Sintesis de Pie Ninot
Sintesis de Pie Ninot
Sintesis de Pie Ninot
Introduzione
Il corso comprende 10 temi, divisi in due parti. All’esame si porta a piacere una tesi della prima
parte e una della seconda (4 min.), dopo il professore chiede qualsiasi altra tesi.
Libro base: La Teologia fondamentale, S. Pie-Ninot, Queriniana.
Complementi: Dizionario di Teologia Fondamentale (DTF - Latourelle-Fisichella).
Corso di Teologia Fondamentale, ( CTF - Max Seckler).
La parola definitiva di Dio, Verweyen, Queriniana.
L’idea della fede, P. Sequeri.
Programma:
1. Introduzione: identità e compito della Fondamentale. Quando comincia come disciplina?
Resoconto geografico delle scuole e degli orientamenti attuali.
Parte epistemologica
2. Conosci te stesso: questione antropologica; come l’uomo è aperto, quale capacità ha l’uomo
di ascoltare una possibile rivelazione di Dio.
3. Fede: come forma di conoscenza, una fede che ha “degli occhi”.
4. Fede e Ragione: la ragione non solo nell’aspetto teoretico, ma anche come vissuto; la fede è
un atto umano? La fede, anche se è un dono di Dio, è vissuta nell’uomo. Da questa tesi esce
il tema fondamentale del corso: la credibilità, intesa come proposta di senso e non come
argomentazione (se la fede si potesse dimostrare non sarebbe più un dono di Dio).
5. La Rivelazione: la categoria filosofica dell’universale concreto. Se la ragione umana ha
delle categorie possibili per spiegare come Dio (l’universale) si fa concreto. Il problema non
è credere in Dio, ma che Cristo è Dio. È possibile che una persona umana abbia una valenza
universale?
Proposta sistematica
La cristologia fondamentale: tesi 6, 7 e 8. La credibilità di Cristo.
L’ecclesiologia fondamentale: tesi 9 e 10. La credibilità della Chiesa.
All’inizio del cristianesimo, la teologia si fa soprattutto a partire dalla lectio divina, cioè dalla
lettura della Scrittura, lo vediamo in particolare nei Padri. C’è dunque una teologia che nasce dal
commento della Scrittura, ma anche uno che viene dal commento alla liturgia, o meglio ai
sacramenti, una catechesi che possiamo dire del Credo.
Quello che emerge è che nel primo millennio non c’era una teologia sistematica. C’è un momento
importante nell’XI secolo che segna la svolta nella teologia, S. Anselmo come precursore (fides
quaerens intellectum), ma soprattutto con la “scolastica”, con Alberto Magno e S. Tommaso, per i
domenicani, e S. Bonaventura, per i francescani. La teologia non è più nella cattedrale, come
commento, ma cominciamo a sorgere le scuole, le università. Tali università cominciano a fare un
sistema delle varie discipline.
Accade che i domenicani, attenti alla predicazione, chiedono a S. Tommaso di andare all’università
di Parigi. Cosa fa Tommaso quando arriva a Parigi? Egli comincia a spiegare la Teologia e per gli
studenti scrive la Summa Theologiae.
Nella prima quaestio Tommaso afferma che la teologia è scienza: è vero che dal punto di vista del
contenuto è diversa, solo con la fede possiamo attingere a Dio, nonostante ciò possiamo applicare
ad essa un metodo scientifico, per questo può stare in una università.
Fare scuola è differente dal fare catechesi, non si dà un voto sulla moralità della persona, ma sulla
scienza sì. Questo mette in evidenza anche il fatto che la teologia non è tutto per la fede, è
altrettanto importante il vissuto ecclesiale.
Dunque, per capirci, quando parliamo di Teologia la intendiamo come scienza, come da Tommaso
in poi.
Nella Summa, Tommaso non mette un trattato di Rivelazione, né di ecclesiologia, cioè, non è
presente una trattazione della Teologia Fondamentale. Quando comincia, dunque la disciplina che
chiamiamo in questo modo? Evidentemente non in questo momento perché non c’era bisogno.
Dobbiamo fare riferimento a due momenti:
secolo XVI: La Riforma luterana; cosa era accaduto? Nel XIII sec era nata la scolastica, ma
questa, disgraziatamente era stata riletta in una forma nominalistica 1; Lutero rifiuta questa
impostazione, egli accusa che in questo modo la Chiesa non è evangelica; questo porta una
grande difficoltà nella teologia cattolica, che comincia a fare un trattato di introduzione: De
vera ecclesia, trattato aplogetico molto polemico. Lutero diceva che la vera Chiesa evangelica
deve annunciare il puro vangelo; il trattato cattolico parla delle 4 note basandosi sul credo Nic-
Cost, con sillogismi molto chiari. Il concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen
Gentium comincia affermando che la Chiesa è un mistero, si lascia l’apologetica.
Nel XVIII secolo abbiamo la grande rottura del pensiero attraverso l’illuminismo. Cosa dice
Kant sull’illuminismo? È l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità dovuto a se stesso.
Illuminismo significa avere luce. Uno deve pensare prima di obbedire, per questo il motto
dell’illuminismo è “sapere aude”, cioè “abbi il coraggio di sapere”. Kant afferma che è tanto
comodo essere “minorenni”, cioè che ci sia un altro che pensi per me, ma bisogna pensare. Per
questo arriva a scrivere “La religione entro i limiti della sola ragione”.
1
Nominalismo: dare importanza alle parole, una forma contenutistica; il N. ha spostato l’attenzione sulle parole: sei
ortodosso se sai dire bene le parole, escludendo il vissuto.
IL CONCILIO VATICANO I
Nel Concilio Vaticano I (1870) questa disciplina ha un’importanza fondamentale. Il CV I ha due
punti importanti: la rivelazione e l’ecclesiologia. Per la nostra materia ciò che ci interessa è la Dei
Filius.
Il CV I ebbe una certa sfortuna dal punto di vista della ricezione. La conclusione fu tragica con
l’arrivo dei garibaldini a Roma; di fatto non ci fu una vera e propria conclusione, ma una
interruzione. Oggi c’è un recupero di questo concilio. Per capire bene il Vaticano I bisogna leggere
bene gli atti, ma questi furono pubblicati solo 50/60 anni dopo. Questa conoscenza degli atti ha dato
una nuova visione del concilio. Esempio: la Lumen Gentium al cap. 3 parla della gerarchia, per nove
volte non cita il CV I, bensì gli atti del concilio, questo dimostra la difficoltà di comprendere bene il
concilio stesso.
Cosa dice la Dei Filius? Come questa ha portato alla formazione della Teologia Fondamentale?
C’è un doppio ordine di conoscenza: naturale e soprannaturale. L’ordine naturale è capace di
conoscere Dio, ma non basta, c’è un ordine soprannaturale che viene grazie alla rivelazione e
che ha per oggetto i mysteria. La parola rivelazione è un termine nuovo che emerge proprio in
risposta all’illuminismo, prima del secolo XIX era usato solo come aggettivo. È chiaro che qui
parliamo di rivelazione soprannaturale. Il Concilio di Trento non parla di rivelazione ma di
Vangelo, perché Lutero pretendeva una Chiesa evangelica. Dunque Kant va bene, si colloca nel
primo ordine, ma non basta, anzi, la rivelazione dà anche forza alla conoscenza naturale.
La rivelazione si accoglie per mezzo della fede, dono di Dio; perché uno ha la fede? Perché
abbiamo il dono di dire di sì a Dio? La fede cristiana ha per base l’autorità di Dio, il motivo di
fede è: «Perché Dio l’ha detto». Questo aspetto sottolinea la gratuità della fede. Il motivo è,
perciò, soprannaturale, cosa che un illuminista non accetterebbe, per questo c’è un secondo
momento: questa fede è anche ragionevole. Credere non è senza ragione. Dunque, l’uomo
quando crede fa un atto umano, non fa un atto cieco ma coerente con la ragione. La fede aiuta al
sapere aude.
Come avviene la coerenza della ragione?
La ragione cerca delle analogie: cercare delle parole per spiegare («Dio è Padre» è
un’analogia).
Connessione tra i diversi misteri.
La connessione con il senso ultimo. La ragione cerca di capire il senso antropologico
delle affermazioni teologiche.
IL CONCILIO VATICANO II
Apparentemente il CV II non parla di Teologia Fondamentale, il fatto è che i Padri conciliari sono
stanchi dell’apologetica, il Concilio produce un documento: la Dei Verbum. Che fare? Bisogna
ancora insegnare la Teologia Fondamentale nelle università? Apparve una disciplina dogmatica:
«Rivelazione e Fede», senza entrare nell’argomento della credibilità.
Nel 1979 il papa dice che bisogna fare Teologia Fondamentale anche in relazione all’ecumenismo.
Negli anni ’90, dopo un grande congresso fatto in Gregoriana, sulla Teologia Fondamentale appare
chiaro che c’è una nuova disciplina, perché il tema della credibilità risulta fondamentale per la
pastorale. Escono allora il DTF (1990) e il CTF (1988-90). C’è un’attenzione al tema antropologico,
che è espresso appunto dalla parola «credibilità».
Impostazione delle due scuole:
DTF – Gregoriana credibilità
CTF – Tubinga i fondamenti della Teologia
La DV mette al centro della vita della Chiesa la Parola di Dio («Dei verbum religiose audiens»).
La DV mette in evidenza anche la Tradizione e il Magistero che ha la funzione di interpretare
autenticamente la Parola di Dio, non stando sopra ad essa ma al suo servizio. «Autentico» indica
che ha l’autorità che gli viene da Cristo.
Quello che è importante per il nostro corso è che i padri conciliari nella Optatam totius non parlano
di apologetica. Questo ha portato un “disastro” non si sapeva che fare di questa disciplina.
Nella costituzione apostolica Sapientia Christiana dove si stabilisce la norma degli studi teologici,
qui si parla di Teologia Fondamentale.
Quale modello assumere per la TF? Varie proposte:
APOLOGETICA CLASSICA (che vuole dimostrare)
LA DOGMATICA DELLA RIVELAZIONE E DELLA FEDE (senza la dimensione della risposta)
→Latourelle: La Teologia della rivelazione
L’APOLOGETICA DELL’IMMANENZA E DELL’UDITORE (antropologica) → Blondel
LA TEOLOGIA FONDAMENTALE PRATICA → J. B. Metz
Con la SapCh ci si accorge della necessità di non fermarsi alla dogmatica, ma affrontare il problema
della credibilità (nuova apologetica → mostrare). Quale l’elemento chiave che porta a questo
cambiamento? Il “giro antropologico”: la grande novità degli anni ’50-’60 è l’attenzione all’uomo
moderno, vedere se la persona ha la capacità di ricevere la rivelazione; questo implica una
dimensione pastorale.
Il papa fece un discorso che portò alla Fides et Ratio che uscì nel 1998.
LA FIDES ET RATIO
N. 67 afferma che la TF è una disciplina che dovrà farsi carico di giustificare ed esplicitare le
relazioni tra fede e riflessione filosofica. La credibilità è la forma di relazione tre fede e filosofia,
questo porta alla verità e alla pienezza di senso.
Questo numero esprime tutti gli orientamenti sulla fondamentali emersi nle congresso del ’95:
credibilità, verità e senso.
La struttura della FR:
Introduzione: conosci te stesso
Cap. 1: La rivelazione della Sapienza di Dio
Cap. 2: Credo ut intelligam
Cap. 3: Intelligo ut credam
Cap. 4: Fede e ragione
Cap. 5: Magistero
Cap. 6: Rapporto tra teologia e filosofia
Cap. 7: Esigenze attuali
2
Criteri per discernere il magistero ordinario: 1) natura del documento, 2) ripetizione, 3) lo stile e il tono (forma di
esprimersi).
giungere ad una visione unitaria e organica del sapere», è una grande professione di fede nella
ragione dell’uomo, è una visione ottimista sull’uomo.
n. 102: la Chiesa deve «…portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e
il loro anelito verso un senso ultimo e definitivo della loro esistenza».
Come possiamo definire la TF?
Sintesi:
LA TEOLOGIA FONDAMENTALE CONSISTE NEL FONDARE E GIUSTIFICARE LA RIVELAZIONE
CRISTIANA COME PROPOSTA SENSATA (E NON DIMOSTRAZIONE) TEOLOGICA, STORICA E
ANTROPOLOGICA.
L’aspetto storico e antropologico è lo specifico della fondamentale, è dove si trova il dialogo con
l’umanità; la storia è necessaria per non cadere in un soggettivismo.
I PARTE: EPISTEMOLOGICA
Noi partiamo dalla fede, stiamo facendo teologia! Ma la fede non è soltanto una virtù teologale, è
anche una conoscenza. In questa parte tratteremo gli elementi della fede da un punto di vista
epistemologico.
Il punto di partenza della nostra riflessione è l’uomo, sulla scia del rinnovamento della TF,
riprendendo quello che Rahner chiama “giro antropologico”.
Inoltre dobbiamo tener presente che per la fede il primato ontologico è la rivelazione, quello che ha
il senso ultimo. Qual è il primato epistemologico? Cioè, da dove partiamo? Premesso che il primato
ontologico rimane la rivelazione, si deve anche cominciare a parlare della rivelazione? Rahner dirà
che è il punto di partenza pratico è l’uomo, Balthasar, anche la rivelazione.
Quando esce la FR c’è una sorpresa: «Conosci te stesso», il primato epistemologico è quello
1. Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato
l'umanità a incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. E un cammino che s'è svolto
— né poteva essere altrimenti — entro l'orizzonte dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà
e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul
senso delle cose e della sua stessa esistenza.
Quanto viene a porsi come oggetto della nostra conoscenza diventa per ciò stesso parte della nostra vita. Il
monito “Conosci te stesso” era scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, a testimonianza di una verità
basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi, in mezzo a
tutto il creato, qualificandosi come «uomo» appunto in quanto «conoscitore di se stesso».
Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra,
segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso
dell'esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo
questa vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda
non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e LaoTze come pure nella predicazione dei
Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e
Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone ed Aristotele. Sono domande che hanno la loro comune
scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: dalla risposta a tali domande,
infatti, dipende l'orientamento da imprimere all'esistenza.
Ma questo lo dice il papa? Sì perché vuole entrare in dialogo con l’uomo che ha dentro di sé la
domanda di senso, se uno, almeno implicitamente, non si fa questa domanda non può comprendere
la rivelazione. La rivelazione porta luce alla ricerca di senso. È interessante perché questo tema non
è nuovo. Il CCC è del 1992 e già nel primo capitolo, ancor prima di affrontare il Credo della fede,
fa un piccolo trattato di antropologia: homo capax Dei (nn. 27-49).
La parola salvezza ha senso per chi ha la coscienza di dover essere salvato, di chi aspetta il
salvatore, se uno non ha le aspettative tutta la rivelazione perde di significato.
Dove si trova il punto di partenza del Conosci te stesso?
In Rm 10,17 Paolo spiega da dove viene la fede: «la parola è vicino a te… se professerai con la
bocca… e crederai nel tuo cuore… Dice infatti la Scrittura: Chiunque crederà in lui non rimarrà
confuso. […] e chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Ma come avrebbero potuto
invocare uno nel quale non credettero? Come avrebbero potuto credere in uno che non udirono?
Come potrebbero aver udito senza uno che annuncia? Come avrebbero potuto annunciare se non
fossero stati inviati? […] Ma non tutti obbedirono al buon annuncio […] Ora la fede dipende dalla
predicazione, la predicazione si realizza per mezzo della parola di Cristo»
È importante l’ascolto → fides ex auditu → l’orecchio umano ha la capacità di ascoltare una parola
che è di un Altro? Questo è il problema antropologico.
Il primato è della Parola di Dio!
Ritorniamo al «Conosci te stesso». Il detto è da ricondurre a Socrate, con l’intento di significare che
la prima cosa che devi tenere presente è la tua ignoranza: il sapere di non sapere; in altre parole:
«Sappi che non sei Dio!».
Quando i cristiani cominciano a parlare del «Conosci te stesso», affermano che questo si trova
prima di Socrate nei testi dell’AT (Ct 1,8) → se non conosci non puoi amare. Teologi come
Agostino e Bernardo dicono che la novità cristiana dà più ottimismo all’oracolo: cosa devi
conoscere? Che sei immagine di Dio. Il detto socratico è “negativo”: sai che non sei Dio.
Questo porta Gilson a parlare di “socratismo” cristiano del medioevo: c’è un’origine pagana del
«Conosci te stesso» che conosce uno sviluppo grazie al cristianesimo.
Pascal dice una cosa interessante: «l’uomo è una canna pensante». Una canna è qualcosa di fragile.
Che differenza tra l’uomo e l’albero? Tutti e due non sono niente, ma solo l’uomo può dirlo. Questo
sottolinea l’importanza dell’autocoscienza.
Nietszche dice che il superuomo non può dire «Conosci te stesso» questo porta al pessimismo.
Il CVII nella GS n.10 fa un accenno alla domanda su cos’è l’uomo, ma soprattutto Palo VI fa una
sintesi elevata su questo argomento: la sapienza antica diceva «Conosci te stesso» e questa sapienza
rimaneva a livello di interrogazione, il Natale è la risposta alla domanda: l’uomo è immagine e
somiglianza di Dio.
Il problema del male è direttamente collegata al «Conosci te stesso». Il male non è la limitazione, fa
parte dello stesso mistero della persona umana, legata alla sua coscienza: non sempre ci
comportiamo in modo onesto (??). Non c’è l’equazione male fisico = male morale.
[Facciamo in parentesi una piccola riflessione. La scena del dialogo di Gesù con i due ladroni:
abbiamo tre forme di accettare il male: 1) il ladro arrabbiato con Gesù non accetta il suo male e
questo lo porta fuori dal paradiso; 2) il ladro che riconosce le colpe commesse fa un grido di
speranza: ricordati di me quando sarai in paradiso, ed entrerà in paradiso; 3) l’innocente, Cristo:
prende su di sé il male degli altri e li salva. Questi tre modelli ci aiutano a vedere il male. È vero
che il vero controsenso della vita è il male. Non c’è soluzione ma soltanto accoglienza del mistero.
Il male non è un problema che tentiamo di risolvere teoreticamente, è un mistero (antropologico).]
Dice Tommaso che l’uomo è un movimento aperto verso il futuro. La gente oggi ha paura di
pensare perché non sa dove si arriva.
MOURICE BLONDEL
Blondel è importante perché cerca di mostrare come la fede non sia qualcosa di esterno alla ragione
umana, mentre tutto il mondo accademico pensava il contrario. Blondel è il primo grande autore
moderno che ha tentato quella che si chiama “apologetica dell’immanenza”, cioè una risposta che
parte dalla persona, cioè dall’antropologia: la fede risponde alle domande più profonde dell’essere
umano.
Blondel intitola la sua tesi di laurea «Actión» e inizia dicendo: «La vita umana ha o non ha un senso
e l’uomo ha un destino? …» (stesso problema dell’oracolo delfico). La risposta di Blondel parte
dall’analisi dell’azione: quando l’uomo agisce lo fa sempre riferito ad un senso, anche se non è
consapevole.
Blondel usa l’immagine della dinamica delle onde provocata da un sasso che cade in uno specchio
d’acqua, tale dinamica è infinita, le diverse onde rappresentano l’azione umana.
1a onda: l’uomo e l’universo materiale l’azione umana vuole armonizzare la relazione tra
l’uomo e l’universo materiale;
2a onda: l’uomo e la sua vita interiore
3a onda: la realizzazione della vita personale nell’amore per gli altri
4a onda: l’amore si trasforma in fonte di vita familiare
5a onda: alimenta la vita comunitaria
6a onda: aspira alla realizzazione di una comunità universale
7a onda: l’azione non si lascia chiudere dentro gli orizzonti del tempo e del mondo, ma
realizza valori morali;
8a onda: l’azione aspira a superare lo spazio e il tempo
9a onda: da quest’ultima aspirazione nasce la dimensione religiosa dell’azione
KARL RAHNER
La conoscenza trascendentale (implicita) è una categoria epistemologica, che trascende la
conoscenza categoriale (esplicita). La conoscenza trascendentale, o implicita è una conoscenza
vissuta.
La teologia di Rahner è detta trascendentale nel senso kantiano.
«Uditori della parola» di Rahner è il testo fondamentale per la nostra materia, dove egli riflette sul
fatto che l’uomo è capace (aspetto trascendentale) di ascoltare una parola non sua, cioè non umana,
ma di Dio, una parola trascendente; per tanto questo libro è un’antropologia dell’uomo aperto
all’assoluto la parola di Dio non è una cosa strana per l’uomo, la persona umana ha una
disponibilità ad ascoltare la parola di Dio.
Dove si deve ascoltare questa parola? Non in una illuminazione particolare, o privata, non in una
rivelazione personale, l’uomo è capace di ascoltare una “parola” cercandola nella storia →
importanza della storicità, il che implica la reperibilità di tale parola. Pertanto bisogna cercare tutte
quelle realtà della storia che formano una rivelazione, si è davanti ad un ritorno alla realtà.
Nel libro “Uditori della parola” Rahner divide il suo discorso in tre tesi:
1. L’UOMO È SPIRITO: nella sua forma di conoscenza, l’uomo può penetrare la realtà; questo
vuol dire che l’uomo ha capacità di domandarsi, pertanto quando conosce si apre, non
rimane chiuso, ma apre progressivamente la sua capacità di conoscenza a partire da
questo si può arrivare a Dio, come risposta all’ultimo perché (ultimo di una catena); allora
solo se l’uomo ha una capacità infinita di aprirsi può ascoltare una parola infinita, ossia, solo
se la sua antropologia ha un orizzonte infinito, egli può accogliere questa parola; la parola di
Dio parla all’orizzonte infinito della persona umana, se così non fosse sarebbe soltanto una
parola umana.
2. L’UOMO È LIBERO: anche se l’uomo è antropologicamente e ontologicamente aperto, può
chiudersi alla trascendenza; l’uomo libero ascolta la parola di Dio non chiudendosi
all’orizzonte assoluto, così facendo non toglie in anticipo a Dio la possibilità di dirci quello
che ci vuole dire liberamente (la Rivelazione); l’apertura dell’uomo all’assoluto di Dio si dà
in ogni affermazione e accettazione della propria esistenza l’atteggiamento verso se
stessi implica un atteggiamento verso Dio;
3. LA STORICITÀ UMANA DI UNA POSSIBILE RIVELAZIONE : l’uomo come spirito nel mondo è
spirito incarnato ogni volta che conosce lo fa attraverso i sensi per questo ogni volta che
conosce lo fa orientandosi verso ciò che è storico, questo fatto è costitutivo dell’uomo; per
questo motivo l’uomo è l’essere che deve ascoltare la Rivelazione nella storia per questo
la Rivelazione, se ha luogo, deve verificarsi nella storia come forma di parola (la più alta
forma di rivelazione).
Concludendo su Rahner si può dire che egli pone l’apertura trascendentale dell’uomo verso Dio in
tre stadi:
1. Passaggio dall’ordine dei fenomeni all’essere in sé
2. Passaggio dall’essere in sé all’essere infinito e illimitato
3. Passaggio dall’essere infinito e illimitato all’Essere-Dio
Ciò che emerge allora che per l’uomo Dio è l’essere-verso-cui tende la sua natura, ma pur sempre
rimane un mistero.
JUAN ALFARO
Tema centrale della riflessione di Alfaro è la categoria di «apertura», come ciò che caratterizza e
permette all’uomo di essere interpellato dalla grazia, interiormente o ex auditu mediante l’ascolto di
una parola profetica o di una predicazione della Chiesa. Perché si possa passare dal problema
dell’uomo a quello di Dio, per Alfaro è necessario che ci siano le seguenti condizioni:
1. che nell’esperienza esistenziale emergano i “segni di trascendenza”, ovvero indizi che
vadano oltre il confine “uomo-mondo-storia”;
2. che la riflessione (filosofico-trascendentale) riesca a mostrare la trascendenza di questi
segni, ossia mostrando che solo ponendo il problema del trascendente si comprende il
vissuto dell’esistenza umana.
A partire dalle relazioni fondamentali dell’uomo (con il mondo, con gli altri, con la morte e con la
storia) si giunge all’affermazione di Dio come realtà fondante, amore originario, speranza ultima,
futuro assoluto, questi aspetti sono l’espressione dell’apertura dell’uomo a Dio, come colui che
deve essere accolto come Grazia assoluta che si autorivela.
J.B. METZ […]
H. VERWEYEN […]
te sarà il tuo erede». 5Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se
riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». 6Egli credette al Signore, che
glielo accreditò come giustizia.
Abramo credette che Dio gli avrebbe dato dei figli: si radicò su questa parola.
Vediamo anche Es 4,1-5.31:
1
Mosè rispose: «Ecco, non mi crederanno, non ascolteranno la mia voce, ma diranno: Non ti è
apparso il Signore!». 2Il Signore gli disse: «Che hai in mano?». Rispose: «Un bastone».
3
Riprese: «Gettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale
Mosè si mise a fuggire. 4Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendilo per la coda!».
Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. 5«Questo perché credano
che ti è apparso il Signore, il Dio dei loro padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe».
31
Allora il popolo credette. Essi intesero che il Signore aveva visitato gli Israeliti e che aveva
visto la loro afflizione; si inginocchiarono e si prostrarono.
Ma il testo dove più si parla di fede è il deutero-Isaia, ovvero i capitoli 40-55, ma anche il capitolo 7
(l’Emanuel-Dio con noi), soprattutto Is 7,9: «Se non crederete non capirete» è il “locus classicus”
medioevale per parlare del ruolo della ragione teologica.
Mentre Eb 11,1: «la fede è fondamento (substantia/upo,stasij) di realtà che si sperano e prova
(argumentum/elegko,j) di realtà che non si vedono»; è il “locus classicus” tradizionale sulla
definizione della fede.
Nel Sal 92,5 leggiamo: «Degni di fede sono i tuoi insegnamenti», il latino dice “credibilia”: è la
prima volta che in latino si usa questo termine.
La fede non è soltanto ciò che facciamo verso Dio, cioè, non ha solo l’aspetto soggettivo, ma anche
oggettivo, è anche il contenuto di ciò che crediamo (il Credo). In termine tecnici si differenzia la
fides qua (creditur), quella soggettiva (la fede attraverso la quale si crede), dalla fides quae
(creditur), quella oggettiva (la fede che si crede).
Nell’AT il centro della fides quae è l’Esodo (ma l’esilio è un nuovo esodo – per questo la maggior
parte dei libri dell’AT sono stati scritti durante l’esilio).
Eb 11,1
1La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. 2Per mezzo di questa
fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
Tommaso di che questa è una definizione adeguata della fede. L’unico problema del testo è che non
parla del contenuto della fede, parla solo della fides qua; l’aspetto positivo è che sottolinea il fatto
che la fede non è un’opinione. Per la comunità linguistica la fede è un’opinione, ma nel contesto
biblico non è così.
Il documento della PCB del ’93 dice che l’interpretazione della Bibbia non consiste solo nel fare
l’esegesi del testo, ma anche vedere gli effetti che ha prodotto questo testo nella storia (Storia degli
effetti).
Il CV I aveva la preoccupazione di dialogare con l’illuminismo che dava molta importanza alla
ragione, affermando che la ragione umana, malgrado tutto ha una certa capacità di conoscere Dio3.
Il CV II è cosciente che questo è importante ma va oltre: prima di parlare di questo fa riferimento a
Gv 1,3: «tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste»,
per dire che già tutta la creazione è cristologica, cioè ha un riferimento a Cristo; questo mette in
rilievo un fatto molto importante: il primato della creazione in Cristo, infatti, non c’è prima un
momento naturale, giacchè, tutto è stato fatto per mezzo del Verbo.
3
«Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del
mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute…»
(Rm 1,19s)
La terza dimensione della fede mostra che essa, costitutivamente è dei “camminanti”, implica, cioè
un processo verso un fine.
Ma qual è il centro della rivelazione? Il mistero più importante della fede della Chiesa? C’è una
gerarchia dei misteri rivelati. Abbiamo il mistero della Trinità (il cui centro è Dio),
dell’incarnazione (il cui centro è Cristo) e dell’uomo deificato (il cui centro è la Chiesa): il mistero
centrale è quello dell’incarnazione per mezzo del quale la Trinità si rivela e per mezzo del quale
l’uomo è divinizzato.
In Gv tutta la teologia del Logos è tesa verso il motivo per credere: Dio non è rimasto come mistero
nascosto ma si è fatto carne.
Noi siamo figli adottivi di Dio e siamo in cammino per arrivare a Dio (→ S. Paolo)
È il momento analitico della teologia. Questa parte è anche detta la crux teologorum perché
nasconde il pericolo di cadere o nel fideismo (vista come unica forma di salvare la gratuità di Dio) o
nel razionalismo. Come si può arrangiare il dono di Dio senza perdere la sua gratuità (che non vuol
dire superfluo).
Dono di Dio (DV 5) «[lo Spirito] muove il cuore (conversione) e apre gli occhi della mente»
(funzione epistemologica)»
l’uomo si abbandona totalmente e liberamente
Se si assolutizza il primo aspetto si cade nel “fideismo” (caratteristico del protestantesimo)
4
Credere in Dio.
5
Credere a Dio.
6
Credere “verso” Dio.
Ef 1,18 :«Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale
speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi »
si può, secondo Paolo, giungere ad una conoscenza più profonda: il dono di Dio apre gli
occhi del cuore (ovfqalmou.j th/j kardi,aj - centro della persona -) in modo da
aprirci alla speranza.
I discepoli di Emmaus
Lc 24:13 Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da
Gerusalemme sessanta stadi; 14 e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. 15 Mentre
discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. 16 Ma i
loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano ( oi` de. ovfqalmoi. auvtw/n
evkratou/nto tou/ mh. evpignw/nai auvto,n). […] 30 Quando fu a tavola con loro prese il
pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ma egli
scomparve alla loro vista (auvtw/n de. dihnoi,cqhsan oi` ovfqalmoi. kai. evpe,gnwsan
auvto,n\ kai. auvto.j a;fantoj evge,neto avpV auvtw/n)…
Luca cerca di rispondere alla domanda: come facciamo a riconoscere Gesù se non lo conosciamo
personalmente? proprio come è accaduto ai discepoli di Emmaus, egli ci sta dando le
condizioni per riconoscere Gesù anche se uno non lo vede.
Lc 24:27 kai.
avrxa,menoj avpo. Mwu?se,wj kai. avpo. pa,ntwn tw/n profhtw/n
diermh,neusen auvtoi/j evn pa,saij tai/j grafai/j ta. peri. e`autou/Å
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò (fece un’ermeneutica) loro quanto lo riguardava
in tutte le Scritture.
Luca ci sta dicendo che è Cristo che fa l’ermeneutica della Scrittura. Di fronte alla non-speranza la
parola di Gesù illumina i loro cuori e fa sì che possono sperare.
Dopo la resurrezione quando Gesù appare a Tommaso dice: «beati coloro che crederanno pur non
avendo visto» Gv 20,29, è un discorso parallelo a quello di Emmaus.
S. Tommaso parla di fides oculata.
Gv 6:44 Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò
nell' ultimo giorno. 45 È scritto nei profeti: "Saranno tutti istruiti da Dio". Ogni uomo che ha udito
il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
il dono della fede è gratuito, il che non significa superfluo.
1. La conoscenza naturale di Dio (se uno non ha una apertura alla trascendenza mai crederà in
Dio; il CV I dice che ha la capacità di conoscere l’assoluto)
2. Possibilità della Rivelazione (se neghiamo la possibilità che Dio si faccia presente nella
storia è inutile fare teologia)
3. Capacità del linguaggio umano di parlare di Dio (attraverso l’analogia, cioè un uso
simbolico del linguaggio)
4. Le domande per il senso (se uno non si fa le domande sul senso della propria esistenza, della
morte, della sofferenza, ecc. non può capire il mistero di Gesù)
b. Ratio fidei
Come funziona la ragione? Dei Filius del Concilio Vaticano I:
«Quando la ragione illuminata dalla fede, cerca assiduamente (cum sedulo), piamente
(pie) e nei limiti del dovuto (sobrie), con l’aiuto di Dio consegue una certa conoscenza
molto feconda dei misteri sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per
il nesso degli stessi misteri fra loro e col fine ultimo dell’uomo» (DH 3016).
I preambula fidei e la ratio fidei sono molto simili, ma la differenza sta nel momento: prima della
fede o insieme alla fede.
Come abbiamo già accennato si impone la necessità di fare sintesi, questo perché la fede fa parte del
vissuto della persona.
4. CONCLUSIONE
In questa forma di fare sintesi, fino a dove può arrivare la ragione umana? Al massimo ad una
convergenza di senso; dando il proprio assenso alla fede, i segni mostrano pieno senso e fanno sì
che credere non sia assurdo. Per questo motivo abbiamo detto che il risultato a cui giungiamo non è
una evidenza logica, ma una certezza morale. Per mostrare la credibilità della fede possiamo
riflettere solo sulle condizioni umane.
La credibilità è una proposta di senso, non una dimostrazione; come si articola questo senso?
Proposta di senso (FR 14):
TEOLOGICA la rivelazione (parte dogmatica)
STORICA immette nella storia un elemento: come Dio-Padre, Gesù-Salvatore o la Chiesa-
Popolo di Dio manifestano il loro senso nella storia attuando e essendo presenti in maniera
accertabile in essa?
ANTROPOLOGICA da cui l’uomo non può prescindere: come l’uomo resta interpellato e
può accogliere come senso ultimo e definitivo questa rivelazione di Dio-Padre, di Gesù-
Salvatore e della Chiesa-Popolo di Dio?
La parte storico-antropologica è lo specifico della fondamentale, come diceva Rahner, ogni aspetto
della teologia ha un risveglio “fondamentale”.
Come è possibile che l’Assoluto si sia fatto concreto? È possibile che una persona concreta diventi
importante per la salvezza universale? Questi sono gli interrogativi che cerchiamo di affrontare in
questa tesi.
La Dominus Iesus al n. 15 e la FR al n. 11 sono concordi il tutto si nasconde in un frammento,
l’eterno entra nel tempo.
La filosofia greca ha formulato la categoria dell’universale come: post rem (come astrazione dal
concreto) o ante rem (prima viene l’idea e poi l’oggetto Platone); ma c’è anche un universale in
re, posso avere una idea universale solo vedendo le realtà concrete (Aristotele e Tommaso).
Dobbiamo porci le seguenti domande:
1. Perché l’economia della salvezza? (Cur oeconomia Revelationis?)
2. Perché Dio si è fatto uomo? (Cur Deus homo?)
3. Perché la Chiesa è sacramento universale di salvezza? (Cur ecclesia univeralem concretum
salutis?)
Lessing: È possibile provare una verità eterna a partire da un fatto storico?
Cristo è l’universale concreto personale, la Chiesa è universale concreto sacramentale.
1. PERCHÉ L’ECONOMIA DELLA SALVEZZA?
7
Allora, infatti, come si legge nei santi Padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto»,
saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale.
8
Cfr. Ef 4,13: «finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo».
II PARTE:
LA PROPOSTA SISTEMATICA
Come noi abbiamo accesso alla memoria di Gesù? Abbiamo una testimonianza di fede di un evento
storico, come accediamo ad esso?
tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza,
fino al giorno in cui fu assunto in cielo» (DV 19).
Emerge dunque il dato storico riguarda le opere e le parole di Gesù.
«Gli apostoli poi, dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori
ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle
cose, di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo [la Pasqua] e illuminati
dallo Spirito di verità, godevano».
Quello che accade non sono i fatti bruti di Gesù, c’è una nuova comprensione, non è un fatto
meramente cronologico, ma c’è un’ermeneutica, per questo gli apostoli possono raccontare gli
eventi alla luce della Pasqua.
«E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le
molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto
di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese,
conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da
riferire su Gesù cose vere e sincere. Essi infatti, attingendo sia ai propri
ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali “fin dal principio furono testimoni
oculari e ministri della parola”, scrissero con l’intenzione di farci conoscere la
“verità” (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto».
Gli evangelisti selezionano gli eventi, facendone una sintesi, adattandoli alla realtà della Chiesa,
mantenendone la forma kerygmatica, al fine di riferire cose vere e autentiche su Gesù. Si noti che il
concilio non dice “cose storiche”, ma vere e sincere gli evangelisti hanno scritto ciò che Gesù
voleva dire veramente e sinceramente, ossia l’intenzione di Gesù.
L’INDAGINE STORICA SU GESÙ DI NAZARETH: LE TRE TAPPE
1. PRIMA TAPPA: LA «OLD (FIRST) QUEST» (1778-1906) – L’opposizione tra Gesù storico e
dogma cristologico
La ricerca storica su Gesù, la cosiddetta Old Quest, offre una serie di intuizioni che si ritrovano
nelle ricerche successive, soprattutto la metodologia storico-critica e l’ambientazione giudaica del
Gesù storico. La OQ entra in crisi nel XVIII secolo, perché non si trova nel dato storico la
definizione del dogma cristologico.
2. LA «NO QUEST» (1921 - 1953) – La grande distanza tra la Chiesa e il Gesù storico
A partire dal XX secolo si verifica una spaccatura tra vangeli e storia, Bultman scrive un libro sui
sinottici dicendo che non è interessante la storia, quel che si deve fare è teologia dei vangeli. La
storia, dal punto di vista protestante, non porta alla fede, dunque non ce ne dobbiamo interessare;
non è importante la vita di Gesù, ma il suo messaggio.
3. SECONDA TAPPA: LA «NEW QUEST» (1953-1985) – La rinnovata continuità tra il Gesù
storico e il Cristo del kerygma
Käsemann (con Jeremias) critica la posizione di Bultman, ritornando alla ricerca di Gesù (New
Quest), affermando che bisogna trovare un criterio di autenticità per la ricerca storica. È vero che i
vangeli non sono storia critica in senso moderno, ma comunque rappresentano una memoria del
Gesù terreno utile per stabilire la connessione tra il Gesù storico e il Cristo della fede.
In quegli anni il criterio per garantire la storicità era il criterio della differenza: siamo al sicuro solo
in un caso, ossia quando troviamo una tradizione che non può essere dedotta dal giudaismo né
attribuita al cristianesimo primitivo qualcosa di nuovo è avvenuto; es. per il termine “abbà”
nell’AT non c’è una sola volta in cui viene usato dunque nessuno avrebbe potuto inventare l’uso
di questo termine riferito a Dio; tutto quello che è inaspettato è garanzia di storicità.
4. TERZA TAPPA: LA «THIRD QUEST» (1985/1988 – 20..) – La rinnovata continuità tra Gesù di
Nazaret e i Vangeli
CRITERI DI AUTENTICITÀ
CRITERIO GLOBALE: plausibilità storica e la coerenza di Gesù
La plausibilità storica di Gesù risulta dal fatto che egli è concepibile esclusivamente in un
determinato contesto storico (mondo giudaico, dominazione romana, aspettative messianiche del
popolo,…) e che può essere riconosciuto dai suoi effetti attraverso le fonti che ne danno
testimonianza (NT e il cristianesimo nascente).
CRITERI DERIVATI:
a. Il c. di dissomiglianza:
Un dato evangelico si può considerare autentico se non è riconducibile alle concezioni del
giudaismo o a quelle della chiesa primitiva.
b. Il c. di attestazione molteplice
La certezza viene dalla confluenza e chiara indipendenza delle fonti che l’attestano.
Possiamo concludere che i criteri di storicità danno maggiore credibilità ai vangeli come fonte di
conoscenza di Gesù; da qui può partire tutta la riflessione cristologia. Vediamo allora cosa possiamo
dire sul Gesù storico a partire dai vangeli.
DATI FONDAMENTALI:
CRONOLOGIA:
- anno di nascita: tra il 7 e il 4 a.C.
- morte: 30 d.C sotto Ponzio Pilato
1. NAZARENO: nasce a Nazareth, fatto fondamentale per la sua missione, infatti i galilei erano
considerati pagani dagli ebrei ortodossi (Natanaele: «Può forse venire qualcosa di buono da
Nazaerth?»).
2. BATTEZZATO: da Giovanni Battista inizialmente problematico da affermare perché
sembrerebbe dire che Giovanni è più grande.
3. PROCLAMAZIONE DEL REGNO DI DIO: il Regno di Dio (RdD) è un concetto simbolico che
riflette la tensione del già e non ancora;
4. GESÙ CONVOCÒ DEI DISCEPOLI: Gesù fu chiamato «rabbì» la convocazione dei Dodici e la
predicazione del RdD mostrano con certezza che la speranza di Gesù era il ristabilimento di
Israel (i Dodici rimandano alle 12 tribù);
5. TAUMATURGO: attraverso le guarigioni e gli esorcismi, così era conosciuto al tempo (cfr. Flavio
Giuseppe);
6. VICINANZA CON DIO: rivelata dall’espressione «Abbà», che proviene dal linguaggio familiare ed
esprime i sentimenti di abbandono, fiducia e vicinanza del figlio rispetto al padre;
7. RELAZIONE CRITICA CON IL TEMPIO: la critica includeva i sacerdoti e tale controversia è anche
testimoniata da Flavio Giuseppe, che testimonia che Pilato condannò Gesù sulla denuncia «del
primo dei loro uomini» che, confrontando con il vangelo, risulta essere il sommo sacerdote;
8. CENA DI COMMIATO CON I DISCEPOLI: è discusso il fatto che si tratti della cena pasquale
(ebraica); è una cena di commiato con una dimensione escatologica: Gesù consegna questa cena
come memoriale; abbiamo parole certe come: «Questo è il mio corpo»; i segni usati da Gesù
fanno riferimento alla tradizione giudaica: sangue di Gesù/sangue dell’agnello, pane/manna, …
9. LA CROCE: fatto storicamente indiscusso, così come la motivazione: INRI scritto in 3 lingue.
“Regno” non di questo mondo!
10. DOPO LA MORTE GESÙ È STATO CONSIDERATO VINCITORE DELLA MORTE: è un fatto che molti
abbiano testimoniato la resurrezione di Gesù! (il valore di questa testimonianza è una questione
che tratteremo successivamente);
11. I DISCEPOLI CONTINUARONO IL MOVIMENTO DI RIFORMA INIZIATO DA GESÙ: inizialmente
conosciuti come setta o fazione dei Nazareni continuarono come forma di movimento orientata
verso la risurrezione di Israele, solo più tardi furono chiamati cristiani (ad Antiochia); Hanno
anche iniziato a chiamarsi: Chiesa – ekklesia tou theou.
Cf. l’assemblea del popolo al Sinai. Ekklesia indica continuità con l’alleanza del Sinai!!
● Testi importanti:
Mt 16:13 - Giunto poi Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, si mise ad
interrogare i suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell' uomo?».
14 Essi risposero: «Chi dice che sia Giovanni il Battista, chi Elia, chi Geremia
o uno dei profeti». 15 Dice loro: «Ma voi chi dite che io sia?». 16 Prese la
parola Simon Pietro e disse: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17
Rispose Gesù: «Beato sei tu, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il
sangue te l' hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
At 4:11 - Egli è la pietra respinta da voi costruttori, che è divenuta la testata
d' angolo. In nessun altro c’è salvezza. 12 Nessun altro nome infatti sotto
il cielo è stato concesso agli uomini, per il quale siamo destinati a salvarci».
Se ci si interroga solo sull’oggetto diretto della fede cristiana non c’è utilità: è Gesù, il Cristo, il
crocifisso, colui che è risorto ed è presente oggi nella sua Chiesa. E quest’ultimo è accessibile a tutti
i credenti, inclusi quelli che non studieranno mai teologia! Però, anche se la ricerca sul Gesù storico
non è l’oggetto diretto e l’essenza della fede, deve essere parte integrante della moderna teologia
come “condizione de possibilità”. Infatti il Gesù storico è un’arma contro ogni riduzione della fede
cristiana ad una ideologia fuori della storia, giacché si rifiuta di essere afferrato o rinchiuso in una
sola scuola di pensiero, sia di destra che de sinistra, e spinge i teologi a procedere per nuove vie per
avvicinarsi alla costante e sorprendente novità del Gesù storico; perciò “il Gesù storico rimane uno
stimolo costante per il rinnovamento teologico” [cf. J.P.Meier, Un ebreo marginale 1, c. VII;
‘Gesù’: Nuovo Gran.Com.Bibl.:78:8-10].
Il metodo storico-critico, coadiuvato dai nuovi dati e dai nuovi metodi, è necessario (come
condizione di possibilità!) ma non sufficiente, perché sceglie e ripulisce i tasselli di un mosaico, che
però non costruisce. I tasselli occorre metterli insieme sia pure in modo ipotetico, ma coerente,
mediante un’ermeneutica globale.
Ora, il mosaico da ricostruire non è né il Gesù storico della “Old Quest”, creato in contrasto col
dogma, né il Gesù storico della “New Quest”, configurato in contrasto col giudaismo, e neppure il
Gesù storico della “Third Quest”, che per un verso viene identificato troppo col mondo giudaico e
per altro verso mantiene dei residui del positivismo storico. Il Gesù storico è quello vero, reale,
vissuto all’interno di Israele e del giudaismo variegato del suo tempo, che spiega le diverse reazioni
alla sua persona e al suo ministero, ma che ne rimane al disopra, spezzandone i legami troppo stretti
così da costituire la premessa della “nuova alleanza”, la nuova comunità composta da ebrei e
gentili. Il valore storico globale dei vangeli e del Gesù ivi narrato ed annunciato, affermato dalla
DV 19 e molto caratteristico della ‘terza ricerca’ su Gesù, ingloba sia la vicenda storica,
ipoteticamente ricostruita, sia il suo influsso storico sulla percezione e la vita delle persone, che
l’hanno incontrato ed hanno creduto in lui, ed hanno dato origine ad una comunità ‘a lui così fedele
da cambiare il corso della storia’ [cf. G. Segalla, “La verità storica dei Vangeli e la ‘terza ricerca’ su
Gesù”: Laterarum 61 (1995) 498-500].
LA TESTIMONIANZA PASQUALE
Pietro confessa la vittoria definitiva di Gesù sopra la morte per mezzo della risurrezione (to.n de.
avrchgo.n th/j zwh/j avpektei,nate o]n o` qeo.j h;geiren evk nekrw/n( ou-
h`mei/j ma,rture,j evsmen - Questo Gesù Dio l' ha risuscitato e noi tutti ne siamo
testimoni).
Paolo dice che se Cristo non è risorto la nostra predicazione è vana e vana è la vostra fede e noi
siamo falsi testimoni.
DV 4: dice che la risurrezione di Cristo porta a compimento, alla sua pienezza, la Rivelazione,
perché Cristo è l’unico che ha potuto vincere la morte, questo fa di Cristo un uomo decisivo, infatti
secondo l’AT l’unico che può vincere la morte è Dio, non solo, dunque Dio ha risuscitato Gesù, ma
anche Gesù Cristo è risorto e manifesta la sua divinità. La grande rivelazione che Gesù fa è che la
persona umana può vincere la morte nella fede in lui, la morte non è la parola definitiva.
UN PO’ DI STORIA
I tappa: «Old paschal quest»
Visione della pasqua soggettiva: la Pasqua è un’esperienza soggettiva degli apostoli, non c’è nessun
dato, è reale solo nelle persone che hanno avuto questa esperienza.
La «No paschal quest»
È la posizione di Bultman: non ha importanza quello che è successo ma quello che vivo, non
interessa come è successo, l’evento escatologico non si può capire con gli occhi della storia, ma
solo con quelli della fede.
II tappa:«New paschal quest»
Segna il passaggio da una considerazione apologetica (la risurrezione come fatto storico) al primato
teologico (la resurrezione come mistero di fede). Questo è l’orientamento a partire dal simposio del
1970 sulla risurrezione, che portò una nuova visione esegetica sulla risurrezione. Il simposio da una
parte diede ragione all’esperienza soggettiva, ma questo non basta, essi dicono che la parola ‘storia’
è più ampia, per questo si fa la distinzione tra Gesù storico e Gesù reale.
III tappa: «Third paschal quest»
- Verweyen dice che la proesistenza di Gesù basta ad affermare la realtà dell’evento pasquale.
- C’è poi un orientamento (Lüdemann) con una prospettiva esclusivamente ‘psicogena’ (generata
dalla psicologia): i discepoli nella condizione di profonda delusione non possono credere alla
fine di tutto ciò in cui hanno creduto. Questo orientamento ha il suo peso, soprattutto oggi che la
psicologia ha molta importanza.
- La linea del Jesus seminar parla di un uso simbolico della parola risurrezione.
- L’orientamento di Dufour e altri sottolineano l’importanza storica.
Di fronte alla morte di Gesù tutti gli apostoli fuggono e vanno in Galilea, ma cosa accade dopo? Il
ritorno rapidissimo a Gerusalemme, questo è un fatto sorprendente. A questo punto i discepoli
iniziano ad annunziare il kerygma, cioè che Gesù ha vinto la morte e successivamente inizia la loro
missione con la nascita delle comunità ecclesiali.
Questo ritorno rapidissimo è molto importante dal punto di vista sociologico. Dal punto di vista
storico-critico stiamo seguendo dei fatti. La domanda che ci si deve porre è: Cosa è accaduto? È
successo “qualcosa” che ha determinato questo cambiamento (dalla fuga al repentino ritorno),
questo è il nucleo storico che credenti e non credenti devono ammettere. Questo “qualcosa” ha
reso possibile la fede pasquale. Attenzione non stiamo parlando di una dimostrazione della
resurrezione di Cristo, stiamo facendo uno studio fenomenologico della genesi della fede pasquale,
di ciò che ha motivato gli apostoli ad annunciare il kerygma.
La comunità conferma che l’esperienza della risurrezione non è una immaginazione ma un fatto
reale la Chiesa è il grande segno della risurrezione.
Solo per fede possiamo dire che questo “qualcosa”, che è il nucleo storico fondamentale, è la
risurrezione, ma lo facciamo a partire dai segni che la rendono credibile.
LA «FIDES OCULATA»
Analisi del testo dei discepoli di Emmaus Lc 24,13-35
Gerusalemme
v. 16 ≠ occhi = v. 31
Frazione del pane
Scrittura
zh/n
454862938.doc – La credibilità della Rivelazione cristiana 31/42
Appunti delle lezioni 2008-2009
Tommaso d’Aquino dice che ciò che hanno avuto i discepoli di Emmaus e gli apostoli fu una
oculata fides, ovvero un vedere credente. La fides oculata è quella che ci aiuta a capire il
“qualcosa”. La fede non è cieca ma ha degli occhi che ci fanno vedere i segni della risurrezione, il
vedere credente è quello che ci dà l’accesso al testimonium Paschae.
all’uomo quale risposta beatificante alla triplice domanda che l’uomo non solo eventualmente si
pone, ma che è in fondo egli stesso.
[introduzione storica]
Con il De Vera Ecclesia9 (XVI sec) cominciano a sorgere dei trattati per dimostrare la vera Chiesa
(direzione apologetica), attraverso la via storica, per dimostrare che la Chiesa cattolica era in
continuità con la Chiesa degli apostoli; vista la lunghezza dell’argomento si optò per una via del
primato (successione petrina); queste due vie sono evidentemente di carattere polemico con i
protestanti, per questo si coniò la via delle note , che è la più teologica Lutero dice che la vera
Chiesa è dove c’è l’annuncio puro del Vangelo e l’amministrazione dei sacramenti (ridotti al
battesimo ed eucaristia), i cattolici si ritrovano nelle quattro note del Credo: una, santa, cattolica e
apostolica, facendo uso di un sillogismo molto semplice che si fonda sul mandato di Gesù. A partire
dal secolo XIX, spinti dalle scienze sperimentali, i teologi cercano una via empirica, che è quella
che adotterà il CV I, significa partire dall’esperienza: come mai la Chiesa esiste ancora dopo venti
secoli? Il CV II dice innanzitutto che la Chiesa è un mistero (come la Trinità, Cristo e i sacramenti)
e come questi va trattata, cioè con un approccio dogmatico nasce l’ecclesiologia dogmatica.
Di fronte all’ecclesiologia dogmatica scompare l’ecclesiologia fondamentale. Cerchiamo di
riprendere l’aspetto fondamentale.
DV 8 dice: «Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la
sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce
dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce
i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la
sua ricchezza (cfr. Col 3,16)». Chiesa&Rivelazione
Nel Credo Apostolico professiamo di credere la Chiesa e non nella Chiesa, al pari delle tre persone
divine La fede ha un carattere “ecclesiale mediato”, perché? Cioè,perché dobbiamo basarci sulla
Chiesa per credere? L’unico segno della rivelazione cristiana è Cristo-nella-Chiesa (DV 8). A questo
punto della riflessione ci si deve domandare fino a che punto la fede e la credibilità dipendono dalla
testimonianza della Chiesa. Nell’orientamento apologetico classico, spesso ci si è limitati a
considerare la fides quae, lasciando la Chiesa come qualcosa di estrinseco alla rivelazione, mentre il
CVII insiste molto sul valore sacramentale
“La Chiesa fa parte (della rivelazione) come ‘via strumentale’ (instrumental way) dell’oggetto
formale o motivo della fede (il Dio rivelante)” (A.Dulles).
“La Chiesa deve essere vista come il modo e l’ambito comunitario-sacramentale nel quale si
professa, si celebra e si testimonia la fede cristiana recuperando così il credere la Chiesa come un
credere ecclesialmente” (S.Pié-Ninot, Credere la Chiesa)!
La Chiesa è segno del Regno di Dio che arriverà alla pienezza alla fine dei tempi, non c’è
equivalenza ma relazione; il suo inizio è “simboleggiato dal sangue e dall’acqua che uscirono dal
costato aperto di Gesù” (cf. Gv 19,34) (LG 3)
nella Chiesa inabita lo Spirito (Spiritus in Ecclesia) che la santifica (LG 4);
la Chiesa è “germe e inizio” del Regno di Dio (LG 5).
FONDAZIONE DELLA CHIESA (LG 5): non un momento, ma processuale, non un solo atto ma 10!
Comissione Teologica Internazionale (CTI): In hac realtione - 1985
Tappe del “processo fondante concreto” della Chiesa:
1) le promesse dell’AT sul popolo di Dio, che la predicazione di Gesù presuppone e che conservano
la loro forza salvifiche; [Gesù non fa un cambiamento ma un approfondimento dell’AT; la Chiesa
è prefigurata da Eva che esce dal costato di Adamo lettura simbolica dei Padri]
2) la chiamata universale di Gesù alla conversione e alla fede;
3) la vocazione e l’istituzione dei Dodici come segno del futuro “ristabilimento dell’intero Israele”;
[i Dodici sono un simbolo di Israele che sottolinea che ci sarà un nuovo popolo di Israele in
continuità ma anche nella novità];
4) l’imposizione del nome a Simon Pietro, il suo posto preminente nella cerchia dei discepoli e la
sua missione; [frutto di una confessione messianica di Gesù Figlio di Dio]
5) il rifiuto fatto a Gesù da parte d’Israele e la rottura tra popolo giudaico e discepoli di Gesù;
6) il fatto [storico] che Gesù, nell’istituire la Cena e nell’affrontare la sua passione e morte, persiste
nel predicare il Regno universale di Dio consistente nel dono della vita a tutti;
7) la restaurazione, grazie alla risurrezione del Signore della comunità infranta, tra Gesù e suoi
discepoli e l’introduzione dopo Pasqua della vita propriamente ecclesiale [proprie ecclesialem];
8) l’invio dello Spirito che fa della Chiesa una vera “creatura di Dio” (Pentecoste);
9) la missione verso i pagani e il costituirsi della Chiesa dei pagani;
10) la rottura definitiva tra il “vero Israele” e il giudaismo.
La CTI dice che nessuna di queste 10 tappe può costituire il tutto, ma che esse, unite tra loro,
mostrano come la Chiesa debba essere compresa come un divenire storico.
GESÙ FONDATORE DELLA CHIESA (ECCLESIOLOGIA IMPLICITA)
Alcuni cominciarono a domandarsi se Cristo volesse fondare la Chiesa.
CTI: 1986 su Cristo e la Chiesa Gesù ha voluto fondare la Chiesa. La Commissione afferma che
la Chiesa viene fondata nell’ “ecclesiologia implicita di Gesù”, come espressione della sua
intenzione, che comportava “la fondazione della sua Chiesa, vale a dire, la convocazione di tutti gli
uomini nella famiglia di Dio”. Gesù voleva la Chiesa, ma non nel senso esplicito (“Adesso ci
riuniamo e facciamo la Chiesa”), egli ha compiuto atti concreti la cui sola interpretazione, se presi
nel loro insieme, è la fondazione, la preparazione della Chiesa, che verrà definitivamente costituita
con la Pasqua. Per questo si dice che è una ecclesiologia implicita volontà di costituire una
comunità che fosse segno del Regno di Dio (un regno senza un popolo è poco credibile).
Alcuni autori (Käsemann) parlano di due ecclesiologie: carismatica e istituzionale; più che
ecclesiologia sarebbe meglio parlare di tappe. Secondo questi autori (protestanti) la Chiesa
istituzionale è vista come una “perversione”, il canone della vera Chiesa è quello carismatico.
All’interno dello stesso ambito protestante nascono delle critiche a Käsemann, Theissen dice che
qualsiasi movimento carismatico, prima o poi deve istituzionalizzarsi.
La Chiesa apostolica è norma e fondamento della Chiesa di tutti i tempi; tre tappe:
1) la Chiesa propriamente apostolica (tra gli anni 30-65): segnata dai grandi apostoli (Giacomo,
Pietro e Paolo);
2) la sub-apostolica (anni 66-100): che si copre sotto il nome degli apostoli scomparsi;
3) la post-apostolica (a. 100-145/150) fino a 2Pt.
La Chiesa come istituzione:
a) costruzione ([1 e 2Ts;] 1 e 2Cor; Rom; Gal) grandi figure carismatiche: Paolo, Pietro,
Giacomo – non c’è una struttura, la struttura è l’apostolo stesso;
b) stabilizzazione (Col; Ef; [Fil;]);
c) protezione (1 e 2 Tim; Tt).
È credibile la Chiesa? Non è una questione semplice. Dalla Chiesa motivo di credibilità (CVI) a
sacramento (CVII): l’istituzione ecclesiale a servizio di Cristo.
Il centro della credibilità della Chiesa sta nella testimonianza (martirio).
CONCILIO VATICANO II
Lo sforzo della personalizzazione teologica del Vaticano II emerge con un termine nuovo:
testimonianza (testimonianza, testimoniare, testimoni: 133x) con espressioni come ‘vita cristiana’,
‘fedeltà al Vangelo’, ‘condotta perfetta’, ‘esempio della vita’, ecc., si mette in rilievo la vocazione
generale alla santità (cf. LG cap.V), che più abitualmente il Concilio traduce in chiave di
testimonianza, per evocare un impegno di tutta la vita e di tutta la persona in una scia più
interpersonale e interpellante; cf. il decalogo di AG 11:
Evangelii Nuntiandi10 (Paolo VI, 1975): “L’evangelizzazione deve essere anzitutto proclamata
mediante la testimonianza…Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella
testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro
chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1Pe 3,15) - esplicitata da un annuncio chiaro e
inequivocabile del Signore Gesù. La buona novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà
dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il
nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, figlio di Dio, non
sono proclamati. Come fare affinché esso si faccia sentire e arrivi a tutti quelli che devono
ascoltarlo? Questo annuncio - kerygma, predicazione o catechesi - occupa un tale posto
nell’evangelizzazione che ne è divenuto spesso sinonimo. Esso tuttavia non ne è che un aspetto.”
(ns. 21-22). Per la Chiesa cattolica, la prima forma di evangelizzazione è la testimonianza, “l’uomo
contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri è perché sono
tesimoni” (nº 41). [la testimonianza - segno di questa evangelizzazione - implica la presenza, la
partecipazione e la solidarietà]
Sinodo sul Concilio (1985): “La Chiesa si rende più credibile se dà testimonianza con la propria
vita... [il sinodo stesso si rende conto del problema della credibilità della Chiesa].
L’evangelizzazione avviene mediante testimoni. Il testimone rende la sua testimonianza non solo
con le parole, ma anche con la propria vita. Non dobbiamo dimenticare che testimonianza in greco
si dice martyria” (II-2b).
Fides et ratio (1998): “Il martire è il più genuino testimone della verità sull’esistenza” (nº 32).
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Importante perché mette l’accento sull’evangelizzazione, mentre il concilio non ne parlava perché sembrava un
concetto protestante, si parlava piuttosto di missione. Questa maturazione caratterizza la missione (concetto generico)
come annuncio del Vangelo.
La via della testimonianza è il nocciolo della teologia fondamentale attuale. La testimonianza però
spesso è stata vista come un fatto legato alla morale o al mondo giuridico la testimonianza come
conseguenza della morale. Di fronte a questa situazione si deve vedere se la testimonianza ha un
suo statuto, una dimensione personale costitutiva, non solo fenomenologica ma anche metafisica.