Lettera Sulla Felicità - Epicuro
Lettera Sulla Felicità - Epicuro
Lettera Sulla Felicità - Epicuro
Meneceo,
Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni
false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro
le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che
essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo
considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce
nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel
sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la
morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita,
togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità.
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è
da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura
della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto
l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba,
stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i
mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è
lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non
c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il
peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere
più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei
cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode,
ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a
ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita,
anche da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben
morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato,
al più presto varcare la porta dell' Ade.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché
lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci
ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base
al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi,
per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne
alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze
preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo
averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima
natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male,
ma non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e
dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male,
invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza
dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per
godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come
siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa
dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi,
l'inutile è difficile.
Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere
ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le
preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio
non è una divinità come per la massa la divinità non fa nulla a caso – e
neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini
alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire
l'avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella
pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che
abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste
cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda
dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più
nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.