimuovano le barriere, soprattutto culturali, che impediscono una
serena partecipazione, si attivino le collaborazioni necessarie e si favorisca la crescita di una mentalità di condivisione, che si concretizzi anche
con la realizzazione di proposte e strutture non emarginanti.
§ 1. Una considerazione particolare va data ai ragazzi in pericolo o in situazione di devianza o di marginalità, ad esempio a coloro
che hanno abbandonato la scuola dell'obbligo (cf cost. 568). L'attenzione alle forme di grave disagio si coniughi tuttavia sempre con le
molteplici iniziative specializzate esistenti.
§ 2. Si eviti comunque una visione patologica dei giovani in disagio. Se questo sussiste, e talora in forme anche gravi, è fenomeno
assai più limitato di quanto la mentalità odierna induce a credere. Ragazzi, adolescenti e giovani di qualsiasi condizione sono persone da
educare al pieno compimento di sé, nella consapevolezza delle proprie potenzialità umane e cristiane.
§ 1. All'interno del percorso educativo proposto ai giovani, vanno favorite e affrontate le tematiche relative al servizio da recare alla
società, intesa come comunità nazionale. La salvaguardia e la difesa dei valori della patria saranno tematiche da non disattendere anche in vista
di decisioni personali che ogni giovane dovrà affrontare.
§ 2. Chi sceglie di compiere il servizio militare (cf cost. 556) necessita di un'attenzione educativa che può esprimersi:
a) con un'opportuna preparazione in ordine al significato e alle condizioni del servizio stesso;
b) con l'aiuto dei cappellani militari;
c) con l'attenzione da parte delle comunità in cui si trovano caserme;
d) con l'accompagnamento da parte della comunità di appartenenza e con l'aiuto a reinserirsi in essa a servizio militare finito.
§ 3. Nell'ambito della pastorale giovanile si incoraggino e si motivino le eventuali scelte dell'obiezione di coscienza (cf cost. 557) e
dell'anno di volontariato sociale, sostenute dalla Caritas diocesana (cf costt. 128-129).
§ 4. Si presti attenzione anche alle realtà presenti sul territorio che coinvolgono giovani di varie provenienze e in situazioni diverse:
pensionati studenteschi e collegi universitari, centri sociali e di aggregazione giovanile, carceri, comunità di recupero, cooperative di
solidarietà sociale.
§ 1. Il cammino educativo, finalizzato alla formazione dell'adulto credente, si articola in tappe e passaggi adatti alle varie età. Esso
pertanto prevede:
a) per i fanciulli: dopo un'introduzione al cammino nei primi anni dell'età scolare, un biennio con la preparazione alla messa di prima
Comunione e al sacramento della riconciliazione;
b) per i ragazzi: un biennio verso il sacramento della confermazione;
c) per i preadolescenti: l'itinerario fino alla professione di fede (in cui il quattordicenne-quindicenne manifesta il suo desiderio di
testimonianza di fronte alla comunità);
d) per gli adolescenti: l'itinerario articolato in un triennio;
e) per i diciottenni-diciannovenni: l'itinerario che trova il suo momento conclusivo nella redditio symboli in cui il diciannovenne
consegna all'Arcivescovo la regola di vita, confermando il suo impegno a seguire Gesù;
f) per i giovani dai venti ai venticinque anni: l'itinerario che esplicita la loro vocazione nella Chiesa e che aiuta nel passaggio alla
comunità adulta, con la testimonianza per il regno e la responsabilità personale.
§ 2. Tappe e passaggi non siano automaticamente legati all'età, ma tengano conto del divenire della persona nella sua maturazione.
§ 1. L'esperienza recente ha dimostrato l'efficacia di alcuni appuntamenti annuali ormai entrati nella consuetudine. Essi sono:
a) la scuola della Parola, in cui mensilmente i giovani e, con un cammino appropriato, gli adolescenti, vivono l'esperienza della
lectio divina per essere formati a praticarla personalmente;
b) l'incontro dei cresimandi con l'Arcivescovo, per sperimentare più concretamente il significato ecclesiale del sacramento della
confermazione;
c) la veglia missionaria, in occasione della giornata missionaria mondiale, per un richiamo all'impegno dell'annuncio del Vangelo;
d) la giornata mondiale della pace, come occasione per un rinnovato impegno nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno;
e) la veglia in traditione symboli, alla vigilia della domenica delle Palme, giornata mondiale della gioventù, per rinnovare la
professione di fede;
f) la due giorni "giovani e servizio", per vivere un gesto di impegno concreto a favore dei più poveri e riflettere sui temi della
solidarietà e del volontariato.
§ 2. I soggetti e realtà di pastorale giovanile prevedano nella programmazione annuale gli appuntamenti diocesani, ne evidenzino i
significati e ne favoriscano la più ampia partecipazione.
208. L'attenzione ai diversi tipi di parrocchia
§ 1. Data la situazione molto eterogenea della diocesi, il progetto diocesano di pastorale giovanile tenga conto della varietà di
situazioni delle parrocchie; le differenti realtà cerchino e creino le condizioni che ne rendano possibile l'attuazione.
§ 2. Per le parrocchie della città di Milano e di altri grandi centri urbani si attivino, da parte delle agenzie diocesane, specifici ambiti
di confronto e di progettazione pastorale, così da elaborare itinerari e iniziative in grado di rispondere alle diverse situazioni ed emergenze che
in esse si presentano e che, talvolta, richiedono di pensare un progetto diverso da quello elaborato per le parrocchie di periferia o per le piccole
parrocchie del forese.
§ 3. Per le parrocchie piccole si promuova, nella prospettiva delle unità pastorali, un progetto pastorale che preveda la collaborazione
interparrocchiale; sia valorizzata la figura del presbitero incaricato per la pastorale giovanile interparrocchiale; siano incrementati i momenti di
confronto, formazione e progettazione degli educatori; siano attivati gruppi formativi interparrocchiali per fasce d'età.
§ 4. I "grandi oratori", cioè quelli più ricchi di tradizione, strutture e iniziative, si sentano parte del progetto diocesano collaborando
attivamente con gli oratori vicini e del decanato, mettendo a disposizione le loro esperienze e le loro risorse.
Un ruolo storicamente rilevante e ancora oggi fondamentale per la pastorale giovanile ha l'oratorio, nel quale l'intera comunità
parrocchiale manifesta concretamente la sua attenzione educativa per la gioventù. Attraverso il necessario aggiornamento e l'adattamento a
luoghi e situazioni diversi, l'oratorio si mantiene e si dimostra accogliente, missionario, capace di formare alla fede.
§ 1. Ogni parrocchia, e in essa l'oratorio, applichi il progetto educativo diocesano, le cui linee principali sono state fin qui tracciate,
tenendo conto del proprio contesto sociale e pastorale, almeno a livello decanale o cittadino; lo attui valorizzando la specificità e le ricchezze
della propria esperienza e dei propri carismi.
§ 2. In linea con le scelte fondamentali della diocesi, le parrocchie, i decanati, le zone, in dialogo con i diversi ambienti di vita dei
ragazzi adolescenti e giovani, sono i normali luoghi di pastorale giovanile, in cui è importante realizzare, specialmente a livello decanale,
momenti di coordinamento, cooperazione, progettazione e confronto tra le varie realtà educative.
Particolare significato per la pastorale giovanile di parrocchie e decanati rivestono strutture a livello cittadino, quali, a Milano, il
Centro card. Schuster e il Centro sportivo Peppino Vismara.
§ 1. In un corretto progetto di pastorale giovanile, è necessario valorizzare, con le loro caratteristiche peculiari, anche le varie realtà
ecclesiali specificamente impegnate nell'educazione di ragazzi, adolescenti e giovani: le associazioni, in particolare quelle di volontariato, i
gruppi e i movimenti ecclesiali e le scuole cattoliche. Esse sono chiamate a collaborare nella elaborazione del progetto diocesano di pastorale
giovanile e, quindi, ad applicarlo adattandolo alla loro concreta situazione. In tal modo, la loro presenza e cooperazione contribuiscono a
potenziare la capacità evangelizzatrice della Chiesa nel mondo giovanile.
§ 2. Queste realtà ecclesiali, superando i rischi di estraneità e diffidenza reciproci, nel rispetto delle specifiche peculiarità,
valorizzando quanto si fa nei diversi contesti educativi e pastorali, promuovano connessioni e sinergie nel loro impegno di evangelizzazione e
educazione rivolto ai giovani.
§ 3. In considerazione del fatto che i gruppi dell'AGESCI (Associazione guide e scout cattolici italiani) operano spesso a livello
sovraparrocchiale e seguono particolari itinerari di catechesi e metodologie di animazione per taluni aspetti simili a quelle proposte nei gruppi
oratoriani, è necessario curare il loro coordinamento con gli altri soggetti della pastorale giovanile, in particolare gli oratori. A questo scopo è
bene che vi siano sacerdoti disponibili ad accettare il servizio di assistenti scout e che i capi dei gruppi scout partecipino alla comunità degli
educatori dell'oratorio. Un coordinamento fra il gruppo scout e gli oratori di provenienza è necessario particolarmente durante gli anni del
cammino di iniziazione cristiana e della professione di fede, in cui le esigenze e i tempi delle attività associative si sovrappongono spesso a
quelli della catechesi parrocchiale.
§ 1. Un'efficace azione educativa delle nuove generazioni non può assolutamente prescindere dalla famiglia, la quale, in forza del
sacramento del matrimonio, “vive in modo privilegiato e originale il suo compito di evangelizzazione al suo interno, in particolare nel rapporto
genitori-figli”(6).
§ 2. Ai genitori va continuamente richiamato il loro peculiare, primario e insostituibile ruolo educativo, da sostenere e alimentare
con opportune iniziative. Dalle famiglie i soggetti impegnati nella pastorale giovanile attendono preziose indicazioni per la formulazione del
progetto educativo e un apporto rilevante per la sua attuazione.
§ 1. La comunità cristiana, nella sua azione educativa, non tralasci di valorizzare la presenza degli adulti. Essi, perciò, con il loro
comportamento e le loro scelte siano credibile riferimento per tutti e, in particolare, per i giovani. Tra essi hanno particolare rilevanza quelle
figure che, per vocazione o per sensibilità personale, li accompagnano nel cammino formativo. Essi agiscano in modo coordinato in profonda
comunione di intenti, non dimenticando che la loro testimonianza è richiesta dai giovani: “si rende evidente l'esigenza di avere più adulti di
riferimento per i cammini dei giovani. Si chiede, pertanto, al mondo adulto una maggiore presenza, testimonianze significative, possibilità di
confronto e di condivisione”(7).
§ 2. Della comunità che educa ed evangelizza fanno parte gli stessi giovani, che costituiscono un sorprendente e ricco potenziale. La
pastorale giovanile intende valorizzare e confermare tale ricchezza, accogliendo il messaggio dei giovani al Sinodo: “Sentiamo il dovere di
dare voce a tutta la popolazione dei giovani con le sue domande e la sua forte ricerca di realizzazione, perché nel nostro impegno quotidiano,
nelle parrocchie o all'interno dei movimenti o delle associazioni di cui siamo parte, intendiamo percorrere ogni strada, perché l'unica Parola
della vita e della speranza possa raggiungere ciascuno dei nostri coetanei”(8).
II. STRUTTURE DIOCESANE DI PASTORALE GIOVANILE
La Chiesa diocesana promuove il progetto di pastorale giovanile, secondo le linee indicate, attraverso strutture centrali e periferiche
come è precisato nelle costituzioni seguenti.
§ 1. L'Ufficio per la pastorale giovanile, coadiuvato da una apposita commissione, ha il compito di:
a) precisare e aggiornare il progetto di pastorale giovanile qui descritto;
b) sostenere i diversi soggetti nella elaborazione dei progetti specifici;
c) promuovere le iniziative diocesane e zonali e coordinare quelle decanali;
d) coordinare le diverse realtà coinvolte nella pastorale giovanile.
§ 2. Nell'elaborazione e nell'attuazione delle scelte pastorali, l'ufficio si avvale, come di un suo strumento peculiare, della FOM
(Fondazione oratori milanesi), la quale cura la traduzione del progetto diocesano di pastorale giovanile per quanto attiene all'oratorio, con il
metodo e le attività propri. Inoltre, essa mantiene rapporti con gli enti pubblici per quanto riguarda le attività degli oratori.
§ 3. L'ufficio si avvale dell'opera dell'Azione Cattolica per quanto riguarda la formazione alla corresponsabilità educativa.
§ 4. L'ufficio si avvale della Consulta diocesana per la pastorale giovanile. Essa è composta dai rappresentanti delle associazioni,
gruppi, movimenti e dei soggetti che si occupano della pastorale giovanile, oltre che dai responsabili delle consulte decanali.
§ 5. L'Ufficio diocesano per la pastorale giovanile mantiene rapporti di collaborazione con gli altri uffici interessati alla pastorale
giovanile, anzitutto con l'Ufficio diocesano per la pastorale scolastica.
§ 1. La Consulta decanale per la pastorale giovanile, da costituire in ogni decanato, è composta dai vari soggetti di pastorale
giovanile presenti nel territorio, secondo le indicazioni offerte dall'Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, ed è guidata dai responsabili
decanali, designati dal responsabile dell'Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, d'intesa con i decani.
§ 2. Compito della consulta è quello di promuovere il confronto tra i vari soggetti che la compongono e quindi la progettazione
comune, l'animazione e il coordinamento delle attività.
In particolare alla consulta competono:
a) un'attenta lettura della realtà giovanile nel territorio;
b) un sostegno alle parrocchie del decanato per facilitare un itinerario organico di catechesi, possibilmente comune nei contenuti;
c) l'attenzione ad attivare e promuovere forme di incontro e di annuncio rivolte ai giovani che abitualmente non vengono raggiunti
dalla vita della comunità cristiana;
d) la promozione dell'Azione Cattolica nelle parrocchie del decanato;
e) la promozione e la cura della scuola della Parola per adolescenti e giovani (cf cost. 40);
f) la promozione e l'attuazione degli appuntamenti diocesani annuali a livello decanale (cf cost. 207) e la promozione delle diverse
realtà collegate alla formazione degli educatori (cf cost. 240);
g) la collaborazione e il coordinamento, a livello decanale, con le strutture e le iniziative della pastorale scolastica, del lavoro e della
famiglia.
217. La parrocchia
§ 1. Il parroco con il consiglio pastorale si preoccupi di procedere alla formulazione, all'aggiornamento e alla verifica periodici del
progetto parrocchiale di pastorale giovanile, in applicazione di quello diocesano. Nel fare questo, si avvalga dei consigli e delle proposte del
direttore e del consiglio dell'oratorio e di persone competenti.
§ 2. La comunità parrocchiale, nel valorizzare le diverse figure educative presenti al suo interno e nell'affidare ad alcuni più
direttamente il compito educativo, si impegni a coordinarne gli interventi, assicurando un aiuto di preghiera, di condivisione e di disponibilità
per tutto ciò che attiene al servizio da offrire ai giovani.
III. L'ORATORIO
§ 1. Il progetto di pastorale giovanile delineato da ogni parrocchia, come traduzione e applicazione di quello diocesano, richiede
l'irrinunciabile attenzione alla totalità della popolazione giovanile che vive nel suo territorio. Strumento privilegiato e prioritario con cui
svolgere l'impegno educativo della parrocchia nei confronti di tutta la popolazione giovanile è l'oratorio. Esso “è una comunità che educa
all'integrazione fede-vita, grazie al servizio di una comunità di educatori, in comunione di responsabilità e di collaborazione con tutti gli adulti.
Il metodo dell'oratorio (o il suo stile) è quello dell'animazione, che consiste nel chiamare i ragazzi a partecipare a proposte educative che
partono dai loro interessi e dai loro bisogni”(9).
§ 2. La parrocchia non può esimersi dal promuovere e organizzare l'oratorio e raccordare l'opera svolta in esso con quella esercitata
da associazioni, gruppi e movimenti. L'oratorio infatti ricerca ed accoglie ogni fanciullo, ragazzo, adolescente o giovane che vive nell'ambito
della parrocchia, mentre l'adesione ad associazioni, gruppi e movimenti riguarda solo una parte della popolazione giovanile che ne accetta le
modalità ed i cammini.
Il metodo educativo dell'oratorio prevede e valorizza l'articolazione in gruppi (di base e di interesse) organicamente inserita in un
cammino comunitario.
220. I gruppi di base
I gruppi di base strutturano la comunità dell'oratorio secondo le varie fasce d'età. La vita di gruppo, nel rispetto delle esigenze di
crescita umana e cristiana tipiche di ciascuna età, costituisce l'elemento fondamentale del peculiare metodo educativo oratoriano e si esprime
nei momenti e secondo gli obiettivi previsti dal progetto (ad esempio catechesi, preghiera, gioco, lavoro, sport).
§ 1. Il progetto educativo dell'oratorio prevede anche i gruppi di interesse e di servizio e li considera e promuove come autentici
momenti formativi. Tali gruppi aperti alle diverse fasce di età e quindi ai partecipanti ai vari gruppi di base, danno uno specifico contributo al
cammino di crescita dei fanciulli, ragazzi, adolescenti e giovani. Ciascun gruppo di interesse o di servizio ha valenze educative proprie che
però devono essere coerenti con il progetto educativo globale, che le precisa e le propone.
§ 2. In particolare siano promossi i gruppi di:
a) animazione liturgica: i ministranti ragazzi e ragazze (che si avvalgono del sostegno e delle iniziative del Movimento Chierichetti o
MoChi), il coretto, e altre forme;
b) animazione missionaria;
c) animazione caritativa;
d) attività culturale (ad esempio teatrale, artistica, letteraria, turistica);
e) preparazione all'impegno sociopolitico;
f) presenza e impegno nel mondo del lavoro e della scuola;
g) volontariato;
h) attività sportive.
§ 3. In tutti questi gruppi si favorisca la collaborazione con quelli analoghi attivi nella comunità adulta della parrocchia, così da
preparare il passaggio naturale, al tempo opportuno, dalle attività oratoriane a quelle della comunità adulta.
§ 4. I gruppi siano affidati ad animatori capaci di interpretare non solo il progetto educativo locale, ma anche le proposte diocesane.
§ 5. Si tenga conto dell'opportunità, quando in un singolo oratorio non sia possibile dar vita a specifici gruppi, di attivare analoghi
gruppi a livello interparrocchiale o decanale.
§ 1. Il progetto educativo di un oratorio si fa anche carico di rispondere, con particolare attenzione, a tutti quei ragazzi, adolescenti e
giovani che manifestano una più intensa disponibilità a seguire il cammino di fede e necessitano pertanto di momenti formativi specifici e di
un personale accompagnamento.
§ 2. Preziosa è, in questo senso, l'opera che diverse realtà associative svolgono, proponendo cammini spirituali specifici per ragazzi,
adolescenti e giovani; tra questi vanno ricordati, in particolare, i movimenti giovanili promossi e sostenuti dalle diverse famiglie religiose. In
ogni caso, tutti questi cammini spirituali, organicamente inseriti nella vita oratoriana, devono contribuire alla crescita dei ragazzi, degli
adolescenti e dei giovani, in vista di una loro più attiva presenza nella comunità cristiana e di una loro più forte assunzione di responsabilità.
§ 3. Ambito privilegiato per aiutare i ragazzi, gli adolescenti e i giovani a maturare nel loro cammino di fede e, in particolare, per
educarli a fare propria la passione per la Chiesa, condividendo l'interezza delle proposte pastorali diocesane, sono i gruppi di Azione Cattolica.
Infatti, anche se il cammino di fede non passa necessariamente attraverso l'adesione a una associazione, occorre ricordare che la regola di vita,
le proposte formative, gli impegni concreti dell'Azione Cattolica costituiscono una risposta efficace alle domande dei più motivati, sia a livello
personale sia a livello di assunzione progressiva di corresponsabilità ecclesiale. Per questi motivi in ogni oratorio va favorita la promozione dei
gruppi di Azione Cattolica.
§ 1. Il progetto educativo prevede come fortemente educativi - sia nel momento della preparazione, sia nel momento della
realizzazione - i momenti comunitari dell'oratorio: le celebrazioni liturgiche, le feste, i grandi giochi, le gite, i pellegrinaggi, l'oratorio estivo, il
campeggio, i campi scuola, e altri. Pertanto siano progettati come momenti integranti del cammino formativo.
§ 2. La domenica, anche nel contesto sociale attuale, è tempo favorevole per le attività comunitarie dell'oratorio e come tale va
valorizzata.
L'oratorio, quale strumento privilegiato di attuazione della pastorale giovanile parrocchiale, viva quelle attenzioni già illustrate
parlando del progetto diocesano di pastorale giovanile. Per la loro particolare rilevanza, si ricordano di seguito: a) la coeducazione in oratorio;
b) l'attenzione al territorio; c) l'attenzione alle situazioni di marginalità.
§ 1. Alla luce di quanto già affermato a proposito della coeducazione (cf cost. 196), è opportuno che unico sia il gruppo degli
educatori per ogni fascia di età e unico sia il riferimento educativo, anche se ragazzi e adolescenti seguono il cammino in oratori distinti.
§ 2. L'unità del progetto educativo rende secondaria, ma non marginale la questione della distinzione tra oratorio maschile e
femminile o la sua collocazione in un'unica sede e consente di assicurare l'equilibrio fra i momenti comuni e i momenti differenziati per
ragazzi e ragazze.
§ 3. L'unica comunità-educatori può consentire di calibrare adeguatamente i tempi per un corretto cammino di coeducazione e di
scegliere la struttura più funzionale al progetto stesso, nel rispetto delle esigenze e della tradizione locale, e secondo le strutture edilizie
esistenti.
§ 4. La presenza tra gli educatori di figure adulte femminili e maschili può offrire, sia ai ragazzi sia alle ragazze, preziosi punti di
riferimento e di identificazione per una crescita equilibrata e matura.
§ 1. L'oratorio riservi un particolare riguardo per quanti si trovano in un contesto di forte marginalità sociale. Sia sempre riservata
loro un'affettuosa accoglienza personale pur senza compromettere la fisionomia educativa dell'oratorio, che non deve diventare luogo di sola
accoglienza o di solo recupero per il disagio giovanile.
§ 2. La competenza degli educatori, particolarmente in questi casi, deve essere richiesta in modo rigoroso così da evitare la
faciloneria e il semplicismo, indubbiamente dannosi e privi di valenza educativa.
§ 3. Queste attenzioni, che esprimono la sensibilità di tutta la comunità cristiana, comunque si concretizzino in forme esplicite di
dedicazione a chi si trova in disagio, rappresentano una significativa apertura ai problemi del territorio in cui si radicano la parrocchia e
l'oratorio.
§ 1. La pratica sportiva può assumere una rilevante valenza pedagogica se intesa correttamente e non ridotta a fatto agonistico o a
semplice riempitivo del tempo libero. Significativi elementi educativi dello sport possono essere individuati nel campo dello sviluppo
psicofisico e delle relazioni interpersonali, nei comportamenti che chiedono sacrificio di sé, lealtà, autocontrollo, perseveranza nel raggiungere
un obiettivo, nella gratuità e nel disinteresse di chi coglie nello sport un'occasione per migliorare sé e gli altri. In questa prospettiva l'oratorio
promuove l'attività sportiva come un servizio alla vita dei ragazzi e dei giovani, nell'ambito dell'attenzione che la Chiesa ambrosiana riserva
allo sport (cf cost. 274). L'educazione attraverso lo sport, proposta non solo ai ragazzi, ma anche alle ragazze, preveda strutture adeguate alle
differenti esigenze.
§ 2. L'oratorio affida questo compito agli animatori sportivi che hanno il serio impegno di conoscere e condividere il progetto
educativo e di applicarlo a questa attività senza isolarla dalle altre. La loro formazione va curata in modo specifico.
§ 3. Per facilitare il raggiungimento di questi obiettivi educativi è necessario che gli oratori e gli enti di promozione sportiva di
ispirazione cristiana (quali il Centro sportivo italiano, la Polisportiva giovanile salesiana) sviluppino idonee collaborazioni e sinergie.
§ 4. La parrocchia valuti attentamente l'opportunità e la compatibilità della presenza di società sportive nelle strutture dell'oratorio.
Esse infatti, soprattutto se legate a federazioni sportive nazionali, hanno ritmi, tempi ed obiettivi non sempre in sintonia con quelli
dell'oratorio. Qualora si ritenga opportuna tale presenza, come pure per regolare situazioni già esistenti, si pervenga alla sottoscrizione di
apposite convenzioni, avvalendosi della consulenza degli appositi uffici di curia e ottenendo le necessarie autorizzazioni.
§ 1. L'oratorio deve mantenere la sua specificità di luogo educativo rivolto a ragazzi, adolescenti e giovani. Per attuare questo, è
importante destinare primariamente a loro ambienti e strutture realizzati a tale scopo. Siano previsti decorosi spazi, aperti e coperti, necessari
per il servizio educativo, senza indulgere in grandiosità inutili e irrispettose della sobrietà e della carità.
§ 2. Si presti la dovuta attenzione all'abbattimento delle barriere architettoniche e le attrezzature siano rigorosamente collaudate e
conformi alle norme igienico-sanitarie e di sicurezza.
§ 3. Là dove esistono centri parrocchiali in cui non furono previste strutture destinate esclusivamente all'oratorio, si tenda a
recuperare precisi spazi da assegnare a ragazzi, adolescenti e giovani. Analoga preoccupazione sia presente nell'eventuale progettazione di
nuovi centri parrocchiali.
230. Il bar
La presenza del bar nelle strutture oratoriane corrisponda alle finalità proprie dell'oratorio: esso sia normalmente riservato a ragazzi,
adolescenti e giovani. Pertanto gli educatori, i gestori e gli stessi ragazzi, adolescenti e giovani facciano in modo che esso sia realmente luogo
di sereno incontro, di fraterna conversazione e di arricchenti rapporti interpersonali. Vengano invece evitati l'eccessivo consumismo, anche per
quanto riguarda i videogiochi, così come si devono evitare comportamenti scorretti. Il bar armonizzi gli orari e i comportamenti con le
esigenze dell'oratorio.
§ 1. Anche dal punto di vista gestionale e amministrativo l'oratorio è un'attività della parrocchia, il cui amministratore e legale
rappresentante è il parroco, con la collaborazione dei responsabili dell'oratorio e dei consigli parrocchiali. E' comunque opportuno che
l'oratorio abbia un'autonomia gestionale, restando sempre nell'ambito dell'unica amministrazione e cassa parrocchiale. L'oratorio potrà avere
un proprio conto corrente intestato comunque alla parrocchia. Il direttore dell'oratorio abbia dal parroco la delega a operare su tale conto
corrente.
§ 2. L'attività dell'oratorio sia corretta anche nel rispetto delle norme amministrative, fiscali e sanitarie a riguardo, in particolare,
delle seguenti attività: gestione del bar, spettacoli cinematografici o teatrali, feste aperte al pubblico, manifestazioni sportive, case di vacanza,
campeggi. Non si esiti, anche in via preventiva, a ricorrere al parere di esperti, consulenti della parrocchia e all'Avvocatura della curia.
§ 3. Gli organi direttivi dell'oratorio si prendano cura dei ragazzi, adolescenti e giovani anche tramite le garanzie offerte da una
adeguata copertura assicurativa, con polizza stipulata dalla parrocchia, che comprenda sia le attività all'interno dell'oratorio, sia le attività
esterne, usufruendo delle apposite convenzioni attivate dai competenti uffici diocesani.
§ 1. Il parroco col consiglio pastorale parrocchiale ha la responsabilità ultima dell'oratorio in quanto espressione educativa della
parrocchia verso ragazzi, adolescenti e giovani.
§ 2. La responsabilità educativa diretta è esercitata dal vicario parrocchiale, o interparrocchiale, in qualità di direttore.
§ 3. Direttore dell'oratorio può essere, su proposta del parroco e per nomina dell'Ordinario diocesano, anche un diacono, o una
persona consacrata, o un laico. Andranno scelte per questo incarico persone adeguatamente preparate e andranno precisate la durata e le
condizioni del loro incarico. In mancanza del vicario parrocchiale, o interparrocchiale, e delle predette figure, il compito di direttore è assunto
direttamente dal parroco.
§ 4. Il direttore garantisca che ogni proposta e decisione siano coerenti con il progetto educativo. Si confronti con gli educatori e
collabori con i direttori degli altri oratori del decanato, promuovendo cammini comuni in sintonia con le indicazioni diocesane. Sia disponibile
ad un accompagnamento personale di ciascuno, anche con la direzione spirituale o sappia dare opportune indicazioni in merito.
I consacrati e le consacrate, presenti in oratorio a titolo diverso da quello di direttore, condividono con il parroco e con il direttore la
responsabilità dell'oratorio e della comunità degli educatori, collaborando nella progettazione, nell'animazione e nell'opera di discernimento
spirituale. La loro presenza sia, in particolare, valorizzata anche come punto di riferimento vocazionale dei ragazzi e delle ragazze.
§ 1. Negli oratori può essere necessario, o per lo meno opportuno, individuare accanto al direttore un responsabile laico, scelto, ad
esempio, fra le vocazioni laicali di servizio alla gioventù spesso presenti nei nostri oratori e nell'esperienza di Azione Cattolica. La nomina del
responsabile laico è di competenza del parroco, d'intesa con il direttore, ed è per un tempo determinato.
§ 2. Spetta al responsabile laico condividere con il direttore la direzione dell'oratorio e della comunità degli educatori, con particolari
responsabilità di animazione per alcuni settori di attività (ad esempio: gruppi di interesse, catechesi, attività sportive).
§ 3. L'Ufficio per la pastorale giovanile, attraverso la FOM e l'Azione Cattolica, predisponga un piano organico di formazione per
tale compito.
§ 1. Tra le varie figure che operano in oratorio, un ruolo particolare è svolto dagli educatori dei gruppi di base (catechisti
dell'iniziazione cristiana, educatori dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani) e dagli educatori dei gruppi di Azione Cattolica.
§ 2. Agli educatori compete la conduzione dei momenti formativi, compresi quelli della catechesi nel cammino di iniziazione
cristiana; nello stesso tempo è chiesto loro di partecipare all'animazione degli altri momenti della vita del loro gruppo, suscitando la
collaborazione degli altri animatori.
§ 3. La scelta di divenire educatori in oratorio deve essere suscitata, accolta e sostenuta all'interno della comunità parrocchiale e
riconosciuta come autentico servizio reso alla parrocchia stessa e alla realtà dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani.
§ 4. Se occorre un serio discernimento tra gli adulti, ancor più oculato deve essere tra i giovani, la cui idoneità all'impegno educativo
deve apparire convincente ed essere adeguatamente sorretta da una puntuale formazione.
§ 5. Adulti e giovani vivano questo impegno come una missione ecclesiale, con prudenza e sapienza cristiana. E' comunque
importante che gli educatori abbiano un'adeguata maturità, per cui è inopportuno affidare responsabilità educative dirette ad adolescenti.
§ 1. Oltre che dell'opera preziosa degli educatori, l'oratorio si avvale dell'altrettanto preziosa azione degli animatori: animatori del
gioco e del tempo libero; responsabili dei gruppi di interesse e di servizio; allenatori dello sport; incaricati dell'animazione di altri settori.
§ 2. Occorre riconoscere pienamente la dignità del servizio educativo prestato dagli animatori. Nel contempo si abbia cura di
promuovere in tutti gli animatori una completa adesione alla tensione educativa dell'oratorio, necessario supporto all'esercizio di competenze e
responsabilità specifiche.
§ 3. L'eventuale presenza di adolescenti animatori deve essere considerata come esperienza di servizio e tirocinio e come occasione
di crescita degli adolescenti stessi.
§ 1. E' necessario che gli educatori e, in alcune circostanze, gli animatori dell'oratorio che si interessano della stessa fascia d'età, si
ritrovino periodicamente tra loro, con il direttore o un suo diretto collaboratore, costituendo così il gruppo educatori. Esso ha lo scopo di
concretizzare il progetto educativo, di riflettere sulle situazioni specifiche e di programmare il da farsi più opportuno.
§ 2. Quando, in una singola parrocchia, il numero degli educatori della stessa fascia d'età è troppo esiguo, è opportuna la costituzione
di gruppi educatori interparrocchiali.
§ 1. L'oratorio realizza il progetto educativo attraverso la comunità degli educatori e degli animatori. Essa si costituisce nella
comunità della parrocchia, con la quale tiene rapporti di costante riferimento e confronto. Ha il compito di realizzare gli itinerari educativi, di
verificarne l'attuazione complessiva, di garantire l'unità e la comunione degli educatori, attraverso un costante confronto sul servizio reso.
§ 2. Di essa facciano parte gli educatori dei gruppi di base, quelli dei gruppi di Azione Cattolica, altre figure educative specializzate
(ad esempio, educatori di ragazzi, adolescenti e giovani in situazione di disagio o di devianza; educatori di quanti hanno nella strada il luogo
del loro aggregarsi) e tutti gli animatori dell'oratorio.
§ 3. La comunità degli educatori e degli animatori nel suo insieme si incontrerà più volte nel corso dell'anno per momenti di
programmazione, verifica e formazione.
§ 1. In ogni parrocchia, almeno in quelle di una certa grandezza, sia costituito il consiglio d'oratorio, formato dai rappresentanti degli
educatori e degli animatori e da alcuni rappresentanti dei genitori. Esso:
a) collabori con il direttore e i suoi diretti collaboratori alla gestione educativa e strutturale dell'oratorio per facilitare
l'attualizzazione del progetto educativo, adeguandolo alle esigenze del contesto e individuando le concrete priorità;
b) si occupi del coordinamento, della comunicazione e dell'informazione fra i vari gruppi operanti in oratorio;
c) non tralasci di essere attento anche alle necessità tecniche ed economiche della struttura, con riferimento al parroco e al consiglio
per gli affari economici.
§ 2. Il consiglio d'oratorio sia adeguatamente rappresentato nel consiglio pastorale parrocchiale e venga interpellato dal consiglio per
gli affari economici quando si affrontano problemi di competenza di quest'ultimo riguardanti l'oratorio.
§ 3. Nelle parrocchie piccole potrebbe realizzarsi una sostanziale coincidenza fra componenti della "comunità degli educatori e degli
animatori" e consiglio d'oratorio.
§ 1. E' indispensabile preparare e sostenere gli educatori nel loro impegno formativo. La formazione deve, soprattutto, riguardare il
cammino di fede personale. Infatti, prima di essere tale, un educatore è un cristiano, giovane o adulto, e vive quindi un cammino di fede nel
proprio gruppo, partecipa alla catechesi, ha una vita spirituale intensa, con una regola, con momenti di meditazione, di riflessione, di preghiera,
di direzione spirituale. In ciò è indubbiamente aiutato dall'appartenenza all'Azione Cattolica: “gli educatori d'oratorio facciano parte
dell'Azione Cattolica o almeno ne condividano e ne vivano la spiritualità”(10).
§ 2. La formazione permanente di un educatore si articola inoltre in momenti di riflessione e di lavoro comune dei gruppi educatori e
della comunità degli educatori e degli animatori: qui l'educatore è sollecitato a riflettere sul magistero della Chiesa, a studiare e condividere
problematiche educative, a crescere nella competenza pedagogica, a verificare l'attuazione del progetto educativo.
§ 3. Un educatore dovrà soprattutto essere aiutato a formarsi come giovane o adulto corresponsabile della vita della sua comunità e
della comunità diocesana, vivendo momenti che lo pongano a contatto con un'esperienza di Chiesa più ampia. Diventa allora necessario
valorizzare le opportunità offerte nelle scuole di formazione, nei convegni, nelle settimane residenziali proposte dall'Azione Cattolica e dalla
FOM, con il coordinamento dell'Ufficio per la pastorale giovanile.
§ 1. La famiglia è l'ambito educativo primario: i genitori sono i primi educatori anche in ordine alla formazione cristiana dei propri
figli. Tuttavia alle famiglie, in quanto tali, non compete un ruolo diretto di animazione oratoriana, anche se resta fondamentale la loro
collaborazione.
§ 2. Essa si concretizza:
a) nell'aiuto reciproco per capire i ragazzi, gli adolescenti e i giovani attraverso un rapporto sincero con gli educatori;
b) nella collaborazione per la formulazione del progetto educativo e per la verifica degli itinerari percorsi;
c) nel sostegno ad altre famiglie di ragazzi, adolescenti e giovani che vivono situazioni di difficoltà;
d) nella partecipazione ad alcune attività dell'oratorio, che prevedono la presenza e il coinvolgimento delle famiglie;
e) nella prestazione di alcuni servizi.
§ 1. Il progressivo aumento della durata della vita è un rilevante segno dei tempi, che bisogna impegnarsi a riconoscere e a valutare
in tutti i suoi riflessi culturali, sociali, morali e spirituali.
§ 2. Si tratta di un fenomeno irreversibile, perché connesso con un complesso di cause che continueranno a operare sempre più
efficacemente, quali il progresso scientifico nel prevenire e combattere le malattie, la diffusione delle norme igieniche e sanitarie e dei mezzi
di assistenza e di cura. Queste cause, a loro volta, dipendono dall'incremento di risorse materiali e dalla domanda di miglioramento della
qualità della vita che caratterizza la nostra società.
§ 3. La condizione umana ne risulta modificata per un numero sempre maggiore di persone e per la società nel suo insieme. Questo
però non ha ancora provocato una cultura che, come accadeva nella società rurale, sappia apprezzare il valore specifico di questa età della vita.
Al contrario, si coglie il prevalere di culture che enfatizzano l'età giovanile ed adulta, la prestanza fisica, l'efficienza produttiva e, di
conseguenza, ignorano la longevità e la pongono ai margini come premessa per la totale cancellazione della morte.
§ 1. E' necessario convincersi che al naturale invecchiamento biologico, cui tutti gli esseri umani sono soggetti, non corrisponde
necessariamente un contemporaneo venir meno dell'intelligenza, della memoria, della vita psichica e sociale, fenomeni che è necessario e
possibile prevenire e curare non meno delle malattie che possono insorgere.
§ 2. Di conseguenza, leggere i segni dei tempi nei confronti dell'allungamento della vita non può significare solo conoscerne la
dimensione quantitativa, le cause economiche e culturali, i caratteri che essa presenta sotto il profilo sociale, le implicazioni psicologiche, le
modalità e i costi assistenziali: deve significare soprattutto conoscerne le potenzialità, per quanto attiene al bene dei singoli e della società.
§ 3. Alla comunità cristiana si chiede quindi di dotarsi di tutti i mezzi di conoscenza del fenomeno, per tenere alta la sensibilità di
tutti nei confronti di una età della vita nella quale la singola persona e la comunità delle persone raccolgono il frutto di tutta l'esistenza: un
fenomeno che deve entrare nella considerazione pastorale perché aspetto centrale della continua trasformazione sociale.
§ 1. “Se anche il nostro corpo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16). Come ogni
altra persona, l'anziano è tenuto a un impegno morale di crescita continua da realizzare in comunione con gli altri e nella donazione di sé agli
altri. E' l'impegno, per un verso, a non escludersi dalla vita di relazione, a non autoemarginarsi e, per l'altro, a svolgere un ruolo di soggetto
attivo e responsabile nella condizione specifica in cui si trova, mettendo a disposizione degli altri le risorse proprie di tale condizione.
§ 2. Se la longevità comporta il senso della caducità delle cose, la labilità degli avvenimenti, una sorta di materialismo senile e la
consapevolezza delle miserie dell'esistenza, essa tuttavia offre anche la possibilità e le occasioni di coltivare valori che le sono propri:
l'arricchimento personale nel rapporto con Dio e con gli uomini consentito dal maggior tempo disponibile, liberato da occupazioni pressanti;
l'ascolto interiore nel silenzio che si determina intorno; il distacco graduale dalle cose del mondo, in preparazione all'inevitabile distacco
finale; la saggezza che viene dalla lunga esperienza, che ora si può maggiormente valutare; il ritrovarsi vivi ogni giorno, da considerare come
un dono da utilizzare sempre meglio.
§ 3. Nella prospettiva di una visione di fede dominata dalla speranza, la condizione della longevità può quindi essere considerata una
grande, insostituibile esperienza di purificazione, di maturazione ulteriore, di accettazione della croce. Tutto questo porterà l'anziano stesso a
superare la paura del dolore fino ad accoglierne il mistero salvifico, a vincere la solitudine dell'abbandono, a ritrovare consolazione anche dopo
la scomparsa delle persone care e, infine, a vivere la morte come momento dell'incontro con il Padre, del riposo dopo le fatiche della vita, della
gioia piena e definitiva nella comunione con il Signore e con tutti i fratelli.
§ 1. Ogni comunità cristiana, a cominciare da quella parrocchiale, deve considerare la pastorale degli anziani come parte integrante
della sua azione. E' una responsabilità che riguarda tutti - presbiteri, diaconi, consacrati e laici - sia pure secondo i carismi e le possibilità di
ciascuno. Una specifica attenzione va riservata a quanti, tra gli anziani, sono più bisognosi di affetto e di cure, perché non autosufficienti, o in
condizioni di oggettiva debolezza o di isolamento.
§ 2. Nella comunità cristiana, gli stessi anziani devono sentirsi impegnati in questa azione pastorale: essi non sono solo il termine
della cura della Chiesa, ma sono anche soggetti attivi e responsabili di tale cura, verso i loro coetanei, di cui condividono l'esperienza, i limiti e
le potenzialità.
§ 3. La presenza di anziani in famiglia deve essere vissuta non semplicemente come occasione per avere assicurati alcuni servizi, in
particolare verso i bambini e i ragazzi o come un peso. Essa, piuttosto, va valorizzata per gli apporti preziosi di umanità e di spiritualità, di cui
può essere portatrice e come occasione per maturare un'effettiva solidarietà tra generazioni. Le famiglie si impegnino a offrire all'anziano la
possibilità di rimanere nella sua casa e nel suo ambiente, limitando a casi di effettiva impossibilità il ricorso al ricovero in strutture
assistenziali: anche in queste circostanze gli assicurino affetto, attenzione e vicinanza adeguati. Le stesse famiglie siano convenientemente
sostenute dalla società e dalla comunità cristiana anche garantendo loro aiuto, assistenza e possibilità di un periodo di giusto riposo.
§ 1. La Chiesa ambrosiana deve continuare e intensificare quella linea di attenzione che, a partire dal riconoscimento del carisma
della longevità, proposto già nel 1973 dalla riflessione del card. Giovanni Colombo(1) la porti ad essere sempre più coinvolta nello scoprire e
valorizzare la specificità della missione affidata alle donne e agli uomini che in una lunga vita riconoscono un dono per sé e per gli altri.
§ 2. Nella comunità cristiana, offrendo spazi adeguati e motivando scelte di volontariato, siano valorizzate le capacità degli anziani e
di coloro che, avendo terminata la loro attività lavorativa, sono in grado e desiderosi di mettere le loro competenze e le loro energie al servizio
della comunità.
§ 3. La pastorale degli anziani si esprima anche attraverso specifiche strutture promosse dalla comunità ecclesiale, come sono
attualmente il Movimento Terza Età animato dall'Azione Cattolica, i circoli per anziani, i centri diurni e le case di ricovero. Nello stesso
tempo, per non correre il rischio di rendere settoriale ciò che è comune, la stessa pastorale degli anziani deve passare attraverso una più
generale sensibilizzazione e attenzione delle intere comunità ecclesiali.
§ 4. La comunità cristiana, grazie a un rinnovato impegno educativo e culturale, continui a favorire la crescita di una mentalità
rispettosa di ogni persona e, quindi, anche dell'anziano. Essa, inoltre, vigili costantemente sul rispetto effettivo degli anziani in ogni ambito
pubblico o privato e non si stanchi di promuovere vocazioni al volontariato capaci di esprimere la cura dell'intera comunità verso questi suoi
membri più longevi.
§ 5. Il cristiano impegnato nelle politiche e nelle strutture sociali si adoperi affinché anche il necessario intervento assistenziale,
costruito sull'apporto pubblico che integra l'impegno della famiglia, sia ispirato al pieno rispetto della persona anziana.
I. ORIENTAMENTI GENERALI
§ 1. La Chiesa, sull'esempio di Gesù ha sempre cercato di porre attenzione all'uomo che soffre. Essa riconosce nel malato il volto di
Cristo sofferente (cf Mt 25,36) e annuncia che il suo dolore, unito a quello del Redentore, completa “ciò che manca ai patimenti di Cristo a
favore del suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24).
§ 2. La Chiesa ambrosiana, nella fedeltà alla sua tradizione di assistenza e di carità, riconferma come suo impegno la cura pastorale
dei malati, anzitutto attraverso le comunità parrocchiali e una specifica presenza nelle strutture sanitarie.
§ 1. Promuovere la salute integrale di ogni persona è compito e responsabilità dell'intera società, nell'alveo dell'impegno per la
realizzazione del bene comune. Promuovere la salute della persona comprende non solo la cura della malattia, la sua prevenzione e la difesa
della vita, ma anche il rispetto per la persona che soffre e l'educazione a prendere coscienza del valore spirituale e sociale della sofferenza.
§ 2. La comunità cristiana si dispone, con sguardo attento e cuore generoso, verso il mondo della sanità per promuovere la solidarietà
e per annunciare in esso la buona notizia del Vangelo e la forza redentrice della Pasqua di Cristo.
§ 1. La censura e la tendenza alla privatizzazione del dolore e della morte, operati dalla mentalità odierna, fanno sentire
particolarmente sole le persone sofferenti. Sono, pertanto, da incoraggiare, anche da parte della comunità cristiana, iniziative volte a
conservare le persone malate nel loro ambito normale di vita socio-familiare, evitando sradicamenti, specialmente in età avanzata e in
condizioni di marginalità. Vanno altresì sostenute le attività tese a educare e promuovere la cura della salute nel vissuto quotidiano.
§ 2. L'assistenza al malato costituisce per il cristiano, sia esso operatore sanitario, amministratore o volontario, oltre che un mezzo
per curare la malattia e lenire il dolore, anche una via da percorrere per l'annuncio di colui che ha preso su di sé le nostre sofferenze e per
realizzare un rapporto interpersonale di condivisione e di autentico servizio alla persona malata.
§ 1. La pastorale della salute nelle comunità cristiane e nelle strutture sanitarie è rivolta a queste finalità:
a) annunciare il Vangelo della salvezza, favorendo una crescita nella fede;
b) educare alla preghiera come richiesta fiduciosa di aiuto e di sostegno nel momento della sofferenza;
c) illuminare con la Parola di Dio i problemi del mondo della sanità nel campo della ricerca scientifica e della tecnica, per
salvaguardare la dignità della persona umana;
d) aiutare a scoprire il senso del dolore sul piano personale e sociale;
e) contribuire all'umanizzazione dei servizi sociosanitari e dei rapporti interpersonali tra malati e operatori sanitari;
f) favorire la formazione degli operatori sanitari a un senso di professionalità basata sulla competenza e sulla dedizione alla persona
sofferente;
g) svolgere opera di educazione sanitaria e morale nella prospettiva del valore della vita da rispettare in ogni momento dell'esistenza;
h) facilitare relazioni più fattive e integrate fra comunità cristiana e strutture sociosanitarie;
i) educare alla promozione della salute e alla tutela dei più deboli.
§ 2. La pastorale della sanità impegna particolarmente:
a) l'Ufficio per la pastorale della sanità e la relativa consulta diocesana;
b) le comunità parrocchiali;
c) i cappellani e i loro collaboratori;
d) i consacrati e le consacrate che nella fedeltà al loro carisma operano in questo settore;
e) gli operatori sanitari e i volontari;
f) le associazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana che operano nel settore.
§ 1. Le comunità parrocchiali non possono demandare alle sole strutture pastorali specializzate l'azione pastorale a favore dei malati.
Si tratta, infatti, di un'attenzione che deve essere sempre presente nella vita e nell'azione ordinaria della parrocchia.
§ 2. Come è ricordato dal Codice di diritto canonico, il parroco “assista con traboccante carità gli ammalati, soprattutto quelli vicini
alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l'anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri e agli
ammalati” (can. 529, § 1). Tale esortazione riguarda anche gli altri presbiteri della parrocchia e i diaconi: l'attenzione ai malati, come pure alle
loro famiglie, deve avere un posto primario nella loro azione ministeriale ed è oggi, in un mondo che spesso emargina chi non è attivo ed
efficiente, una testimonianza particolarmente significativa della dignità e del valore di ogni persona davanti a Dio.
§ 3. Alcune linee di impegno che tutte le parrocchie devono tenere presenti nell'elaborare e attuare la loro azione verso e con i malati
sono:
a) la valorizzazione della presenza dei malati all'interno della comunità, nella consapevolezza che la persona sofferente è “soggetto
attivo e responsabile dell'opera di evangelizzazione e di salvezza”(1);
b) la sensibilizzazione di tutti i fedeli verso i malati, specialmente se gravi, soli o terminali;
c) la vicinanza ai parrocchiani ricoverati nelle strutture sanitarie, affinché si sentano effettivamente parte della comunità;
d) la testimonianza dell'amore fraterno, promuovendo in particolare l'azione della Caritas e delle associazioni ecclesiali e di
ispirazione cristiana che si dedicano a questo settore;
e) la disponibilità a facilitare l'accostamento dei malati ai sacramenti, anche attraverso la presenza di un sufficiente numero di
ministri straordinari della comunione eucaristica, prestando particolare attenzione al sacramento dell'unzione degli infermi e al viatico (cf
costt. 80-81);
f) l'attuazione di una catechesi specifica rivolta a tutti i fedeli, specialmente in occasione della giornata mondiale del malato;
g) la promozione di iniziative liturgiche e catechetiche verso i malati, compresi i pellegrinaggi ai santuari.
§ 1. La Chiesa ambrosiana si prende cura in modo speciale dei degenti negli ospedali, nelle case di cura, nelle case di ricovero per
anziani e in altre realtà analoghe, promuovendo una pastorale della sanità e dell'assistenza specifica per questi ambienti.
§ 2. La cura pastorale negli ospedali, nelle case di cura e nei ricoveri per anziani è attuata nella nostra diocesi attraverso le seguenti
strutture pastorali:
a) le parrocchie ospedaliere;
b) le cappellanie ospedaliere;
c) le parrocchie in cui sono presenti strutture sanitarie o assistenziali.
§ 1. La cappellania ospedaliera, quale segno ecclesiale visibile e strumento di un'adeguata cura pastorale, è composta dai cappellani,
dai diaconi, dalle suore incaricate come assistenti religiose, da religiosi e religiose, da laici che si dedicano stabilmente alla cura pastorale,
dalla comunità dei degenti e dal personale della struttura sanitaria o assistenziale (ospedali, case di cura, case di ricovero per anziani).
§ 2. Responsabile diretto dell'assistenza religiosa è il cappellano rettore, che può avere come collaboratori altri cappellani, qualora
l'istituzione sanitaria o assistenziale lo richieda.
§ 3. I cappellani - e con essi i presbiteri che li aiutano o li sostituiscono temporaneamente -, in forza del loro ufficio, hanno tutti i
compiti e le facoltà che sono richieste per una ordinata cura pastorale, secondo la normativa canonica vigente e quanto qui precisato. In
particolare:
a) nelle chiese delle strutture sanitarie o assistenziali, di cui sono rettori(2), possono compiere tutte le celebrazioni liturgiche,
compreso, se necessario, celebrare le esequie ecclesiastiche. Per quanto concerne l'amministrazione del battesimo sono tenuti, però, a osservare
quanto stabilito dalla normativa del diritto universale(3), come precisata in questo libro sinodale (cf costt. 105-106). I cappellani, inoltre,
possono assistere validamente alla celebrazione del matrimonio solo con delega dell'Ordinario o del parroco del luogo;
b) hanno “la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle loro cure, di predicare loro la Parola di Dio, di amministrare loro il
viatico e l'unzione degli infermi, nonché di conferire il sacramento della confermazione a chi tra loro versa in pericolo di morte” (can. 566, §
1);
c) hanno la facoltà, all'interno della struttura sanitaria o assistenziale, “di assolvere dalle censure latae sententiae, non riservate né
dichiarate, fermo restando tuttavia il disposto del can. 976” (can. 566, § 2);
d) dispensare dai voti privati e dai giuramenti promissori, a norma, rispettivamente, dei cann. 1196 e 1203;
e) portare, secondo le consuetudini locali, la benedizione in occasione del Natale o della Pasqua nei locali e nei reparti.
§ 4. Anche nelle cappellanie ospedaliere va costituito il consiglio pastorale, composto dai rappresentanti di tutte le categorie di fedeli
appartenenti alla cappellania. Compito del consiglio è quello di delineare e attuare un programma di pastorale locale sotto l'aspetto
dell'evangelizzazione, della liturgia e della diaconia della carità.
§ 5. I cappellani tengano gli opportuni collegamenti con i sacerdoti delle parrocchie limitrofe e del decanato, partecipando alle varie
iniziative pastorali e formative, coinvolgendo i fedeli del territorio nell'azione del volontariato e promuovendo tra loro vocazioni professionali
nel campo della sanità.
§ 6. La responsabilità dei cappellani per quanto attiene la loro scelta, la loro formazione specifica, l'indirizzo della loro azione
pastorale e il loro coordinamento è particolarmente affidata al vicario episcopale del settore a cui appartiene l'Ufficio per la pastorale della
sanità.
§ 1. La cura pastorale delle strutture sanitarie o assistenziali presso le quali non sono costituite parrocchie e cappellanie, è affidata al
parroco della parrocchia nel cui territorio è presente la struttura.
§ 2. Nei confronti dei fedeli presenti nella struttura sanitaria o assistenziale il parroco ha anche le facoltà di cappellano (cf cost. 254,
§ 3).
§ 1. Le istituzioni sanitarie cattoliche costituiscono una specifica modalità con cui la comunità cristiana vive il ministero della carità
e cerca di mettere in pratica il comandamento di Cristo di curare i malati.
§ 2. Finalità primarie di tali istituzioni, che ne giustificano l'esistenza, sono: l'assistenza integrale del malato, la finalità
evangelizzatrice, l'attenzione ai malati in difficoltà anche per cause socioeconomiche, la promozione di una cultura sanitaria di alta
professionalità, attenta alla persona e non alla sola malattia, ispirata a valori autenticamente umani e cristiani.
§ 3. Il loro inserimento nella programmazione pubblica sul territorio può acquisire un ruolo particolarmente significativo di profezia,
quando scelgono di preferenza l'impegno in ambiti della sanità ancora disattesi dall'intervento pubblico, soprattutto se a favore dei più poveri,
e quando si impegnano nelle aree nuove della medicina e della ricerca scientifica.
257. Volontariato
§ 1. L'azione del volontariato, individuale e organizzato, nel campo della sanità, già presente nelle nostre comunità, esprime e attua
la tipica vocazione cristiana di presenza nel tessuto sociale per un apporto di solidarietà alle persone, di umanizzazione delle strutture e di
concorso alla progettazione degli interventi istituzionali.
§ 2. Tra i compiti educativi della comunità cristiana va messo in evidenza l'impegno a suscitare, accompagnare e sostenere le diverse
forme di volontariato sociosanitario e, contemporaneamente, a promuovere scelte professionali umanamente e cristianamente significative in
questo campo.
§ 3. E' opportuno che le iniziative, a carattere pastorale, dei volontari e delle associazioni, all'interno delle strutture sanitarie, siano
concordate con i cappellani.
§ 1. La Consulta diocesana per la pastorale della sanità è composta, oltre che dal responsabile dell'ufficio, da soggetti attivi
nell'azione pastorale o in forme di presenza cristiana all'interno del mondo della sanità: parroci, cappellani, assistenti religiose, associazioni
ecclesiali e di ispirazione cristiana, associazioni professionali cristiane. Vengono chiamati a far parte della consulta diocesana anche alcuni
esperti del settore sanitario.
§ 2. La consulta diocesana è luogo per lo studio delle questioni, lo scambio di esperienze, il confronto di idee e progetti, la proposta
di iniziative, con lo scopo di contribuire, in particolare, a elaborare e aggiornare il progetto unitario diocesano nell'ambito della pastorale della
sanità.
I. PRINCIPI GENERALI
§ 1. La mobilità umana è oggi particolarmente visibile nel contesto delle grandi città e delle aree economicamente più sviluppate.
Tra le diverse tipologie, legate al turismo, allo studio, al lavoro e al nomadismo, è particolarmente urgente considerare, relativamente al
territorio della Chiesa ambrosiana, l'immigrazione cosiddetta extracomunitaria.
§ 2. Il fenomeno migratorio, realtà particolarmente complessa nelle sue motivazioni e nelle sue forme, appare come il prodotto di
fattori espulsivi dal paese di origine e di fattori attrattivi nel paese di immigrazione. L'Italia, da cui molto spesso sono partiti flussi migratori, è
recentemente divenuta luogo di arrivo di tali flussi.
§ 3. L'immigrazione odierna è un fenomeno di lunga durata e non può dunque essere ridotta a una nuova categoria di emarginazione
o di grave disagio sociale. Essa è realtà rilevante e significativa, dalle dimensioni ben più vaste e trasversali: prelude alla creazione di una
società multietnica, multirazziale, multireligiosa.
§ 4. Nel territorio della diocesi ambrosiana vivono decine di migliaia di stranieri: molti di essi sono cristiani (per la maggioranza
cattolici), mentre altri sono di religione islamica o di altre religioni. Molti di questi immigrati sono avviati verso un inserimento graduale nella
società; altri, avendo trovato un lavoro regolare e un alloggio dignitoso, sono inseriti a pieno titolo nella società italiana, nel rispetto del suo
ordinamento.
§ 1. Il fenomeno immigratorio, con la sua repentinità, consistenza e diffusione, ha trovato impreparata la società e la Chiesa, anche
nel nostro territorio. Nonostante ciò, nella comunità cristiana, non sono mancati molti generosi tentativi di prima accoglienza e assistenza. Col
passare del tempo, ci si è anche interrogati su nuove modalità con cui far fronte a questo fenomeno e si è cercato di dare avvio a una loro prima
attuazione.
§ 2. Oggi è necessario porsi di fronte a questo variegato fenomeno sviluppando l'attenzione e precisando gli interventi. In particolare
occorre:
a) continuare a dedicarsi alle nuove emergenze, esprimendo in tal modo il ministero della carità, che può portare, nel caso, anche ad
assumere funzioni di supplenza nei confronti della società civile. Tutto ciò dovrà verificarsi sia contribuendo a realizzare una prima
accoglienza, sia favorendo un sempre più adeguato inserimento nella società, mediante iniziative appositamente studiate;
b) affrontare la situazione con spirito profetico, cioè col cuore e la mente disposti a vedere in tale fenomeno “una occasione
provvidenziale, un appello ad un mondo più fraterno e solidale, ad una integrazione multirazziale che sia segno della grazia di Dio in mezzo
agli uomini”(1);
c) aiutare a comprendere e ad accogliere le diversità etniche, culturali e religiose e a convivere con esse: ciò comporta di superare la
cultura dell'indifferenza, senza cadere, per altro, in forme di eclettismo nei riguardi della verità o di disinteresse per i valori della vita(2);
d) mettere in atto attenzioni e iniziative pastorali finalizzate sia a educare l'intera comunità cristiana alla convivenza interetnica e
interreligiosa, sia a prendersi cura delle varie situazioni in cui, soprattutto da un punto di vista religioso, si trovano le persone estere.
§ 3. Per quanto di sua competenza, la comunità cristiana non si stanchi di sollecitare l'intera società al dovere di realizzare un più
giusto ordine economico e internazionale, in grado di promuovere l'autentico sviluppo di tutti i popoli e di tutti i paesi, cosicché nessuno sia
costretto ad abbandonare quella terra nella quale vorrebbe continuare ad abitare. Nello stesso tempo, stimoli la società civile e le sue istituzioni
affinché sappiano elaborare adeguate politiche in grado sia di promuovere e tutelare effettivamente i diritti inviolabili di ogni persona
immigrata, con particolare attenzione ai bambini e alla famiglia, sia di valorizzare la presenza, tra gli esteri, di persone portatrici di risorse
culturali e sociali, oltre che economiche.
§ 1. Nella sua azione pastorale la Chiesa deve educare i fedeli a vivere in pieno la cattolicità e ad aprirsi al mondo intero e ai valori
della cittadinanza universale. La storia della salvezza, come insegna la Bibbia, si realizza nell'esperienza di un popolo in cammino, guidato da
Dio verso una patria. Tutti i cristiani ricordino che “ogni terra straniera è patria ed ogni patria è terra straniera”(3).
§ 2. In particolare è opportuno richiamare alcune attenzioni da avere nella programmazione pastorale ordinaria:
a) la catechesi deve porre l'accento sull'alterità e sulla prossimità, sul dialogo e sul rispetto del diverso da sé, su una crescita libera da
pregiudizi, sull'accettazione dell'uguaglianza di tutti perché figli di Dio. Non può mancare nella catechesi una conoscenza delle diverse
confessioni cristiane, delle diverse religioni e dei diritti fondamentali della persona umana;
b) occorre favorire, anche mediante iniziative promosse dalla comunità cristiana, il dialogo con le persone di altre culture per far
conoscere la cultura italiana e conoscere la cultura dei paesi di origine degli immigrati senza che uno degli interlocutori venga dominato dalla
cultura dell'altro;
c) le scuole cattoliche siano le prime a sentirsi interpellate in campo pedagogico per vivere e operare in una società interculturale;
d) l'accoglienza verso gli stranieri in difficoltà deve evitare approcci assistenzialistici, cercando invece di educare e incentivare
all'autosufficienza con interventi di orientamento e accoglienza temporanea, con verifica del progetto personale da parte di una équipe di
operatori;
e) l'attività educativa deve portare tutti i cristiani a controllare le emozioni di diffidenza e di rifiuto, specialmente nei rapporti
occasionali con gli immigrati;
f) l'impegno per la pace e la giustizia deve prendere in considerazione le situazioni di ingiustizia e sfruttamento in cui spesso vivono
gli immigrati: in questo senso, soprattutto i cristiani sono tenuti a non violare le norme sul lavoro, a evitare forme speculative circa le
abitazioni e a interrogarsi sulla liceità di tenere per lungo tempo alloggi sfitti.
§ 3. Nell'azione pastorale per gli esteri, deve sentirsi coinvolta la comunità cristiana in tutte le sue componenti: parrocchie, decanati,
associazioni, gruppi e movimenti, istituti di vita consacrata. La stessa azione pastorale si esprime anche attraverso alcune strutture e istituzioni
specifiche (come le case di accoglienza e le mense) e mediante l'impegno di appositi organismi (ad esempio associazioni, cooperative,
fondazioni). Essa chiede pure di individuare e attivare alcune figure di operatori ecclesiali nell'ambito dell'immigrazione per i quali è
necessario prevedere un'adeguata formazione e un puntuale aggiornamento.
§ 1. Poiché la fede degli immigrati cattolici corre seri pericoli se non è curata e fortificata, la diocesi si propone di prendere contatto
con loro, di conoscerne la provenienza e di promuoverne la cura pastorale. In particolare, si propone di agevolare l'espressione della fede anche
nelle forme proprie dei Paesi di origine.
§ 2. Particolarmente adatti a tale lavoro pastorale sono le congregazioni e gli istituti religiosi, che hanno il carisma e la
specializzazione della cura pastorale degli emigrati. Siano invitati a collaborare anche i missionari di ritorno dai paesi da cui provengono gli
odierni flussi migratori, come pure alcuni religiosi, sacerdoti e seminaristi che, provenendo dagli stessi paesi, si trovano temporaneamente in
Italia. Si proponga anche ad alcuni immigrati cattolici di prepararsi al ministero di catechista o educatore. E' pure opportuno ricercare la
collaborazione con le Chiese dei Paesi di origine.
§ 3. I consigli diocesani, decanali e parrocchiali, le associazioni, i gruppi e i movimenti analizzino la condizione degli immigrati
cattolici e ne favoriscano l'ingresso nelle rispettive attività.
§ 4. La cura pastorale verso gli esteri appartenenti alla Chiesa cattolica si esprime anche attraverso strutture specifiche, quali:
parrocchie personali, missioni con cura d'anime e cappellanie (in particolare la cappellania dei migranti(4)). Tali strutture non devono essere
viste in alternativa all'inserimento e alla partecipazione degli stranieri nelle normali articolazioni della comunità diocesana.
§ 1. Si aiutino gli esteri appartenenti alle altre Chiese cristiane a vivere la loro fede in Gesù Cristo anche se si trovano in un paese
diverso dal loro; nello stesso tempo, secondo un genuino spirito ecumenico ed evitando ogni proselitismo, si incoraggino a continuare a tenere
i rapporti con le loro Chiese, così che siano i loro stessi pastori a prendersi normalmente cura di loro.
§ 2. Nelle parrocchie si favoriscano momenti di dialogo e di confronto sulla Parola di Dio e, in particolare durante la settimana di
preghiera per l'unità dei cristiani, si attuino iniziative comuni con gli immigrati delle altre Chiese cristiane.
§ 1. Diversi sono gli atteggiamenti che la comunità cristiana è chiamata a vivere nei confronti degli immigrati appartenenti ad altre
religioni. In particolare, le è chiesto di:
a) aiutare l'immigrato a non perdere la dimensione religiosa dell'esistenza, spesso messa in difficoltà dalla preoccupazione per la
quotidiana sussistenza o dal fascino della società consumistica e secolarizzata;
b) invitare l'immigrato a conservare e a vivere anche nel paese di immigrazione i propri valori religiosi e culturali e a professarli, nel
rispetto dell'ordinamento dello stato;
c) annunciare all'immigrato, nelle forme più adatte alle diverse occasioni, il messaggio evangelico, sempre nel rispetto della libertà
religiosa, con l'attenzione a far capire che il cristianesimo non si identifica con la cultura occidentale.
§ 2. Nel contesto della libertà religiosa e nel rispetto delle norme che la tutelano e di quelle che garantiscono la convivenza civile,
ogni confessione ha diritto ai suoi luoghi di culto, alla celebrazione delle sue feste, alla propria organizzazione, alla manifestazione delle
proprie convinzioni (anche in riferimento, ad esempio, alle prescrizioni alimentari). La comunità cristiana, mentre riconosce tali diritti, è
chiamata però ad evitare ogni occasione di confusione o sincretismo; in particolare, non vanno concesse strutture ecclesiali per le attività di
culto di altre religioni.
§ 3. Cristiani e non cristiani possono impegnarsi in un confronto critico dei rispettivi sistemi di valore, che ognuno propone all'altro,
in una comune ricerca per scoprire i modi reali attraverso i quali i credenti possano dare un contributo creativo ai bisogni delle società
contemporanee. Anche i centri di accoglienza ecclesiali devono diventare luoghi aperti, in modo sistematico, a momenti di dialogo di base tra
cristiani e non cristiani sulle tematiche comuni alle grandi fedi religiose. A tal fine però occorre una seria preparazione degli operatori
ecclesiali sui problemi implicati in questo dialogo, tra cui quelli della libertà religiosa, della laicità dello stato, del diritto di famiglia.
§ 4. Un'attenzione particolare va dedicata agli itinerari di catecumenato degli stranieri che scelgono di aderire a Cristo. La comunità
cristiana si impegna a sostenere coloro che, a seguito dell'adesione al cristianesimo, incontrano difficoltà o addirittura subiscono ostracismi.
§ 1. La pastorale degli esteri ha la caratteristica specifica di essere una pastorale di confine. E' una pastorale speciale che si collega e
si rapporta continuamente, tra l'altro, con la pastorale ordinaria parrocchiale e con quella delle Chiese dei paesi di origine. L'arte di collaborare
e rapportarsi in tutte le sinergie possibili è, in ogni caso, la sfida che definisce l'organicità della pastorale dei migranti.
§ 2. Di fronte al complesso delle azioni pastorali qui delineate, la figura degli operatori ecclesiali nell'ambito dell'immigrazione
conosce diversi modi di espressione che richiedono di pensare a molteplici soggetti concreti: non tutti possono fare tutto, ma occorrono ruoli,
identità, modalità di intervento e di raccordo con la pastorale ordinaria nonché competenza e formazione diverse, in base al settore in cui si
interviene e in base alle condizioni di vita dell'immigrato.
§ 1. L'ampiezza degli impegni pastorali sopra indicati esige la presenza, adeguata alle nuove esigenze che emergono, di strutture a
livello diocesano, chiamate a promuovere, collegare e coordinare tali azioni.
§ 2. L'Ufficio per gli esteri ha il compito di promuovere:
a) lo studio del fenomeno immigratorio e il suo monitoraggio;
b) una concreta accoglienza con interventi di aiuto, di coscientizzazione e di coinvolgimento dell'intera comunità cristiana;
c) l'evangelizzazione degli immigrati;
d) la formazione degli operatori delle strutture ecclesiali che si interessano del fenomeno immigratorio;
e) il collegamento tra le diverse iniziative ecclesiali e il loro coordinamento;
f) l'attuazione di più adeguati provvedimenti da parte dell'autorità civile.
§ 3. L'Ufficio è affiancato dalla Consulta per gli esteri, che vede la presenza di organismi ecclesiali o di ispirazione cristiana operanti
nel settore e di esperti dello stesso ambito.
Poiché nella pastorale degli esteri sono coinvolti anche altri uffici o organismi diocesani (quali ad esempio: la Caritas diocesana,
l'Ufficio per la vita sociale e la pastorale del lavoro, l'Ufficio e il Centro missionario diocesano, l'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo e la
relativa commissione, l'Ufficio catechistico), vanno studiate e attuate, sotto la responsabilità dei competenti vicari episcopali di settore, forme
di coordinamento tra i vari uffici e organismi interessati e l'Ufficio per gli esteri incaricato, in modo specifico, per questo ambito della
pastorale.
§ 1. I nomadi Rom-Sinti-Kaolie, pur essendo in larga parte cittadini italiani, costituiscono un gruppo etnico con una propria cultura e
lingua. La Chiesa ambrosiana è consapevole della presenza plurisecolare, sul proprio territorio, di queste persone, solitamente denominate
zingari, e si sente chiamata ad annunciare loro il Vangelo della salvezza.
§ 2. Il positivo lavoro missionario svolto finora da un piccolo gruppo di presbiteri diocesani, di religiosi e religiose e di fedeli laici,
tra i quali alcuni nomadi, conferma la necessità di preparare anche per il futuro altri operatori pastorali. A essi è richiesto un prolungato
impegno di inculturazione e una squisita capacità di dialogo e di annuncio. Impareranno, da chi in diocesi ne è già a conoscenza, i linguaggi
fondamentali di questo gruppo etnico, anche in ordine all'utilizzo dei testi biblici tradotti e approvati per l'uso liturgico.
§ 1. Le comunità parrocchiali, a livello educativo e operativo, riconoscano come prioritaria nei confronti dei nomadi la necessità di
mettere a disposizione il proprio tempo con amicizia e disinteresse.
§ 2. Dov'è possibile, i Rom, i Sinti e i Kaolie sedentarizzati vengano inseriti nella pastorale parrocchiale. Si tengano comunque i
contatti con gli operatori che sono impegnati a tempo pieno o vivono tra i nomadi.
§ 3. Con l'aiuto di questi operatori si cercherà di individuare e possibilmente di risolvere i nodi di incomprensione tra i nomadi e le
comunità locali nel cui territorio i nomadi transitano frequentemente oppure si sedentarizzano.
Capitolo 15.
LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO, TURISMO, SPORT
I ritmi congestionati della nostra vita come pure la liberazione di molti tempi da impegni necessari costituiscono un segno dei tempi
che provoca la capacità di ciascuno a trovare, valorizzare, gestire la propria libertà; interpella la comunità civile nelle sue scelte; pone alla
Chiesa una singolare urgenza di annuncio della buona parola del Vangelo alla libertà umana nelle nuove condizioni esistenziali.
§ 1. Entro questo contesto si pone il problema specifico del tempo libero, cioè del tempo socialmente riconosciuto come disponibile
per le attività opzionali di ciascuno, che si concretizzano spesso nel turismo e nello sport. Si tratta di un fenomeno che, per la sua rilevanza
nella vita delle persone di oggi, interpella la comunità cristiana.
§ 2. Consapevole di ciò, la Chiesa ambrosiana intende sviluppare un'adeguata azione pastorale nella quale:
a) riconoscere la grande importanza che il tempo libero riveste, sia come opportunità di incontro tra le persone, sia come occasione
di annuncio del Vangelo;
b) approfondire i temi morali specifici che riguardano questo stesso ambito;
c) promuovere l'elaborazione di percorsi educativi per giovani e adulti in ordine a un uso sapiente del tempo libero.
273. Il turismo
§ 1. Il turismo è un fenomeno che si è particolarmente incrementato in questi decenni, interessando da vicino la vita delle nostre
comunità, sia perché molti cristiani vivono frequentemente esperienze di turismo, sia perché alcuni luoghi del territorio della nostra diocesi
sono località turistiche. In questa nuova situazione, la Chiesa diocesana intende:
a) favorire lo studio del fenomeno turistico e promuovere la formazione di esperti nel settore, tenendo conto delle sue molteplici
dimensioni, pastorali, ecumeniche, sociali, educative, ambientali ed economiche;
b) impegnarsi a tener conto di questo fenomeno nella programmazione e nell'azione pastorale ordinaria;
c) offrire una particolare attenzione a quelle parrocchie il cui territorio è interessato a fenomeni di turismo stagionale e di fine
settimana (cf cost. 140, § 2, b).
§ 2. Una particolare forma di turismo è quella definita "turismo religioso". Si tratta di iniziative che hanno come destinazione luoghi
di particolare rilevanza religiosa, oltre che di interesse storico-artistico. Esso, soprattutto se promosso da realtà ecclesiali nel rispetto delle
normative civili vigenti, va curato particolarmente anche come occasione propizia di evangelizzazione, specialmente per le persone che
partecipano poco alla vita della comunità cristiana.
§ 3. Il pellegrinaggio, pur avendo alcuni aspetti in comune con il fenomeno turistico, non va definito come attività propriamente
turistica e neppure come turismo religioso. Esso, infatti, è una specifica attività ecclesiale nella quale le dimensioni dell'ascolto della Parola,
della preghiera, della penitenza e della carità sono prevalenti e acquistano particolare significato nel riferimento a un preciso luogo di
spiritualità (cf cost. 46, e). A tale riguardo la Chiesa ambrosiana intende:
a) favorire la riflessione pastorale e spirituale circa questo fenomeno;
b) predisporre, attraverso gli organismi competenti, strumenti e sussidi per un adeguato accompagnamento dei pellegrini;
c) sostenere e coordinare le diverse iniziative riguardo alle molteplici forme di pellegrinaggio, in collegamento con gli organismi
promotori.
274. Lo sport
§ 1. La diffusa presenza dello sport nella vita quotidiana dei singoli e della società e il fatto che le manifestazioni sportive e i contesti
in cui si svolgono veicolino un'immagine di uomo fortemente incisiva soprattutto sui comportamenti dei giovani, degli adolescenti e dei
ragazzi, rende necessaria da parte della nostra Chiesa, non solo un'opera di costante dialogo e di orientamento nei riguardi di coloro che sono
coinvolti, a diverso titolo, nel mondo dello sport, ma anche un'opera di formazione e di sensibilizzazione di tutti i fedeli, presbiteri e consacrati
compresi, e della famiglia, nei confronti della dimensione sociale e culturale che lo sport ha assunto in questi ultimi anni.
§ 2. Di fronte al fenomeno della commercializzazione e spettacolarizzazione che investe lo sport e che si riflette sull'intera vita della
società e dell'uomo d'oggi, è necessario che tutti i cristiani, soprattutto coloro ai quali sono affidati compiti educativi e di guida, prendano
maggiormente coscienza della complessità e della varietà dei problemi e dei valori o disvalori che entrano in gioco e che hanno incidenza
positiva o negativa sulla stessa opera di evangelizzazione e sulla personalità dell'uomo e della donna di oggi.
§ 3. La Chiesa ambrosiana riconosce l'importanza della pratica sportiva, soprattutto a livello dilettantistico e amatoriale, per la
formazione della persona umana e per questo ne inserisce le istanze formative ed educative nei progetti pastorali delle parrocchie, degli oratori
(cf cost. 228), delle scuole, delle associazioni, dei movimenti. Essa inoltre sostiene l'associazionismo sportivo quale significativa forma di
collaborazione con altre persone e di sensibilizzazione all'impegno comunitario e sociale. Curerà anche peculiari proposte di vita cristiana
rivolte agli sportivi professionisti e semi-professionisti e alle loro organizzazioni.
275. Le strutture diocesane per la pastorale del tempo libero, turismo e sport
§ 1. Per coordinare la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport, la Chiesa diocesana si avvale di un apposito ufficio, i cui
principali compiti sono:
a) promuovere un'adeguata riflessione sul significato culturale, sociale, etico ed ecclesiale di questi fenomeni;
b) sostenere le parrocchie, le scuole cattoliche, le associazioni, i gruppi e i movimenti nella programmazione delle attività pastorali
in questi settori, compresa la promozione di pellegrinaggi;
c) coordinare le iniziative finalizzate alla formazione degli animatori degli stessi settori;
d) offrire un servizio di consulenza per tutti i problemi connessi a queste attività.
§ 2. Nell'espletamento dei suoi compiti l'ufficio si avvale della collaborazione di apposite commissioni e consulte che contemplino la
presenza di organismi ed esperti del campo.
Tra le realtà che animano il tempo libero, sono da annoverare anche le compagnie dei circhi e luna park le quali spesso si trovano nel
territorio delle nostre comunità. Le comunità parrocchiali e i loro operatori, perciò, stabiliscano contatti pastorali con tali compagnie. Si
preoccupino della loro vita cristiana e, mettendo a frutto tutte le opportunità offerte dalla normativa canonica vigente1, rispondano alle loro
richieste, tenendo conto della loro particolare situazione. Si tengano in contatto con il presbitero incaricato dall'Arcivescovo della loro
assistenza e offrano, se occorre, spazi e strutture per qualche eventuale iniziativa pastorale che li riguardi.
Capitolo 16.
MISSIONE AD GENTES E COOPERAZIONE TRA LE CHIESE
§ 1. Il mandato missionario che il Signore risorto ha affidato agli apostoli è rivolto a tutte le Chiese e quindi anche alla Chiesa
ambrosiana. Essa, perciò, si sente corresponsabile con tutte le Chiese nell'evangelizzazione dei popoli: ne vede la gravità e l'urgenza e
considera come costitutivo della sua azione pastorale il dovere di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni, in luoghi e ambiti culturali e
religiosi diversi.
§ 2. Il mandato missionario si adempie sia con la missione ad gentes, sia con la nuova evangelizzazione. I confini tra questi due
ambiti pastorali, però, non sono nettamente definibili e non è pensabile creare tra di essi barriere o compartimenti stagni(1). La Chiesa che è in
Milano deve perciò impegnarsi in questi due ambiti pastorali.
§ 1. L'annuncio dell'Evangelo, di cui la Chiesa ambrosiana si sente debitrice verso persone, comunità, popoli e nazioni che non
hanno ancora conosciuto Cristo, è affidato all'invocazione continua insegnata da Gesù ai suoi discepoli: “Venga il tuo regno” (Mt 6,10) e
“pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Lc 10,2). E', pertanto, dovere di ciascun fedele e dell'intera comunità
ecclesiale pregare incessantemente affinché venga il regno di Dio.
§ 2. Al mandato di Cristo “Andate in tutto il mondo” (Mc 16,15) la Chiesa che è in Milano, come ogni Chiesa, si affida, sicura del
dono dello Spirito santo e della promessa del Signore “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). Dal dono implorato in questa duplice
invocazione la Chiesa spera e attende il frutto ultimo della sua missione e le risorse quotidiane per ogni servizio che le è richiesto.
§ 1. Nella consapevolezza che il primo dovere missionario è l'annuncio del Vangelo a ogni creatura, la Chiesa che è in Milano ritiene
che la cooperazione tra le Chiese sia oggi, per lei, la forma pastorale più appropriata per rispondere al mandato missionario. Tale cooperazione
è un'esigenza che nasce dalla comunione tra le Chiese e dalla necessità di inculturare la fede. Perché questa inculturazione, infatti, si possa
realizzare, occorre rispettare il cammino percorso dalle singole Chiese locali e accompagnarsi ad esse con grande fraternità, offrendo loro con
umiltà il proprio contributo specifico.
§ 2. La Chiesa di Milano perciò, in ascolto delle sfide che le nuove situazioni mondiali ed ecclesiali pongono alla missione, intende
favorire e sostenere un rapporto di cooperazione con le Chiese impegnate nell'annuncio del Vangelo nelle aree geografiche non ancora
sufficientemente evangelizzate. Nello stesso tempo la comunità ambrosiana accoglie con frequenza sempre maggiore testimoni e inviati
(presbiteri, diaconi, consacrati, laici) di altre Chiese che sul suo territorio collaborano all'evangelizzazione e contribuiscono alla pastorale
ordinaria e si propone di fare tesoro dei cammini pastorali e di evangelizzazione in atto nelle giovani Chiese.
§ 3. La cooperazione tra le Chiese, finalizzata innanzitutto all'annuncio dell'Evangelo, comprende come sua parte integrante anche la
promozione umana e l'azione per uno sviluppo integrale che comprenda, in particolare, anche pace, giustizia e salvaguardia del creato. Tutto
ciò allo scopo di liberare e promuovere, in particolare, i valori del regno in ogni situazione culturale, economica, sociale e politica.
La Chiesa ambrosiana ritiene che la missione ad gentes sia da compiere in sintonia con le altre Chiese cristiane, sforzandosi di
superare, di fronte al mondo, lo scandalo della divisione e della contrapposizione tra battezzati dell'unica Chiesa di Cristo (cf cost. 307, § 2).
§ 1. La Chiesa che è in Milano, in tutte le sue articolazioni, a partire dalle parrocchie, intende educare la coscienza dei credenti a
vivere, seppure con modalità diverse, la corresponsabilità per la missione ad gentes.
§ 2. Particolare rilievo va dato alla formazione e alla diffusione di sensibilità missionaria nel mondo della cultura, specialmente nella
formazione seminaristica e in quella permanente del clero e nei vari ambiti di formazione degli operatori pastorali laici.
282. Diocesi, istituti missionari e altri istituti e soggetti impegnati nella missione
La Chiesa ambrosiana intende riconoscere come espressione della propria missionarietà: gli istituti specificamente missionari che
sono nati in diocesi, gli istituti specificamente missionari che hanno trovato in diocesi terreno per la loro attività e la ricca sensibilità
missionaria di altri soggetti ecclesiali (quali: istituti di vita consacrata, associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali, organismi di volontariato
internazionale). Questi soggetti svolgono attività di animazione, formazione e pastorale missionaria che la Chiesa di Milano vuole valorizzare,
sostenere, incoraggiare, accompagnare e coordinare. Frutto particolarmente prezioso di questa attività missionaria sono le vocazioni
missionarie, sia quelle di speciale consacrazione sia quelle laicali.
§ 1. L'invio in altre Chiese di presbiteri e diaconi diocesani, con mandato missionario fidei donum, è segno e alimento dello spirito
missionario della nostra Chiesa. Nello stesso tempo, questa destinazione è apportatrice di ricchezza pastorale. Nella sua sollecitudine per tutte
le Chiese, la diocesi mantenga e possibilmente incrementi tali esperienze, senza temere un impoverimento all'interno del proprio agire
pastorale. Con opportune iniziative si accompagni l'invio e il successivo ritorno di presbiteri e diaconi mandati ad altre Chiese, come segno di
autentico spirito missionario, come pure di scambio e di incontro tra Chiese sorelle che reciprocamente si evangelizzano.
§ 2. Secondo la stessa ottica missionaria e nel medesimo spirito di comunione, la Chiesa ambrosiana accoglie i presbiteri ad essa
inviati da altre Chiese. La loro presenza in diocesi sia valorizzata come espressione della sollecitudine missionaria delle altre Chiese e come
apportatrice di doni per la vita pastorale delle nostre comunità.
§ 1. Nella certezza che sia doveroso “rilanciare tipi nuovi di presenza dei laici nell'impegno missionario in forma associata” e che tra
gli impegni dei laici in missione ci sia quello di collaborare all'attività parrocchiale e diocesana per la plantatio, la vita, la crescita della Chiesa
locale(2), la diocesi si impegna ad accogliere questo invito, a farlo oggetto di approfondita riflessione, a preparare un progetto adeguato e a
promuoverlo.
§ 2. Nello stesso tempo, la Chiesa che è in Milano riconosce la ricchezza e lo stimolo che provengono dalla proposta e
dall'esperienza degli organismi di volontariato internazionale, particolarmente da quelli di ispirazione cristiana; perciò valorizza e incoraggia
tali organismi e sostiene le loro esperienze di mondialità, rivolte verso le necessità dei poveri e i valori del regno.
§ 2. Un'attenzione concreta ai missionari da parte della comunità diocesana sia espressa nel periodo della loro formazione e nel
tempo della permanenza in terra di missione. Al loro ritorno si faccia in modo di accogliere e valorizzare, nella vita diocesana, le ricchezze
culturali, spirituali e pastorali di cui i missionari sono portatori.
§ 1. La comunità parrocchiale è l'ambito ordinario in cui i credenti sono educati a vivere concretamente lo spirito autentico della
missione ad gentes (cf cost. 151). Nell'avvertire tale responsabilità, superando una pastorale di pura ripetizione e conservazione, la parrocchia
promuova una pastorale dinamica e aperta a recepire le istanze dell'evangelizzazione anche sul territorio, rendendosi attenta a quanti vivono la
fatica, l'indifferenza, la distanza o il rifiuto della fede cristiana. Nello stesso tempo coltivi uno stile di accoglienza e di dialogo con quanti
provengono da altre culture o credenze religiose e promuova la presenza evangelizzante di membri della comunità cristiana negli ambiti
sociali, economici, politici e culturali con i quali essa può entrare in contatto.
§ 2. La parrocchia aiuti i fedeli a scoprire nella comune vocazione battesimale la varietà dei carismi del ministero e promuova la
corresponsabilità di ciascuno all'interno della comunità e in ordine alla missione ad gentes, aiutando a capire che il dono più grande che si può
fare ai fratelli è quello di coinvolgerli nella scoperta dell'amore di Dio.
La Parola di Dio annuncia che la salvezza è universale, per tutta l'umanità, per ogni uomo. Perciò il ministero della Parola, in tutte le
sue espressioni, a cominciare dalla catechesi, sia finalizzato alla formazione di fedeli che, consapevoli di essere membri della Chiesa
universale:
a) crescano in una forte coscienza missionaria, condividendo gioiosamente la passione di tutta la Chiesa per l'annuncio e la
testimonianza del Vangelo offerta a tutte le creature e in ogni contesto esistenziale;
b) sappiano vivere questa grande passione per l'evangelizzazione, valorizzando, nello stesso tempo, il cammino spirituale degli
appartenenti ad altre religioni;
c) siano educati alla mondialità e all'accoglienza di persone di altre razze, culture e religioni.
288. Liturgia
In quanto celebrazione dell'amore di Cristo per tutti gli uomini, la liturgia sollecita ciascun fedele a farsi carico dell'urgenza del
compito missionario. Ogni celebrazione liturgica, particolarmente quella eucaristica, sia vissuta con spirito aperto sul mondo intero e proteso
verso l'universalità della Chiesa. La stessa celebrazione liturgica porti la comunità parrocchiale a sentirsi mandata da Cristo ad ogni persona e a
rendersi responsabile dell'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini e in tutte le situazioni umane, nella consapevolezza che nessuno è
irrecuperabile.
L'esercizio della carità è l'anima di tutta l'azione missionaria e ne costituisce l'espressione visibile. La comunità parrocchiale perciò:
a) educhi alla sobrietà di vita e a scelte precise di giustizia, perché sia più facile esprimere concreta solidarietà e spirito di servizio
verso chi è nel bisogno;
b) abitui i fedeli a donare con generosità, per le missioni, mezzi economici ed altri aiuti;
c) cerchi di destinare parte dei propri beni economici per i bisogni che si manifestano continuamente nel mondo (cf cost. 331);
d) mantenga i collegamenti con i missionari originari della parrocchia per sostenerli nella loro azione;
e) favorisca e promuova esperienze anche brevi di incontro e di testimonianza della solidarietà da parte di alcuni suoi fedeli presso
comunità di missione;
f) sensibilizzi i giovani perché nelle scelte di vita prendano in considerazione anche quella di dedicare tutta la loro esistenza alla
missione ad gentes.
Sia costituita in ogni parrocchia la Commissione missionaria parrocchiale. Suo compito è di indicare iniziative opportune per
mantenere viva la sensibilità ad gentes in tutta l'attività pastorale e di promuovere percorsi formativi per far crescere la comunità parrocchiale
nella dimensione di comunità missionaria. Tale commissione si mantenga in relazione con il consiglio pastorale parrocchiale e almeno un suo
rappresentante faccia parte del consiglio stesso. Solo dove non è possibile costituire una commissione, ci sia almeno un incaricato che assuma
il compito di animazione missionaria della comunità parrocchiale.
Sia costituita in ogni decanato la Commissione missionaria decanale. Suoi compiti sono: la sensibilizzazione missionaria del
territorio, il coordinamento tra le parrocchie e gli altri soggetti impegnati nell'attività missionaria, il loro raccordo con l'Ufficio diocesano per
la pastorale missionaria e il Centro missionario diocesano.
Con l'ufficio collabora il Centro missionario diocesano che è luogo privilegiato di incontro e di comunione di tutti i soggetti di
attività missionaria presenti in diocesi. Il Centro missionario diocesano è strumento di propulsione e di coordinamento, a disposizione delle
commissioni missionarie e degli operatori della pastorale ai diversi livelli, per animare alla missione parrocchie, decanati, associazioni, gruppi
e movimenti. Esso promuova iniziative tese a suscitare e alimentare nella comunità cristiana lo spirito missionario con programmi formativi,
incontri e sussidi.
294. Collaborazione con la Chiesa italiana e con gli uffici pastorali diocesani
§ 1. L'Ufficio diocesano per la pastorale missionaria e il Centro missionario diocesano partecipino, a livello nazionale, alla
riflessione e alle iniziative missionarie della Chiesa italiana e, in particolare, del Centro unitario missionario.
§ 2. In ambito diocesano, collaborino con gli altri uffici della diocesi, trasmettendo la sensibilità e la tensione missionaria loro
proprie.
§ 3. Per quanto riguarda l'accompagnamento religioso dei migranti e dei nomadi, forniranno all'Ufficio per gli esteri e alla Caritas
diocesana l'esperienza di tanti missionari. Collaboreranno, inoltre, col Centro vocazionale diocesano per promuovere e coltivare le vocazioni
missionarie, sensibilizzando a tale riguardo le comunità cristiane.
PREMESSA
§ 1. La Chiesa ambrosiana riconosce tra i suoi compiti quello di interrogarsi alla luce dello Spirito santo e di rinnovare il proprio
impegno pastorale nei seguenti ambiti:
a) i rapporti ecumenici con le altre Chiese cristiane;
b) la relazione che lega l'unica Chiesa di Gesù Cristo con Israele, sua "radice santa", e, pertanto, con l'odierno popolo ebraico;
c) l'incontro con le comunità di altre religioni presenti nel territorio della diocesi.
§ 2. Gli obiettivi prioritari che la Chiesa ambrosiana si propone di perseguire in questi tre ambiti sono:
a) suscitare la consapevolezza che la tensione ecumenica nella vita delle comunità (parrocchie e decanati, comunità religiose,
aggregazioni e altre realtà ecclesiali) riguarda la pastorale ordinaria e costituisce via feconda per la fede adulta del cristiano e l'apertura al dono
della piena comunione ecclesiale;
b) promuovere iniziative per la formazione ecumenica e le attività interconfessionali in diocesi;
c) approfondire e diffondere la coscienza cristiana della relazione con il popolo ebraico, accogliendo fedelmente tutta la rivelazione
ebraico-cristiana e valorizzando il prezioso patrimonio della tradizione ebraica vivente;
d) ricercare la collaborazione ecumenica per riscoprire la specifica ricchezza della fede ebraico-cristiana e per rispondere
correttamente alla sfida religiosa del mondo d'oggi: ecumenismo e dialogo di fronte al problema religioso e nell'incontro con le religioni;
e) adeguare ai suddetti obiettivi pastorali le strutture diocesane per l'ecumenismo e il dialogo.
§ 1. L'ecumenismo nasce dalla coscienza che la divisione tra i cristiani e le Chiese contraddice profondamente l'unità voluta da Gesù
Cristo, è di scandalo al mondo e ostacola la testimonianza del Vangelo (cf Gv 17,20-21)(1).
L'ecumenismo è, quindi, il cammino che lo Spirito fa percorrere ai battezzati e alle Chiese sulle vie della conversione a Dio e della
riconciliazione in Cristo. Proprio attraverso questo perenne cammino di conversione e di riconciliazione, i cristiani, che con il battesimo hanno
ricevuto l'unico Spirito, si aprono alla maturità spirituale della fede e riconoscono di essere già tra loro in una vera, anche se non completa,
comunione(2).
§ 2. Popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo e pellegrino nella storia, la Chiesa è sempre in tensione
ecumenica al di là del problema contingente delle sue divisioni storiche(3): tale tensione ecumenica verso la pienezza della verità e della
comunione, che è la "cattolicità" della Chiesa una e santa, fa parte pertanto al suo mistero, si lega al mandato apostolico dell'evangelizzazione
(cf Gv 16,13-15; Mt 28,18-20) ed è una dimensione fondamentale di tutte le attività pastorali.
§ 3. Nella predicazione e nella catechesi si abbia cura di riservare il termine "ecumenismo" al cammino delle Chiese cristiane verso
la pienezza della comunione e si precisi che l'ecumenismo si avvale del dialogo come di strumento per aprirsi a tutti, cogliendo e apprezzando i
semi di verità presenti in ciascuno. Come espressione della fedeltà della Chiesa all'agire di Dio, il dialogo è inseparabile dall'annuncio di Gesù
Cristo(4). Esso implica disponibilità al reciproco ascolto e impegna alla comune ricerca della verità(5).
L'interesse per l'ecumenismo non è ancora molto vivo nei pastori e nei fedeli delle nostre comunità, anche se, persone e gruppi,
stanno progressivamente acquisendo una più sentita spiritualità ecumenica. E' utile segnalare alcuni ostacoli a tale spiritualità:
a) l'attenzione esclusiva ai problemi interni delle comunità porta alla convinzione che l'ecumenismo sia un problema marginale, cioè
non interessi l'ordinaria prassi pastorale;
b) la convinzione di essere, come cattolici, gli unici depositari di tutta la verità e di non avere quindi bisogno di nessuno e di nulla
determina l'incapacità o la difficoltà ad aprirsi ai cristiani di altre confessioni, di conoscerli e di ascoltarli;
c) la più generale paura di tutto ciò che è diverso, in quanto ritenuto capace di far perdere la propria identità e di mettere in pericolo
la propria fede, porta a rifuggire dal contatto con le altre Chiese cristiane;
d) la difficoltà ad aprirsi agli altri e la paura di ciò che è diverso, sono aggravate dalla mancanza di stima per le altre Chiese cristiane
a motivo della non conoscenza o della conoscenza non vera, derivata dalla secolare polemica tra le varie confessioni cristiane.
E' opportuno indicare alcuni atteggiamenti che favoriscono una spiritualità ecumenica.
a) Si deve acquisire, o approfondire, la convinzione che l'interesse per l'ecumenismo è fedeltà alla volontà del Signore, alla
vocazione battesimale e immediata conseguenza di ciò che è al centro della vita della Chiesa, cioè dell'Eucaristia. Pertanto ogni comunità, e in
essa ogni cristiano, sono chiamati ad aprirsi agli altri e a partecipare con impegno per il ristabilimento della piena unità. L'ecumenismo, quindi,
non è marginale, ma è essenziale nella coscienza del cristiano e nella prassi pastorale(6).
b) L'ecumenismo non è rinuncia alla propria identità ecclesiale e quindi alla propria fede. Ogni indifferentismo deve essere
chiaramente condannato, perché “sarebbe la rovina del vero spirito ecumenico”(7). Su questo irrinunciabile presupposto i cattolici possono
aprirsi agli altri fratelli cristiani e dialogare con loro.
c) I fedeli cattolici “devono avere una corretta conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali con le quali sono in rapporto”(8);
“...occorre valutare anzitutto la qualità dei doni che uniscono fra loro le Chiese. Perciò la Chiesa cattolica valuta e stima con gioia e gratitudine
a Dio la ricchezza di doni che le altre Chiese custodiscono e valorizzano”(9).
d) La consapevolezza che la divisione è conseguenza del nostro peccato, soprattutto della mancanza di carità degli uni verso gli altri
e in particolare della mancanza di umiltà: ci riteniamo gli uni superiori agli altri, siamo convinti che il nostro modo di pensare e di agire sia
superiore a quello degli altri e debba quindi essere imposto agli altri (cf Gc 4,1-6).
e) Poiché, però “tutto concorre al bene di coloro che (...) sono stati chiamati” (Rm 8, 28), anche la consapevolezza della divisione
può essere benefica se suscita una duplice conversione: i cristiani prendono coscienza degli effetti del loro peccato e quindi sono stimolati a
convertirsi alla carità e all'umiltà; inoltre, come "servi inutili" prendono coscienza che tutti gli sforzi umani per operare l'unità sono inefficaci
se il Signore stesso non concede questo dono.
299. Lo stile di carità e di dialogo all'interno delle nostre comunità suscitatore di spiritualità ecumenica
§ 1. Non è possibile che le nostre comunità vivano rapporti corretti e proficui con le altre Chiese, se prima non vivono al loro interno
uno stile di carità e di dialogo. “Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal
rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito
divino la grazia della sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri (cf Ef 4,1-
3)”(10). “Per essere credibili all'esterno nel proporre un rapporto dialogico, bisogna prima che brilli all'interno della nostra vita l'esemplarità di
uno stile di dialogo. (...) Esso dovrebbe costituire espressione genuina di carità e di comunione”(11).
§ 2. Lo Spirito costruisce l'unità non come uniformità, ma come valorizzazione dei doni di ciascuno (cf 1 Cor 14) e forma
a vivere con tutti uno stile di carità e dialogo. L'attenzione e la fedeltà alle proprie convinzioni, insieme con il rispetto di quelle altrui, diventa
così arricchimento vicendevole e non motivo di contrasti. Perciò, ogni atteggiamento di integralismo e di proselitismo deve essere cancellato
dal proprio cuore, dalla propria mente e dal proprio linguaggio(12). Le diverse membra dell'unico Corpo di Cristo (cf 1 Cor 12,27) sono
chiamate a testimoniarsi vicendevolmente la carità eucaristica da cui sono plasmate: vivono, infatti, non per se stesse, ma per il Signore, che si
fa incontrare nella diversità dei fratelli e delle sorelle (cf 2 Cor 5,15).
§ 3. Ogni comunità riconosca gli atteggiamenti che ostacolano al suo interno lo stile di carità e dialogo e impari a vigilare
sulla discordia e sulle divisioni (cf 1 Cor 11,19). Favorisca invece l'accoglienza vicendevole e l'amore fraterno, il riconoscimento dei carismi di
ciascuno, la comprensione e l'apprezzamento dei valori di cui anche le diversità possono essere portatrici. Fiduciosa perciò nella presenza del
Signore (cf Gv 16,33; Mt 18,20), che non l'abbandona ma sempre la rinnova, si impegni alla conversione e alla riconciliazione (cf 2 Cor 5,14-
6,2).
§ 4. Lo stile di carità e di dialogo deve diventare esemplare nelle comunità di vita comune e in associazioni, gruppi e movimenti.
a) La vita monastica e la vita comune secondo il Vangelo, imperniate sulla Parola di Dio e orientate all'unificazione del cuore, sono
peculiarmente chiamate a essere per il popolo di Dio immagine del mistero della Chiesa indivisa. Le comunità che vivono questa profezia del
regno, grazie anche al loro alimentarsi alle fonti comuni della Chiesa una e indivisa, sono centri di riferimento per una spiritualità ecumenica
che, in queste stesse fonti, ritrova la sua sorgente e il suo alimento.
b) Le esperienze comunitarie e le aggregazioni ecclesiali, anche interconfessionali, animate da una spiritualità ecumenicamente
ispirata, sono da incoraggiare in quanto dono dello Spirito che si pone come fermento all'interno della comunità cristiana.
§ 1. “L'ecumenismo dovrà sempre più costituire non un'attività fra le altre, ma (...) una dimensione fondamentale di tutte le attività
della Chiesa, anzi uno stimolo nella crescita nella verità, a un credere di più e a un essere di più”(13). L'ecumenismo, quindi, prima di
costituire un'attività pastorale specifica, è una dimensione o qualificazione dei ministeri della Parola, della liturgia e della carità, nel senso che
tali ministeri devono essere svolti così da formare nei fedeli una convinta spiritualità ecumenica(14).
§ 2. Il ministero della Parola e la celebrazione della liturgia, in modo particolare di quella eucaristica, formino costantemente
all'amore per la Chiesa e per la sua unità. Con tali sentimenti i fedeli e i pastori saranno portati a interessarsi dell'ecumenismo, sentendo la
sofferenza per le attuali divisioni e il desiderio di adoperarsi per il superamento di esse.
Anche l'attuale impossibilità di condividere la mensa eucaristica con i cristiani delle altre Chiese venga sentita come sofferenza e,
nello stesso tempo, stimoli all'impegno per affrettare la piena comunione.
§ 3. L'educazione graduale a questa maturità della coscienza ecumenica avvenga anche attraverso gesti di incontro e carità
realisticamente proponibili e nello stesso tempo di elevato valore simbolico. Iniziative diocesane e locali di gemellaggi, di visite, di scambi
culturali, di solidarietà concreta, siano pensate e condotte con sensibilità ecumenica. Là dove esistono le condizioni per una condivisione
cordiale e convinta, tali iniziative vengano divulgate e proposte ai fedeli. Si operi comunque perché queste condizioni si possano realizzare
anche là dove non esistono ancora.
§ 4. Il ministero della presidenza comporta il vigilare perché nelle comunità locali tale spiritualità ecumenica sia ricercata e custodita
come frutto dello Spirito.
Solo un ecumenismo quotidiano e domestico, spiritualmente fondato, rende possibili e credibili i gesti e le manifestazioni ufficiali.
Dalla forza del suo Signore la Chiesa trae le energie per vincere con pazienza e amore gli ostacoli sulle vie dell'unità. A questo scopo
lo Spirito del Risorto le comunica la speranza e la fermezza con la quale Gesù si determina nel suo cammino verso Gerusalemme (cf Lc 9,51;
At 20,22-23), città ove consuma la sua offerta al Padre.
Gerusalemme, patria di tutti i popoli secondo la tradizione biblica (cf Sal 87), è simbolo della comunione di Dio con l'umanità (cf Ap
21,2-3) e mèta a cui ogni creatura umana è rivolta (cf Is 2,1-5; 60,11-14).
Con sguardo contemplativo, la comunità cristiana è chiamata a vivere il suo pellegrinaggio terreno (cf 1 Pt 1,13-21): essa desidera e
attende, vigilante, il ritorno del suo Signore (cf Mt 24,36.43-44) e la manifestazione della nuova Gerusalemme (cf Ap 21,1-22,5), luce di tutte
le genti. Per questo nella preghiera e nell'attività formativa verifichi la sua tensione escatologica e approfondisca il senso della sua fedeltà e
della sua perseveranza (cf Lc 22,28). Alla sequela del suo Signore, ogni comunità ecclesiale vigili sul proprio cammino ecumenico
riconoscendovi il luogo del dono e della responsabilità: essa sa che quello che tarda avverrà.
§ 1. La diocesi ambrosiana si impegna ad applicare le indicazioni del direttorio ecumenico circa la formazione all'ecumenismo nella
Chiesa cattolica(15). Tale formazione riguarda sia tutti i fedeli, sia i ministri ordinati, sia i collaboratori non ordinati e deve portare ad
acquisire gli atteggiamenti spirituali e pratici per un corretto e proficuo ecumenismo.
§ 2. La formazione di tutti i fedeli avviene con vari mezzi: l'ascolto e lo studio della Parola di Dio, la predicazione, la catechesi, la
liturgia e le molteplici iniziative ecumeniche. Sarà curata in vari ambiti: la famiglia, la parrocchia, la scuola, le associazioni, i gruppi e i
movimenti(16).
§ 3. La formazione dei ministri ordinati sarà dottrinale ed esperienziale, non solo iniziale, ma anche permanente. Il seminario, la
facoltà teologica e la formazione permanente del clero, si sentano impegnati a seguire le indicazioni contenute nel direttorio ecumenico(17).
§ 4. La formazione degli operatori non ordinati (come catechisti, insegnanti o altri operatori laici) dovrà seguire gli stessi criteri,
adattati alla natura dei diversi itinerari(18).
§ 5. I ministri ordinati e gli operatori pastorali, opportunamente formati, sapranno educare le comunità a un corretto e proficuo
ecumenismo, in collaborazione con le strutture diocesane.
§ 1. Il primo e più urgente impegno per aprirci in carità e dialogo ai fratelli cristiani e alle sorelle di altre confessioni cristiane è
quello di conoscerli. Ciò porterà a constatare quanto abbiamo di comune e quanto abbiamo di differente.
a) “Dobbiamo prendere coscienza di quanto grande sia il volume delle "cose comuni" che già ci uniscono fra cristiani di Chiese
diverse”(19) e “valutare la qualità dei doni che uniscono tra loro le Chiese. Perciò la Chiesa cattolica valuta e stima con gioia e gratitudine a
Dio la ricchezza dei doni che le altre Chiese custodiscono e valorizzano”(20).
b) In ciò che abbiamo di differente è necessario operare una distinzione tra differenze nelle verità della fede e differenze nei modi di
esprimere le comuni verità della fede(21). Tale distinzione porta a capire che le differenze nelle verità della fede causano la divisione tra le
Chiese, mentre le differenze nei modi di esprimere le comuni verità della fede causano una varietà tra le Chiese che è bellezza, ricchezza e
arricchimento reciproco.
§ 2. E' necessaria, in primo luogo, la conoscenza delle differenze nella verità della fede. Essa porterà alla chiarezza delle posizioni
reciproche e alla possibilità di evitare ogni forma di indifferentismo.
E' necessaria, poi, la conoscenza delle differenze nei modi di esprimere la fede comune: alcune sottolineature nella dottrina
teologica, varie forme di liturgia e di devozione (si pensi per le Chiese d'Oriente alla ricca tradizione iconografica), diversa normativa
canonica. Tutto questo patrimonio delle tradizioni cristiane deve essere maggiormente conosciuto e valorizzato.
§ 3. E' necessario, comunque, nell'interpretare la conoscenza delle Chiese sorelle, purificare la memoria delle ferite provocate e di
quelle subite e ripercorrere il cammino della storia cristiana con rigore critico e discernimento evangelico. Ciò è un compito fondamentale e
irrinunciabile dell'impegno ecumenico.
Poiché la fede dei cristiani si manifesta adulta anche quando non teme di riconoscere le colpe della propria storia e di prendere le
distanze da atteggiamenti apologetici, revisionistici, irenici, la Chiesa ambrosiana intende:
a) accogliere e far conoscere una visione della storia corretta e non distorta dalle secolari polemiche;
b) offrire un'informazione ecumenica aggiornata e non preconcetta;
c) valorizzare il rapporto con le antiche Chiese orientali e con le Chiese ortodosse secondo la sua identità di Chiesa latina aperta
verso l'Oriente;
d) favorire l'incontro con la cultura religiosa delle Chiese nate dalla Riforma;
e) conoscere le intolleranze religiose del passato per evitarle nel presente e nel futuro.
§ 4. Mezzi concreti per la reciproca conoscenza sono soprattutto:
a) lo studio: “non ci si può permettere di ignorare tuttora il contenuto dei testi ecumenici del Concilio e di restare estranei alla
conoscenza di ciò che sono in verità le altre confessioni cristiane (storia, dottrina, prassi)”(22). Particolarmente significativa è la conoscenza
delle figure di santità presenti nelle altre Chiese cristiane(23);
b) la partecipazione a liturgie delle altre Chiese, così che sia possibile valutare la ricchezza di altre forme di celebrazione del mistero
di Cristo;
c) il cosiddetto scambio di ambone, che permette soprattutto di sperimentare la comunanza di fede tra i cristiani (durante
celebrazioni della Parola);
d) le visite e i pellegrinaggi, oggi più facili e frequenti, permettono una conoscenza in loco della tradizione e delle ricchezze delle
altre Chiese.
§ 5. Un modo particolarmente efficace di reciproca conoscenza e di unione è la lettura comune della sacra Scrittura.
La Chiesa ambrosiana intende favorire a livello diocesano e zonale:
a) l'istituzione di gruppi biblici interconfessionali e seminari per la lettura ecumenica della Parola;
b) la proposta di veglie e celebrazioni ecumeniche della Parola in occasione delle principali e comuni feste liturgiche.
§ 6. Le Chiese cristiane che aderiscono al Consiglio ecumenico delle Chiese e che sono attualmente presenti in Milano sono: Chiesa
anglicana, Chiesa apostolica armena, Chiesa copta ortodossa d'Egitto, Chiesa cristiana protestante, Chiesa ortodossa ellenica, Chiesa
evangelica battista, Chiesa evangelica metodista, Chiesa evangelica valdese, Chiesa eritrea ortodossa, Chiesa ortodossa romena, Chiesa
ortodossa russa del Patriarcato di Mosca, Esercito della salvezza.
§ 1. La comunicazione della fede è ecumenicamente corretta nella misura in cui è liberata da pregiudizi ed è aperta a suscitare amore
e stima per le peculiarità liturgiche, spirituali e disciplinari delle altre tradizioni confessionali.
Nell'esposizione della dottrina cattolica si distingua tra le verità di fede e i modi di esposizione delle verità.
§ 2. Nell'intento di qualificare la catechesi sotto il profilo ecumenico gli uffici diocesani per la catechesi e per l'ecumenismo
collaborino al fine di offrire corsi di formazione per catechisti e sussidi adeguati. In particolare provvedano alla divulgazione, nella catechesi
dei giovani e degli adulti, sia dei principi e delle indicazioni emanate dalla Chiesa cattolica per un corretto rapporto con le altre confessioni, sia
delle principali acquisizioni dottrinali e pratiche raggiunte nelle sedi ufficiali del dialogo ecumenico.
§ 3. Sia messo allo studio - insieme con i rappresentanti di altre Chiese cristiane - il progetto di un centro ecumenico che si
caratterizzi come luogo per un annuncio di tipo kerigmatico, volto a suscitare la fede di chi è in ricerca e non si riconosce in nessuna Chiesa
confessionale. Il centro proponga itinerari catecumenali che conducano a una scelta di fede vissuta in una comunità ecclesiale.
§ 1. “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori” (Sal 126). Di questa preminenza dell'opera del Padre era
cosciente per primo Gesù, il quale ha pregato perché tutti siano una cosa sola (cf Gv 17,21). Il nostro impegno di unione è certamente
necessario, ma è del tutto inadeguato. La piena unità tra di noi è un'opera del Signore: è un'unità donata(24). Di qui la necessità della
preghiera.
Appuntamenti annuali di preghiera ecumenica, ormai noti a tutti i fedeli, sono soprattutto: la settimana di preghiera per l'unità dei
cristiani (18-25 gennaio) e il periodo che intercorre tra l'Ascensione e la Pentecoste e in particolare la Veglia di Pentecoste.
§ 2. La settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, preparata di comune accordo tra cattolici e non cattolici, si struttura in
celebrazioni e incontri sia a livello diocesano sia a livello periferico (zonale, decanale, parrocchiale).
Oltre che per la preghiera comune(25), questi giorni sono particolarmente importanti per la reciproca conoscenza attraverso la
partecipazione alle liturgie delle Chiese, i molteplici scambi di ambone, gli incontri per conferenze e dibattiti.
§ 3. Le comunità si impegnino comunque a inserire la preghiera per l'unità in tutto l'anno liturgico, specialmente il giovedì santo, il
venerdì santo (di grande valenza è in questa occasione la preghiera universale) e la Pasqua(26). Si inseriscano più abbondantemente
invocazioni per l'unità della Chiesa nella preghiera universale della messa e si celebri con maggior frequenza la messa votiva per l'unità dei
cristiani(27).
§ 1. I rapporti tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane relativamente ai sacramenti e alle altre forme di culto sono regolate
dal Codice di diritto canonico(28) e dal direttorio ecumenico(29).
§ 2. Si richiamano di seguito solo alcuni aspetti:
a) il battesimo per immersione, o per infusione, con la formula trinitaria è, in sé, valido. Di conseguenza, se i rituali, i libri liturgici o
le consuetudini stabilite da una Chiesa prescrivono uno di questi modi di battezzare, il sacramento deve essere ritenuto valido, a meno che si
abbiano fondate ragioni per mettere in dubbio che il ministro abbia osservato le norme della propria Chiesa. In caso di dubbio si consulti il
competente ufficio di curia;
b) la confermazione nelle Chiese orientali viene amministrata con il battesimo e quindi non può mai essere ripetuta;
c) la preparazione al matrimonio delle coppie interconfessionali e il loro accompagnamento nell'esperienza familiare siano fondati
sulla Parola e aiutati dall'impegno comune dei ministri o pastori delle due confessioni. Sia altresì ricercata la possibilità di qualche iniziativa di
pastorale familiare interconfessionale (cf costt. 434-440);
d) negli ospedali, nelle case di cura o per anziani e nelle istituzione analoghe, i cappellani cattolici avvertano i responsabili di altre
Chiese della presenza di loro fedeli perché possano fare visita a queste persone e portare loro gli aiuti spirituali e sacramentali, anche con l'uso
della cappella;
e) quando un parroco è richiesto di celebrare un funerale di persona appartenente ad altra Chiesa o Comunità ecclesiale cristiana,
avvisi il rispettivo ministro e, se necessario, gli metta a disposizione la propria chiesa per il rito. In assenza di tale ministro, proceda al funerale
secondo le norme del direttorio ecumenico(30);
f) per quanto riguarda l'ammissione alla Chiesa cattolica di persone appartenenti ad altre Chiese cristiane ci si riferisca a quanto
prescritto nel direttorio ecumenico(31).
307. La collaborazione ecumenica nel servizio della carità e per una testimonianza comune
§ 1. “Ci sono molte forme di collaborazione ecumenica, che esprimono e giovano all'unità e mettono in luce la testimonianza della
potenza salvifica del Vangelo che i cristiani offrono al mondo”(32). Questo vale, in modo particolare, per le forme di collaborazione “nel
servizio della carità verso un mondo che lotta per realizzare gli ideali di giustizia, di pace e di amore”(33).
§ 2. La prima forma di collaborazione ecumenica deve essere quella di predicare il Vangelo al mondo come Chiese riconciliate.
Anche se, nella storia della Chiesa e in ogni tradizione confessionale, numerose sono le testimonianze di santità e non mancano esempi di chi,
nella carità e a proprio rischio, ha lottato per abbattere barriere culturali e religiose, sono soprattutto le contraddizioni della storia cristiana ad
avere peso per la sensibilità religiosa odierna. E' infatti innegabile che nel rapporto tra i cristiani abbiano prevalso nel passato irrigidimenti
dottrinali e reciproca diffidenza. Inoltre la confusione in alcuni contesti tra annuncio del Vangelo e dominio della civiltà europea ha provocato
reazioni negative nei confronti del cristianesimo da parte di individui e di popoli. Il risultato è che la confessione di Gesù nostra pace (cf Ef
2,14) è stata resa meno credibile e che la riconciliazione di Dio con il mondo (cf Ef 2,16) risulta meno evidente.
§ 3. La Chiesa ambrosiana si rende inoltre disponibile a forme interconfessionali di esercizio della carità, secondo le indicazioni e i
criteri contenuti nel direttorio ecumenico(34).
In particolare, nel cammino iniziato dalle Chiese cristiane d'Europa con l'Assemblea ecumenica di Basilea "Pace nella giustizia"
(maggio 1989), la Chiesa di Milano vede uno stimolo per intraprendere esperienze interconfessionali tra fedeli impegnati in una comune
diaconia su problemi concreti ed urgenti. La diocesi intende favorire iniziative di collaborazione in difesa della giustizia, della pace e per la
salvaguardia del creato al solo scopo di testimoniare la carità di Dio, che eccede il livello di un comune impegno etico nelle questioni sociali,
pacifiste ed ecologiche.
§ 4. La conoscenza e la stima per le altre Chiese cristiane devono portare la Chiesa ambrosiana a compiere gesti di solidarietà verso
le Chiese sorelle che si trovano oggi in particolare difficoltà, anche attraverso iniziative di gemellaggio ecumenico, sia spirituale, sia
economico, sull'esempio dell'attuale con la diocesi di Kostroma, appartenente alla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca.
Inoltre, la Chiesa ambrosiana sia aperta ad altre possibilità di intervento a cominciare da quelle in favore delle Chiese cristiane
presenti nel territorio della diocesi(35).
§ 1. Chiesa e popolo ebraico sono due comunità “legate a livello stesso della propria identità”(36). Tuttavia la relazione delle
comunità cristiane con il popolo ebraico non può essere confusa con l'ecumenismo, che concerne il dialogo tra le chiese cristiane. Un rapporto
positivo del cristiano con la tradizione ebraica vivente costituisce un presupposto fondamentale non solo per una corretta lettura dell'Antico
Testamento, ma anche per un'intelligenza cristiana della storia della salvezza. Infatti, l'autocoscienza cristiana, e dunque lo stesso cammino
ecumenico, presuppongono la radice ebraica (cf Rm 11,16-18).
§ 2. Nella storia delle Chiese non sono mancati gravi pregiudizi antiebraici che hanno favorito la diffusione dell'antisemitismo. Nella
predicazione e nella prassi pastorale occorre eliminare pertanto quei pregiudizi e modi di esprimersi erronei e offensivi nei confronti di ebrei e
di ebraismo che hanno generato in passato un diffuso sentimento antigiudaico. Non è sufficiente condannare l'antisemitismo. E' necessario
“essere per il popolo ebraico”(37), cioè venerarne il mistero, conoscerne la storia e le tradizioni religiose, la cultura e le ricchezze spirituali.
Pertanto venga proposto lo studio dell'ebraismo nel seminario teologico e negli istituti di formazione religiosa.
§ 3. I fedeli e i presbiteri si educhino a vivere un atteggiamento di vera e fraterna amicizia e collaborazione con gli appartenenti alla
comunità ebraica con cui vengono in contatto e a sviluppare la comune responsabilità di credenti di fronte ai problemi della società.
§ 4. L'annuale giornata dell'ebraismo, istituita dai vescovi italiani a partire dal 17 gennaio 1990, venga celebrata in tutte le comunità
e adeguatamente illustrata nelle assemblee liturgiche della domenica precedente. Essa ha lo scopo di introdurre i fedeli a una conoscenza più
profonda dell'ebraismo e intende favorire la crescita di un sincero amore verso il popolo ebraico. Gli uffici diocesani competenti preparino i
sussidi adeguati.
§ 1. La relazione della comunità cristiana con il popolo ebraico appartiene alla struttura stessa della fede che si fonda sulla
rivelazione biblica. La fede cristiana, che afferma l'unità dei due Testamenti, esige che il Nuovo Testamento non venga contrapposto
all'Antico, ma che sia letto in continuità con esso. Per l'ebreo Gesù la Bibbia ebraica è Parola di Dio: i suoi discepoli in ogni tempo devono
cercare di interpretare l'Antico Testamento con la sua stessa fede (cf Lc 24,25-27).
Nella predicazione e nelle celebrazioni liturgiche si abbia cura di presentare le Scritture dell'Antico Testamento nella loro specificità
e nel loro contesto storico-salvifico. Infatti l'estensione del senso apportata dal Vangelo non elimina ogni altro senso e il pieno adempimento
della Legge e dei Profeti da parte di Gesù non li abolisce (cf Mt 5,17).
§ 2. Il riconoscimento della ebraicità di Gesù e della Chiesa madre a Gerusalemme fa prendere coscienza dei legami con il popolo di
Abramo e delle conseguenze che ne derivano per la dottrina, la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua
missione nel mondo di oggi.
I pastori educhino le comunità cristiane a riconoscere il ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza e a non intendere la
Chiesa in termini sostitutivi o antitetici al popolo ebraico.
§ 3. La Congregazione per il rito ambrosiano nella revisione dei libri liturgici sia attenta a modificare eventuali espressioni, che
risentano di pregiudizi antigiudaici o che possano prestarsi a interpretazioni meno corrette.
§ 4. Gli uffici competenti vigilino affinché i sussidi liturgici, catechetici e pastorali siano coerenti con le indicazioni offerte dai
documenti della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo dell'allora Segretariato per l'unione dei cristiani(38).
Le contraddizioni della storia cristiana hanno provocato e provocano conseguenze negative sulla sensibilità religiosa contemporanea.
Inoltre, la realtà dell'immigrazione e il confronto con le altre religioni, la diffusione di nuove forme di religiosità sono i problemi che sfidano
oggi le Chiese cristiane di ogni confessione e richiedono pertanto una risposta il più possibile ecumenica.
§ 1. L'attuale compresenza di diverse espressioni religiose esige una pastorale intelligente e accogliente per impedire che xenofobia e
razzismo, marginalità e subalternità trasformino l'appartenenza religiosa in un motivo di tensione sociale. Tuttavia l'attenzione pastorale alle
diverse tradizioni religiose non può risolversi nella sola azione caritativa e assistenzialistica. Esige invece un confronto che stimoli
provvidenzialmente il recupero e l'approfondimento di valori fondamentali della tradizione cristiana.
§ 2. Gli itinerari educativi delle comunità propongano:
a) il primato della vita spirituale attraverso esperienze di contemplazione e lectio divina, di meditazione silenziosa e preghiera del
cuore;
b) un modello sapienziale di credente sottomesso a Dio e liberato dall'idolatria, vigile e critico verso il consumismo e
l'individualismo, l'indifferenza e il degrado morale;
c) un'esperienza di comunità che, radicata nella fede, sia luogo di vita e di crescita per tutti e in modo popolare comunichi il senso
della Chiesa.
§ 1. L'Islam è presente in diocesi in modo sempre più articolato ed organizzato in seguito ai recenti flussi migratori. La Chiesa
ambrosiana trova nell'incontro con la tradizione islamica una nuova occasione di crescita nel dialogo(39). Le difficoltà che la relazione islamo-
cristiana sperimenta non possono vanificare l'attesa di una collaborazione che rinnovi le esperienze positive fiorite in tempi lontani e, peraltro,
rese remote dal perdurare di incomprensioni, pregiudizi e guerre.
§ 2. I rapporti personali con i fratelli musulmani, nella quotidiana convivenza, sono il miglior mezzo di incontro e di reciproco
rispetto e come tali vanno valorizzati.
§ 3. Siano opportunamente favorite occasioni di conoscenza e di ascolto, che stimolano la comunità cristiana al riconoscimento della
propria identità e rendono più attenta e adeguata la sua testimonianza.
§ 1. Sono sempre più numerosi in diocesi anche coloro che si riferiscono alle grandi tradizioni religiose originarie dell'Asia orientale.
Il Concilio Vaticano II insegna ad apprezzare quanto è vero e santo in queste religioni. Anche se in molti punti esse differiscono da quanto la
Chiesa stessa crede e insegna, possono riflettere un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini(40).
§ 2. La Chiesa ambrosiana, attenta all'universo religioso orientale, intende favorire la conoscenza dei suoi valori spirituali. A questo
scopo potrà avvalersi anche dell'esperienza delle comunità cristiane sorte nei paesi d'origine di quelle tradizioni e degli istituti religiosi e
missionari che vi hanno maggiormente operato.
§ 3. Gli studi teologici nelle diverse istituzioni formative e accademiche presenti in diocesi prevedano le modalità più opportune per
una adeguata introduzione alle religioni e per una adeguata ricerca di una loro intelligenza cristiana.
§ 4. Attraverso l'insegnamento della religione nelle scuole si favorisca una conoscenza basilare, ma corretta e rispettosa, delle grandi
religioni orientali e dei rapporti della Chiesa cattolica con esse, al fine di aiutare i giovani ad orientarsi di fronte ai rischi di elaborazioni
sincretistiche e banalizzazioni dottrinali (cf cost. 586).
Finora ignorate e negate nel loro valore di religioni, le tradizioni africane costituiscono un mondo ancora da conoscere nella sua
complessità. Le maggiori occasioni di incontro con africani da noi immigrati e di visita nei loro paesi, inducono ad aprire opportunità di studio
e di conoscenza reciproca.
§ 1. Il complesso fenomeno delle nuove forme di religiosità (o sètte) esige di essere compreso nei suoi multiformi e diversi
aspetti(41).
In esse trovano spesso espressione sia il bisogno religioso di una intensa esperienza del divino e della sua percezione nella ritualità,
sia l'esigenza di incontrare una comunità capace di accogliere e coinvolgere le persone. Questi bisogni possono esasperare il soggettivismo e
generare forme addirittura patologiche di religiosità. In alcune di queste forme di religiosità preoccupano il sincretismo tra elementi di
tradizioni religiose diverse e di filosofie esoteriche, i legami con centri di potere internazionale e, a volte, la spinta al plagio delle persone o
alla distruttività della vita. E' pertanto necessario un prudente e critico discernimento, basato su conoscenze appropriate.
§ 2. La Chiesa ambrosiana accoglie con rispetto ogni persona e le sue forme di religiosità, ma non cede a compromessi sincretistici
nella vita di fede. Per questo, mentre riconosce il legame misterioso che intercorre tra Dio e la libertà di ciascuno, opera per portare tutti ad un
pieno e libero incontro con il Signore nel mistero pasquale. Cercherà insieme alle altre Chiese cristiane le iniziative efficaci ed
ecumenicamente corrette per una diffusa informazione popolare sul fenomeno delle nuove forme di religiosità.
§ 3. Ogni comunità si riproponga di:
a) vivere con carità e fermezza i rapporti con gli aderenti a queste forme religiose: il rispetto delle persone va composto con il
coraggio di rendere ragione della propria fede;
b) prevenire la diffusione di questi fenomeni attraverso una seria formazione biblica accessibile a tutti, una celebrazione gioiosa e
cosciente del mistero pasquale, una partecipazione attiva alla vita della comunità;
c) articolarsi, ove possibile, in piccole comunità nelle quali siano favoriti rapporti interpersonali autenticamente fraterni (cf cost.
153);
d) accogliere con verità e rispetto quanti, dopo essersi allontanati dalla Chiesa per aderire a sètte, chiedono di essere riammessi in
essa.
§ 1. Queste sfide provocano le comunità a riscoprire l'originalità e la novità della fede cristiana: essa è esperienza pasquale di Gesù
Maestro e Signore, la cui vita e missione operano nel discepolo per la forza del suo Spirito (cf Gal 2, 20; 4,6; Gv 15,26). Il cristiano venga
pertanto educato a discernere l'opera dello Spirito che non si limita a rispondere alle attese religiose e ai bisogni soggettivi dell'uomo e della
donna, ma li purifica e li apre all'esperienza eccedente del Vangelo e della paternità di Dio offerta a tutti (cf Rm 3,29-30; Ef 4,6; At 10,34-35).
§ 2. Predicazione e formazione devono rendere consapevoli che fede e religione non vanno né separate, né confuse tra loro e che
l'esperienza del credere e del non credere attraversa il cuore di ogni persona senza identificarsi immediatamente con la pratica o non pratica
religiosa.
La ricerca ecumenica tra cristiani di diversa confessione e tradizione è una delle sedi più idonee per mettere a fuoco lo specifico
della fede ebraico-cristiana rispetto ad ogni altra esperienza e tradizione religiosa.
§ 1. La consapevolezza della novità della fede cristiana è indispensabile per una vera apertura al dialogo. Il cristiano non assolutizzi
mai la propria personale esperienza di fede e non la confonda con la pienezza della verità rivelata in Gesù Cristo. Questa consapevolezza e
questo atteggiamento permettono al cristiano di accostare con fraternità ed umiltà ogni persona: da tutti sa di poter imparare per testimoniare il
dono della fede.
§ 2. Negli itinerari educativi per cristiani adulti sia curata la preparazione al dialogo con persone che hanno convinzioni diverse. E'
inoltre opportuno che in diocesi si dia vita a iniziative stabili e qualificate, in cui si possano ritrovare le persone disponibili a rendere ragione
del proprio credere e non credere. Alcune di queste iniziative potrebbero essere programmate e realizzate ecumenicamente (cf cost. 45).
§ 1. La Commissione diocesana e l'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo sono gli strumenti di cui la Chiesa ambrosiana si avvale per
la promozione, il sostegno e il coordinamento di iniziative negli ambiti del dialogo interconfessionale, della relazione con il popolo ebraico e
dell'incontro con le religioni.
§ 2. La commissione è rappresentativa delle varie componenti della comunità diocesana e dispone al suo interno delle necessarie e
differenziate competenze.
§ 3. L'ufficio, nel contesto della pastorale diocesana, sottopone alla commissione le questioni di maggiore rilievo e la informa del
suo lavoro ordinario; presenta all'Arcivescovo le indicazioni della commissione e, ottenutane l'approvazione, le porta a compimento; cura i
rapporti sia nei vari ambiti del dialogo, sia con tutti i soggetti operatori di ecumenismo.
In particolare ricerca le opportune collaborazioni con le istituzioni formative e pastorali della diocesi, allo scopo di ottenere che
l'impegno ecumenico qualifichi la pastorale ordinaria nella vita quotidiana delle comunità.
§ 4. Per la promozione di iniziative ecumeniche a livello locale o di base, le parrocchie, le comunità religiose e le aggregazioni
ecclesiali e laicali si avvalgano ordinariamente della consulenza dell'ufficio.
§ 5. La Commissione diocesana e l'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo tengono gli opportuni contatti con soggetti a
composizione interconfessionale presenti in diocesi quali il Segretariato attività ecumeniche (SAE) e l'Osservatorio interconfessionale
milanese (OIM).
In ogni zona pastorale è presente un incaricato per l'ecumenismo e il dialogo, con il compito di attuare le direttive della commissione
e dell'ufficio diocesani, di animare e di coordinare le iniziative zonali, di riferire sulla situazione della zona e di suggerire concrete iniziative.
E' auspicabile che anche a livello di decanati e di parrocchie siano presenti incaricati per l'ecumenismo e il dialogo.
Nell'ambito delle scuole per operatori pastorali è presente la specializzazione in ecumenismo e dialogo.
E' auspicabile che parrocchie, decanati e zone propongano ai fedeli tale prezioso servizio e li inviino alle scuole predette, scegliendo
poi, tra questi fedeli, gli incaricati locali.
La Chiesa ambrosiana, facendo proprio il comune desiderio espresso dai delegati fraterni al Sinodo, si rende disponibile a far parte di
un consiglio pastorale Interconfessionale delle Chiese cristiane di Milano: lo auspica e - da parte sua - si impegna perché sia costituito.
Esso potrà essere lo strumento privilegiato di un'esperienza ecumenica sul piano pastorale rispetto a comuni problemi e obiettivi(42).
I. PRINCIPI GENERALI
Il principio evangelico di povertà e distacco dai beni temporali - valido non soltanto per i singoli fedeli, ma anche per ogni forma di
vita comunitaria e per la stessa istituzione ecclesiastica - esige che la Chiesa eserciti il diritto di acquistare, possedere e utilizzare beni
temporali in uno stile di sobrietà, evitando il ricorso a mezzi sproporzionati o comunque non necessari agli specifici scopi a cui sono destinati.
Gli amministratori dei beni ecclesiastici sono tenuti a osservare sia le leggi canoniche, universali e particolari, sia le leggi civili e, in
particolare, devono utilizzare i beni provenienti da liberalità, secondo le volontà espressamente indicate dai donatori.
La comune appartenenza alla Chiesa, comunità di credenti corresponsabili nella sua missione, determina il dovere di tutti i battezzati
di preoccuparsi anche delle sue esigenze di carattere economico, in ambito sia locale sia universale. Il "sovvenire alle necessità della Chiesa" si
attua non solo con le diverse forme di contribuzione, ma anche con un impegno responsabile nella gestione economica della vita della Chiesa e
offrendo la propria disponibilità, collaborazione e competenza professionale nell'amministrazione dei beni, specialmente nei consigli per gli
affari economici.
§ 1. Per il reperimento dei mezzi economici richiesti dalle attività della Chiesa “la forma insieme più agile e più sicura di apporto
non è quella affidata all'impulso emotivo ed episodico, ma quella del contributo regolare e stabile per le diverse necessità ecclesiali, che
dovrebbe essere concepito come impegno di ciascuna famiglia cristiana e messo in qualche modo in bilancio nella programmazione mensile o
annuale della destinazione delle risorse familiari”(1). E' opportuno che le comunità parrocchiali indichino ai fedeli concrete modalità per
garantire alla parrocchia una stabile contribuzione da parte delle famiglie, al fine anche di una programmazione dei suoi impegni economici.
§ 2. Una delle forme tradizionali di contribuzione alle necessità della Chiesa è costituita dalle offerte date in occasione di
celebrazioni liturgiche. Tale forma di contribuzione sia considerata e presentata non come il corrispettivo per una prestazione, ma come
partecipazione riconoscente alle necessità della comunità ecclesiale.
§ 3. Accanto alle forme tradizionali, vanno oggi utilizzate le possibilità di contribuzione previste dalle leggi civili, in particolare da
quelle di origine concordataria.
§ 1. L'offerta data per la celebrazione della messa è un modo tradizionale, e ancora largamente diffuso, per concorrere alle necessità
della Chiesa e al sostentamento del clero. Siano rispettate al riguardo le disposizioni del Codice di diritto canonico e le norme diocesane,
ricordando che non è lecito a nessun sacerdote, sia secolare sia religioso, chiedere un'offerta superiore a quella periodicamente fissata dalle
norme diocesane. La necessità di evitare anche solo l'apparenza di ogni forma di lucro potrà comportare l'esigenza di accettare un'offerta libera
inferiore a quella fissata, o di non percepire alcuna offerta.
§ 2. Ci si attenga alle norme vigenti anche per quanto riguarda le messe binate, le cosiddette messe plurintenzionali(2), e i legati
pii(3).
§ 1. La comunione dei beni nella Chiesa si attua nella nostra diocesi particolarmente attraverso:
a) collette annuali (le cosiddette "giornate");
b) contribuzione per il funzionamento degli organismi diocesani, stabilita in base alle risultanze del rendiconto annuale di ogni
ente(4);
c) fondo comune diocesano, alimentato da oblazioni, oltre che dai contributi richiesti in occasione dei decreti di autorizzazione.
§ 2. Il fondo comune diocesano è prevalentemente utilizzato per rispondere ai bisogni delle parrocchie in particolari difficoltà,
secondo le scelte operate dal collegio dei consultori e dal consiglio per gli affari economici della diocesi.
§ 1. Come ulteriore segno di comunione ecclesiale e per favorire concretamente una migliore perequazione dei beni fra gli enti, è da
favorire il sostegno economico da parte di parrocchie più dotate nei confronti di parrocchie che si trovano in difficoltà, particolarmente
nell'ambito dello stesso decanato, mediante forme di gemellaggio da concordarsi con l'Ordinario diocesano. Secondo gli stessi principi,
l'opportunità di spese straordinarie o l'impiego di somme significative a disposizione, siano valutati alla luce di necessità primarie e urgenti di
altre parrocchie o di enti diocesani verso i quali indirizzare il proprio sostegno, già a partire dall'ambito decanale, in forme promosse dai
competenti uffici della curia e approvate dall'Ordinario diocesano.
§ 2. Potranno essere attuate espressioni di solidarietà a favore di altre diocesi e forme di sostegno a iniziative caritative, realizzate in
collaborazione con altre Chiese cristiane (cf cost. 307, § 3), attenendosi alle indicazioni dell'Ordinario diocesano.
A tutti gli amministratori di beni ecclesiastici, il Codice di diritto canonico richiede la “diligenza del buon padre di famiglia” (can.
1284, § 1). Sia la trascuratezza, sia l'eccesso di intraprendenza sono contrari a una amministrazione ordinata, rispettosa delle norme canoniche
e civili.
Fanno parte di una corretta amministrazione dei beni ecclesiastici la tenuta dei libri contabili (che possono essere integrati, ma non
sostituiti, da registrazione informatica), la stesura del rendiconto annuale, la buona conservazione del patrimonio, il rispetto delle norme di
sicurezza, la stipula di adeguate assicurazioni, la catalogazione e conservazione dei documenti, gli inventari o stati patrimoniali.
Gli amministratori di ogni ente conservino e annualmente aggiornino l'inventario dei beni ecclesiastici, corredato dai documenti e
dagli strumenti sui quali si fondano i diritti patrimoniali dell'ente. Copia di tali documenti sia depositata presso i competenti uffici di curia.
Ogni ente curi la stipula di adeguate assicurazioni contro i rischi, che possono derivare alle persone dalle proprie attrezzature e
attività, e contro i danni e le perdite del patrimonio immobiliare e mobiliare.
Per la stipula e le variazioni di contratti assicurativi, ci si avvalga della consulenza dei competenti uffici di curia.
Gli amministratori dei beni ecclesiastici trasmettano all'Ufficio amministrativo diocesano entro il 31 marzo il rendiconto
amministrativo annuale, compilato secondo lo schema stabilito. Il puntuale adempimento di questo obbligo, oltre a costituire prova di
amministrazione corretta ed ordinata, consente all'Ordinario diocesano di effettuare tempestivamente le dovute verifiche.
§ 1. Ogni ente faccia conoscere alla comunità dei fedeli il rendiconto annuale, secondo le disposizioni date dai competenti uffici di
curia.
§ 2. Ogni ente informi i fedeli circa l'ammontare e l'utilizzo delle offerte ricevute per particolari destinazioni.
§ 3. Gli enti centrali diocesani presentino inoltre ai consigli presbiterale e pastorale diocesano i loro rendiconti annuali e una
relazione circa l'uso dei beni amministrati, i criteri di utilizzo del fondo comune diocesano e le iniziative di solidarietà.
§ 1. Gli atti di amministrazione straordinaria, oltre che dal Codice di diritto canonico, sono precisati nelle delibere in materia
amministrativa della Conferenza episcopale italiana e nel decreto generale dell'Arcivescovo(6) emanato a norma del can. 1281, e devono
essere preventivamente autorizzati per iscritto dalle competenti autorità.
§ 2. La finalità dell'autorizzazione e della previa consulenza dei competenti uffici è quella di tutelare i beni ecclesiastici e di
collaborare con gli amministratori degli enti a compiere atti opportuni, evitando rischi o pregiudizi al patrimonio.
§ 3. La mancata autorizzazione e l'inosservanza delle procedure possono avere la conseguenza di invalidare anche in sede civile gli
atti compiuti.
§ 1. La costruzione di nuovi edifici, dove già esiste un sufficiente patrimonio edilizio, deve essere considerata scelta eccezionale. Di
regola, va curato il recupero del patrimonio edilizio esistente, soprattutto se di carattere culturale. Una ristrutturazione, anche se al momento
comporta oneri maggiori, può costituire nel tempo la soluzione più vantaggiosa.
§ 2. La decisione sull'opportunità di nuove costruzioni, o di interventi di ristrutturazione o restauro di immobili, dopo attenta
valutazione tecnica e pastorale da parte degli uffici e organismi di curia, è riservata all'Ordinario diocesano.
§ 3. Non venga edificata nessuna chiesa, anche da parte di istituti religiosi, senza l'autorizzazione scritta dell'Arcivescovo, sentito il
consiglio presbiterale(7).
§ 4. La scelta delle persone e delle imprese a cui affidare l'ideazione e la progettazione di nuove opere, come pure il restauro degli
edifici e delle suppellettili, sia compiuta previa consultazione dei competenti uffici di curia.
§ 1. Gli edifici per le attività istituzionali di ogni ente siano valutati in rapporto ai bisogni attuali o ragionevolmente prevedibili. Un
sovradimensionamento o un'insufficienza rispetto alle necessità, sono destinati a pesare in maniera ugualmente negativa sulla gestione futura e
sulla stessa attività pastorale.
§ 2. Si vigili perché i piani regolatori e gli strumenti urbanistici contengano adeguate previsioni per le attrezzature religiose e per la
tutela dei beni ecclesiastici.
§ 3. Si ponga attenzione a evitare ogni tipo di barriera architettonica, così da permettere un facile accesso ed uso degli ambienti ad
ogni persona, intervenendo, per quanto possibile, anche sugli immobili già esistenti.
§ 1. Qualora risulti opportuno e sia possibile, con le debite autorizzazioni canoniche e civili, modificare la destinazione d'uso di beni
immobili, specialmente se di valore storico-artistico, o consentirne l'utilizzazione da parte di terzi, si dia la precedenza ad attività in qualche
modo affini a quelle originarie e si privilegino le esigenze di altri enti ecclesiastici.
§ 2. Solo eccezionalmente e con le autorizzazioni specificamente richieste, si potranno ridurre le chiese a uso profano non
indecoroso (cf cost. 141, § 3).
Le case canoniche delle parrocchie prive di parroco residente, siano mantenute a disposizione delle attività parrocchiali, a meno che,
con il consenso del consiglio per gli affari economici della parrocchia e l'autorizzazione dell'Ordinario diocesano, non si ritenga opportuna una
diversa destinazione, quale quella di abitazione per la persona o per la comunità incaricata della cura pastorale della parrocchia (cf cost. 156).
Si proceda con analoghi criteri per le case precedentemente utilizzate da vicari parrocchiali.
§ 1. Spetta al parroco la responsabilità amministrativa della parrocchia, da esercitare sotto l'autorità dell'Arcivescovo. Si tratta di una
responsabilità personale, non delegabile, per disposizioni sia canoniche sia civili, se non per compiti specifici di carattere esecutivo. Essa si
estende a tutte le attività di cui la parrocchia è titolare, anche se gestite in modo distinto come può avvenire, ad esempio, per gli oratori e i
centri culturali.
§ 2. Il parroco deve avvalersi della collaborazione dei fedeli laici, particolarmente nell'ambito del consiglio per gli affari economici
della parrocchia.
Qualsiasi somma depositata presso istituti di credito o uffici postali, oppure investita in titoli, di pertinenza della parrocchia, va
intestata solo a essa con la corretta denominazione, con firma riservata al suo legale rappresentante, e non al parroco come persona fisica, al
vicario parrocchiale, a singoli fedeli, salvo licenza dell'Ordinario (cf cost. 231, § 1). Per l'apertura di conti correnti intestati alla parrocchia è
comunque richiesto il benestare dell'Ordinario diocesano.
La titolarità e l'amministrazione dei beni della parrocchia risultino accuratamente separate da quelle riguardanti i beni personali del
parroco. Tale separazione sia evidenziata anche nelle disposizioni testamentarie, da depositare in curia entro un anno dalla nomina a parroco;
anche eventuali successive modifiche vengano depositate in curia.
§ 1. In ogni parrocchia sia istituito e convocato almeno tre volte all'anno il consiglio per gli affari economici. Composizione, compiti
e funzionamento di questo organismo sono regolati, oltre che da quanto stabilito in questo Sinodo (cf in particolare cost. 148), da apposito
regolamento.
§ 2. I consiglieri devono distinguersi per integrità morale, essere attivamente inseriti nella vita parrocchiale, capaci di valutare le
scelte economiche con spirito ecclesiale e competenza professionale. Non possono essere congiunti del parroco fino al quarto grado di
consanguineità o di affinità, né avere in essere rapporti economici con la parrocchia o ricoprire incarichi incompatibili con la loro funzione.
Durano in carica cinque anni e non possono essere riconfermati per più di due mandati consecutivi, salvo espressa deroga del vicario
episcopale di zona.
§ 3. Il parroco non può presentare il rendiconto della parrocchia né inoltrare domanda di autorizzazione all'Ordinario diocesano per
atti di amministrazione straordinaria senza allegare il parere del consiglio.
§ 1. Attività diverse da quelle che le leggi civili considerano come "di religione e di culto" - quali quelle scolastiche, sportive,
artistiche, culturali, assistenziali - possono essere svolte direttamente dalla parrocchia, come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, nel
rispetto delle leggi dello Stato concernenti tali attività e del regime tributario previsto per le medesime(8).
§ 2. Si consultino i competenti uffici di curia prima di consentire l'istituzione nell'ambito parrocchiale di altri soggetti giuridici,
anche se di natura associativa. Nei confronti di questi enti si stabiliscano le necessarie convenzioni, soprattutto per l'utilizzo di immobili della
parrocchia. In ogni modo, si eviti di costituire enti al solo scopo di gestire attività di cui può essere direttamente titolare la parrocchia.
Particolare attenzione va comunque usata verso siffatti organismi che fossero già costituiti o la cui costituzione fosse ritenuta
opportuna, cosicché nella loro autonomia non perdano il riferimento ecclesiale e non sottraggano risorse umane ed economiche alla parrocchia
e alla sua azione pastorale.
La responsabilità del parroco, circa ogni aspetto della vita della parrocchia, richiede che egli abbia adeguate conoscenze anche in
campo amministrativo. Ciò anche ai fini di una migliore valorizzazione dei fedeli laici, la cui collaborazione rimane comunque indispensabile.
La preparazione in campo amministrativo inizi già dagli anni della formazione seminaristica, continui con modalità adeguate nella
formazione permanente e si specifichi e approfondisca in occasione della nomina a parroco.
350. Consulenza
Per gli adempimenti amministrativi e fiscali, la parrocchia può avvalersi anche dell'opera di qualificati studi professionali. Gli uffici
competenti della curia, da parte loro, forniranno consulenza e aggiornamento periodico ai parroci e agli altri amministratori.
§ 1. Il personale laico dipendente dalla parrocchia e da ogni altro ente ecclesiastico per la funzionalità delle attività pastorali e di
quelle commerciali e per assicurare una collaborazione domestica ai presbiteri, sia retribuito secondo le disposizioni di legge e gli accordi
contrattuali in vigore.
§ 2. Gli stessi enti possono avvalersi anche di prestazioni di volontariato individuale o associativo, purché espressamente rese a titolo
spontaneo e gratuito. Può essere opportuna la stipula di apposite convenzioni tra parrocchia e volontari o gruppi di volontari, soprattutto per
prestazioni di volontariato a carattere continuativo. Tali prestazioni siano comunque garantite da adeguate coperture assicurative contro i
possibili rischi.
Anche per quanto riguarda l'amministrazione dei beni temporali, l'Arcivescovo costituisce in diocesi il punto di riferimento, in
quanto è suo specifico compito tutelare i beni ecclesiastici, disciplinarne l'amministrazione e vigilare sulla stessa.
§ 1. Nell'esercizio delle predette funzioni l'Arcivescovo si avvale dell'opera dei competenti uffici di curia, in particolare dell'Ufficio
amministrativo diocesano. Ad essi, secondo la specifica competenza di ciascuno, sono demandati sia gli aspetti istruttori di ogni questione di
carattere amministrativo e patrimoniale, sia una attività di sostegno agli enti ecclesiastici in tali materie.
§ 2. L'amministrazione del patrimonio dell'Arcidiocesi è assicurata dall'economo che agisce sotto l'autorità dell'Arcivescovo.
Partecipano all'amministrazione diocesana dei beni ecclesiastici il consiglio per gli affari economici della diocesi e il collegio dei
consultori, secondo le competenze stabilite dal diritto universale della Chiesa e dal presente Sinodo (cf costt. 177-179), e precisate negli
specifici regolamenti approvati dall'Arcivescovo. Le relative decisioni sono date e motivate in forma scritta.
Di norma non faccia parte di questi organismi chi riveste cariche nell'amministrazione attiva degli enti controllati. In ogni caso il
consigliere non può intervenire alla discussione e partecipare al voto quando si tratti di questioni relative a enti presso i quali svolge funzioni
di responsabilità amministrativa.
Gli organismi tecnici, di consulenza e d'amministrazione, siano affidati, per quanto possibile e opportuno, a laici professionalmente
qualificati, assicurando la presenza negli organismi collegiali anche di sacerdoti.
§ 1. Tra i beni temporali della Chiesa ambrosiana assumono particolare rilievo quelli di interesse storico ed artistico (edifici, opere
d'arte, suppellettili, archivi, biblioteche, collezioni e musei). Essi sono testimonianze della fede delle diverse generazioni, hanno rilevanza
pastorale, e sono patrimonio culturale anche per la società civile. La loro tutela, conservazione e valorizzazione, anche se comporta un
impegno talvolta oneroso, risponde ai fini propri dell'attività ecclesiale e della promozione culturale della società e richiede, quindi, uno spirito
di collaborazione con gli organismi pubblici e privati, che operano in questo campo.
§ 2. Gli enti ecclesiastici sono in ogni caso tenuti a fare riferimento agli orientamenti e alle norme emanate dalla Conferenza
episcopale italiana(1) e dalla diocesi in questa specifica materia.
§ 1. Ogni comunità consideri il patrimonio culturale e le memorie di cui è depositaria come beni inalienabili e come una risorsa
pastorale. Tale patrimonio venga effettivamente utilizzato nella vita ordinaria delle comunità cristiane, in particolare in alcuni momenti di
catechesi, in talune celebrazioni liturgiche e in particolari festività.
§ 2. L'accoglienza di visitatori e turisti venga possibilmente affidata a persone preparate, che sappiano coniugare una spiegazione
storica e artistica con un annuncio discreto e trasparente delle verità della fede, evocate dagli stessi soggetti artistico-culturali.
§ 3. Nel cammino di catechesi, in particolare nell'itinerario dell'iniziazione cristiana, come pure in occasione di eventuali
pellegrinaggi, si prevedano visite guidate a luoghi artistici particolarmente significativi nella storia dell'arte cristiana (cf cost. 273, §§ 2- 3).
§ 1. Si tenga conto che i beni culturali sono soggetti anche a particolari norme di tutela canoniche e civili. Si richiama in particolare:
a) la necessità che le alienazioni, i prestiti e i restauri siano debitamente autorizzati dalle competenti autorità sia ecclesiastiche
(Ordinario diocesano e, ove prescritto, Santa Sede), sia civili;
b) l'esigenza di una preventiva consulenza e dell'approvazione da parte dei competenti uffici diocesani, per la realizzazione di nuove
opere d'arte;
c) l'opportunità di porre particolare attenzione alla tutela dei luoghi sacri di valore storico-culturale, anche se non abitualmente
utilizzati per il culto, e di altri luoghi votivi presenti nel territorio delle parrocchie.
§ 2. Per la gestione dei beni culturali i parroci e gli altri amministratori degli enti ecclesiastici si avvalgano dell'opera di competenti e
anche di volontari debitamente preparati.
§ 3. Per tutti gli interventi relativi a beni di carattere culturale, storico e artistico ci si riferisca all'Ufficio per i beni culturali, alla
Commissione diocesana per l'arte sacra e i beni culturali e agli altri competenti uffici.
§ 1. I beni culturali mobili siano tutelati, conservati e valorizzati secondo la loro natura e con opportuni strumenti. A tale scopo i
luoghi e i mobili in cui essi sono conservati siano provvisti di adeguati dispositivi di sicurezza e siano idonei allo scopo.
§ 2. Si conservino con particolare cura i libri, i documenti e le opere d'arte, come pure i paramenti, le suppellettili, i libri liturgici e il
patrimonio appartenente alla religiosità popolare, anche se non più in uso.
§ 3. Gli strumenti per realizzare tutto ciò sono gli archivi, le biblioteche, i musei. Essi possono essere realizzati anche a livello
decanale o zonale. Per un'ulteriore valorizzazione degli stessi beni culturali si possono prevedere particolari iniziative e mostre a diversi livelli.
§ 4. Ogni ente conservi e annualmente aggiorni l'inventario dei beni culturali, redatto in collaborazione con l'ufficio competente.
361. I musei
§ 1. Raccolte di beni culturali possono costituire musei a livello parrocchiale, decanale o zonale. In tal modo si favorisce una
migliore tutela e conservazione, ma anche una più efficace valorizzazione dei beni culturali stessi.
§ 2. Particolare importanza assume il Museo diocesano, la cui finalità è quella di conservare e valorizzare beni particolarmente
rilevanti per la memoria della fede riguardante l'intera diocesi.
§ 1. L'archivio parrocchiale, nelle sue sezioni corrente e storica, venga conservato in locali e in mobili sicuri e adibiti solo a questo
scopo.
§ 2. Per quanto concerne l'archivio corrente, si osservi scrupolosamente il segreto relativo ai libri parrocchiali.
§ 3. Per quanto concerne l'archivio storico ci si attenga a quanto segue:
a) sia redatto l'inventario dei beni archivistici, e copia dello stesso venga consegnato all'Archivio storico diocesano;
b) per motivi di ricerca storica, vi possono accedere persone abilitate a tali indagini, a discrezione del parroco, che, nei casi dubbi,
potrà richiedere il parere del responsabile dell'Archivio storico diocesano;
c) è di norma esclusa la consultazione dei fondi non ancora inventariati e dei documenti relativi agli ultimi 70 anni;
d) è possibile il deposito temporaneo presso l'Archivio storico diocesano di quei documenti la cui consultazione richiedesse tempi
particolarmente ampi o modalità complesse, tali da rendere difficile un'adeguata vigilanza da parte dei responsabili;
e) in ogni modo nella gestione degli archivi parrocchiali ci si tenga in contatto con l'Archivio storico diocesano.
§ 4. Per disciplinare integralmente la materia venga emanato un apposito regolamento.
Per i beni culturali immobili, oltre alla normativa specifica, per la tutela, conservazione e valorizzazione sotto il profilo storico-
culturale, valgono le indicazioni per i beni immobili in genere (cf cost. 339).
§ 1. Funzioni di consulenza, coordinamento, promozione e controllo di quanto attiene alla tutela, conservazione, valorizzazione e
fruizione dei beni culturali sono di competenza dell'Ufficio per i beni culturali, coadiuvato dalla Commissione diocesana per l'arte sacra e i
beni culturali, dell'Archivio storico diocesano e, per gli aspetti di loro competenza, degli altri uffici interessati.
§ 2. L'Ufficio per i beni culturali e l'Archivio storico diocesano assistano, inoltre, gli enti ecclesiastici nei rapporti con le
Soprintendenze e altri enti pubblici.
§ 1. La Chiesa cresce nella fede nel Signore e cammina nella storia dell'umanità quale “segno e strumento dell'intima unione con Dio
e dell'unità di tutto il genere umano”(1) grazie all'esistenza quotidiana di donne e uomini che hanno accolto seriamente l'invito a seguire il
Signore e a servirlo nei fratelli. Tra questi la gran parte sono i fedeli laici.
§ 2. Inseriti in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana i fedeli laici appartengono pienamente alla
Chiesa e al suo mistero. Rigenerati come figli di Dio nel battesimo, sono inscindibilmente membri di Cristo e membri del corpo della Chiesa;
partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - del Signore Gesù; insieme con i ministri ordinati e con i
religiosi e le religiose, sono corresponsabili dell'unica missione della Chiesa. Con questa loro dignità e partecipando con tutti i membri della
Chiesa alla sua dimensione secolare, essi vivono in modo proprio e peculiare questa stessa dimensione nelle ordinarie e variegate situazioni
umane tendendo alla santità, quale risposta quotidiana alla chiamata che il Signore rivolge a ciascuno.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, nella sua storia anche recente, ha conosciuto non poche figure di autentici laici e laiche cristiani; alcuni
di essi sono anche stati proposti come modelli per l'intero popolo di Dio e sono stati proclamati santi; per altri è ancora in corso il cammino per
riconoscerne la santità.
§ 2. Grata a Dio per questi preziosi modelli di vita, la Chiesa ambrosiana apprezza e valorizza la ricchezza e la varietà di tali figure
di santità. Essa sa anche che il loro esempio e la loro presenza si riversano come fonte di grazia per la sua stessa vita. Forte di queste
convinzioni e confortata da queste testimonianze:
a) riafferma che, dentro le condizioni ordinarie dell'esistenza, è data a ciascuno la possibilità di vivere la santità evangelica,
incontrando il Signore per conoscerlo e seguirlo in un cammino di radicalità cristiana percorribile da tutti;
b) chiede alle varie articolazioni della diocesi, alle parrocchie e alle diverse aggregazioni laicali di operare scelte pastorali che mirino
ad accrescere la qualità della vita cristiana e promuovano la santità personale del fedele laico.
§ 3. All'interno della Chiesa ambrosiana, sia riconosciuta e promossa la dignità di tutti i fedeli laici. In questa prospettiva vanno visti
e realizzati il piano pastorale diocesano e i relativi programmi pastorali: essi sono strumenti autorevoli e tracciano cammini significativi per
costruire una figura di cristiano e di comunità in grado di accogliere e vivere il Vangelo e di proporlo alla nostra generazione.
§ 4. Le parrocchie, in particolare, si impegnino a esprimere laici formati secondo le scelte pastorali della diocesi, capaci di esercitare
un influsso spirituale sul cammino di fede di tutta la comunità, sui suoi tempi, sui suoi metodi, sulle sue scelte pastorali.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, mentre riconosce gli esempi di santità che le sono stati donati e si impegna a promuovere la dignità di
tutti i fedeli laici, non può non constatare che oggi, per non pochi battezzati, non ha più senso la fede in Gesù, per altri essa è ridotta al puro
compimento di alcuni gesti religiosi e appare separata dalla vita quotidiana, per altri ancora è un fatto privato e intimistico senza legame con la
comunità dei credenti. Tale situazione la interpella con forza; per questo essa deve compiere scelte coraggiose e creare condizioni idonee
perché ogni fedele laico possa riscoprire e accrescere la propria fede e vivere secondo la sua dignità.
§ 2. Perché ciò possa avvenire, nella prospettiva di far sorgere mature vocazioni laicali e di riconoscerne e valorizzarne la presenza, è
necessario e urgente operare alcune scelte prioritarie, che riguardano:
a) la promozione della vocazione e delle vocazioni;
b) la corresponsabilità dei laici nell'evangelizzazione;
c) la formazione della coscienza cristiana;
d) l'esercizio della responsabilità;
e) la promozione e la valorizzazione delle aggregazioni laicali.
§ 1. La prima e fondamentale vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ogni membro della Chiesa è la
vocazione alla santità. A essa sono chiamati anche i fedeli laici, a pieno titolo e senza alcuna differenza dagli altri battezzati.
§ 2. L'universale vocazione alla santità affonda le sue radici nel sacramento del battesimo, che genera una creatura nuova in Cristo,
purificata dal peccato e vivificata dalla grazia, e fonda l'uguale dignità di ciascun cristiano, donna e uomo. Questa rigenerazione radicale sta
alla base di ogni vocazione nel popolo di Dio e quindi di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici.
§ 3. In quanto battezzati, quindi, i fedeli laici sono chiamati, sull'esempio di Gesù, a rendere la loro vita sempre più conforme alla
volontà del Padre e a offrirla a lui. In questo consiste l'esercizio del sacerdozio comune dei fedeli, che abbraccia tutta l'esistenza umana,
trasformandola così in culto spirituale (cf Rm 12,1), e trova nell'Eucaristia il suo momento culminante e fontale. Essi sono pure chiamati, in
forza della stessa dignità battesimale, sia ad accogliere il Vangelo nella fede e ad annunciarlo a tutti con la parola e con le opere, sia a servire il
regno di Dio e la sua diffusione nella storia mediante il dono di sé nella carità e nella giustizia.
§ 4. Ogni fedele laico sia sempre più consapevole di questa sua altissima vocazione, la accolga con gioia e vi corrisponda attraverso
“la sequela e l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella
consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella
fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente
se piccoli, poveri e sofferenti”(2).
§ 5. Per parte sua, l'intera comunità cristiana, in tutti i suoi membri e in tutte le sue articolazioni, riconosca nei fedeli laici la presenza
di questa comune vocazione cristiana e li aiuti a corrispondervi.
§ 1. Se universale è la chiamata alla santità, peculiare è il modo e molteplici sono le forme in cui essa si realizza nella vita dei fedeli
laici.
§ 2. I fedeli laici sono chiamati a vivere la vita secondo lo Spirito rimanendo inseriti nelle variegate e ordinarie condizioni
dell'esistenza quotidiana, nella certezza che “né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento
spirituale della vita”(3): è questa la modalità peculiare che caratterizza il loro cammino vocazionale e di santità.
§ 3. Innumerevoli sono però le vocazioni suscitate dallo Spirito tra i fedeli laici e tutte devono essere riconosciute e accolte con gioia
e gratitudine. Sono vocazioni che incarnano in diverso modo l'impegno per il regno di Dio nel mondo, vocazioni che si esprimono in una più
diretta collaborazione nelle attività pastorali e che assumono anche specifiche forme di consacrazione.
§ 1. Le comunità cristiane con le loro articolazioni e, in particolare, coloro che sono impegnati in esplicite iniziative di pastorale
vocazionale non si stanchino di richiamare tutti i fedeli alla comune e universale vocazione alla santità e di riaffermare la pari dignità di ogni
specifica vocazione, come modalità concreta di rispondere al Signore.
In questo orizzonte, sappiano anche riconoscere e mettere in luce i fondamenti antropologici e teologici della condizione maschile e
femminile e favorire il necessario passaggio dal riconoscimento teorico alla realizzazione pratica della presenza attiva e responsabile della
donna nella Chiesa(4).
§ 2. La comunità cristiana nel suo insieme, ciascun suo componente e, in particolare, i presbiteri e i consacrati accolgano, sostengano
e valorizzino ogni modo concreto di rispondere all'amore di Dio e alla sua chiamata. Questa attenzione, tra l'altro, è la condizione perché vi sia
arricchimento reciproco nel vivere la propria vocazione e insieme perché la comunità cresca, impari a dialogare con il mondo e sappia offrire
risposte alle domande e alle attese degli uomini e delle donne del nostro tempo.
§ 3. Nel proporre il discernimento vocazionale, si tengano presenti le mutate condizioni culturali e sociali in cui giovani e adulti si
trovano a vivere, al fine di sostenere e accompagnare una serena presa di coscienza delle proprie attitudini, una più attenta valutazione e
valorizzazione del cammino personale, una maturazione di risposte generose nelle situazioni sociali in cui si è chiamati a operare.
§ 4. La diocesi e le parrocchie si avvalgano, per la pastorale vocazionale, del Centro diocesano vocazioni e di altri strumenti, quali,
ad esempio, il Gruppo Samuele e il Cenacolo promosso dall'Azione Cattolica. Sappiano valorizzare, insieme, tutte quelle esperienze educative
ecclesiali nelle quali, oggi, fioriscono numerose e diverse vocazioni, comprese quelle al sacerdozio e alla vita consacrata.
§ 1. Proprio perché membri della Chiesa, i fedeli laici sono partecipi dell'opera evangelizzatrice, che costituisce la vocazione e la
missione propria della Chiesa.
§ 2. L'annuncio della buona notizia del regno di Dio è, per ogni cristiano, un impegno al quale viene abilitato dal battesimo, che lo
rende creatura nuova, e dai doni dello Spirito santo. L'incontro con il Signore genera in ciascuno la necessità di annunciare con la parola e di
testimoniare con la vita agli altri uomini il senso vero dell'esistenza che gli è stato donato.
§ 3. L'opera evangelizzatrice, a partire dalle diverse circostanze in cui essa si svolge, assume le seguenti modalità:
a) la cura pastorale della comunità ecclesiale;
b) la "nuova evangelizzazione";
c) l'attività missionaria specifica(5);
d) la promozione umana.
§ 4. L'azione pastorale deve innanzitutto essere orientata a creare la consapevolezza, le condizioni e le esperienze perché la
partecipazione all'opera evangelizzatrice si realizzi nella vita di ogni fedele.
§ 1. In forza della comune vocazione battesimale, i fedeli laici si sentano chiamati e si pongano effettivamente al servizio della
crescita e della vitalità della comunità ecclesiale, esercitando in essa diversi ministeri secondo la grazia e i carismi che il Signore dispensa a
ciascuno.
§ 2. Nell'attuale contesto pastorale, in particolare, fedeli laici adeguatamente formati siano chiamati a farsi carico delle responsabilità
connesse con la cura delle comunità parrocchiali, assumendo, secondo la propria vocazione e nelle modalità precisate dalla disciplina
ecclesiale, diverse forme di impegno ministeriale e missionario.
374. Nuova evangelizzazione
§ 1. La diocesi ambrosiana vive una situazione in cui la cura pastorale come normalmente intesa deve coniugarsi in modo più stretto
con la nuova evangelizzazione (cf cost. 28, § 5). L'orientamento complessivo che la nostra azione pastorale deve assumere è, infatti, quello di
realizzare “il passaggio da una fede di consuetudine, pur apprezzabile, a una fede che sia scelta personale, illuminata, convinta,
testimoniante”(6). Occorre tendere a tale obiettivo educando la coscienza dei fedeli laici e promuovendo l'azione pastorale e missionaria non
solo dei presbiteri, dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, ma anche dei laici, giovani e ragazze, donne e uomini.
§ 2. Secondo questa prospettiva, è necessario, in particolare, accrescere numericamente e preparare con serietà fedeli laici capaci e
disponibili a essere guide esperte e amorevoli, con il dialogo, il confronto e l'esempio, dei molti che sono indifferenti o che “passano
silenziosamente la frontiera tra la verità e il buio, tra la certezza e l'incertezza, il dubbio, la sfiducia”(7). Tale necessità emerge soprattutto, in
quelle situazioni in cui gli uomini non possono conoscere Cristo se non per mezzo dei fedeli laici(8).
§ 1. Impegnati nell'opera evangelizzatrice, i fedeli laici testimonino e annuncino il Vangelo anche a tutti coloro che ancora non lo
conoscono: alcuni di essi, italiani o immigrati, vivono oggi anche nel territorio della nostra diocesi (cf cost. 28, § 5, c).
§ 2. Le comunità cristiane, inoltre, promuovano e valorizzino le vocazioni di quei laici che dedicano una parte del loro tempo e delle
loro energie, e talvolta tutta la loro vita, nella missione ad gentes (cf cost. 284).
§ 1. Parte integrante dell'evangelizzazione è la promozione umana: essa è compito di tutta la Chiesa, chiamata a vivere il Vangelo
servendo la persona e la società; in essa si sentano particolarmente impegnati i fedeli laici, che vivono immersi nei più svariati compiti
temporali e nelle ordinarie condizioni dell'esistenza.
§ 2. In questa ottica, in comunione con tutti i membri del popolo di Dio, i fedeli laici avvertano la chiamata a far emergere e
fruttificare i germi cristiani ed evangelici nascosti, ma già presenti e operanti, nella realtà del mondo: nel vasto mondo della politica, della
società civile, dell'economia; come pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti di comunicazione
sociale; e anche in altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli
adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza(8). Anche il tempo libero e lo sport costituiscono un terreno utile per l'evangelizzazione.
§ 1. Perché ogni cristiano possa riscoprire e far crescere la propria fede e vivere secondo la sua dignità, è necessario mettere in atto
un'intensa opera di formazione che raggiunga anche ogni fedele laico, mediante seri tirocini di vita ecclesiale e adeguati itinerari educativi.
§ 2. Questa complessiva opera formativa, tra l'altro:
a) mira alla crescita nella fede;
b) comprende l'educazione al sensus Ecclesiae;
c) si attua mediante diversi strumenti particolari;
d) si sviluppa in un'adeguata cultura teologica;
e) passa attraverso l'attenzione ai più deboli e ai momenti cruciali della vita;
f) richiede la creazione di ambiti specifici di educazione alle responsabilità civili;
g) si nutre di speranza cristiana.
§ 1. Una costante cura deve essere dedicata, innanzitutto, alla crescita nella fede e nella conoscenza di Gesù e del suo Vangelo, per
essere sempre più segno di speranza e trasparenza dell'amore di Dio per l'uomo. Tale fede, soprattutto nelle attuali circostanze storiche, nelle
quali la necessità di un cristianesimo frutto di scelte personali e mature è divenuta imprescindibile, è chiamata a mostrare la sua ragionevolezza
agli uomini del nostro tempo: esige, perciò, di essere illuminata e sostenuta mediante forti itinerari formativi rivolti a ogni credente.
§ 2. La crescita nella fede interessa la Chiesa nel suo insieme e ogni singolo cristiano, così che la fede trasmessa dalla comunità
cristiana accresca il numero dei credenti e il sensus fidei di ogni battezzato, arricchito dall'ascolto della storia degli uomini come storia di
salvezza, aiuti a penetrare nella profondità del mistero di Cristo.
§ 1. Anche il senso di appartenenza alla Chiesa, fondamentale in ogni autentica formazione cristiana, richiede una forte attenzione
educativa, soprattutto nell'attuale contesto socioculturale.
§ 2. Tale senso di appartenenza alla Chiesa si accresce nell'accoglienza dei differenti carismi e nel riconoscimento dei multiformi
ministeri presenti nella comunità e suscitati dallo Spirito per l'utilità comune. Ciascuno, in questa prospettiva e secondo i suoi carismi, è
chiamato a costruire un volto di Chiesa tutta ministeriale, segno dell'amore di Dio per ogni uomo.
§ 3. Il sensus Ecclesiae si arricchisce anche con il confronto, la comunicazione, la programmazione comune e la verifica. Ciò
comporta che ogni fedele e ogni gruppo eviti, da una parte, la chiusura nelle proprie posizioni e le inutili ripetizioni di iniziative e favorisca,
dall'altra, una sana dialettica, un costruttivo dibattito e, soprattutto, una fattiva collaborazione.
§ 4. La diocesi, i decanati, le parrocchie, l'Azione Cattolica e le altre aggregazioni laicali assicurino spazi e momenti specifici
finalizzati a questa maturazione ecclesiale.
§ 1. Molteplici sono gli strumenti attraverso i quali la comunità cristiana è chiamata a favorire, nei diversi ambiti, la formazione di
tutti i suoi membri, ordinati, consacrati e laici. Rimandando a quelle parti del testo sinodale nei quali essi vengono trattati più ampiamente, qui
se ne ricordano alcuni in particolare.
§ 2. Per la crescita nella fede si metta al centro la Parola di Dio. Essa sia accolta e approfondita a livello sia personale che
comunitario, con l'ascolto, la meditazione e la preghiera (cf costt. 28-49).
§ 3. In particolare, la comunità cristiana in tutte le sue articolazioni promuova una catechesi sistematica, con le opportune flessibilità
e con itinerari differenziati. Nella sua programmazione, si tenga conto anche delle concrete esigenze ed esperienze delle singole comunità. Sia
nella sua progettazione sia nel suo svolgimento, siano coinvolti direttamente i fedeli laici: essi svolgano il ministero di catechista, non soltanto
dei bambini e degli adolescenti, ma anche dei giovani e degli adulti. Nella catechesi degli adulti, si privilegino contenuti e metodologie
adeguati a loro, che devono vivere responsabilmente la fede nell'esistenza quotidiana, in tutti i risvolti che essa presenta (scelte, decisioni,
giudizi, comportamenti in campo professionale, sociale, politico, familiare) (cf costt. 33-37; 48).
§ 4. La crescita nella fede avviene in modo singolare nella liturgia, quale celebrazione del mistero pasquale. La reale comunione con
il Signore, infatti, accresce l'amore e la conoscenza di lui e dona la forza per trasformare l'intera esistenza perché possa essere condotta sul
modello dell'amore di Cristo per noi. Nella celebrazione, soprattutto dell'Eucaristia, si valorizzino, in particolare, l'esercizio dei ministeri da
parte dei fedeli laici e il loro coinvolgimento anche nella fase di preparazione della liturgia stessa (cf costt. 50-95).
§ 5. La comunità cristiana abbia cura, inoltre, di far crescere la comunicazione nella fede tra credenti e preveda, accanto alla
catechesi, opportuni momenti e luoghi di confronto e di scambio di esperienze, per discernere alla luce del Vangelo i modi di vivere la fede
nell'odierna società complessa e per verificare i propri riferimenti etici. In questa direzione si valorizzi anche l'apporto delle associazioni
cattoliche, in particolare di quelle professionali. Nell'ambito della comunicazione della fede, si dia spazio anche all'esercizio evangelico della
correzione fraterna.
§ 6. Per la formazione di una coscienza adulta, i cristiani diano importanza anche alla direzione spirituale come momento personale
forte di educazione al discernimento, di verifica della propria disponibilità a riconoscere e ad accogliere l'azione interiore dello Spirito, di
confronto tra la logica del Vangelo e quella del mondo, di orientamento della propria vocazione. I presbiteri non si sottraggano a questo
compito, al quale devono prepararsi costantemente e dedicarsi con sempre maggiore impegno. Ma questo compito può essere esercitato
ugualmente in modo proficuo anche dai consacrati e dai laici (cf cost. 46, § 2, d).
§ 7. La comunità cristiana richiami pure con sollecitudine l'esigenza di utilizzare tempi forti di esercizi spirituali - e si preoccupi
perché siano progettati e organizzati adeguatamente - per un approfondimento personale della fede, per una verifica della propria vocazione,
per un discernimento più puntuale della propria responsabilità al fine di una rinnovata conversione della vita alla sequela di Cristo (cf cost. 46,
§ 2, b).
§ 1. I cristiani tutti sono chiamati ad essere sempre pronti a rispondere a chi domandi ragione della loro fede e della loro speranza (cf
1 Pt 3,15). Questo vale soprattutto nel contesto culturale e sociale di oggi. In questa prospettiva, anche i fedeli laici avvertano l'importanza di
coltivare una solida cultura teologica.
§ 2. A questo scopo, la comunità cristiana:
a) favorisca la comunicazione e la circolazione, con linguaggi idonei, del sapere teologico tra tutti i cristiani laici;
b) promuova un approfondito sapere teologico anche fra i laici, non solo facilitando concretamente l'accesso agli istituti di
formazione teologica (ad esempio, prevedendo la possibilità di corsi serali), ma anche stimolando e creando spazi adeguati per le vocazioni
laicali alla professione di teologo.
§ 1. In tutti i percorsi formativi, soprattutto in quelli relativi ai giovani, la comunità cristiana abbia cura di promuovere vocazioni a
servizio dei più deboli e in riferimento alle necessità più urgenti della società in cui viviamo. Le famiglie educhino i figli alla logica del
servizio e non del possesso, consapevoli, secondo l'insegnamento di Gesù, che solo chi spende la propria vita per gli altri ne vedrà la
realizzazione piena.
§ 2. La comunità cristiana, nelle sue diverse articolazioni, sia consapevole che è chiamata a comprendere e a farsi carico delle
esperienze cruciali della vita, quali il dolore, la malattia, la terminalità, la vecchiaia, la morte, l'handicap, l'emarginazione, la violenza sui
minori e sulle donne. In questi ambiti, soprattutto i laici, che ne sono personalmente coinvolti, hanno qualcosa di specifico da comunicare a
tutto il popolo di Dio.
§ 1. La comunità cristiana promuova ambiti appropriati per educare i fedeli laici a vivere la radicalità evangelica nello svolgimento
delle responsabilità civili (lavoro, quartiere, luoghi di partecipazione, impegno politico e altri similari) (cf costt. 521-564).
§ 2. Poiché tali responsabilità devono essere vissute con autonomia, onestà, competenza, serietà di giudizio, capacità di collaborare
con tutti gli uomini di buona volontà, in coerenza con l'ispirazione cristiana, la stessa comunità cristiana richiami i fedeli laici all'importanza,
in qualunque tipo di lavoro, della competenza professionale, quale modalità per vivere il servizio e la gratuità evangelica e come dimensione
creativa della persona.
§ 3. Grazie anche all'apporto dei fedeli laici, l'intera comunità impari e insegni ad affrontare con correttezza evangelica le questioni
relative alla professione e al lavoro, anche negli aspetti di conflittualità e di particolare problematicità, dove peraltro si giocano il bene comune
e i diritti primari della persona (disoccupazione, sottooccupazione, lavoro nero e così via). In particolare, secondo questa prospettiva, la
diocesi, i decanati e le parrocchie, con il contributo delle diverse aggregazioni laicali, promuovano un rilancio della pastorale sociale e del
lavoro (cf costt. 542-546).
La comunità cristiana, forte della Parola e della presenza di Cristo, gioiosa per il dono della fede e dell'amore, assumendo le attese e
le angosce, i problemi e le sofferenze, la ricerca delle donne e degli uomini - esperienze che i cristiani laici quotidianamente condividono - si
faccia carico di comunicare speranza; educhi a impostare e affrontare ogni aspetto della vita secondo l'ottica della speranza cristiana,
valorizzando e risvegliando ogni possibilità di bene esistente in tutti gli esseri umani, edificando così progressivamente una mentalità di
riconciliazione e di pace. Con queste modalità e al di là di esse non cessi di testimoniare con la parola e con le proprie scelte che l'unica
speranza assoluta è quella del regno di Dio.
V. ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ
Diversi sono gli ambiti nei quali la responsabilità dei fedeli laici è chiamata a esercitarsi. Essi riguardano sia il vasto e complesso
campo della società in tutte le sue espressioni e articolazioni, sia quello, altrettanto ampio e variegato, dell'azione pastorale.
§ 1. L'esercizio libero e autonomo, ma coerente con l'ispirazione cristiana, della responsabilità dei fedeli laici nella società si esprime
in tutti gli impieghi e le attività del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come
intessuta(10).
§ 2. I fedeli laici siano quindi consapevoli che, pur non avendo qui una cittadinanza stabile, non possono trascurare i propri doveri
terreni e che proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno(11).
§ 3. Essi siano consapevoli che tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, come luogo storico del rivelarsi e del
realizzarsi della carità di Cristo, a gloria del Padre e a servizio dei fratelli(12). Vivano, perciò, ogni attività, ogni situazione e ogni impegno
concreto - come, ad esempio, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, la competenza e la solidarietà nel lavoro, il
servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura - come occasioni provvidenziali per un continuo esercizio della
fede, della speranza e della carità.
§ 1. Perché il fedele laico possa vivere oggi la propria responsabilità nel mondo, è necessario coltivare costantemente la virtù della
vigilanza e insieme dedicare una particolare attenzione all'esercizio individuale e comunitario del discernimento. La complessità del vivere
moderno, infatti, richiede con urgenza di saper leggere nella fede ciò che Dio chiede nelle diverse situazioni sociali e storiche in cui il laico è
inserito, perché non si determini di fatto un distacco tra la fede professata e la vita vissuta, ma si confermi l'unità di una vita che nel Vangelo
trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza nella attività quotidiana, nella famiglia, nel lavoro e nella società.
§ 2. Nell'esercizio di questa vigilanza e di questo discernimento, i fedeli laici si facciano promotori, ai diversi livelli e con le
modalità più opportune, di pronunciamenti sui principali aspetti e problemi della vita sociale: in tal modo potranno aiutare anche l'intera
comunità a formulare giudizi etici appropriati sulle diverse vicende del vivere sociale.
§ 1. L'esercizio della responsabilità nella società richiede pure preparazione e competenza. I fedeli laici si impegnino ad acquisirle,
anche accogliendo e frequentando le iniziative proposte dalla diocesi.
§ 2. In particolare, sappiano valorizzare l'esperienza delle scuole diocesane di formazione all'impegno sociale e politico e gli itinerari
di carattere spirituale finalizzati a illuminare e sostenere chi è impegnato nei diversi servizi sociali, sindacali e politici (cf costt. 521-564).
§ 1. I fedeli partecipano alla vita e alla missione della Chiesa non solo attraverso l'esercizio della propria responsabilità nella società,
ma anche assumendo in forma diretta, stabile ed esplicita, il compito pastorale della edificazione e della cura della comunità cristiana. Vi sono
infatti molti cristiani laici, donne e uomini, che avvertono il dono e la responsabilità di una chiamata a mettersi a servizio dell'azione pastorale,
in modo stabile e competente, sia nei ministeri della parola, della liturgia e della carità, sia in tutte le occasioni e le forme attraverso le quali la
Chiesa esprime e alimenta la sua cura per l'intero popolo di Dio, sia condividendo con i presbiteri la responsabilità pastorale, nel loro modo
proprio.
§ 2. Nell'attuale contesto diocesano, perché questa condivisione da parte dei fedeli laici della comune responsabilità nell'azione
pastorale della Chiesa possa essere apprezzata e sviluppata, è necessario che:
a) i presbiteri, i religiosi e i laici stessi sappiano verificare e, nel caso, rivedere la loro mentalità;
b) nella formazione permanente del clero si sia attenti a questa realtà;
c) sia valorizzata la presenza dei laici negli organismi ecclesiali di partecipazione;
d) sia riconosciuta l'importanza di specifici momenti formativi per i laici stessi.
§ 3. Per un'effettiva promozione della comune responsabilità pastorale, inoltre, occorre riconoscere e valorizzare la presenza di tutti,
e in particolare della donna, nella società e nella stessa comunità cristiana e si deve riservare una peculiare attenzione ad alcune età della vita,
in particolare agli anziani e ai giovani adulti, nei confronti dei quali occorre una specifica cura pastorale.
§ 1. Strumenti privilegiati di esercizio della responsabilità pastorale da parte dei fedeli laici sono i consigli pastorali e gli altri
organismi ecclesiali di partecipazione (cf costt. 135-187). In essi la Chiesa è chiamata ad ascoltare la voce dello Spirito che si esprime
attraverso l'opera di discernimento svolto dalle persone che vi fanno parte.
§ 2. I fedeli laici che, partecipando a questi organismi, sono chiamati a svolgere l'importante funzione di consigliare nella Chiesa,
abbiano consapevolezza di ciò che comporta tale responsabilità e la vivano in comunione con tutta la comunità della quale si pongono a
servizio.
§ 1. La diocesi cura direttamente la formazione degli operatori pastorali con la realizzazione di apposite scuole su tutto il territorio
diocesano. Tali scuole si presentano come la via ordinaria attraverso la quale i fedeli laici, in particolare nel passaggio dall'età giovanile all'età
adulta, verificano e approfondiscono la propria preparazione per l'assunzione dei diversi servizi pastorali nella comunità.
§ 2. Ogni consiglio pastorale decanale, in accordo con la segreteria diocesana delle scuole per operatori pastorali, preveda una
programmazione completa ed organica, in forma ciclica, dei corsi fondamentali e di quelli di specializzazione previsti dalle scuole stesse.
§ 3. L'Azione Cattolica offra la sua collaborazione per la realizzazione di tali scuole e curi la continuità della formazione
permanente, sia spirituale che ecclesiale, per coloro che vi partecipano.
§ 4. I presbiteri con i consigli pastorali parrocchiali favoriscano la partecipazione di propri operatori a tali scuole e si impegnino a
valorizzarli nei diversi servizi pastorali.
§ 5. Le diverse aggregazioni laicali promuovano tra i loro aderenti la partecipazione a queste scuole.
§ 1. Nel preparare i fedeli laici all'esercizio delle loro responsabilità nella società e nell'azione pastorale, la diocesi si preoccupi di
affiancare alla formazione di base, che rimane quella parrocchiale, altri livelli di formazione, sia attraverso le scuole per operatori pastorali e le
scuole di formazione all'impegno sociale e politico, sia mediante ulteriori e più specifiche iniziative.
§ 2. Si abbia cura, inoltre, da parte di tutti i soggetti interessati, di favorire una corretta armonizzazione tra l'azione formativa svolta
dalle varie realtà associative, secondo i carismi che le contraddistinguono, e quella svolta dagli organismi istituzionali diocesani, così da
realizzare un'effettiva convergenza nel cammino educativo e nell'azione pastorale.
§ 3. Nell'impegno per educare l'intero popolo di Dio, infine, si faccia attenzione alla molteplicità delle vocazioni, che potranno
richiedere una maggior differenziazione dei percorsi formativi quanto a contenuti, strumenti e metodologia.
§ 1. L'operare associato dei fedeli laici, che anche nella nostra diocesi conosce una lunga tradizione, ha contribuito
significativamente alla presenza di un laicato maturo e responsabile nella Chiesa e nella società.
§ 2. Associazioni, gruppi e movimenti laicali esprimono il diritto di aggregazione di cui i fedeli laici sono titolari in forza del
battesimo e sono un segno della pluralità di forme in cui si realizza la loro partecipazione alla comunione e alla missione della Chiesa.
§ 3. La Chiesa ambrosiana è responsabilmente impegnata a riconoscere e ad accogliere le diverse aggregazioni laicali che
rispondono alla normativa canonica e ai criteri di ecclesialità indicati dai vescovi italiani(13), sollecitando e valorizzando il loro apporto nel
progetto pastorale diocesano e parrocchiale.
§ 1. Tra le diverse aggregazioni laicali, la Chiesa ambrosiana riafferma la scelta dell'Azione Cattolica, quale particolare forma di
ministerialità laicale che, per il suo peculiare rapporto con il vescovo e con i presbiteri, assume stabilmente l'impegno a servire nel campo di
tutte quelle responsabilità che riguardano la costruzione, nel suo insieme, della Chiesa particolare e della comunità locale.
§ 2. Pertanto, considerata questa sua specifica fisionomia fondata su una vocazione speciale e su un particolare carisma(14),
a) la presenza dell'Azione Cattolica sia promossa a ogni livello nella diocesi;
b) il suo itinerario formativo sia collocato in modo organico e armonico nel progetto pastorale;
c) gli itinerari e gli strumenti formativi che essa offre alla diocesi e alle parrocchie siano valorizzati a servizio dell'intera comunità.
§ 1. La diversità delle aggregazioni laicali presenti in diocesi, che arricchisce la vita della Chiesa ambrosiana, rende necessaria
un'azione convergente e unitaria delle aggregazioni stesse, perché si mettano sempre più a servizio delle comunità, se ne sentano parte viva e
ricerchino in ogni modo l'unità, anche pastorale, con la Chiesa particolare e con le parrocchie.
§ 2. In particolare, a tale scopo e secondo lo spirito e la lettera del can. 394 del Codice di diritto canonico, la diocesi ha promosso e
intende continuare a promuovere e valorizzare uno specifico strumento denominato Coordinamento tra associazioni, gruppi e movimenti. Esso
prosegua la sua opera preziosa, finalizzata a favorire uno spirito di fraternità fra le diverse aggregazioni laicali nell'accoglienza del volto
proprio di ciascuna, ad accrescere lo slancio apostolico e a individuare le forme più adeguate per una concreta collaborazione a tutti i livelli, a
partire da quello parrocchiale, sotto l'autorità dell'Arcivescovo e in piena sintonia con il cammino della diocesi.
§ 3. L'Azione Cattolica, secondo la sua particolare ministerialità, svolge il compito di segreteria di questo coordinamento, attuando
anche così il servizio, a cui è chiamata, per la crescita della comunione tra le diverse aggregazioni che vi partecipano.
§ 1. Sollecita del bisogno di verità e di salvezza presente in ogni uomo, la Chiesa ambrosiana è pienamente consapevole
dell'importanza della famiglia per la crescita della persona, lo sviluppo della società e la vita della Chiesa. La famiglia, infatti, è il primo luogo
in cui la personalità prende forma ricevendo il senso dell'esistenza ed è la comunità in cui si realizza la comunione delle persone come segno
della "civiltà dell'amore", in quanto essa trae la sua radice più profonda e la sua dignità dal mistero stesso dell'amore di Dio.
§ 2. Le mutate condizioni culturali e sociali tendono oggi a mettere in discussione il significato dell'istituzione familiare, proponendo
modelli di vita coniugale distanti dal disegno di Dio: il venire meno della dimensione religiosa dell'esistenza e la separazione tra fede e vita
pongono la famiglia in una condizione di difficoltà e di solitudine, resa più acuta dalla perdita di un tessuto umano e sociale di accoglienza e di
solidarietà.
§ 3. In simile contesto, gli sposi e le famiglie avvertano l'urgenza di testimoniare la loro condizione come grazia da vivere e
custodire e come vocazione alla santità in cui realizzare la sequela di Cristo, e assumano il compito di rendere presente l'amore di Dio nella
specificità della loro esistenza e intorno a sé.
397. Urgenza e significato della pastorale familiare
§ 1. Strettamente e organicamente inserita nella pastorale generale della Chiesa e come sua determinazione particolare, la pastorale
familiare:
a) miri a risvegliare negli sposi, nelle famiglie e in tutti i fedeli la coscienza delle dimensioni costitutive del matrimonio cristiano;
b) aiuti le coppie e le famiglie a vivere la loro specifica vocazione e missione;
c) sviluppi una cultura della famiglia radicata nella consapevolezza della presenza di Cristo che costituisce la famiglia come una
"Chiesa domestica".
§ 2. Secondo tale ottica, ogni comunità cristiana riconosca, valorizzi e promuova i carismi propri degli sposi, sostenga e stimoli la
crescita di ogni famiglia, non solo come comunità salvata, ma anche come comunità che partecipa all'azione salvifica di Gesù Cristo, e affronti
ogni problematica familiare alla luce della dignità che Dio conferisce alla famiglia nel suo disegno di salvezza.
§ 3. Per realizzare un'autentica pastorale familiare, è necessario e urgente un mutamento di mentalità pastorale, onde riconoscere che
“quasi tutti gli obiettivi dell'azione ecclesiale o sono collocati entro la comunità familiare o almeno la chiamano in causa più o meno
direttamente. Sotto questo profilo, la famiglia è di sua natura il luogo unificante oggettivo di tutta la pastorale e deve diventarlo sempre di più”,
per cui “la Chiesa riconosce nella famiglia non solo un ambito o un settore particolare di intervento, ma una dimensione irrinunciabile di tutto
il suo agire”(1).
§ 4. Ogni parrocchia, perciò, nel formulare il suo progetto pastorale, riservi una particolare attenzione alle situazioni e ai problemi
della coppia e della famiglia, valorizzando particolarmente l'unità familiare come primaria risorsa pastorale.
§ 1. In forza del sacramento del matrimonio, su cui è fondata e grazie a una corretta pastorale familiare, la famiglia vive e cresce
come soggetto protagonista del suo ruolo ministeriale nella Chiesa, ruolo che si esprime attraverso la formazione di una comunità di persone
fondata sulla comunione, il servizio alla vita nella generazione e educazione dei figli, la partecipazione allo sviluppo della società e alla
missione della Chiesa.
§ 2. Per incrementare la coscienza della vocazione e dei compiti della coppia e della famiglia, la Chiesa ambrosiana si impegni non
solo a sviluppare un'adeguata ed organica catechesi sul disegno di Dio riguardo al matrimonio e alla famiglia, ma anche a promuovere
esperienze di coppie e di famiglie che vivano la loro vocazione come forma dell'esistenza cristiana ed esempio di santità popolare nella vita
quotidiana.
§ 3. Occasione privilegiata per fare memoria di questa vocazione e per sottolineare alcuni ambiti particolari di esercizio della
missione della famiglia nel contesto della pastorale della diocesi, sia la celebrazione dell'annuale festa della Santa Famiglia: in essa si ricordi
quanto il mistero divino dell'incarnazione del Verbo sia in stretto rapporto con la famiglia umana. Si valorizzi pure, preferibilmente in altra
data, la celebrazione annuale degli anniversari di matrimonio, per rinnovare negli sposi la coscienza della grazia sacramentale della loro
unione e degli impegni del loro matrimonio e per riproporre a tutti il valore della fedeltà coniugale.
§ 1. E' compito della comunità cristiana far crescere la coscienza del disegno di Dio sull'amore umano, educando sia a concepire la
vita come vocazione sia a vivere il patto di amore come scelta responsabile, libera, fedele: sono queste le prospettive secondo cui realizzare la
preparazione remota al matrimonio e alla famiglia.
§ 2. Al fine di promuovere questa preparazione, ogni progetto pastorale parrocchiale curi e sviluppi una catechesi organica sui temi
riguardanti la vita, l'amore, la sessualità, la castità, la verginità, il matrimonio, la famiglia. In particolare:
a) tale attenzione educativa sia presente sin dalla catechesi per i sacramenti dell'iniziazione cristiana, ma si sviluppi in particolare
nell'adolescenza e nella giovinezza;
b) con incontri specifici adatti alle varie fasce di età, si chiarisca che l'unica vocazione è quella di seguire Cristo e che lo stato
matrimoniale è modalità particolare offerta alla coppia per sviluppare i doni già presenti nel battesimo; in tali occasioni si sottolineino anche le
caratteristiche peculiari, di natura antropologica e psicologica, legate all'esperienza dell'amore sponsale. Non si tralasci inoltre di educare al
rispetto della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale;
c) questa opera educativa sia particolarmente presente nell'ambito della pastorale giovanile (cf cost. 194). La preparazione dei
giovani al matrimonio inizi risvegliando in loro il senso dell'amore come risposta all'iniziativa di Dio nella vita, e sia un'occasione privilegiata
per far loro scoprire che Cristo valorizza le più profonde esigenze affettive dell'uomo e della donna. Si utilizzino a tal fine tutte le occasioni di
proposta cristiana offerte ai giovani sia in parrocchia, sia al di fuori di essa (esperienze di associazioni, gruppi e movimenti, insegnamento
della religione nella scuola), aiutandoli a prendere sul serio il loro autentico desiderio di amare, incoraggiandoli a condividere una corretta
visione della sessualità, favorendo in essi il discernimento delle loro esperienze affettive e suscitando in loro convinzioni profonde riguardo
all'indissolubilità del matrimonio cristiano.
§ 3. I genitori avvertano di avere una responsabilità peculiare in questa azione educativa: a essi innanzitutto spetta il compito di
insegnare ai figli i grandi valori del matrimonio cristiano. Ricordino pure che i figli potranno incontrare e riconoscere la prima testimonianza
di amore sponsale proprio nella loro esperienza di coniugi e genitori.
§ 1. L'attuale contesto culturale ha snaturato il senso e la durata del periodo del fidanzamento, riducendolo ad un semplice "stare
insieme" tra "ragazzo" e "ragazza", privo di una globale finalità e spesso occasione di ripiegamento egoistico.
§ 2. La Chiesa ambrosiana, invece, riconosce il tempo del fidanzamento come importante stagione della vita nella quale i fidanzati
maturano nella coscienza di essere chiamati insieme da Dio, verificando la disponibilità e capacità di condividere un progetto comune.
§ 3. E' essenziale, quindi, attuare progetti che sviluppino questa consapevolezza vocazionale, accompagnando i giovani lungo tutto il
tempo del loro fidanzamento, aiutandoli a superare una concezione privatistica o intimistica del loro rapporto ed invitandoli a manifestare
pubblicamente in modo discreto e maturo la bellezza del loro amore: ciò faciliterà la consapevolezza del fidanzamento come tempo di grazia.
In questa prospettiva, si offra il servizio di un'adeguata direzione spirituale e si proponga ai fidanzati la compagnia di persone sposate che
offrano loro il contributo e la testimonianza della propria esperienza familiare, propiziando anche un armonico ed equilibrato coinvolgimento
con le famiglie di provenienza dei fidanzati.
§ 4. Ogni parrocchia inserisca nel proprio progetto pastorale indicazioni specifiche per l'accompagnamento dei fidanzati,
programmando anche iniziative a livello decanale con l'apporto della Commissione per la pastorale della famiglia, o di analoga struttura di
coordinamento, in collaborazione con la Consulta decanale di pastorale giovanile, (cf cost. 216) valorizzando anche la sensibilità propria dei
movimenti e delle associazioni.
§ 5. Tutto questo sia vissuto secondo una prospettiva fortemente missionaria, nella consapevolezza di avere un'occasione propizia e
privilegiata per incontrare i giovani in una fase importantissima della loro esistenza. Anche le coppie di fidanzati già impegnati in parrocchia,
nell'Azione Cattolica o nei vari movimenti ecclesiali, condividendo questa stessa sollecitudine missionaria, offrano a tutti la loro gioiosa
testimonianza di sequela di Cristo nel vivere la verità del loro amore sia negli ambienti quotidiani di vita, sia partecipando attivamente agli
itinerari parrocchiali di preparazione al matrimonio.
§ 1. L'approssimarsi delle nozze costituisce per i nubendi un'occasione propizia di incontro con la realtà cristiana e di riflessione
sull'orientamento da dare alla vita. Poiché il sacramento del matrimonio è segno dell'unione di Cristo e della Chiesa, si richiede ai fidanzati una
almeno iniziale consapevolezza di fede, come presupposto per vivere responsabilmente la vocazione matrimoniale e familiare. A tale scopo la
comunità parrocchiale, sotto la guida del parroco, formuli itinerari e iniziative per la preparazione più prossima al matrimonio, così da aiutare i
fidanzati a inserirsi progressivamente nel mistero di Cristo, nella Chiesa e con la Chiesa(2).
§ 2. Per consentire un serio cammino di preparazione, i fidanzati siano invitati a presentarsi al parroco cui spetta procedere
all'istruttoria matrimoniale possibilmente un anno prima della data prevista per le nozze. Il parroco a cui rivolgersi è, a libera scelta, quello
della parrocchia dove dimora l'uno o l'altro dei nubendi. In questo primo colloquio sia cura del parroco accogliere la richiesta di celebrazione
del matrimonio cristiano, aiutando la coppia a chiarire le ragioni di tale scelta ed invitandola a partecipare agli itinerari per i fidanzati
programmati dalla parrocchia. Il parroco tenga sempre conto della diversa situazione spirituale dei singoli fidanzati, che richiede molte volte
approcci differenziati, e favorisca anche forme personalizzate di riscoperta della fede, avvalendosi della collaborazione di famiglie che siano di
riferimento per queste giovani coppie (cf costt. 428-433).
§ 3. Forme personalizzate di preparazione al matrimonio siano favorite e proposte, in particolare, nel caso di:
a) fidanzati che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione e per i quali risultasse opportuno celebrarlo prima
delle nozze (cf cost. 99, § 3);
b) conviventi, sposati solo civilmente o divorziati dopo un matrimonio solo civile che chiedono il matrimonio religioso (cf cost. 447-
448);
c) matrimonio tra una persona cattolica e una persona battezzata ma non cattolica (cf cost. 434);
d) matrimonio tra una persona cattolica e una persona non battezzata (cf cost. 441).
§ 4. La partecipazione all'itinerario comunitario di preparazione al matrimonio deve essere considerata moralmente obbligatoria,
anche se l'obiettiva impossibilità a prendervi parte non potrà costituire un impedimento alla celebrazione delle nozze. In simili circostanze,
spetterà al parroco individuare e proporre forme alternative di accompagnamento dei nubendi. Solo in casi estremi, se i nubendi non
accettassero nessuna forma di preparazione senza seri motivi oggettivi, il parroco, previo il consenso dell'Ordinario, proporrà il rinvio della
celebrazione del matrimonio.
§ 1. La preparazione immediata alle nozze avvenga principalmente mediante itinerari educativi dei fidanzati al matrimonio, detti
anche corsi per i fidanzati. Loro scopo sia il risveglio della fede e l'iniziazione dei nubendi alla vita della Chiesa, curando l'introduzione delle
future nuove famiglie in una comunità viva e, preferibilmente, in esperienze di gruppi familiari. Tali itinerari formativi dovranno essere
realizzati con un metodo e uno stile capaci di coinvolgere e interessare i fidanzati, in un clima di gioiosa accoglienza che sappia suscitare il
desiderio di gustare la bellezza della vita matrimoniale e familiare nella prospettiva cristiana, anche grazie alla vicinanza e alla testimonianza
di famiglie che già vivono questa esperienza. Gli incontri, guidati dal parroco (o da un sacerdote delegato) e da coppie di sposi, siano momento
di evangelizzazione e catechesi, aprano alla preghiera e alla vita liturgica, orientino alla carità, coinvolgano i fidanzati in una dinamica
missionaria, li aiutino a riflettere responsabilmente sulla compatibilità tra impegni di lavoro, vita familiare e educazione dei figli. Gli stessi
incontri abbiano i contenuti e gli obiettivi già indicati dall'apposito documento diocesano(3).
§ 2. Soggetto promotore di questi itinerari deve essere normalmente la parrocchia o l'unità pastorale, evitando la delega ad altri
soggetti. Solo quando e finché ciò non fosse possibile da parte della singola parrocchia, si provveda a livello interparrocchiale o decanale.
§ 3. Durante la preparazione immediata al matrimonio, non si trascuri l'approfondimento degli aspetti antropologici del matrimonio e
della vita familiare, valorizzando per questo la competenza di esperti e il contributo dei consultori familiari, con incontri su tali problematiche
a livello interparrocchiale o decanale.
§ 1. La preparazione immediata si concluda con l'incontro dei fidanzati con il parroco, per una ripresa personalizzata della catechesi
svolta a livello comunitario e per un'accurata verifica delle loro convinzioni e disposizioni. Il parroco presenti loro con chiarezza la dottrina
cattolica sul matrimonio e inviti i nubendi a formulare, di comune accordo, le motivazioni della richiesta del sacramento e il loro progetto di
vita familiare. Egli, inoltre, offra precise indicazioni circa l'adempimento delle pratiche matrimoniali in conformità alle disposizioni canoniche
e civili e, nel caso, spieghi le procedure da seguire per eventuali domande di licenza o dispensa all'Ordinario del luogo.
§ 2. Il parroco proceda poi all'esame dei nubendi per verificare la libertà e l'integrità del loro consenso, la loro volontà di contrarre
matrimonio valido, l'assenza di impedimenti; a tale scopo, interroghi separatamente i fidanzati, ricordando loro che le risposte sono rese sotto
vincolo di giuramento e sono tutelate da segreto d'ufficio.
§ 1. In prossimità delle nozze, il parroco o, in accordo con lui, il sacerdote che celebrerà il matrimonio, promuova un incontro con i
prossimi sposi per prepararli alla celebrazione liturgica delle nozze: spieghi loro la bellezza della liturgia nuziale; li aiuti a comprendere il
valore di ogni gesto rituale e della preghiera della Chiesa; favorisca, nell'osservanza delle prescrizioni liturgiche, la loro iniziativa nella scelta
delle letture bibliche, nella preparazione dei canti e delle preghiere; li inviti a rendersi promotori di una celebrazione viva e partecipata
ricordando il loro compito di ministri del sacramento.
§ 2. E' pure importante che ogni parrocchia organizzi periodicamente, con una scadenza legata al numero di matrimoni da celebrare
nell'anno, un momento di ritiro spirituale o un incontro di preghiera per i futuri sposi, a cui possibilmente invitare le famiglie di origine e i
testimoni delle nozze. Questo momento, che può essere aperto anche agli amici e alle altre famiglie della parrocchia, permetterà una
introduzione spirituale più specifica alla celebrazione del sacramento, aiuterà ad approfondire la coscienza del significato ecclesiale del
matrimonio e potrà consentire alle famiglie già costituite una ripresa dei loro impegni matrimoniali.
§ 3. Il cammino di preparazione si concluda con la segnalazione della nuova famiglia al parroco del luogo ove essa prenderà dimora,
per favorirne l'inserimento nella nuova comunità parrocchiale.
§ 1. La celebrazione del matrimonio è una realtà evangelizzante, poiché è annuncio della fede della Chiesa nella buona novella
dell'amore coniugale. Il matrimonio di due battezzati, infatti, diventando segno e fonte di salvezza, si fa annuncio della Parola che eleva
l'amore umano, arricchisce la comunità cristiana di nuove Chiese domestiche e costituisce la famiglia cristiana ad immagine dell'amore
trinitario.
§ 2. Per questo la liturgia nuziale deve esprimere pienamente il significato ecclesiale del matrimonio, anche attraverso lo stile
celebrativo improntato ad una gioiosa semplicità che favorisca il coinvolgimento dell'intera comunità ecclesiale in cui gli sposi sono inseriti. A
tale scopo:
a) gli sposi siano aiutati a cogliere l'essenziale del rito e a vivere pienamente il loro ruolo ministeriale, meditando opportunamente le
letture da loro scelte per custodirne la memoria come programma della loro vita coniugale;
b) la comunità dei fedeli sia guidata a partecipare in modo consapevole e devoto al rito nuziale, predisponendo accuratamente ogni
aspetto della celebrazione: la spiegazione del rito, la proclamazione delle letture bibliche, la scelta dei canti e delle musiche, la formulazione
delle preghiere e i momenti di raccoglimento e di silenzio.
§ 3. Nell'intento di dare più chiara espressione visibile alla dimensione ecclesiale propria di ogni celebrazione del sacramento
nuziale, quando sono previsti più matrimoni nello stesso giorno e, soprattutto, tenendo presente il cammino compiuto dai nubendi, si valuti
l'opportunità di suggerire agli interessati di celebrare il loro matrimonio durante un'unica liturgia comune.
§ 4. La celebrazione delle nozze sia pure occasione per esprimere la carità, con gesti di condivisione verso i poveri, e per mostrare
attenzione alle necessità della comunità parrocchiale: in tal senso sia vissuta anche la consuetudine di dare una libera offerta alla parrocchia.
§ 5. L'apparato esteriore sia sempre improntato a sobrietà e a dignitosa semplicità, evitando ogni inutile spreco e proibendo ciò che
potrebbe disturbare il clima di raccoglimento e di gioiosa partecipazione. In particolare, per quanto concerne gli addobbi floreali, la scelta delle
musiche e dei canti e la presenza di fotografi e cineoperatori, ci si attenga a quanto verrà opportunamente indicato dai competenti organismi
diocesani.
§ 6. Quando le nozze fossero celebrate in avvento o in quaresima, si rispettino le caratteristiche proprie di questi tempi liturgici.
§ 1. Per l'intimo legame tra il matrimonio e l'Eucaristia, la celebrazione delle nozze durante la messa è da ritenersi come la forma
normale ed ordinaria. Gli sposi e i presenti al rito siano educati a partecipare in pienezza al Sacrificio eucaristico, accostandosi, con le dovute
disposizioni, alla santa Comunione.
§ 2. Oltre ai casi in cui la normativa liturgica già prescrive che il matrimonio non venga inserito nella messa, la prudenza pastorale
suggerisce di procedere allo stesso modo quando qualche circostanza oggettiva impedisce che l'Eucaristia venga celebrata in maniera
veramente significativa per gli sposi o la comunità dei presenti. Il parroco faccia la proposta di celebrare il matrimonio senza la messa, ad
esempio, quando gli sposi, o uno di loro, dichiaratamente sono e intendono rimanere lontani dalla pratica religiosa (cf costt. 428-433).
§ 1. Di fronte a una richiesta avanzata in tale senso dai futuri sposi, può essere talvolta significativo celebrare le nozze anche in
domenica o in giorni festivi2, purché la celebrazione avvenga durante una messa d'orario, ci siano ragioni obiettive a sostegno della richiesta
stessa e si diano a livello parrocchiale le condizioni concrete per una effettiva praticabilità della scelta. Tutto ciò al fine di coinvolgere
attivamente e gioiosamente la comunità nella celebrazione della liturgia nuziale, di aiutare la coppia a percepire e a esprimere il suo
inserimento nella comunità parrocchiale e di sottolineare più chiaramente la dimensione ecclesiale della celebrazione.
§ 2. I parroci, qualora fosse necessario, aiutino i nubendi a comprendere che il solo desiderio, seppure motivato, di una celebrazione
delle nozze in domenica o in un giorno festivo non può essere ragione sufficiente e pastoralmente valida perché la celebrazione del matrimonio
avvenga in una parrocchia diversa da quella dello sposo o della sposa; cerchino, quindi, con loro la soluzione più idonea, in grado di rispettare
le loro giuste esigenze e, nello stesso tempo, il senso e il valore di questa normativa.
§ 3. Allo scopo di favorire in proposito una prassi ancor più condivisa e osservata da tutti, si auspica che in ogni decanato, d'intesa
con il vicario episcopale di zona, si individuino le scelte comuni più opportune per dare attuazione a queste indicazioni, che ciascuno è tenuto
a rispettare.
§ 1. La celebrazione del matrimonio avvenga di norma nella parrocchia dello sposo o della sposa. Solo per validi motivi di necessità
o di convenienza pastorale, esso può essere celebrato in altra parrocchia(5).
§ 2. Risponde, in particolare, al criterio della convenienza pastorale che il matrimonio sia celebrato:
a) nella parrocchia dove i fidanzati andranno ad abitare;
b) o, specialmente per gli immigrati, in quella del loro paese di origine;
c) o anche nella parrocchia dove essi sono abitualmente inseriti o dove effettivamente vivono la loro esperienza di fede.
§ 3. Nel discernere le situazioni nelle quali i nubendi chiedono di celebrare il matrimonio in un'altra parrocchia, il pastore d'anime,
nel rispetto della normativa e dei criteri qui precisati, tenga presente soprattutto il bene spirituale dei fedeli, sia accogliendo le ragioni che
manifestano una vera sensibilità religiosa o una reale esigenza umana, sia spiegando che non possono essere accettate né motivazioni di pura
convenienza sociale né quelle di carattere profano, legate a considerazioni di ordine sentimentale, artistico o paesaggistico.
§ 4. Il parroco, quindi, di norma, non acconsenta a richieste di celebrazioni del matrimonio nella sua parrocchia, se espresse da
nubendi che non sono suoi parrocchiani. Con atteggiamento paziente e attento alla situazione dei nubendi, illustri loro la norma della Chiesa;
sottolinei, in particolare, che solo validi motivi di necessità o di convenienza pastorale possono permettere la celebrazione delle nozze in una
parrocchia diversa da quella dello sposo o della sposa; con chiarezza e discrezione e senza alludere a nessuna disponibilità ad accoglierli per la
celebrazione, li inviti a rivolgersi al parroco competente per l'istruttoria matrimoniale e a verificare con lui la loro situazione e le loro richieste.
Se dal suddetto colloquio emergesse qualche elemento che potrebbe far ritenere plausibile e opportuna la celebrazione del matrimonio nella
parrocchia di cui egli è responsabile, il parroco interpellato informi riservatamente di tutto ciò il parroco proprio dei nubendi. Quest'ultimo
verifichi la ragionevolezza della domanda tenendo conto della situazione di vita dei nubendi, decida sull'opportunità di concedere la licenza di
celebrare le nozze nell'altra parrocchia e, avendo informato di questo il parroco della medesima, indirizzi a lui i nubendi. Valuti inoltre
l'opportunità di concedere anche la licenza per istruire la pratica matrimoniale, assicurando, comunque, la propria collaborazione per lo
svolgimento della medesima.
Particolarmente attenti a tutte queste direttive siano anche i responsabili di chiese non parrocchiali, dei santuari, di chiese con
particolari richiami storici o artistici.
§ 5. Il luogo di celebrazione del sacramento del matrimonio sia di norma la chiesa parrocchiale. Con il permesso dell'Ordinario o, nel
territorio della sua parrocchia, del parroco, le nozze potranno essere celebrate in altra chiesa o oratorio.
§ 6. Soltanto in presenza di particolari ragioni pastorali l'Ordinario può concedere che il sacramento del matrimonio venga celebrato
in una cappella privata o fuori dal luogo sacro(6). In tal caso, il parroco che conduce l'istruttoria matrimoniale esponga all'Ordinario, tramite
l'Ufficio per la disciplina dei sacramenti, le motivazioni che giustificano la richiesta.
§ 1. Quando il parroco, che ha svolto l'istruttoria matrimoniale, concede la licenza ad un altro parroco per la celebrazione delle
nozze, gli trasmetta soltanto lo "stato dei documenti" e il "nulla-osta" civile, conservando nel proprio archivio parrocchiale il fascicolo dei
documenti matrimoniali(7).
§ 2. Se il matrimonio viene celebrato in un'altra parrocchia della diocesi, trasmetta direttamente al parroco del luogo della
celebrazione lo "stato dei documenti" senza vidimazione della curia.
§ 3. Se il matrimonio viene celebrato fuori diocesi, il parroco trasmetta, in busta chiusa, all'Ufficio per la disciplina dei sacramenti,
tutto il fascicolo matrimoniale, compreso lo "stato dei documenti" e il "nulla-osta" civile, per la vidimazione.
§ 1. Per rendere possibile la celebrazione del matrimonio durante la messa - che nei giorni di precetto deve essere una di quelle
d'orario (cf cost. 407) - i parroci, in ordine alle binazioni e alle trinazioni, hanno le facoltà previste nelle costt. 60, § 3 e 61, § 2.
§ 2. Se ci sono motivi validi, è consentito concelebrare nella messa di nozze. Ogni presbitero, comunque, è tenuto a osservare la
normativa canonica e liturgica relativa alla binazione o trinazione3.
§ 1. Dopo la celebrazione del matrimonio, e comunque prima della conclusione del rito liturgico, il ministro di culto, davanti al quale
è stato espresso il consenso matrimoniale, deve spiegare agli sposi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del Codice civile
riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigere l'atto di matrimonio in doppio originale(9).
§ 2. Avvenuto il matrimonio, il parroco è tenuto agli altri adempimenti previsti dai vescovi italiani(10). In
particolare, deve:
a) trasmettere, entro cinque giorni, all'Ufficiale dello stato civile del comune l'atto di matrimonio, con la relativa richiesta di
trascrizione;
b) comunicare l'avvenuto matrimonio alle parrocchie o cappellanie ospedaliere in cui è registrato il battesimo degli sposi ed
eventualmente al parroco da cui ha avuto licenza di celebrazione del matrimonio stesso;
c) trasmettere alla curia il duplicato dell'atto di matrimonio.
§ 1. L'attuale contesto socioculturale presenta non poche difficoltà ai coniugi e alle famiglie nel prendere coscienza della propria
identità secondo il disegno di Dio; la stessa realtà parrocchiale non sempre valorizza adeguatamente il particolare dono di grazia del
matrimonio come carisma specifico per la vita dell'intera comunità. Ciò rende necessario attuare un'organica pastorale familiare attenta al
vissuto concreto delle coppie e delle famiglie, che le accompagni nella responsabilità di realizzare il disegno di Dio su di loro.
§ 2. Occorre, perciò, formulare proposte plausibili adeguate ai vari momenti della vita coniugale e familiare, progettando forme
diversificate di incontro con gli sposi e con le famiglie, che tengano conto delle diverse condizioni di vita e del diverso grado di maturità di
fede dei coniugi, attuando itinerari personalizzati che li aiutino a fare memoria del dono e dei compiti ricevuti nel sacramento del matrimonio e
a portare con gioia la fatica dei doveri legati al loro stato.
§ 3. Per meglio coordinare questi itinerari di vita familiare, si individui all'interno del presbiterio decanale un sacerdote incaricato
per la pastorale familiare, che si renda disponibile al servizio di accompagnamento e guida spirituale degli sposi e che, con la Commissione
decanale di pastorale familiare, o con altro organismo similare, sia punto di riferimento per iniziative di aggregazione tra le famiglie del
decanato.
§ 1. Una reale attenzione pastorale verso la famiglia si concretizzi in itinerari diversificati capaci di promuovere un'autentica
spiritualità coniugale e familiare che valorizzi soprattutto:
a) la preghiera familiare quotidiana (orazioni del mattino e della sera, preghiera ai pasti, possibilmente la lectio divina), scandita con
una prudente valutazione dei momenti opportuni, anche in relazione alla crescita dei figli;
b) la centralità dell'Eucaristia domenicale come memoria fondante della Pasqua e sorgente del vincolo coniugale, accompagnata
dalla preparazione della liturgia;
c) il reciproco aiuto a seguire il Signore, mediante una reale comunicazione tra i coniugi e in un dialogo educativo tra genitori e figli
che sia segno dell'amore di Dio per l'uomo;
d) l'educazione a una corretta interpretazione e a un autentico esercizio della libertà come dono sincero di sé, fino al sacrificio;
e) la visione cristiana della sessualità e il significato della generazione, come cooperazione al gesto creatore di Dio;
f) la generosa disponibilità al servizio della vita, nell'accoglienza dei figli come dono di Dio, secondo una matura e gioiosa pratica
della paternità e maternità responsabili, rettamente intese;
g) la pratica della carità come accoglienza e ospitalità familiare, in una solidarietà verso chi più ha bisogno, sia in senso fisico che
spirituale (situazioni di solitudine, emarginazione, abbandono, povertà e così via).
§ 2. L'accompagnamento degli sposi e delle famiglie prenderà spunto da tutte le occasioni propizie per rinnovare l'annuncio cristiano
in modo continuativo e non episodico. In particolare, si valorizzino:
a) la catechesi ai genitori in occasione della nascita e del battesimo dei figli;
b) la catechesi in occasione della celebrazione degli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana;
c) l'insorgere delle esigenze educative legate alla crescita dei figli o alla loro vita scolastica o lavorativa;
d) le ricorrenze significative della vita familiare;
e) la preparazione al matrimonio dei figli;
f) la visita e benedizione natalizia alle famiglie (cf cost. 68, § 2);
g) l'accadere di particolari eventi felici o dolorosi della vita familiare.
§ 1. Una particolare attenzione sia rivolta ai primi anni di matrimonio e al consolidarsi del legame coniugale dei giovani sposi in una
generosa apertura alla vita, al fine di aiutare la famiglia a concretizzare il proprio progetto ideale, facendo memoria del dono ricevuto nel
sacramento, in un riferimento al tessuto complessivo della comunità parrocchiale.
§ 2. Bisognerà sostenere così le giovani coppie nel riconoscere e vivere la loro insopprimibile vocazione all'unità, nell'esercizio della
loro paternità e maternità responsabili, nel cammino educativo dei figli. Si dovrà pure favorire in essi il costituirsi di un senso della storia e
della tradizione, facendo percepire il legame tra la storia della singola famiglia e il cammino dell'intero popolo di Dio. Nel rispetto delle loro
giuste esigenze di riservatezza, ma sollecitandole a vincere ogni tentazione di chiusura, con discrezione e con coraggio, si proponga loro anche
qualche forma di partecipazione alla vita della Chiesa e della società, favorendo e sostenendo l'assunzione di impegni possibilmente da parte
della coppia come tale.
§ 3. Nel realizzare questa attenzione alle giovani coppie, ci si riferisca utilmente all'apposito sussidio della Consulta regionale
lombarda per la pastorale della famiglia(11) e al direttorio di pastorale familiare(12).
§ 1. Ogni progetto pastorale deve mirare a far assumere attivamente a ogni coppia e a ciascuna famiglia, nel rispetto della loro libertà
e creatività, i compiti e le responsabilità che il Signore affida loro, per rispondere così alla propria vocazione di testimonianza dell'amore. Ogni
famiglia, quindi, si senta chiamata ad essere autentica comunità di persone, a servire generosamente la vita, a partecipare allo sviluppo della
società e alla missione della Chiesa.
§ 2. In particolare, la Chiesa ambrosiana avverte come urgente la necessità che le coppie di sposi siano generose e responsabili nella
procreazione, vedendo nei figli il segno della benedizione di Dio e non un problema in più o una minaccia all'equilibrio tra i coniugi.
§ 3. Per parte loro, le comunità cristiane custodiscano la stima per l'accoglienza della vita, sostenendo in ogni modo le famiglie che
con generosità aprono a più figli la loro esistenza.
§ 4. In particolare, le comunità ecclesiali siano vicine alle coppie sterili: aiutino questi sposi a superare la tentazione di "volere il
figlio ad ogni costo"; li illuminino e li accompagnino nel riconoscere che la loro vita coniugale non perde il suo valore anche se non possono
procreare nel rispetto della loro dignità personale e di quella del nascituro: essi, infatti, possono continuare a generare amore nella loro coppia
coniugale e a crescere nell'amore verso ogni altra persona; li incoraggino a vivere altre forme di autentica fecondità spirituale e li invitino ad
aprirsi ad altre modalità di amore e di aiuto verso altre famiglie e altri bambini, eventualmente anche mediante l'adozione o l'affido.
§ 5. Le stesse comunità cristiane accolgano con amore ogni creatura umana che nasce in questo mondo: ogni essere umano, infatti,
va accolto sempre come un dono e una benedizione di Dio; in lui è iscritta l'immagine divina, da riconoscere e onorare. Nell'annunciare e
testimoniare il rispetto della dignità di ogni persona, continuino a insegnare che la generazione della persona umana è oggettivamente privata
della sua propria perfezione quando non è voluta e attuata come il termine e il frutto di un atto coniugale, cioè del gesto specifico dell'unione
degli sposi(13).
§ 1. In quanto frutto e segno del loro amore paterno e materno, il compito educativo dei figli appartiene in modo nativo, originario e
imprescindibile ai genitori; esso, inoltre, si configura come vero e proprio "ministero", legato al sacramento del matrimonio(14): l'amore
coniugale è sorgente, anima e perciò norma di tutta la concreta azione educativa e costituisce la fonte dell'insostituibile ed inalienabile diritto-
dovere che i genitori hanno di educare i figli con uno stile di “dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio”(15).
§ 2. I genitori crescano ogni giorno di più con la viva coscienza di questa loro responsabilità e la comunità cristiana offra loro
sostegno adeguato e collaborazione fattiva per lo svolgimento di tale missione.
§ 3. Nell'adempimento del loro compito educativo, i genitori agiscano in stretto rapporto con le altre realtà educative e sappiano
accogliere le genuine proposte formative dell'oratorio, delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti ecclesiali e delle altre agenzie educative,
a cominciare dalla scuola, che accompagnano la maturazione dei figli nelle varie fasi della crescita.
§ 4. Per parte loro, nel rispetto delle giuste consuetudini familiari e della tradizione che costituisce un prezioso patrimonio educativo,
le esperienze ecclesiali non interferiscano con la vita familiare, ma anzi sostengano il cammino di crescita dei figli aiutandoli a stimare
l'ambito della famiglia come luogo primario di crescita e di gratuità nei rapporti. Nel contempo si aiutino i genitori ad apprezzare le esperienze
che i loro figli vivono nell'ambito dell'associazionismo cattolico, valorizzando anche momenti di incontro tra giovani e adulti (ad esempio
vacanze, particolari celebrazioni, incontri di preghiera, momenti culturali), curando che tutto cooperi armonicamente per una equilibrata
formazione e crescita spirituale.
417. L'educazione all'amore e alla sessualità
§ 1. Una particolare attenzione deve essere riservata all'educazione all'amore e alla sessualità. Essa è compito, innanzitutto, dei
genitori e della famiglia. Mediante tale educazione, i genitori avranno anche l'occasione di offrire una testimonianza riguardante la scelta dello
stato di vita coniugale, come adesione ad una vocazione specifica, complementare alla scelta della verginità consacrata, e potranno attuare una
vera catechesi familiare sul significato delle scelte vocazionali, come risposta alla chiamata di Dio.
§ 2. A questa insostituibile opera della famiglia, si affianchi ogni comunità cristiana, sostenendo i genitori stessi nel loro compito e
inserendo nel progetto educativo della parrocchia non solo una catechesi organica sui temi riguardanti la vita, l'amore, la sessualità e la castità
(cf cost. 399), ma anche momenti specifici di educazione sessuale, badando che non sia data solo una corretta informazione, ma che si insista
sui valori proposti dall'antropologia cristiana e, in particolare, sul significato della castità e sul valore dei metodi naturali di regolazione della
fertilità.
§ 1. Le famiglie crescano nella dimensione dell'apertura al prossimo vivendo la carità al loro interno e intorno a sé (cf cost. 122).
§ 2. La famiglia diventi sempre più il luogo di autentiche e ricche relazioni interpersonali tra coniugi e tra genitori e figli e lo spazio
per un adeguato scambio di esperienze tra generazioni diverse, creando in particolare un clima di disponibile accoglienza verso gli anziani,
facendo della vita domestica un esempio di dialogo e di serena convivenza tra esigenze diverse. Una specifica attenzione sia, inoltre, riservata
a quei parenti che per scelta o per necessità vivono soli, così che non venga a mancare loro il conforto e la gioia del rapporto familiare.
§ 3. La capacità della famiglia di creare fecondità intorno a sé si manifesti in una cordiale ospitalità, nell'attenzione ai poveri e ai
bisognosi, nell'assunzione di responsabilità educative e sociali per rispondere al bisogno di umanità che si fa sempre più vivo nella nostra
società. In questa prospettiva le famiglie stesse, meglio se con il sostegno di specifiche realtà associative, si aprano con prudente discernimento
a esperienze di adozione, di affido temporaneo, di accoglienza familiare.
§ 4. Pur senza voler indicare un modello univoco di vita familiare, il Sinodo chiede a ogni famiglia di essere reale soggetto di
comunione, non solo al suo interno, ma anche in relazione ai vicini e negli ambienti in cui naturalmente vive (scuola, quartiere, parrocchia),
per rendere più umano anche il tessuto sociale.
§ 1. Grande è certamente l'influsso che i mass media esercitano anche nella vita familiare. Esso può essere positivo e benefico, ma
nello stesso tempo diventa talvolta reale invadenza nei dinamismi della vita domestica e, in modo diretto o subdolo, questi strumenti tendono
spesso a sovvertire l'ordine dei valori umani e cristiani.
§ 2. E' necessario, perciò, che in famiglia si impari ad accostare, a conoscere e a giudicare il linguaggio dei mass media e,
soprattutto, del mezzo televisivo. Sia questa anche un'occasione per riscoprire la comunicazione tra i vari membri della famiglia e la ricchezza
dei messaggi interpersonali, creando occasioni di dialogo familiare alternativo alla televisione, o comunque in grado di far gustare i contenuti
positivi offerti dai media.
§ 3. Le comunità parrocchiali, i centri culturali cattolici e i movimenti ecclesiali si impegnino a approfondire queste tematiche con
specifici incontri, secondo le indicazioni suggerite dai piani pastorali dell'Arcivescovo sull'educare, comunicare, vigilare, collaborando con
quelle associazioni che già promuovono un giusto rapporto con i media (cf cost. 602).
§ 1. Una specifica attenzione deve essere rivolta al legame tra il lavoro e la famiglia. Sulla vita familiare, in particolare, incide
profondamente l'impegno lavorativo extradomestico sia dell'uomo che della donna.
§ 2. Si aiutino uomini e donne a trovare la giusta proporzione tra l'impegno lavorativo e le loro responsabilità di sposi e di genitori,
avendo particolare attenzione alla condizione della donna, che finisce per portare di fatto l'onere sia dell'impiego professionale sia dell'attività
domestica.
§ 3. Nelle proposte pastorali si tenga conto di queste situazioni e si abbia di mira un equilibrio nella distribuzione anche degli
impegni nella comunità, per non appesantire i ritmi di vita familiare spesso già troppo onerosi.
§ 4. Si promuova, a tutti i livelli, una più intensa e stabile collaborazione fra pastorale sociale e pastorale familiare, affinché gli
operatori pastorali abbiano più viva coscienza della dimensione sociale della famiglia e delle tematiche sociali e pastorali che caratterizzano i
rapporti tra famiglia e lavoro.
§ 1. Nel coltivare la solidarietà familiare, che è chiamata ad esprimersi innanzitutto all'interno della famiglia stessa, ci si preoccupi di
promuovere anche forme di solidarietà tra le famiglie, sia suggerendo e sostenendo atteggiamenti e gesti di attenzione e di prossimità vissuti
nelle relazioni quotidiane, sia favorendo lo sviluppo di modalità diverse di associazionismo familiare, soprattutto in vista di un più diretto
impegno delle famiglie in campo sociale, a difesa e tutela di una politica per la famiglia che ne valorizzi la dignità e la soggettività sociale,
promuovendone i diritti fondamentali recentemente precisati dalla Santa Sede(16).
§ 2. In questo senso, la pastorale familiare farà crescere la spiritualità della singola coppia, indicando la necessità di un impegno
della famiglia per la famiglia, facendo crescere la consapevolezza dei contenuti di una cultura della famiglia nella prospettiva indicata dalla
dottrina sociale della Chiesa.
§ 1. La Chiesa ambrosiana deve essere attenta alle situazioni di difficoltà in cui versano molte famiglie della diocesi. Si tratta di tutte
quelle forme di sofferenza e di travaglio morale di famiglie nelle quali:
a) si avvertono i segni del venir meno dell'amore coniugale nella vita quotidiana a causa dell'abitudine o dell'indifferenza reciproca;
b) si vive il dramma di un figlio malato, tossicodipendente, handicappato;
c) si sperimenta l'incapacità di costruire un autentico rapporto educativo autorevole ed armonioso;
d) si conosce un rapporto difficile con le persone anziane;
e) le coppie senza figli vivono la loro sterilità senza riuscire a trovare la gioia di una fecondità spirituale e finiscono con l'avvertire
un senso di inutilità nella loro convivenza matrimoniale;
f) i genitori rimangono nella solitudine dopo il matrimonio dei figli;
g) la separazione o il divorzio rendono più ardui l'esistenza e, in particolare, il rimanere fedeli al valore dell'indissolubilità e
l'educazione dei figli;
h) i singoli sopportano la condizione di vedovanza;
i) si vive il dramma della disoccupazione e l'incertezza per il futuro lavorativo.
§ 2. Una organica pastorale familiare deve farsi carico di tutte queste situazioni così diversificate, accompagnando le famiglie in
difficoltà con la testimonianza di adulti che vivano intensamente la loro esperienza familiare e che sappiano concretamente farsi prossimi a
queste sofferenze con la forza della condivisione.
§ 3. Ogni parrocchia sappia perciò valutare le difficoltà e le sofferenze presenti al suo interno, favorendo un'attenzione ricca di carità
verso le situazioni più facilmente soggette a emarginazione.
§ 4. Ogni pastore si renda disponibile per colloqui con le coppie in crisi e cerchi di illuminarle sulle indicazioni della Chiesa,
favorendo anche l'incontro con coppie disposte a offrire aiuto e consulenza.
§ 1. Una specifica attenzione deve essere rivolta alle ormai sempre più frequenti situazioni di divorziati risposati, conviventi e
sposati solo civilmente. Queste persone, pur essendo in una situazione oggettivamente irregolare, continuano ad appartenere alla Chiesa e non
poche di esse manifestano spesso un desiderio di recupero del cammino di fede.
§ 2. Nel rispetto delle indicazioni generali della Chiesa, occorre far loro sperimentare di essere parte della Chiesa, mostrando
innanzitutto il volto misericordioso di Cristo, che con la sua grazia sostiene nelle circostanze più difficili e dolorose. Si eviti ogni forma di
discriminazione verso di esse e si invitino queste persone a partecipare alla vita della comunità cristiana, senza lasciare spazio ad equivoci o
mormorazioni(17).
§ 3. In ogni zona pastorale, in stretto collegamento con i consultori familiari di ispirazione cristiana, sia attivato un permanente
servizio di consulenza pastorale, morale e canonistica. Tale servizio, svolto da operatori specificamente preparati, sia finalizzato a sostenere e
risolvere situazioni di crisi e a discernere e accompagnare, anche per tempi lunghi, situazioni irregolari.
§ 4. In particolare, in ogni zona pastorale si predisponga anche un qualificato servizio di consulenza per verificare la possibilità di
avvio di una eventuale causa di nullità matrimoniale. L'Ufficio per la famiglia, d'intesa con il Tribunale ecclesiastico regionale, promuova la
preparazione di persone qualificate per svolgere tale importante e delicato servizio.
§ 1. Organismo specifico per la cura e la promozione della pastorale familiare a livello diocesano è l'Ufficio per la famiglia. Tra gli
scopi principali che esso è chiamato a perseguire, in collegamento e collaborazione con altri uffici o organismi di curia, rientrano:
a) la promozione dell'annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia;
b) lo studio dei problemi religiosi, morali e sociali che la vita coniugale e familiare incontra di volta in volta, alla luce della dottrina
della Chiesa e tenendo conto delle leggi vigenti e della loro evoluzione;
c) il coordinamento e, nel caso, la promozione delle iniziative per la preparazione dei giovani e dei fidanzati al matrimonio e per il
sostegno e l'accompagnamento delle coppie e delle famiglie;
d) la proposta di specifiche attenzioni pastorali per le famiglie lontane o in situazione difficile o irregolare;
e) la collaborazione con le scuole diocesane per operatori pastorali, nella specializzazione di pastorale familiare;
f) la promozione delle strutture zonali, decanali e parrocchiali operanti a servizio della famiglia;
g) l'attenzione alle tematiche e alle iniziative connesse con la difesa e la promozione della vita umana;
h) la promozione, ogni anno, della Festa della famiglia e della Giornata per la vita;
i) il sostegno e il coordinamento delle varie iniziative di servizio alla famiglia e alla vita, a cominciare dai consultori familiari e dai
centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità;
l) il confronto e il dialogo con le diverse realtà culturali e sociali e con le stesse strutture civili sui temi riguardanti la famiglia e la
vita.
§ 2. Venga costituita la Consulta diocesana per la pastorale della famiglia, nella quale siano presenti i rappresentanti delle varie
realtà operanti in diocesi a servizio della famiglia, per una migliore condivisione della responsabilità pastorale. Della sua presenza e del suo
contributo si avvalga l'Ufficio per la famiglia nello svolgimento dei suoi compiti. La consulta abbia cura di progettare anche momenti di
riflessione specifica sulle tematiche familiari più urgenti, creando occasioni e luoghi in cui sia possibile un confronto argomentato e disteso sui
principali nodi della vita familiare, libero dall'immediata preoccupazione di organizzazione pastorale. E' necessario infatti che la competenza
teologica e morale degli specialisti si incontri con l'esperienza delle famiglie per favorire una migliore comprensione della ricchezza e delle
ragioni del magistero della Chiesa sulla famiglia.
§ 3. Si studi anche l'opportunità di dar vita a eventuali commissioni di pastorale familiare o ad altri strumenti ritenuti più idonei per
promuovere e coordinare la pastorale familiare nelle parrocchie, nei decanati, nelle zone. Tra l'altro essi potranno opportunamente favorire
momenti di incontro tra le famiglie ai vari livelli, per una presenza viva nel concreto tessuto della vita familiare e sociale.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, desiderosa di accompagnare i coniugi e le famiglie nel loro cammino verso la santità, intende valorizzare
e promuovere, come momento privilegiato di pastorale familiare, le esperienze di comunità di famiglie, sia a livello parrocchiale, sia riferite
all'esperienza di associazioni, gruppi o movimenti.
§ 2. L'esperienza dei gruppi familiari parrocchiali, presente da anni in diocesi, aiuti le coppie e le famiglie a prendere coscienza del
dono e dei compiti derivanti dal matrimonio cristiano e a viverli, attraverso l'approfondimento della Parola di Dio e del magistero della Chiesa,
sperimentando momenti di preghiera e di aiuto fraterno che fanno crescere uno stile di comunione vissuta nella carità quotidiana. Il conforto
nella fede, l'aiuto offerto soprattutto per l'educazione dei figli, il sostegno nelle difficoltà di natura materiale e spirituale dettino lo stile di
questi gruppi, che devono inserirsi organicamente nel tessuto della Chiesa locale e aprirsi ad altre famiglie, secondo una vera dinamica
missionaria.
§ 3. La comunità parrocchiale, nel rispetto della libera creatività propria dei laici, accolga con simpatia e valorizzi i gruppi di
famiglie che scelgono di ritrovarsi a condividere l'esperienza familiare secondo modalità ispirate dall'adesione ad associazioni, gruppi e
movimenti. Abbia cura, in particolare, di favorire uno spirito di fraterna comunione e di far crescere una stima e una collaborazione tra le varie
comunità familiari, per farle essere “luogo di crescita nella fede e nella spiritualità propria dello stato coniugale, momento di apertura alla vita
parrocchiale e comunitaria; stimolo al servizio pastorale nella Chiesa e all'impegno nella società civile”(18).
§ 1. Convinta della priorità della famiglia nella vita sociale, come soggetto specifico e non solo come insieme di singole persone, la
Chiesa ambrosiana, consapevole dell'importanza del principio di sussidiarietà, riconosce l'importanza di forme di associazionismo familiare di
ispirazione cristiana, che operino in campo sociale per testimoniare concretamente la fecondità della solidarietà familiare. Tali associazioni di
famiglie operino a difesa e sostegno dei diritti della famiglia, cercando di incidere anche sulle politiche familiari e coordinandosi tra loro per
una efficace presenza nel tessuto sociale del territorio.
§ 2. Le modalità con cui le famiglie si associano tra loro possono essere molteplici e riguardare sia la difesa di interessi particolari
(ad esempio cooperative per risolvere il grave problema della casa, anche con proposte economiche ragionevoli), sia la tutela di fondamentali
diritti (ad esempio la libertà di educazione, scelta della scuola libera). In ogni caso tale associazionismo sia l'espressione di un protagonismo
della famiglia, resa cosciente dei propri compiti non solo sul piano ecclesiale, ma anche su quello civile e politico e si configuri come la
realizzazione di aspetti qualificanti della "civiltà dell'amore".
§ 1. Per sviluppare un'adeguata cultura cristiana della famiglia e della vita vengano potenziate tutte le risorse culturali e pastorali
della diocesi. In particolare:
a) nelle scuole diocesane per operatori pastorali si preveda una sezione dedicata esplicitamente ai temi familiari;
b) si promuovano iniziative di formazione per operatori della pastorale familiare;
c) si curi specificamente la formazione permanente dei presbiteri e dei consacrati con programmi di aggiornamento dedicati alla
teologia della famiglia e alle questioni relative all'educazione sessuale e alla procreazione responsabile.
§ 2. La diocesi intende rispondere alle esigenze della famiglia anche con il sostegno a strutture direttamente finalizzate alla
promozione umana della coppia e della famiglia, nella convinzione della loro preziosa complementarità all'azione pastorale. Tra queste vanno
esplicitamente ricordati:
a) i consultori familiari di ispirazione cristiana, promossi già da diversi anni nella nostra diocesi. La loro opera è sia di consulenza a
persone, coppie e famiglie in difficoltà, sia di prevenzione, attraverso iniziative di formazione e impegno culturale sul territorio e nella
comunità. Poiché essa si rivela ancora oggi necessaria, si abbia cura di garantirne la presenza e la funzionalità e di valorizzarne l'apporto da
parte dei presbiteri e degli altri operatori pastorali nelle diverse comunità locali. Il loro servizio riguardi, in particolare: i problemi della coppia;
l'educazione degli adolescenti e dei giovani alla vita, all'amore, alla sessualità; la preparazione dei fidanzati al matrimonio, non mediante
l'opera di evangelizzazione e di formazione spirituale ed ecclesiale, ma attraverso la proposta e l'illustrazione degli aspetti della vita
matrimoniale e familiare più direttamente attinenti ai campi delle scienze umane; i problemi degli anziani;
b) i centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità, “nei quali - senza indebite scelte di un metodo a scapito di altri - ogni
donna e ogni coppia possano essere aiutate a individuare e a seguire quella metodica che nel concreto meglio si addice alla loro situazione e
meglio favorisce il loro compito di procreazione responsabile”(19);
c) i centri di aiuto alla vita e le case o i centri di accoglienza della vita, così da offrire alle ragazze, alle madri e alle coppie in
difficoltà non solo ragioni e convinzioni, ma anche assistenza e sostegno concreti, per affrontare e superare le difficoltà nell'accoglienza di una
vita nascente o appena venuta alla luce.
§ 3. Sia valutata l'opportunità, almeno a livello zonale, di costituire un "Centro per la famiglia", in cui convergano le esperienze delle
varie realtà familiari e in cui sia possibile fruire anche di servizi specializzati (preparazione di operatori per i corsi fidanzati, educazione
sessuale, consulenza dei metodi naturali, aiuto a coppie in crisi, servizio consultoriale, affronto di tematiche educative, raccordo con il mondo
della scuola, approfondimento del magistero sulla famiglia, predisposizione di iniziative locali per la famiglia), come sostegno per affrontare le
tematiche antropologiche, psicologiche, sociologiche e di politica della famiglia.
§ 1. Il pastore d'anime abbia una speciale attenzione per due nubendi che, pur chiedendo il sacramento del matrimonio, dimostrano
di non essere pienamente disposti a celebrarlo con fede. Sia pronto ad accogliere la loro richiesta, ma faccia comprendere che la Chiesa deve
ricordare a quanti chiedono di sposarsi le condizioni di fede necessarie per una celebrazione fruttuosa.
§ 2. Fin dal primo colloquio, il parroco, invitando i nubendi a chiarire le ragioni della loro richiesta, proponga un cammino previo di
riscoperta della fede. Perciò, oltre a frequentare l'itinerario educativo di preparazione alle nozze obbligatorio per tutti, questi fidanzati siano
esortati a partecipare a più incontri o colloqui con il parroco stesso o con persone da lui incaricate.
§ 1. Prima di dare inizio all'istruttoria matrimoniale propriamente detta, il parroco valuterà, assieme ai nubendi che avevano
inizialmente mostrato di non essere pienamente disposti a celebrarlo con fede:
a) come abbiano accolto la proposta di un cammino previo di riscoperta della fede;
b) quali siano le motivazioni precise per cui insistono nella richiesta del matrimonio canonico;
c) se siano disposti ad accettare il progetto di matrimonio come inteso dalla Chiesa: unico, indissolubile, aperto alla vita; e se almeno
non ne rifiutano il carattere sacramentale.
§ 2. Se il riscontro di questa valutazione sarà positivo, il parroco ammetterà i nubendi alla istruttoria matrimoniale propriamente
detta, accogliendo la loro domanda di matrimonio, anche se non ancora pienamente motivata dalla fede(20).
§ 3. Se il riscontro sarà negativo, mostrando i nubendi di “rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere
quando si celebra il matrimonio dei battezzati”(21), il parroco non li ammetterà alla prosecuzione della preparazione matrimoniale, spiegando
le motivazioni della sua decisione (cf cost. 430, § 3).
§ 4. In caso di dubbio circa la decisione di cui ai § 2 e 3, il parroco si consulti con l'Ordinario diocesano.
§ 1. L'attenzione pastorale non può limitarsi alla decisione di ammettere o non ammettere i nubendi alla prosecuzione dell'istruttoria
matrimoniale e, quindi, alla celebrazione del sacramento.
§ 2. Nel primo caso, il parroco dovrà incoraggiare i nubendi a proseguire nel cammino di riscoperta della fede e della pratica
cristiana. E, verificando la disponibilità degli stessi nubendi a partecipare all'Eucaristia pienamente e fruttuosamente, valuterà l'opportunità di
celebrare le loro nozze durante la messa.
§ 3. Nel secondo caso il parroco farà presente agli interessati che la decisione di non ammettere al sacramento vuol essere “un gesto
di rispetto di chi si dichiara non credente, un gesto di attesa e di speranza, un rinnovato e più grave appello a tutta la comunità cristiana perché
continui ad essere vicina a questi suoi fratelli, impegnandosi maggiormente nella testimonianza di fede dei valori sacramentali del matrimonio
e della famiglia”(22).
§ 1. Merita una specifica considerazione la richiesta di matrimonio di una persona battezzata e credente con un'altra pure battezzata
ma non credente. Se quest'ultima ha notoriamente abbandonato la fede, il parroco non potrà assistere alle nozze senza la licenza dell'Ordinario
del luogo. In questo caso, per ottenere la suddetta licenza, si dovranno verificare le condizioni previste per i matrimoni interconfessionali(23).
§ 2. In concreto, non è facile riconoscere quando si configura il caso del notorio abbandono della fede. Molti, anche se dichiarano di
non essere più credenti, non manifestano con segni chiari e inequivocabili un vero e proprio rifiuto della fede. Nel dubbio è bene che il parroco
ricorra all'Ordinario del luogo, il quale valuterà, caso per caso, se esigere la suddetta procedura(24).
§ 3. Se uno dei nubendi dichiara semplicemente di non riconoscersi come credente e di volersi sposare in chiesa unicamente per
accondiscendere al desiderio della parte credente, è doveroso accogliere la domanda di matrimonio con premurosa attenzione alle persone, ma
anche con le dovute cautele(25). In tale dichiarazione, infatti, non si ravvisa un abbandono notorio della fede, ma si constata l'allontanamento
dalla pratica religiosa e la ritrosia a un cammino di recupero della fede stessa. In questo caso non sono richieste le formalità prescritte per i
matrimoni misti e per il matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede. Tuttavia, quanto è previsto dai suddetti adempimenti sarà
oggetto di attenta verifica. La parte credente e praticante dovrà mostrarsi pronta a dare testimonianza della propria fede, soprattutto per la
condotta di vita, anche nei confronti del coniuge lontano dalla fede (cf 1 Pt 3,1-2).
432. Preparazione dei nubendi che non hanno la stessa sensibilità religiosa
§ 1. Il parroco si mostri disponibile a incontrare più volte i nubendi che non hanno la stessa sensibilità religiosa, offrendo loro la
possibilità di approfondire le motivazioni della richiesta di matrimonio cristiano.
§ 2. La coppia sarà invitata a compiere un itinerario formativo, che, in un certo qual modo, prefiguri l'impostazione della loro vita
coniugale e familiare: il rispetto delle convinzioni dell'altro, la ricerca dei valori comuni, l'intesa nelle scelte fondamentali della vita a due,
soprattutto in riferimento all'educazione dei figli.
§ 3. La proposta di partecipare all'itinerario educativo, organizzato dalla parrocchia per tutti i fidanzati in preparazione al
matrimonio, sarà rivolta a entrambi. Secondo l'opportunità, la coppia sarà invitata a partecipare a un cammino di riscoperta della fede o a
seguire una forma speciale di accompagnamento con l'aiuto di persone appositamente preparate.
§ 4. Al termine di questo percorso, ciascuno dei due nubendi dovrà essere in grado di chiarire le proprie intenzioni in ordine alla
celebrazione del sacramento del matrimonio e di formulare un progetto di vita coniugale e familiare sulla base di quei valori umani che sente
pienamente condivisi dall'altro. Questo progetto di vita coniugale sarà espresso nella "domanda di matrimonio", che la coppia presenterà al
parroco prima dell'incontro per l'esame dei nubendi.
§ 5. In occasione dell'esame dei nubendi, il parroco verificherà attentamente le loro intenzioni, accertando, in particolare, che la parte
che si dichiara non credente non escluda le proprietà essenziali e le finalità istituzionali del matrimonio cristiano, né si opponga alla sua
sacramentalità. Questa verifica dovrà essere particolarmente attenta quando ci sia stata da parte dei nubendi la domanda di dispensa
dall'obbligo della procedura concordataria(26).
§ 1. In questi casi, il parroco presti attenzione particolare alla spiegazione e alla preparazione della liturgia nuziale. E' necessario che
la celebrazione del sacramento del matrimonio sia partecipata consapevolmente e attivamente anzitutto da entrambi gli sposi. La scelta delle
letture sarà guidata dalla riflessione sui valori che gli sposi, di comune accordo, intendono porre a fondamento della loro vita coniugale e
familiare.
§ 2. Non sembra opportuna la celebrazione della messa, alla quale solo la parte credente potrebbe partecipare in pienezza
accostandosi alla santa Comunione. L'eventuale decisione di inserire il matrimonio nella celebrazione eucaristica dovrà essere determinata da
motivi pastoralmente validi con tutto il rispetto dovuto al contraente che si è dichiarato non credente.
B. Matrimoni interconfessionali
§ 1. I matrimoni interconfessionali presentano “numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco
valore, sia per l'apporto che possono dare al movimento ecumenico. Ciò è particolarmente vero quando ambedue i coniugi sono fedeli ai loro
impegni religiosi. Il comune battesimo e il dinamismo della grazia forniscono agli sposi, in questi matrimoni, la base e la motivazione per
esprimere la loro unità nella sfera dei valori morali e spirituali”(27).
§ 2. Tuttavia l'esperienza insegna che l'unione perfetta tra i coniugi e il coinvolgimento di tutta la loro vita nel matrimonio sono più
facilmente assicurati quando essi hanno le medesime convinzioni religioso-morali e partecipano alla vita della stessa comunità di fede. Perciò
il matrimonio interconfessionale, ossia tra una persona cattolica e un'altra battezzata ma non cattolica, rimane pur sempre un caso difficile.
§ 3. La sollecitudine pastorale deve tenere conto sia delle difficoltà, che le coppie interconfessionali possono incontrare nella vita
coniugale e familiare, sia degli aspetti positivi della loro unione.
§ 4. Entrambi i coniugi devono essere responsabilmente aiutati a condividere i doni di grazia che hanno ricevuto per la medesima
elezione alla vita cristiana, senza venir meno alle proprie convinzioni di fede e senza cadere nell'indifferentismo religioso. A questo scopo
l'azione pastorale dovrà avvalersi, per quanto possibile, della collaborazione del ministro di culto della parte non cattolica.
§ 5. Anche l'osservanza della normativa canonica, affidata alla responsabilità del parroco cattolico, dovrà tendere alla salvaguardia
dei valori del sacramento del matrimonio nel rispetto della coscienza dei coniugi, entrambi chiamati a vivere secondo il Vangelo la loro unione
in conformità alla educazione alla fede ricevuta nella propria Chiesa.
§ 1. La preparazione al matrimonio interconfessionale sia impostata nel segno dell'accoglienza e del rispetto della situazione
particolare di ogni coppia. Fin dal primo colloquio il parroco si mostri disponibile ad aiutare i nubendi a chiarire le motivazioni della richiesta
di matrimonio, prestando attenzione alla condizione spirituale di ognuno. Alla parte cattolica ricorderà l'obbligo di frequenza al corso o
itinerario comune di preparazione alle nozze programmato in parrocchia, salvo che le circostanze rendano più opportuna una preparazione in
forma personalizzata (cf cost. 401, § 3). Farà la medesima proposta, come semplice invito, alla parte non cattolica. La consiglierà, inoltre, di
mettersi in contatto, se possibile, con il ministro di culto della propria confessione, per una analoga preparazione di fede.
§ 2. E' doveroso che, preparandosi alle nozze, ciascuno possa conoscere le convinzioni religiose dell'altro, gli insegnamenti e le
pratiche della Chiesa o Comunità ecclesiale cui l'altro appartiene. Bisogna infatti aiutare i nubendi a vivere l'eredità cristiana, soprattutto
nell'ascolto della Parola e nella preghiera. I nubendi imparino a condividere gli elementi comuni della fede e a rispettare le differenze dell'una
e dell'altra confessione, nell'intento di custodire fruttuosamente l'unità e l'armonia matrimoniale(28).
§ 1. E' necessario che, prima delle nozze, ciascuno arrivi a comprendere la dottrina sul matrimonio e sui principi religioso-morali
attinenti la vita coniugale e familiare secondo gli insegnamenti della propria Chiesa e della Chiesa dell'altro. Questo permette, in conformità a
quanto previsto dalla normativa canonica, di accertare che le due parti siano istruite sulle finalità istituzionali e sulle proprietà essenziali del
matrimonio, che non devono essere escluse da nessuno dei due contraenti. Poiché questo adempimento dovrà risultare da una dichiarazione
scritta, sembra opportuno proporre anche alla parte non cattolica il colloquio con il parroco per l'esame dei fidanzati. In tal caso il non cattolico
potrà chiedere la presenza del suo ministro di culto.
§ 2. La normativa canonica prevede l'adempimento di due altre condizioni: la dichiarazione della parte cattolica di essere pronta a
evitare il pericolo di perdere la propria fede e la promessa di fare quanto in suo potere per educare e battezzare cattolicamente i figli;
l'attestazione che di questa dichiarazione e di questa promessa la parte non cattolica sia stata informata.
§ 3. Circa queste garanzie o "cauzioni", richieste anche per il matrimonio interreligioso, è doveroso, nel caso di matrimonio
interconfessionale, procedere con attenzione ecumenica. Il parroco, quindi, che in conformità alle disposizioni dei vescovi italiani è obbligato a
produrre la prova scritta di tali adempimenti(29), dovrà dare adeguata spiegazione delle suddette cauzioni ad entrambi i contraenti,
eventualmente in presenza del ministro di culto della parte non cattolica. E' opportuno mettere in evidenza che a questa non è richiesta nessuna
promessa, né scritta, né orale.
§ 4. Il parroco esorti i nubendi a trovare un accordo, prima del matrimonio, circa il battesimo e l'educazione religiosa dei figli. E'
auspicabile che essi giungano a formulare un progetto per la loro vita coniugale e familiare anche sotto questo aspetto, tenendo presente che
l'uno e l'altra hanno il diritto-dovere irrinunciabile di trasmettere le proprie convinzioni religiose ai figli. Perciò se la parte cattolica prevede
che i figli saranno battezzati ed educati fuori della Chiesa cattolica, si senta ancora obbligata a condividere con la loro la propria fede. In
armonia con la comparte troverà il modo opportuno per esprimere tale esigenza(30).
§ 5. Per tutti gli altri adempimenti canonici connessi con l'esame dei fidanzati ci si riferisca a quanto stabilito dalla normativa
particolare della Chiesa italiana(31).
§ 1. In conformità a quanto prescritto dal rituale, il matrimonio interconfessionale sia celebrato senza la messa. Se una motivazione
pastorale lo richiede, si può, con il consenso dell'Ordinario, usare il rito del matrimonio durante la messa. In tal caso il pastore d'anime dovrà
far presente la normativa canonica circa l'ammissione dei non cattolici alla Comunione eucaristica(32).
§ 2. La celebrazione del matrimonio tra cattolici e ortodossi, che condividono la stessa fede nei sacramenti, potrà essere inserita nella
messa. Tuttavia è bene ricordare che presso le Chiese orientali non si usa unire la celebrazione delle nozze con quella dell'Eucaristia.
§ 1. Se la celebrazione del matrimonio misto comporta gravi difficoltà, l'Ordinario del luogo può concedere la dispensa dall'obbligo
della forma canonica. Nel matrimonio interconfessionale il ricorso a tale dispensa richiede una particolare attenzione ecumenica.
§ 2. Il matrimonio tra cattolici e ortodossi, celebrato secondo il rito delle Chiese orientali, è ritenuto valido, purché siano rispettate le
disposizioni del diritto canonico richieste per la validità del consenso. La dispensa dalla forma canonica è necessaria soltanto per la liceità.
L'osservanza della forma canonica è richiesta per la validità del matrimonio tra cattolici e cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali.
§ 3. Al fine di individuare le motivazioni valide a giustificare la dispensa dalla forma canonica, occorre fare attenzione soprattutto
alla parte non cattolica, come, ad esempio, riconoscere il suo impegno religioso, favorire l'accordo con i suoi familiari, mettere in evidenza il
rapporto di conoscenza o di parentela con il proprio ministro di culto.
§ 4. E' bene favorire l'intesa nella scelta del rito cattolico o non cattolico per la celebrazione delle nozze interconfessionali anche in
prospettiva della vita coniugale e familiare, nel senso di evidenziare sia l'aspetto della condivisione della comune eredità cristiana, sia quello
del reciproco rispetto delle differenze religiose.
§ 5. Il parroco, prima di inoltrare all'Ordinario la domanda di dispensa dalla forma canonica, compia quanto è prescritto dalla
normativa canonica circa i matrimoni misti(33) e sia sollecito nel segnalare le motivazioni che giustificano la concessione della suddetta
dispensa, perché si possa eventualmente richiedere la prescritta consultazione dell'Ordinario del luogo in cui il matrimonio sarà celebrato.
§ 6. La Conferenza episcopale italiana ha disposto che la forma pubblica prescritta per la validità del matrimonio contratto con
dispensa dalla forma canonica abbia un carattere religioso, e più precisamente che la celebrazione, salvo eventuali intese con le diverse Chiese
cristiane, sia compiuta davanti a un legittimo ministro di culto, e non con il solo rito civile(34).
439. Celebrazione ecumenica delle nozze
§ 1. Per sottolineare l'unità del matrimonio, non è consentito che si facciano due celebrazioni religiose distinte nelle quali il consenso
venga espresso due volte, oppure che si faccia un solo servizio religioso durante il quale lo scambio del consenso sia richiesto congiuntamente
o successivamente dai due ministri. La celebrazione ecumenica rettamente intesa deve esprimersi nella partecipazione attiva al rito del
matrimonio da parte di tutti i presenti in piena coerenza con la fede religiosa di ciascuno.
§ 2. E' bene che il parroco, con il consenso dell'Ordinario e d'intesa con i nubendi, inviti il ministro di culto della parte non cattolica
a partecipare attivamente alla celebrazione delle nozze con la proclamazione delle letture bibliche, una breve omelia, la benedizione degli
sposi.
§ 3. Parimenti, quando è stata concessa la dispensa della forma canonica e previa autorizzazione dell'Ordinario, il presbitero cattolico
può partecipare al rito non cattolico del matrimonio e, se invitato, proclamare la sacra Scrittura, tenere una breve esortazione, fare preghiere
appropriate e benedire gli sposi.
§ 4. L'elemento che dovrebbe acquistare maggior rilievo nella celebrazione ecumenica delle nozze è la Parola. Nella liturgia della
Parola, infatti, “si dà risalto all'importanza del matrimonio cristiano nella storia della salvezza, ai suoi fini e ai suoi doveri in ordine al
conseguimento della santificazione dei coniugi e dei figli”(35).
§ 1. Alle coppie interconfessionali è doveroso offrire una pastorale ecumenica della famiglia, promossa pariteticamente da
responsabili delle diverse confessioni cristiane presenti in diocesi, sulla base della convinzione che l'unità del matrimonio non debba essere
minata dal diverso riferimento confessionale degli sposi. Pertanto a livello diocesano, tramite l'Ufficio per l'ecumenismo e il dialogo, sia
cercata l'intesa con i responsabili delle altre Chiese cristiane per iniziative pastorali comuni che siano efficaci nell'orientare ecumenicamente
alla soluzione dei vari problemi che insorgono nell'esperienza dei focolari misti.
§ 2. Ogni comunità parrocchiale o realtà associativa si ponga in atteggiamento di accoglienza fraterna nei confronti della coppia o
famiglia interconfessionale, rispettando la componente non cattolica e suscitando tra i fedeli l'attenzione al problema ecumenico. Venga
favorita e non ostacolata l'esigenza di un analogo rapporto della coppia o famiglia interconfessionale con la comunità dell'altra confessione. Si
collabori con la coppia e le rispettive comunità di appartenenza soprattutto riguardo al cammino educativo dei figli, facendo tesoro delle
esperienze di catechesi interconfessionale, familiare o comunitaria, già esistenti e creandone di nuove secondo le esigenze concrete delle
coppie.
C. Matrimoni interreligiosi
§ 1. La Chiesa non esclude la possibilità del matrimonio di cattolici con persone non battezzate. Rispettando il diritto naturale di
ogni uomo e donna, essa è disponibile ad accogliere questa richiesta e a celebrare le nozze(36). In pari tempo sente il dovere di ammonire che
“il coniuge cattolico ha l'obbligo di conservare la propria fede e perciò mai gli è lecito esporsi al pericolo prossimo di perderla”(37).
§ 2. La normativa canonica riguardante l'impedimento della disparità di culto e le condizioni per concederne la dispensa(38) intende
assicurare che i fedeli, che sposano persone non battezzate di altre religioni o di nessuna religione, non abbiano a violare la legge divina
(perdita della fede, negligenza del dovere di trasmetterla ai figli).
§ 3. Ma l'azione pastorale non si limita all'osservanza della normativa canonica. E' necessario accogliere la richiesta di matrimonio
interreligioso come espressione di un diritto naturale, che ha la sua ragione profonda nell'economia della creazione e che, pertanto, implica un
atteggiamento di obbedienza al volere di Dio. La coppia deve essere aiutata a comprendere, celebrare e vivere questa realtà istituita dal
Creatore al principio.
§ 1. La preparazione al matrimonio è un cammino spirituale, che conduce i fidanzati a verificare anzitutto le loro intenzioni circa il
patto d'amore indissolubile e fedele, ossia circa la decisione di donarsi reciprocamente in una vera comunione di vita. Nel caso di matrimonio
tra una persona cattolica e una persona non battezzata questa verifica è resa possibile dal confronto leale dei rispettivi principi morali e
religiosi. Perciò, ai fini di un'adeguata preparazione, sarà anche necessario predisporre una serie di incontri della coppia con il parroco o con
persone da lui incaricate.
§ 2. In questi incontri, il cattolico, oltre a verificare le proprie intenzioni circa il disegno di Dio sul matrimonio, sarà spronato a dare
una testimonianza coerente della propria fede nella vita coniugale e familiare (cf 1 Pt 3,1-2). A tale scopo egli dovrà essere aiutato anche a
riconoscere e a valorizzare quei principi religioso-morali professati dalla comparte non battezzata, che possono essere condivisi e
reciprocamente partecipati nella vita matrimoniale.
§ 3. Anche la parte non battezzata dovrà essere aiutata a verificare le proprie intenzioni circa il matrimonio. Anzitutto occorre che
conosca l'insegnamento della Chiesa cattolica circa il matrimonio stesso, così da poter accertare che non intenda escluderne le proprietà
essenziali e le finalità istituzionali. Le differenze tra la dottrina cattolica e gli insegnamenti d'altre religioni in proposito, di per sé, non
impediscono che il non cristiano, ad esempio, possa essere sinceramente disposto a non escludere l'unità e l'indissolubilità del suo matrimonio,
anche se è consapevole che la sua religione permette la poligamia e il divorzio. E' necessario accogliere il non cristiano con rispetto delle sue
convinzioni religiose, delle sue tradizioni familiari e sociali; ma occorre anche aiutarlo a riconoscere i valori umani inerenti al matrimonio
inteso come istituzione divina e a confrontarsi lealmente con il cattolico circa il modo di intendere la vita coniugale e familiare.
§ 4. Nella preparazione al matrimonio, inoltre, entrambi i nubendi devono prendere coscienza delle difficoltà che potranno mettere in
crisi la solidità e la stabilità del vincolo coniugale e della vita familiare che ne deriva. Nel matrimonio tra cattolici e non battezzati queste
difficoltà sono gravi e, a volte, insuperabili: contrasti derivanti dal modo di intendere il contratto matrimoniale, dalla diversa interpretazione
dei principi morali attinenti il matrimonio e la famiglia, dagli usi e costumi, dalla mentalità, dagli stessi ordinamenti giuridici. Particolarmente
difficile è il problema della educazione dei figli, dato che “entrambi i coniugi hanno questo dovere e non possono assolutamente ignorarlo in
tutte le obbligazioni morali che esso comporta”(39).
§ 1. Allo scopo di approfondire gli aspetti problematici del matrimonio con disparità di culto, il parroco ricorra in tempo utile
all'Ufficio diocesano per la disciplina dei sacramenti. In particolare, nel caso di matrimonio con persone di religione islamica, chieda
informazioni circa la legislazione matrimoniale dello Stato di provenienza della parte musulmana e circa il modo più opportuno per accertare il
suo stato libero.
§ 2. La domanda di dispensa dall'impedimento di disparità di culto dovrà essere inoltrata all'Ordinario del luogo con osservanza
degli adempimenti prescritti dalla normativa canonica(40). Perché questi adempimenti manifestino il loro significato pastorale bisogna che, nel
corso della preparazione, siano stati attentamente esaminati i problemi fondamentali del matrimonio tra un cattolico e un non battezzato: il
rispetto del diritto naturale al matrimonio e, di conseguenza, la non esclusione da entrambe le parti delle finalità istituzionali e delle proprietà
essenziali del matrimonio stesso; la valutazione realistica da parte cattolica della possibilità di esprimere la propria fede nella vita coniugale e
di dialogare con il futuro coniuge in ordine alla educazione dei figli; la presa di coscienza da parte del non battezzato delle promesse e degli
obblighi sottoscritti dalla comparte cattolica.
§ 1. L'aumento dei matrimoni interreligiosi chiede oggi maggiore sollecitudine pastorale anche dopo il momento celebrativo. Le
famiglie nate da questi matrimoni sono un luogo di incontro e di dialogo tra cristiani e non cristiani. L'attenzione primaria deve essere rivolta
alle persone, che dovranno essere aiutate a crescere nei valori umani del matrimonio, fedeli al disegno di Dio.
§ 2. Il pastore d'anime si preoccuperà di mantenere i contatti soprattutto con la parte cattolica, per sostenerla nella vita di fede in
riferimento all'educazione dei figli.
§ 1. Se il matrimonio religioso viene richiesto da coloro che si sono sposati civilmente per motivi di convenienza sociale, senza
ancora rendersi conto dell'errore compiuto e che pensano di procedere alla "sistemazione" del loro matrimonio in forma sbrigativa, come se le
nozze religiose fossero semplicemente una cerimonia loro dovuta, il parroco dovrà richiedere una adeguata catechesi, perché comprendano che
soltanto la celebrazione del sacramento li costituisce sposi davanti al Signore e dà loro la grazia di vivere da battezzati l'amore coniugale. Essi
dovranno essere aiutati a prendere coscienza di aver trascurato la legge morale e a rimettersi in piena comunione con la Chiesa in tutta la loro
vita coniugale e familiare.
§ 2. Se, al contrario, i nubendi mostrano di aver fatto un cammino di fede, il pastore d'anime sia attento a facilitare la celebrazione
delle nozze e a favorire l'accoglienza degli sposi nella vita della comunità cristiana. Il loro esempio può essere significativo per una pastorale
di recupero di altre coppie di coniugi conviventi o sposati civilmente.
§ 3. Tranne che in caso di necessità, coloro che sono già sposati civilmente tra di loro non siano ammessi alla celebrazione del
matrimonio religioso senza la licenza dell'Ordinario(44).
§ 4. Se uno solo dei coniugi sposati civilmente chiede il matrimonio canonico mentre l'altro si rifiuta di rinnovare il consenso nella
forma canonica, il parroco esamini attentamente l'eventualità di ricorrere alla domanda di sanazione in radice, verificando le condizioni
previste dal can. 1163, § 1(45).
§ 1. Ai fedeli, che hanno contratto il matrimonio civile e sono separati o divorziati, la Chiesa riconosce il fondamentale diritto al
matrimonio cristiano, non ritenendo valido il precedente vincolo, ma non può disattendere il fatto che essi hanno già espresso una precisa
volontà matrimoniale e che da questa unione possono avere contratto doveri e impegni verso altri, soprattutto verso eventuali figli. Di
conseguenza l'azione pastorale è chiamata a procedere con grande equilibrio e prudenza.
§ 2. Il pastore d'anime dovrà accertare la seria intenzione di contrarre un vincolo coniugale unico e indissolubile e la sincera volontà
di adempiere tutti i doveri naturali derivati dalla precedente unione, soprattutto verso i figli. Questo comporta che gli interessati mostrino di
aver fatto un cammino di riflessione critica, anche con qualche segno palese di sincera conversione, sulla loro scelta precedente e di crescita
nella fede.
§ 3. La loro ammissione al matrimonio canonico avvenga dopo aver ottenuto la licenza dell'Ordinario(46).
F. Matrimoni di minorenni
§ 1. Nel caso di richiesta di matrimonio da parte di minorenni, il pastore d'anime dovrà comportarsi con prudenza e grande cautela.
Soprattutto quando ravvisa il pericolo di un "matrimonio riparatore" egli dovrà mostrarsi fermo, anche se rispettoso ed accogliente, nel
dissuadere i richiedenti dal contrarre matrimonio, mettendo in luce i gravi rischi che una così impegnativa decisione, presa a tale età,
normalmente comporta.
§ 2. La diminuzione numerica delle richieste di matrimoni di minorenni non dispensa il pastore d'anime dal seguire con particolare
cura pastorale i nubendi, anche attraverso l'ausilio di persone specializzate e il responsabile coinvolgimento dei genitori.
§ 3. Per procedere alle nozze, il parroco deve ricorrere all'Ordinario, per le necessarie dispense(47).
G. Matrimoni di sieropositivi
§ 1. La richiesta di matrimonio da parte di una persona sieropositiva o malata di AIDS, esige una particolare cura e attenzione
pastorale.
§ 2. Nel discernere circa la ammissibilità alla celebrazione delle nozze, si tenga presente che questa richiesta di matrimonio, di per
sé, non può essere respinta perché non è certo che la sieropositività e la malattia conclamata si oppongano direttamente alla validità del
matrimonio stesso. Dal momento però che in questi casi la vita coniugale e matrimoniale molto difficilmente avrà un esito sereno, il parroco
dovrà dissuadere da tale richiesta. Di fronte all'insistenza dei nubendi, egli dovrà accertare che nulla si opponga alla valida e lecita
celebrazione delle nozze cristiane, in particolare che la persona sieropositiva o malata di AIDS non abbia tenuto nascosto al futuro coniuge il
suo stato di salute e che non ci siano eventuali vizi (per esempio: dolo, condizioni) o difetti di consenso (per esempio: esclusione della prole).
§ 3. In ogni caso, considerata la particolare delicatezza dei problemi in questione, prima di procedere alla celebrazione delle nozze, il
parroco ricorra all'Ufficio per la disciplina dei sacramenti.
La Chiesa ambrosiana, fin dalle sue origini, ha visto fiorire nel proprio seno la vita consacrata, di cui si ha distinta memoria dai
tempi di S. Ambrogio, che calorosamente la promosse e difese. Dopo il Concilio di Trento, S. Carlo Borromeo si impegnò con amore e rigore
al suo rilancio. E anche recentemente, per opera di fondatori e fondatrici, sono sbocciate al suo interno nuove famiglie di religiosi, nuovi
istituti missionari e secolari e nuove forme di consacrazione. Con l'apporto dei consacrati, che hanno richiamato i fedeli alla santità con la
preghiera, l'esempio di una profonda vita spirituale, l'attività educativa, la carità operosa in ogni ambito assistenziale e culturale, la Chiesa
ambrosiana ha espresso meglio il suo essere segno e strumento di salvezza.
§ 1. Il popolo ambrosiano manifesta anche oggi, nonostante le difficoltà presenti in alcune espressioni della vita consacrata,
attenzione e apprezzamento per questo tipo di vocazione, soprattutto per quanto concerne il servizio pastorale e caritativo, più che per il suo
richiamo profetico al primato del regno e alla dimensione escatologica della vita cristiana.
§ 2. E' necessario quindi continuare a educare il popolo di Dio perché apprezzi la vita consacrata non solo per quello che fa ma
anche, e primariamente, per quello che è, nella convinzione che ciascuno ha il proprio dono per la Chiesa da non disperdere in servizi di
supplenza, i quali non farebbero altro che impoverire tutte le componenti ecclesiali.
§ 3. Da parte loro i consacrati e le consacrate esprimano sempre più chiaramente la specificità dei loro doni, testimoniando Cristo e il
suo Vangelo ai fratelli e alle sorelle della diocesi ambrosiana con i quali condividono l'esistenza in un contesto affannoso e poco aperto alla
speranza.
I. IDENTITÀ
§ 1. La consacrazione, espressa nella Chiesa mediante la professione pubblica dei consigli evangelici o altri vincoli sacri, è il nucleo
sorgivo dell'identità dei consacrati e delle consacrate, che si specifica nel carisma di fondazione degli istituti.
§ 2. Consacrati dallo Spirito, essi vivono il loro impegno quotidiano di conversione attraverso la castità, la povertà e l'obbedienza
nella sequela del Cristo crocifisso e risorto, ne proclamano il mistero, partecipano alla sua missione di salvezza nelle diverse forme
carismatiche, si dedicano a Dio, l'unico Signore, che per tutti è ragione e scopo della vita.
§ 3. Per realizzare una testimonianza profetica ed escatologica, i fedeli consacrati coltivano una intensa vita spirituale che si nutre
quotidianamente della Parola, contempla Cristo, intesse un dialogo orante con il Signore a cui vengono portati le attese e le angosce, le gioie e
i dolori dei fratelli, adora il Padre e ne irradia l'amore.
§ 1. Gli istituti integralmente dediti alla contemplazione, ampiamente diffusi anche in diocesi, nella solitudine e nel silenzio adoranti,
nella preghiera assidua e nella penitenza espiatrice, conservano un posto eminente nella Chiesa. Pur nelle urgenti necessità di apostolato attivo
anche nella nostra Chiesa ambrosiana, con la loro semplice presenza e il loro incessante sacrificio di lode a Dio, producono frutti abbondanti di
santità e danno incremento al popolo di Dio con una misteriosa fecondità apostolica(1).
§ 2. Nel contesto della società secolarizzata e disorientata in cui è inserita la Chiesa ambrosiana, le comunità monastiche,
consapevoli che “ufficio principale dei monaci è quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla Divina Maestà entro le mura del
monastero”(2), sono luoghi di silenzio e di contemplazione in cui l'uomo d'oggi può ritrovare il senso profondo della propria vita nell'incontro
con il Signore. Attraverso l'accoglienza, l'ospitalità e la disponibilità a condividere la propria esperienza di preghiera e di silenzio, il monastero
si propone come luogo privilegiato di introduzione alla lectio divina e offre un accompagnamento nel cammino spirituale ai fratelli che lo
desiderano, contribuendo così all'impegno della Chiesa ambrosiana nel riconoscere il primato della Parola e nel richiamare la dimensione
contemplativa della vita cristiana.
§ 3. Spazio vitale e dinamico in cui tutto questo viene realizzato, rimane l'impegno forte di fare della vita in comune un laboratorio
di fraternità.
§ 1. Componente essenziale e distintiva della vita consacrata degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica è la comunione di
vita, di preghiera e di apostolato(3). Convocati dalla forza vivificante e unificante dello Spirito, i religiosi, le religiose e i membri delle società
di vita apostolica sono chiamati a vivere in Cristo la vita fraterna in comune. Consapevoli che tale dono di comunione viene dall'Alto, si
impegnano ad essere un cuor solo ed un'anima sola (cf At 4,32). Con questa loro connotazione presentano al mondo l'intima natura della
Chiesa, che è appunto quella della fraternità, ed è antidoto all'individualismo che caratterizza il modo di pensare e di vivere oggi.
Poiché quanto più intenso è l'amore fraterno nelle comunità, tanto maggiormente credibile è il messaggio comunicato(4), anche le
opere di apostolato siano vissute con uno stile connotato dalla fraternità. Pertanto non siano invocate le necessità del servizio apostolico per
ammettere o giustificare una carente vita comunitaria. Nello stesso tempo i ritmi della vita comunitaria tengano presenti le esigenze
dell'apostolato.
§ 2. La presenza degli istituti religiosi dediti all'apostolato e delle società di vita apostolica è stata ed è un elemento determinante per
configurare il volto della Chiesa ambrosiana nell'annuncio del Vangelo a tutte le categorie di persone, nell'attenzione caritativa ai poveri e agli
ammalati, nell'impegno educativo verso i giovani, nell'approfondimento dei valori della cultura. Particolarmente significativa per creare una
fede di popolo, semplice e autentica, è stata ed è la capillare presenza, in moltissime parrocchie, di religiosi e soprattutto di religiose. A sua
volta la Chiesa ambrosiana è stata ed è terreno fecondo per la nascita di alcuni istituti e luogo di crescita per molti di essi. La stessa
compresenza in diocesi di un notevole numero di istituti porta a un arricchimento anche tra le diverse espressioni della vita consacrata e apre a
forme di collaborazione.
§ 3. Anche oggi, al di là delle difficoltà legate al calo delle vocazioni e alla necessità di ripensare molte attività di apostolato
adattandole alla situazione odierna, gli istituti e le società dedite all'apostolato, nella fedeltà al proprio carisma, sono chiamate a tenere vive,
nella Chiesa di Milano, le due dimensioni che finora hanno caratterizzato la loro presenza: quella "profetica" nel servizio ai fratelli, anche
attraverso la ricerca di nuove forme, nell'evangelizzazione, nella testimonianza e nelle opere di carità; e quella "popolare", con l'attenzione a
ogni ceto sociale, con l'apostolato nelle parrocchie, con la presenza nei diversi ambienti.
§ 1. I membri degli istituti secolari, per loro specifica vocazione, vivono la consacrazione pienamente inseriti nel mondo, cioè nelle
realtà sociali, politiche ed economiche, dove sono chiamati ad essere luce, sale e lievito evangelico affinché la città secolare si realizzi secondo
il piano di Dio.
§ 2. La Chiesa ambrosiana, al cui interno sono sorte alcune tra le prime e significative esperienze di secolarità consacrata e che ha
già sperimentato la preziosità della presenza dei membri degli istituti secolari nel contesto ecclesiale e della società civile, nella consapevole
accoglienza del riserbo di cui si circondano i membri degli istituti secolari per una piena condivisione della secolarità, attende da essi:
a) la professione dei consigli evangelici, come testimonianza di radicale vita evangelica che si esprime anche in una positiva ricerca
di giustizia nel proprio ambiente, di carità autentica nelle relazioni, con un profondo senso ecclesiale, sociale e civico;
b) la gioiosa testimonianza dell'amore di Dio e della Chiesa per tutti gli uomini, realizzando la contemplazione nell'ordinario della
vita;
c) la partecipazione attiva ai momenti e agli organismi ecclesiali che operano una seria e critica analisi dei fenomeni sociali, culturali
e religiosi per favorire l'elaborazione di progetti pastorali rispondenti ai bisogni e ai segni del tempo;
d) l'impegno per una formazione permanente umana e cristiana tale da garantire la promozione di un laicato maturo;
e) la fedeltà al carisma dei fondatori e delle fondatrici, attuata e vissuta nell'ambito della Chiesa locale, nel proprio contesto
professionale e sociale.
§ 3. I presbiteri diocesani che appartengono agli istituti secolari, assumendo la radicalità dei consigli evangelici, sono aiutati a
esprimere l'ideale del sacerdozio ministeriale e a impegnarsi ad essere fermento di unità e carità pastorale nel presbiterio e a vivere con
particolare sensibilità il senso della Chiesa(5).
§ 1. Una forma di vita consacrata recentemente riproposta dalla Chiesa, e già presente nella Chiesa ambrosiana, è l'Ordo Virginum,
che è caratterizzata dalla consacrazione, con rito solenne, da parte del Vescovo del proposito di verginità e dalla dedicazione alla Chiesa(6). E'
consacrazione individuale e pubblica, vissuta nel contesto della spiritualità della Chiesa particolare e delle normali condizioni di vita del
popolo di Dio. L'ecclesialità della consacrata nell'Ordo Virginum si esprime nel rapporto peculiare col Vescovo e con la Chiesa particolare. La
Chiesa di Milano diventa in questo modo la comunità propria della consacrata nell'Ordo Virginum: per questo essa ne condivide la vita, il
cammino, la ricerca e si sente, da parte sua, responsabile nell'opera di evangelizzazione.
§ 2. La spiritualità e il cammino formativo dell'Ordo Virginum della Chiesa ambrosiana vengono espressi in modo organico dai
Lineamenta (regolamento) approvati dall'Arcivescovo.
Egli si prende cura dell'Ordo Virginum attraverso un suo delegato, garante del discernimento vocazionale e della comunione delle
consacrate con l'Arcivescovo e tra di loro.
§ 3. La dedicazione ecclesiale delle consacrate si esprime in molteplici forme di servizio, secondo il carisma di ciascuna e con il
riconoscimento dell'Arcivescovo. Apposite convenzioni regolamenteranno l'eventuale servizio pastorale delle consacrate a favore delle
parrocchie o di altri enti ecclesiali.
§ 4. All'interno dell'Ordo Virginum alcune consacrate possono liberamente scegliere di vivere in comune o di associarsi tra di loro.
458. Forme di consacrazione proprie della Chiesa ambrosiana
§ 1. Nella Chiesa di Milano meritano particolare rilievo quelle forme di vita consacrata che hanno lo specifico carisma della
diocesanità o fanno riferimento alla spiritualità ambrosiana.
§ 2. In primo luogo vanno ricordati i monasteri di clausura appartenenti all'Ordine di S. Ambrogio ad Nemus (Agra, Bernaga di
Perego, S. Maria del Monte sopra Varese), i quali, pur essendo di diritto pontificio, seguono fedelmente il rito ambrosiano, riconoscendo in S.
Ambrogio il loro maestro e padre.
§ 3. L'Arcivescovo ha promosso, come forme originali di consacrazione, le associazioni pubbliche delle Ausiliarie diocesane e dei
Fratelli Oblati diocesani che riconoscono nella Chiesa ambrosiana la fonte di una specifica spiritualità e la via di un'autentica santità.
a) Le Ausiliarie diocesane hanno come diretto superiore l'Arcivescovo: nelle sue mani professano i consigli evangelici e ne
condividono il ministero e la carità pastorale. Conducono vita fraterna in comune e offrono la propria esistenza al servizio della Chiesa di
Milano, accogliendo filialmente gli impegni di apostolato che l'Arcivescovo ritiene di affidar loro.
b) I Fratelli Oblati diocesani, che costituiscono una famiglia autonoma della Congregazione degli Oblati dei santi Ambrogio e Carlo,
assumono i voti di castità, povertà e obbedienza, vivendo in comunità. In stretta dipendenza dall'Arcivescovo, che nomina il superiore nella
persona di un sacerdote, e in collaborazione col presbiterio, svolgono la loro missione nelle istituzioni e nelle strutture della pastorale
diocesana.
§ 4. La Chiesa ambrosiana apprezza anche altre associazioni pubbliche o istituti che scelgono come proprio carisma il servizio alla
Chiesa di Milano e si impegna a sostenere il loro cammino e a valorizzare il loro specifico legame con l'Arcivescovo.
La Chiesa ambrosiana segue con sapiente discernimento le nuove realtà di vita consacrata che lo Spirito santo suscita al suo interno,
sia quelle che nascono e si sviluppano secondo le configurazioni che la Chiesa ha già riconosciuto, sia quelle che tentano nuove forme di vita
consacrata o che intendono proporre ai fedeli, nei diversi stati di vita, nuove forme di vita evangelica.
§ 1. E' necessario che i presbiteri, i diaconi, i consacrati e i laici abbiano una conoscenza più approfondita delle varie forme di vita
consacrata presenti in diocesi e, nello stesso tempo, che i consacrati stessi abbiano una conoscenza specifica della storia della diocesi
ambrosiana. Ciò diventa premessa alla stima e al rispetto reciproci e ad una maggior capacità di dialogo e collaborazione nell'unica missione
ecclesiale.
§ 2. Perché ciò avvenga:
a) in seminario si offra ai futuri presbiteri una congrua conoscenza della vita consacrata attraverso i corsi teologici, l'incontro con
persone che vivono le diverse modalità di consacrazione, iniziative comuni promosse tra seminari e istituti;
b) nella formazione permanente dei presbiteri, che normalmente sono educatori e guide spirituali nel discernimento circa lo stato di
vita e nell'accompagnamento di persone consacrate, si dia spazio ai temi della vita consacrata;
c) nelle parrocchie si favoriscano incontri comuni di preghiera e di studio, per creare consapevolezza circa le specifiche vocazioni e
per formare una mentalità di effettiva comunione; in particolare la parrocchia dia opportuno rilievo alla consacrazione di persone appartenenti
alla comunità;
d) le riviste diocesane e i vari strumenti diocesani di comunicazione sociale informino sulla teologia della vita consacrata e sulle sue
attuazioni concrete.
II. COMUNIONE
§ 1. La prima testimonianza che i consacrati e le consacrate devono dare alla Chiesa e al mondo è la comunione che si esprime nella
vita fraterna all'interno degli istituti, nel rapporto di collaborazione e di amicizia tra istituto e istituto e nel far suscitare espressioni di
comunione anche con i presbiteri, i diaconi e i laici.
§ 2. Questa testimonianza di comunione è particolarmente rilevante oggi, in un contesto socioculturale dominato da forme di
individualismo e di ripiegamento su di sé.
I consacrati e le consacrate vivono la comunione e la partecipazione alla missione e alla vita della Chiesa ambrosiana, oltre che con
la loro presenza e l'assunzione dei diversi ministeri, anche con il contributo specifico negli organismi ecclesiali, in particolare nel consiglio
presbiterale e nel consiglio pastorale, ai vari livelli.
Il compito di promuovere e incrementare la comunione tra consacrati e la partecipazione di questi alla vita e alla missione della
Chiesa diocesana è affidato in modo particolare:
a) al vicario episcopale per la vita consacrata, che svolge funzioni di collegamento tra i consacrati e la Chiesa ambrosiana; promuove
la conoscenza e la stima della vita consacrata nelle diverse forme, con attenzione alla pastorale vocazionale unitaria; aiuta i presbiteri e i fedeli
a meglio comprenderne la natura e la missione; favorisce la cordiale e responsabile partecipazione delle persone consacrate alla pastorale
diocesana;
b) alle articolazioni diocesane degli organismi già esistenti (USMI: Unione delle Superiore Maggiori; CISM: Conferenza Italiana
Superiori Maggiori; CIIS: Conferenza Italiana Istituti Secolari) e ad eventuali altri organismi rappresentanti le nuove forme di vita evangelica;
c) a quegli organismi diocesani di cui fanno parte o potrebbero essere chiamati a far parte anche i consacrati e le consacrate (ad
esempio: Centro diocesano vocazioni; Caritas; Centro missionario diocesano).
§ 1. La Chiesa ambrosiana raccomanda a quanti sono direttamente coinvolti nell'educazione, nella catechesi e nella pastorale
giovanile, di presentare anche la vita consacrata tra le scelte vocazionali. Momenti specialmente adatti a questo scopo sono la catechesi
individuale e di gruppo e l'accompagnamento spirituale. Nella stessa prospettiva di comunione, gli istituti di vita consacrata si preoccupino di
presentare ai ragazzi, adolescenti e giovani le diverse tipologie di vita consacrata e le altre scelte vocazionali.
§ 2. Presso le comunità di vita consacrata, i giovani trovino luoghi di preghiera e case di accoglienza dove possano sperimentare e
vivere un cammino di ricerca anche alla luce di uno specifico carisma e stile di vita.
§ 3. Il Centro diocesano vocazioni è strumento, sempre più da valorizzare, di pastorale unitaria per le vocazioni sacerdotali e di
speciale consacrazione con lo studio, l'animazione e il coordinamento tra i fedeli laici, i consacrati e le consacrate, i diaconi e i presbiteri
diocesani.
III. MISSIONE
§ 1. I consacrati per la missione nella comunione, secondo la propria connotazione carismatica, sono annuncio, diaconia,
testimonianza profetica della resurrezione. Vivano quindi la loro missione attestando il primato di Dio, attraverso una vita vergine, povera e
obbediente.
§ 2. La contemplazione di Dio e la perfetta carità, frutto della consacrazione, condurranno i consacrati e le consacrate a un'azione che
risponda in particolare alle urgenze dell'attuale momento storico: l'opzione preferenziale per i poveri, l'educazione dei giovani, la nuova
evangelizzazione, il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, l'attenzione ai non praticanti e ai non credenti, l'animazione evangelica
delle realtà temporali.
§ 3. L'attività apostolica degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica, vissuta secondo il proprio carisma, si attua nel
contesto della Chiesa particolare, precisato dal piano pastorale diocesano, a cui anch'essa fa riferimento secondo la normativa canonica(7).
Tale rapporto va particolarmente curato quando gli istituti religiosi e le società di vita apostolica assumono esplicitamente iniziative pastorali
della diocesi o collaborano a esse.
§ 1. La presenza di una comunità di religiosi e religiose sul territorio sia voluta prima per il suo essere segno, poi per le attività
apostoliche che può e deve operare, sempre in comunione e in armonia con il cammino della diocesi, tenendo conto delle progettazioni
pastorali del territorio.
§ 2. Gli istituti religiosi nelle loro comunità e nelle chiese da loro animate, favoriscano movimenti che si ispirano alla loro
spiritualità, incontri di preghiera, accoglienza a gruppi e accompagnamento spirituale.
§ 3. Siano incoraggiate anche forme di cooperazione tra comunità religiose e famiglie così che si sviluppi un reciproco aiuto e
sostegno a vivere ciascuno il proprio specifico carisma e insieme si realizzi una fattiva collaborazione come segno dell'unica carità.
§ 1. I religiosi che hanno responsabilità parrocchiali portano la testimonianza della consacrazione, la ricchezza della specifica
spiritualità, le attenzioni pastorali ed apostoliche tipiche del loro carisma, il richiamo alla dimensione universale della Chiesa, l'esempio della
vita comune e di una particolare forma di povertà.
§ 2. Pertanto, la Chiesa ambrosiana riconosce nella presenza di questi religiosi un fattore di arricchimento per tutta la sua vita
ecclesiale e, grata per la disponibilità e il servizio generoso svolto da questi presbiteri, li esorta a offrire in pienezza questa loro testimonianza.
§ 3. Nella conduzione pastorale della parrocchia loro affidata, i religiosi tengano presenti le tradizioni della Chiesa ambrosiana, ne
assumano il rito liturgico, impostino la pastorale sulle direttive diocesane, vivano volentieri i momenti di aggregazione con il presbiterio
diocesano.
§ 1. Il totale affidamento della propria vita nelle mani di Dio viene espresso dai membri degli istituti religiosi e delle società di vita
apostolica anche attraverso la disponibilità ad assumere e a lasciare gli incarichi pastorali loro affidati. Tale mobilità è un modo di vivere i
consigli evangelici dell'obbedienza e della povertà, che esigono la libertà del cuore anche nei confronti delle attività apostoliche.
§ 2. La Chiesa ambrosiana apprezza questa disponibilità e il non attaccamento al proprio incarico. Anche se è consapevole che la
continuità nel servizio apostolico è assicurata dalla comunità pur nell'avvicendamento dei singoli membri, chiede che, per il bene del popolo di
Dio, i competenti superiori prestino attenzione a evitare un eccessivo cambiamento dei religiosi e delle religiose a cui viene affidato un
incarico nell'ambito di una parrocchia (parroci, vicari parrocchiali e religiose dedite a opere parrocchiali).
§ 1. La notevole presenza in diocesi di istituti religiosi che, per carisma di fondazione, sono dediti all'evangelizzazione e al servizio
della carità esige un'ordinata collaborazione e un chiaro coordinamento sia tra gli stessi sia con la diocesi. Anche l'attuale carenza di vocazioni
e l'elevata età media comportano un ridimensionamento nelle presenze e nelle opere gestite dai religiosi e dalle religiose.
§ 2. E' necessario pertanto un coordinamento più intenso tra diocesi e istituti, e istituti fra loro, per un'equa presenza sul territorio,
nelle varie articolazioni pastorali (parrocchie, unità pastorali, decanati, zone), nei diversi ambiti di attività (quali: scuola, carità, sanità, cultura,
mass media) e per una decisione in riferimento alle opere e alle iniziative da assumere, lasciare o trasformare.
§ 3. Una modalità di questo coordinamento è data dalla costituzione di un osservatorio unitario, promosso dalla diocesi e dagli
organismi competenti (CISM, USMI, CIIS), destinato a raccogliere dati, a offrire criteri di valutazione sulle realtà esistenti e linee di indirizzo
delle nuove iniziative (cf cost. 123).
§ 4. Prima del ritiro di una comunità dal luogo o dall'ambito in cui essa opera, si consulti l'Ordinario diocesano; a consultazione
avvenuta, la decisione di soppressione sia comunicata, almeno un anno prima, agli enti e alle persone interessate, per favorire, se è possibile,
un passaggio graduale.
§ 5. Nel caso in cui un istituto decidesse di alienare un immobile non più utilizzato per le sue attività, è necessario che informi
previamente l'Ordinario diocesano al fine di valutare la possibilità che l'immobile venga acquisito da altri istituti o da enti della diocesi, per
essere ancora destinato ad attività ecclesiali.
§ 1. La vita consacrata femminile, sia a livello personale sia a livello comunitario, riveste oggi particolare importanza nel cammino
di quella rinnovata consapevolezza della identità, dignità e ruolo della donna nella società, nella Chiesa e nella vita religiosa stessa(8).
§ 2. Questa consapevolezza, divenuta partecipazione attiva alla vita della Chiesa e della società, porta un contributo originale e
diverso per una lettura più articolata, armonica, profonda della realtà. In tal modo il servizio alla persona e al suo globale sviluppo in tutte le
dimensioni che la caratterizzano, compresa l'apertura al Trascendente, grazie a ciò che è più tipico del femminile, si arricchisce di attenzioni
più concrete alla persona e alla sua singolarità.
§ 3. Tale apporto, che aiuta la comunità ecclesiale a percepire e a vivere meglio le risorse e le ricchezze della sua dimensione
sponsale e materna, scaturisca dall'atteggiamento di accoglienza attiva della Parola di Dio che si fa attenzione e diaconia.
§ 4. Affinché siano rimossi i residui di un passato che vedeva la donna consacrata più nella fase esecutiva del servizio che in quella
di progettazione e verifica, siano incrementate occasioni di dialogo e di esercizio della corresponsabilità, che coinvolgano le consacrate ai vari
livelli della Chiesa ambrosiana.
E' in atto nella nostra Chiesa particolare un vivo cammino ecumenico; è auspicabile che lo stile e le finalità del movimento
ecumenico vengano fatti propri dalle persone consacrate sia nel cammino formativo, sia nel dialogo e nell'accoglienza reciproca. Con i
consacrati e le consacrate di altre Chiese cristiane, o di altre religioni, si mantengano rapporti di stima sincera per una comune ricerca della
verità.
§ 1. La presenza dei consacrati e delle consacrate, addetti stabilmente a parrocchie o ad altri enti collegati con la diocesi, sia regolata
da una convenzione scritta, approvata dall'Ordinario diocesano e dai superiori maggiori. Tra i contenuti della convenzione sia specificato: il
rispetto per il carisma proprio dell'istituto, la concreta assunzione del piano pastorale diocesano, la specificazione delle condizioni economiche.
§ 2. Oltre a quanto stabilito dal Codice di diritto canonico e da altre fonti di diritto universale e particolare, siano osservate le
normative diocesane di carattere complementare emanate dopo il Codice di diritto canonico con i loro eventuali aggiornamenti e
modificazioni. Esse in particolare riguardano:
a) l'erezione, il cambiamento di destinazione e la soppressione di una casa religiosa(9);
b) i luoghi dove conferire i ministeri istituiti e gli ordini del diaconato e del presbiterato a candidati religiosi(10);
c) le funzioni di ministro straordinario dell'Eucaristia in favore delle comunità religiose femminili(11);
d) la figura della suora "assistente religiosa" negli ospedali;
e) il conferimento della facoltà di confessione ai presbiteri religiosi(12).
§ 1. Nella comunione di tutti i fedeli, a cui è affidata l'unica missione in virtù dell'unico battesimo, il Vescovo, che la sacra
ordinazione configura a Cristo Pastore nella pienezza del sacerdozio, ha dal Signore il compito di annunciare il Vangelo a credenti e non
credenti, e di ammaestrare, santificare, governare la Chiesa particolare. Collaboratori preminenti e necessari del ministero del Vescovo sono i
presbiteri che con lui formano un unico presbiterio.
§ 2. Il presbiterio opera nelle comunità locali, assicurando a ciascuna il servizio della presidenza che permetta loro di essere Chiesa
vivificata dalla Parola di Dio e dall'Eucaristia, con la guida pastorale del Vescovo e nella comunione ecclesiale. Nell'unico presbiterio
diocesano, oltre ai presbiteri incardinati nella diocesi, vi sono anche altri presbiteri, secolari e non, che esercitano nell'ambito della diocesi un
ministero su incarico del Vescovo.
§ 3. I diaconi nell'esercizio del ministero della liturgia, della Parola e della carità sono al servizio del popolo di Dio, in comunione
con il Vescovo e con il suo presbiterio. Mediante l'ordinazione sacramentale essi sono configurati a Gesù Cristo secondo una modalità loro
specifica: sono costituiti nella Chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e Servo di tutti e sono consacrati e mandati al servizio della
comunione ecclesiale sotto la guida del Vescovo con il suo presbiterio.
§ 4. Ogni presbitero e ogni diacono trova il riferimento normativo del proprio compito pastorale nella comunione con il ministero
autorevole del Vescovo.
I. IL PRESBITERO NELLA CHIESA PARTICOLARE
475. Dedicazione del presbitero a Cristo pastore nel servizio alla Chiesa particolare
§ 1. Il presbitero è anzitutto discepolo. Il modo con cui gli è chiesto di vivere da cristiano e di santificarsi è di unirsi sempre più a
Cristo lasciandosi configurare nello Spirito santo alla sua persona e partecipando alla sua missione di pastore.
§ 2. Il presbitero corrisponde alla sua vocazione amando e servendo la Chiesa con incondizionata fedeltà, dedicandosi al compito di
edificare nel Signore la comunità cristiana e di accompagnare i fratelli nel cammino della fede nelle attuali condizioni storiche.
§ 3. La dedicazione del presbitero diocesano alla Chiesa si esprime attraverso l'incardinazione “alla Chiesa locale e per suo tramite
all'intera Chiesa cattolica. Egli si mette al servizio della fisionomia propria che il dono di Dio assume attraverso l'evento della Chiesa locale. E
perciò ne studia la storia, ne ammira il volto spirituale, ne raccoglie l'eredità, ne sviluppa la vita, intessendo una ricca trama di rapporti con i
diversi membri della comunità”(1).
§ 1. All'interno della Chiesa particolare a cui il presbitero si è dedicato, egli è chiamato a coltivare un fondamentale rapporto di unità
e di collaborazione con il Vescovo, che si esprime innanzitutto con l'obbedienza.
§ 2. I presbiteri, in forza della scelta del servizio ecclesiale che qualifica la loro vocazione, si rendano disponibili agli incarichi che
l'Arcivescovo vorrà affidare loro, senza ricercare l'una o l'altra responsabilità pastorale per affermazione personale. Tuttavia, lasciandosi
guidare dalla sollecitudine primaria del bene della Chiesa, da anteporre a ogni desiderio personale, non temano di presentare all'Arcivescovo le
loro aspirazioni e i loro suggerimenti in ordine all'identificazione degli incarichi stessi.
§ 3. Il presbitero deve inoltre aderire costantemente al magistero e alle direttive pastorali del Papa e dell'Arcivescovo. A essi si
sentirà legato da vincoli di filiale rispetto, di preghiera, di ascolto e disponibilità a osservare le loro indicazioni, partecipando creativamente
alla missione pastorale.
§ 4. L'Arcivescovo abbia a cuore il rapporto personale con ciascuno dei presbiteri e da parte loro si cerchi sempre la confidenza nei
suoi confronti. Si tenda a vivere secondo questo stile di rapporti, nonostante la diocesi sia molto vasta e i presbiteri che in essa operano siano
numerosi.
§ 5. Per una vera collaborazione tra l'Arcivescovo e i presbiteri è necessario valorizzare sia le occasioni istituzionali (consiglio
presbiterale, altri organismi rappresentativi, visita pastorale, incontri per la formazione permanente e altri momenti analoghi) sia la mediazione
dei vicari episcopali e dei decani. In particolare, il vicario episcopale di zona, nel suo compito di coordinamento pastorale, si prenda a cuore
specialmente la cura dei presbiteri. Un'attenta conoscenza delle situazioni personali e pastorali dei presbiteri sarà favorita dalla disponibilità
dei presbiteri stessi.
§ 1. Riferimento imprescindibile e obiettiva condizione di comunione per i presbiteri è il presbiterio diocesano. Generato dalla radice
propria del sacramento dell'ordine, il presbiterio diocesano favorisce ed esige la comunione nell'esercizio del ministero, qualunque sia
l'incarico ricevuto da ciascun presbitero; più radicalmente crea tra i presbiteri legami di fraternità che non consentono divisioni, rivalità o
estraneità, ma sono principio di stima e aiuto reciproco per l'edificazione del popolo di Dio.
§. 2. Anche coloro che sono destinati a incarichi che non appaiano immediatamente come partecipazione alla comune azione
pastorale dovranno rendere visibile che il loro ministero è nella comunione del presbiterio. In tale comunione dovranno essere da tutti
riconosciuti. La cura delle forme di fraternità e di collaborazione possibili riguarda l'intero presbiterio.
§ 1. Il contesto immediato dell'esperienza spirituale ed ecclesiale del presbitero, è la comunità stessa in cui il vescovo lo ha mandato
a vivere il suo ministero. In forza del battesimo e secondo il dono dell'ordine sacro, il presbitero è chiamato a vivere la comunione fraterna con
tutti gli altri battezzati.
§ 2. L'esercizio maturo e creativo della fraternità tra presbiteri, diaconi, consacrati e laici offre al presbitero un modo originale e
autentico di vivere la propria umanità, connotata dal dono del celibato, attraverso il quale egli è "segregato" per il Vangelo (cf Rm 1,1) e
immerso in un ricco e stimolante contesto relazionale, ove “la carità si manifesta in un generoso accoglimento ed in un'infaticabile proposta di
rapporti”(2).
§ 3. Nell'esercizio del ministero loro affidato i presbiteri vivano come fratelli in mezzo ai fedeli la responsabilità ricevuta di guide e
pastori; riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei loro collaboratori, donne e uomini; tengano presente di non essere i soli
responsabili della comunità cristiana. Con tutti evitino uno stile di rapporti ispirati da superiorità o clericalismo.
§ 4. A nessun presbitero deve mancare una comunità di riferimento nella quale vivere come cristiano e come sacerdote, e con la
quale poter celebrare i momenti più importanti della vita liturgica della Chiesa. I termini del legame con essa, come responsabilità pastorale o
come semplice residenza, siano indicati nel conferimento stesso dell'incarico a ciascun presbitero.
§ 1. I presbiteri sono chiamati a collaborare con l'Arcivescovo, all'interno della Chiesa diocesana, nei più svariati incarichi. Ciò
comporta la delineazione di diverse figure di ministero presbiterale. Il ministero resta però unico in forza dello stesso sacramento dell'ordine e
del comune servizio alla stessa Chiesa ambrosiana, che configurano un unico presbiterio.
§ 2. L'unicità del ministero e la necessità che esso si realizzi nella fraternità presbiterale si esprime in modo particolare in quelle
modalità che costituiscono articolazioni del presbiterio diocesano: il presbiterio parrocchiale, quello delle unità pastorali e quello decanale, le
comunità di presbiteri per lo stesso ministero.
§ 3. Al servizio della Chiesa ambrosiana nei diversi incarichi sono chiamati o possono essere chiamati a partecipare, anche i
presbiteri appartenenti a istituti religiosi o a società di vita apostolica, come pure presbiteri secolari incardinati in altre diocesi o in prelature
personali.
480. Le figure del ministero presbiterale diocesano
Molteplici sono le figure attraverso le quali si esercita il ministero presbiterale. La maggior parte di esse sono presenti e operanti in
diocesi; altre interessano presbiteri incardinati nella nostra diocesi, ma chiamati a esercitare altrove il loro ministero. Il presente libro sinodale
delinea solo alcune figure ministeriali, descrivendole in riferimento ai relativi ambiti pastorali.
§ 1. Il presbiterio parrocchiale costituisce una essenziale articolazione del presbiterio diocesano e ne deve apparire espressione locale
attraverso la comunione e la comune azione, nel rispetto delle diverse responsabilità pastorali e giuridiche (cf cost. 144).
§ 2. La comunità dei presbiteri ricerchi la convergenza nel lavoro ministeriale, il confronto costante sui criteri di conduzione della
parrocchia, il sostegno spirituale tra i presbiteri. Si avrà perciò attenzione anzitutto a promuovere una vera pastorale d'insieme, mediante
attività e iniziative programmate in comune, in seno al consiglio pastorale, sotto l'autorità del parroco(3). L'intelligente fedeltà di ciascuno agli
orientamenti e ai programmi della pastorale diocesana sarà la più oggettiva ed efficace garanzia di questa comunione del presbiterio delle
parrocchie e della necessaria continuità pastorale, quando si verifica il cambio di qualche presbitero.
§ 3. La convergenza pastorale farà gradualmente maturare la necessità della vita fraterna, anche con momenti di vita comune, come
contesto per realizzare l'intesa nel presbiterio: ad esempio attraverso la concelebrazione in particolari occasioni, la liturgia delle Ore e la lectio
divina, la progettazione e la revisione comunitaria del lavoro pastorale, l'incontro alla mensa fraterna.
§ 1. Le diverse tipologie di unità pastorali (cf costt. 155-160) coinvolgono, talvolta, due o più presbiteri. Si può quindi parlare di un
presbiterio impegnato in un'unità pastorale. Visto che lo scopo del sorgere di un'unità pastorale è la collaborazione pastorale organica tra più
parrocchie, anche il presbiterio coinvolto in questa realtà dovrà caratterizzarsi per la sua forte capacità di comunione, di progettazione e azione
pastorale comune, insieme con gli altri soggetti coinvolti nella conduzione pastorale dell'unità (consigli pastorali, consacrati, laici impegnati in
ministeri). Il presbitero designato come responsabile dell'unità pastorale dovrà farsi carico, in particolare, anche dell'unità e della fraternità del
presbiterio impegnato nell'unità pastorale.
§ 2. Particolarmente significative come espressione del presbiterio sono le forme più organiche di conduzione di più parrocchie da
parte di un gruppo di presbiteri, sotto la guida di un moderatore(4). Si tratta di una possibilità prevista anche per una sola parrocchia, ma
particolarmente efficace nel caso delle unità pastorali. Anche per favorire la condivisione delle responsabilità e una autentica vita fraterna, il
gruppo di presbiteri vivrà forme significative di vita comune con modalità adatte alle circostanze.
§ 3. Il conferimento a un presbitero dell'incarico di vicario di più parrocchie, configurate in unità pastorale, per la cura di un settore
pastorale, avvenga sulla base di un progetto interparrocchiale chiaro, conforme al piano pastorale diocesano, stabilito con il vicario episcopale
di zona a cura dei parroci e dei loro consigli pastorali. Esso si esprima in una convenzione scritta, nella quale siano anche determinati con
chiarezza diritti e doveri, stabiliti momenti di programmazione e di verifica frequenti, indicata l'autorità di riferimento (normalmente il decano)
a cui il vicario di più parrocchie dovrà rispondere del compito che gli è affidato. Condizione indispensabile per il conferimento dell'incarico di
vicario di più parrocchie è non solo l'intesa tra i parroci, ma anche la maturità pastorale del presbitero prescelto. Pertanto non è opportuno che
riceva un incarico di questo genere un presbitero nei primi cinque anni di ordinazione.
§ 1. La grande inevitabile diversità dei decanati della diocesi si rispecchia anche nella composizione dei presbiterii decanali. Altri
infatti sono i rapporti di vicinanza e di ministero tra i presbiteri nei decanati della città di Milano, altri in quelli delle diverse zone della diocesi.
Altra la configurazione del presbiterio nei decanati dove la presenza di comunità di presbiteri religiosi è consistente, altra quella dove non lo è.
In alcuni decanati rurali o prealpini poi, il presbiterio decanale è in gran parte composto da parroci che portano da soli la responsabilità
pastorale delle loro comunità.
§ 2. Al di là di queste diversità, la Chiesa ambrosiana ritiene particolarmente importante e promettente questa struttura interna del
proprio presbiterio diocesano e la conferma quale luogo sia di fraternità presbiterale, sia di coordinamento pastorale e non solo organizzativo
del ministero, sia di formazione permanente del clero. La partecipazione ai momenti di incontro del presbiterio decanale deve essere costante e
il decano si faccia carico di favorirla e di richiederla a tutti i presbiteri.
§ 3. Il presbiterio decanale è particolarmente significativo come sostegno per i parroci nominati per più parrocchie. In concreto, sarà
necessario stabilire, a cura del decano, forme di collaborazione con gli altri presbiteri del decanato, sia per il necessario aiuto pastorale, sia per
evitare l'isolamento in piccole comunità, dove la possibilità di comunicazione sia scarsa o non sufficientemente stimolante.
§ 4. I presbiteri, residenti nel territorio di un decanato, impegnati in un ministero di carattere non parrocchiale (ad esempio
cappellani, rettori di santuari o chiese non parrocchiali, incaricati di settori pastorali a livello zonale o decanale), soprattutto se non residenti
presso parrocchie, sono chiamati a valorizzare al meglio la peculiarità del loro ministero sentendosi parte del presbiterio decanale, come luogo
in cui vivere una reale fraternità sacerdotale.
§ 5. Responsabile della comunione e della fraternità all'interno del presbiterio decanale è il decano, in comunione con il vicario
episcopale di zona, con i compiti che gli sono propri anche in riferimento ai presbiteri (cf costt. 161-164).
§ 1. In diocesi sono costituite vere e proprie comunità di presbiteri diocesani in vista di incarichi conferiti ai singoli, con
responsabilità diversamente articolate, ma nel contesto di una dedizione del gruppo in quanto tale a una determinata attività pastorale. Le
forme specifiche della loro vita comune hanno come primo criterio le esigenze del ministero. In particolare, ad alcuni presbiteri l'Arcivescovo
affida incarichi in ordine alla educazione nei seminari e nei collegi arcivescovili; ad altri presbiteri quelli di assistenti di associazioni di laici;
ad altri, infine, affida particolari settori della pastorale diocesana (ad esempio pastorale giovanile, pastorale universitaria).
§ 2. Queste comunità siano segno trasparente di una fraternità presbiterale che, a partire dall'unità nel ministero, si trasforma in
comunanza di vita. Dovrà essere loro cura custodire l'eloquenza di questo segno, senza chiudersi alla comunione più ampia con tutto il
presbiterio diocesano, del quale si sentiranno parte viva.
§ 3. Questi presbiteri, nel rispetto del loro impegno primario e secondo le indicazioni dei superiori competenti, possono essere
chiamati a varie forme, anche stabili, di collaborazione nella più generale cura pastorale della diocesi. Con il termine "superiori competenti" si
intendono qui: il rettore maggiore dei seminari milanesi, per i presbiteri addetti al seminario; il vicario episcopale di zona, per i collegi; il
vicario generale, per i presbiteri con altri incarichi diocesani.
§ 1. Del presbiterio della diocesi fanno parte anche i religiosi e i membri delle società di vita apostolica che partecipano del comune
sacramento dell'ordine. Essi realizzano il ministero offrendo il loro carisma, ricevuto per il bene della Chiesa cattolica, a servizio della Chiesa
particolare nella quale esso si attua e si compie. Sotto la guida e il discernimento dell'Arcivescovo, tali presbiteri, fatte salve le esigenze
proprie, svolgono le loro opere e promuovono la loro spiritualità nella comune azione pastorale della Chiesa particolare.
§ 2. La Chiesa di Milano riconosce questi presbiteri nella diversità e specificità dei loro carismi come una ricchezza per la Chiesa
particolare. Entro il presbiterio si coltiveranno rapporti di fraterna comunione e collaborazione pastorale tra presbiteri diocesani e religiosi, e
tra i presbiteri religiosi delle diverse famiglie. Sarà premura di tutti far tesoro delle istruzioni e delle norme date a questo proposito dalla Santa
Sede(5), delle indicazioni pastorali dell'Arcivescovo(6) e osservarle fedelmente.
§ 1. I presbiteri secolari di altre Chiese particolari o di prelature personali cui è affidato uno specifico ufficio nella Chiesa di Milano,
secondo convenzioni tra i rispettivi Ordinari, partecipano di tutti i diritti e i doveri dei presbiteri della diocesi e sono destinatari, a pari titolo,
degli orientamenti e delle norme del presente libro sinodale, salvo che la natura stessa delle cose chieda altrimenti.
§ 2. I presbiteri secolari di altre Chiese particolari o di prelature personali, che risiedano legittimamente per un tempo più o meno
prolungato nella diocesi per motivi diversi dall'assunzione di uno specifico ufficio diocesano, siano accolti con cordialità nella parrocchia e nel
decanato dove dimorano e siano invitati agli incontri di preghiera, di formazione e di fraternità, come tutti gli altri presbiteri residenti. Si
prestino con generosità alle collaborazioni pastorali loro possibili, entro i programmi pastorali della diocesi, del decanato, della parrocchia;
osservino le norme che regolano la vita dei presbiteri diocesani. Gli stessi presbiteri, come pure i parroci o i responsabili ecclesiastici
(diocesani o religiosi) del luogo dove essi dimorano, abbiano cura di segnalare la loro presenza all'Ordinario diocesano nella persona del
vicario episcopale di zona.
§ 1. In risposta a nuove esigenze pastorali o anche in accoglimento dei carismi dei presbiteri, si potranno configurare nuove figure di
ministero presbiterale. La non identificazione di queste nuove figure, se opportune o necessarie, non deve dipendere da forme di immobilismo
pastorale o di inerzia spirituale, dovute magari anche a mancanza di iniziative personali o di governo.
§ 2. L'Arcivescovo stesso, riconoscendo la presenza di nuove istanze pastorali nell'ambito della diocesi, può chiedere all'intero
presbiterio o a singoli suoi membri la disponibilità ad assumere nuove modalità di ministero presbiterale.
§ 3. Le esperienze maturate, la sensibilità pastorale, le stesse difficoltà superate possono portare anche singoli presbiteri a desiderare
e a configurare modalità nuove di ministero presbiterale. Tuttavia, nessuna nuova configurazione del ministero deve essere confusa con una
arbitraria progettazione di sé, indebolendo la responsabilità assunta nei confronti delle necessità della Chiesa. Il presbitero sappia comunque
tener conto delle istanze di quanti operano nell'azione pastorale con lui, subordinando al bene comune le proprie esigenze ed evitando pretese
intempestive e rivendicazioni impazienti.
§ 4. La determinazione di queste nuove modalità di adempimento del ministero non può non avvenire all'interno del presbiterio, ai
diversi livelli della sua articolazione, sotto la guida dell'Arcivescovo o di chi lo rappresenta nelle singole porzioni della Chiesa diocesana.
Secondo l'articolazione assunta dalla nostra diocesi, in questo discernimento deve essere coinvolto soprattutto il presbiterio decanale, sotto la
guida del decano e del vicario episcopale. Spetta al vicario episcopale insieme al decano, al presbiterio, al consiglio pastorale di decanato,
individuare eventuali figure di ministero sovraparrocchiale, incaricate della cura di settori specifici, verificando che la distribuzione dei
presbiteri e l'assegnazione di compiti particolari garantisca un adeguato servizio pastorale a tutte le comunità cristiane e non lo lasci mancare ai
settori per i quali è particolarmente necessario.
§ 5. Il consiglio episcopale, nelle articolazioni delle sue responsabilità, è riferimento autorevole per la verifica delle nuove
esperienze ministeriali nella diocesi, e a esso spetta garantire che queste si svolgano nella comunione ecclesiale e arricchiscano e rinnovino le
normali modalità di ministero.
§ 1. Là dove la fraternità presbiterale e il servizio pastorale ne possano essere avvantaggiati, si favoriscano esperienze di vita comune
tra presbiteri, dalla forma più semplice dell'unica mensa a forme più complete secondo diverse modalità appropriate al ministero diocesano.
Tali esperienze saranno fruttuose se le strutture destinate alla vita domestica dei presbiteri saranno pensate così da prevedere sia gli spazi
adeguati per la vita comune sia la necessaria libertà dei singoli presbiteri, garantendo per ciascuno un ingresso indipendente alla propria
abitazione e piena autonomia nei servizi fondamentali.
§ 2. La fraternità presbiterale si manifesti in particolare nei momenti della malattia e della convalescenza, come presenza amicale e
come aiuto concreto alla persona e al ministero. Rientra tra i compiti del decano prendersi cura dei presbiteri che si ammalino, segnalando alle
autorità superiori le necessità personali e pastorali insorgenti.
§ 3. Nei decanati si valuti l'opportunità di trovare o costituire un luogo dove i presbiteri possano pranzare insieme e avere occasioni
di uno scambio comune.
§ 1. La diocesi assicura a tutti i presbiteri attivi nel ministero o ritiratisi per motivi di salute o di età, la disponibilità di un'abitazione
sufficiente e decorosa. Tale disponibilità è gratuita e comprende anche le spese di riscaldamento.
§ 2. L'abitazione del presbitero sia dignitosa, ordinata, sobria, anche nell'arredo e nelle suppellettili. Sarà evidente segno di povertà
valutare la possibilità che nelle canoniche l'arredamento rimanga stabile, almeno per quanto riguarda le linee essenziali, in occasione
dell'avvicendamento dei presbiteri.
§ 3. Le spese sostenute dal presbitero nell'esercizio diretto del suo ministero, vanno a lui rimborsate da parte dell'ente, secondo le
disposizioni date dalla diocesi in riferimento alle diverse tipologie ministeriali.
§ 1. Poiché oggi è più difficile che ogni singolo presbitero possa usufruire del servizio domestico di qualche familiare o di persone
impegnate a tempo pieno, è necessario pensare a nuove forme di collaborazione familiare. Esse potranno essere svolte da persone che prestano
una disponibilità a tempo parziale, o che garantiscono a rotazione i servizi essenziali a più presbiteri.
Qualora la collaborazione alla vita domestica di un presbitero venga effettuata da una persona di famiglia, venga assicurata la libertà
dello stesso presbitero, soprattutto se giovane o anziano.
§ 2. Le persone impegnate nella collaborazione alla vita domestica dei presbiteri si distinguano per la loro discrezione, soprattutto se
prestano opera presso più presbiteri. Nei loro confronti dovrà sempre essere salvaguardata la giustizia con una adeguata e regolare
retribuzione, comprese le coperture previdenziali e assistenziali, secondo le normative vigenti. Nel caso in cui la collaborazione domestica sia
effettuata da volontari è necessario stipulare a loro favore idonee assicurazioni per il caso di infortunio. Affinché sia possibile garantire a tutti i
presbiteri un'assistenza domestica, è da ipotizzare un intervento diretto da parte dell'ente presso cui il presbitero esercita il suo ministero,
prevedendo a livello diocesano forme di sostegno e perequazione tra enti. Perché questo sia possibile, in genere bisognerà pensare a una
partecipazione nelle spese da parte della parrocchia stessa. Tenuto conto della varietà e della variabilità delle situazioni e delle norme del
diritto civile, la curia si farà cura di dare aggiornate indicazioni per un'equa distribuzione delle spese tra i presbiteri e l'ente presso il quale
svolgono il loro ministero.
§ 3. La collaborazione alla vita domestica dei presbiteri è da suggerire ai fedeli come una forma di attività ecclesiale oggi
particolarmente importante.
§ 1. Tutti i presbiteri abbiano ogni mese un giorno, ogni anno un mese di vacanza non cumulabili(7). Nel computo di questi periodi
non entreranno l'oratorio estivo o i campeggi parrocchiali. Il presbitero valorizzi al meglio tali periodi per riposo, esperienze pastorali o
amicizia fraterna.
§ 2. L'organizzazione di questi tempi deve essere garantita a ciascun presbitero da parte dei competenti superiori; in particolare, sia
premura dei decani di aiutare i confratelli nel predisporre adeguati turni o sostituzioni affinché in ogni parrocchia continuino a essere garantite,
pur con eventuali legittime riduzioni di attività e revisioni di orari, le indispensabili attività pastorali.
§ 1. Grande importanza per il singolo presbitero avrà la prima esperienza di ministero. Con particolare accuratezza i superiori
competenti studino la destinazione, tenendo conto delle esigenze e dei bisogni della diocesi, ma soprattutto prestando attenzione alle
caratteristiche del soggetto, del suo temperamento e della sua formazione.
§ 2. Compito del vicario episcopale di zona è garantire che la parrocchia e il parroco possano accogliere con la dovuta attenzione il
nuovo presbitero, assicurandogli una decorosa abitazione e tutti gli aiuti che facilitino l'avvio del lavoro pastorale.
§ 1. Il presbitero sa che ha ricevuto dall'Arcivescovo l'incarico ministeriale. Pertanto, egli si dedica con fedele generosità alla
comunità o all'ambito pastorale cui è destinato, mantenendo un atteggiamento di pronta disponibilità e filiale obbedienza al Vescovo, in ordine
sia a una fedele continuità, sia a eventuali cambiamenti di incarico pastorale. A loro volta le comunità sanno che i loro presbiteri sono inviati
dal Vescovo e per vocazione devono restare disponibili al servizio dell'intera Chiesa diocesana.
§ 2. Per favorire una dinamica reale di rinnovamento e impegnare alla necessaria vigilanza sul ministero, ogni incarico dei presbiteri
sarà sottoposto a una verifica periodica, soprattutto in occasione delle visite pastorali, e comunque non oltre il decimo anno dal conferimento o
dall'ultima occasione di analoga valutazione. La verifica verrà proposta tempestivamente a ciascun presbitero dall'autorità pastorale
competente, allo scopo di valutare insieme l'orientamento da assumere per il futuro, che sia a vantaggio del presbitero come della comunità. In
tale occasione i presbiteri rinnovino la reale disponibilità a qualsiasi servizio diocesano, professata nel giorno dell'ordinazione. La diocesi, in
ordine al governo pastorale e alla formazione di una nuova mentalità tra i presbiteri, valorizzerà le possibilità che offrono le nomine a tempo
determinato.
§ 3. In concomitanza con un trasferimento di ministero si verifichi l'utilità di riservare tempo ed energie per esperienze intensive di
formazione permanente.
§ 4. Nel caso di cambiamento di un incarico pastorale, si tengano pure in debita considerazione i problemi relativi alla sistemazione
abitativa, anche in relazione al coinvolgimento di familiari.
§ 1. Con l'avanzare dell'età, tenute presenti le condizioni della persona, è bene che il presbitero sia inserito in un ambito ministeriale
che lo sollevi da responsabilità istituzionali, ma gli consenta di svolgere ancora un'adeguata cura pastorale. Un clima di fraternità da parte dei
confratelli e dell'intera comunità cristiana accoglierà e valorizzerà questi presbiteri anziani.
§ 2. Il presbitero, impegnato in responsabilità istituzionali di ministero, al compimento dei 75 anni di età presenti per iscritto le sue
dimissioni all'Ordinario. In tale occasione l'autorità pastorale si faccia carico di valutare le diverse situazioni delle comunità e dei singoli,
adottando soluzioni favorevoli al bene di entrambi.
§ 3. Criterio fondamentale alla luce del quale interpretare i valori in gioco sarà il miglior bene della comunità. Questo spesso
chiederà un distacco anche fisico dalla parrocchia o dall'istituzione da cui ci si è dimessi: l'esemplare testimonianza di libertà interiore del
presbitero favorirà in questo modo la libertà della comunità e del successore. Talvolta il bene della comunità suggerirà come più opportuno che
il presbitero, alla conclusione del proprio incarico, continui a risiedere nella medesima parrocchia o presso la medesima istituzione, offrendo
con saggezza la disponibilità per un servizio disinteressato e discreto. In tal caso la comunità continui a circondare il presbitero anziano di
riconoscenza, stima, affetto, premura, e di quell'onore filiale che conosce anche le delicatezze della pazienza. Il presbitero garantisca al
successore non solo la più grande libertà di azione e un rispetto senza incrinature, ma anche la piena disponibilità dell'abitazione parrocchiale e
di ogni sede istituzionale.
§ 4. Una maggiore presenza di presbiteri anziani chiede alla diocesi di investire risorse predisponendo per loro abitazioni dignitose,
case del clero e simili. Essa si fa carico della assistenza e cura dei presbiteri infermi o invalidi sia attraverso forme già in atto come l'Opera
aiuto fraterno, sia impegnandosi a progettare eventuali altre forme, fiduciosa nella solidarietà tra i presbiteri stessi e i fedeli.
§ 5. Un particolare riguardo va usato nei confronti di familiari malati o anziani a carico del presbitero.
§ 1. La complessità delle situazioni pastorali, in cui è immerso il presbitero, il logoramento fisico e psichico, il contesto
socioculturale tormentato, accompagnati da un venir meno di tensione spirituale, possono provocare gravi difficoltà nella sua vita e nella sua
missione.
§ 2. Per superare positivamente i problemi, ritrovare la gioia della generosa dedizione agli impegni assunti e rigenerarsi nel
ministero, è necessario vigilare, ravvivando la memoria della fedeltà di Dio e della grazia dell'ordinazione, coltivando le relazioni di aiuto e le
forme di fraternità sacerdotale che sono in grado di sostenere la fatica della ripresa e il superamento della crisi. Riconoscere con sincerità e
tempestività il proprio grave disagio e ricercare i riferimenti autorevoli opportuni, consente spesso di risolvere in senso positivo anche le
situazioni più negative. Dal momento che tutto ciò non è sempre facile per chi si trova in situazioni di crisi, i confratelli si facciano carico di
essere loro vicini con premurosa attenzione.
§ 3. Il presbitero, anche nel momento della difficoltà e della crisi, abbia sempre coscienza del danno che l'abbandono del ministero
causa alla comunità cristiana, alla quale ha promesso di dedicarsi come un servo fedele.
§ 4. Qualora la crisi si concluda con l'abbandono del ministero, l'amore della comunità, degli altri presbiteri e, in primo luogo, dei
superiori, si esprima non solo nel rispetto della decisione presa, ma anche in una saggia vicinanza amicale che aiuti con discrezione ad
affrontare i numerosi problemi che si aprono nella vita di chi lascia il ministero, della sua famiglia e della comunità stessa.
§ 1. Il fondamento della spiritualità presbiterale è la comunione con Cristo nell'esercizio del ministero. Ogni azione del ministero
presbiterale, infatti, si propone come partecipazione all'azione salvifica di Gesù Cristo. In quanto compiuto in comunione con Gesù Cristo, il
ministero è diretto a santificare non solo i destinatari, ma anche chi lo compie. Coerentemente è dovere grave e insieme gioiosa possibilità per
il presbitero salvaguardare l'azione presbiterale in questa sua proprietà, senza consentirle di degenerare in atti puramente amministrativi, o
funzionali, o di routine. L'esercizio del ministero presbiterale è la via propria per la santificazione e, quindi, la spiritualità del prete.
§ 2. La complessità spesso logorante delle situazioni pastorali in cui vive il presbitero richiede l'umiltà del cuore, un cammino
infaticabile di conversione e la vigilanza indispensabile per rigenerarsi nel ministero, soprattutto nei momenti più difficili. L'inevitabile
frammentarietà della vita del presbitero esige di individuare un principio unificatore di tutta la sua esistenza, principio che risiede nella sua
unione a Cristo capo e pastore e nell'esercizio del suo ministero come ricerca della volontà del Padre, nel dono di sé per i fratelli e le sorelle
che gli sono affidati(8).
497. La povertà
§ 1. I presbiteri sentano l'urgenza di vivere la povertà di Cristo (cf Fil 2,5), per essere liberi e disponibili per la missione di edificare
la Chiesa, offrendo il segno di un'esistenza vissuta nella libertà dai beni e nella sobrietà, consapevoli della diffusa sensibilità a tale
testimonianza. Siano disposti ad assumere anche compiti non gratificanti. Con lieta premura vivano la mobilità nel ministero come concreta
forma di povertà e di carità pastorale, accettando con libertà interiore qualsiasi ufficio venga loro assegnato.
§ 2. Nel contesto della Chiesa ambrosiana, in un momento storico in cui convivono relativa abbondanza di risorse e nuove povertà
emergenti, pur apprezzando i beni creati come doni di Dio, i presbiteri vivano uno stile di vita dignitoso e sobrio, amministrino i beni
ecclesiastici nel pieno rispetto delle loro finalità e destinazioni, avvalendosi della competenza e corresponsabilità dei laici. Consapevoli che
queste risorse appartengono alla comunità e spesso sono frutto di rinunce dei fedeli meno abbienti, amministrino tali beni con il rispetto e la
diligenza del buon padre di famiglia, esercitino con attenzione le loro responsabilità, insieme con i consigli competenti, a norma delle leggi
ecclesiastiche e civili.
§ 3. Ottemperando alle direttive canoniche, amino testimoniare la libertà nell'uso dei beni non condizionando l'esercizio del
ministero a compensi e retribuzioni. Destinino quanto non è loro necessario, secondo il criterio di una ragionevole larghezza, alle opere di
carità, specialmente per i poveri, a sostegno delle opere di apostolato e per il culto divino(9).
§ 4. Il presbitero senta il dovere di fare testamento in spirito di povertà e carità, sia per esercitare una giusta libertà dai beni di questo
mondo, sia per adempiere a obblighi di giustizia. I parroci, in specie, ritengano impegno spirituale osservare le disposizioni diocesane circa il
deposito del testamento presso la curia.
§ 5. Abbiano cura delle nuove intuizioni spirituali che sorgono nel presbiterio, circa forme inedite di condivisione e di fraternità (ad
esempio forme di vita comune, presenza del presbitero in comunità di ricupero, ministero fra i terzomondiali). Personalmente siano pronti a
corrispondere, se si sentissero chiamati dallo Spirito, a forme più radicali di povertà nel ministero.
498. Il celibato
§ 1. I sacerdoti sentano la gioia di vivere il loro celibato come particolare consacrazione al Signore, come speciale partecipazione
all'amore totale di Cristo per la Chiesa e come condizione per una più libera dedizione al servizio dei fratelli.
§ 2. Per vivere coerentemente questo carisma, i presbiteri coltivino una intensa e personale amicizia con il Signore, favoriscano
esperienze di fraternità e amicizia all'interno del presbiterio e nella comunità cristiana, vincano le insidie dell'isolamento, trovino sostegno nel
giusto riposo, nella condivisione delle fatiche pastorali, nella correzione fraterna. Il celibato è una testimonianza forte per il popolo di Dio.
§ 3. Per corrispondere alle esigenze del celibato i presbiteri non trascurino quelle forme ascetiche che sono garantite dall'esperienza
della Chiesa e che, nelle odierne circostanze, non sono meno necessarie di un tempo. Giustamente gelosi della propria integrale donazione al
Signore, sappiano difendersi da quelle inclinazioni del sentimento che mettono in gioco un'affettività non sufficientemente illuminata e guidata
dallo Spirito e si guardino dal cercare giustificazioni spirituali e apostoliche per quelle che, in realtà, sono propensioni del cuore(10). La
condizione nuova e il nuovo clima, creatisi oggi per chi vive il celibato, oltre a esigere questa forte ed illuminata ascesi, richiedono pure una
continua ripresa e appropriazione personale delle motivazioni teologiche e pastorali sulle quali è fondata la prassi della Chiesa latina,
sollecitano a offrire una testimonianza rinnovata e credibile in mezzo al popolo di Dio, invitano a esercitare una prudenza vigile anche di
fronte ai mass media.
§ 4. Mentre vivono con gioiosa dedizione la loro vocazione, i presbiteri coltivino la stima per il matrimonio cristiano; onorino il
presbiterato e il diaconato uxorati delle Chiese orientali e il diaconato uxorato della Chiesa latina.
§ 1. Oltre alla povertà e al celibato, che costituiscono due aspetti oggi particolarmente significativi della spiritualità presbiterale, ci
sono altre dimensioni che entrano a configurare la vita secondo lo Spirito del presbitero. Esse nascono dal fondamento stesso di tale spiritualità
e sono da questo caratterizzate. Per una più puntuale e articolata descrizione di tutti questi elementi, il presbitero faccia doveroso riferimento ai
testi propri della spiritualità presbiterale e in particolare a quelli recentemente proposti dal magistero ecclesiale(11). Alla luce delle indicazioni
ivi emergenti, ne vengono qui richiamati alcuni.
§ 2. L'umanità del presbitero, resa progressivamente matura da una autentica esperienza spirituale, sia caratterizzata da un impegno
serio e costante per coltivare quelle virtù che, apprezzate giustamente nella società umana, costituiscono la completezza della maturità della
persona e permettono di esercitare il ministero pienamente inseriti nel popolo di Dio e consacrati all'opera per la quale il presbitero è mandato.
Tra queste virtù vi sono: la bontà d'animo, la lealtà, l'amore disinteressato del vero, la costanza, il senso di giustizia, il rispetto delle leggi, la
cortesia, il decoro personale, la discrezione nel parlare, il rispetto delle altrui opinioni, la fedeltà alla parola data, la capacità di dialogo, il serio
impegno nel proprio lavoro(12).
La comprensione di se stessi e delle proprie dinamiche d'identità e di relazione parte da una visione di fede della persona e della
vocazione: essa stessa esige di non prescindere da ogni altra mediazione che aiuti a interpretare il proprio vissuto. In questo senso il presbitero,
per una doverosa maturazione di sé e per il ministero, accolga e apprezzi le acquisizioni specifiche offerte dalle scienze umane.
§ 3. L'obbedienza, che concorre a determinare la figura propria del presbitero diocesano (cf cost. 476), come singolare esperienza di
fede e di libertà, custodisce e rafforza la necessaria unità del ministero a servizio della comunione fra gli uomini. Essa favorisce freschezza e
vivacità spirituali, l'ascolto dello Spirito nella missione, l'attenzione ai carismi altrui, una presidenza che sia umile servizio a un reale cammino
di Chiesa, ove la prudente e coraggiosa ricerca di vie nuove si componga con la vigile cura dell'insieme.
§ 4. Nella preghiera, il presbitero troverà forme e modi per custodire e unificare la sua esistenza ministeriale. Sappia perciò porre al
centro della sua esperienza spirituale la liturgia eucaristica; celebri la liturgia delle Ore, se possibile anche con altri presbiteri e altri fedeli;
coltivi la lettura della Bibbia e si eserciti, in particolare, nella lectio divina; partecipi a momenti di ritiro spirituale e, periodicamente, a corsi di
esercizi spirituali; dia il giusto valore anche ad altre forme di preghiera, senza tralasciare quelle tramandate dalla tradizione, vivificandole
anche secondo nuove forme, modalità e sensibilità.
§ 1. Nell'esercizio del ministero i presbiteri diocesani che lo desiderano possono utilmente partecipare alle associazioni sacerdotali
che esistono in diocesi e che siano approvate dall'autorità e in particolare agli “istituti secolari sacerdotali, che presentano come nota specifica
la diocesanità” (can. 713, § 3)(13).
§ 2. Nel rapporto tra la spiritualità del presbitero diocesano e il carisma dei movimenti, occorre evitare ogni dualismo, che sarebbe
comunque dannoso. L'eventuale partecipazione di un presbitero diocesano alla vita di un movimento “non deve ostacolare, bensì aiutare
l'esercizio del ministero e la vita spirituale che sono propri del sacerdote diocesano, il quale resta sempre il pastore dell'insieme”(14). Negli
stessi movimenti i presbiteri diocesani potranno anche trovare un clima favorevole e un sostegno ulteriore per la loro vita di fede, per la loro
fedeltà al Vescovo, per essere pronti a rispondere agli impegni del ministero.
§ 3. Per antica tradizione la Chiesa ambrosiana custodisce e propone un'originale forma di associazione, la Congregazione degli
Oblati dei SS. Ambrogio e Carlo che promuove l'edificazione personale dei presbiteri attraverso particolari forme di dedicazione alla Chiesa
ambrosiana. Essa ha come diretto referente l'Arcivescovo: a lui gli oblati sono legati dal voto di obbedienza (oblazione). La congregazione si è
storicamente configurata in differenti famiglie: la Comunità dei Padri Missionari di Rho; l'Istituto S. Ambrogio per le vicarie; gli Oblati
diocesani; la famiglia dei Fratelli Oblati.
V. IL SEMINARIO DIOCESANO
§ 1. Nell'ambito di una complessiva pastorale vocazionale (cf costt. 369-371; 465), educare e riconoscere le vocazioni al ministero
presbiterale è una responsabilità che i presbiteri condividono con tutto il popolo di Dio. Soggetto primo di tale promozione vocazionale, con la
famiglia, è la parrocchia nella sua ordinaria azione pastorale, soprattutto giovanile, con il contributo delle scuole cattoliche, di associazioni,
gruppi e movimenti e degli istituti di vita consacrata.
§ 2. La necessaria premura pastorale per le vocazioni al presbiterato diocesano sia coordinata entro i singoli decanati sotto la
specifica responsabilità di un sacerdote, in raccordo con gli organismi a ciò deputati: l'Ufficio per la pastorale giovanile e il Centro diocesano
vocazioni. Presentando la vocazione al presbiterato diocesano si abbia premura di tener conto delle altre vocazioni, sottolineandone la
complementarità per il bene della Chiesa.
§ 3. Il seminario, cui compete direttamente la formazione dei presbiteri, si renda disponibile per il confronto con gli educatori delle
parrocchie e i responsabili decanali e diocesani, e lo solleciti ove sia il caso, al fine di favorire l'armonia e la continuità tra le sue proposte e
quelle della pastorale ordinaria e di promuovere una corretta sensibilità vocazionale. Il seminario proponga incontri e strumenti didattici per i
ragazzi e i giovani, per aiutare la riflessione sulla vocazione sacerdotale e far conoscere i passi di avvicinamento per l'inizio di un cammino
seminaristico.
§ 1. La Chiesa di Milano conferma la scelta del seminario minore come naturale punto di riferimento degli altri possibili itinerari
vocazionali, tra cui le esperienze delle scuole vocazionali. Nell'ambito della pastorale ordinaria rivolta ai ragazzi e agli adolescenti è
incoraggiata la riflessione sulla dimensione vocazionale della vita cristiana e sono custoditi con cura i germi di vocazione al ministero ordinato
in qualunque età si manifestino. Il seminario minore deve essere proposto con coraggio e lucidità, come strumento privilegiato di
accompagnamento e di verifica vocazionale, offerto alle famiglie e dalle famiglie stesse scelto insieme con i propri figli, quando le condizioni
e la sensibilità del ragazzo e del suo contesto familiare lo rendano praticabile. La comunità del seminario minore, erede di una sapiente
tradizione, continuerà a innovare la sua proposta educativa, rispondendo alle esigenze dei tempi, al fine di educare il ragazzo, l'adolescente e il
giovane, accompagnandolo nel discernere se la prospettiva del presbiterato sia il modo a lui proprio di realizzare, nell'obbedienza della fede, la
propria personalità umana e cristiana.
§ 2. La cura dei giovani, che giungono a maturare le condizioni per la decisione vocazionale dopo l'età dell'adolescenza, è affidata
alla comunità propedeutica del seminario. Essa provvederà a garantire tutti gli strumenti educativi opportuni per il discernimento vocazionale,
la preparazione spirituale ed eventualmente scolastica, in vista dell'ingresso nel seminario teologico. Particolare attenzione dovrà essere rivolta
all'educazione dell'identità personale, alla componente affettiva della personalità e alla formazione di una rigorosa coscienza civile.
§ 1. Il progetto educativo del seminario diocesano, approvato dall'Arcivescovo, intende formare nei candidati al ministero la figura
del credente pastore, cioè del cristiano maturo in una fede capace di operare nella carità pastorale. Le linee pedagogiche tracciate nel progetto
educativo sono applicate secondo il regolamento di ciascuna sezione del seminario(15).
§ 2. Le tappe del cammino verso il presbiterato non sono comandate da ritmi automatici, ma dall'esigenza della verità
dell'educazione. La loro linea generale è scandita, secondo l'itinerario previsto dalla Chiesa, attraverso il biennio che prepara al rito di
ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato e il quadriennio teologico attraverso il quale si compie la formazione del futuro
pastore.
§ 1. L'ammissione alla sacra ordinazione, al termine del cammino di preparazione, condotto in piena e verificata libertà, coinvolge la
responsabilità dell'Arcivescovo, del rettore, degli educatori, dei presbiteri che hanno accompagnato il candidato, del popolo di Dio, secondo le
diverse competenze previste dal diritto comune della Chiesa e dalla tradizione della Chiesa ambrosiana, e i metodi di intervento nel
discernimento descritti nel progetto educativo del seminario.
§ 2. La Commissione arcivescovile de promovendis ad Ordines è uno dei mezzi di cui l'Arcivescovo ha facoltà di avvalersi per lo
svolgimento dello scrutinio circa le qualità richieste negli ordinandi(16). Essa rappresenta un significativo strumento ecclesiale attraverso il
quale, con il coinvolgimento del popolo di Dio, si possono acquisire ulteriori elementi utili per il discernimento sui candidati agli ordini sacri,
da parte dell'Arcivescovo.
I criteri di composizione della commissione, i suoi compiti e il suo metodo di lavoro sono descritti in un apposito regolamento
approvato dall'Arcivescovo.
§ 1. Particolare importanza ha il sesto anno di teologia, vissuto dopo l'ordinazione diaconale come anno di esercizio effettivo, benché
con ritmi speciali, del diaconato. Tramite esso, il seminario “continua a svolgere una funzione di accompagnamento pedagogico e di
verifica/discernimento dell'esperienza complessiva del soggetto che si dispone a ricevere il presbiterato” e “va considerato parte integrante
della formazione del curricolo di studio del seminario, e deve quindi essere espletato prima dell'ordinazione sacerdotale”(17). Continuano,
pertanto, in questo anno i normali riferimenti spirituali, culturali e disciplinari con la comunità educante del seminario.
§ 2. Incardinati nella diocesi e a suo definitivo servizio, i diaconi della VI Teologia ricevono direttamente dall'Ordinario diocesano la
destinazione pastorale.
§ 1. “Primo rappresentante di Cristo nella formazione sacerdotale è il Vescovo”. La sua presenza non solo mediata dagli educatori da
lui scelti ma anche personale e diretta “aiuta la comunità del seminario a vivere il suo inserimento nella Chiesa particolare” e “autentica e
stimola quella finalità pastorale che costituisce lo specifico dell'intera formazione dei candidati al sacerdozio”(18).
§ 2. Custode e promotore del progetto educativo del seminario è il rettore maggiore, al quale competono l'animazione e il
coordinamento di tutte le articolazioni del seminario diocesano e la sistematica comunicazione presso gli organismi diocesani.
§ 3. Nella conduzione pastorale del seminario, il rettore maggiore è assistito dal Consiglio di direzione del seminario; e, per gli affari
economici, dal Consiglio per gli affari economici del seminario, retti secondo le proprie norme interne. Altri organismi partecipativi, generali o
propri di ciascuna articolazione del seminario, sono previsti secondo le diverse necessità educative o funzionali.
§ 1. La diocesi garantisce al seminario una disponibilità qualitativamente e quantitativamente adeguata di presbiteri educatori. I
presbiteri per i quali il servizio in seminario è l'incarico pastorale prioritario (educatori a tempo pieno con incarichi direttivi ed educatori
insegnanti a tempo pieno) hanno il diritto e il dovere della residenza in seminario. La loro partecipazione diretta a diverse espressioni della
pastorale diocesana non sia di detrimento alla loro prima e specifica missione.
Il seminario cura con previdente attenzione la specializzazione dei propri educatori nei singoli settori, dispone condizioni e strumenti
per il loro lavoro, assicura un'effettiva disponibilità di tempo per la loro crescita culturale e pastorale.
§ 2. Gli insegnanti laici (uomini e donne), la cui presenza nel seminario è particolarmente significativa, fanno parte della comunità
educante nei termini previsti dal progetto educativo delle diverse articolazioni del seminario.
§ 3. A tutti gli educatori è richiesta la cordiale condivisione di tale progetto e la collaborazione competente e responsabile per il suo
continuo aggiornamento.
§ 1. E' compito delle famiglie cristiane favorire in ogni figlio la preparazione al proprio futuro e l'accoglienza della propria
vocazione. La famiglia è spesso il primo luogo in cui gli adolescenti e i giovani che vivono in seminario sono stati educati alla fede, hanno
intuito la loro vocazione e sono stati aiutati a corrispondervi dall'accompagnamento dei genitori. Questi talvolta devono percorrere un
cammino non privo di difficoltà e resistenze per comprendere, nella fede, la responsabilità di fronte a tale dono. In qualche caso l'opposizione
o lo scetticismo dei genitori rappresenta una delle difficoltà più rilevanti per chi intuisce di essere chiamato al ministero.
§ 2. I rapporti tra il seminario e le famiglie sono coltivati in modo da rendere il seminario attento alla ricchezza e ai limiti del legame
dei giovani con le famiglie e da aiutare queste a ripensare la loro fede, senza indebolire la partecipazione alla propria comunità parrocchiale.
Le proposte che il seminario rivolge alle famiglie dei seminaristi e le modalità di presenza delle famiglie nell'itinerario educativo che prepara
al ministero, siano custodite nella fedeltà al duplice criterio del coinvolgimento educativo e della libertà interiore, secondo le diverse forme
richieste dalla varietà sia delle situazioni familiari, sia dei livelli e delle tappe della formazione.
§ 1. Sono da favorire rapporti stretti tra il seminario e le parrocchie come segno di comunione nella responsabilità pastorale, come
occasione di aiuto reciproco secondo le possibilità e le competenze di ciascuna realtà ecclesiale, come occasione di richiamo vocazionale. In
particolare la presenza dei seminaristi, sia nelle parrocchie di origine sia nelle parrocchie e istituzioni in cui svolgono esperienze pastorali
secondo le finalità del progetto educativo del seminario, deve essere accolta come una grazia, valorizzata come motivo di riflessione
vocazionale, accompagnata con la preghiera e l'incoraggiamento di tutta la comunità.
§ 2. Tra gli strumenti per favorire i rapporti tra il seminario e le parrocchie e mantenere vivo l'interesse per il tema delle vocazioni al
presbiterato diocesano sono da privilegiare:
a) la Giornata per il seminario come occasione sia per coinvolgere l'intera comunità parrocchiale, momento qualificato di preghiera
per il seminario e per le vocazioni sacerdotali, sia per far conoscere il seminario stesso, la sua appartenenza alla diocesi e le sue proposte per
ragazzi e giovani in ricerca di un cammino vocazionale. In tale giornata si diano informazioni sulle necessità economiche del seminario e si
favorisca il responsabile contributo dei fedeli;
b) la Settimana di animazione vocazionale da proporre in ogni parrocchia, almeno ogni dieci anni, preferibilmente nel contesto di
avvenimenti o anniversari significativi per la sua vita. Il seminario diocesano si impegnerà a indicare modi e strumenti utili per lo svolgimento
di tale iniziativa;
c) l'associazione Amici del seminario, quale espressione dell'impegno di alcuni fedeli della parrocchia a sostegno del seminario e
delle vocazioni sacerdotali; si favorisca pertanto la sua costituzione in ogni parrocchia.
Sono da favorire forme di corresponsabilità dei sacerdoti della parrocchia nel discernimento e nell'accompagnamento personale dei
seminaristi. In particolare il parroco con il presbiterio parrocchiale:
a) corrisponda alle iniziative del seminario, intese ad associarlo nella formazione;
b) si preoccupi delle necessità dei seminaristi della parrocchia; alimenti con loro rapporti di dialogo cordiale; dia spazio, soprattutto
durante la vacanza, alla loro progressiva collaborazione pastorale e sappia valorizzarla, specialmente come testimonianza nei confronti dei
giovani;
c) esprima con responsabilità il giudizio richiesto all'atto dell'accettazione, durante il cammino e soprattutto al momento
dell'ammissione agli ordini sacri;
d) segua con speciale attenzione, in collaborazione con il seminario, gli alunni durante eventuali periodi di prova;
e) non manchi di assicurare, se necessario, un adeguato sostegno economico ai seminaristi della parrocchia.
§ 1. La formazione scolastica e culturale del seminario minore privilegia l'orientamento umanistico, avvalendosi dell'Istituto "Pio
XI" e della Scuola Media "San Martino", riconosciuti dallo Stato.
§ 2. La sezione parallela della Facoltà teologica, istituita presso il seminario maggiore della diocesi che ne fu la prima sede storica, è
chiamata a garantire una formazione fedele, aggiornata e approfondita ai futuri pastori, attraverso la coltivazione dell'intelligenza della fede
nelle diverse forme della "sacra doctrina". Essa tende a condurre gli alunni del seminario al grado accademico del baccalaureato.
In applicazione delle indicazioni e normative vigenti(19), la sezione è retta dal proprio regolamento, approvato dall'Arcivescovo.
VI. IL DIACONATO
§ 1. L'esperienza del diaconato permanente, resa di nuovo possibile dal Concilio e iniziata anche nella diocesi di Milano nel 1987, si
dimostra sempre più valida e nel contempo bisognosa di un ulteriore cammino per imparare a comprendere e integrare praticamente questo
ministero nel tessuto pastorale e comunitario della diocesi. La Chiesa di Milano accoglie gli orientamenti e norme stabiliti dalla Conferenza
episcopale italiana(20) e li applica secondo i criteri indicati nell'apposito direttorio diocesano.
§ 2. La responsabilità ultima per la formazione al ministero diaconale e per il suo esercizio è dell'Arcivescovo, che ordinariamente
esercita questa sua premura tramite il responsabile di nomina arcivescovile. Questa figura può opportunamente coincidere con quella del
rettore maggiore dei seminari, coadiuvato dai responsabili della formazione al ministero diaconale e della formazione permanente dei diaconi.
§ 3. Organismo collegiale che segue l'esperienza diaconale è il Consiglio per il diaconato, secondo le competenze ad esso
riconosciute nel direttorio diocesano. In particolare ad esso spetta:
a) animare la comunità diocesana all'accoglienza del diaconato e all'identificazione delle caratteristiche pastorali e spirituali dei
diaconi richieste dal contesto ecclesiale;
b) indicare e verificare l'itinerario formativo dei candidati al diaconato e seguire il loro inserimento nella pastorale diocesana.
514. Comunità ecclesiale e vocazioni diaconali
§ 1. La crescita del ministero diaconale si prospetta insieme come cammino delle persone dei candidati, e - se sposati - delle loro
famiglie, delle loro comunità e dell'intera Chiesa diocesana. Il discernimento della vocazione sul piano personale non andrà compiuto senza un
coinvolgimento comunitario in un esercizio d'immaginazione e di discernimento pastorale che garantisca le condizioni per un effettivo
ministero diaconale. Spetta, in particolare, ai decanati interpretare le proprie situazioni pastorali e individuare gli ambiti per i quali è necessaria
e opportuna la presenza di diaconi permanenti.
§ 2. Nelle normali attività di catechesi e di pastorale vocazionale, si sia attenti non solo a informare sul significato del diaconato
permanente, ma anche a formare l'intera comunità cristiana ad accogliere e valorizzare il dono di questa presenza. Tutto ciò si potrà meglio
realizzare quando l'esercizio di tale ministero sarà più diffuso e visibile.
§ 1. I candidati al diaconato permanente devono essere dotati delle virtù umane e cristiane che si addicono a tale ministero, che sono
richieste dal diritto comune e dal direttorio nazionale e diocesano. Abbiano un cammino spirituale solido, accompagnato da un direttore
spirituale saggio e sicuro. Se sposati, abbiano dato buona prova nella vita coniugale e familiare, vissuta come vocazione e scelta non
secondaria che intendono accrescere e qualificare. Se celibi, mostrino di scegliere con chiarezza e maturità il celibato per il regno e mostrino
una personalità cristiana armoniosa.
§ 2. Il diaconato sia cercato non per interessi personali, ma in una prospettiva di servizio alla Chiesa secondo il piano pastorale della
diocesi. Per l'accesso alla candidatura si tenga conto non solo delle intenzioni, ma anche dell'esercizio di fatto di compiti di responsabilità
pastorale nei quali i soggetti abbiano dato prova affidabile delle attitudini e disposizioni necessarie. Godano della buona stima della comunità,
della quale si fa garante il parroco, che li presenta ai responsabili incaricati dall'Arcivescovo per il discernimento e la formazione.
§1. Il tempo della formazione al ministero diaconale sia di non meno di tre anni, dopo i due anni di preparazione al rito liturgico di
ammissione tra i candidati. Il piano di studi si avvalga, di norma, dell'Istituto superiore di scienze religiose di Milano(21), o di altre istituzioni
analoghe. Un solido avvio agli studi teologici e pastorali sia proposto per tempo, e accolto con impegno e responsabilità. Negli incontri
formativi specifici a cura del responsabile diocesano, oltre a curare la formazione spirituale e pastorale, si integreranno in senso specificamente
diaconale i curricoli scolastici dei candidati. Non mancherà l'attenzione a coltivare il senso dell'appartenenza alla Chiesa ambrosiana anche con
l'accostamento alla sua storia e in particolare agli orientamenti più recenti della sua pastorale e alla tipicità della sua liturgia.
§ 2. Nella formazione spirituale dei candidati coniugati hanno incidenza peculiare il sacramento del matrimonio e la sua spiritualità.
Sia assicurata una particolare attenzione alle mogli dei candidati affinché crescano nella consapevolezza della vocazione del marito e del
proprio compito accanto a lui. La loro presenza premurosa, equilibrata e provvidenziale favorirà, con sensibilità e discrezione, la necessaria
originale sintesi tra vocazione diaconale e vocazione familiare(22).
§ 1. La destinazione pastorale dei diaconi, sia a servizio di una parrocchia sia in un incarico sovraparrocchiale o diocesano, venga
curata in modo tale da essere funzionale alla manifestazione del senso del ministero diaconale e non solo alle necessità immediate. Attraverso
figure diaconali esemplari più ancora che attraverso presentazioni teoriche, infatti, può essere fatto conoscere il senso di questo ministero con
il quale le comunità e gli stessi pastori sono ancora poco familiari.
§ 2. Passaggio delicato è l'inserimento del diacono nella comunità o nell'ambito di prima destinazione. I rapporti del diacono con i
presbiteri della parrocchia e con il presbiterio decanale e diocesano siano improntati alla stima per il comune dono dello Spirito ricevuto
nell'ordinazione, si esprimano in collaborazione convinta e docile, paziente e costruttiva. Ai diaconi nel decreto stesso del loro incarico
vengano attribuiti compiti corrispondenti alle capacità personali, alla condizione familiare, alla formazione, all'età, alle aspirazioni
riconoscibili come spiritualmente valide. Il loro ministero si svolga corrispondentemente alle attribuzioni riconosciute dal diritto della Chiesa.
§ 1. Una proporzionata rappresentanza spetta ai diaconi nel consiglio pastorale diocesano e nei consigli pastorali di decanato. I
diaconi destinati al ministero nelle parrocchie sono membri di diritto, come i presbiteri, del consiglio pastorale parrocchiale. Per i diaconi
destinati ad altri servizi ecclesiastici questa norma troverà applicazione per analogia, secondo la natura e le strutture dell'istituzione a cui sono
inviati dall'Arcivescovo.
§ 2. La presenza dei diaconi sia prevista nelle assemblee decanali del clero, e si presti ragionevole premura per il loro inserimento
effettivo, anche tenendo presenti i tempi dei loro impegni di lavoro. Per loro, come per i presbiteri, il decanato sarà il luogo fondamentale della
formazione permanente.
Economicamente i diaconi siano indipendenti, continuando di norma la professione che esercitavano prima del diaconato(23). Il
rapporto ministeriale stabilito dal sacramento dell'ordine e il rapporto di lavoro eventualmente sussistente con enti ecclesiastici siano
indipendenti. Alle parrocchie e agli enti che godono del ministero di un diacono compete l'obbligo di rimborsare le spese vive che egli dovesse
eventualmente affrontare per raggiungere il luogo del ministero e per il suo svolgimento, secondo criteri che saranno indicati in relazione al
decreto di incarico. Per tutte le questioni relative alla professione e all'inserimento responsabile nella società civile e politica i diaconi si
attengano alle direttive della Conferenza episcopale italiana(24).
La cultura contemporanea tende ad alimentare un'idea di libertà, di emancipazione, di autorealizzazione della persona, sganciata da
ogni criterio di valore stabile e oggettivo. Ne può conseguire una completa soggettivizzazione della morale, che insidia dall'interno la cultura e
la società attuale e che rende ardua l'evangelizzazione, perché si sostituisce la verità con l'opinione, la norma oggettiva con l'arbitrio, la
speranza escatologica con i desideri contingenti. Nelle stesse persone singolarmente considerate, possono convivere di fatto etiche diverse,
anche in conflitto tra loro, a seconda delle circostanze. Nella società sono sempre più assenti i valori cristiani, anche a causa della
inadeguatezza della presenza cristiana nell'ambito culturale.
§ 1. Il disorientamento che sempre si accompagna alle accelerate fasi di trasformazione è, nel nostro tempo, particolarmente
accentuato dalla contraddittoria pluralità di messaggi che si riversano sui singoli, alimentando la spinta verso il relativismo o il
fondamentalismo: a queste tentazioni non sfuggono neppure i cristiani.
§ 2. E' propriamente il relativismo etico a ispirare la mentalità dominante: malgrado l'opinione contraria, esso non aumenta i gradi di
libertà e di emancipazione della coscienza; rende invece gli individui più permeabili al potere delle suggestioni, delle emozioni, delle pulsioni
istintuali e degli egoismi; indebolisce le aspirazioni della ragione e del cuore; avalla il dominio della mentalità, secondo la quale ciò che è
tecnicamente possibile sarebbe per se stesso buono e doveroso(1).
§ 3. L'altra forma di reazione alla complessità delle sfide in atto è il fondamentalismo, cioè una riaffermazione rigida e schematica
dei propri punti di vista, senza alcuna capacità di ascoltare e dialogare con l'altro da sé.
§ 1. Negli ultimi tempi, in particolare, sono apparsi sempre più evidenti sia il significato sia la rilevanza sociale non solo delle
dimensioni umanistico-filosofiche, ma anche di quelle politico-istituzionali, economiche e scientifico-tecnologiche della cultura.
§ 2. La promozione di strutture istituzionali storicamente adeguate, senza le quali non risulta perseguibile il bene comune -
che è il fine di ogni organizzazione politica come viene indicato nell'insegnamento sociale della Chiesa -, costituisce oggi una delle principali
questioni culturali poste al paese.
§ 3. Il rilievo riconosciuto ai fenomeni economici e alla loro interdipendenza con quelli sociali ha portato, da un lato, a
valutare con maggiore attenzione la relazione tra risorse impiegate e risultati ottenuti e, dall'altro, a ritenere più importanti gli strumenti
rispetto ai risultati, i beni e le risorse rispetto alla persona, sulla base di presunte "leggi" economiche.
§ 4. Le scoperte scientifiche e le invenzioni tecniche del nostro secolo sono il mezzo con il quale l'uomo realizza la
"coltivazione e la custodia" del creato (cf Gen 2,15) e utilizza al massimo le potenzialità di intelletto che gli sono state donate, con grandi
benefici per l'umanità. Tuttavia, anche la ricerca scientifica, in quanto attività umana, deve sottostare ai criteri dell'agire morale e negarsi a un
senso di onnipotenza con il quale l'uomo - e soprattutto il ricercatore scientifico e l'operatore economico e politico - violerebbe la sua
essenziale condizione di creatura e si metterebbe in contraddizione con l'opera di Dio, smarrendo la distinzione tra possibile e lecito e aprendo
spazi a un diffuso ricorso a forme di irrazionalità, all'esoterico e al magico.
§ 1. Molteplici sono le trasformazioni in atto nella nostra società, con i vincoli e le possibilità che presentano sul piano economico,
sociale e politico-istituzionale. Tra queste si possono ricordare quelle che riguardano: il mondo del lavoro e dell'economia, con effetti
problematici sull'occupazione, la produzione, il reddito, la ridistribuzione, quindi sullo sviluppo e sull'equità; l'ingresso di nuovi immigrati da
molti paesi, con problemi di accoglienza, inserimento, convivenza multietnica e multiculturale; il sistema politico-istituzionale, in un momento
di profonda trasformazione; la crisi della legalità nella vita privata e pubblica; i rapporti tra le generazioni sotto il profilo demografico e
culturale.
§ 2. Tali trasformazioni, da una parte, sconvolgendo consolidate abitudini mentali e comportamentali, sollecitano la ricerca di nuovi
orientamenti di valore e di nuove soluzioni per i problemi che insorgono in ciascuno degli ambiti in cui si vive quotidianamente. In particolare,
sollecitano ognuno a riprendere coscienza di sé, della propria identità personale, sociale, politica, religiosa, delle proprie convinzioni ideali e
dei propri interessi, cioè dei presupposti che, in modo tacito o consapevole, orientano le singole scelte concrete.
§ 3. Dall'altra parte, l'intera società appare segnata da profonde disomogeneità e contraddizioni materiali e culturali: aree di
benessere convivono con sacche di povertà; gli orientamenti solidaristici sono oscurati da quelli egoistici; le aspirazioni a forme di vita più
sobrie stentano a emergere dal vortice dei modelli ultraconsumistici; la rivendicazione di sempre nuovi diritti è largamente disgiunta dalla
propensione ad assumere corrispondenti doveri.
§ 1. Nell'odierna situazione socioculturale, al di là della nostra consapevolezza, la cultura scientifica e tecnologica permea il modo di
vivere e la mentalità di ciascuno di noi, dispiegando le sue enormi potenzialità e sfide, che vanno continuamente comprese e incanalate.
§ 2. La società ambrosiana partecipa all'elaborazione, alla diffusione e alla fruizione della cultura scientifica e tecnologica, che
qualifica tutte le odierne società industriali avanzate. Nell'area metropolitana sono concentrate università, centri di ricerca, istituti di cura,
imprese industriali e culturali; ogni giorno migliaia di persone studiano e lavorano in queste istituzioni e concorrono direttamente allo sviluppo
del sapere tecnico-scientifico.
§ 3. I prodigiosi progressi del sapere scientifico e tecnologico nel campo della produzione energetica, della medicina,
dell'informazione, della comunicazione, dell'organizzazione produttiva e sociale hanno accresciuto in misura superiore a ogni aspettativa le
possibilità di controllo dell'ambiente naturale e umano; hanno esteso il potere e la responsabilità degli scienziati; hanno alimentato
nell'opinione pubblica la convinzione di una sorta di onnipotenza della scienza e della tecnica, con conseguenze altamente rischiose.
§ 1. All'oggettivo potere della scienza e della tecnica corrisponde talvolta un modo di procedere della ricerca scientifica e
tecnologica che non riconosce altro criterio che quello della possibilità pratica, dell'utilità, della funzionalità. Entro questa logica, ciò che è
bene e doveroso tende a coincidere con ciò che è tecnicamente possibile.
§ 2. Ciò non significa che gli scienziati, come singoli e come comunità professionale, non avvertano e non si pongano problemi etici
inerenti alla loro attività. Molti di essi si interrogano sul proprio modo di fare scienza, sulle proprie responsabilità di scienziati, sui criteri di
valore che debbono prevalere nei singoli casi concreti, sui dilemmi etici posti dalle nuove frontiere dell'ingegneria genetica e sul bisogno di
introdurre codici etici in questo campo specifico, come in altri campi.
§ 1. L'attuale contesto culturale e sociale, con le sue potenzialità e con le sue sfide, provoca anche la Chiesa ambrosiana. In
particolare, l'accentuato pluralismo dei modi di pensare, proprio della cultura contemporanea, chiede ai cristiani adeguate capacità di
discernimento ed esige di promuovere nella società la disponibilità all'ascolto e al dialogo, educando le comunità cristiane e i singoli a rendere
ragione della propria fede e della propria speranza.
§ 2. Senza cadere negli eccessi di una concezione localistica, alcuni aspetti della cultura ambrosiana, che ne delineano una identità
peculiare costruitasi nei secoli, come l'intraprendenza, la laboriosità, la concretezza devono essere colti e valorizzati dalla pastorale. In
particolare, la crescente presenza sul nostro territorio di molte etnie e religioni, pone alla nostra Chiesa l'urgenza di un'adeguata loro
conoscenza e la impegna a ricercare forme di confronto e di collaborazione, promuovendo la reciprocità secondo giustizia e assumendo un
atteggiamento che, pur attento alla loro fisionomia religiosa e culturale, non tralasci la testimonianza del Vangelo.
§ 3. La comunità cristiana, mentre apprezza e incoraggia lo sviluppo della ricerca, si impegna a dialogare con gli scienziati e con le
istituzioni scientifiche. Le domande di fondo sui confini tra il lecito e l'illecito, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male non trovano, né possono
trovare, risposte all'interno del solo orizzonte della scienza; esse chiamano in causa concezioni della vita, della natura, dell'uomo che
rimandano a visioni filosofiche, religiose, morali complessive. E' a queste domande di senso che la comunità cristiana è chiamata a offrire il
contributo della sua fede e del suo sapere; è su queste domande di senso che essa può e deve legittimamente intervenire. Il carattere pervasivo
della scienza e della tecnica nella vita quotidiana dei singoli e della società, rende necessaria non solo un'opera costante di dialogo e di
orientamento verso gli scienziati da parte dei responsabili della pastorale, ma anche un'opera di formazione ordinaria di tutti i fedeli nei
confronti del sapere scientifico e tecnologico.
§ 1. L'annuncio cristiano è verità che interpreta le esigenze dell'uomo. E' dunque necessario ricreare in tutto il popolo di Dio, con lo
specifico apporto degli operatori culturali, quell'alleanza tra fede e cultura che si è andata offuscando. All'uomo frammentato del nostro secolo,
la Chiesa deve offrire una visione unitaria della persona e del mondo, nella quale le varie culture trovano un solido fondamento.
§ 2. Il pluralismo etnico e culturale del nostro tempo domanda ai credenti di realizzare il necessario rapporto tra fede e cultura con
stili diversi e complementari:
a) un primo stile riprende l'insegnamento del Concilio Vaticano II sul dialogo, attraverso il quale la Chiesa incontra le domande che
oggi l'uomo si pone. Tuttavia, non è solo la Chiesa ad avere bisogno della cultura perché la sua fede non sia incomprensibile; anche la cultura
ha bisogno della Chiesa, quando sia presente la passione per la verità e per l'uomo. A tale proposito, sarebbe opportuno che uno stile di
reciproco ascolto tra credenti e non credenti si diffondesse nelle nostre comunità, eventualmente anche mediante apposite iniziative,
sull'esempio della Cattedra dei non credenti (cf cost. 45);
b) un secondo stile procede dalla certezza che la fede è capace di generare cultura: la civiltà europea non si può comprendere senza
la Bibbia e senza l'annuncio cristiano, che tutta l'hanno improntata; né si può capire compiutamente senza la Chiesa la storia del nostro paese.
Gli attuali problemi nazionali ed europei suggeriscono alla Chiesa spazi di incontro e occasioni preziose per contribuire alla crescita civile;
c) un terzo stile è quello che procede dalla consapevolezza che il rapporto con la cultura non può sottrarsi all'impegno di un esercizio
critico: la fede, infatti, non solo è chiamata a valutare criticamente la cultura, ma deve continuamente verificare il suo stesso modo di
rapportarsi con la cultura e di creare cultura.
§ 1. Nel contesto di una società in forte transizione, il popolo di Dio che vive nella diocesi ambrosiana è chiamato a verificare la sua
capacità di vivere la fede e di elaborare progetti e soluzioni pastorali volti a offrire il proprio specifico contributo per l'edificazione della città
dell'uomo. Questo compito richiede una rinnovata coscienza della vocazione missionaria propria di ogni discepolo del Signore. Partecipe della
missione della Chiesa particolare, ogni cristiano, segnatamente il fedele laico, esercita una vera corresponsabilità in rapporto alla società
umana. La sua azione si esplica in ogni area dell'esistenza (famiglia, lavoro, cultura, scienza, politica e altre) e quindi anche nelle strutture
dell'umana convivenza.
§ 2. I modi più opportuni di essere e di agire della Chiesa nel suo rapporto con la società - quali si ricavano dal magistero
dell'Arcivescovo, dalla riflessione teologica e dalla tradizione pastorale della nostra diocesi - possono essere espressi in queste consolidate
figure: l'annuncio della Parola che salva, la testimonianza della verità sull'uomo, la diaconia della carità per il bene comune, la capacità di
fermentare evangelicamente i rapporti e le strutture della società, il dialogo con le persone e le culture, il discernimento spirituale dentro la
complessità sociale.
§ 1. La comunità cristiana offre il suo contributo al bene della società anzitutto attraverso un'opera educativa, che di fatto conserva e
fa crescere il senso della dignità personale, del destino di ciascuno, dell'intima solidarietà che ci lega agli altri, in quanto figli del medesimo
Padre. Mantenendo anche operativamente vive queste dimensioni dell'esperienza personale e collettiva, la comunità cristiana concorre
all'edificazione dell'intera comunità umana.
§ 2. Le diverse opere sociali e culturali espresse dalle comunità parrocchiali, dalle associazioni, dai gruppi e dai movimenti sono
pietre vive dell'intero edificio sociale; formano un sistema dinamico che permea, silenziosamente ma efficacemente, la vita dei paesi e delle
città; rappresentano luoghi di formazione concreta alla responsabilità, alla partecipazione, alla solidarietà, che sono virtù di primaria
importanza per l'intera società.
§ 3. Tuttavia, la comunità cristiana si comporta spesso anche in modi fortemente inadeguati: corre il rischio di omologarsi ai miti,
alle passioni, alle divisioni proprie della mentalità corrente; sotto il profilo propriamente pastorale fa spesso difetto un'adeguata valorizzazione
dei carismi individuali e di gruppo, con il prevalere di logiche accentratrici, visioni particolaristiche e settoriali; sotto il profilo catechetico e
culturale, è spesso carente, nonostante tentativi in merito, l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa.
Già nel convegno Farsi prossimo (Assago, 1986), si chiedeva di suscitare energie e speranza per costruire, nella società, una città a
misura d'uomo e per iscrivere il progetto dell'uomo nel progetto di Dio. Questo sforzo si è concretizzato con proposte di vario tipo e livello, in
particolare con quelle per la formazione e il sostegno dei cristiani che intendono impegnarsi nel campo sociale e politico. Il compito educativo
della Chiesa in ordine all'impegno sociale e politico dei cristiani, se trova nella catechesi parrocchiale il suo imprescindibile momento basilare,
deve poter svilupparsi mediante l'azione di aggregazioni laicali cristiane popolari che aiutino a riacquisire verità e competenza e offrano
mediazioni concrete per vivere coerentemente la presenza cristiana nel mondo.
§ 1. Da più di un secolo si sono manifestate e sono cresciute nella Chiesa di Milano l'attenzione capillare alle esigenze vitali delle
popolazioni, una matura disponibilità al servizio e un orientamento allo sviluppo culturale e sociale. Si sono realizzate esperienze di
decentramento, di partecipazione e di corresponsabilizzazione attiva con forme di cooperazione e di volontariato caratterizzate dalla socialità,
dalla mutualità e dall'assenza di fini di lucro. In questo solco, accanto a quelle promosse da tanti altri soggetti, si pongono le numerose opere e
istituzioni della Chiesa ambrosiana in campo educativo, assistenziale, ricreativo e culturale.
§ 2. E' compito dei pubblici poteri riconoscere e promuovere tali diritti di cittadinanza. E' dovere della Chiesa garantire, nella
conduzione delle sue opere, il pieno sviluppo della persona umana e dei suoi diritti, nel leale rispetto delle giuste leggi civili, in uno Stato
fondato sui principi del personalismo, del pluralismo, dell'eguaglianza, della democrazia e della partecipazione.
§ 1. L'impegno comune a ogni ambito in cui è sollecitata l'attenzione pastorale, si configura non solo nella individuazione delle
priorità, ma anche nella ricerca di un metodo e di uno stile d'azione lungo tre direttrici:
a) la cura della dimensione sociale nella pastorale ordinaria, aiutando la comunità diocesana, in tutte le sue articolazioni, a farsi
carico della qualità sociale della convivenza umana, con il promuovere i valori della carità e della giustizia indicati dal Vangelo;
b) l'animazione cristiana degli ambienti di vita sociale, testimoniando la fede operosa che li evangelizza dall'interno, per irradiazione
e contatto;
c) la valorizzazione del carisma delle varie aggregazioni laicali, di movimenti e associazioni di ispirazione cristiana che operano nel
sociale e delle associazioni professionali cristiane.
§ 2. Con queste attenzioni, da tenere presenti in ogni ambito, si descrivono gli impegni della comunità ecclesiale in alcuni
luoghi specifici: nel mondo della cultura, del lavoro e dell'economia e della politica, in ordine all'amministrazione della giustizia, alla
promozione della pace, della giustizia e dei diritti umani e nei confronti dell'ambiente naturale e umano.
A. Il mondo della cultura
Per i discepoli di Cristo “nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”(2): perciò la cultura di ogni popolo
deve essere per loro una realtà da conoscere e apprezzare e con la quale dialogare con discernimento. Una pastorale che promuova
l'inculturazione della fede deve consentire alla Chiesa un rapporto, sia con il modo di pensare comune, sia con la ricerca scientifica, che ne
sveli il significato e le potenzialità, ma anche i limiti. La particolare, multiforme vitalità culturale di Milano, interpella la comunità ecclesiale,
impegnandola a una presenza pastorale a un livello profondo, sia nei confronti dei luoghi propri dell'elaborazione della cultura, sia mediante la
valorizzazione delle dimensioni culturali espresse al suo interno e nella sua vita ordinaria.
Insieme con il più vasto mondo della scuola (cf costt. 565-593), luoghi prioritari di elaborazione e di diffusione del sapere, come
pure di formazione critica, sono le università e gli istituti di ricerca. Protagonisti del dialogo tra la Chiesa e queste istituzioni sono soprattutto i
credenti che operano in esse: a loro si domanda di testimoniare, con il rigore della ricerca e la coerenza della vita, il valore della fede,
l'impegno di vivere la cultura come ricerca della verità e come servizio all'uomo, aprendosi alle domande ultime e fondamentali e ad un
rinnovato dialogo tra ragione e fede e tra tecnica ed etica.
L'Università Cattolica del Sacro Cuore, che nella nostra città ha avuto le sue origini e conserva la sua sede principale, dà un
contributo scientifico e svolge un lavoro di formazione umana, cristiana e professionale a vantaggio dei giovani, di educazione permanente e di
diffusione culturale tali da meritare da un lato ampio riconoscimento da parte della diocesi, dall'altro un'azione di stimolo e di sostegno
convinto, perché l'Università stessa sia sempre più punto di riferimento privilegiato per il dialogo tra fede e cultura.
§ 1. L'elaborazione e diffusione di una cultura cristianamente ispirata può legittimamente percorrere due vie: quella che, realizzando
il pluralismo nelle istituzioni, consente un dialogo e un confronto proficui tra culture diverse; e quella che, nell'ambito del pluralismo delle
istituzioni, rende possibile l'attività di organismi che, nel rispetto della libertà degli operatori, assumono un orientamento culturale di chiara
ispirazione cristiana.
§ 2. Tra gli organismi per l'elaborazione e la diffusione di una cultura cristianamente ispirata, sono attive nella nostra diocesi
prestigiose istituzioni, a cominciare dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Anche numerose comunità di vita consacrata, scuole, organismi
associativi, movimenti, unioni professionali e studentesche sono luogo di elaborazione culturale, non solo a favore dei partecipanti, ma anche
dell'intera comunità cristiana e civile. Non vanno, quindi, trascurati i contributi culturali specializzati che tali realtà apportano, anche in forza
della loro attività in ambito nazionale e internazionale. Risulta perciò raccomandabile sostenerne l'operosità, favorendone il reciproco
arricchimento mediante il dialogo, lo scambio e il coordinamento su temi comuni anche con le istituzioni culturali laiche.
§ 1. Il compito dell'evangelizzazione delle culture ha trovato nella nostra diocesi utili strumenti nei Centri culturali cattolici,
organizzati da tempo nel Coordinamento diocesano. Per la loro tensione missionaria e in quanto strumenti per aiutare le nostre comunità a
riflettere e a discernere, essi svolgono un'azione propositiva che, in sintonia con la pastorale della diocesi, deve caratterizzarsi per la serietà e la
continuità della presenza a ogni livello del territorio. Ogni centro culturale cattolico si impegnerà negli ambiti della mediazione tra fede e
cultura, educando a un uso critico dei mezzi espressivi oggi più diffusi, quali il cinema, il teatro, la televisione e la stampa, in collaborazione
con enti e strutture già operanti in ambito ecclesiale e civile.
§ 2. Anche la sala della comunità, capillarmente presente in diocesi, è uno dei luoghi privilegiati per la mediazione culturale,
qualificando così anche l'impiego del tempo libero. Nata come risposta al bisogno di aggregazione, di sano divertimento e di espressione della
fantasia creatrice, particolarmente nell'ambiente oratoriano, essa deve aprirsi sempre più a orizzonti vasti che vedano l'intera comunità
coinvolta in incontri di stimolo e di verifica della fede, di dialogo con la società civile, di confronto con la cultura contemporanea, nella
valorizzazione anche, dove è possibile, dell'espressione cinematografica e teatrale (ad esempio per mezzo delle compagnie filodrammatiche).
Perché tutto ciò possa più facilmente realizzarsi, è opportuno che, accanto alla sala della comunità e in stretta connessione con essa, si preveda
la presenza di biblioteche e di sale di lettura efficienti e aggiornate.
§ 1. L'esperienza della fede e la sua comunicazione hanno sempre trovato nel linguaggio simbolico dell'arte un'espressione singolare:
qui il dialogo tra fede e cultura è stato decisivo nella storia dell'Occidente e ha trovato una sua specifica espressione nelle celebrazioni
liturgiche. Oggi non sembra che ciò si realizzi in modo efficace ed esteticamente apprezzabile. Le giuste esigenze di comprensione e di
comunicazione producono talora celebrazioni liturgiche nelle quali i segni adoperati non risultano capaci di quella forza evocativa che è
propria del linguaggio simbolico; anche il livello, a volte modesto, delle produzioni di arte sacra - edifici di culto, arredi, immagini, testi,
musiche - attesta la distanza che oggi intercorre fra l'esperienza estetica e quella religiosa.
§ 2. Le nostre chiese e le nostre liturgie restano innanzitutto luogo di celebrazione del mistero di Cristo: ma le espressioni artistiche
possono ancora aiutare le comunità cristiane a comprendere, e gli artisti a esprimere, il trascendente, se la Chiesa sarà capace di rinnovarne la
lettura, rivalutando anche le forme e i gesti della pietà popolare. In questa prospettiva la formazione estetica del presbitero, già dagli anni del
seminario, e quella del popolo cristiano sono necessarie e urgenti alla trasmissione del mistero cristiano.
§ 3. La creazione artistica, inoltre, è certamente un luogo di incontro significativo tra credenti e non credenti. Nell'auspicabile
dialogo con l'arte e con gli artisti contemporanei, suggerito già da Paolo VI, la comunità cristiana si assuma il compito di commissionare opere
e architetture che siano anche in futuro segni espressivi e religiosamente corretti, tanto del nostro sentire che dell'esprimersi artistico del nostro
tempo.
541. Coltivazione e conservazione della memoria storica
§ 1. Gli individui e le comunità non vivono senza memoria storica, perché in essa ha radice la loro identità. E anche la Chiesa trova il
suo fondamento nella viva memoria della sua storia di salvezza che l'Eucaristia attualizza. E' dunque compito della comunità cristiana coltivare
ogni memoria storica: perciò tutte le testimonianze, in quanto danno forma e sostanza alla memoria, ricevano una attenzione particolare.
§ 2. Le comunità cristiane avranno cura di conoscere e di far conoscere i contenuti iconografici, teologici, biblici, i valori storici e
artistici dei beni loro affidati, per l'animazione della cultura del nostro tempo e per affinare, insieme con la sensibilità dei fedeli, la capacità
espressiva degli operatori, ai quali si possa affidare, perché lo rendano "parola visiva" rivolta alle generazioni future, il nostro messaggio di
fede e di salvezza.
Tutto il contesto milanese e lombardo, in questi decenni, vive processi di cambiamento molto profondi in ordine al senso del lavoro.
Per rendere efficace l'evangelizzazione in tale contesto è necessario, in primo luogo, tener conto dei problemi culturali e strutturali che
riguardano rispettivamente la centralità e il senso del lavoro, la valorizzazione delle capacità imprenditoriali, le innovazioni organizzative del
lavoro a livello mondiale, l'introduzione di nuove tecnologie, i ricorrenti fenomeni di disoccupazione e, di conseguenza, i nuovi costi umani e
sociali a carico dei lavoratori. Si tratta dunque di individuare “gli aspetti più lontani dalla prospettiva antropologica del Vangelo (...) e
intervenire con una coerente e comunitaria testimonianza cristiana”(3).
§ 1. Alla oggettiva rilevanza del lavoro nella vita delle persone, oggi di fatto corrisponde un'effettiva disattenzione nei suoi confronti
a livello culturale, sociale e politico. Anche la Chiesa ambrosiana riconosce una carenza pastorale, che si riscontra soprattutto nelle comunità
parrocchiali e contraddice la forte tradizione di viva sollecitudine per la realtà del lavoro.
§ 2. Si pone, dunque, con urgenza la necessità di un annuncio cristiano, precisato costantemente dal magistero sociale della Chiesa,
che presenti l'attività lavorativa, anche nelle forme più umili, come il luogo di santificazione e di missione per il cristiano che fatica, si
mantiene e si realizza, offrendo il proprio contributo alla società e alla crescita della solidarietà.
§ 3. Il tema del lavoro sia presente negli ordinari programmi formativi dei fedeli laici, sia giovani sia adulti, mentre specifici itinerari
di approfondimento siano previsti, di norma, a livello sovraparrocchiale.
§ 4. Il processo formativo che la diocesi si impegna a favorire tenga conto delle motivazioni reali per cui donne e uomini oggi
lavorano e delle effettive condizioni di lavoro in cui si trovano a vivere, per ricercare e proporre vie e modelli praticabili, che esprimano la
spiritualità e le virtù del lavoro e sviluppino un'assunzione di responsabilità in tale ambito.
§ 1. La comunità cristiana e tutti i soggetti impegnati nell'economia e nel lavoro devono, con coerenza e continuità, annunciare e
testimoniare, nella produzione e nella distribuzione della ricchezza, la centralità della persona e il valore della “solidarietà intesa come
orizzonte di futuro, come corresponsabilità globale di tutti per il bene comune”(4). Questi sono i principi permanenti della dottrina sociale
della Chiesa, che i credenti sono chiamati ad assimilare e a diffondere “come una morale sociale che prospetta per tutti gli uomini ideali storici
concreti (...) e impegno per "utopie realistiche" come la visione di una nuova umanità (...) e per l'affermarsi pur circoscritto dei valori del
regno”(5).
§ 2. La prospettiva ideale da perseguire resta quella di “una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione”(6):
prospettiva che riconosce l'utilità del mercato, ne chiede il controllo da parte delle forze sociali e dello Stato, esige che l'azienda “non sia
considerata solo come società di capitali, ma di persone” responsabili e tra loro cooperanti e ripropone la “necessità di un grande movimento
associato dei lavoratori, il cui obiettivo sia la liberazione e la promozione integrale della persona”(7).
§ 3. La Chiesa ambrosiana si impegna, dunque, a far conoscere e a promuovere un'effettiva cultura di solidarietà fra quanti operano
nel mondo del lavoro, utilizzando per questa causa anche i mezzi della comunicazione ecclesiale: omelie, catechesi, pubblicazioni,
testimonianze di singoli, spazi di ospitalità su stampa, radio e televisione.
Una particolare cura pastorale va rivolta ai giovani lavoratori e agli allievi delle scuole professionali, in cordiale collaborazione con
le associazioni competenti, che vanno sostenute e incoraggiate in questo prezioso e delicato compito formativo. In particolare:
a) per gli adolescenti che, dopo la scuola, sono in procinto di entrare nel mondo del lavoro, si studino e si promuovano opportune
attività formative a livello parrocchiale o decanale. Essi siano seguiti e sostenuti nel difficile inserimento nel mondo del lavoro con iniziative
specifiche che li illuminino nelle scelte e nelle motivazioni, li introducano alla scoperta del senso e del valore del proprio lavoro, li aiutino a
conoscere l'ordinamento relativo al rapporto di lavoro, li aprano a esperienze associative legate alla loro nuova condizione (cf costt. 188-241);
b) le scuole professionali dipendenti da enti religiosi e da associazioni cristiane ricerchino forme di coordinamento, almeno a livello
locale, con la pastorale giovanile e del lavoro, per garantire una adeguata cura pastorale ai propri allievi e una favorevole accoglienza nella
comunità cristiana.
§ 1. Espressione della tensione missionaria della diocesi è la pastorale sociale e del lavoro, coordinata dall'apposito ufficio
diocesano, finalizzata a promuovere la missione ecclesiale nel mondo del lavoro e dell'economia, così come è stata delineata precedentemente.
In particolare, tale pastorale si impegna nell'educare alla spiritualità del lavoro, nell'animare cristianamente il mondo del lavoro, nel valorizzare
l'apporto delle aggregazioni laicali nello stesso ambito.
§ 2. La comunità cristiana può dare un contributo fondamentale nell'aiutare ogni persona a riscoprire e a vivere non solo il senso del
lavoro (cf cost. 543), ma anche la sua spiritualità. E' una spiritualità che aiuta “tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio Creatore e
Redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell'uomo e del mondo e ad approfondire nella loro vita l'amicizia con Cristo”(8).
§ 3. La comunità cristiana, inoltre, è chiamata a sostenere una presenza significativa dei cristiani nel mondo del lavoro, attraverso
una specifica animazione dello stesso. A tale scopo, essa impegna e sostiene gli operatori in campo sociale, economico e sindacale, a realizzare
scelte professionalmente valide e coerenti con la fede. In tal modo la Chiesa si rende presente dove operano i fedeli laici: nelle fabbriche, negli
uffici, nelle attività terziarie, nella ricerca tecnologica, nell'organizzazione sindacale, nel momento contrattuale e progettuale, nella formazione
professionale e nell'avviamento al lavoro, accanto a chi entra nel lavoro, a chi ne esce e a chi lo attende.
§ 4. Per alimentare l'animazione cristiana in ambito lavorativo, la comunità cristiana promuova, inoltre, iniziative specifiche, quali
ad esempio:
a) incontri con le diverse categorie di lavoratori;
b) riqualificazione degli interventi religiosi in particolari occasioni, anche dentro le fabbriche;
c) formazione di gruppi di pastorale in ambienti di lavoro, che si propongano di testimoniare una fede adulta e rispettosa;
d) interventi di solidarietà nelle situazioni locali di crisi occupazionale.
§ 5. L'azione pastorale nel mondo del lavoro e dell'economia si manifesta anche attraverso la valorizzazione e la promozione delle
aggregazioni laicali, stimolando tutti a irradiare nella società un modo di vivere ispirato dal Vangelo e curando in modo particolare quei
soggetti più direttamente e fattivamente impegnati sul fronte dell'evangelizzazione in tale ambito.
§ 1. La politica è, nel suo senso più alto, la modalità attraverso cui arrivare alla ricerca e alla costruzione del bene comune, impresa
resa oggi problematica dall'aumentata complessità e frammentazione degli interessi e delle appartenenze sociali nonché dal prevalere di visioni
marcatamente individualistiche dei diritti e dei doveri.
§ 2. I profondi mutamenti in atto nel complesso dei rapporti tra cittadino, società, istituzioni politiche richiedono una pluralità di
forme di organizzazione della rappresentanza politica, non riducibili solo allo strumento partito. Da un'idea di politica intesa come delega,
occorre passare a una concezione in cui la costruzione del bene comune avvenga attraverso la partecipazione di ogni cittadino in forme
individuali o associate, in modo da esercitare un effettivo controllo sulla classe politica e da far valere una maggiore autonomia della società
rispetto al potere politico-amministrativo.
§ 1. Nell'odierna congiuntura, più che in altre occasioni storiche, i cristiani sono chiamati a dare un volto alla comunità politica in cui
vivono, sapendo che ciò che più mina ogni forma di civile convivenza è la chiusura su di sé e sui propri interessi. Per dare volto alla comunità
politica, oggi è necessario coltivare la consapevolezza che la politica non è un'attività sottratta alle responsabilità degli individui e dei gruppi
che compongono l'intera società. Quanto più cresce la coscienza della politica come strumento, con cui la società disegna il proprio futuro,
tanto più l'azione dei cristiani è chiamata a realizzare il valore della partecipazione responsabile.
§ 2. Nella loro azione politico-sociale i cristiani, aperti alla collaborazione con tutte le persone di buona volontà, devono ricercare il
confronto e la collaborazione tra di loro in una "tensione unitiva" fondata sul comune interesse per il bene dell'uomo e della società, sulla
ricerca di una comune valutazione del momento storico circa le tendenze in atto nella cultura e nella società, sulle indicazioni della dottrina
sociale della Chiesa, sulla testimonianza di un servizio onesto e disinteressato.
§ 1. Nella convinzione che la politica è un modo esigente di vivere la carità(9), i fedeli si dedichino con intelligenza, competenza e
onestà alle diverse forme di impegno civile, ben sapendo che tutto ciò, per noi cristiani, è un luogo di testimonianza di valori che superano le
contingenze economiche e politiche, per rendersi disponibili a tutti.
§ 2. Sia valorizzata e perseguita la partecipazione diretta e responsabile alle associazioni di carattere sociale e politico, agli organi di
amministrazione della cosa pubblica, alle iniziative che contribuiscono all'estensione dei diritti e doveri di cittadinanza. A questo scopo si
richiedono:
a) uno stile di vita che renda visibile e credibile l'idea della politica come servizio;
b) l'adesione a quelle forme istituzionali che segnano il definitivo tramonto di posizioni di sudditanza a favore di forme più avanzate
di vera cittadinanza;
c) l'apertura della nostra comunità locale e nazionale verso forme più ampie e integrate di democrazia politica ed economica;
d) la promozione di forme di cooperazione e di solidarietà con regioni e paesi economicamente più svantaggiati.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, in particolare, auspica che i cristiani e tutte le persone di buona volontà operino efficacemente per il
costante miglioramento delle istituzioni pubbliche e della organizzazione dello Stato ravvisandovi la condizione per una maggiore libertà e
giustizia, a vantaggio di tutti i cittadini, specialmente di quelli più deboli.
§ 2. Non poche disfunzioni della pubblica amministrazione dipendono dal generale allentamento dello spirito di servizio alla
collettività. Nell'ambito dell'opera educativa della comunità ecclesiale, perciò, va sviluppata la formazione etico-politica, già in parte avviata;
vanno inoltre rivalutate e incoraggiate le scelte professionali più direttamente attinenti al funzionamento delle istituzioni pubbliche.
§ 3. Per un'efficace azione educativa, seguita da saggi interventi operativi, sembra opportuno utilizzare maggiormente gli strumenti
culturali già oggi a disposizione, attivando eventualmente apposite iniziative sul versante della problematica politico-amministrativa.
§ 1. Espressione basilare della responsabilità del cristiano nei confronti della società politica è il rispetto delle leggi dello Stato.
Specie in un momento storico come quello presente, caratterizzato da diffusi e deprecati aspetti di crisi della legalità, è compito urgente della
Chiesa richiamare ogni cristiano al dovere di rispettare le leggi, quale espressione imprescindibile dei suoi doveri morali verso la società tutta.
§ 2. Il discernimento critico, che la coscienza cristiana deve costantemente esercitare per ciò che riguarda le forme civili della vita
comune, comporta tuttavia in qualche caso il dovere morale di formulare obiezione di coscienza nei confronti di ciò che la legge umana
chiede. L'eventualità si è recentemente realizzata, per ciò che si riferisce all'interruzione volontaria della gravidanza. Non si può escludere che
essa si verifichi in futuro per altre materie, specie per quelle connesse con altri ambiti del rispetto della vita umana (eutanasia, pratiche di
sterilizzazione a scopo contraccettivo, pratiche di fecondazione artificiale).
§ 3. Il ministero pastorale curi la formazione della coscienza morale del cristiano, in modo che essa sappia distinguere tra leggi
umane e leggi di Dio e sappia, quindi, fare dell'obbedienza incondizionata alla legge di Dio il criterio di giudizio per quel che concerne sia
l'osservanza delle leggi umane, sia le scelte da fare di fronte a proposte di abolizione o di radicale riforma di leggi che la coscienza cristiana
non può approvare.
§ 1. L'amministrazione della giustizia civile, penale, amministrativa è una delle strutture essenziali della convivenza sociale. Anche
in questo ambito deve essere custodita la centralità della persona. La Chiesa ambrosiana, in tutte le sue componenti, e non solo con i cappellani
e i volontari impegnati nel mondo carcerario, deve sentire come grave l'impegno di affrontare, in modo evangelico, anche questo aspetto della
società.
§ 2. Perché l'amministrazione della giustizia sia valido strumento per una ordinata e costruttiva convivenza e sia insieme veramente
rispettosa della persona, la comunità cristiana, ispirata al principio della solidarietà, deve promuovere e favorire una riflessione che aiuti a
ripensare e a umanizzare le strutture penali, perché esse raggiungano sempre meglio il loro scopo. Per questo, la comunità cristiana deve
ritrovare la propria capacità di discernimento critico nei confronti delle istituzioni giudiziarie e delle strutture penali attuali e, per quanto è di
sua competenza, deve proporre nuove forme di intervento che diano ai cittadini colpevoli di reato, sempre e a tutti, la reale possibilità di
rieducarsi e reinserirsi nella società. Si impegni inoltre, con la riflessione e l'attività, perché si realizzi una giustizia vera e per tutti, anche in
campo civile e amministrativo. Una giustizia che sia capace di tutelare i diritti di ciascuno e la civile convivenza, aperta alla speranza e rivolta
alla riparazione, alla ricostruzione, e non alla punizione e distruzione dell'uomo e della donna condannati e incarcerati.
§ 3. I cristiani si sentono costantemente impegnati a ricordare a tutti la dignità di persona, propria di ogni uomo e donna, al di là dei
reati commessi e delle pene ricevute: anch'essi, oltre al dovere della riparazione, conservano il diritto di realizzarsi sia sul piano personale che
sociale e sono chiamati, come tutti, alla salvezza.
§ 4. La Chiesa ambrosiana, inoltre, ponga attenzione agli importanti problemi di etica professionale, che spesso coinvolgono gli
operatori della giustizia (come: magistrati, avvocati, forze dell'ordine, operatori volontari).
§ 5. Per dare maggiore incisività e organicità all'attenzione della comunità ecclesiale nei confronti dei diversi ambiti
dell'amministrazione della giustizia, è necessario delineare una specifica pastorale, che preveda la cooperazione di tutte le forze operanti in
questo campo.
§ 1. La Chiesa ambrosiana si sente impegnata sui grandi temi della pace, della tutela dei diritti della persona umana e della giustizia,
non solo in campo internazionale, ma anche nel proprio ambito, consapevole che il territorio della diocesi, pur caratterizzato da generale e
diffuso benessere, è tuttora percorso da forti disuguaglianze di vita e di opportunità e abitato da vecchi e nuovi poveri. Ai problemi di reddito
che si aggravano in ogni periodo di crisi, infatti, se ne aggiungono sempre di nuovi, quali la povertà derivata da mancata istruzione, da
emigrazione, da dipendenza da droga o da altre sostanze, da solitudine, da dissesto familiare.
§ 2. I cristiani e le comunità si impegnino per progettare e realizzare, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, iniziative concrete
che promuovano una maggiore giustizia e non si limitino ai pur doverosi interventi assistenziali. In particolare, sentano il dovere di impegnarsi
a favore di politiche sociali che abbiano a cuore il bene di tutti i cittadini e che si prendano cura dei veri e concretissimi bisogni dei più poveri
e dei più piccoli.
§ 3. Le comunità cristiane, infine, siano di stimolo alla promozione di progetti che favoriscano una nuova socialità nei quartieri, nei
cortili e nei grandi caseggiati, soprattutto nelle periferie urbane; quanto più robuste e vitali saranno le relazioni tra le persone, tanto minore sarà
il rischio di cadere vittime di vecchie e nuove povertà.
§ 1. Mentre le comunità della nostra diocesi vivono in un contesto di benessere diffuso e di abbondanza di risorse, la condizione
dell'umanità è tuttora fortemente caratterizzata dal divario tra i diversi popoli. L'emigrazione dal terzo mondo verso la nostra regione è solo un
segnale di questo squilibrio. La comunità cristiana diocesana sente il dovere di partecipare attivamente alle iniziative volte a far prendere
coscienza delle cause del sottosviluppo e a far chiarezza sui troppo spesso disconosciuti rapporti di subordinazione dei paesi poveri nei
confronti dei paesi ricchi.
§ 2. In particolare, i cristiani, senza farsi scoraggiare dalla complessità e dalla vastità di tali problemi, si impegnino per ricercare e
mettere in pratica, nel quotidiano, nuove forme di un uso equo e solidale delle risorse. Si stimoli pure la formazione di comunità di famiglie o
di persone, che scelgano di condividere le proprie risorse e di adottare forme di riduzione dei consumi e degli sprechi, per essere in grado di
sostenere iniziative di solidarietà e di sviluppo del terzo mondo.
§ 1. Si senta sempre forte il dovere di informarsi seriamente sulle radici dei conflitti, analizzandone la complessità ed evitando
semplificazioni. Si promuovano, e si estendano in diocesi le iniziative di incontro diretto e di aiuto concreto alle vittime più deboli dei conflitti:
profughi, bambini, donne e anziani.
§ 2. La Chiesa ambrosiana valorizzi tutte le forze e i movimenti che operano con gesti concreti per la pace. Collaborando con essi e
anche grazie all'azione di strutture di coordinamento, operi efficacemente per stimolare una riflessione e un impegno più attenti e costanti circa
i temi della pace.
La salvaguardia della vita umana, il rispetto delle libertà personali, la garanzia della difesa nei confronti di minacce interne e esterne
esigono certamente mezzi efficaci, in grado di rendere effettivi questi valori. Oggi ancora appare purtroppo inevitabile prevedere come
possibile anche il ricorso alle armi, quale estrema risorsa per contrastare il sopruso e la violenza, soprattutto quando essi siano consumati a
danno dei deboli e nei casi del cosiddetto intervento umanitario. La coscienza cristiana riconosce, quindi, che anche il servizio militare può
essere, in linea di principio, una modalità del servizio del cittadino al bene comune, alla giustizia e alla pace. La comunità cristiana, per parte
sua, si adoperi a promuovere adeguati percorsi di formazione e di accompagnamento per i giovani che svolgono il servizio militare.
§ 1. Il rifiuto del servizio militare in favore di un servizio civile, quando sia accompagnato da adeguate motivazioni, è scelta che
realizza una testimonianza di particolare valore in favore della causa della pace e della solidarietà.
§ 2. Negli attuali ordinamenti legislativi italiani non sembra che una tale scelta realizzi sempre adeguatamente la figura morale
dell'obiezione di coscienza. Tuttavia, essa chiama comunque in causa la coscienza del cristiano. Per questo motivo, le singole comunità
cristiane si adoperino perché le scelte in questo ambito siano guidate da motivazioni limpide e autentiche.
§ 3. Occorre dunque che la coscienza sia educata e costantemente verificata nel riferimento alla verità e alla giustizia, valori ad essa
assegnati e non invece da essa creati. Così formata, la coscienza del giovane potrà anche esprimere e motivare una scelta come quella del
rifiuto del servizio militare. Quella scelta sia vissuta come testimonianza di una speranza e insieme come decisione in favore di un valore
fondamentale, quale è quello della vita, come opportunità per dedicarsi positivamente alla causa di una società solidale, della pace e del
dialogo.
§ 4. I percorsi formativi dei giovani, nel rispetto di una scelta diversa, illustrino le positive ragioni in favore dell'obiezione di
coscienza al servizio militare. Il servizio civile, svolto in alternativa a quello militare, concorre a forgiare uno stile di vita non occasionale, non
limitato nel tempo, ma tale da accompagnare tutto l'arco dell'esistenza: pensiamo ad atteggiamenti come la disposizione al confronto con tutti,
la dedizione generosa alle necessità comuni, specialmente di chi è nel bisogno.
§ 5. La Caritas diocesana, impegnata a titolo particolare in questa materia, continui a operare per formare i giovani a una coscienza
dell'obiezione con adeguati percorsi educativi e offra agli obiettori autentiche esperienze di servizio; eviti in tutti i modi che una tale scelta
profetica venga svilita o consenta soluzioni di comodo (cf costt. 128-129).
§ 1. La Chiesa ambrosiana, consapevole dell'esigenza di salvaguardare il creato e interpellata dalla situazione in cui versa l'intero
ecosistema, intende applicare i tre criteri etici proposti dai Vescovi lombardi(10) per guidare l'intervento dell'uomo sull'ambiente, e cioè:
a) il rispetto: le possibilità che il Creatore ha immesso nell'ambiente naturale vanno custodite, per cui si richiede che ogni intervento
venga attentamente valutato non solo in base a considerazioni di tipo economico, ma anche con attenzione ai connessi rischi di degrado;
b) la moderazione: l'ecologia deve diventare solidarietà e la moderazione nel consumo deve farsi condivisione, poiché molte risorse
naturali non sono rinnovabili e, quindi, non possono essere sottoposte a uno sfruttamento indiscriminato;
c) l'attenzione alla qualità della vita: l'intervento dell'uomo deve essere rispettoso anche dell'ambiente vitale quotidiano, con
particolare riferimento ai rischi legati all'uso di sostanze nocive, all'urbanizzazione selvaggia delle periferie, alle zone ad alta densità di
popolazione e a quelle fortemente industrializzate.
§ 2. Le comunità cristiane educhino i fedeli, sin dall'età giovanile a uno stile di vita più sobrio e attento all'uso dei beni,
all'accettazione di eventuali limitazioni o di sovracosti finalizzati alla difesa dell'ambiente e allo sviluppo di una mentalità attenta alla
questione ambientale, nella consapevolezza che la sensibilità ecologica rettamente intesa fa parte dei doveri del cristiano.
§ 1. L'incidenza della problematica culturale sulla pastorale e la funzione che Milano è venuta assumendo come centro di creazione
culturale suggeriscono un intervento di razionalizzazione, coordinamento e promozione delle molteplici iniziative culturali di cui la nostra
Chiesa è ricca. A tale scopo si istituisca un apposito organismo diocesano, il quale possa avvalersi degli apporti di una apposita Consulta, nella
quale siano rappresentate le principali istituzioni culturali presenti in diocesi. Tra i suoi compiti rientrano i seguenti:
a) promuovere l'animazione culturale di ispirazione cattolica; coordinare le attività culturali di istituzioni, centri culturali e scuole,
anche in fraterna collaborazione con le comunità cristiane non cattoliche;
b) favorire una presenza ecclesiale negli ambienti culturalmente significativi, per una evangelizzazione della cultura attraverso il
dialogo con le istituzioni accademiche, professionali e culturali laiche;
c) studiare opportune e aggiornate forme di sostegno finanziario, a beneficio di ogni settore della pastorale della cultura.
§ 2. Nell'ambito della pastorale della cultura e in collegamento con il suddetto organismo diocesano, vanno valorizzati:
a) la Consulta diocesana per la pastorale universitaria, nelle quali sono rappresentati le cappellanie universitarie, le associazioni e i
movimenti del settore, i pensionati e i collegi universitari, in vista di un coordinamento delle loro attività;
b) il coordinamento diocesano dei Centri culturali cattolici;
c) il coordinamento delle Unioni professionali cattoliche.
§ 3. Soprattutto in vista della realizzazione di specifiche iniziative, il suddetto organismo diocesano per la pastorale della
cultura attui opportune forme di collaborazione e di coordinamento con altri organismi o uffici interessati al mondo della cultura (ad esempio
Archivio e Museo diocesani, Ufficio per i beni culturali, Ufficio per la pastorale scolastica, Ufficio per le comunicazioni sociali).
§ 1. La comunità cristiana si impegna a stimolare e a valorizzare tutte le istituzioni universitarie operanti sul territorio diocesano -
cominciando dall'Università Cattolica del Sacro Cuore - perché, con la loro elaborazione critica del sapere e la loro azione formativa,
contribuiscano alla crescita della sua capacità di essere presente evangelicamente nella società civile.
§ 2. Più specificamente, alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale e all'Istituto superiore di scienze religiose di Milano si chiede
che si impegnino a promuovere, secondo la peculiarità di ciascuna istituzione, una comprensione cristiana del momento presente, anche per
fornire degli indirizzi per la prassi pastorale.
561. Uffici e organismi di pastorale sociale e loro coordinamento
Gli uffici e gli altri organismi che hanno attinenze con la pastorale sociale siano coordinati, sia a livello diocesano, sia a livello di
strutture periferiche, specialmente decanali.
§ 1. L'Ufficio diocesano per la vita sociale e il lavoro è la struttura specifica della diocesi ambrosiana per la promozione della
presenza della Chiesa nel mondo del lavoro e dell'economia, così come è delineata nel presente libro sinodale. Esso si attivi per garantire
concreti percorsi formativi sia ai laici che operano nel mondo del lavoro e dell'economia, sia ai presbiteri nel quadro della formazione
permanente e, insieme con l'approfondimento comunitario dei documenti del magistero sociale, affronti anche la trattazione dei temi sociali
che hanno maggiore rilievo nel dibattito culturale e nella prassi pastorale.
§ 2. L'Ufficio diocesano per la vita sociale e il lavoro è coadiuvato dalla relativa consulta diocesana, al fine di realizzare un rapporto
di arricchimento e di collaborazione reciproci e di coordinamento per attività comuni, soprattutto con movimenti, associazioni, enti ed
organismi di ispirazione cristiana, statutariamente legati al mondo del lavoro e dell'economia.
§ 1. L'educazione all'impegno sociale e politico comprende, come suo momento specifico e particolarmente significativo, la
conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, il cui studio e la cui diffusione vanno organicamente innestati nella catechesi ordinaria e nella
formazione seminaristica. A questo fine, è opportuno approntare strumenti rigorosi, sintetici e in costante aggiornamento, per la diffusione dei
principi di riflessione, criteri di giudizio, direttrici d'azione, in cui si concreta la dottrina sociale della Chiesa.
§ 2. Sulla base della formazione offerta dalla catechesi parrocchiale si innestano le scuole diocesane di formazione all'impegno
sociale e politico, come itinerari di secondo livello. Loro compito è quello di formare i fedeli all'esercizio delle responsabilità civico-politiche
attraverso la coltivazione di motivi di spessore vocazionale e di conoscenze e giudizi di valore ispirati alla dottrina sociale della Chiesa. Le
scuole hanno carattere permanente e si svolgono su base decanale o interdecanale.
§ 3. Si auspica, in coerenza con l'apposita nota pastorale della Conferenza episcopale italiana(11) e nel solco di una collaudata
tradizione diocesana, un organico piano di attività, di carattere eminentemente spirituale, per illuminare e sostenere i cristiani dediti ai più
diversi servizi sociali, sindacali, politici.
§ 4. Le predette scuole diocesane di formazione all'impegno sociale e politico, come pure le già accennate iniziative spirituali per i
cristiani impegnati nel sociale e nel politico, che devono essere prese in attenta considerazione da parte delle comunità parrocchiali, trovano
attuazione più efficace a livello decanale o interdecanale, tramite un'apposita commissione che faccia riferimento al consiglio pastorale di
decanato. All'apposita Segreteria diocesana spetta il compito di coordinare tali iniziative e di preparare strumenti e sussidi formativi adeguati.
Sia precipua cura di chi coordina questi percorsi formativi di qualificarli sul piano spirituale e di affiancarli con la proposta di itinerari e di
esperienze che possono educare a vivere la radicalità del Vangelo, con la coerenza richiesta al cristiano impegnato in politica o in ruoli di
responsabilità civile ed ecclesiale.
La Commissione diocesana "Giustizia e pace" ha come compito proprio l'elaborazione e la proposta, a servizio sia dell'Arcivescovo
sia dell'intera comunità ecclesiale e civile, di riflessioni su problemi di singolare rilievo diocesano, di preferenza nuovi e controversi,
riconducibili all'orizzonte della solidarietà, del bene comune, della pace, della giustizia, dei diritti umani, della salvaguardia del creato.
§ 1. La Chiesa ambrosiana ha sempre avvertito che l'educazione costituisce un aspetto importante della sua missione di
evangelizzare gli uomini e le donne di ogni tempo. Essa riconosce che nella scuola si compie, in larga misura, la formazione della persona, con
il conseguente sviluppo e potenziamento delle capacità relazionali, logiche, critiche, fruitive e produttive. Pertanto sente il dovere di educarsi e
di educare a una coscienza di viva responsabilità nei confronti della scuola e dei suoi problemi.
§ 2. Di fronte alla diffusa problematizzazione dell'educazione scolastica e ai cambiamenti in atto, la comunità cristiana, pur nella
distinzione di competenze, deve operare nella scuola, per promuovere percorsi educativi di sicuro valore e garantire ai giovani, talvolta
demotivati nello studio, indifferenti ai valori trascendenti, senza orizzonti di senso nelle loro scelte, una cultura che sia servizio della persona e
promozione di valori umani, civili e spirituali.
§ 3. L'educare attraverso l'insegnamento è da ritenersi autentica vocazione di servizio alla persona: va quindi suscitato e coltivato
come uno degli impegni della pastorale ordinaria in generale, giovanile ed universitaria in particolare(1).
La Chiesa ambrosiana riconosce il compito educativo specifico della scuola come essenziale, anche se parziale e sussidiario rispetto
a quello della famiglia. Tipica caratteristica della scuola, ambiente educativo di apprendimento e di relazioni, dove l'informazione alimenta
cultura, è quella di accompagnare l'alunno a prendere gradualmente e progressivamente coscienza della propria identità personale, sociale e
culturale. Il suo apprendimento così si qualifica come un apprendimento a essere, sostanziato di conoscenze, abilità e competenze. In questo
processo egli diviene persona capace di comunicazione e quindi di relazioni libere e responsabili verso se stesso, gli altri, la società e Dio, e
scopre il senso della propria e altrui esistenza.
§ 1. Nella sua opera educativa, la scuola ha un ruolo importante da svolgere anche di fronte alle non poche situazioni di difficoltà,
nelle quali si trovano gli alunni: è un ruolo che può essere assolto in collaborazione con altre realtà presenti sul territorio.
§ 2. La comunità cristiana sente il dovere di richiamare l'attenzione su queste situazioni, quali:
a) gli abbandoni scolastici, talvolta provocati dalla stessa scuola, per l'inadeguatezza delle strutture, dei programmi e delle persone;
b) i bambini e i ragazzi cui va prestata particolare cura, perché di famiglie in difficoltà;
c) intere scuole che sorgono ai margini del contesto urbano, dove sono vistosi i fenomeni della discriminazione, dell'emarginazione e
del degrado sociale.
Pertanto, essa impegna la propria capacità educativa per ovviare a queste difficoltà, con il concorso di tutti e creando occasioni di
studio, di dialogo, di confronto e individuando, eventualmente, percorsi scolastici più rispondenti al bisogno.
§ 3. L'attenzione agli alunni disabili diventi momento essenziale della crescita per tutta la comunità scolastica, nel rispetto, nell'aiuto
reciproco e nell'impegno a garantire il pieno esercizio di ogni loro diritto.
I soggetti della pastorale giovanile, attenti alla realtà quotidianamente vissuta da ragazzi, adolescenti e giovani, devono interessarsi
dell'ambiente scolastico, in cui essi trascorrono un tempo lungo e significativo per la loro formazione. In particolare essi vaglino, accolgano e
sostengano le iniziative che nascono dalla scuola e per la scuola e, per quanto a loro spetta, collaborino in modo solidale.
§ 1. Nell'ambito della scuola l'impegno di servizio e di testimonianza della Chiesa si articola in una pluralità di forme:
a) con la presenza e l'azione dei cristiani che, a titoli diversi, in forma personale o associata, si sforzano di essere protagonisti dei
processi educativi;
b) in modo istituzionale, con la presenza di scuole cattoliche o di ispirazione cristiana, come pubblico servizio nel pluralismo
educativo;
c) attraverso l'insegnamento della religione cattolica.
§ 2. La Chiesa ambrosiana sostiene questo impegno attraverso appositi strumenti pastorali a livello parrocchiale, decanale e
diocesano.
§ 1. L'esperienza scolastica è per i credenti che vi operano un ambito concreto in cui coniugare senza forzature, nella quotidianità e
fedeltà al proprio compito, fede e coscienza di sé (studenti), fede e professione (docenti e dirigenti), fede e dedizione educativa (genitori).
Tutti, consapevoli di appartenere alla medesima comunità ecclesiale, sappiano correttamente rapportarsi e interloquire; soprattutto si sentano
corresponsabili nella scuola di un progetto educativo, che può predisporre all'accoglienza dell'annuncio evangelico.
§ 2. Perciò i cristiani presenti nella scuola cerchino e trovino i motivi e le modalità per sviluppare un progetto educativo finalizzato
al bene comune degli alunni e alla messa in atto di valori umani condivisibili anche in prospettiva cristiana. La partecipazione attiva e la serena
collaborazione garantiscano rapporti fecondi e responsabili tra famiglia, scuola, territorio e società e siano condizioni per formare le giovani
generazioni alla vita democratica.
572. I genitori
§ 1. I genitori, primi responsabili dell'educazione dei propri figli, trovino nella scuola aiuto e integrazione al loro primato educativo.
Hanno il dovere di scegliere responsabilmente la scuola e di partecipare alla sua attività educativa, superando la facile tentazione della delega,
sia attraverso le molteplici quotidiane opportunità di dialogo tra scuola e famiglia, sia con una rinnovata e attiva partecipazione agli organismi
collegiali, secondo la funzione loro propria, nel rispetto delle regole vigenti.
§ 2. In ciò siano aiutati dalle associazioni dei genitori, particolarmente da quelle di ispirazione cristiana che, nello stimolarli a
prendere coscienza della loro corresponsabilità educativa, devono parimenti assicurare loro una corretta informazione e la necessaria
preparazione al dialogo e al confronto, anche in situazioni di pluralismo ideologico.
§ 3. Il fondamentale diritto-dovere dei genitori all'educazione dei figli richiede che la comunità cristiana si impegni perché sia
garantita loro la reale libertà di scelta della scuola in conformità con le loro convinzioni(2).
§ 1. Docenti e dirigenti, cui dalle famiglie è affidata in larga misura l'educazione degli alunni, hanno un ruolo di primaria importanza
educativa. In quanto credenti, membri della comunità cristiana, vivano questo compito in piena coerenza con il battesimo e diano
testimonianza della fede attraverso una professionalità vissuta in modo convinto.
§ 2. Lasciandosi coinvolgere, con la ricchezza della propria persona, nel processo educativo, diano prova di grande respiro culturale;
si impegnino ad aggiornarsi nelle metodologie didattico-pedagogiche; siano trasparenti nel fornire le ragioni del loro modo di pensare e di
agire, senza timore di tradurre gli ideali evangelici nella concreta situazione scolastica in cui operano e secondo prospettive che possano essere
accolte anche da chi non condivida la medesima opzione di fede. Sappiano cogliere la potenzialità delle varie riforme, attuate o in via di
attuazione, per contribuire al continuo adeguamento della scuola alle sue specifiche finalità, e siano disponibili al lavoro collegiale. Avvertano
questi atteggiamenti come autentica risposta alla specifica vocazione all'insegnamento.
§ 3. I docenti, nell'insegnamento delle proprie discipline, aiutino gli alunni ad approfondirne i contenuti, e a interrogarsi sul senso
che queste hanno rispetto alla loro crescita personale e sappiano non solo trasmettere la verità in modo corretto, ma anche cogliere i bisogni
profondi dei loro allievi.
§ 4. Il personale direttivo, in particolare, adempia al suo compito di animazione e di coordinamento, con spirito di servizio.
§ 5. Nel coltivare la propria spiritualità e competenza, dirigenti e insegnanti chiedano e offrano sostegno alle associazioni e ai
movimenti professionali, nella convinzione che la qualità della scuola dipende prima di tutto dalla formazione umana, cristiana e professionale
dei suoi operatori.
Il personale amministrativo, tecnico e ausiliario si senta coinvolto nel servizio educativo, non solo per la testimonianza personale di
fede e di servizio che anch'esso è chiamato a dare, ma anche per la creazione dello stile e del clima dei rapporti fra le persone che
interagiscono nella scuola.
§ 1. La Chiesa ambrosiana, all'interno del suo piano pastorale, riconosce il contributo insostituibile e originale della scuola cattolica,
cui è richiesto di essere espressione della creatività educativa della comunità cristiana e quindi strumento e “luogo di evangelizzazione, (...) per
la natura stessa della sua azione, direttamente rivolta all'educazione della personalità cristiana”(3).
§ 2. “La scuola cattolica, in quanto scuola della comunità cristiana, è soggetto di ecclesialità. Pertanto, essa non si pone (né può
porsi) in contrasto con l'attività parrocchiale né prescinderne, avendo entrambe lo stesso obiettivo ultimo, cioè la maturazione dei ragazzi e dei
giovani, pur nell'uso di mezzi differenti”(4).
§ 3. Consapevole delle difficoltà in cui le scuole cattoliche sono poste, la Chiesa ambrosiana impegna i cristiani a cercare le vie
possibili perché esse siano riconosciute come istituzioni di effettiva parità con le scuole gestite dallo Stato. Nello stesso tempo chiede loro di
essere fedeli alla propria esigente identità, cercando di essere aperte a tutti, come la loro natura e le loro radici storiche richiedono,
individuando vie e modi per superare ogni forma di discriminazione.
§ 1. La scuola cattolica, pur perseguendo le finalità culturali ed educative specifiche di ogni scuola, si caratterizza per le finalità
educative proprie. Esse consistono nel concretizzare nell'oggi la tensione evangelizzatrice ed educatrice della Chiesa anche attraverso una
comunità educante permeata di spirito evangelico e in grado di trasmetterlo. L'educazione si precisa pertanto come educazione cristiana, in cui
l'assimilazione sistematica e critica della cultura avviene nell'orizzonte della fede.
§ 2. Lo stesso insegnamento della religione cattolica, interdisciplinarmente programmato, tende a condurre con gradualità gli alunni
a una conoscenza organica dei contenuti della fede cristiana, in vista di scelte libere e responsabili. Per questo è opportuno che sia
accompagnato da proposte di esperienze ecclesiali, caritative e spirituali, collegate con gli itinerari e le tappe della pastorale giovanile, in un
rapporto di reciproca collaborazione con le parrocchie.
§ 1. Strumento indispensabile, perché la scuola cattolica realizzi il suo compito, è il progetto educativo, che deve responsabilmente
coinvolgere, sia nella formulazione che nella periodica verifica, tutte le componenti della comunità scolastica, così che, idealmente condiviso,
sia di conseguenza attuato.
§ 2. Tra gli elementi fondamentali di tale progetto educativo, declinati nelle forme adeguate alla situazione e alla storia di ciascun
istituto, siano compresi: la natura e la finalità della scuola cattolica; l'appartenenza alla Chiesa ambrosiana, con l'accoglienza del piano
pastorale del Vescovo; il carisma specifico del soggetto ecclesiale che gestisce la scuola.
§ 1. Per natura sua la scuola cattolica si inserisce nella prospettiva missionaria della pastorale diocesana, in particolare di quella
giovanile. Essa si propone di essere aperta a tutte le famiglie, anche a quelle che sono in difficoltà nell'educazione cristiana dei figli, a
condizione che ne condividano il progetto educativo o almeno accettino di confrontarsi con esso. Così la proposta dei valori ispirati alla fede
intende “sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, (...) le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i
modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio”(5) .
§ 2. Nell'assumere questo impegno, in cui coinvolgere anche i genitori, la scuola cattolica proponga ai giovani scelte impegnative di
vita, motivate e confrontate con esperienze di servizio nella Chiesa e nella società.
§ 3. Gli ex alunni delle scuole cattoliche, che hanno ricevuto una formazione ai valori umani e sociali cristiani, sono chiamati a
servire la Chiesa e la società con la loro testimonianza di vita nei vari ambiti in cui sono presenti. Le associazioni degli ex alunni promuovano
la loro formazione permanente al servizio evangelico.
Per l'apertura e la chiusura di scuole qualificate da una proposta educativa improntata ai principi della dottrina cattolica, si attuino le
necessarie verifiche con le competenti autorità ecclesiastiche diocesane, anche allo scopo di valorizzare e coordinare tutte le potenzialità
presenti nella diocesi, secondo le disposizioni diocesane(6).
Secondo quanto è stabilito dal can. 803, § 3 del Codice di diritto canonico, “nessuna scuola, benché effettivamente cattolica, porti il
nome di scuola cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica”. Pertanto ogni istituzione che desideri inserirsi tra le
scuole cattoliche, deve presentare domanda al Vescovo, tramite l'ufficio diocesano competente.
§ 1. I collegi arcivescovili di consolidata tradizione ambrosiana, si definiscono come scuole cattoliche che, storicamente e
costitutivamente, dipendono dall'autorità dell'Arcivescovo.
§ 2. Nel loro progetto educativo, pertanto devono:
a) assumere, in forma esplicita e consapevole, il piano pastorale della diocesi, che diventa loro segno caratteristico;
b) declinare, nell'azione educativa quotidiana, le indicazioni del magistero dell'Arcivescovo, in un rapporto di reciproca
collaborazione con le comunità parrocchiali e gli altri istituti del territorio in cui sono inseriti.
§ 1. La Chiesa ambrosiana riconosce e valorizza la ricca presenza di istituti religiosi, maschili e femminili, che per carisma
fondazionale sono dediti all'evangelizzazione nel mondo dell'educazione e in particolare della scuola, consapevole che alcuni di essi traggono
origine dalla storia spirituale della stessa Chiesa di Milano.
§ 2. Chiede a tali istituti il pieno coinvolgimento nel piano pastorale, mentre li sollecita a continuare nella loro missione secondo
l'incisività del proprio carisma, da condividere con tutti gli educatori, e li invita a trovare modi di coordinamento tra di loro e con le altre
istituzioni scolastiche, con la parrocchia e con il decanato del territorio in cui operano, anche per una più opportuna prestazione del loro
servizio.
La Chiesa ambrosiana apprezza l'impegno dei fedeli che in varie forme hanno costituito o gestiscono scuole di ispirazione cristiana e
danno prova di una leale sollecitudine, che favorisce un cordiale rapporto con le altre scuole cattoliche e che propizia uno stile di
corresponsabilità(7) educativa con le comunità parrocchiali locali.
§ 1. Poiché la scuola materna ha assunto un rilevante peso all'interno del sistema scolastico, superando gradualmente la fase
assistenziale, ad essa la comunità cristiana deve un'accentuata attenzione pastorale. Meritano particolare considerazione le scuole materne
parrocchiali, espressione concreta dell'impegno educativo della comunità cristiana.
§ 2. Per garantire la preziosa continuità di quante di esse fossero in condizioni precarie, per difficoltà economiche ed organizzative, è
auspicabile che siano trovate opportune forme di solidarietà e di sostegno, a livello interparrocchiale, decanale o diocesano.
§ 1. Il servizio della Chiesa alla scuola si esprime in Italia anche con l'insegnamento della religione cattolica, proposto sulla base
della revisione del Concordato del 18 febbraio 1984 e delle successive Intese con la Conferenza episcopale italiana.
§ 2. Con questo insegnamento la Chiesa non si propone di suscitare immediatamente una adesione di fede, quanto invece di
presentare in modo culturalmente fondato e dialogico i contenuti e i valori del cristianesimo, come vera occasione di crescita dei ragazzi e dei
giovani, collocata nel quadro delle finalità della scuola.
§ 3. I contenuti dell'insegnamento della religione cattolica, obiettivamente aperti all'interdisciplinarità, consentono di:
a) approfondire il significato del fatto religioso, la religione cristiana e le altre religioni;
b) recuperare i problemi di senso delle varie discipline e il significato della vita umana;
c) stabilire uno stretto rapporto tra studio e situazione esistenziale.
§ 4. Sarà opportuno far presente ai ragazzi che frequentano la catechesi parrocchiale e ai loro genitori le ragioni per avvalersi
dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola.
§ 1. La Chiesa ambrosiana si preoccupi costantemente della formazione e della qualificazione degli insegnanti di religione, perché il
loro insegnamento e la loro testimonianza siano reale occasione di crescita culturale degli allievi e il loro impegno sia costruttivo ed efficace
nella realtà scolastica.
§ 2. I laici che insegnano religione siano incoraggiati ad apprezzare l'insegnamento della religione cattolica come vera e propria
vocazione e siano aiutati a mantenere vivi i contatti con la comunità cristiana in cui vivono.
§ 3. La comunità cristiana si impegna, per quanto è di sua competenza, a fare in modo che la situazione dell'insegnamento della
religione cattolica nel suo complesso, e quella professionale e giuridica degli insegnanti di religione siano definite senza discriminazioni e che
l'attività dei docenti sia stimata e valorizzata a livello ecclesiale e civile.
§ 1. Nell'ambito della scuola può avere un particolare significato la presenza di presbiteri insegnanti di religione. Pertanto, i
presbiteri impegnati nell'insegnamento della religione siano messi nella condizione di poter acquisire la necessaria competenza didattico-
pedagogica e di disporre del tempo necessario per svolgere il loro compito, che include anche una seria partecipazione a tutti gli obblighi
scolastici.
§ 2. Va incoraggiata anche la presenza di presbiteri che assumono come impegno prevalente l'insegnamento della religione e
l'attenzione alla pastorale scolastica, soprattutto nelle strutture scolastiche polivalenti.
La Chiesa ambrosiana coordina il proprio servizio al mondo della scuola mediante l'Ufficio diocesano per la pastorale scolastica, al
quale spetta, in collaborazione con la Consulta diocesana per la pastorale scolastica e l'Ufficio per la pastorale giovanile, il compito di dar vita
a una pastorale unitaria e organica, predisponendo e diffondendo strumenti di studio, di lavoro e di informazione circa i temi e i problemi della
scuola.
§ 1. La Consulta diocesana di pastorale scolastica è composta, oltre che dal responsabile dell'ufficio, da rappresentanti delle zone
pastorali e degli organismi ecclesiali, o di ispirazione cristiana, presenti nel mondo della scuola. Possono essere chiamati a farvi parte anche
alcuni esperti del settore scolastico.
§ 2. La Consulta diocesana per la pastorale scolastica ha come finalità specifica l'animazione cristiana del mondo della scuola. A tal
fine essa si propone come:
a) luogo di consultazione di quanti, cristianamente ispirati, operano nella scuola e lavorano nella prospettiva di suggerire, alla
competente autorità diocesana, orientamenti per eventuali indicazioni e interventi pastorali;
b) punto di incontro delle associazioni e di organismi e movimenti di ispirazione cristiana pastoralmente interessati al mondo della
scuola, con l'impegno di coordinare e orientare la loro azione, nel rispetto delle singole autonomie, alla luce del messaggio cristiano e delle
indicazioni della Chiesa;
c) occasione di stimolo per la ricerca sulla situazione della scuola, nella concretezza del suo sviluppo storico, di sollecitazione e di
sostegno delle iniziative educative e pastorali, che si ritenesse opportuno realizzare unitariamente;
d) aiuto per la promozione delle consulte decanali di pastorale scolastica e delle loro attività, tramite suggerimenti, indicazioni e
tracce di riflessione.
§ 3. In ogni decanato, ci sia la Consulta per la pastorale scolastica con il compito di studiare i problemi emergenti nelle scuole del
territorio e di animare e coordinare la presenza dei cristiani nella scuola. La consulta sia guidata da un responsabile decanale, nominato dal
decano, e sia costituita secondo le indicazioni dell'Ufficio diocesano per la pastorale scolastica.
§ 1. Le associazioni e le aggregazioni laicali, che hanno nella scuola il loro ambito di testimonianza cristiana, si sentano impegnate
ad attuare le linee di pastorale scolastica qui indicate e precisate dai competenti organismi diocesani, tenendo conto anche degli itinerari
educativi della pastorale giovanile.
§ 2. Il coordinamento fra associazioni, gruppi e movimenti di ispirazione cristiana, va sostenuto e valorizzato per qualificare la
presenza partecipativa nella scuola.
§ 1. Un apposito organismo della curia arcivescovile, configurato anche secondo le indicazioni della Conferenza episcopale italiana,
in relazione con l'Ufficio catechistico diocesano e con l'Ufficio per la pastorale scolastica, abbia il compito di assegnare alle scuole gli
insegnanti di religione. Tale assegnazione avvenga secondo criteri oggettivi, espliciti e adeguati sulla base di una graduatoria unica, in cui
siano inseriti sacerdoti, religiosi e laici con i rispettivi titoli. Andrà comunque tenuto presente il criterio del riferimento territoriale e della
necessità di assicurare, soprattutto nei principali centri scolastici, delle figure preparate di coordinatori (cf cost. 589, § 2).
Sia comunque previsto un periodo di tirocinio e di verifica, in analogia con la normativa vigente per gli insegnanti delle altre
discipline.
§ 2. Sarà cura di questo organismo sostenere gli insegnanti di religione nel loro compito e curarne la formazione permanente,
collaborando in particolare con le istituzioni accademiche operanti sul territorio diocesano (Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà
teologica dell'Italia settentrionale, Istituto superiore di scienze religiose di Milano).
Nel vasto campo della comunicazione, dell'educazione della coscienza, del formarsi della cultura e dello sviluppo della cosiddetta
opinione pubblica, assumono un indiscusso rilievo strategico le nuove forme della comunicazione sociale. Oggi, infatti, sono innegabili il
privilegio accordato e la predominanza di fatto esercitata dalle comunicazioni di massa (televisione, radio, stampa quotidiana e periodica). Il
mondo dei mass media è “il primo areopago del tempo moderno (...), che sta unificando l'umanità, rendendola - come si suol dire - "un
villaggio globale". I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento
informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali”(1).
§ 1. La Chiesa intera si sente interpellata dal nuovo contesto culturale determinato dalla comunicazione sociale, essendo essa stessa
una comunità di comunicazione. Nel contesto culturale, politico, economico, sociale, in cui è inserita, essa, infatti, soprattutto in tempi di
grande cambiamento come i nostri, è sempre chiamata a testimoniare la passione di Dio per ogni persona e il patrimonio di spiritualità, di
riflessione, di azione, che la familiarità con la Parola di Dio le ha insegnato. Ciò che la Chiesa, per sua natura, è chiamata a testimoniare a ogni
creatura umana è il Vangelo, cioè l'annuncio della salvezza, che fa di lei una comunità di comunicazione, a immagine di Dio che, nella
Rivelazione, si comunica all'umanità, costituendo così l'essere umano, fatto a sua immagine e somiglianza, come essere essenzialmente in
relazione (cf Gen 1,26-27).
§ 2. Nello stesso tempo, la Chiesa, pienamente inserita nelle dinamiche odierne della convivenza e cordialmente attenta alla
coscienza di ogni persona e alla sua crescita, avverte che la comunicazione sociale la provoca ancora più da vicino, perché determina la realtà
almeno sotto tre specifici profili, nei quali essa stessa è presente e attiva:
a) quello della comunicazione interpersonale e della trasmissione dei valori: è questo un ambito che coinvolge la comunità
ecclesiale, sia sotto il versante della comunione fraterna, sia sotto quello della trasmissione della fede;
b) quello culturale che oggi, proprio in forza della presenza dei mass media, va assumendo qualificazioni spesso inedite. Anche in
questo campo la comunità ecclesiale si sente interpellata, perché chiamata non solo a "inculturare" il Vangelo, ma anche a formare una cultura
cristiana e a vigilare criticamente sulla cultura emergente e su quella che essa stessa riesce a forgiare;
c) quello della formazione delle coscienze, in cui la Chiesa si vede direttamente coinvolta per la sua missione di portare ogni persona
alla libera adesione alla verità del Vangelo.
§ 3. Coerentemente, la Chiesa riconosce e accoglie le sfide che nascono dall'odierna comunicazione sociale, con le sue potenzialità e
i suoi rischi. In tale prospettiva essa si sente chiamata a realizzare un confronto critico con questo stesso mondo e a utilizzare, a servizio del
Vangelo e della formazione delle coscienze, i nuovi orizzonti che esso dischiude.
§ 1. La complessità e la presenza pervasiva della comunicazione sociale, richiedono, da parte della Chiesa, un accostamento non
occasionale e frammentario, come spesso è avvenuto nel passato, bensì organico e articolato. Da qui la necessità, anche per la nostra diocesi,
di elaborare un vero e proprio piano pastorale per le comunicazioni sociali(2).
§ 2. La novità della situazione e la sua continua evoluzione, se non altro per le repentine innovazioni tecnologiche, comportano che
la programmazione pastorale in questo campo, più che in altri, sia connotata dalla provvisorietà e dalla necessità di una continua revisione. Per
tale motivo, prima ancora di elaborare un compiuto progetto pastorale, è necessario dotarsi delle strutture capaci di garantire nel tempo la
possibilità di una continua precisazione del progetto e la sua effettiva attuazione.
§ 3. Negli scorsi anni la diocesi, sollecitata in particolare nel biennio sul comunicare dagli specifici programmi pastorali(3), ha
compiuto un tentativo per approfondire e far comprendere il valore della comunicazione sociale, per la presenza pastorale della comunità
cristiana nel mondo. Tali riflessioni, unitamente a quelle presentate nei documenti del magistero, specificamente dedicati al tema, devono
restare come punto di riferimento per l'attuazione del piano pastorale diocesano, di cui si offrono qui alcune linee.
§ 1. La formulazione di un piano pastorale in riferimento al mondo della comunicazione sociale presuppone, da parte della Chiesa,
un'assunzione critica di tale realtà, come possibilità positiva, anche se connessa con ambiguità e difficoltà. Va quindi evitato sia un
semplicistico atteggiamento di demonizzazione dei media, sia un loro uso strumentale all'annuncio del Vangelo, che non tenga conto delle loro
leggi interne e dei loro specifici "codici" di espressione.
§ 2. E' necessario, pertanto, che la Chiesa approfondisca la conoscenza del mondo della comunicazione sociale e si accosti a esso
sapendolo già abitato, disponendosi ad assumere criticamente i linguaggi e i modelli comunicativi di una società, che si va sempre più
caratterizzando come multiculturale, multietnica, multireligiosa.
§ 1. La rilevanza della questione della comunicazione sociale e le indicazioni magisteriali in merito sollecitano non solo a dedicare
una specifica attenzione alle tecniche e al linguaggio dei media, ma anche e soprattutto a precisare gli obiettivi dell'azione della Chiesa alla
luce della nuova situazione.
§ 2. Nell'elaborare, pertanto, un progetto pastorale in riferimento alla comunicazione sociale, la Chiesa ambrosiana si propone i
seguenti obiettivi:
a) approfondire la conoscenza del mondo e delle dinamiche della comunicazione sociale in genere e del concreto porsi dei mezzi
della comunicazione sociale nel nostro contesto culturale, anche sotto il profilo della relazione con l'annuncio del Vangelo e con la vita delle
comunità cristiane;
b) contribuire a formare una coscienza critica verso la comunicazione sociale e verso i mass media, negli utenti e negli operatori,
impegnati in strumenti di natura ecclesiale o laica;
c) essere presente, con mezzi propri o avvalendosi di quelli offerti dal mercato, nel mondo dei media, al servizio
dell'evangelizzazione e della testimonianza cristiana, ma anche, più generalmente, della formazione di una cultura attenta alla persona e ai
valori;
d) instaurare un dialogo con il mondo dei media.
§ 1. La conoscenza del mondo della comunicazione sociale è indispensabile per evitare un approccio scorretto, che comporti il
rischio di sottovalutarne la complessità, di comprenderlo in modo ingenuo o, ancora, di trascurare le possibilità che esso offre. Anche le
singole tipologie dei mezzi di comunicazione sociale meritano un'attenta e specifica considerazione, dal momento che ognuno di essi, pur
appartenendo allo stesso universo della comunicazione, ha propri linguaggi, proprie modalità espressive, proprie possibilità. La conoscenza va
poi concretizzata con riferimento al contesto culturale in cui la nostra Chiesa vive e opera, tenendo conto, in particolare, del fatto che nel suo
territorio sono presenti la maggior parte degli strumenti della comunicazione esistenti in Italia.
§ 2. L'approccio scientifico al tema della comunicazione non è compito proprio della comunità cristiana in quanto tale. Essa,
pertanto, deve avvalersi, per la sua opera educativa e per la stessa gestione diretta dei mezzi di comunicazione sociale, dell'apporto di esperti e
del consiglio di operatori del settore, sollecitando la loro collaborazione. A questo scopo può tornare di grande utilità l'attività dell'Osservatorio
sulla comunicazione, costituito d'intesa tra l'Università Cattolica del Sacro Cuore e la diocesi ambrosiana. Non vanno poi trascurati gli apporti
di istituzioni e centri culturali ecclesiali e di ispirazione cristiana, particolarmente interessati al settore.
§ 1. La comunicazione è un elemento costitutivo ed essenziale della vita della Chiesa, in quanto la fede cristiana si fonda sulla
Parola, cioè sulla comunicazione di Dio alle creature umane. In un'epoca caratterizzata dalla civiltà dell'immagine, devono evolversi anche le
modalità attraverso cui si esplica la responsabilità della Chiesa in ordine all'evangelizzazione. Essa è perciò chiamata a fare propri i metodi più
adeguati per evangelizzare, compreso l'uso dei mezzi della comunicazione sociale. Va tenuto però ben presente, vista la peculiarità di tali
mezzi, che “l'impegno nei mass media non ha solo lo scopo di moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché
l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio
cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa "nuova cultura" creata dalla comunicazione
moderna”(4).
§ 2. L'utilizzo dei media non deve far trascurare le modalità di evangelizzazione più tradizionali e caratteristiche dell'esperienza
ecclesiale: l'annuncio diretto della Parola, la catechesi, la liturgia e le altre espressioni della vita della comunità cristiana. E' importante,
tuttavia, ricordare che anche tali modalità molto si gioverebbero dell'apporto della comunicazione multimediale e delle sue tecniche. In ogni
caso, va ribadito che ormai fa parte del dovere dell'evangelizzazione pensare e sperimentare, accanto e a integrazione delle forme tradizionali,
nuove modalità di annuncio e di testimonianza, che assumano esplicitamente le innumerevoli possibilità offerte dai media, per arrivare più
efficacemente alle persone con un linguaggio oggi più comprensibile.
Occorre riconoscere che il tema dei media e dell'educazione al loro uso critico non sembra sia ancora entrato nella normale attività
pastorale delle nostre comunità. La diocesi ambrosiana deve, pertanto, produrre ogni possibile sforzo per l'assunzione di una mentalità
comunicativa. Per raggiungere questo scopo dovrà favorire adeguate collaborazioni tra i vari ambiti pastorali, affinché in ciascuno di essi sia
presente uno specifico itinerario educativo alla comunicazione; in particolare la diocesi deve dedicare risorse consistenti alla formazione degli
utenti, degli educatori e degli operatori professionisti e volontari, coinvolgendo i vari soggetti che possono portare un utile contributo a questa
opera formativa.
§ 1. La diocesi predisponga momenti e luoghi di formazione per gli utenti, in modo particolare per quelli che hanno responsabilità
educative nell'ambito pastorale. Di fronte alla grande massa di sollecitazioni che vengono dai media, ci si può sentire sperduti, incapaci, per
mancanza di strumenti tecnici e culturali di giudizio, di attuare il necessario discernimento. Di qui l'esigenza che la comunità cristiana si doti
di luoghi e momenti di approfondimento, perché si giunga a educare il lettore, l'ascoltatore, lo spettatore.
§ 2. Nel campo della formazione degli utenti vanno valorizzate le iniziative già esistenti e ne vanno promosse di nuove. Un
particolare risalto va dato alle associazioni che si dedicano statutariamente a tale finalità (quali, ad esempio, l'AIART). La comunità cristiana
deve adeguatamente sostenerle, non solo per la loro valenza formativa, ma anche al fine di aggregare il consenso ed esprimere concrete e
positive proposte di contenuti e stili per i media, quindi come veri e propri "gruppi di pressione" formati da consumatori e utenti.
§ 3. Vanno incoraggiate e promosse, ai vari livelli, anche tutte quelle proposte che si prefiggono la formazione all'utilizzo di specifici
strumenti della comunicazione sociale. In particolare, per aiutare una migliore interpretazione del linguaggio televisivo, è utile diffondere la
programmazione di "teleforum"(5).
§ 1. Particolare cura va data alla formazione di quegli utenti che, in forza della loro missione, sono responsabili dell'educazione di
altri, anche in relazione al mondo della comunicazione sociale.
§ 2. Per realizzare questa attenzione:
a) non sia trascurato il tema della comunicazione sociale nelle scuole per operatori pastorali e in tutte le iniziative di formazione
degli educatori;
b) nella formazione curricolare dei futuri presbiteri non manchi l'approccio scientifico al problema della comunicazione e all'uso
adeguato degli strumenti, come è indicato nell'apposito documento della Congregazione per l'educazione cattolica(6). Analoga attenzione
andrà mantenuta nei programmi di formazione permanente del clero;
c) si preparino e si sollecitino gli insegnanti, in particolare quelli di religione, ad approfondire l'educazione ai media, anche
attraverso iniziative apposite, messe in atto dalla diocesi. Essi infatti, operando per i giovani e con i giovani, hanno l'opportunità di offrire loro
cognizioni e criteri di giudizio e possono portare nella scuola sia lo stimolo all'interesse per il mondo dei media, sia la capacità di interpretare
criticamente quanto, della Chiesa e delle problematiche religiose, emerge da quegli stessi strumenti.
§ 1. “L'educazione critica degli utenti (...) non sarebbe sufficiente (...) senza una forte presa di coscienza della responsabilità primaria
di coloro che sono a monte delle notizie” e che possono agire “per indottrinare, per convincere, per conculcare” finendo in questo modo per
“piegare fatti, circostanze, comportamenti a una tesi lucidamente argomentata!”(7). Gli operatori professionali, nei mezzi di comunicazione
sociale, devono perciò essere aiutati a prendere coscienza dei gravi problemi etici e sociali connessi con la loro professione. E' necessario,
quindi, avere la massima attenzione alla loro formazione, perché le loro prestazioni siano espresse al massimo livello di professionalità
possibile, sempre però nel rispetto delle norme etiche.
§ 2. La diocesi, avvalendosi anche delle associazioni professionali cristiane e dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, verifichi la
possibilità di organizzare scuole o analoghe iniziative, attraverso le quali gli operatori possano approfondire i problemi professionali e
deontologici della loro attività.
Anche agli operatori che si esprimono a livello di volontariato nei mezzi di comunicazione sociale che fanno riferimento alla
comunità cristiana, la diocesi offra possibilità di formazione tecnico-professionale ed etica, che dia consistenza al loro impegno di
evangelizzazione e di testimonianza attraverso i media. In tal modo, gli stessi operatori volontari - che di fatto, soprattutto se giovani, possono
trovare negli strumenti diocesani un centro di formazione alla comunicazione e al senso critico, una palestra di dialogo con la gente e di attività
espressive e creative - potranno non soltanto essere di aiuto nella conduzione degli strumenti diocesani di comunicazione, ma anche divenire
animatori delle comunità cristiane nel discernimento e nell'uso dei media.
§ 1. La cura riservata alla formazione degli operatori nel vasto campo della pastorale o in quello più specifico dell'impegno socio-
politico, dovrà parimenti essere estesa anche al settore della comunicazione, proponendosi altresì come obiettivo di far emergere vocazioni di
impegno professionale a tempo pieno, nel mondo della comunicazione sociale.
§ 2. Nell'ambito dell'attività educativa i cristiani laici vengano così stimolati ad un serio impegno nel portare la loro cultura e la loro
testimonianza dentro agli strumenti di comunicazione non dipendenti dall'organizzazione ecclesiale, contribuendo in particolare allo sviluppo
di una comunicazione corretta, aderente al vero, meno spettacolarizzata, più attenta alle persone e maggiormente capace di costruire rapporti
umani, fraterni e pacifici.
§ 1. Soprattutto in vista degli anni che apriranno al terzo millennio, la Chiesa ambrosiana si propone l'obiettivo di essere presente e
incidente all'interno del proprio tessuto sociale e culturale, per interagire con esso in un contesto di verità e di regole, per il bene della persona
e della comunità, in un aperto confronto con le culture e le persone del nostro tempo. Ciò può avvenire in maniera privilegiata attraverso i
mezzi di comunicazione sociale che la stessa diocesi promuove.
§ 2. Nei vari ambiti della comunicazione, la Chiesa ambrosiana ha recentemente cercato di dare concretezza alle regole di
comunicazione espresse nei due programmi pastorali del "comunicare". Rimangono tuttora estremamente valide, e ancora in parte da attuare,
le ampie indicazioni di contenuto e di metodo che ivi sono espresse(8). Occorre quindi analizzare in modo sereno e approfondito i punti di
forza e di debolezza che si manifestano negli strumenti diocesani, in relazione al loro servizio all'evangelizzazione, operando poi le scelte
conseguenti.
§ 3. Più adeguata considerazione deve essere riservata anche alla dimensione commerciale di alcune attività, correggendo fenomeni
quali, ad esempio, l'alienazione delle sale cinematografiche parrocchiali o la mancata organizzazione, a livello diocesano, delle attività di
diffusione attraverso librerie, videoteche, e simili iniziative. Ciò consentirebbe di accrescere l'incisività e la diffusività degli interventi
programmati e la possibilità di condizionamento delle produzioni. Non vanno neppure trascurati i problemi legati al necessario potenziamento
delle strutture redazionali dei mezzi, che fanno riferimento alla diocesi, e ai connessi impegni finanziari.
§ 1. Molti sono gli strumenti di comunicazione sociale presenti sul territorio della diocesi. Alcuni di essi sono espressione diretta
dell'impegno del mondo cattolico; la maggior parte sono di ispirazione "laica", anche se rimangono normalmente aperti al dialogo con la
nostra Chiesa.
§ 2. Con gli strumenti di area "cattolica" si devono realizzare contatti di collaborazione e, dove è possibile, di sinergia in modo che,
nel pieno rispetto della reciproca autonomia, si faciliti il raggiungimento degli obiettivi comuni.
§ 3. Anche con gli strumenti di area "laica" è necessario approfondire il confronto. In particolare, rispetto a tali strumenti sembra
necessario agire in due direzioni principali:
a) qualificare e valorizzare meglio le forme di presenza di cattolici già operanti nella stampa, nella radio, nella televisione, e
promuoverne eventualmente di nuove là dove fosse utile e necessario. La presenza e l'azione di tali operatori, quando attuate con intelligenza e
prudenza, ma anche con la necessaria chiarezza e decisione, sono un prezioso fermento dentro il mondo dei media; ma il loro apporto di
esperienza e di professionalità può essere altresì di grande giovamento per la maturazione di una coscienza più avvertita in materia di
comunicazione sociale e per l'attività formativa delle stesse comunità cristiane;
b) sviluppare e consolidare il dialogo con il mondo dei media. Tra la Chiesa ambrosiana e i mezzi "esterni" deve instaurarsi un
rapporto di fiducia, stima, disponibilità, apertura reciproche. La Chiesa ambrosiana non ha timore di mettersi alla scuola degli operatori dei
media, per essere il più trasparente e il più esperta possibile. Un dialogo franco potrà anche condurre a riconoscere la necessità di una
disciplina deontologica, in relazione alla oggettiva e non strumentale informazione su tutto ciò che la Chiesa è e fa nella nostra regione e nel
nostro paese.
§ 1. Dal 1982 la diocesi ha cominciato a rivedere e organizzare le risorse esistenti e, seguendo le indicazioni allora emanate dalla
Santa Sede(9), si è dotata di un Ufficio per le comunicazioni sociali, strutturato in tre sezioni riguardanti la stampa, la radio-televisione, le sale
della comunità.
§ 2. L'Ufficio per le comunicazioni sociali ha attualmente i seguenti compiti:
a) curare la diffusione e la conoscenza dei vari programmi pastorali;
b) offrire linee di orientamento e di coordinamento per gli strumenti che fanno capo alla diocesi;
c) promuovere iniziative per la formazione dei presbiteri, diaconi, consacrati e laici, operatori e utenti, nel campo della
comunicazione;
d) stabilire rapporti organici con i corrispondenti uffici regionale e nazionale;
e) attivare rapporti paritetici e costruttivi con i media esterni;
f) preparare a livello diocesano la giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
§ 1. L'obiettivo prioritario nel prossimo futuro dovrà essere quello di una revisione globale delle strutture e delle iniziative esistenti,
per renderle più adeguate alle loro funzioni e alle indispensabili collaborazioni, soprattutto all'interno del mondo cattolico.
§ 2. Criteri e finalità principali del processo di revisione saranno quelli dell'integrazione, del coordinamento, della sinergia, in un
panorama diocesano, che vede il coinvolgimento di una molteplicità di risorse, strumenti e persone. All'interno della nostra diocesi, infatti, sia
nelle proprie strutture sia nel vasto ambito del suo territorio, operano, nell'area della comunicazione e dei media, molti cristiani
professionalmente competenti. E' pertanto indispensabile, nel rispetto dei compiti specifici di ciascuna realtà, trovare punti di riferimento
comuni per coordinare le energie e rendere più fruttuoso il lavoro.
§ 3. E', inoltre, necessario lavorare su progetti specifici, in cui siano definite la qualità delle risorse umane necessarie e l'entità delle
risorse economiche e finanziarie disponibili, per migliorare l'efficacia dell'intervento ed evitare la dispersione improduttiva di energie.
§ 4. Al fine della ricerca costante di azioni integrate, si dovrà far perno necessariamente su qualche apposito organismo di
coordinamento, valorizzando le potenzialità di quelli esistenti o creandone di nuovi, così da assicurare una migliore funzionalità e una più
sicura efficacia.
§ 5. Al fine poi di studiare e presentare un progetto che individui le linee strategiche fondamentali e gli strumenti necessari ad
attuarle, la diocesi potrà avvalersi eventualmente di un gruppo di esperti, rappresentativo delle realtà editoriali cattoliche presenti in diocesi. A
questo scopo può tornare di grande utilità anche l'attività del citato Osservatorio sulla comunicazione, costituito con l'apporto dell'Università
Cattolica del Sacro Cuore.
§ 1. Gli strumenti fondamentali ai quali devono riferirsi le comunità parrocchiali e decanali e i singoli cristiani trovano le loro radici
nei programmi pastorali diocesani dedicati al "comunicare". Ogni iniziativa in tale settore, per essere incisiva e efficace, avrà bisogno del
sostegno cordiale della comunità di cui è espressione.
§ 2. Si promuovano, innanzitutto, e si valorizzino i corsi di specializzazione riguardanti la comunicazione sociale, proposti dalle
scuole per operatori pastorali.
§ 3. Per garantire un'effettiva e capillare attenzione al mondo della comunicazione sociale, in ogni decanato:
a) si costituisca un gruppo di persone che siano attente alle possibilità comunicative sul proprio territorio e propongano iniziative atte
a far conoscere le attività delle varie parrocchie e delle realtà ecclesiali presenti;
b) si individui il responsabile della comunicazione sociale, con il compito di coordinamento, di diffusione, di animazione in questo
ambito pastorale.
APPENDICE
Cost. 60, nota 5: suono delle campane
1. Ci si asterrà dal suono delle campane durante le ore della notte. Per la città di Milano si intende, con questo, escludere anche il
suono dell'orologio del campanile. Si farà eccezione, per il suono delle campane, nelle notti di Natale (Messa di mezzanotte) e di Pasqua
(Veglia pasquale).
2. Il suono delle campane può avere inizio, nei giorni feriali, non prima delle ore 7.30; in quelli festivi, non prima delle 8.00. Questa
disposizione è tassativa per la città di Milano; per le altre parrocchie della diocesi si raccomanda che essa venga ordinariamente osservata.
3. Si raccomanda una vera moderazione nella durata del suono e nell'uso delle campane. Ci si limiti pertanto ad un solo segno di
campane, riservando gli eventuali tre segni alla Messa principale delle Solennità.
4. Riprendendo il decreto sopra ricordato [16 gennaio 1961] riteniamo opportuno richiamare il disposto n. 4 che così recita: “Si
conservi il suono dell'Ave Maria del mattino, a mezzogiorno e alla sera; e il suono delle campane delle ore 15.00 di ogni venerdì non festivo in
onore della preziosa morte del Signore”.
5. Converrà infine non dimenticare anche il disposto n. 6 che dice: “Nel suono delle campane i campanari, i sacrestani ... dipendono
esclusivamente dall'autorità del parroco o rettore della chiesa”.
(...)
Cost. 71, nota 11: Disposizioni normative: la penitenza
Concludiamo la seguente Nota pastorale con le seguenti disposizioni normative, che trovano la loro ispirazione e forza nel canone
1249 del Codice di diritto canonico: “Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano
tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla
preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno
e l'astinenza”. Queste disposizione normative sono la determinazione della disciplina penitenziale della Chiesa Universale, che i canoni 1251 e
1253 del Codice di diritto canonico affidano alle Conferenze Episcopali.
1. La legge del digiuno “obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e
alla sera, attenendosi per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate”.
2. La legge dell'astinenza proibisce l'uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da
considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.
3. Il digiuno e l'astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di
Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo sino
alla Veglia pasquale.
4. L'astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le
solennità (come il 19 o il 25 marzo). In tutti gli altri venerdì dell'anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si
deve osservare l'astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
5. Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell'astinenza coloro che hanno
compiuto il 14° anno di età.
6. Dall'osservanza dell'obbligo della legge del digiuno e dell'astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute.
Inoltre, “il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall'obbligo di
osservare il giorno (...) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una
società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro
casa”.
Cost. 78, nota 16: Elenco dei presbiteri religiosi e facoltà di confessione
1. a. I Superiori provinciali sono invitati a presentare alla Curia entro il 31 ottobre l'elenco dei presbiteri ascritti a case situate
in diocesi. Su apposito modulo siano indicati per ciascun Religioso: nome e cognome; anno di nascita, professione perpetua e ordinazione;
ufficio esercitato nell'Istituto religioso; ufficio o incarico esercitato presso parrocchie o enti diocesani.
b. L'elenco sia aggiornato ogni anno entro il mese di ottobre.
c. Presentando gli elenchi, i Superiori provinciali vogliano segnalare i Religiosi disponibili per un impegno, anche solo
festivo, presso parrocchie o enti diocesani.
2. a. La facoltà di confessare ovunque (can. 967, § 2) è conferita a tempo indeterminato ai Religiosi ascritti a una casa situata
in diocesi e compresi nell'elenco predisposto annualmente dal Superiore provinciale.
b. Tale facoltà viene meno quando un Religioso cessa di essere ascritto a una Casa religiosa situata in diocesi o di essere
compreso nell'elenco predisposto dal Superiore provinciale.
c. I Religiosi, che dopo il mese di ottobre vengano ascritti a una Casa situata in diocesi, possono essere autorizzati alla
confessione dal Superiore provinciale o locale fino al successivo mese di ottobre, se e nei limiti in cui godevano della facoltà in altra diocesi.
d. Ai Superiori provinciali e locali è conferita la facoltà personale e non suddelegabile di assolvere dalla censura prevista
dal can. 1398. Quanto agli altri Religiosi, tale facoltà potrà essere domandata dal Superiore provinciale in occasione della presentazione
annuale degli elenchi.
3. Le predette norme si applicano anche ai membri di Società di Vita Apostolica.
§ 1. Ferme restando le disposizioni dei cann. 508 e 976, il confessore può rimettere in foro interno sacramentale la censura latae
sententiae di scomunica e d'interdetto, non dichiarata, se al penitente sia gravoso rimanere in stato di peccato grave per il tempo necessario a
che il Superiore competente provveda.
§ 2. Il confessore nel concedere la remissione imponga al penitente l'onere di ricorrere entro un mese sotto pena di ricadere nella
censura al Superiore competente o a un sacerdote provvisto della facoltà, e di attenersi alle sue decisioni; intanto imponga una congrua
penitenza e la riparazione, nella misura in cui ci sia urgenza, dello scandalo e del danno. Il ricorso poi può essere fatto anche tramite il
confessore, senza fare menzione del nominativo del penitente.
§ 3. Allo stesso onere di ricorrere sono tenuti, dopo essersi ristabiliti in salute, coloro che a norma del can. 976 furono assolti da una
censura inflitta o dichiarata o riservata alla Sede apostolica.
1. Concerti per la preghiera o elevazioni musicali possono essere accolti in luoghi di culto e anche favoriti, secondo discrezione
pastorale, in quanto hanno come finalità primaria la preghiera e la contemplazione religiosa. Questi concerti consistono nell'esecuzione di
musica strumentale o vocale che accompagna, in funzione di ispirazione e di aiuto alla riflessione, la proclamazione dei testi biblici o di chiara
indole religiosa, i canti, le preghiere e i gesti dei presenti.
2. Concerti d'organo sono consentiti quando siano basati sull'amplissimo repertorio classico e moderno della musica di Chiesa e
osservate le disposizioni sotto riportate.
3. Concerti di musica a chiara ispirazione religiosa possono essere ammessi, previa autorizzazione dell'Ufficio per il culto divino, e
osservate le disposizioni sotto riportate. Il responsabile della chiesa presenti per tempo la domanda, precisando le motivazioni e allegando il
programma.
4. Concerti di musica di altro genere (come anche concerti di bande, canti folkloristici e popolari) non possono essere ammessi nelle
chiese e negli oratori aperti al culto pubblico.
Nei casi di cui ai precedenti nn. 2 e 3, devono essere osservate le seguenti disposizioni:
a) Il responsabile del luogo di culto dove si tiene la manifestazione musicale si garantisca che da parte del pubblico, dei coristi e
degli strumentisti si mantenga un contegno rispettoso.
b) L'Eucaristia sia collocata fuori dell'aula della chiesa; il “presbiterio” (sede, ambone, altare) non subisca modifiche.
c) Non sia ammessa la vendita di biglietti d'ingresso.
d) Il responsabile del luogo di culto assicuri l'osservanza delle norme civili vigenti relative a dette manifestazioni. (...)
Cost. 100, nota 4: Celebrazione dei Sacramenti nella fede della Chiesa
n. 232
Nella consapevolezza che, in quanto segni e gesti della fede, i sacramenti dei figli ancora incapaci di un giudizio e di una decisione
autonomi, sono da celebrarsi nella fede della Chiesa, fede che può vivere anche nei genitori nonostante la loro situazione irregolare, si proceda
alla celebrazione del battesimo a condizione che ambedue i genitori, o almeno uno di essi, garantiscano di dare ai loro figli una vera
educazione cristiana. In caso di dubbio o di incertezza circa la volontà e la disponibilità dei genitori a dare tale testimonianza, si valorizzi il
ruolo dei "padrini", scelti con attenzione e oculatezza. Si celebri comunque il battesimo se, con il consenso dei genitori, l'impegno di educare
cristianamente il bambino viene assunto dal padrino o dalla madrina o da un parente prossimo, come pure da una persona qualificata della
comunità cristiana.
Nel caso di genitori conviventi o sposati solo civilmente, ai quali nulla impedisce di "regolarizzare" la loro posizione, di fronte alla
richiesta del battesimo per i figli, il sacerdote non tralasci una così importante occasione per evangelizzarli. Mostri loro come ci sia
contraddizione tra la domanda del battesimo per il figlio e la loro situazione di conviventi o di sposati solo civilmente: tale stato di vita, infatti,
rifiuta di vivere da battezzati l'amore coniugale e, in profondità, mette in discussione il significato del battesimo che chiede ai due battezzati
anche la celebrazione del sacramento del matrimonio. Di conseguenza, prima di procedere, con le necessarie garanzie di educazione cristiana,
al battesimo del figlio, vigilando per evitare ogni atteggiamento ricattatorio o apparentemente tale, li inviti a sistemare la loro posizione, o
almeno a intraprendere il cammino e a fare i passi necessari per arrivare a tale regolarizzazione.
n. 233
Di fronte alla richiesta della cresima e della comunione eucaristica, nell'esprimere un giudizio e nell'operare una scelta pastorale, i
sacerdoti facciano riferimento “non solo alla situazione e alla disponibilità religiosa e di fede dei genitori, ma anche alla crescente personalità
dei figli, alla loro progressiva maturazione nella conoscenza e nell'adesione alla fede cristiana, soprattutto se questi figli sono inseriti in
comunità cristiane vive e portanti”.
I. A Milano, come in tutta la Diocesi, esistono già i Decanati e questa struttura rimane perché ha già dato buoni frutti e ancora ne
deve dare. E però, il loro numero in Città é tale da non consentire al Vicario Episcopale di Zona un lavoro pastorale che sia insieme capillare e
tempestivo.
Nell'intento di rendere più efficace e partecipato l'impegno pastorale in questa vasta Zona, sembra utile mettere in atto una soluzione
nuova suggerita dall'antica suddivisione della Città in "Porte", avente ciascuna un "Prefetto" responsabile.
Con il presente Decreto dispongo perciò l'articolazione della Zona pastorale di Milano - che rimane unitaria - nelle seguenti
Prefetture:
- MILANO CENTRO (comprendente i Decanati Centro A e Centro B);
- MILANO NORD (comprendente i Decanati: Affori, Quarto Oggiaro, Niguarda, Cagnola, Sempione, Zara);
- MILANO EST (comprendente i Decanati: Venezia, Romana-Vittoria, Turro, Forlanini, Lambrate, Città Studi);
- MILANO SUD (comprendente i Decanati: Vigentino, Ticinese, Gratosoglio, Barona);
- MILANO OVEST (comprendente i Decanati: Fiera, San Siro, Gallaratese, Giambellino, Baggio).
Cost. 306, nota 28: Amministrazione dei Sacramenti da ministri non cattolici
§ 1. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli
ministri cattolici, salve le disposizioni dei §§ 2, 3 e 4 di questo can. e del can. 861, § 2.
§ 2. Ogni qual volta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il pericolo di errore o di
indifferentismo, è lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della
penitenza, dell'Eucaristia e dell'unzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti.
§ 3. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dell'Eucaristia e dell'unzione degli infermi ai membri
delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò
vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella
stessa condizione delle predette Chiese orientali.
§ 4. Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, incombesse altra grave
necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la
Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa
questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti.
§ 5. Per i casi di cui ai §§ 2, 3 e 4, il Vescovo diocesano o la conferenza dei Vescovi non diano norme generali, se non dopo aver
consultato l'autorità competente almeno locale della Chiesa o della comunità non cattolica interessata.
99. Ogni cristiano ha il diritto, per motivi di coscienza, di decidere liberamente di entrare nella piena comunione cattolica.
Adoperarsi per preparare una persona che desidera essere ricevuta nella piena comunione della Chiesa cattolica è, in sé, un'azione distinta
dall'attività ecumenica. Il rito dell'iniziazione cristiana degli adulti prevede una formula per ricevere tali persone nella piena comunione
cattolica. Nondimeno, in simili casi, così come nel caso dei matrimoni misti, l'autorità cattolica può avvertire la necessità di indagare per
sapere se il battesimo, già ricevuto, sia stato celebrato validamente. Nel compiere tali accertamenti, si tenga conto delle seguenti
raccomandazioni:
a) La validità del battesimo, come è conferito nelle varie Chiese orientali, non è assolutamente oggetto di dubbio. E' quindi
sufficiente stabilire che il battesimo sia stato amministrato. In queste Chiese il sacramento della confermazione (crismazione) è legittimamente
amministrato dal sacerdote contemporaneamente al battesimo; può pertanto accadere con una certa frequenza che nella certificazione canonica
del battesimo non sia fatta alcuna menzione della confermazione. Ciò non autorizza affatto a mettere in dubbio che sia stata conferita anche la
confermazione.
b) Quanto ai cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali, prima di esaminare la validità del battesimo di un cristiano, sarà
necessario sapere se sia stato realizzato un accordo sul battesimo dalle Chiese e dalle Comunità ecclesiali delle regioni o località in causa [...],
e se il battesimo sia stato effettivamente amministrato in conformità a tale accordo. Tuttavia, va fatto rilevare che la mancanza di un accordo
formale sul battesimo, non deve automaticamente condurre a dubitare della validità del battesimo.
c) A riguardo di questi cristiani, quando è stata rilasciata una attestazione ecclesiastica ufficiale, non c'é alcun motivo di dubitare
della validità del battesimo conferito nelle loro Chiese o Comunità ecclesiali, a meno che, per un caso particolare, un esame non riveli che c'è
una seria ragione per dubitare della materia, della formula usata per il battesimo, dell'intenzione del battezzato adulto e del ministro che ha
battezzato.
d) Se, anche dopo una scrupolosa ricerca, rimane un fondato dubbio sulla corretta amministrazione del battesimo e si ritiene
necessario battezzare sotto condizione, il ministro cattolico dovrà dar prova del suo rispetto per la dottrina secondo la quale il battesimo può
essere conferito una volta sola, spiegando alla persona interessata perché in quel caso venga battezzata sotto condizione e, anche, il significato
del rito del battesimo sotto condizione; inoltre, il rito del battesimo sotto condizione deve essere celebrato in privato e non in pubblico.
e) E' auspicabile che i sinodi delle Chiese orientali cattoliche e le Conferenze episcopali diano direttive in ordine all'accettazione
nella piena comunione cattolica di cristiani battezzati in altre Chiese e Comunità ecclesiali, tenendo conto del fatto che non si tratta di
catecumeni e anche del grado di conoscenza e di pratica della fede cristiana che costoro possono avere.
100. Secondo il rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, coloro che aderiscono a Cristo per la prima volta sono normalmente
battezzati durante la veglia pasquale. Là dove la celebrazione di tale rito comprende l'accettazione di coloro che, già battezzati, entrano nella
piena comunione cattolica, bisogna fare una netta distinzione tra questi ultimi e coloro che non hanno ancora ricevuto il battesimo.
La Chiesa nel corso dei secoli ha sempre approvato e incoraggiato i fedeli a disporre dei propri beni in favore di cause pie,
particolarmente con lo scopo di celebrare Messe a suffragio dei defunti. Il Codice di Diritto canonico ha confermato tale tradizione,
garantendola con una peculiare normativa, che deve venire ulteriormente determinata dalle legislazioni particolari. Pertanto, a integrazione dei
canoni 1299-1310 CIC e intendendo abrogare tutte le precedenti disposizioni diocesane, stabiliamo quanto segue.
I. Fondazione di legati per la celebrazione di Messe
1. Ogni fedele ha il diritto di fondare legati, cioè devolvere beni (per esempio somme di denaro) a una persona giuridica canonica
pubblica (diocesi, parrocchie, seminario, ecc.), stabilendo l'onere della celebrazione di Messe o di Uffici per i defunti (cann. 1299 e 1303, § 1,
2°).
2. Il legato durerà finché potrà garantire un reddito almeno pari alla tariffa diocesana delle Messe cosiddette "manuali" e comunque
non oltre i venticinque anni.
Non sono più ammessi legati perpetui (can. 1303, § 1, 2°).
Resta salva la possibilità per il fondatore di determinare una durata inferiore ai venticinque anni.
Al momento dell'estinzione del legato, gli interessati potranno procedere alla fondazione di un nuovo legato, utilizzando anche il capitale
rimasto.
Lungo la durata del legato è possibile integrare il capitale senza che ciò modifichi i termini massimi di scadenza.
3. La somma minima necessaria per la fondazione di un legato verrà periodicamente definita dall'Ordinario diocesano, sentito il
Consiglio della Cassa Diocesana Legati (can. 1304, § 2).
4. Le fondazioni dei legati devono avere forma scritta (can. 1306, § 1) e saranno conservate in Curia presso la Promotoria dei Legati
Pii (can. 1306, § 2). Per l'atto di fondazione bisognerà usare l'apposito Modulo, approvato dal Consiglio della Cassa Diocesana Legati e a
disposizione presso la Promotoria.
Oltre a indicare il capitale e gli oneri, sarà opportuno che l'offerente specifichi a quale persona o istituzione ecclesiale (Arcivescovo,
Diocesi, parrocchia, seminario, ecc.) devolvere il capitale del legato al momento della sua estinzione, nel caso di rinuncia a una rifondazione.
In mancanza di tale indicazione, il capitale sarà devoluto all'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero (can. 1303, § 2).
In ogni caso, dopo la legittima fondazione, il capitale non potrà essere ritirato dal fondatore o dagli eredi.
5. Una fondazione si ritiene validamente accettata solo con la licenza dell'Ordinario data in forma scritta (can. 1304, § 1). Per tale
motivo i Moduli di fondazione devono recare la firma dell'Ordinario o di un suo Delegato (il Promotore dei Legati Pii o il Responsabile della
Ragioneria della Curia).
6. La Promotoria dei Legati Pii consegnerà alla persona giuridica una copia dell'atto di fondazione, da conservarsi presso l'Archivio
della persona giuridica stessa (can 1306, § 2) e da riportarsi, nei dati essenziali, nella tabella e nel libro di cui sotto (n.8) (can. 1307).
7. Il denaro o i beni mobili, assegnati a titolo di dote, dovranno essere depositati presso la Promotoria dei Legati Pii, contestualmente
alla sottoscrizione del Modulo di fondazione e del rilascio della licenza da parte dell'Ordinario (can. 1305).
8. Gli oneri dei legati validamente accettati devono essere scrupolosamente adempiuti (can. 1300). Pertanto, “si rediga una tabella
degli oneri derivanti dalle pie fondazioni e la si esponga in un luogo ben visibile affinché gli obblighi da adempiere non siano dimenticati”
(can. 1307, § 1) e ci sia “un registro che il parroco o il rettore conservino presso di sé, dove si annotino i singoli oneri, il loro adempimento e le
elemosine” (can. 1307, § 2; CEI, Delibera n. 6 del 23.12.1983).
Dovrà essere adottato il libro dei legati approvato dalla Promotoria e a disposizione presso la Curia.
2. Prima di avviare le pratiche di alienazione di immobili ecclesiastici, si prenda sempre visione degli eventuali oneri di culto
gravanti sugli stessi e ci si attenga alle disposizioni dell'Ufficio Amministrativo, sentito il parere dell'Avvocatura Generale.
B. Legati Testamentari
1. I legati fondati con disposizione testamentaria anteriore al presente decreto sono da intendersi, salvo esplicita diversa disposizione
da parte del testatore, come perpetui. A essi, verrà applicata, qualora necessario, la procedura di riduzione degli oneri sopra stabilita.
2. I legati fondati con somme di denaro lasciate per disposizione testamentaria successiva al presente decreto, sono da intendersi
della durata stabilita generalmente per i legati (cfr. I.2.).
3. I legati fondati con beni immobili per disposizione testamentaria successiva al presente decreto hanno durata di venticinque anni.
Per l'accettazione di tali legati si seguirà la particolare procedura prevista in generale per l'accettazione di beni immobili.
4. In caso di dubbio circa il significato di una disposizione testamentaria relativa a legati di culto, l'interpretazione spetterà
all'Avvocatura Generale, che giudicherà alla luce della normativa canonica e delle legittime consuetudini.
Col presente decreto concediamo al Promotore dei legati pii e al responsabile della Ragioneria della curia la potestà, non
suddelegabile, di concedere la licenza di cui al can. 1304, § 1.
(...)
Salvo quanto previsto dal Codice di diritto canonico e dalla Conferenza episcopale italiana per gli atti di amministrazione
straordinaria posti dal vescovo diocesano (can. 1277; Delibere CEI n. 37 e n. 38), per gli atti di alienazione o comunque pregiudizievoli per il
patrimonio (cann. 1291-1295; Delibera CEI n. 20) e per le locazioni (can. 1297; Delibera CEI n. 38);
ferme restando le disposizioni degli statuti delle persone giuridiche pubbliche a Noi soggette in materia di amministrazione
straordinaria
DECRETIAMO
relativamente alle persone giuridiche a Noi soggette sono da considerarsi di amministrazione straordinaria i seguenti atti:
1. alienazione di beni immobili di valore inferiore alla somma minima stabilita dalla CEI per gli atti di cui al can. 1292, p. 1 e di beni
mobili di valore inferiore alla predetta somma e superiore a metà di essa;
2. disposizioni pregiudizievoli per il patrimonio, quali le concessioni di usufrutto, di uso a titolo gratuito (comodato) o dietro
corrispettivo, di diritto di superficie, di servitù, di enfiteusi o affrancazione di enfiteusi, di ipoteca, di pegno, di fidejussione, per un valore del
bene inferiore alla somma minima stabilita dalla CEI;
3. acquisti a titolo oneroso di beni immobili e di beni mobili per un valore superiore a un terzo della somma minima fissata dalla CEI
per le alienazioni; accettazioni di donazioni, eredità, legati;
4. rinunce a donazioni, eredità, legati, diritti, livelli, censi e altri crediti;
5. transazioni;
6. nuove costruzioni o ampliamenti; interventi sugli stabili che ne interessino la struttura (ristrutturazioni, restauri, miglioramenti,
modifiche, ecc.) a prescindere dal costo dell'opera;
7. altri interventi negli stabili (impiantistica, serramenti, arredamenti, ecc.) per un costo superiore a un terzo della somma minima
stabilita dalla CEI per le alienazioni;
8. demolizioni;
9. opere di abbellimento artistico;
10. interventi o atti di ogni tipo relativi a beni mobili o immobili storici, artistici, culturali, in particolare i restauri o i prestiti dei beni di
cui sopra;
11. interventi di salvaguardia del patrimonio ecclesiastico in riferimento ai Piani Regolatori;
12. mutazioni di destinazione d'uso di beni immobili;
13. contrazioni di debiti di qualsiasi tipo presso Istituti Bancari (mutui, aperture di credito, ecc.) o presso privati (compresi i prestiti dello
stesso legale rappresentante all'Ente);
14. emissioni di cambiali o avalli di esse;
15. concessione di prestiti a terzi;
16. inizio, subentro (anche sotto forma di partecipazione) o cessione (anche sotto forma di affitto d'azienda) in attività imprenditoriali
(industriali, commerciali, agricole);
17. acquisto o vendita (anche attraverso più operazioni) di titoli (escluso i titoli di Stato) per un importo superiore a un terzo della
somma minima stabilita dalla CEI per le alienazioni;
18. costituzioni di rendite perpetue.
Diamo mandato al Nostro Pro Vicario generale incaricato specificatamente per gli aspetti normativi, di emanare un'Istruzione (cf.
can. 34) circa gli atti relativi ai beni temporali per i quali é necessaria un'autorizzazione. Oltre a elencare tutti gli atti previsti dalle disposizioni
canoniche vigenti, l'Istruzione dovrà determinare anche le procedure da utilizzare per i diversi casi. Sarà compito del Pro Vicario generale
incaricato curare anche l'aggiornamento dell'Istruzione quando fosse necessario adeguarla a nuove disposizioni di diritto universale o
particolare.
(...)
Osservazioni:
a) Le presenti norme si applicano anche ai candidati appartenenti alle Società di Vita Apostolica.
b) Non si ammettono ordinariamente, in Parrocchie della nostra Diocesi, celebrazioni per il conferimento dei Ministeri Istituiti, del
Diaconato e del Presbiterato a candidati appartenenti ad altre Diocesi.
1. La responsabilità della custodia delll'Eucaristia negli oratori annessi a una casa religiosa spetta alla Superiora locale,
congiuntamente al Cappellano e, in mancanza, al Parroco.
2. Per giusta causa e in assenza di un sacerdote o di un diacono, la Superiora locale può svolgere le funzioni di ministro straordinario
della comunione a favore della comunità e delle persone che risiedono abitualmente nella casa.
3. In assenza di un sacerdote o di un diacono, la Superiora locale può svolgere le funzioni di ministro della esposizione e riposizione
dell'Eucaristia (non della benedizione), a beneficio della comunità e delle persone che risiedono abitualmente nella casa, secondo le tradizioni
e le disposizioni del proprio Istituto (cfr. can. 943).
4. La Superiora locale può indicare una sorella che la sostituisca nei casi di assenza o di impedimento.
L'esercizio delle facoltà suddette:
a) presuppone ovviamente la puntuale osservanza delle norme concernenti il culto eucaristico e, in particolare, gli oratori annessi a
una casa religiosa;
b) riguarda esclusivamente il servizio della vita interna della comuntà e delle persone che risiedono abitulmente nella casa, non
invece le attività e le opere di apostolato (parrocchia, scuole, ecc.) per le quali si farà riferimento alla competente autorità parrocchiale;
c) non attenuerà, anzi dovrà confermare e accrescere la partecipazione alla preghiera e alla venerazione dell'Eucaristia nell'ambito
della comunità parrocchiale.
L'istituzione delle scuole di ispirazione cristiana, verrà opportunamente disciplinata da una prassi che rispetti i punti a - b - c.1 - c.2 (C.E.I., La
Scuola Cattolica, oggi, in Italia, nn. 65-67).
Naturalmente le cooperative o associazioni che intendono dare vita alle sopraddette scuole dovranno presentare copia autenticata della
costituzione e dello statuto della stessa cooperativa o associazione.
Avendo promulgato in data odierna il Sinodo 47° della diocesi di Milano e desiderando che le disposizioni in esso contenute trovino
tempestiva e corretta attuazione;
tenendo conto di quanto stabilito dal decreto di promulgazione in ordine all'abrogazione della normativa precedente e volendo
evitare lacune della legge o difficoltà nel passaggio alle nuove disposizioni, promulgo le seguenti norme transitorie e applicative in attuazione
del Sinodo diocesano 47°.
1. I Vicari episcopali, per i quali sia già trascorso più di un quinquennio dalla nomina o dall'ultima conferma, restano in carica fino al
1° settembre 1995.
2. I decani restano in carica fino alla nomina dei nuovi. Le elezioni per la designazione delle terne avranno luogo contemporaneamente
a quelle per il rinnovo del Consiglio presbiterale e del Consiglio pastorale diocesano martedì 16 maggio 1995.
3. I responsabili degli uffici di Curia, per i quali sia già trascorso più di un quinquennio dalla nomina o dall'ultima conferma, restano in
carica fino al 1° ottobre 1995.
4. Il Vicario generale darà indicazioni, in accordo con i Vicari episcopali di zona, al fine di attuare la verifica periodica per i presbiteri
che da più di dieci anni permangono nello stesso incarico ministeriale, salvo che, per i presbiteri parroci, vicari parrocchiali o residenti con
incarichi pastorali, sia intervenuta nel decennio la visita pastorale nella loro parrocchia (cf. cost. 493, § 2).
Con l'entrata in vigore del Sinodo 47°, i titolari di uffici ecclesiastici (ad es. Vicari episcopali, decani, parroci) assumono i compiti e
le facoltà previsti dalle nuove costituzioni. Pertanto i riferimenti alle disposizioni del Sinodo 46° e alle successive norme applicative
concernenti i singoli uffici, in particolare quelli presenti nei decreti di nomina, vanno sostituiti con quanto disposto dal nuovo Sinodo.
1. Il Collegio dei Consultori e il Consiglio per gli affari economici della diocesi restano in carica fino all'emanazione del rispettivo
regolamento, aggiornato alle disposizioni sinodali (cf costt. 177 e 178). In ogni caso, la nomina dei nuovi Consultori avverrà solo
successivamente al rinnovo del Consiglio presbiterale. E' compito del Vicario competente curare la predisposizione dei nuovi regolamenti,
sentito il parere del Collegio e del Consiglio attualmente in carica.
2. Le elezioni per il rinnovo del Consiglio presbiterale sono stabilite per martedì 16 maggio 1995. Sempre nel mese di maggio verranno
effettuate ai vari livelli le elezioni per il rinnovo del Consiglio pastorale diocesano. Le suddette elezioni, come pure quelle per la designazione
delle terne per i decani, verranno indette con appositi decreti e regolamentate da norme elettorali di prossima emanazione. I nuovi Consigli
dedicheranno una delle prime sessioni alla revisione degli statuti attualmente in essere, al fine di introdurre eventuali modifiche.
3. I Consigli pastorali di decanato attuali restano in carica fino alla 1° domenica di Avvento del 1996 (17 novembre), data in cui
entreranno in funzione i nuovi, designati, per quanto di loro competenza, a opera dei Consigli pastorali parrocchiali da poco rinnovati (v.
numero seguente). Essi restano regolamentati dal Direttorio esistente, ma attenendosi alle nuove costituzioni sinodali, per quanto già
applicabili. Il predetto Direttorio verrà rivisto prima della scadenza sopra indicata, anche sulla base dei suggerimenti offerti dall'Assemblea dei
decani, dal Consiglio pastorale diocesano e dal Consiglio presbiterale.
4. I Consigli pastorali parrocchiali attuali restano in carica fino alla terza domenica di ottobre 1996 (20 ottobre), data in cui si terranno
in tutta la Diocesi le elezioni per la designazione dei nuovi consigli. Essi continueranno a essere disciplinati dai propri statuti o regolamenti,
emanati sulla base del Direttorio diocesano attualmente in vigore, ma attenendosi alle nuove costituzioni sinodali, per quanto già applicabili.
Il predetto Direttorio verrà rivisto prima della scadenza sopra indicata, anche sulla base dei suggerimenti offerti dal Consiglio
pastorale diocesano e dal Consiglio presbiterale.
5. I Consigli parrocchiali per gli affari economici attualmente in carica vengono prorogati fino alla prima domenica di Avvento 1996
(17 novembre). Essi continueranno a essere disciplinati dal Regolamento diocesano attualmente in vigore, ma attenendosi alle nuove
costituzioni sinodali, per quanto già applicabili. Il predetto Regolamento verrà rivisto prima della scadenza sopra indicata.
6. Gli statuti, regolamenti e direttori riveduti, una volta promulgati, verranno raccolti in una nuova edizione del volume Consigliare
nella Chiesa. Norme per gli organismi di partecipazione della Diocesi di Milano.
1. Al Vicario competente viene affidato il compito di predisporre per l'inizio dell'Avvento 1995 gli elementi essenziali del
Regolamento della Curia, da approvarsi ad experimentum. Essi sono costituiti: dall'indicazione dei diritti e doveri degli addetti alla Curia
diocesana; dall'individuazione dei settori da affidare ai competenti Vicari episcopali; dalla descrizione, in termini generali, dei compiti di
ciascun ufficio e, per quanto possibile, dei compiti e della composizione delle commissioni e consulte.
2. Anche prima dell'emanazione del suddetto Regolamento, con l'entrata in vigore del Sinodo 47°, gli uffici e gli altri organismi di
Curia acquisiscono, se non necessitano di ulteriori precisazioni, i compiti e le funzioni descritte nelle costituzioni sinodali.
3. Gli uffici, le commissioni, le consulte e gli altri organismi di cui il Sinodo 47° auspica la costituzione verranno resi operativi con
l'entrata in vigore del Regolamento della Curia, se esso prevede disposizioni specifiche in merito, o con l'emanazione di appositi
provvedimenti, da inserire successivamente nel Regolamento della Curia. Fino alla nascita dei nuovi organismi, i compiti e le funzioni loro
assegnati continueranno a essere svolti, se già attualmente previsti, dagli organismi oggi esistenti.
1. Fino al 31 agosto 1995 restano in vigore la normativa e la prassi attuale circa la facoltà di amministrare il sacramento della
Confermazione, in deroga alla cost. 109, § 4. In merito alla stessa si precisa che con l'espressione "presbiteri che fanno parte del consiglio
episcopale" si devono intendere, oltre i Vicari episcopali, anche i presbiteri che ne fanno parte in qualità di consulenti in forma stabile (cf. cost.
172, § 1). A iniziare dalla programmazione dell'anno pastorale 1995-1996, si dia attuazione alle indicazioni sinodali, con le modalità indicate
dal Vicario generale e dai Vicari episcopali di zona.
2. In ottemperanza alla cost. 99, § 4, i Vicari episcopali di zona diano tempestive indicazioni circa la Confermazione degli adulti. Va
preferita la sua celebrazione a livello decanale, anche avendo come ministro lo stesso decano su incarico dato in singoli casi dal Vicario
episcopale di zona, in mancanza di un Vescovo o di un presbitero che ne abbia facoltà stabile secondo le norme del Sinodo, restando sempre
da valutare l'opportunità che il sacramento sia conferito dal parroco, nel caso di adulti non ancora confermati che si stanno preparando al
sacramento del matrimonio. Per la Città di Milano andrà valutata l'opportunità di una celebrazione a livello di prefettura, potendo la
Confermazione essere conferita, in mancanza di un Vescovo o di un presbitero che ne abbia facoltà stabile secondo le norme del Sinodo, dal
prefetto, su incarico dato in singoli casi dal Vicario episcopale per la Città.
3. In attesa di nuovi provvedimenti, le disposizioni diocesane da osservare per gli aspetti celebrativi della Confermazione (cf. cost. 109,
§ 2), salvo per quanto è stato modificato dalle costituzioni sinodali, sono costituite dal decreto arcivescovile 10 settembre 1990 (prot. gen. n.
1411/90) e dall'istruzione applicativa Il rito della Cresima. Indicazioni per lo svolgimento, del 12 febbraio 1991 (prot. gen. n. 249/91).
4. Come già comunicato, il mandato dei ministri straordinari della Comunione eucaristica è stato rinnovato fino alla 1° domenica di
Avvento del 1999 (cf. Rivista diocesana milanese 85 (1994) p. 1343), con l'impegno da parte dei parroci di informare la Cancelleria
arcivescovile di ogni variazione in merito. In attesa che vengano emanate nuove norme diocesane per i ministri straordinari della Comunione
eucaristica e per l'incarico "ad actum", vale il decreto arcivescovile 22 gennaio 1990 (prot. gen. n. 122/90), con le altre disposizioni normative
ivi richiamate.
1. Le commissioni e gli altri organismi previsti dal Sinodo 47° a livello decanale o parrocchiale vanno costituiti a cura, rispettivamente,
del decano e del parroco, coadiuvati dai consigli pastorali, entro l'anno pastorale 1996-1997. Entro la stessa data andranno aggiornati le
commissioni e gli altri organismi esistenti, per i quali, le costituzioni sinodali stabiliscono delle modifiche. Qualora il Sinodo dovesse
prevedere ulteriori disposizioni per la realizzazione o l'aggiornamento di commissioni o di altri organismi, occorrerà attendere l'emanazione
delle stesse prima di procedere.
2. Entro la predetta data, sentita la Caritas diocesana, verranno date disposizioni a livello diocesano per la composizione delle caritas
parrocchiali e decanali (cf costt. 130-131).
1. Poiché il Sinodo 47° riordina integralmente la normativa concernente la pastorale dei malati, sanità e assistenza (cf. costt. 247-259),
stabilendo in particolare una nuova organizzazione della pastorale nelle strutture sanitarie e assistenziali (cf. costt. 252-255), sono soppresse le
rettorie indipendenti, di cui alla cost. 209 del Sinodo diocesano 46°, e le delegazioni arcivescovili. I presbiteri nominati rettori e delegati
arcivescovili sono confermati nel compito della cura pastorale nelle strutture sanitarie e assistenziali come "cappellani rettori": essi perdono le
facoltà parrocchiali, ma acquistano i compiti e le facoltà previste dalla cost. 254 del nuovo Sinodo.
2. Anche gli altri cappellani acquisiscono le stesse facoltà, ma perdono quelle non più ricordate nella predetta costituzione.
3. In tutte le strutture sanitarie e assistenziali in cui, al momento dell'entrata in vigore del Sinodo 47°, è prevista stabilmente la presenza
di uno o più presbiteri con l'incarico a tempo pieno di cappellano, si intende costituita una cappellania ospedaliera configurata secondo le
nuove disposizioni sinodali.
4. Fino alla nomina del Vicario episcopale del settore a cui appartiene l'Ufficio per la sanità (cf. cost. 254, § 6), circa la responsabilità
sui cappellani permane la situazione vigente.