La Psicopatologia Clinica in Psicoanalisi - Dispense PDF
La Psicopatologia Clinica in Psicoanalisi - Dispense PDF
La Psicopatologia Clinica in Psicoanalisi - Dispense PDF
*****
Queste dispense corrispondono alla prima lezione del corso di Psicopatologia e diagnostica clinica che si tengono
presso la scuola di specializzazione in psicoterapia della SIPRe.
Il corso ha l’obiettivo di aiutare a costruire degli strumenti che siano di guida nella comprensione del disagio psichico.
Oltre a riconoscere il tipo di disagio, è necessario ricercarne il senso, il suo significato nell’equilibrio psichico del
soggetto che ne soffre. Bisogna quindi tenere conto di due aspetti fondamentali:
1) le conoscenze che riguardano i diversi modi con cui si può manifestare il disagio nella specie umana e nella nostra
cultura;
2) la soggettività dell’individuo, inteso come sistema unitario in relazione con il suo specifico ambiente.
Per parlare di comprensione del disagio psichico in psicoanalisi e in psicoanalisi relazionale sono utili due premesse.
La prima, piuttosto ampia, riguarda i rapporti tra diagnosi nosografica (o clinico-descrittiva: la classica diagnosi
psichiatrica) e diagnosi psicoanalitica; rientra nel discorso più generale dei rapporti fra psichiatria e psicoanalisi. La
seconda premessa si muove all’interno dell’ambito psicoanalitico e riguarda la questione dell’utilità o meno della
diagnosi secondo i vari modelli e, in particolare, secondo la prospettiva relazionale.
PRIMA PREMESSA:
I RAPPORTI FRA DIAGNOSI NOSOGRAFICA E DIAGNOSI PSICOANALITICA
1. Diagnosi nosografica
Effettuare la diagnosi nosografica di un determinato paziente significa confrontare le caratteristiche psicopatologiche
che si possono rilevare durante i primi colloqui con la classificazione delle patologie accettata dal valutatore.
Il valutatore (psichiatra, psicologo, psicoanalista o qualunque altra qualifica egli abbia) deve quindi conoscere sia la
psicopatologia clinica, sia la nosografia.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 2
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Viene definita come la disciplina che ricerca ed analizza le leggi e i principi generali che governano i disturbi psichici
(intesi non in senso di malattia ma, per es., di segni e sintomi). Grazie all’accostamento, differenziazione e
classificazione dei disturbi è possibile edificare quadri sindromici. Ma ciò che la caratterizza è che i disturbi vengono
studiati dalla psicopatologia in quanto tali e indipendentemente dal quadro morboso di cui fanno parte.
La psicopatologia informa su come riconoscere i sintomi e i segni clinici, nonché i tratti di personalità, che
contribuiscono al disagio del paziente. Come scienza, la psicopatologia nasce con Carl Jaspers, che ha analizzato le
leggi e i principi generali che sottendono i disturbi psichici, a prescindere dal quadro clinico generale di cui può
soffrire una determinata persona.
Lo psicopatologo (scienziato, e non medico) “vuole conoscere e riconoscere, caratterizzare ed analizzare, non l’uomo
singolo ma i principi generali. (…) Egli vuole ciò che può essere espresso in concetti, che è comunicabile, ciò che può
essere fissato in regole e in cui può riconoscersi un qualche rapporto.” (Jaspers, 1913-1959).
Il suo limite è costituito dal fatto che più elabora la sua materia in concetti psicologici, più individua aspetti tipici e
costanti, e più si allontana dall’individuo nella sua globalità e unità.
Oggetto della psicopatologia è “l’accadere psichico reale e cosciente. (…) cosa provano gli esseri umani nelle loro
esperienze e come le vivono.” E, inoltre, quali sono le cause e le condizioni da cui dipendono tali esperienze abnormi.
Molti manuali di psicopatologia (e di psichiatria, nel capitolo dedicato a questo argomento) ricalcano a grandi linee
l’impostazione del testo di Jaspers (vedi Appendice 1). È grazie ad esso che abbiamo dei riferimenti condivisi per
riconoscere un tipo di delirio o per distinguere un’allucinazione da un’ossessione, e così via. Altri autori ci hanno poi
aiutato a riconoscere vari stili di personalità (ad es., isterico, ossessivo, ecc.) che, nei casi patologici, sono talmente
rigidi e accentuati da provocare gravi limitazioni e sofferenze nella vita del paziente e di chi ha rapporti con lui.
Quella di Jaspers è una psicopatologia comprensiva (soggettiva): “L’anima di per sé non diviene oggetto. La
sperimentiamo (erfahren) in noi come esperienza interiore cosciente (…) e quindi ci raffiguriamo l’esperienza
interiore degli altri, sia mediante manifestazioni obiettive, sia mediante la comunicazione delle loro proprie
esperienze.”
Opera un’analisi delle modalità e delle qualità formali (forma) dell’esperienza abnorme.
Per conoscere la forma delle esperienze bisogna conoscere come vengono vissute dal paziente. Il come si ottiene con
la partecipazione nelle esperienze dell’altro, per rivivere e comprendere gli accadimenti psichici.
La Psicopatologia soggettiva opera una distinzione fra vissuti comprensibili e incomprensibili:
Comprensibili: - possono essere rivissuti dall’esaminatore;
- seguono leggi psicologiche;
- sono motivati e derivabili psicologicamente (reazioni e sviluppi di personalità,
nevrosi).
Incomprensibili: - non possono essere rivissuti;
- estranei all’accadere psicologico (rinvio al somatico);
- non motivati, né derivabili (malattia e processo).
I vissuti incomprensibili costituiscono il limite della psicopatologia soggettiva perché essa non è in grado di indagare le
modalità con le quali scaturiscono. Si deve ricorrere ad altre discipline delle scienze naturali (spiegazione causale e
concetti di malattia e processo).
I limiti della psicopatologia soggettiva vengono superati dalla Psicopatologia oggettiva (daseinsanalyse -
antropoanalisi): Binswanger attinge dalla filosofia esistenzialista (Heidegger, Brentano, Husserl) e indaga i modi
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 3
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
dell’esistenza dell’uomo visto nella sua globalità; l’ordine interno, l’intima struttura che regge l’esistenza umana
(temporalità, spazialità, ecc.).
1.2. La nosografia
La nosografia nasce con Kraepelin, il quale opera una descrizione obiettiva e una classificazione dei dati clinici per
definire le malattie mentali. Gli elementi costitutivi di queste ultime sono individuati secondo i seguenti parametri:
esordio, evoluzione ed esito. Ad es., già nella denominazione “dementia praecox”, vengono specificati gli esiti (la
demenza) e l’esordio (precoce).
Nei decenni successivi la disciplina ha operato notevoli approfondimenti, attraverso gli studi delle diverse “scuole”
europee e americane, che facevano capo ai “grandi professori” (Kretschmer, Bleuler, Minkowsky, ecc.). Ad. es., già
Bleuler mise in discussione l’esito in demenza (non specifico, né costante) della dementia praecox, e questo fu uno
dei motivi che gli fece cambiare la denominazione in “schizofrenia”.
Attualmente, la nosografia corrisponde a quella proposta dall’OMS (ICD-10) e dall’APA (DSM-5). Presenta molti limiti,
ma è quella riconosciuta a livello ufficiale. Il DSM (dalla terza edizione del 1980 fino al DSM-IV-TR) separa in due assi
distinti i disturbi di stato (Asse I) e i disturbi di tratto (Asse II). Per disturbi di stato si intendono modificazioni,
temporanee o permanenti, del funzionamento abituale dei processi psichici; queste alterazioni costituiscono i vari
segni e sintomi che si possono aggregare tra loro nelle note sindromi psichiatriche (schizofrenia, depressione, disturbi
ossessivo-compulsivi, ecc.). I disturbi di tratto riguardano le modalità costanti (cioè, stabili nel tempo) di percepire,
rapportarsi e pensare nei confronti dell'ambiente e di se stessi; sono quindi aspetti caratteriali che possono
configurare determinati disturbi di personalità (schizoide, istrionico, ossessivo, ecc.).
L’ultima versione del DSM, il DSM-5, non è multiassiale come le precedenti, e i disturbi di personalità si trovano
insieme agli altri, all’interno di uno dei 22 capitoli che costituiscono la Sezione II. La loro classificazione e i relativi
criteri diagnostici restano identici al DSM-IV. Nella Sezione III (Proposte di nuovi modelli e strumenti di valutazione) vi
è poi un modello alternativo per i disturbi di personalità, che introduce il sistema dimensionale per la valutazione.
Nel corso degli anni sono stai messi a fuoco sempre meglio i limiti della classificazione dei disturbi presente nel DSM-
IV, soprattutto per ciò che riguarda i Disturbi di Personalità.
Per una rassegna degli aspetti problematici della classificazione dei Disturbi di Personalità nel DSM si veda Westen,
Shedler e Lingiardi (2003, o la nuova edizione del 2014), Cap. 3. Quello che è importante qui sottolineare è che le
categorie e i criteri utilizzati nel DSM non hanno una base empirica e si trovano spesso in disaccordo con i risultati
della ricerca. Alla base di questo difetto si trova la modalità con la quale vengono scelti i criteri diagnostici. Il DSM è
anche il frutto di un’operazione di consenso fra gli psichiatri che formulano diagnosi, e non solo il frutto di ricerche
epidemiologiche nella popolazione. Valutando con metodi statistici i criteri utilizzati dai clinici per far rientrare nelle
categorie diagnostiche i pazienti, vengono selezionati i criteri su cui vi è maggiore accordo; e i risultati sono poi
sottoposti al vaglio di un comitato di esperti che deve tenere conto delle esigenze di varie correnti per trovare un
consenso: si tratta, in parte, di un’operazione politica. Inoltre, considerando i disturbi come categorie discrete
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 4
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
(distinte e separate le une dalle altre), le edizioni del DSM che nel tempo si sono succedute tendono a definire set di
criteri che possano sempre meglio tenere separate le categorie. La conseguenza è che le descrizioni delle categorie,
soprattutto per ciò che riguarda i disturbi di personalità, si sono sempre più allontanate dalla realtà clinica.
1
Gli item della SWAP-II sono presenti in appendice al testo di Westen, Shedler e Lingiardi del 2003 e nella sua nuova edizione del
2014.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 5
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Q”, ognuno dei quali definito da una determinata distribuzione dei punteggi attribuiti ai 200 item della SWAP.
Ciascuno dei fattori-Q rappresenta quindi una categoria diagnostica empiricamente derivata, che può essere
considerata come un prototipo di disturbo di personalità effettivamente presente nella popolazione.
La differenza rispetto all’Asse II è notevole. Basti pensare che i criteri del Disturbo Borderline di Personalità del DSM-
III erano stati scelti partendo da un questionario di sole 22 voci Vero/Falso inviato a psichiatri che dovevano
esprimersi in base al proprio modo di fare diagnosi (e non in base alla psicopatologia dei loro pazienti reali). Per non
parlare della ricchezza e complessità della descrizione che scaturisce dall’elenco delle prime quindici o venti
affermazioni della SWAP che descrivono meglio ciascuna categoria, confrontata con quella dei sette o otto criteri
intercambiabili dell’Asse II fra i quali scegliere i quattro o cinque che legittimano la diagnosi. Inoltre, la SWAP-200 non
ammette comorbilità: ogni paziente reale viene confrontato con le categorie diagnostiche prototipiche e otterrà
sempre un punteggio maggiore in una di esse; tanto più si avvicinerà al valore massimo e tanto maggiore sarà la
gravità di quel disturbo, ed eventuali punteggi elevati su altri fattori-Q arricchiranno la comprensione della
personalità di quel soggetto senza, tuttavia, poter essere considerati di eguale rilevanza clinica.
Tutto ciò ha portato ad una riclassificazione dei disturbi di personalità, che ha evidenziato alcune divergenze rispetto
alla categorizzazione dell’Asse II. La ricerca ha individuato 11 prototipi di disturbo di personalità effettivamente
presenti in natura e descritti in modo approfondito e articolato. Ciascun paziente può più o meno somigliare ad uno o
più di questi prototipi, e il grado di somiglianza individua sia il tipo di patologia eventualmente presente, sia il livello di
gravità.
Riassumendo, le categorie individuate vanno considerate come dei “prototipi ideali” rispetto a cui confrontare i
pazienti reali. Le 11 categorie (i prototipi) non corrispondono concettualmente a quelle del DSM: rappresentano la
descrizione degli stili di personalità per come essi si presentano in natura (intendendo con questo che sono
effettivamente presenti in quella forma nella specifica popolazione studiata con questa ricerca), e non un insieme di
criteri largamente intercambiabili per formulare una diagnosi attendibile
Le 11 categorie:
stile disforico:
o evitante
o depressivo (nevrotico) di alto funzionamento
o con disregolazione emotiva
o dipendente-masochista
o con esternalizzazione dell’ostilità
antisociale-psicopatico
schizoide
paranoide
ossessivo
istrionico
narcisistico
Vi è poi un ulteriore raggruppamento di item, che descrive la Personalità sana ad alto funzionamento.
Per una sintesi ed una discussione di tali risultati, si veda anche Fontana (2010).
2.1.2 L’aggiornamento della classificazione dei disturbi e degli stili di personalità con la SWAP-II
(Westen, Shedler, Bradley e DeFife, 2012)
Successivamente al 1999, Westen e il suo gruppo hanno continuato a fare ricerca in questo campo, sia realizzando
una versione migliorata della SWAP (21 dei 200 item sono stati modificati), sia applicandola su popolazioni più vaste e
sempre più rappresentative della reale popolazione clinica.
Nell’articolo a cui si fa qui riferimento vengono presentati i risultati relativi ad un campione di 1.201 pazienti (valutati
con la SWAP-II dai loro terapeuti) che, a differenza dello studio del 1999, è stato selezionato in modo randomizzato e
non si limita a soggetti che avevano già ricevuto una diagnosi di Asse II; comprende, quindi, anche pazienti meno
gravi, che avevano chiesto aiuto per problemi di personalità che non erano di livello tale da permettere una diagnosi
di disturbo di personalità secondo DSM-IV.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 6
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
“È stata applicata la Q-factor analysis per identificare empiricamente raggruppamenti diagnostici che emergono in
modo spontaneo – cioè gruppi di pazienti con caratteristiche di personalità simili tra loro e diverse da quelle dei
pazienti di altri gruppi.” (Westen et al., 2012, p. 337)
Per estrarre i prototipi diagnostici, gli autori hanno proceduto come segue:
a) hanno selezionato i pazienti rispondenti ai criteri di almeno uno dei disturbi di personalità dell’Asse II (e con un
punteggio VGF < 70),2 creando così un sottogruppo rappresentato dal 70% del campione;
b) da questo sottogruppo hanno isolato 3 fattori sovraordinati “o ampi spettri di personalità (che sono stati ottenuti
anche nel campione complessivo): 1) patologia internalizzante, 2) patologia esternalizzante, 3) patologia
borderline-disregolata (…). Questi 3 fattori erano responsabili del 33% della varianza.” (Ibid., p. 339);
c) su ciascun fattore (cioè sui pazienti di ognuno di questi spettri) hanno poi operato un’analisi fattoriale di secondo
livello, per identificare e descrivere le specifiche configurazioni di personalità rilevabili al loro interno; le categorie
identificate sono le seguenti:
Spettro internalizzante:
o Personalità depressiva
o Personalità ansioso-evitante
o Personalità dipendente-vittimizzata
o Personalità schizoide-schizotipica
Spettro esternalizzante:
o Personalità antisociale-psicopatica
o Personalità paranoide
o Personalità narcisistica
Spettro borderline-disregolato
Come si vede, sono state identificate 4 diagnosi nello spettro internalizzante e 3 in quello esternalizzante,3
mentre il fattore borderline-disregolato è rimasto senza ulteriore suddivisione; “Oltre a queste dimensioni,
abbiamo identificato una sindrome di personalità ossessiva e isterico-istrionica che abbiamo etichettato come
‘stili nevrotici’ (Shapiro, 1965), in quanto i pazienti che rientrano in questi prototipi non sempre hanno un livello
di disfunzione che giustifichi l’uso del termine ‘disturbo’. Come per tutte le altre sindromi di personalità, anche
qui i pazienti si distribuiscono lungo un continuum di gravità. Alcuni presentano una disfunzione grave e hanno un
disturbo di personalità conclamato, ma la maggioranza tende a collocarsi verso il polo meno grave del continuum
di patologia della personalità.” (Ibid., p. 343):
Stili nevrotici:
o Personalità ossessiva
o Personalità isterico-istrionica
Dopo avere identificato i raggruppamenti diagnostici, gli autori hanno selezionato gli item della SWAP-II che meglio
descrivevano ciascuno di essi: da 15 a 24 item, a seconda della categoria. Inoltre, hanno organizzato gli item per
tematiche e hanno revisionato le descrizioni che ne sono scaturite per renderle più leggibili, coerenti e non
ridondanti. Ne è risultata una descrizione narrativa di ciascun prototipo diagnostico, facilmente leggibile e coerente,
che fornisce un quadro d’insieme, un pattern unitario del quale è possibile cogliere la gestalt. Per ulteriore sintesi,
hanno “anche elaborato una descrizione sintetica formata da una sola frase (…) per descrivere in modo conciso ed
efficace le caratteristiche fondamentali dei ciascuna diagnosi.” (Ibid. p. 338). Tutte le descrizioni narrative di ciascuna
configurazione diagnostica, con la frase sintetica relativa alle caratteristiche fondamentali, sono reperibili
nell’Appendice dell’articolo (da p. 346 in poi).
Per formulare la diagnosi in ambito clinico (quindi, non per scopi di ricerca) gli autori suggeriscono il metodo della
comparazione con i prototipi: invece di applicare la procedura Q-sort della SWAP (che richiede un addestramento
preventivo ed un lavoro di almeno due ore) si comparano le caratteristiche globali del paziente con i prototipi
2
Valutazione Globale del Funzionamento: Asse V del DSM-IV-TR.
3
Per il significato dei termini “internalizzante” ed “esternalizzante” si veda il testo dell’articolo di Westen et al. con la sua
Appendice.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 7
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
descritti nell’Appendice, per individuare quello a cui si avvicina di più. In base al livello di somiglianza (è prevista una
scala da 1 a 5), si può poi stabilire se è definibile come stile di personalità (punteggi 2 e 3) o come disturbo di
personalità (punteggi 4 e 5). Un ulteriore aiuto per valutare il livello nel continuum salute-malattia è rappresentato
dal prototipo della personalità sana: un insieme di caratteristiche costituite da risorse e punti di forza. Quanto più un
paziente, qualunque sia la diagnosi categoriale, presenta tali caratteristiche sane, tanto meno sarà da considerare
grave.
SECONDA PREMESSA:
RELAZIONE vs VALUTAZIONE
Se andiamo a guardare la quantità di pubblicazioni sulla diagnosi (descrittiva e psicodinamica) prodotte dagli autori
che seguono il modello pulsionale e la confrontiamo con quella dei relazionali troviamo che la differenza è enorme. A
partire da Freud (1908, 1913), passando per Fenichel (1945) e Shapiro (1965), e magari considerando anche Bergeret
(1996), solo per citare alcuni fra i più noti, sono state formulate complesse teorie psicopatologiche volte a spiegare le
varie forme di sofferenza mentale. La più sofisticata e accreditata è forse quella di Kernberg (Kernberg, e Caligor,
2005), che ha posizionato molti disturbi di personalità in un sistema categoriale e dimensionale compatibile con la sua
teoria, che considera il livello di integrazione dell’identità dell’Io, il livello di maturità dei meccanismi di difesa e la
capacità o meno di distinguere il Sé dall’oggetto.
In campo relazionale quasi niente. La cosa non deve stupire: secondo il modello pulsionale che vede, come principio
sovraordinato di spiegazione, motivazioni e conflitti che si trovano all’interno della mente del soggetto, risulta
naturale effettuare il collegamento fra ipotizzati assetti interni e determinate costellazioni di sintomi e tratti
patologici di personalità.
Secondo il punto di vista relazionale, invece, sia la relazione che si va dispiegando nel processo analitico, sia
qualunque forma di comprensione di ciò che avviene all’interno di essa, sono considerate co-costruzioni alle quali
partecipano entrambi i soggetti coinvolti. Questo principio esclude la possibilità di immaginare un analista in grado di
scoprire presunte verità esistenti nella mente del paziente, che prescindano dalla propria partecipazione e dal proprio
modo di organizzare i dati dell’esperienza. È naturale, quindi, che gli autori dell’orientamento relazionale non si siano
ancora molto interessati di questioni legate alla psicopatologia e alla diagnosi: l’interesse verso la dimensione
relazionale della mente può aver fatto recedere sullo sfondo quello sull’organizzazione di personalità connessa ai
diversi quadri sindromici. In quanto espressione di specifiche modalità relazionali che si costruiscono e si mantengono
nelle interazioni sociali, viene a volte considerato pericoloso interessarsi ad essi in quanto tali: il rischio paventato è
quello di cadere nella oggettivazione della mente del paziente e di dare definizioni aprioristiche e rigide alle persone,
come se il loro mondo interiore avesse un’esistenza scollegata dal campo intersoggettivo. Per Mitchell la diagnosi può
costituire un ostacolo, perché potrebbe distrarre l’attenzione del terapeuta dalla relazione che si instaura nel
processo analitico: “Nel dare diagnosi così serie si corre il rischio, un rischio veramente grande, di impedire la
possibilità di cambiamento e di non cogliere le sfumature” (Mitchell, 2001, p. 32).
Dunque, secondo la prospettiva relazionale la diagnosi (anche quella psicodinamica) sarebbe inutile e pericolosa,
perché condizionerebbe in senso negativo lo sviluppo e la comprensione di ciò che va dispiegandosi nella relazione
analista-paziente. Quest’ultima proposizione sarebbe valida solo se ci posizionassimo all’interno di un costruttivismo
radicale, che nega l’esistenza di una realtà autonoma. Ma la psicoanalisi relazionale segue un relativismo moderato
che afferma che ciò che viene co-costruito non è la realtà in sé ma la comprensione della stessa (De Robertis, 2001).
Non mancano infatti i presupposti teorici per guardare all’organizzazione psicologica dell’individuo, in quanto entità
dotata di una sua autonomia: il costruttivismo della psicoanalisi relazionale non nega l’esistenza del mondo interno
del paziente, della sua storia e dei suoi principi organizzativi. Lo stesso concetto di matrice relazionale (Mitchell,
1988), pur superando la storica contrapposizione fra intrapsichico e interpersonale, comprende anche il ruolo attivo
del soggetto nella continua ri-creazione del suo mondo interiore. Ciò implica necessariamente una considerazione
positiva del processo diagnostico, pur tenendo presente che le formulazioni a cui giunge il valutatore (sia descrittive,
sia psicodinamiche) sono esse stesse costruzioni, che devono essere suscettibili di una continua rielaborazione
durante il processo terapeutico.
Questo argomento viene trattato qui, lasciando in appendice la psicopatologia delle funzioni psichiche (vedi
Appendice 1), perché in ambito psicoanalitico vi è un accordo generale nel privilegiare le dimensioni di personalità
rispetto alle manifestazioni sintomatiche dei pazienti: l’oggetto principale di interesse è la personalità di base, lo stile
di funzionamento abituale (modalità di organizzare i dati dell’esperienza, stile relazionale, reattività emotiva e sua
regolazione, ecc.), sia esso disfunzionale o no. Le manifestazioni sintomatiche, le sindromi cliniche che possono
esprimersi nel corso dell’esistenza in forma acuta o cronica (stati di ansia, crisi depressive, stati dissociativi, disturbi
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 10
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
psicotici, ecc.), vengono considerate come espressione della crisi di un sistema che non riesce a mantenere il suo
equilibrio abituale, conservato più o meno precariamente fino a quel momento.
Schematicamente, si può fare un parallelo con i primi due assi del DSM-IV: in Asse II la personalità e in Asse I il suo
scompenso. Il parallelo non è perfetto, perché in Asse II si volevano descrivere disturbi di personalità, mentre a noi
interessa la personalità in sé, a prescindere dal livello di patologia e considerando anche le risorse e le peculiarità
positive del soggetto. Inoltre, sebbene i disturbi di personalità dell’Asse II si prestino ad essere utilizzati come
prototipi con cui confrontare lo stile di personalità dei pazienti, essi presentano troppi problemi di validità e
attendibilità. Molto meglio, quindi, seguire i risultati della ricerca sulla popolazione reale, come quelli di Westen et al.
e del PDM.
Sono già state evidenziate le ragioni per le quali è utile considerare la dimensione descrittiva della psicopatologia;
vale a dire, i modi attraverso i quali si può manifestare la sofferenza psichica, che possono essere riconosciuti anche
da clinici che seguono orientamenti teorici diversi. In questa sezione si vogliono dare alcuni accenni sulle principali
caratteristiche fenomeniche dei vari stili di personalità: dei punti di riferimento con cui orientarsi in questo territorio.
L’approfondimento è rimandato alla trattazione specifica dei singoli ambiti patologici.
Un buon modo (non necessariamente l’unico o il migliore) per entrare in questo campo è quello di studiare le
descrizioni dei prototipi dei disturbi di personalità, secondo la riclassificazione scaturita dagli studi con la SWAP-200 e
con la SWAP-II. A questo proposito, si consiglia vivamente di studiare le descrizioni fornite in Appendice al lavoro di
Westen et al. nel libro curato insieme a Lingiardi (2003, 2014) e nell’articolo del 2012 (da p. 346 in poi).
Il passo successivo può essere quello di apprendere la sistematizzazione dei disturbi presentata dal PDM, basata sulle
ricerche empiriche e sulla tradizione psicoanalitica, oltre che frutto dell’accordo fra i maggiori rappresentanti della
psicoanalisi americana. Tali descrizioni, per quanto assai più ricche e approfondite di quelle dell’Asse II, rimangono
comunque piuttosto scarne: è bene approfondirne la comprensione con lo studio dei testi che si occupano della
patologia di personalità. L’indicazione bibliografica che viene qui fornita si muove nell’ambito psicoanalitico: il testo
della McWilliams (1994, 2011), quello di Gabbard (2005) e quello di Shapiro (1965). Naturalmente, si occupano
soprattutto dei modelli di spiegazione; ma qui sono intanto suggeriti per i pregi che hanno nella definizione delle
modalità generali di funzionamento di ciascuno stile di personalità. Vanno comunque tenuti presenti alcuni
presupposti seguiti da questi autori:
- Gabbard ha voluto scrivere un trattato che si occupa di tutti gli aspetti della psichiatria psicodinamica, elencando
le posizioni teoriche della maggior parte degli autori classici; la sua classificazione dei disturbi ricalca fedelmente
quella del DSM-IV;
- la McWilliams ritiene che ogni persona abbia un proprio stile di personalità, che dipende da fattori costituzionali e
dal tipo di meccanismi di difesa utilizzati; inoltre, ogni persona, con la propria personalità, può collocarsi in un
punto qualsiasi del continuum normalità-nevrosi-borderline-psicosi, e ciò dipende dal livello di maturazione delle
strutture psichiche (punto di fissazione); la classificazione della McWilliams non prevede una personalità
borderline, perché ritiene che questo termine sia applicabile trasversalmente ad ogni stile di personalità, essendo
riferito solo al livello di gravità;
- nell’Asse P della prima sezione del PDM si riconosce chiaramente l’impronta della McWilliams, per quanto
riguarda gli aspetti appena citati;
- Shapiro si occupa di solo quattro forme di stile di “nevrotico”; l’ultima è piuttosto vasta e comprende diversi
quadri che ora possono rientrare in molti dei disturbi gravi di personalità; di ciascuno stile descrive le modalità
generali di funzionamento in base ai principi della Psicologia dell’Io; questo comporta che il suo interesse sia
rivolto alle funzioni dell’Io libere da conflitto (equipaggiamento psicologico, capacità e tendenze, stili cognitivi
presenti fin dalla nascita, indipendentemente dai conflitti istintuali); nonostante risalga al 1965, il suo lavoro
continua a rappresentare una fonte straordinariamente ricca per coloro che voglio comprendere le caratteristiche
fondamentali di alcuni dei più comuni modi di “stare al mondo”.
Viene rappresentato, nella tabella in Appendice 2, il confronto tra le varie classificazioni; la corrispondenza non è
perfetta, in quanto, fra i vari autori e manuali vi sono anche differenze significative nel modo di intendere i diversi
disturbi o stili di personalità.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 11
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
La considerazione degli aspetti di personalità nella psicopatologia è stata una conquista tardiva della psicoanalisi, non
avendo questa, in origine, un sistema di riferimento concettuale che potesse orientarla in tal senso. Vediamo, in
sintesi, quali sono stati i passaggi storici.
nevrosi psicosi
Le categorie diagnostiche della Psicologia dell’Io: la nevrosi sintomatica, il carattere nevrotico e la psicosi
Fu Reich (1933) il primo a differenziare fra nevrosi ‘sintomatica’ e nevrosi ‘caratteriale’.
In base a questa nuova impostazione, la nevrosi sintomatica è caratterizzata da:
fattori precipitanti;
incrementi massicci del livello di ansia;
motivazioni alla ricerca di aiuto;
comportamenti abituali, ed eventuali sintomi, vissuti come egodistonici;
capacità di auto osservazione dei propri problemi.
Il presupposto era che qualcosa, nella vita attuale, avesse attivato un conflitto infantile in grado di risvegliare
meccanismi psicologici antichi, ormai disadattativi. Nella nevrosi caratteriale, invece, i problemi fanno parte della
personalità.
Willhelm Reich, nell’Analisi del carattere (1933), applica la teoria pulsionale allo studio della personalità: il carattere
sorge nell’infanzia per padroneggiare il conflitto contro le pulsioni; la natura iniziale del carattere dipende dal tipo di
pulsione frustrata e dal tipo di frustrazione (estensione, durata, intensità, ecc); successivamente, il carattere si
consolida e continua ad avere una funzione esclusivamente difensiva; incanala, cioè, le pulsioni secondo vie stabili,
limita la flessibilità; forma la corazza caratteriale, che protegge sia contro il mondo esterno, sia contro quello interno;
“in altre parole, esso svolge delle funzioni difensive in modo più economico che non le reazioni di difesa specifiche”
(Shapiro, 1965, p. 15); non ha più la funzione di padroneggiare il conflitto infantile, ma di padroneggiare quello
attuale fra pulsione e realtà; anzi, i conflitti attuali danno forza ed energia alla corazza caratteriale. Per Shapiro, Reich
non tiene conto, come invece fa la psicologia dell’Io, dei contributi dell’area dell’Io libera da conflitti alla formazione
di stili di esistenza (equipaggiamento psicologico, capacità e tendenze, stili cognitivi, presenti fin dalla nascita,
indipendentemente dai conflitti istintuali).
Lo spettro nevrotico-borderline-psicotico
A partire dagli anni ’50 esigenze cliniche e teoriche hanno portato gli psicoanalisti a riformulare la configurazione
gerarchica delle patologie. Pazienti inizialmente diagnosticati come nevrotici, e quindi considerati analizzabili con il
setting classico, si rivelavano poi ingestibili per lo sviluppo di reazioni psicotiche brevi e inaspettate, acting out
imprevisti, violazioni del setting, e così via. La diagnosi iniziale era basata sulla presenza di sintomi o tratti di
personalità nevrotici, senza segni di disturbo dell’esame di realtà. Ciononostante, il quadro clinico si rivelava presto di
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 12
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
ben altra gravità. Fu così che venne introdotto il concetto di borderline: un livello intermedio di patologia, collocabile
fra le nevrosi e le psicosi.
Dagli anni ’70 del secolo scorso l’autore che più di ogni altro ha sistematizzato questa materia è stato Otto Kernberg,
che ha introdotto il concetto di “organizzazione di personalità”.
D’accordo con la Mahler, egli afferma che i due principali obiettivi dello sviluppo psichico sono:
1) separare le rappresentazioni del Sé da quelle dell’oggetto (il fallimento è alla base dell’organizzazione
psicotica di personalità);
2) integrare le rappresentazioni “buone” e “cattive” del Sé in relazione all’oggetto (il raggiungimento di questo
obiettivo porta all’organizzazione nevrotica-sana di personalità).
Organizzazione di personalità:
In base alla teoria di Kernberg, i pazienti borderline sono quindi accomunati dalla presenza di manifestazioni
complesse (affetti, pensieri e comportamenti) che hanno la caratteristica di essere, in momenti successivi, opposte e
coscienti. La teoria tripartita non è in grado di spiegare queste manifestazioni perché il conflitto fra le istanze
strutturali (Io, SuperIo ed Es) non è ravvisabile. La scissione non è verticale (fra conscio e inconscio) ma orizzontale. La
psiche è “compartimentizzata” in stati alternativi, coscienti, e non si è ancora differenziata nelle tre istanze. Queste
ultime, infatti, si formano a partire dalla integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate (rappresentazione del Sé
– rappresentazione dell’oggetto e affetto che li collega).
Questo significato del concetto di borderline, di uso prettamente psicoanalitico, va nettamente distinto da quello
attualmente in uso in psichiatria (vedi, ad es., il DSM, dalla III edizione in poi) per indicare l’omonimo disturbo di
personalità, avente caratteristiche specifiche che lo differenziano da altri disturbi di personalità più o meno gravi
rispetto ad esso.
Per il dovuto approfondimento di questo tema si rimanda alle dispense relative alla lezione “La psicopatologia
psicoanalitica”.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 13
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
PDM-Task Force (2006), PDM – Manuale Diagnostico Psicodinamico, tr. it. Cortina, Milano, 2008.
De Robertis, D. (2001), Epistemologia e psicoanalisi, Ricerca psicoanalitica, 1, pp. 61-84.
Fontana, M. (2010), “Sviluppi recenti sulla diagnosi di personalità. Considerazioni sulla riclassificazione dei disturbi dovuta alle
ricerche con la SWAP-200” in Bortoli R., Bova F. (a cura di), Personalità paranoide e psicopatica. Contributi alla patologia di
personalità tra psichiatria e psicoanalisi, Borla, Roma.
Gabbard G.O. (2005), Psichiatria psicodinamica, tr. it. Cortina, Milano, 2007.
Jaspers, K. (1913-1959), Psicopatologia generale, tr. it. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1964.
Kernberg, O., Caligor, E. (2005), “Teoria psicoanalitica dei disturbi di personalità”. Tr. it. in Clarkin J.F., Lenzenweger, M.J. (a cura
di), I disturbi di personalità. Le principali teorie. Seconda edizione. Cortina, Milano, 2006.
McWilliams N. (1994), La diagnosi psicoanalitica, tr. it. Astrolabio, Roma, 1999.
McWilliams N. (2011), La diagnosi psicoanalitica. Seconda edizione, tr. it. Astrolabio, Milano, 2012
Migone, P. (1995), La diagnosi descrittiva: i DSM dell'American Psychiatric Association. In Terapia psicoanalitica, FrancoAngeli,
Milano, pp. 198-212.
Mitchell, S. (1988), Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi. tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Mitchell, S. (2001), Intervista sulla teoria, la clinica, la tecnica, la ricerca, la formazione e il futuro della psicoanalisi (AA.VV),
Ricerca psicoanalitica, 1, p. 32.
Rugi, G. (1990), Diagnosi e teoria. Il paradigma medico e il «mentale» nei DSM-III. Psicot. Sc. Um., 1990, 4, pp. 78-90.
Shapiro D. (1965), Stili nevrotici, tr. it. Astrolabio, Roma, 1969.
Shedler, J., Westen, D. e Lingiardi, V. (2014), La valutazione della personalità con la SWAP-200. Nuova edizione. Cortina, Milano,
Cap. 4.
Sims, A. (2003), Introduzione alla psicopatologia descrittiva, tr. it. Cortina Milano, 2004.
Westen, D., Shedler, J. e Lingiardi, V. (2003), La valutazione della personalità con la SWAP-200, Cortina, Milano.
Westen, D., Shedler, J., Bradley, B. e DeFife, J.A., (2012), Una tassonomia della diagnosi di personalità derivata empiricamente:
colmare il divario tra scienza e clinica nella concettualizzazione della personalità. Psicot. Sc. Um., 2012, 46, pp. 327-358.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 14
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Appendice 1
Il contenuto di questa appendice vuole solo dare uno schema sintetico di ciò che è previsto dal titolo.
Non può assolutamente sostituire lo studio dei testi che trattano questo argomento. Il testo fondamentale è quello di
Jaspers (1913-1959). Un testo moderno è quello di Sims (2003). Ma può andar bene anche un buon manuale di
psichiatria, nella parte dedicata alla psicopatologia.
Le funzioni psichiche possono essere definite come quell’insieme di attività del SNC che si svolgono alla luce della
coscienza e dell’accorgimento soggettivo (cioè con la consapevolezza del soggetto) e che servono:
- al riconoscimento degli stimoli provenienti dal mondo esterno (senso-percezioni),
- all’immagazzinamento sotto forma di ricordi di molte delle sensazioni così originate (attenzione e memoria)
- allo svolgimento del pensiero (ideazione) sulla base specialmente delle sensazioni presenti e di quelle passate
(ricordi),
- alle manifestazioni affettive (ed istintive) ed alla
- formazione degli impulsi della volontà.
A queste va aggiunto lo stato di coscienza.
Senso-percezioni
Disturbi quantitativi
- diminuzione del numero di percezioni (nell’oligofrenia, demenza, stati confusionali, depressione
psicotica);
- rallentamento delle percezioni, per lentezza dei processi di elaborazione delle sensazioni (nella depressione
psicotica);
- iperestesia; cioè, amplificazione soggettiva dell’intensità delle percezioni (nelle intossicazioni che provocano stati
confusionali, stati emotivi intensi);
- ipoestesia; cioè, riduzione soggettiva dell’intensità delle percezioni in assenza di lesioni degli organi di senso
(nella schizofrenia, depressione psicotica, demenza).
Disturbi qualitativi
- errori sensoriali (difetto d’attenzione, stati ansiosi); non hanno carattere patologico;
- illusioni; cioè, percezioni errate o distorsioni di oggetti realmente esistenti (l’oggetto reale vien percepito come
oggetto differente; si tratta di una errata interpretazione dell’oggetto); caratteristica delle illusioni è la possibilità
di correggere immediatamente l’errore;
si distinguono in:
- i. da disattenzione,
- i. affettive,
- paraeidolie = elaborazione costruttiva di stimoli vaghi e ambigui;
- allucinazioni = percezioni senza stimoli, caratterizzate da:
- concretezza,
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 15
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Attenzione
È la capacità di dirigere il fuoco della coscienza su uno o pochi stimoli tralasciando gli altri in arrivo
contemporaneamente.
Può essere: - involontaria, o spontanea;
- volontaria, o conativa.
Memoria
Disturbi quantitativi
- ipermnesie = ipertrofia delle capacità mnestiche;
possono essere:
- parossistiche: rapidissimo incalzare di ricordi (nelle crisi uncinate di Jackson),
- transitorie (negli stati ansiosi, maniacali, deliranti paranoicali),
- permanenti
- ecmnesie, dove i ricordi vengono vissuti come esperienze attuali (negli stati dissociativi, stati confusionali,
epilessia temporale, allucinogeni);
- ipo-amnesie, di tipo: - anterogrado (di fissazione),
- retrogrado ( di rievocazione).
Disturbi qualitativi
- paramnesie; si distinguono in:
- allomnesie (illusioni della memoria); cioè, deformazioni, elaborazioni falsate del ricordo (nel pensiero
olotimico, schizofrenia, paranoia),
- pseudomnesie (allucinazioni della memoria); si distinguono in:
o falsi riconoscimenti (errore presente-passato, déjà vu),
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 16
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Ideazione
È la funzione che organizza ed elabora ricordi, rappresentazioni e percezioni, per la formazione di idee (astrazione).
L’ideazione, inoltre, mette in relazione le singole idee conferendo ordine formale al corso del pensiero.
Disturbi formali
- ristretteza del campo ideativo (nelle oligofrenie e demenze);
- accelerazione ideica; cioè, ricchezza numerica di idee, con labilità delle stesse per incapacità a fissarsi su specifici
contenuti; fuga delle idee con logorrea ed insalata di parole;
- rallentamento e inibizione ideativa (nella depressione psicotica, catatonia, confusione mentale);
- prolissità; cioè, interferenza di idee secondarie che prolungano il corso del pensiero (nelle sindromi psico-
organiche);
- circostanzialità; cioè, incapacità di distinguere l’essenziale, cosicché l’eloquio è ricco di dettagli insignificanti che
vengono sviluppati abnormemente (nelle sindromi psico-organiche);
- perseverazione; cioè, persistenza di idee che vengono ripetute acriticamente e non vengono rimosse da nuovi
stimoli od esperienze (nelle sindromi psico-organiche);
- pensiero dissociato; cioè, attenuazione dei nessi associativi tra le singole idee (nella schizofrenia); il pensiero è
frammentario, bizzarro, illogico, sconclusionato; vi sono:
o fusioni,
o iperinclusioni,
o digressioni o deragliamenti,
o intoppi;
- pensiero incoerente; cioè, disgregazione del corso del pensiero in frammenti sconnessi, eterogenei e fugaci, in
seguito all’abbassamento della vigilanza (negli stati confusionali e nelle sindromi psico-organiche).
Affettività
Umore: “disposizione affettiva fondamentale, ricca di tutte le istanze emotive ed istintuali, che dà a
ciascuno stato d’animo una tonalità gradevole o sgradevole, oscillando fra gli estremi del
dolore e del piacere” (Delay);
normalmente, dopo ogni fluttuazione, vi è un ristabilimento automatico dell’equilibrio, inteso
come corretto bilanciamento tra tristezza ed allegria, che rende possibile l’adattamento.
Emozioni: stati affettivi acuti, intensi, reattivi, che influenzano i processi psichici, il comportamento e il
sistema nervoso autonomo.
Sentimenti: stati affettivi duraturi e persistenti che esprimono la particolare risonanaza affettiva con la
quale l’individuo vive la realtà corporea, i processi psicologici, la socialità.
Disturbi
- depressione: abbassamento del tono dell’umore, con conseguenti tristezza, abbattimento, rammarico,
pessimismo, dolore, compromissione di altre funzioni;
- disforia: in senso stretto, si intende come stato depressivo associato a malumore e ad irritabilità aggressiva;
- stato ipertimico: innalzamento del tono, che può arrivare a:
o euforia: umore gaio, piacevole, con soggettivo benessere,
o mania: con accelerazione delle idee, logorrea, eccitamento psicomotorio;
- labilità affettiva: instabile equilibrio del tono dell’umore;
- paralisi acuta del sentimento, o stupor emozionale: vuoto affettivo, indifferenza momentanea, incapacità di
reazione (nei traumi psichici);
- dissociazione affettiva: inadeguatezza o discordanza dell’affettività rispetto alla situazione esterna (nella
schizofrenia);
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 18
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Volontà
Disturbi quantitativi
- abulia: incapacità di progettare e compiere azioni (nella depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, fase inziale
della schizofrenia);
- rallentamento psicomotorio (nella depressione e negli stati confusionali);
- iperbulia: va dall’irrequietezza all’eccitamento psicomotorio (negli stati maniacali, depressione agitata,
ipercinesia paradossa della catatonia).
Disturbi qualitativi
- impulsività;
- manierismi: modalità eccentriche di espressione motoria, affettate, artificiose, caricaturali; sono adeguate alle
circostanze (smorfie, ecc.);
- stereotipie: frammenti di attività, ripetuti iterativamente; sono inadeguati alle circostanze;
- negativismo: può essere attivo o passivo e si verifica in risposta a stimoli esterni o a bisogni interni; vi è compreso
anche il mutacismo;
- automatismi:
o ecoprassia,
o ecolalia,
o ecomimia,
o ecografia.
Coscienza
Esperienza psichica che, in un dato momento, include la totalità dei fenomeni vissuti.
Integra e organizza l’esperienza attuale ed assicura:
- l’orientamento spazio-temporale,
- i processi di discrimanozione e di scelta.
disorientamento spazio-temporale,
disturbi mnestici,
dispercezioni;
o stato oniroide; caratterizzato, in modo cangiante, da:
discreto orientamento spazio-temporale,
deliri, allucinazioni visive, fantasticherie,
immersione in uno stato sognante,
Westen 1999 Westen 2012 Gabbard (e DSM) McWilliams PDM – Asse P Shapiro
Stile di personalità … Disturbo di personalità Disturbo … di Personalità … Dist. di personalità… Stile nevrotico ...
… Personalità
… psicopatici (antisociali)
… antisociale- … antisociale- … Antisociale … … psicopatica [Passivo/parassitario; … impulsivi
psicopatico psicopatico (antisociale) Aggressivo]
… sadici e sadomasoch.
… isterici (istrionici)
… istrionico Stile nevrotico … Istrionico … … isterica [Inibito; Eccessivamente … isterico
istrionico-isterico espansivo o esuberante]
non presente non presente non presente non presente … somatizzanti non presente
non presente non presente non presente … dissociativa … dissociativi non presente
… narcisistici
[Arrogante/che crede di
… narcisistico … narcisistico … Narcisistico … … narcisistiche avere tutti i diritti; … impulsivi
Depresso/svuotato]
… fobici (evitanti)
… disforico: evitante … ansioso- evitante … Evitante … non presente [Manif. opp.: controfob.] non presente
… ansiosi
* Non presente come disturbo di personalità. Classificato all’interno delle “categorie proposte per ulteriori studi” nel DSM-IV, Asse II.
Dispense di psicopatologia e diagnostica clinica – La psicopatologia clinica in psicoanalisi – 2016 21
SIPRe − Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ed indirizzo “Psicoanalisi della Relazione”
Dott. Massimo Fontana – [email protected]
Westen 1999 Westen 2012 Gabbard (e DSM) McWilliams PDM – Asse P Shapiro
Stile di personalità … Disturbo di personalità Disturbo … di Personalità … Dist. di personalità… Stile nevrotico ...
… Personalità
… disforico: depressivo … depressivi
(nevrotico) di alto … depressivo … Depressivo* … … depressiva e [Introiettivo; Anaclitico; non presente
Funzionamento maniacale Manif. opp.:
ipomaniacali]
* Non presente come disturbo di personalità. Classificato all’interno delle “categorie proposte per ulteriori studi” nel DSM-IV, Asse II