Dante e La Musica
Dante e La Musica
Dante e La Musica
Dante e Virgilio, appena giunti sulla spiaggia della montagna del Purgatorio, pensano al cammino che
devono intraprendere. A Dante pare di vedere sul mare una luce simile a quella del pianeta Marte quando è
velato dai vapori che lo avvolgono, che si muove rapidissima verso la riva. Dante distoglie un attimo lo
sguardo per parlare a Virgilio, e quando torna a guardare la luce la vede più splendente e più grande. In
seguito ai lati di essa compare qualcosa di bianco e un altro biancore al di sotto: il maestro resta in silenzio,
fino a quando capisce che il primo biancore sono delle ali e allora grida a Dante di inginocchiarsi e di unire le
mani in preghiera, perché si avvicina un angelo del Paradiso. Virgilio spiega a Dante che l'angelo non usa
remi né vele o altri strumenti umani, ma tiene le ali aperte e dritte verso il cielo, fendendo l'aria con le ali
ricoperte da piume eterne che non cadono mai. Man mano che l'angelo si avvicina e diventa più visibile a
Dante, questi non riesce a sostenerne lo sguardo e deve volgere gli occhi a terra. Poi il nocchiero celeste
viene a riva spingendo una barchetta così leggera che non affonda minimamente nell'acqua; l'angelo sta a
poppa e nella barca ci sono più di cento anime, che intonano a una voce il Salmo 113 In exitu Israel de
Aegytpo. L'angelo fa loro il segno della croce, quindi le anime si gettano sulla spiaggia e il nocchiero riparte
con la stessa velocità con cui è giunto.
Lo mio maestro
allor che ben conobbe il galeotto [il nocchiero del vascello], 27
Alla prima parte del Canto dominata dall'ansia del tempo che scorre, dalla necessità di salire la montagna
del purgatorio per raggiungere la virtù e dallo sprone di Virgilio a vincere le difficoltà con la sollecitudine, fa
da contrappunto ironico la figura di Belacqua, che i due poeti incontrano tra le anime dei pigri a pentirsi che
devono attendere tutto il tempo della loro vita prima di entrare in Purgatorio. L'incontro con l'amico
fiorentino è una parentesi affettuosa che ha molte analogie con l'episodio di Casella, anche se qui i toni
sono decisamente ironici (e corrispondono probabilmente al carattere del personaggio e ai suoi rapporti col
poeta): è Belacqua ad apostrofare Dante, osservando sarcastico che prima di arrivare in cima al monte avrà
bisogno di sedersi, mentre il poeta ribatte indicando a Virgilio quell'anima che siede con aspetto tanto
negligente che la pigrizia sembra sua sorella. Belacqua li guarda senza neppure muovere la testa, invitando
Dante a proseguire visto che può farlo e chiedendogli con molta ironia se ha ben compreso la spiegazione
del maestro sul corso del sole. L'ironia del penitente è doppia, essendo rivolta contro Dante ma anche
contro se stesso, per il quale lo scorrere del tempo ha ben diverso peso dal momento che lunga sarà l'attesa
prima di iniziare la purificazione. L'Anonimo Fiorentino lo identifica come un certo Duccio di Bonavia, liutaio
ben noto per la sua proverbiale indolenza (dalla quale i concittadini trassero il suo soprannome). Sembra
che Dante frequentasse la sua bottega e che amasse scherzare con lui sul suo difetto; viene citato un
episodio in cui, di fronte all'ennesima frecciatina, Belacqua avrebbe risposto di non fare altro che applicare
l'insegnamento di Aristotele: l'anima diventa più sapiente, se si sta seduti a riposo. Dante allora si disse
certo che sulla faccia della terra mai visse uomo più saggio di lui. Il clima di bonaria ironia da bottega
cittadina sembra infatti ritrovarsi anche nel canto, in cui Belacqua con arguzia "sgonfia" la tensione
idealistica dei viandanti verso la vetta del Monte, avvisandoli di badare comunque a non stancarsi troppo. Il
suo personaggio resta, all'interno della Commedia, come uno dei più inconsueti e anche dei più spiritosi.