Robert Schumann - Catalogo Delle Opere Con Guide All'ascolto e Link A YouTube
Robert Schumann - Catalogo Delle Opere Con Guide All'ascolto e Link A YouTube
Robert Schumann - Catalogo Delle Opere Con Guide All'ascolto e Link A YouTube
In questa pagina è riportato il catalogo delle composizioni di Robert Schumann suddiviso per
generi musicali.
Per semplificare la consultazione si è cercato di raggruppare i lavori in gruppi omogenei
senza rispettare la numerazione del catalogo.
Sono state volutamente omesse le composizioni perdute, i lavori scolastici, le rielaborazioni
di lavori di altri autori, le composizioni non finite e quelle di dubbia attribuzione.
Indice
Musica da camera
Musica religiosa
Lieder
Canoni
Opere teatrali
Musiche di scena
Op. Anno
38 1841
https://www.youtube.com/watch?v=abrie8X9seU
https://www.youtube.com/watch?v=SOhl73QnZIA
https://www.youtube.com/watch?v=a5PGq1Q3nEg
La prima idea ispiratrice della Sinfonia in si bemolle op. 38 Schumann l'ebbe da un'ode sulla
primavera del poeta Adolf Böttiger, secondo quanto risulta dal frammento di una lettera del
musicista conservato nella civica biblioteca di Lipsia. La poesia che inizia con le parole
«Nella valle si leva la primavera» aveva anzi convinto il compositore in un primo tempo a
dare il titolo di «Sinfonia della primavera» all'op. 38, rapidamente scritta nel cuore dell'
inverno del 1841 ed eseguita la prima volta al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione di
Mendelssohn il 31 marzo dello stesso anno. Ma il progetto originale, anche se prossimo a
concretarsi quando Schumann appose al primo tempo il titolo di «Risveglio della primavera»
e all'ultimo quello di «Addio alla primavera», non lasciò tracce nelle edizioni curate dallo
stesso autore. Questi, pur sensibile a certi richiami di stampo romantico letterariamente
allusivi, non volle sottoscrivere un preciso titolo illustrativo alla Prima Sinfonia. Ciò non
impedì che il contenuto poetico fosse conosciuto dal pubblico, procurando a Schumann una
fama che fino allora egli non aveva mai raggiunta.
La sinfonia si schiude con una esuberante fanfara di trombe e di corni, cui fa eco l'intera
orchestra in un'atmosfera di festosa e giubilante solennità. Il tema, trasformato in un ritmo
brioso quasi di danza, è ripreso dai violini e dai flauti. L'oboe introduce una nuova melodia
ampiamente sviluppata, prima che la ripresa della frase iniziale porti alla vigorosa
conclusione del primo tempo. Il Larghetto successivo è tipicamente schumanniano per la
delicatezza tematica, dapprima realizzata dai violini e poi affermata in modo più perentorio
dal corno e dall'oboe soli. Il musicologo inglese Percy Young interpreta questa serena
melodia come l'espressione dei sentimenti affettuosi di Schumann per Clara e ritiene che
nella sua atmosfera notturna essa si pone in analogia con il verso di Milton: «The evening
star, love's harbinger» (La stella della sera, messaggera d'amore). Verso le ultime battute del
Larghetto si avverte un cambiamento nel colore dell'orchestra, annunciato dai pastosi accordi
dei tromboni, quasi ad indicare con morbidezza il passaggio al terzo tempo, un vigoroso e
incisivo Scherzo, il cui tema principale è una variante della lenta melodia del movimento
precedente. L'ultimo tempo (Allegro animato e grazioso) è un brillantissimo e vivace
contrappunto di temi a ritmo di danza che si rispondono l'uno con l'altro in un gioco
strumentale di elegante fattura, con impasti di suono di penetrante fascino espressivo (si
pensi, a mo' di esempio, a quello tra il flauto e il corno prima della entusiasmante «chiusa»
che sembra preludere alla fantasiosa «Seconda sinfonia»). Forse per rettificare qualche
interpretazione poco pertinente di questa sua composizione, Schumann scrisse a proposito
del tempo finale della Prima Sinfonia: «Mi piace pensare ad esso come ad un addio della
primavera, perciò non vorrei che venisse eseguito in maniera troppo frivola».
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
La Prima Sinfonia venne schizzata da Schumann nel gennaio del 1841 (in soli quattro giorni,
dal 23 al 26 gennaio) e orchestrata nel mese seguente (sarà effettivamente terminata il 20
febbraio). La prima esecuzione assoluta avvenne al Gewandhaus di Lipsia il 31 marzo dello
stesso anno, sotto la direzione di F. Mendelssohn (la cui esperienza delle possibilità
dell'organico orchestrale, sia come direttore che come compositore, sarà di grande aiuto
all'esordio sinfonico di Schumann). L'idea originale fu suggerita da un poema dedicato alla
primavera di A. Böttger; il titolo dell'opera, come gli altri titoli, descrittivi dei singoli
movimenti, vennero abbandonati da Schumann prima della pubblicazione (erano: "Risveglio
della Primavera" per l'Allegro iniziale, "Sera" per il Movimento lento, "Allegri compagni di
giochi" per lo Scherzo e "L'addio della Primavera" per il finale).
Nel primo movimento il breve episodio di corni e trombe dell'introduzione (che l'autore
raccomanderà di intendere come un vero e proprio "richiamo al risveglio") funge anche da
primo elemento tematico nel successivo Allegro molto vivace, e da nucleo principale dello
sviluppo. Le relazioni tra i temi mostrano, forse ancor più che le carenze di tecnica
dell'orchestrazione (tra gli altri proprio questo tratto introduttivo di corni e trombe venne
trasportato da Mendelssohn una terza sopra per riparare ad una parziale impossibilità
esecutiva), come l'idea-guida compositiva di Schumann fosse ancora il "Kreis" (il ciclo);
nonstante la volontà di rispettare la dialettica classica del bitemismo della forma-sonata, nella
pratica egli unisce un movimento al successivo mediante relazioni tematico-motiviche che
spesso appaiono inaspettate, come inserite all'ultimo momento (si confronti, per esempio, il
tema che appare alla fine del Larghetto, che in quel punto altro scopo non ha se non quello di
introdurre il tema principale del movimento successivo, lo Scherzo). In questo senso l'idea
formale si mostra più affine alla suite che alla sonata. I temi di Schumann sono compiuti in
sé, pensati probabilmente ancora in rapporto a un testo (reale, come in questo caso, o
ipotetico) e non dimostrano il bisogno di una elaborazione attraverso la quale acquistare più
significato: sono, in una parola, dello stesso tipo dei temi dei Lieder o dei pezzi per
pianoforte, Proprio l'incipit della Kreisleriana n. 8 è uno dei temi usati da Schumann nel
finale Allegro animato e grazioso.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
L'esordio di Schumann sulla scena sinfonica avvenne poco dopo il suo matrimonio con Clara
Wieck, quando egli aveva ormai già ultimato gran parte della propria produzione pianistica.
Proprio la percezione che il pianoforte stesse diventando uno strumento espressivo troppo
angusto per dare forma alla sua vena creativa, unita all'ammirazione di opere come la
«Grande» Sinfonia in do maggiore di Schubert, spinsero Schumann a intraprendere la strada
della composizione per orchestra, nonostante egli slesso confessasse la propria inesperienza
in questo tipo di scrittura.
La Prima Sinfonia nasce in un periodo di particolare fertilità compositiva, tanto che venne
abbozzata in pochi giorni e completata in meno di un mese, tra il gennaio e il febbraio del
1841. La freschezza creativa, la spensierata leggerezza dei suggelli tematici di quest'opera
sono in parte spiegate dai sottotitoli assegnati, e successivamente rimossi, dei vari
movimenti: Risveglio della primavera - Sera - Compagni di lieti giochi - Piena primavera,
brevi accenni programmatici che, lungi da alcun tipo di descrittivismo bucolico,
suggeriscono il sentimento unitario con cui è stata pensata l'intera composizione.
Con la sola eccezione della «Renana», le sinfonie di Schumann si aprono sempre con una
introduzione lenta; ecco quindi una fanfara degli ottoni, che contiene già il germe tematico
dei primi due movimenti, a cui seguono fremiti orchestrali carichi di tensione, che
gradualmente si stemperano in un'atmosfera più pacata. Si giunge così all'Allegro con un
tema brillante e risoluto, la cui corsa si arresta momentaneamente solo davanti al secondo
gruppo tematico che, dopo un inizio sommesso dei legni, recupera gradualmente il serrato
dinamismo dello spunto iniziale. La sezione centrale di Sviluppo è interamente sottesa dal
ritmo del primo tema; su di esso però Schumann inserisce un nuovo elemento tematico,
compensando così la mancanza nell'Esposizione di un vero e proprio motivo cantabile.
L'inattesa citazione di un frammento dell'introduzione segna l'arrivo della Ripresa; in essa
viene inizialmente escluso il primo tema, già ampiamente ascoltato nello Sviluppo, che
tuttavia non manca di essere riproposto nella fase finale con lunghe reiterazioni, seguite da
un tranquillo ordito armonico degli archi e da una brillante fanfara conclusiva.
Tratto dal motivo con cui gli ottoni aprono la sinfonia, il tema principale del secondo
movimento (Larghetto) è una serena melodia che si snoda lentamente sulle note dei violini.
Dopo un primo episodio interlocutorio, il tema passa alla calda voce del violoncello in una
diversa tonalità (dominante), per poi, dopo un secondo episodio intermedio, tornare alla
tonalità iniziale, con oboe e trombone basso; segue infine una coda conclusiva.
Il tema dello Scherzo (Molto vivace) gioca sull'antinomia tra un motivo brusco e sferzante in
minore e un intreccio melodico dei legni dolce e aggraziato. A esso Schumann alterna non
uno, ma due distinti episodi, con una scelta insolita che rende questo movimento simile a un
rondò. Abbiamo dunque il Trio I, caratterizzato da un delicato «botta e risposta» accordale tra
archi e fiati, e il Trio II, costituito da frammenti di scale a note staccate che si inseguono.
Nell'ultimo ritornello dello Scherzo il secondo motivo del tema si ripresenta con un incedere
più statico, mentre echi del Trio I e una morbida discesa sincopata degli archi concludono il
movimento.
52 1840 - 1843
https://www.youtube.com/watch?v=quEY2KrQ0XM
https://www.youtube.com/watch?v=JX0ZH03sL6s
https://www.youtube.com/watch?v=79feDtl96Wg
https://www.youtube.com/watch?v=a1ZOU55dhCQ
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Lipsia, 12 aprile - 8 maggio 1841
Riduzione per pianoforte: Düsseldorf, 20 - 24 aprile 1853
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 6 dicembre 1841
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887
Già nel 1840 l'amatissima Clara, da poco diventata sua moglie, aveva scritto nel suo diario
che le concezioni musicali del marito "non trovano sufficiente spazio sul pianoforte" e si
augurava che cominciasse a scrivere per l'orchestra. Robert stesso cominciò a rimproverare
amabilmente Chopin perché "la sua attività si limita al piccolo mondo della musica per
pianoforte, mentre avrebbe dovuto raggiungere colle sue forze altezze maggiori". Più avanti,
quando il giovane Brahms gli si presentò con un fascio di pezzi per pianoforte e Lieder,
Schumann lo riconobbe subito come un genio, ma lo esortò a rivolgersi a forme ed organici
più ampi, raccogliendo l'eredità di Beethoven.
Ma torniamo al 1841. In quell'anno Schumann concentrò la sua attenzione sulla musica per
orchestra, componendo con febbrile entusiasmo due Sinfonie, l'Ouverture, Scherzo e Finale,
una Fantasia - poi rielaborata come primo movimento del Concerto in la minore op. 54 per
pianoforte e orchestra - e inoltre una terza Sinfonia rimasta incompiuta.
Similmente non volle chiamare Sinfonia l'Ouverture, Scherzo e Finale e, dopo aver pensato
di definirla Suite o Sinfonietta, optò per un titolo consistente nella semplice elencazione dei
tre movimenti, perché nessuno dei generi musicali tradizionali corrispondeva alla sua
struttura e al suo carattere. La forma unica e originale di questa sua creazione sembra essere
una risposta ad alcune osservazioni critiche contenute in un articolo di Schumann pubblicato
due anni prima dalla "Neue Zeitschrift für Musik", la rivista da lui fondata e diretta: "Per la
maggior parte le Sinfonie più recenti tendono allo stile dell'Ouverture - i primi movimenti,
intendo dire; i movimenti lenti stanno lì solo perché non possono essere lasciati fuori; gli
Scherzi sono Scherzi solo di nome; i Finali non sanno più cosa contenevano i movimenti
precedenti".
Come nei suoi altri pezzi sinfonici, Schumann non reprime qui il suo lirismo e la sua fantasia
romantici, ma tenta di superare la tendenza ad un'architettura leggera e instabile che ne era la
conseguenza, soprattutto per mezzo di una serie di reminiscenze tematche che danno
coerenza ai vari movimenti.
Apre l'Ouverture un Andante con moto in mi minore, con un'esitante linea melodica dal tono
sognante; ma non è che una breve introduzione all'Allegro in mi maggiore, il cui carattere
luminoso e gioioso è la risultante dell'alternanza di due temi, più mosso e scandito il primo,
più lirico e delicato il secondo, affidato ai violini in dialogo con oboi e flauti, che deriva
chiaramente dal tema dell'introduzione.
Mauro Mariani
61 1845 - 1846
https://www.youtube.com/watch?v=L2eGkxHaGu0+
https://www.youtube.com/watch?v=8qM7SfeSTBw
https://www.youtube.com/watch?v=T1zwc59c7b4
https://www.youtube.com/watch?v=j-g_kfFvv_Y
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1845 - Dresda, 19 ottobre 1846
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 5 novembre 1846
Edizione: Kistner, Lipsia, 1846
Dedica: Oskar, re di Svezia e Norvegia
Perciò da oltre un secolo grandi direttori, i virtuosi dell'effetto ma anche quelli stimati per il
rigore, tra i maggiori Mahler, Weingartner, Nikisch, Celibidache e altri, hanno corretto,
dimagrito, arricchito, insomma hanno "migliorato" l'orchestra di Schumann: Mahler fece
addirittura 352 correzioni, tra piccole e sostanziali, alla Seconda Sinfonia (e più di 400 alla
Terza e alla Quarta)! Ma già alla prima esecuzione della Seconda al Gewandhaus di Lipsia
diretta da Mendelssohn nel novembre 1846, Schumann fu insoddisfatto, e perfino irritato dal
lavoro dell'amico fedele, ma poi egli stesso intervenne sulla partitura manoscritta e corresse.
E perfino Eduard Hanslick, che aveva Schumann come suo artista prediletto tra i
contemporanei (lo considerava il baluardo contro la corruzione musicale dei "neotedeschi"),
era perplesso di fronte alle Sinfonie: e la Seconda era per lui un lavoro significativo, sì, ma
«nelle singole parti disuguale come elaborazione e disuguale per valore». E questo era un
giudizio di forma e di tecnica. Ora, che la sapienza e la sensibilità orchestrali di Schumann
siano state pari a quelle dei romantici suoi contemporanei, i vicini a lui nello spirito o quelli
lontani, nessuno vuole affermare, ma direi, però, che ci è chiaro che le incertezze e gli
squilibri della sua scrittura strumentale nascono propriamente non da inesperienza tecnica
(Schumann era artista troppo serio e grande per operare improvvisando), ma da una
sovrapposizione dei suoi progetti sul sinfonismo, progetti di continuità formale e anche di
innovazione poetica; nascono cioè da una volontà creativa, intimamente contraddittoria, di
ordine classico e di eccessi passionali. Come era naturale, in lui la desiderata oggettività delle
"grandi forme" strumentali, studiate e ammirate, e il grande pathos soggettivo avevano
direzioni opposte.
Schumann stesso dichiarò più di una volta che la sua Seconda aveva segnato la vittoria
artistica di terribili sofferenze interiori (quelle che poi lo avrebbero abbattuto). Realmente
nella musica noi sentiamo il combattimento psichico, l'impeto di una forza interiore e
l'esultanza della vittoria, anche in qualche segno di esteriorità e di enfasi, di stile
"beethoveniano" imposto all'esterno su sentimenti del tutto differenti dall'eroismo. Perfino
l'impianto tonale in do maggiore, simbolo di solidità e sicurezza, ci suona a momenti un
vanto poeticamente ingenuo più che una necessità espressiva. Le qualità alte di questa
musica non sono le sue architetture o la sua oratoria sonora, sono invece le originalità
formali, perfino le genialissime incoerenze, che avvicinano questa che si proponeva di essere
una Sinfonia classica, a un poema sinfonico romantico (e come esempio della consapevole
indipendenza di Schumann nella scrittura sinfonica ricordiamo anche che, in un primo
momento, la sua Quarta Sinfonia egli voleva intitolarla "Sinfonia Fantasia").
L'Adaglo espressivo in do minore è il momento alto di tutta la Sinfonia (o meglio, è uno dei
grandi momenti lirici di Schumann) e ci dona una di quelle melodie struggenti (violini primi,
poi l'eco malinconica dell'oboe), che portiamo con noi a lungo dopo l'ascolto. È un canto a
intervalli in alternanza larghi (di sesta e di settima) e brevissimi (un semitono), ascendenti e
discendenti, che instancabilmente ritorna con un respiro sempre più ampio e commosso,
percorso da brividi di felicità (le delicate ornamentazioni dei legni sopra il canto degli archi).
Questa è musica del grande musicista-poeta che tutti amiamo.
Anche in questo caso la disposizione e le relazioni tra i temi sono del tipo descritto per le
sinfonie precedenti. Il motto iniziale (corni, trombe, tromboni) viene riproposto nella coda
del primo e dell'ultimo movimento e alla fine dello Scherzo; l'introduzione lenta contiene
inoltre altri spunti tematici ripresi nell'Allegro seguente. Nel finale, che dal punto di vista
tematico si riferisce sia al primo Allegro che all'Adagio (si veda ad esempio la relazione tra il
secondo tema del finale stesso e il motivo primario della melodia dell'Adagio espressivo),
viene introdotto verso la conclusione un nuovo tema lirico, al posto del primo elemento
tematico. Questa melodia è simile a quella del Lied An die feme Geliebte di Beethoven, già
usata da Schumann nella Fantasia op. 17 per pianoforte secondo una tecnica precedentemente
adottata nel primo movimento della Sinfonia in si bemolle maggiore e nel primo e nell'ultimo
, movimento della Sinfonia in re minore. Schumann ammetterà in una lettera che questa
sinfonia, e soprattutto il primo movimento, risentono della particolare situazione di
convalescenza in cui si trovava: «Riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni
fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato».
Il terzo tempo (Adagio espressivo in 2/4) snoda un'estesa cantilena, che comincia in do
minore e termina in mi bemolle maggiore, dapprima intonata dai violini poi dall'oboe,
assumendo accenti via via più malinconici; essa è seguita da un episodio contrappuntistico e
ritorna alla fine, per concludere in do maggiore il movimento. Ma le tracce del maggiore
impegno contrappuntistico sono diffuse un po' dovunque nella composizione.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Frutto doloroso di anni tormentati (1845/46), nei quali Schumann soffriva di depressioni,
insonnia, rumori ossessivi nell'orecchio, la Seconda Sinfonia è un lavoro sinfonico
decisamente singolare, basti pensare alle particolarità dello Scherzo, oppure ai due episodi
che, nel primo e ultimo movimento, fanno rispettivamente da introduzione e coda, ma che
per la loro ampiezza travalicano tali funzioni, diventando dei quadri autonomi a se stanti.
Tuttavia, l'aspetto formale cade in secondo piano davanti all'eccezionale stato di grazia
creativo del compositore, capace di toccare punte altissime di poesia che, a dispetto di quanto
scritto da vari commentatori, lasciano spesso trasparire un radioso senso di pace e ottimismo,
quasi a voler travalicare le durissime circostanze di vita di quel periodo infelice.
Il lunghissimo episodio iniziale del primo movimento si apre con un fraseggio melodico
degli archi quasi impalpabile, che a momenti diviene struggente e toccante, mentre gli echi
lontani degli ottoni danno una straordinaria profondità spaziale all'impasto orchestrale. Il
discorso quindi si anima con tremoli degli archi, mentre una breve cellula ritmica rimbalza
tra le varie sezioni. Stacchi accordali attraversati da frammenti melodici portano quindi al
sommesso attacco del primo tema, caratterizzalo da un ostinato ritmo puntato ad accordi che
si dispiega in crescendo, mentre il secondo gruppo tematico conferma un delicato inciso
melodico già iniziato nel precedente episodio di transizione. Nello Sviluppo, alcune
elaborazioni di elementi dell'Esposizione sono seguite dalla lunga e ostinata reiterazione di
un frammento di tre note, punteggiato dai nervosi incisi degli archi. Il discorso musicale
continua quindi con una progressiva ascesa verso il climax espressivo, tra l'incedere fremente
degli archi e potenti accordi suonati sul tempo debole. Risuonano quindi frammenti tematici,
mentre un pedale di dominante porta a una Ripresa tradizionale, completata da un'ampia coda
conclusiva.
Fuori dagli schemi abituali, per la sua collocazione come secondo movimento e per l'uso di
un tempo non ternario (2/4), lo Scherzo si apre con una funambolica corsa dei violini,
punteggiala con virtuosismo da incalzanti accenti orchestrali. Un repentino cambio di scena
porta a un delicato dialogo tra fiati e archi (Trio I), dall'andamento ritmico particolarmente
flessibile. Il ritornello dello Scherzo è seguito da un ulteriore mutamento d'atmosfera, che
conduce alla sonorità pastosa e morbida degli archi legati (Trio II), il cui tema dà vita a una
breve fuga iniziata dall'oboe. Lo Scherzo da capo e una coda finale completano infine il
movimento.
Pagina di straordinaria intensità espressiva, l'Adagio seguente si apre con un canto triste e
melanconico dei violini, sulla cui chiusura fiorisce la struggente risposta in maggiore
dell'oboe. I fiati introducono quindi un sereno e pacato episodio, disegnato dagli archi e
intercalato da brevi terzine che sembrano aprire squarci di luce all'orizzonte. Torna quindi il
tema iniziale con brevi imitazioni e una variazione melodica dei violini, seguita da un
episodio in veste di fuga, sulla cui conclusione i legni ridisegnano mestamente il tema
principale. I tre episodi centrali vengono quindi riproposti trasportati di tonalità per poi
chiudere con una breve coda finale.
Nell'ultimo movintento, un fulmineo stacco iniziale introduce l'esuberante marcia del primo
tema mentre una sinuosa e rapidissima linea dei violini crea un tappeto sonoro su cui si
innesta la melodia del secondo tema, che ripropone in altra veste il tema dell'Adagio. Da una
Ripresa ridotta del primo tema parte invece lo Sviluppo, nel quale lo stacco di inizio
movimento viene utilizzalo per dar vita a un ampio episodio intenso e drammatico.
Un'improvvisa e tagliente sortita del clarinetto ripropone l'incipit del secondo tema
rovesciato, ripreso allo stesso modo dai violini e riproposto nella sua forma originale solo al
termine dell'episodio. La terza parte del movimento è invece un ampio episodio autonomo,
costruito su una semplice ma accattivante melodia, proposta dai legni e poi ripresa dai
violini. Successivamente, un lungo pedale di dominante, sotteso dal rullo dei timpani, si
ferma su un vigoroso accordo sospensivo che sembra voler annunciare un attacco potente e
deciso, ma che viene invece suggestivamente smentito da una dolce ripresa del tema
principale. È l'inizio di una discreta ma inesorabile apoteosi del tema siesso. completata da
un'ampia coda fatta di successioni accordali, che si chiude tra sorprendenti percussioni dei
timpani.
Robert Schumann non aveva fatto, come Adrian Leverkühn, il patto col diavolo, ma, certo, si
era legato con qualcosa di altrettanto insidioso per la sua anima: la letteratura e la filosofia
(gli studi giuridici, si sa, non portano mai alla follia). La sua malattia, a differenza di quella
del musicista manniano, si chiamava Jean Paul Richter, Hoffmann, Kant, Fichte, Schelling,
Hegel. I sintomi, in fondo, gli stessi di Leverkühn: un processo di ambivalenza, difficile da
districare e che conduce il soggetto alla disintegrazione e alla pazzia (certo a Johann Strauss,
che il patto lo strinse col signor Biedermeier, non successe nulla del genere).
Schumann adolescente fu incerto, come Wagner, tra musica e letteratura: «Che cosa proprio
sono — annota — non so io stesso ancora chiaramente». Quando a vent'anni si decise per la
musica il suo dualismo era già costruito, e nella forma che il Romanticismo più «high-brow»
prevedeva; in quella, cioè, di un profondo contrasto interiore, di un inguaribile dissidio, di
un'ansia di fermare l'attimo, di chiudere l'infinito nel finito. E proprio lo Hoffmann sosteneva
che la musica era la più romantica delle arti, in quanto esprimeva l'infinito.
Ora, se Schumann fosse stato più fortunato (cioè meno intelligente, meno coerente e più
superficiale), una volta scelta la musica, poteva sperare di liberarsi di un così incomodo
«alter ego», ma, non essendo Mendelssohn, quel dualismo gli si trasferì naturalmente nel
mondo dei suoni. Di questo dualismo egli ebbe tanta coscienza da simboleggiarlo —
scrivendo i suoi saggi — nelle due figure di Eusebio e Florestano: ossia l'aspetto sognante-
contemplativo e quello fervido-appassionato della sua anima. E anche questo era un
procedimento del prediletto Jean Paul, che aveva avuto l'idea, appunto, di sdoppiare un
personaggio nelle due figure dei fratelli Walt e Wult.
Nell'educazione artistica di Schumann tengono lo stesso posto poeti e musicisti. Nella sua
musica la letteratura ha grande spazio: nei «Lieder» (la sfera di Eusebio) ci sono Goethe,
Heine, Rückert, Platen, Möricke, Eichendorff, Chamisso, Shakespeare, Byron, Burns,
Shelley (andrebbero studiate meglio le «liaisons dangereuses» di Schumann con la lirica
tombale inglese) e nel «Manfred» o nelle «Scene dal Faust» (la sfera di Florestano) ancora
Byron e Goethe.
Nel periodo in cui egli avverte i primi sintomi della malattia, che doveva, appunto,
dilacerarlo, e cioè dalla fine del 1845 all'inizio del 1846, scrive la «Sinfonia n. 2 in do
maggiore op. 61», che, cronologicamente, è però la terza. «L'ho scritta — sono parole
dell'autore — quando ero ancora molto sofferente, e mi sembra che lo si debba avvertire
all'ascolto; riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo
movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Per questa
tensione compositiva l'opera è stata avvicinata al clima beethoveniano, anche se è
ugualmente innegabile, che, nell'elaborazione, risente dell'eleganza e dell'abilità
contrappuntistica di Bach.
Anche su questa Sinfonia si sono addensati, fin dal suo apparire — fu eseguita, per la prima
volta, da Mendelssohn il 5 novembre 1846 — i fulmini dei censori: Schumann non sapeva
scrivere per l'orchestra, faceva (forse) fare all'oboe, ciò che di solito fa il violino; sbagliava,
magari, nella scrittura degli strumenti traspositori; non dava equilibrio tra le varie famiglie di
strumenti, ecc. E va bene. Nella Maestà di Duccio non c'è prospettiva; abbonda invece, e
perfetta, nei quadri di Pietro Aldi o di Antonio Ciseri. E l'epistolario più sconvolgente della
nostra letteratura è quello di Caterina da Siena, che era analfabeta.
Lamberto Bartoli
81a 1847
https://www.youtube.com/watch?v=sAHTIUpR0fg
https://www.youtube.com/watch?v=nvLAWI_dw4E
https://www.youtube.com/watch?v=IWE9oVAghTA
La produzione teatrale di Schumann comprende la Genoveva op. 81 in quattro atti, scritta nel
1847, le musiche di scena per il Manfred di Byron (1848-1849) e le Szenen aus Goethe's
Faust composte tra il 1844 e il 1853. Il libretto della Genoveva fu ricavato da Robert Reinick
da due poemi rispettivamente di Ludwig Tieck (1811), e di Friedrich Hebbel (1841) elaborati
liberamente sulla leggenda medioevale centrata sulla figura di Genoveva di Brabante, dalla
nobile anima femminile, che viene scacciata di casa dal marito, l'eroico Sigfrido, a seguito
delle voci calunniose di tradimento diffuse dal perfido pretendente deluso, Golo, personaggio
sinistro e luciferino, tormentato però dal rimorso per il male da lui provocato con tanta
ostinazione. L'opera andò in scena il 25 giugno 1850 a Lipsia sotto la direzione dello stesso
autore e alla presenza di un pubblico molto interessato, fra cui spiccavano nomi di importanti
e autorevoli musicisti come Liszt, Bülow, Meyerbeer e Spohr. Il successo fu tiepido e sin da
allora si disse che la Genoveva mostrava scarsa tensione drammatica e teatrale ed era una
musica prevalentemente liederistica, poco adatta alle scene, anche se non mancano pagine
degne della massima considerazione per freschezza inventiva ed espressività melodica.
Riserve e giudizi poco lusingheri sull'opera manifestarono Liszt e Wagner: quest'ultimo disse
esplicitamente che il testo della Genoveva era "infelicemente insipido" e che la musica
rimaneva in superficie senza entrare dentro il dramma. Osservazioni queste abbastanza
pertinenti in quanto Schumann, si sa, non è mai stato un compositore di teatro e la sua
grandezza e originalità risiedono prevalentemente in quel sentimento purissimo di fantasia
liederistica profuso e piene mani nelle liriche per canto, nella produzione cameristica e in
quella sinfonica.
Lasciando da parte la validità di alcune arie e cori di indubbia presa emotiva e l'abolizione
dei recitativi con l'introduzione di embrionali Leitmotive prewagneriani, si può dire che sin
dall'inizio c'è stata unanimità di giudizi positivi sulla ouverture della Genoveva, ritenuta un
vero preludio sinfonico, tematicamente riassuntivo dell'intero dramma musicale, secondo il
modello di Weber e indicativo della nuova estetica romantica. È una pagina che si lascia
ammirare per l'accurata ricerca timbrica dello strumentale e per certe caratterizzazioni
psicologiche dei personaggi affidate ad impasti di suono di immediata comunicativa. Ad
esempio, nell'attacco iniziale, sul pianissimo dell'orchestra, i violini accennano ad una frase
liricamente lamentosa e quindi i violoncelli, le viole e i fagotti indicano un tema torbido e
tagliente che vuole essere un motivo-reminiscenza della torbida figura di Golo. Di particolare
bellezza espressiva la tensione orchestrale nel centro dell'ouverture, con i vari colori di
impasto romantico determinati dalle uscite del clarinetto e dei corni, prima della festosa
concitazione conclusiva della ouverture.
97 1850
https://www.youtube.com/watch?v=90DHfJKSqs8
https://www.youtube.com/watch?v=3lRdCGIp-rg
https://www.youtube.com/watch?v=Bskj19EONUU
https://www.youtube.com/watch?v=k3jTi6Il2O0
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 2 novembre - 9 dicembre 1850
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 6 febbraio 1851
Edizione: Simrock, Bonn, 1851
Il compositore aveva quasi quarant'anni, veniva a Düsseldorf con la carica di Direttore dei
concerti, accolto con calore dall'élite culturale della città: il posto di Musikdirektor con una
orchestra a sua disposizione, le aspettative degli abbonati, il prestigio della nuova sede,
dovettero naturalmente spingere il compositore nel solenne campo sinfonico, non più
frequentato dopo la Seconda Sinfonia del 1846; nasce così in un clima di fiducioso
rinnovamento, ignaro del prossimo e definitivo crollo mentale, la Terza Sinfonia in mi
bemolle, nota fin dai primi tempi con l'appellativo di "Renana". La prima esecuzione, con
l'opera ancora manoscritta, avvenne nel concerto del 6 febbraio 1851 e suscitò accoglienze
trionfali, ripetute poco dopo a Colonia; grande impressione la Sinfonia suscitò anche a
Rotterdam, il 1 dicembre 1853, durante la tournée olandese intrapresa da Schumann con la
moglie Clara, e fino ad oggi la "Renana" è rimasta forse la più amata delle quattro Sinfonie,
la più unitaria e compiuta nel pensiero creativo.
La «religione del Reno» schumanniana ha il suo altar maggiore nella Terza Sinfonia; lo si
potrebbe circondare con tempietti votivi, quali i Lieder "Sonntags am Rhein" dell'op. 36 o
"Im Rhein, im heiligen Streme" dalla Dichterliebe di Heine; ci si potrebbe aggiungere il
secondo movimento della Fantasia op. 17 per pianoforte, nella stessa tonalità di mi bemolle e
con patenti affinità tematiche; la comune cornice della tonalità, il ritmo di tre quarti, la
simpatia per temi basati sulla triade fondamentale individuano un percorso che muove
dall'Eroica di Beethoven, dove l'eroismo è tutto astratto, ideale, energia pura: in Schumann
l'eroe si è concretizzato nella storia e geografia del padre Reno, del duomo di Colonia che vi
si specchia, della nazione tedesca che avrebbe potuto esservi consacrata.
È soprattutto il primo movimento che non maschera il suo riferimento a Beethoven, ma più
nei temi che nel reale sviluppo: è sintomatico infatti che il momento supremo di tutta la
pagina, quando il tema d'apertura sfolgora nell'unisono dei quattro corni entro l'armonia di mi
bemolle tenuta in pianissimo dagli altri strumenti, avvenga nella preparazione della ripresa,
in un raccordo strumentale, non deputato a ricevere simili epifanie; è un po' la mentalità del
poema sinfonico che perfino nel "classico" Schumann viene a turbare i recinti della forma-
sonata. Nel secondo movimento il Reno si spoglia dei suoi attributi mitici e indossa abiti
borghesi, quelli di salubri passeggiate domenicali, allietate da robuste bevute.
Il terzo movimento (Nicht schnell, Non veloce) precorre nel tenero clima espressivo il tipo
dell'"Andantino" o "Allegretto" brahmsiano; il ruolo dell'Adagio, finora scoperto, è assolto
dal quarto movimento (Feierlich, Solenne) che sarebbe giusto considerare un'ampia
introduzione al Finale: le arcaiche sonorità dei tromboni, impiegati qui per la prima volta, i
temi dall'austero profilo bachiano, la densità dell'intreccio polifonico, caricano di solennità
storica questa pagina, legata nella fantasia di Schumann al fascino del rito cattolico nel
duomo di Colonia. Dal suo ultimo accordo, in un opaco mi bemolle minore, si sprigiona il
tema in maggiore del movimento finale: che è di vivida vena popolaresca, con toni leggeri da
Scherzo mendelssohniano irrobustiti verso la fine in sonori giubili di tutta l'orchestra, in
architettonica risposta all'esordio del primo movimento.
Giorgio Pestelli
Anche a proposito di questa sinfonia possiamo osservare una relativa indipendenza dalle
regole e dalle convenzioni; in un certo senso questa è la sinfonia in cui la sintesi tra gli
elementi classici e romantici della sua poetica (ch'egli rappresenta, nei suoi scritti, coi
personaggi di Florestano e Eusebio) è più riuscita. L'interesse del musicista per l'effetto
pittorico, il desiderio di evocare l'atmosfera dell'amata terra renana, traspaiono sin dal primo
movimento, il cui tema è uno dei più famosi dello Schumann sinfonista. Da notare come
l'apparente e spontanea facilità del tema si leghi invece a un sottile e accurato interscambio
tra tempo doppio e triplo che permea della sua carica ritmica tutto il movimento.
Il rapporto tra i temi e la loro elaborazione nello sviluppo testimoniano una acquisita
maturazione di Schumann attraverso le modalità della logica sinfonica e uno studio della
beethoveniana Eroica. Lo Scherzo, originariamente intitolato Mattino sul Reno, è un vero e
proprio Ländler moderato e delicato, di sapore liederistico; nel Trio corni e altri strumenti a
fiato intonano una cantilena in la minore, su un lungo pedale di do. Il maestoso quarto
movimento venne ispirato dalla consacrazione dell'arcivescovo von Geissel a cardinale,
avvenuta nella cattedrale di Colonia il 30 settembre del 1850 (anch'esso recava
originariamente la dicitura "come per l'accompagnamento di una cerimonia solenne"). A
differenza di altri movimenti lenti di Schumann esso non si concede a una esplorazione
dell'intimità ma, fedele all'occasione citata, detiene un che di arcaicizzante, di gotico.
D'altra parte è proprio nel tema, il principio unificatore della musica classico-romantica, che
si fa evidente la divergenza da Beethoven cui Schumann approda nelle sue Sinfonie: esso
non è più, come in Beethoven. sviluppo di un'idea che si realizza soggettivamente nel
processo formale considerato come un tutto, ma, invece, illuminazione sempre diversa di una
medesima idea principale, che si ripete ossessivamente pur senza rimanere mai uguale a se
stessa. In questa divergenza sta il senso di tutto un cammino storico: l'esperienza di
Schurmamn, in sé cosí irripetibile, è a questo proposito decisiva e apre la strada verso la
musica della seconda metà dell'Ottocento, sia come atteggiamento spirituale che come
concreto punto di riferimento musicale.
Solo in questa visione più ampia e proiettata verso il futuro si può dunque arrivare a capire la
portata delle 'imperfezioni' di Schumann e ad assaporarne il gusto tutto particolare: con
un'apertura verso due direzioni principali: da un lato Mahler, che si ricollegherà alla
dissoluzione della forma sinfonica classica favorita da Schumann con la tendenza
all'ampliamento progressivo del tema nei suoi ritorni ciclici: dall'altro Brahms, che,
perfezionando la poetica schumanniana della variazione, ne trarrà grande partito proprio
nella strumentazione, nel 'suono' cioè di un'orchestra che ne è la diretta erede.
Nel settembre del 1850 Schumann si trasferí con la famiglia a Düsseldorf, dove era staso
chiamato a ricoprire l'ambita carica di direttore dei concerti: si aprí cosí un breve periodo di
serenità e perfino di insolito entusiasmo, a contatto di un ambiente accogliente, soprattutto
nella semplice schiettezza della gente, qual era quello della cittadina renana. Di questo clima
interiore placato porta un riflesso la Terza Sinfonia. composta appunto sullo scorcio di
quell'anno e idealmente dedicata, tanto da essere nota come la Renana alla lieta
spensieratezza della vita sulle sponde del fiume cantato da Heine.
Sul piano formale generale, la Sinfonia si articola in una costruzione archilettonica in cui i
due movimenti estremi, che si corrispondono sia per spirito (Vivace in entrambi i casi) sia
per somiglianze tematiche e armoniche, racchiudono i tre movimenti centrali. Dunque, anche
esternamente, Schumann si distacca qui con chiarezza dal modello della forma classica,
sostituendovi una organizzazione formale in cinque movimenti autosufficienti, seppure
coerentemente collegati fra loro. Questo carattere, che si riflette anche nella mancanza di un
vero e proprio tempo lento centrale, si avvicina sensibilmente a quello che piú tardi sarà
adottato da Mahler, soprattutto nell'uso di un criterio compositivo ciclico, che al senso dello
sviluppo sostituisca la continua ripetizione e il ritorno circolare.
Sergio Sablich
Scritta verso la fine de! 1850, l'ultima sinfonia (in ordine cronologico) di Schumann è
probabilmente la più completa e matura delle quattro; essa ha come suo spunto
programmatico la Renania, regione nella quale il compositore si era da poco trasferito con la
moglie per assumere la guida dell'orchestra di Düsseldorf. L'antico mito del Reno come culla
della nazione tedesca e la serena laboriosità delle sue genti si rispecchiano nel solido e
radioso impianto dei due movimenti esterni, così come nella robusta ispirazione popolaresca
dello Scherzo. In aggiunta ai quattro tempi tradizionali viene inserito, prima del finale, un
quinto movimento, un maestoso tributo alle antiche pratiche contrappuntistiche rivisitate in
chiave romantica, con cui il compositore ci volle probabilmente restituire le sensazioni
vissute nel Duomo di Colonia durante la cerimonia di investitura cardinalizia
dell'arcivescovo.
La sinfonia si apre senza il consueto episodio introduttivo: Schumann ha così lo spazio per
imbastire un'Esposizione più ampia e articolata di stampo classico. Inoltre, per la prima volta
in queste sinfonie, il primo tema presenta un profilo melodicamente compiuto, un motivo
nobile e di ampio respiro al quale si contrappone il dolce e cullante profilo del secondo tema.
Lo Sviluppo è invece articolato su una lunga e regolare alternanza di rivisitazioni dei due
temi, mentre una lunga preparazione porta alla Ripresa tradizionale, seguita da una coda
conclusiva nel quale riecheggia ancora l'idea del primo tema.
Nello Scherzo, anche qui utilizzato come secondo movimento, il tema sembra quasi
assumere una vera propria caratterizzazione con due distinti soggetti: una frase iniziale di
carattere maschile (viene infatti esposta da strumenti di tessitura medio-bassa) e di genuina
ispirazione contadina, e una risposta di carattere femminile (strumenti di tessitura alta), dal
profilo più elegante e aristocratico. Il tema viene poi ripreso e variato anche nella sezione
centrale, nella quale troviamo nell'ordine: le imitazioni di una frastagliata linea a note
staccate con citazione finale del tema principale, un morbido e soffuso impasto dei fiati e una
variazione del tema stesso. Il movimento si chiude con la ripresa dello Scherzo e una potente
declamazione del suo motivo principale, che si dissolve in una frammentata coda finale.
Il terzo movimento è una pagina intima e raccolta, di impronta quasi cameristica, nella quale
si dispiega un'affettuosa frase melodica di clarinetti e fagotti, a cui risponde una diversa idea
tematica dall'incedere frammentato, che a lungo indugia prima di trovare la sua conclusione.
Un terzo motivo, dal fraseggio più fluido e continuo, completa la presentazione del materiale
tematico; il tutto viene quindi rivisitato senza particolari sussulti o contrasti nei tre episodi
successivi, e in una coda, nella quale i Ire molivi vengono fatti riecheggiare sopra un
ondulalo pedale di basso.
L'austero tema iniziale del quarto movimento si dipana in un lento corale, reso ancor più
solenne dalla compassata sonorità degli ottoni. Come nel dispiegarsi di una lenta
processione, il tema viene ripreso a canone, per dare poi vita a un ampio episodio eentrale dal
lento ma deciso incremento dell'intensità, nel quale si succedono entrale imitative basate
sulla testa del tema. Dopo un netto passaggio da forte a piano, il tema si ripresenta quindi a
valori dilatati, fino a quando solenni declamazioni dei fiati, inframmezzate da sussurrati
pianissimi, portano alla conclusione con l'ultima citazione del tema, prima dei mesti accordi
finali.
Roman Vlad
Ouvertüre in do minore
per "Die Braut von Messina" di Friedrich von Schiller
https://www.youtube.com/watch?v=NPySq8NiHT4
La prima parte di questa problematica, per quanto cioè si riferisce al rapporto fra Schumann e
la «grande forma» della sinfonia, può trovare una risposta piú facilmente individualizzabile:
è indubbio che egli sentì in modo particolarmente drammatico il suo destino di musicista
trovatosi a dover comporre dopo Beethoven, dopo colui che aveva espresso sotto tutti i punti
di vista quanto di piú alto e di piú perfetto era possibile esprimere: tutta la prima parte della
vita di Schumann, con la preponderanza dell'attività critica e l'interesse principale per la
libera composizione pianistica, lo potrebbe confermare. L'impatto con le cosiddette «grandi
forme», di cui era un modello ormai svuotato di realtà e di vita la «forma sonata», coincide
per Schumann con la maturità, nel segno di una libertà creativa che intende rifarsi, seppure
solo idealmente, all'esempio di Beethoven.
Se a Schubert era riuscito di stabilire un fertile contatto con il mondo dei classici
riutilizzandone le forme tradizionali in un contesto di sconvolgente novità che pure
esternamente appariva come privo di fratture troppo inconciliabili, già Schumann non poté
piú, dal punto di vista della concezione formale, sottrarsi agli obblighi critici oltre che
artistici che gli imponevano le audaci conquiste introdotte da Beethoven nella grande forma
sinfonica; né d'altra parte la sua indole piú profonda era tale da consentirgli di approdare a
quella misura, quella serena raffinatezza e compostezza, quella olimpica luminosità che
erano caratteristiche tanto ammirate nell'amico e collega Mendelssohn. Per questo
Schumann, rispetto a questi grandi compositori, ci appare come annunciatore di una nuova
epoca, che si fa luce a poco a poco in un'alba tanto carica di eventi da risultare una svolta
decisiva per la storia del suo secolo e anche del nostro: tutto ciò che per comodo si suole
riunire nel termine Romanticismo, liberato, se possibile, da tutte le retoriche incrostazioni e
riabilitato a una nuova, pura capacità di esprimere qualcosa di concreto, fa in Schumann la
sua prima apparizione totale e coerente fino in fondo.
D'altra parte è proprio nel tema, l'«anima» della musica classico-romantica, che si fa evidente
la divergenza da Beethoven a cui Schumann approda nelle sue Sinfonie: esso non è piú,
come in Beethoven, sviluppo di un'idea che si realizza soggettivamente nel processo formale
considerato come un tutto, ma, invece, illuminazione sempre diversa di una medesima idea
principale, che si ripete quasi ossessivamente senza rimanere mai uguale a se stessa. In
questa divergenza sta il senso di un cammino storico in divenire, alla ricerca di una nuova
individualità che arrivi a porsi anche come una nuova identità; l'esperienza di Schumann, in
sé cosí irripetibile e conchiusa nel suo straordinario fascino, è a questo proposito sotto tutti i
punti di vista decisiva ed apre senza dubbio alcuno la strada verso la musica del secondo
Ottocento, sia come atteggiamento spirituale che come concreto punto di riferimento
specificamente musicale.
Solo in questa ottica piú ampia e proiettata verso il futuro si può dunque arrivare a capire la
portata delle «imperfezioni» di Schumann e ad assaporarne il gusto tutto particolare, con
un'apertura verso due direzioni principali: da un lato Mahler, che si ricollegherà alla
dissoluzione della forma sinfonica classica ottenuta da Schubert con la tendenza
all'ampliamento progressivo del tema nei suoi ritorni ciclici; dall'altro Brahms, che,
perfezionando la poetica schumanniana della variazione, ne trarrà grande partito proprio
nella strumentazione, nel «suono» cioè di un'orchestra che è la diretta, e sia pur migliore,
erede di quella intuita da Schumann.
Ouverture in do min. per «La Sposa di Messina », op. 100
Fra le composizioni «minori» per sola orchestra la «Ouverture in do minore» è quella forse
meno conosciuta e meno frequentemente eseguita: composta nel 1850-51, nel periodo
trascorso da Schumann a Düsseldorf, essa doveva figurare come introduzione al dramma di
Schiller (1759-1805) «La Sposa di Messina» (Die Braut von Messina), un testo che nella
produzione schilleriana occupa un posto determinante sia dal punto di vista drammaturgico
che da quello poetico. Per esso, composto a Weimar e rappresentato per la prima volta nel
1803, Schumann aveva l'intenzione di scrivere le intere musiche di scena, sull'esempio di
quelle per il «Manfred» di Byron, a cui stava in quegli anni ancora attendendo. Tale
intenzione, per altro non sicuramente testimoniata, non giunse ad effetto, e la «Ouverture»
venne pubblicata da sola a Bonn in quello stesso 1851.
Sergio Sablich
https://www.youtube.com/watch?v=A74nG-Aq07k
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Dresda, 19 ottobre 1848 - 1849
Prima esecuzione: Weimar, Großherzogliches Hoftheater, 14 marzo 1852
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1852
Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Effettivamente l'orchestra di Schumann, per il frequente uso dei raddoppi, l'insistenza sui
registri centrali degli strumenti, la mancata valorizzazione dei diversi timbri e la scarsa
brillantezza, può sembrare povera e dare un'impressione d'inadeguatezza dei mezzi alle
intenzioni: d'altra parte quella sensazione d'inadeguatezza è lo specchio della tensione verso
l'irraggiungibile, dell'aspirazione a qualcosa d'indefinibile, della lotta d'una immaginazione
romantica senza confini che si dibatte contro le limitazioni della materia. Per questo la
musica orchestrale rivela un aspetto fondamentale del romanticismo schumanniano. È stata
proprio questa attrazione per atmosfere ineffabili e incerte ad attrarre Schumann verso un
poema di George Gordon Byron, Manfred, che si svolge tra dubbio, follia e morte: l'aveva
letto da giovane e diciannove anni dopo compose le musiche di scena per questo "poema
drammatico", lavorandovi dalla fine del 1848 al 1851, durante il soggiorno a Dresda, turbato
da crisi di nervi, depressioni, fobie e allucinazioni, e l'ancor peggiore periodo trascorso a
Düsseldorf come direttore d'orchestra. Rispetto a Byron Schumann cambiò però radicalmente
il finale, perché Manfred non muore bestemmiando dio, chiuso nella sua orgogliosa
solitudine, ma si spegne riappacificato con se stesso e con il mondo, mentre un requiem
risuona in lontananza: "Egli è morto, la sua anima ha lasciato la terra. Ove sarà ora? L'idea
mi atterrisce, ma essa è partita per l'eternità". Così modificato, Manfred divenne per
Schumann quasi un'autoconfessione, come lo era stato per Byron.
L'ouverture è una vigorosa sintesi di questo "poema drammatico". Labili passaggi tonali,
colori lividi, ritmi inquieti e sincopati, frasi appassionate, atteggiamenti ribelli, efficaci
gradazioni emotive, tutto contribuisce a creare un'atmosfera angosciata. I temi di Manfred e
di Astarté (la sorella-amante, morta a causa di questa relazione proibita) sono i due poli
tematici di questo breve pezzo, vero capolavoro di concentrazione espressiva: il tema di
Manfred è fremente, ribelle, percorso da guizzi spettrali, quello d'Astarté è dolce e pervaso di
nostalgia, e s'innesta lieve sul primo, come evocato da un sogno o da un sortilegio. Dal
contatto tra queste due forze ideali si sprigiona un tormento che si avverte nel tremito delle
semicrome sotto la prima apparizione della limpida melodia di Astarté. L'intreccio dei due
temi ha forte valore simbolico: alla sfida di Manfred, ai suoi contatti abissali con le forze
oscure, si contrappone l'immagine celestiale d'Astarté, finché i furori e le angosce tormentose
cedono a questo tema rasserenante, in un finale che è una delle più misteriose ispirazioni d'un
musicista ricco di mistero.
Mauro Mariani
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
È questione ancora aperta se spetti anche alla musica sinfonica di Schumann il riconosciuto
valore, unico per intensità e idealismo, si direbbe, ed emblematico nella cultura romantica
tedesca, dei suoi mirabili cicli per pianoforte, dei Lieder e di molti dei lavori da camera
(primo il Quintetto col pianoforte, che tanto piacque anche a Wagner). No, forse il valore non
è lo stesso, o meglio poche pagine sinfoniche di Schumann hanno il segno assoluto della
novità e della libertà fantastica che ancora ci meraviglia nell'altra sua musica. Non dipende
solo da una certa imperizia, in verità additata sempre con esagerazione, della sua scrittura
sinfonica. Certo, Schumann non è l'orchestratore inventivo, coloristico, sorprendente, come
furono gli innovatori dell'orchestra romantica suoi contemporanei, Berlioz, Mendelssohn,
Liszt, Wagner (e la differenza si sente), anche perché nello stile sinfonico egli tendeva ad
imporsi una rigidezza costruttiva e una severità di espressione estranee al suo genio. Sì, il
decadimento del gusto nel pubblico tedesco e il predominio del virtuosismo edonistico, della
moda melodrammatica, dell'arte da salotto lo riempivano di sdegno come oltraggi ai grandi
appena morti (Weber, Beethoven, Schubert), che egli venerava e di cui si sentiva erede. Nei
due decenni successivi a quelle morti dolorose, a lui, così colto e fedele, si era presentato
urgente il problema della "sinfonia", come valore in sé, il problema, appunto, dell'eredità, -
quel problema che nelle due ultime sue sinfonie Mendelssohn seppe aggirare con la
prodigiosa sua serenità, e che Liszt e Wagner dichiararono insussistente per la morte stessa,
come affermavano, del sinfonismo puro
A Schumann, invece, la realtà si presentava diversa ed egli tentò di respingere il pericolo che
il mutamento dei tempi e degli ideali portasse con sé l'estinzione di quel valore. Per questo la
raccolta dei suoi scritti critici e polemici è testimonianza eccezionale, oltre che di una lucida
intelligenza analitica, di un'alta coscienza estetica: in nome della quale accadde a lui, spirito
poetico e libero come pochi, di essere nelle sinfonie e a volte nella musica sinfonico-corale,
un "conservatore", quasi uno di quei "filistei" che egli derideva. E sempre per questo si
guastarono i rapporti con Liszt e con Wagner (che in seguito, dopo che Schumann morì, fu
anche ingenerosamente ostile). Ma l'illusione "sinfonica" di Schumann non fece danni e anzi
produsse qualche capolavoro (come certamente sono il Manfred e il Concerto in la minore).
Manfred
George Gordon Byron (1788-1824) scrisse il poema drammatico Manfred nel 1817, quando
era già una celebrità in tutta l'Europa romantica, non solo per la sua poesia, copiosissima in
ogni genere letterario, ma anche per la vita, altrettanto copiosa di avventure, viaggi, amori
leciti e illeciti, scandali. L'ideale della vita estetica ed eroica (morì giovane in Grecia dove
sperava di partecipare alla rivolta contro i Turchi oppressori) egli lo incarnò per primo e con
verità assai maggiore dei molti che per almeno un secolo lo imitarono. Byron ebbe, certo,
genialità poetica, originale e prepotente, e la quantità di occasioni che egli ha offerto alla
musica, al melodramma e alla letteratura dell'Ottocento è solo essa già un merito eccezionale.
Ma a leggere il suo Manfred, delirante e prolisso com'è, oggi ci è diffìcile comprendere non
tanto il successo popolare di allora quanto l'ammirazione di geni ben superiori, come Goethe
(che tradusse qualche pagina del Manfred, tra cui il primo monologo, che gli sembrava
addirittura migliore del monologo di Amleto), Leopardi, Nietzsche (e nel 1885 Caikovskij
compose anche lui la sua Sinfonia Manfred). Ci sono, sì, nel poema segni di vigore fantastico
ed espressivo (parliamo di un poeta di rango), ma qui in genere tutto, situazioni e discorsi, ci
suona esagerato e anche grottesco, quasi una parodia del Faust di Goethe.
Anche Schumann fu uno dei fervidi ammiratori del Manfred, e del turbamento che ebbe dalla
lettura, anzi delle lacrime che versò, ci dà il racconto la moglie Clara. Se egli si era formato
sui libri di scrittori romantici bizzarri ed estremi come erano Jean Paul e Ernst Th. A.
Hoffmann, al momento dell'incontro col Manfred il suo genio, emotivo e fantastico, reagì
pronto.
La vicenda in breve, per l'ascolto dell'Ouverture (che, sia chiaro, non racconta né illustra, ma
esprime, come dirò, un esasperato carattere umano e una tonalità poetica). Il giovane
Manfred vive in un castello solitario delle Alpi, sulle cui cime nevose egli si aggira, torturato
da un rimorso. A lui né la filosofia, né la scienza, né le dottrine occulte hanno dato conforto.
Al suo «Voglio dimenticare!» gli spettri che Manfred evoca non sanno dare risposta. Deciso a
precipitarsi in un abisso, Manfred è miracolosamente salvato da un buon uomo, un
"Cacciatore di camosci". Nella capanna del Cacciatore Manfred dice la sua colpa,
oscuramente parlando di un amore consanguineo e di sangue versato (un incesto? uno
stupro? un delitto?). Lo stesso enigma egli ripete alla Maga delle Alpi, apparsa dalla luce
dell'arcobaleno. Le frenetiche allucinazioni spingono Manfred giù nell'ultima oscurità
dell'anima - nella reggia di Arimane, il potente dio del male, e lì Manfred chiama dai morti la
sua vittima, la fanciulla sacrificata, Astarte («Mi amavi troppo, così io te. [...] Anche se
estremo peccato era l'amore che amavamo»). Il pallido spettro non lo condanna, non lo
perdona, gli permette di morire: «il tuo strazio in terra cesserà domani». Nel suo castello
Manfred respinge le devote parole di un Abate, ma vince, romantico Prometeo, anche le
seduzioni del suo Genio maligno (il suicidio?): «Tu su me nulla puoi, questo lo sento. [...]
Ciò che ho fatto, l'ho fatto; dentro porto un tormento che con i tuoi non cresce.» All'Abate
che gli stringe la mano fredda, dice: «Vecchio, non è difficile morire!», e muore, libero.
Byron non aveva destinato il suo poema al teatro. Invece Schumann lo ripensò per la scena e
nel 1848 compose le musiche per lo spettacolo, tentando così una "prova" di opera - del
genere musicale che in quei decenni tutti i musicisti tedeschi, i massimi e i minori, cercavano
di attirare nell'area del grande sinfonismo (e proprio in quel giro di anni Wagner sciolse la
difficoltà). Dalla serie di soliloqui, incubi, apparizioni, invettive che è il testo letterario di
Byron, egli scrisse, con la musica, un monodramma romantico, fantastico e spettrale, che non
è un'opera, perché Schumann fu fin troppo rispettoso dei versi e perché il protagonista non è
creato col canto; ma è quanto di più vicino egli abbia creato al tipo di dramma in musica, per
la forza crescente del pathos, che ha un'ascesa di natura teatrale-drammatica (superiore in
questo anche alla sua vera "opera" Genoveva), per l'intensità emotiva della scena centrale (il
sublime lirismo dell'apparizione di Astarte, in pochi minuti di musica), infine per la severità
della catarsi finale, che manca nell'originale di Byron e fu inventata da Schumann.
Delle troppo rare esecuzioni di queste musiche di scena forse è causa proprio questa mirabile
Ouverture, che ne concentra tutto lo spirito, senza anticiparne motivi. Come ho detto, la
musica ardente e dolorosa non è descrittiva, non è un racconto dei fatti, è il ritratto sonoro di
un carattere, della sua mente e della psiche. "Il ritratto" in musica era un genere di moda, e se
ne composero molti (Mendelssohn, Berlioz, Wagner, Liszt, e su fino a Strauss e oltre), ma
pochi hanno la vigorosa efficacia di questo. La sua natura speciale sta nell'invenzione di temi
ossessivamente "circolari" e affannosi (l'Ouverture al Coriolano di Beethoven ci sembra
molto vicina), e nella dinamica dei contrasti, di motivi soprattutto, ma anche di ritmi e di
colori, spinti uno contro l'altro con eccezionale ardimento costruttivo. Si additano di solito
due temi principali, intitolandoli ai due protagonisti, Manfred e Astarte. Nulla giustifica
questa interpretazione nelle musiche di scena (indipendentemente dalle quali Schumann ha
concepito l'Ouverture), - interpretazione che anche confonde l'ascolto. In realtà questa
musica esprime le angosce e i terrori di uno spirito colpevole, tormentato, coraggioso, e lo
accompagna fino all'ultimo respiro (la calma meravigliosa delle ultime battute). Quasi tutta la
musica sinfonica di Schumann è "sana", talora anche troppo: solo nel romantico Manfred
arde la febbre mortale che in pochi anni avrebbe annientato anche l'artista.
Franco Serpa
Sinfonia n. 4 in re minore
per orchestra in due versioni
https://www.youtube.com/watch?v=6BUfw90HgQk
https://www.youtube.com/watch?v=yunhjIVTG_U
https://www.youtube.com/watch?v=DYyLRSc8hww
https://www.youtube.com/watch?v=AvngOEWwbVM
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: prima versione Lipsia 9 settembre 1841; seconda versione Düsseldorf: 19
dicembre 1851
Prima esecuzione: prima versione Lipsia, Gewandhaus Saal, 6 dicembre 1841; seconda
versione Düsseldorf, Neues Theater, 30 dicembre 1852
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1853
La Sinfonia in re minore di Schumann fu composta durante l'estate del 1841, in quattro giorni
del mese di settembre sull'abbrivo dell'impetuoso slancio creativo che aveva indotto il
trentunenne musicista a scrivere di getto in gennaio, in soli tre giorni, la Prima Sinfonia in si
bemolle maggiore op. 38, in febbraio la Sinfonietta in mi maggiore (che, riveduta nel 1845,
avrebbe assunto il nome di Ouverture, Scherzo e Finale), e in seguito un abbozzo di una
sinfonia in do minore, il cui materiale tematico fu trasferito poi ai Bunte Blätter op. 99 per
pianoforte, nonché la Fantasia in la minore per piano e orchestra (che sarebbe poi confluita
nel Piano-Concerto op. 54). A differenza della Prima Sinfonia, applauditissima il 31 marzo
1841 a Lipsia, nell'esecuzione diretta da Mendelssohn, l'accoglienza tributata alla Sinfonia in
re minore il 6 dicembre dello stesso anno, pure al GEWandhaus di Lipsia, sotto la bacchetta
di Ferdinand David, fu assai poco calorosa, inducendo l'autore alla «consapevolezza che le
opere scritte con tanta precipitazione abbisognavano di rielaborazioni, specie
nell'orchestrazione», secondo una lettera alla moglie Clara. Fu così che tale lavoro venne
dato alle stampe soltanto nel 1853 a Düsseldorf come Quarta Sinfonia e col numero d'opus
120, mentre nel frattempo erano state composte nel 1845 una Sinfonia in do maggiore
(denominata Seconda, col numero d'opus 61) e nel 1851 un Sinfonia in mi bemolle maggiore
(cioè la Terza, «Renana» op. 97), entrambe pubblicate senza ulteriori ripensamenti. In realtà
la revisione cui Schumann sottopose la Sinfonia in re minore si limitò ad una limatura di
certe parti strumentali, specie di fiati, non interferendo affato nella struttura originaria della
composizione, la cui singolarità non risiede tanto nell'apparente, rapsodico andamento
esteriore - a proposito del quale l'autore era stato a lungo incerto se chiamare il lavoro
«Sinfonia» o «Symphonische Phantasie» (Fantasia sinfonica) o «Introduzione, Allegro,
Romanza, Scherzo e Finale in un solo tempo» - quanto nell'esemplare organicità dello
schema, un esito senza precedenti per Schumann, che pure è stato il teorico della soggettiva
liberazione di emozioni e sentimenti in nome della romanticissima esaltazione
dell'espressione artistica. Il materiale tematico della Sinfonia in re minore, nei quattro
movimenti che si succedono senza soluzione di continuità, deriva da tre motivi presenti nella
lenta introdutione, costituito il primo dalla melodia iniziale, rappresentato il secondo dal
successivo disegno in semicrome dei violini, raffigurato il terzo dagli accordi ritmati dei
legni. Dal punto di vista lessicale, Schumann elabora, nei vari episodi della Quarta, tale
materiale motivico in modo da sintonizzarlo con l'espressione dei più svariati e contrapposti
stati emozionali, trascorrendo dall'inquietudine, intrisa di atmosfere demoniache, dell'Allegro
alla struggente e nostalgica effusione della Romanza, all'incalzante vitalità dello Scherzo, al
clima idilliaco del Trio ed alla trascinante baldanza del Finale: il tutto comunque secondo
coordinate di intensificazione espressiva proprie della Romantik.
L'autentica novità della Sinfonia in re minore è però di carattere strutturale, inerendo ai nessi
instaurati all'interno dei movimenti stessi, per l'intervento dell'autore sul linguaggio in
funzione di un'unitarietà fondamentale, prospettata secondo concezioni del tutto originali. Lo
schema unitario della Quarta cioè non si estrinseca soltanto in una semplice sutura tra i vari
tempi, come in parte già era stato realizzato da Beethoven, da Mendelssohn o da Berlioz, ma
risulta predeterminato dall'impiego «di un materiale tematico derivante da un'unica cellula e
con l'adozione di una tonalità cioè il re, maggiore o minore, sostanzialmente immutata, salvo
l'inizio della Romanza e del Trio», come ha osservato il Young, il quale poi precisa che
«nelle prime battute dell'Introduzione, Schumann ha collocato il nucleo generatore della
Sinfonia, facendo derivare dal disegno degli archi sulla quarta corda il tema principale del
primo movimento, il soggetto secondario del secondo tempo e, nello Scherzo, il tema del
Trio; dal suo rovescio, discende il primo soggetto del secondo movimento, oltre al tema dello
Scherzo; da una nota puntata viene dedotto un disegno - presente pure nell'Introduzione - di
note puntate, da cui dipendono il soggetto secondario del primo movimento e il tema
principale del Finale». Anche altri motivi e frammenti melodici, che si affacciano
successivamente nel corso della Sinfonia in re minore, appaiono sempre interrelati
reciprocamente, entro il rigido schema concettuale preordinato dall'autore, che spesso appare
intenzionato ad allontanarsi dalla forma della sinfonia tradizionale, per esempio con
l'omettere, nel primo movimento, la ripresa, contemplata invece nell'ultimo tempo, quando
però non ricompare il tema principale. Tale proposito sembra però contraddetto dal fatto che
Schumann ha mantenuto, seppur formalmente, la suddivisione in quattro parti della sinfonia -
con i due movimenti estremi elaborati secondo la forma sonata e al centro un tempo lento ed
un tempo veloce - quasi volesse rispettare un retaggio, seppure esteriore, della sinfonia
convenzionale, nel momento stesso in cui ne innovava la struttura dall'interno, secondo il
principio dell'unità tematica. Al riguardo sembra però opportuno anche ricordare che il
Werner ha invece osservato «con quale precarietà, rispetto alle sue asserzioni, l'autore ha
legato tra loro i movimenti della Quarta, perché il secondo tempo si riallaccia al primo, di per
sé già concluso, soltanto in ossequio a un dato schema teorico programmato, mentre il terzo è
legato al secondo grazie all'artificio della sospensione alla dominante, il quarto infine al terzo
soltanto in virtù di una Coda, dall'evidente forzatura». Altra questione assai interessante è
quella dell'orchestrazione perché alcuni critici ebbero ad obiettare un'eccessiva presenza di
«raddoppi», lamentando quindi una certa «povertà» di strumentazione: e della Quarta furono
realizzate, specie sul finire del secolo scorso e all'inizio del Novecento, varie versioni
rivedute. L'opinione corrente al giorno d'oggi è invece di segno contrario: normalmente viene
eseguita la stesura dell'autore, nella fondata convinzione che l'orchestrazione di Schumann
rappresenti precisamente il suono cui egli pensava.
Gli studi più recenti infine ribadiscono la tesi che il sinfonismo schumanniano è una delle
chiavi di volta della creatività orchestrale del XIX secolo, per le influenze suscitate sulle
generazioni successive di compositori, da Franck a Bruckner a Mahler ecc., tutti stimolati
dall'anelito di Robert Schumann a rappresentare il mondo dei sentimenti in una forma
fantastica e dall'inesausta sua lotta per il rinnovamento della musica.
Lugi Bellingardi
L'intera Sinfonia n. 2 si basa sullo sviluppo di due brevi frammenti tematici presentati
nell'Introduzione (il primo da fiati, archi e timpani, il secondo dai violini primi). Il primo
frammento tematico riapparirà leggermente variato nella Romanze e nel Trio dello Scherzo;
il secondo costituisce, di fatto, sia ilprimo che il secondo soggetto del Lebhaft che segue
l'Introduzione (prima in re minore, poi nel relativo maggiore, fa), e proprio dal suo sviluppo
viene derivato il ritmo di marcia del finale (nella revisione del 1851 l'interrelazione tematica
di questo passaggio sarà spinta ancor più a fondo).Tranne che per l'inizio della Romanze e
per il Trio dello Scherzo, il centro tonale è sempre basato sul re (alternando maggiore e
minore). Si può notare in questa, che senza dubbio è l'opera più importante di Schumann in
campo sinfonico, un'influenza del Beethoven della Quinta Sinfonia (si osservi in particolare
la transizione, Langsam, fra lo Scherzo e il finale).
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Sebbene sia stata scritta nello Stesso anno della Prima, la Quarta Sinfonia ebbe, rispetto a
quella, una genesi più lunga e tormentala, tanto che, dopo il suo completamento tra il maggio
e il settembre 1841 e una prima esecuzione il 6 dicembre dello stesso anno, salutata da scarso
successo, Schumann decise di chiuderla momentaneamente in un cassetto. Solo dieci anni
più lardi, nel 1851, egli vorrà ritoccarne la struttura e soprattutto l'orchestrazione, dando a
essa la sua veste definitiva; cosicché, questa, che cronologicamente è la seconda sinfonia di
Schumann, è stata catalogata come Quarta Sinfonia. Opera impostata sull'uso trasversale del
materiale tematico che ritorna ciclicamente nei diversi movimenti, la Quarta vede tra i suoi
rifacimenti postumi del 1851 il tentativo dell'autore di collegare con continuità i quattro
tempi in un unico flusso continuo. Lo stesso titolo di «fantasia sinfonica», pensato
inizialmente da Schumann, sembra suggerirci il tentativo di sperimentare una nuova
costruzione formale, tentativo che tuttavia non porta a un superamento della struttura
sinfonica tradizionale a cui, nonostante diverse anomalie, l'opera resta ancora
soslanzialmente legata.
Nell'introduzione del primo movimento un lento profilo melodico si snoda sopra un cupo
pedale staccato dall'orchestra, evocando un senso di guardinga attesa; il tempo quindi si
stringe e in poche battute si giunge al serrato profilo iniziale dell'Allegro, una sorta di
leitmotiv, di motore ritmico dell'intero primo movimento (lo ritroveremo anche nel quarto)
che, seppure con alcune differenze, partecipa anche alla formazione del secondo tema. Anche
nello Sviluppo il primo tema continua a essere il filo conduttore, anche se qui, luttavia,
Schumann arricchisce l'iniziale povertà di materiale tematico aggiungendo due nuovi
elementi: il primo di tipo ritmico-accordale, il secondo di carattere più melodico. Buona parie
dello Sviluppo fin qui ascollalo viene quindi ripetuto con uno spostamento di tonalità. Questa
ricapitolazione del materiale tematico viene ritenuta sufficiente da Schumann, che rinuncia a
una Ripresa tradizionale, puntando direttamente al finale con ulteriori citazioni del materiale
dell'Esposizione, con la rielaborazione del tema melodico nato nello Sviluppo e la stretta
conclusiva.
La Romanza si apre con un accordo iniziale dei fiati che introduce il mesto incedere di oboe
e violoncelli, sopra uno scarno accompagnamento orchestrale; a sorpresa torna quindi il tema
introduttivo del primo movimento, riproposto integralmente in una diversa tonalità.
Successivamente, la cupa aura iniziale si dissolve in un ampio e disteso episodio in modo
maggiore, nel quale il violino solista traccia un lungo profilo terzinato che ricorda sonorità
proprie del concerto. Come un triste memento torna quindi il tema iniziale per la coda
conclusiva.
Vigoroso e passionale è invece il tema dello Scherzo, che evolve stemperando gradualmente
il proprio impeto, per poi tornare al piglio iniziale grazie ai ritornelli. Nettamente
contrastante è invece l'episodio centrale (Trio): un elegiaco tessuto armonico dell'orchestra di
sapore quasi impressionistico (ante litteram), attraversato da una linea continua dei violini
che riprende il profilo terzinato ascoltalt nella Romanza. Le due sezioni, Scherzo e Trio,
vengono quindi riproposte senza ritornello, mentre uno statico episodio di collegamento
porta al quarto movimento.
L'introduzione del finale inizia con un vibrante tappeto armonico da cui emergono lontani
ricordi del primo movimento, per poi giungere a un accordo sospensivo di dominante. Ecco
dunque il primo tema, formato da ritmati stacchi accordali dell'orchestra, al quale si
contrappone l'aggraziata e accattivante melodia del secondo tema. Dopo una breve
successione di accordi tesi e vibranti, lo Sviluppo si dispiega nella sommessa reiterazione di
un frammento ritmico del primo tema, che culmina in uno stentoreo intervento dei corni. Il
motivo della transizione, interrotto a singhiozzo da stacchi accordali, preannuncia quindi
l'arrivo della Ripresa, che propone il solo secondo tema trasportato nella tonalità principale,
mentre gli stacchi accordali di inizio Sviluppo preparano l'ascoltatore all'episodio conclusivo,
completato dalla rapidissima stretta finale.
L'inizio di quella svolta compositiva che con la Prima Sinfonia avrebbe aperto la strada
all'entusiasmo creativo dell'"anno sinfonico", il 1841 (due Sinfonie compiute, una terza
abbozzata, oltre alla "Sinfonietta" Ouverture, Scherzo e Finale e alla Fantasia per pianoforte
e orchestra in La minore, che sarebbe più tardi diventata il primo movimento del Concerto
per pianoforte), avviene in Schumann sotto un duplice impulso, nel segno di un
allontanamento tanto dal modello dell'ultimo Beethoven quanto dalle "divine lunghezze" di
Schubert. Da un lato vi è la volontà di perseguire una concezione unitaria del processo
sinfonico per via essenzialmente monotematica, con un procedimento ciclico nel quale le
trasformazioni di una figura fondamentale, quasi motto della composizione, si generano l'una
dall'altra, senza contrapporsi; dall'altro lato agisce il desiderio di sperimentare una sintassi
poetico-musicale di segno simbolico, contemperando aneliti e slanci in una fioritura
estemporanea di divagazioni fantastiche dal timbro accesamente romantico ma tendenti
all'eloquenza della musica assoluta. La Prima Sinfonia è da questo punto di vista esemplare:
il supporto programmatico previsto all'origine (una poesia "romantica" dedicata alla
primavera) venne abbandonato allorché i riferimenti extramusicali si chiarirono in elementi
compositivi: quel che rimase da ultimo fu la disposizione ciclica adombrata dal programma,
affilata nella logica formale e materializzata nella traduzione sonora.
La genesi della Sinfonia in Re minore fu assai più problematica, tanto da abbracciare di fatto
l'intero periplo dello Schumann sinfonista. Iniziata il 30 maggio 1841, fu portata a
compimento il 9 ottobre dello stesso anno ed eseguita per la prima volta il 6 dicembre 1841
al Gewandhaus di Lipsia: non sotto la direzione del titolare Mendelssohn, che dell'amico
aveva già presentato il 31 marzo con grande successo la Prima, bensì del Konzertmeister
David. Essa ottenne consensi assai modesti: anche perché oscurata - e la cosa non deve
sorprenderci troppo considerando la moda del tempo - da una esibizione a due pianoforti,
avvenuta la stessa sera, di Franz Liszt e Clara Schumann, impegnati a suonare l'Exameron-
Duo (una serie di variazioni virtuosistiche su un tema di Bellini composte da sei allora
celebri pianisti parigini). Schumann ritirò la partitura, già pronta per la stampa, mettendola da
parte. In seguito nacquero e furono pubblicate la Sinfonia n. 2 in Do maggiore op. 61 (1846)
e la Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 97 detta "Renana" (febbraio 1851). Fu a questo
punto, nel corso del 1851, che la partitura della Sinfonia in Re minore venne ripresa in mano
e rielaborata. In questa nuova veste venne presentata al Festival del Basso Reno di
Düsseldorf nel 1853 e, stampata subito dopo a Lipsia, divenne la Quarta Sinfonia con il
numero d'opera 120. Fu in pratica l'ultimo grande successo di pubblico ottenuto in vita da
Schumann come direttore d'orchestra e compositore.
Delle quattro, la Sinfonia in Re minore è senza dubbio la più sperimentale e ai nostri occhi
moderna.
Sul frontespizio della partitura Schumann indicò che il lavoro consisteva di Introduzione,
Allegro, Romanza, Scherzo e Finale "in un solo movimento"; al tempo della revisione, in
parte correggendosi, pensò di introdurre il titolo "Fantasia sinfonica", che gli sembrava più
adatto a un'opera tutta contesta di legami tematici tra un movimento e l'altro e senza
interruzione fra gli stessi: un po' come aveva fatto Mendelssohn nella sua Sinfonia n. 3
"Scozzese" (1842). Per il resto la revisione si appuntò soprattutto sulla strumentazione,
rinvigorendola e, secondo alcuni, appesantendola. Le presunte inefficienze e debolezze di
Schumann come orchestratore furono denunciate dalla critica già lui vivente (e non solo dalla
critica: l'ammiratore Brahms ne condivideva molte riserve, e Mahler ritenne addirittura
necessario intervenire sull'orchestrazione); oggi ci paiono non soltanto tratti idiomatici del
linguaggio schumanniano ma anche una conquista che avrebbe lasciato un'impronta: nella
Quarta, soprattutto nella concezione della prima versione originale.
L'intero primo movimento si basa sullo sviluppo di una frase tematica esposta
nell'Introduzione (Moderatamente lento) da violini secondi, viole e fagotti su un pedale
sospeso di dominante e poi estesa a tutta l'orchestra con densità polifonica. E' una frase
aperta e distesa, che procede per gradi congiunti con pensosa gravità, impennandosi poi nei
primi violini in un inciso più mosso, che attraverso uno "stringendo" conduce direttamente al
tempo Vivace: è questo inciso (quartine di semicrome alternativamente staccate e legate) a
costituire il materiale tematico di tutto il movimento. Più che di un tema nel senso classico, si
tratta di una figura aperta, slanciata e piena di energia, resa ancora più dinamica dalle sincopi
e suscettibile di continue, minute variazioni. Essa occupa tutta l'esposizione.
Nello sviluppo, che presenta accenni di trattamento fugato, le viene contrapposta una linea
melodica di marcata contabilità e dolcezza, che attenua ma non interrompe la foga di una
corsa che sembra, nel suo anelito, non doversi fermare mai.
E la corsa riprende, ancora più fremente, nello Scherzo, squassata dalle ondate degli archi su
interiezioni "sforzate" dei fiati. Anche qui il legame tematico con il primo movimento è
evidente: Schumann lavora circolarmente su un materiale monotematico, mostrandocene le
metamorfosi e trasformandone il carattere timbrico e ritmico.
Nel Trio ritorna la figura arabescata della Romanza, ora però integrata nella nuova scrittura
orchestrale e armonica (da Re minore a Si bemolle maggiore). Si ripete lo Scherzo, poi
nuovamente il Trio. A questo punto, quando ci si aspetterebbe la definitiva ripresa dello
Scherzo secondo la consueta formula A - B - A - B - A, ecco la sorpresa…
L'analogia con il passo corrispondente del Finale della Quinta Sinfonia di Beethoven non può
sfuggire. Non vi è però più niente di eroico e di fatale in questo rispecchiamento formale: la
luce che squarcia di colpo le nebbie di un paesaggio ossianico, che è anche un paesaggio-
simbolo dell'anima romantica, non scandisce il battere di un destino, addita una meta lontana,
all'infinito.
Sergio Sablich
Guidato da questi due diversi e contrastanti modelli, Robert Schumann percorse tuttavia una
strada profondamente originale. Le sue sinfonie rivelano la lotta per conciliare una fantasia
illimitata e un'immaginazione febbrile con le esigenze formali e costruttive imposte da forme
complesse e grandiose. Sull'onda di un'inesauribile ispirazione romantica Schumann
trasforma in immagini musicali ogni minimo dettato della sensibilità, ma
contemporaneamente una volontà di dominio sulla materia lo spinge a superare il
romanticismo come espressione immediata e istintiva dell'"io". Di conseguenza affiorano in
continuazione nuovi motivi e il percorso prende direzioni imprevedibili, ma, come
contrappeso a questi elementi potenzialmente dispersivi e disgregatori, Schumann si sforza di
rinsaldare con originali soluzioni formali le sue sinfonie, particolarmente con la riapparizione
ciclica d'un unico tema nei vari movimenti. Senza queste opere affascinanti, specchio degli
ideali contraddittori ma generosi del più intimamente e genuinamente romantico dei
musicisti, la storia della sinfonia sarebbe stata molto più povera.
Come già accennato la Sinfonia in re minore fu composta nella primavera-estate del 1841 e
fu eseguita a Lipsia il 6 dicembre di quell'anno con esito insoddisfacente. Fu poi ampiamente
rimaneggiata nel 1851 ed eseguita in questa forma definitiva a Düsseldorf il 3 marzo 1853
con vivo successo (nel frattempo Schumann aveva scritto altre due sinfonie e questo spiega
perché questa, composta in realtà per seconda, sia stata catalogata come quarta). Il titolo di
Fantasia sinfonica datole inizialmente rivela chiaramente l'intenzione di Schumann di andare
oltre la forma sinfonica tradizionale, perché non soltanto i vari movimenti si saldano l'uno
all'altro senza interruzione ma i temi principali ritornano lungo tutta la partitura.
L'intera sinfonia si basa sui due brevi temi presentati nell'Introduzione (Ziemlich langsam):
quello esposto nelle primissime battute da violini secondi, viole e fagotti, che riapparirà nella
Romanze e nello Scherzo, e quello esposto più avanti dai violini primi, che conduce con uno
stringendo all'Allegro (Lebhaft), a cui fornisce sia il primo soggetto (in re minore) che il
secondo (in fa maggiore).
A questo primo movimento volitivo, ardito e dinamico (ma la sua trionfale conclusione in
maggiore è bruscamente interrotta da un accordo di re minore) fa da contrasto la delicata e
intima Romanze, che si apre con un'espressiva melodia dell'oboe e dei violoncelli e prosegue
con il ritorno del tema dell'Introduzione, una cui trasformazione (un ricamo di terzine del
violino solo) costituisce la parte centrale di questo movimento. Anche lo Scherzo,
traboccante di slancio e d'energia, a tratti volutamente rude, è interamente compenetrato da
questo stesso tema: appare in canone nella prima parte e fornisce la delicata ed emozionante
melodia del Trio centrale. Una nuova introduzione lenta (Langsam) costituisce un momento
d'intensa e poetica riflessione su quanto si è appena ascoltato e su quanto si sta per ascoltare:
un misterioso corale affidato agli ottoni riprende il tema del primo movimento, che è anche il
tema principale del finale. Alla fine del Lebhaft, in luogo della consueta ricapitolazione,
Schumann conclude la sinfonia con un'improvvisa accelerazione e con una nuova idea piena
di slancio e d'eroismo.
Mauro Mariani
Gli anni 1840-1841 costituiscono una tappa fondamentale nell'evoluzione della creatività
schumanniana: se il primo vide l'erompere di una autentica fiumana di Lieder, quale per
abbondanza e livello artistico non s'era più data dai tempi di Schubert, il secondo fu l'anno
dell'orchestra. Trenta giorni, tra gennaio e febbraio, bastarono alla stesura della Sinfonia n. 1
(la celebre Sinfonia della Primavera); seguirono l'Ouverture, Scherzo e Finale e il primo
movimento del Concerto in la minore per pianoforte e orchestra; in settembre vedeva infine
la luce un altro lavoro sinfonico, in re minore, che come «Seconda Sinfonia» ebbe la prima
esecuzione il 6 dicembre al Gewandhaus di Lipsia, sotto la bacchetta non eccelsa di
Ferdinand David. Il successo fu scarso: il tono severo dell'opera, cosi lontano dalla gaia
comunicativa della Frühlings-symphonie, spiacque a molti. Schumann ritirò allora la
partitura e, fedele al monito oraziano («nonum prematur in annum...»), la ripose nel cassetto
per un decennio. Nel dicembre 1851 il vecchio manoscritto venne ripreso, e la
strumentazione sottoposta a una profonda revisione, specie nella sezione dei fiati; sedici mesi
più tardi, il 3 marzo 1853, la Sinfonia, ormai numerata come quarta, veniva tenuta a
battesimo nella nuova veste a Düsseldorf, con lo stesso autore sul podio, ed è divenuta
giustamente celebre in questa seconda versione, anche se non sono mancati in Germania
sporadici tentativi di riproporre la prima.
Il primo movimento è preceduto da una solenne introduzione dove, sul sordo pulsare del
timpano (Brahms amplificherà questa idea nella Prima Sinfonia), archi e legni espongono
una linea melodica da cui deriverà poi, per diminuzione dei valori, il complesso tematico del
successivo Lebhaft (vivace), che attacca impetuoso dopo un incalzante accelerando. Non si
tratta di un tempo di sonata: nella prima sezione, malgrado il tradizionale ritornello, il
muscoloso tema principale domina incontrastato, con scattante energia, appena temperato da
accenti più concilianti nei legni. La sezione centrale è introdotta da un perentorio mi bemolle
all'unisono di archi e ottoni, e conduce a un drammatico climax cui risponde il vero e proprio
secondo tema, cantato dai primi violini e dai legni su delicati arpeggi dei secondi violini; poi
tutto l'episodio viene ripetuto in una variante simmetrica e su gradi armonici diversi. La terza
sezione, più che una ripresa, presenta una nuova elaborazione dei materiali tematici già
ascoltati, e culmina in una trionfale apoteosi del secondo tema, seguito da una trascinante
coda. La successiva Romanza è basata su un mesto tema in la minore, affidato al timbro
malinconico dell'oboe rafforzato da una parte dei violoncelli; la strumentazione, altrove
massiccia e scura (sono noti i problemi di Schumann su questo delicato terreno), è qui assai
suggestiva. Un particolare curioso è rappresentato dalla chitarra, che Schumann aveva
originariamente inserito in questo brano, e che poi tolse dalla versione definitiva,
giudicandolo evidentemente un esperimento timbrico poco riuscito (e il pensiero corre alla
seconda Nachtmusik della Sinfonia n. 7 di Mahler, prima opera ad accogliere nell'orchestra
sinfonica il timbro prezioso e penetrante dello strumento, che avrebbe trovato qui un illustre
precessore). Al tema d'apertura fa seguito la ripetizione della introduzione al primo
movimento, preludio alla parte centrale, dominata da un rigoglioso assolo del primo violino,
che si snoda con un moto di terzine su una fitta tessitura degli archi e dei corni. Il vigoroso
Scherzo è ispirato ai grandi modelli beethoveniani; nel trio viene riproposto l'episodio
centrale della romanza, modificato nella pulsazione ritmica (moto di sestine invece che di
terzine). Dopo la ripetizione dello Scherzo, la conclusione del brano segna uno dei vertici di
tutta la composizione: ritorna dapprima la melodia del trio, che si frantuma progressivamente
e ristagna alla fine in un Poco ritenuto dei legni e degli archi più gravi; poi, su un tremolo dei
secondi violini e delle viole, i primi violini ripropongono il tema del primo movimento,
mentre i tromboni intonano un corale di bruckneriana solennità; l'atmosfera si anima sempre
più, con interventi delle trombe e dei corni, sino alla travolgente stretta di cinque battute che
sfocia nel movimento finale. Qui vari elementi del primo movimento vengono sottoposti a un
interessante lavoro di trasformazione e compressione, generando un nuovo organismo
tematico potente e incisivo, cui si contrappone, nella forma ma non nello spirito, un
indimenticabile secondo tema: felicissima pittura sonora, se vogliamo, di quei due aspetti
della propria personalità che Schumann aveva idealizzato nelle figure di Florestano e
Eusebio. L'appassionato fervore del brano si accresce ancor più nella coda, che cambia due
volte tempo e conclude la Sinfonia in un'atmosfera di febbrile esaltazione.
Maurizio Giani
128 1851
Ouvertüre in fa minore
per il "Julius Caesar" di William Shakespeare
https://www.youtube.com/watch?v=3D0sifH7XiE
https://www.youtube.com/watch?v=J7o1a-1D_WU
https://www.youtube.com/watch?v=teAmTfehNSE
Organico: ottavino, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso
tuba, timpani, archi
Composizionne: Düsseldorf, 23 gennaio - 2 febbraio 1851
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 3 agosto 1852
Edizione: Litolff, Braunschweig, 1855
136 1851
Ouvertüre in si minore
per "Hermann und Dorothea" di Wolfgang von Goethe - (col tema della Marseillaise)
https://www.youtube.com/watch?v=IQQYoq4kXyg
https://www.youtube.com/watch?v=R48xKFfAGeA
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, tamburo, archi
Composizione: Düsseldorf, 19 - 23 dicembre 1851
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 3 agosto 1852
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia, 1857
Dedica: «seiner lieben Clara»
Il poema idillico Hermann und Dorothea fu scritto da Wolfgang Goethe fra il 1796 e il 1797.
Realizzato in esametri e articolato in nove canti - ciascuno dei quali intitolato ad una delle
nove Muse - Hermann und Dorothea è ispirato ad un fatto realmente avvenuto nel 1732 - la
fuga dei protestanti da Salisburgo - trasportato però al 1795, dunque in epoca contemporanea
e rivoluzionaria. In un paese di frontiera le popolazioni tedesche, abitanti al di là del Reno,
fuggono incalzate dall'esercito francese. Fra i profughi è la giovane Dorothea, che riceve
presto le attenzioni di Hermann, figlio di un ricco locandiere. E così sullo sfondo
dell'ambientazione borghese e delle vicende belliche, a cui si aggiunge una problematica
sociale, si sviluppa l'amore fra i due giovani che è il vero oggetto del poema, ed assurge a
valore supremo e atemporale.
Non stupisce che Hermann und Dorothea - prediletto da Goethe ancora nei suoi ultimi anni -
abbia attirato l'attenzione di Robert Schumann; nel poema dell'amatissimo Goethe Schumann
poteva trovare una vasta gamma di tematiche a lui del tutto congeniali. Di qui l'idea
addirittura di un progetto teatrale, che avesse come librettista Julius Hammer; progetto che
poi non andò in porto, e di cui l'ouverture rimane quale unica testimonianza. E tuttavia,
nell'accostarsi alla fonte letteraria, Schumann non poteva non adattarla alla sua sensibilità e
rielaborarla profondamente. Piuttosto che l'epoca sanguinaria e violenta dell'antifrancese
Goethe, Schumann vedeva nella rivoluzione francese l'affermazione di ideali di libertà e
irredentismo; quegli stessi ideali che lo avevano spinto a scrivere le Quattro marce per l'anno
1849 (appunto in quell'anno la rivoluzione di Dresda vide Wagner e Bakunin sulle barricate -
mentre Schumann per la verità era riparato in campagna).
Due anni più tardi, nel 1851, nasce l'Ouverture op. 136. E la data vale da sola ad indicare
nella partitura una delle ultimissime prove sinfoniche di Schumann, successiva a tutte le
sinfonie e affiancata ad alcune altre ouvertures più o meno contemporanee (Die Braut von
Messina, Julius Cäsar, pure del 1851; e l'ouverture alle Scene dal "Faust" di Goethe, del
1853). In queste composizioni Schumann si rifà all'idea beethoveniana dell'ouverture come
brano che riassuma il contenuto poetico dell'opera teatrale, senza necessariamente avere con
essa legami tematici. E dunque possiamo considerare Hermann und Dorothea come una
pagina in sé perfettamente compiuta.
Sotto il profilo formale l'ouverture è in forma sonata, quindi bitematica e tripartita. Fin
dall'inizio si impone una netta contrapposizione fra due frammenti che compongono il primo
gruppo tematico; il motivo sinuoso esposto dagli archi gravi e quello di marcia esposto dai
legni. Un dualismo che corrisponde alla contrapposizione fra l'elemento amoroso e quello
bellico; ma il primo non allude più al tenero idillio di Goethe bensì ad una passione sofferta,
mentre il secondo si rivela ben presto una parafrasi del tema della "Marsigliese", dunque
assume un diretto riferimento allo sfondo storico. Appunto fra questi due poli si muove la
partitura - in cui si impone anche un secondo tema più lirico -, con una finezza di
strumentazione, una complessità nell'elaborazione tematica, una sicurezza di conduzione che
fanno della pagina uno degli approdi più felici e maturi del compositore al linguaggio
sinfonico.
Arrigo Quattrocchi
54 1841 - 1845
https://www.youtube.com/watch?v=7mIVPdss3i8
https://www.youtube.com/watch?v=XrYAQkYaLnw
https://www.youtube.com/watch?v=0kxPj2sBqpM
https://www.youtube.com/watch?v=Ynky7qoPnUU
https://www.youtube.com/watch?v=NCeTl85p-WU
https://www.youtube.com/watch?v=Vqvi3pXTN9c
https://www.youtube.com/watch?v=26e_6oi7JQw
https://www.youtube.com/watch?v=A4nv9GayNFw
https://www.youtube.com/watch?v=EquQHFmnZOE
https://www.youtube.com/watch?v=pQiqmhi1-LU
Allegro affettuoso (la minore). Andante espressivo (la bemolle maggiore). Allegro (la
minore)
Intermezzo. Andantino grazioso (fa maggiore)
Allegro vivace (la maggiore)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: I movimento: Lipsia, 20 maggio - giugno 1841; II e III movimento: 1845
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 1 gennaio 1846
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846
Dedica: Ferdinand Hiller
Il periodo creativo del Concerto in la minore op. 54 di Schumann si colloca tra il 1841 e il
1845, uno dei meno drammatici e tormentati della vita del musicista, che aveva potuto
sposare Clara Wieck, pianista di notevole talento e preziosa collaboratrice del genio del
marito. Nel 1841 Schumann scrisse l'Allegro per pianoforte e orchestra con il titolo di
Fantasia, che sarebbe diventato poco dopo il primo tempo dell'op. 54; successivamente il
compositore, su consiglio della stessa Clara entusiasta della freschezza tematica della
Fantasia, aggiunse un Intermezzo e un Finale, completando il più romantico dei concerti
pianistici di tutta la letteratura musicale. Schumann informò Mendelssohn del lavoro
compiuto con una lettera del 18 novembre 1845 da Dresda che diceva: «Il mio Concerto in la
minore si divide in allegro affettuoso, andantino e rondò. I due ultimi brani vanno eseguiti
senza interruzione; forse lei potrebbe indicarlo nel programma di sala».
Il concerto, dedicato a Hiller, venne presentato per la prima volta a Lipsia nel gennaio 1846
nella interpretazione di Clara Schumann e sotto la direzione d'orchestra di Mendelssohn;
quindi fu lo stesso Schumann a dirigerlo a Vienna e a Praga, suscitando maggiori consensi tra
il pubblico che non nei critici. Questi ultimi infatti non mancarono di sottolineare lo scarso
virtuosismo pianistico presente nel lavoro, contrariamente alla moda concertistica del tempo,
sottomessa al cosiddetto gusto decorativo della tastiera. Naturalmente questo giudizio
puramente formale si è modificato con il passare degli anni e tutti ormai sono concordi nel
considerare il Concerto in la minore tra le espressioni più autentiche della personalità
schumanniana per la qualità e la varietà dell'invenzione musicale. Il primo tempo (Allegro
affettuoso) è costruito su due temi: il primo affidato ai legni dopo tre battute di scale
discendenti del solista e il secondo indicato dai violini, accompagnati dagli accordi arpeggiati
del pianoforte. Dallo sviluppo della seconda frase si arriva ad una versione in tono maggiore
del primo tema, espressa dal solista e poi ad una nuova variante dello stesso soggetto con le
sonorità dei clarinetti; anche l'oboe fa sentire la sua voce, utilizzando frammenti del materiale
tematico usato in precedenza e riproposto ancora dal pianista. Di qui si diparte una nuova,
melodia avviata dal solista e immersa in un clima psicologico di straordinaria intensità nel
dialogo con il clarinetto, per poi sfociare in un esaltante e turbinoso sviluppo, culminante in
un'assorta e fantasiosa cadenza di succosa densità armonica scritta dallo stesso Schumann,
che si dissolve in una coda di vivace e appassionata musicalità.
Il secondo tempo (Andantino grazioso) è un Lied molto cantabile, nella cui parte centrale i
violoncelli svolgono un tema ampio e ricco di affettuosa sentimentalità, ripreso dai clarinetto
e dalle viole e continuamente interrotto dai pungenti interventi del pianista. E' un momento di
raccoglimento intimistico, non privo di risonanze beethoveniane. Di straordinario effetto
armonico-timbrico è il passaggio all'ultimo tempo (Allegro vivace) con il tema in la
maggiore introdotto dal pianoforte, con il secondo tema in mi maggiore spiegato dagli archi e
il terzo inciso affidato all'oboe. Il finale irrompe trionfalmente tra brillanti e splendenti
sonorità a tutta orchestra, sfocianti in una stretta di vorticosa forza propulsiva, un tipico
Schwung (slancio) dell'anima schumanniana, inebriata di amore e di gioia per tutto ciò che di
più nobile e generoso esiste nella vita.
ìì
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
"Quanto al concerto, ti ho già detto che si tratta di un qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e
grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un concerto da 'virtuoso' e che devo
mirare a qualcos'altro". Questo brano di una lettera del 1839 a Clara Wieck testimonia quali
fossero le intenzioni del compositore nei riguardi di un'idea (un "grande" concerto per
pianoforte e orchestra) che già da qualche tempo lo attraeva. Pur giunto alla sua piena
maturità, dopo prove sensazionali nel trattamento del pianoforte, Schumann esitò a lungo
prima di dare corso al suo progetto; tanto che per scrivere quello che sarebbe diventato uno
dei più celebri concerti di tutto l'Ottocento gli sarebbero occorsi ben cinque anni: dal 1841,
cui risale il primo movimento, al 1845, per il secondo e il terzo.
Il Concerto in la minore è una delle opere più dense di Schumann, il tentativo più ardito di
fondere in una singola composizione tutte le suggestioni e le ansie espressive che lo
assillavano di fronte a una creazione di vaste proporzioni, costretta a confrontarsi con la
tradizione classica. Più che proseguire quella tradizione, però, si avverte la volontà di
superarla e di trascenderla, in una immaginazione che non si impone limiti ben definiti. La
caratteristica di 'unicum' che il Concerto riveste nella letteratura del suo genere è
programmatica, e deriva in gran parte proprio da questo accavallarsi di intenzioni che ne
permea la struttura e ne esaspera le tensioni, quasi evitando la risoluzione formale. E d'altro
canto recensendo nel 1839 il Concerto op. 40 di Mendelssohn sulla "Neue Zeitschrift für
Musik" Schumann aveva scritto: "Dobbiamo aspettare di buon grado il genio che ci mostri in
modo brillante come si possa unire l'orchestra al pianoforte", sottintendendo qualcosa di
diverso dai modelli della tradizione. Lo avrebbe dimostrato lui stesso. La scrittura pianistica
del Concerto, per esempio, che in un virtuosismo ad alta definizione amplifica le possibilità
tecniche ed espressive già inventate e utilizzate prima, tende ad accentrare su di sé il peso del
dialogo con l'orchestra, e se mai a distenderlo per converso in rarefatti equilibri, nello spirito
di una feconda, reciproca libertà. D'altra parte, tutto il Concerto è anche dominato da un
calore che ci rimanda allo stile dello Schumann più estroverso, in un impeto appassionato che
si dispone, in sbalzi vertiginosi di umori, su una vasta gamma di gradazioni e che non è certo
alieno da svagati ripiegamenti e da sospensioni poetiche.
Il primo movimento, Allegro affettuoso, si apre, dopo la strappata di tutta l'orchestra, con una
scrosciante cascata di accordi del pianoforte solo, un gesto imperioso che sembra volere
concentrare su di sé il carico di una brillante presentazione. Ma non è sulla via del
contrappunto tra pianoforte e orchestra che si svilupperà il percorso del Concerto. Anche sul
piano formale il secondo tema deriva dal primo e ne è per così dire uno svolgimento
governato dalla dialettica fra modo minore e relativo maggiore. Questo monotematismo
latente impedisce una vera e propria sezione centrale di sviluppo basata sul contrasto, e tende
invece a configurare, in un gioco di mutamenti e di scambi fra solista e orchestra, un
processo di elaborazione simile a quello delle variazioni. Nel bel mezzo di questo processo
s'inserisce una sorta di 'intermezzo' in tempo Andante espressivo e nella tonalità di la bemolle
maggiore, nel quale si innesta il dialogo fra pianoforte e orchestra, particolarmente con i due
flauti e il clarinetto; generalmente il pianoforte accompagna l'arco melodico con arpeggi,
secondo una tecnica che conferisce all'insieme una continua mutevolezza di armonie e di
colori. Bruscamente le ottave del solista riportano al tempo e alla tonalità iniziali, cui
seguono la ripresa (Più animato, passionato), una estesa cadenza interamente scritta, e una
coda (Allegro molto) nuovamente basata sull'idea primaria. L'Intermezzo, Andantino
grazioso in fa maggiore, è avvolto in un'atmosfera di delicata intimità, in cui il pianoforte si
sprofonda dialogando sommessamente con l'orchestra. Quando dai violoncelli si innalza un
canto spiegato che a poco a poco si propaga a tutta l'orchestra, il pianoforte da solo si sottrae
a questa nuova idea tematica, quasi proseguendo a parte un suo corso di pensieri. Ed è
proprio il pianoforte che conduce, attraverso un passaggio di straordinaria successione
armonica e timbrica, all'ultimo tempo, Allegro vivace, che presenta un materiale tematico
affine a quello del primo. Qui viene però presentato un secondo soggetto distinto, e una
grande varietà ritmica lo contraddistingue nei suoi sviluppi. Ancora audaci figure del
pianoforte concludono il Concerto, che nella coda finale può ora slanciarsi liberamente a
toccare traguardi schiettamente virtuosistici, assecondato dall'orchestra.
Il Concerto fu eseguito per la prima volta da Clara Wieck a Dresda il 4 dicembre 1845 sotto
la direzione di Ferdinand Hiller.
Sergio Sablich
Solo pochi anni prima dei difficili momenti in cui aveva composto questa musica tormentata
e allucinata, Schumann aveva attraversato un periodo d'euforica felicità creativa: all'inizio del
1841 aveva composto con grande facilità e rapidità la sua prima sinfonia, diretta con
successo da Mendelssohn al Gewandhaus di Lipsia il 31 marzo, quindi si era messo
immediatamente al lavoro a una "sinfonietta" (completata l'8 maggio e pubblicata poi come
Ouverture, Scherzo e Finale op. 52) e a una Fantasia in la minore per pianoforte e orchestra
(completata in poco più d'una settimana, il 20 maggio), iniziando infine una seconda
sinfonia, portata a termine il 9 settembre. Alcuni anni dopo, questi ultimi due lavori,
ampiamente rielaborati, divennero il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54
e la Sinfonia n. 4 in la minore op. 120.
Fu nel giugno 1845 che Schumann decise di trasformare la Fantasia del 1841 in un regolare
concerto in tre movimenti, componendo dapprima il finale e poi l'intermezzo centrale; il
lavoro fu completato il 16 luglio ed eseguito l'1 gennaio 1846 da sua moglie Clara a Lipsia.
Sviluppando e completando la Fantasia del 1841, Schumann realizzava l'idea romantica di
scrivere una musica che superasse i limiti e le distinzioni tra le forme tradizionali: "qualcosa
a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata", come scriveva a Clara già nel 1839. In effetti
il Concerto in la minore è lontanissimo dalla concezione classica, ignora le funzioni
architettoniche dello sviluppo tematico e dell'armonia e non conserva traccia del rapporto
dialettico tra solista e orchestra dei concerti beethoveniani (e rifiuta anche le esibizioni
viruosistiche inseparabili dal concerto ottocentesco) ma è sostanzialmente un pezzo
pianistico, con un accompagnamento orchestrale trasparente e leggero che riprende qua e là
le melodie cantabili del pianoforte. Ma non hanno senso le critiche alla scarsa individuazione
dei rispettivi ruoli del pianoforte e dell'orchestra, perché questo Concerto si basa proprio
sull'armonica collaborazione tra il solista e l'organismo sinfonico e gran parte del suo fascino
sta proprio nel felice colloquio che s'instaura tra loro.
Mauro Mariani
86 1849
https://www.youtube.com/watch?v=T0akcmkYkso
https://www.youtube.com/watch?v=1dsQAac4rWA
Organico: 4 corni solisti, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni ad libitum, 2
trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Dresda, 18 febbraio - 11 marzo 1849
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 25 febbraio 1850
Edizione: Schubert, Lipsia, 1851
In realtà c'è un altro motivo che può aver spinto Schumann a scrivere un brano per quattro
corni: la crescente diffusione e popolarità del corno a pistoni; il corno "naturale" o corno "a
mano", strumento che era usato per i richiami delle battute di caccia e che era poi assurto nel
Settecento a livello "colto", non era infatti in grado di dominare l'intera gamma cromatica;
note aggiuntive erano possibili inserendo la mano nello strumento, o aggiungendo dei
"ritorti". L'invenzione del corno a pistoni, avvenuta in Germania nel 1815, rese possibile
invece una piena copertura della scala cromatica, circostanza che spiega la fortuna del nuovo
strumento, anche se il vecchio strumento continuò ad essere utilizzato per il suo suono
peculiare. È appunto a questo nuovo modello che è legata l'idea romantica del corno, come
strumento capace di evocare atmosfere notturne, naturalistiche e misteriche.
Ed è certamente a questa idea del corno che si richiamò Schumann nel suo pezzo, che si
prospetta come un brano dalle forti allusioni letterarie, articolato nei tre movimenti canonici
di un Concerto. Il tempo iniziale, Lebhaft (Vivo), segue la forma sonata, con un primo tema
brillante e squillante e un secondo più introspettivo; ma notevole è soprattutto la
contrapposizione fra l'orchestra e il quartetto di corni, nonché il rapporto di inseguimento fra
le varie voci dei quattro solisti. Nella Romanza centrale, Ziemlich langsam, dock nicht
schleppend (Piuttosto lentamente, ma senza trascinare), si individuano due sezioni liriche,
animate dalle imitazioni dei corni, che incorniciano una sezione centrale poco più accesa ma
resa densa dalla compattezza dei solisti. Un richiamo delle trombe introduce direttamente al
finale, Sehr lebhaft (Molto vivo), anch'esso in forma sonata ma interamente percorso da un
materiale tematico di brillante fanfara; numerosi, soprattutto nello sviluppo e nella coda, i
passaggi che impegnano cromaticamente i solisti, a dimostrare le potenzialità del corno a
pistoni e la bravura dei virtuosi dedicatari.
Arrigo Quattrocchi
92 1849
https://www.youtube.com/watch?v=pLI2vj6s4Zk
https://www.youtube.com/watch?v=SgzUzTMRgaA
https://www.youtube.com/watch?v=6BkwQCvw_-I
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: Dresda, 18 - 28 settembre 1849
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 14 gennaio 1850
Edizione: Whistling, Lipsia, 1851
Tali caratteristiche del mondo creativo schumanniano e del suo inconfondibile stile
pianistico, che fece scuola soprattutto nei paesi tedeschi, si ritrovano nell'Introduzione e
Allegro appassionato in sol maggiore op. 92 per pianoforte e orchestra, scritta nel 1849 ed
eseguita per la prima volta a Lipsia nel 1850 nell'interpretazione di Clara Schumann, alla
quale è dedicata. Secondo le cronache del tempo, il Konzertstück, come Schumann
inizialmente lo chiamò, ebbe accoglienze piuttosto fredde da parte della critica, in quanto non
si discostava molto dall'atmosfera e dai procedimenti espressivi del Concerto in la minore per
pianoforte e orchestra, indubbiamente il momento più alto e più felice della genialità
dell'artista sassone, anche qui embleticamente raffigurato nella doppia personalità di Eusebio
e Florestano. Del resto nemmeno nel terzo dei tre lavori per pianoforte e orchestra composto
da Schumann, cioè nell'Introduzione e Allegro da concerto in do maggiore op. 134, si
ripeterà il perfetto equilibrio inventivo dell'op. 54, anche per il progressivo deteriorarsi delle
facoltà mentali del compositore (siamo nel 1853), già irreparabilmente minate dal male che
lo avrebbe ucciso nella clinica di Eridenich.
L'op. 92 si apre con un lento cantabile di pungente effetto sonoro, realizzato fra gli accordi
dolci e pastosi del pianista e le armonie dei fiati. Si passa quindi direttamente all'Allegro di
tono vigoroso e marcato in mi minore, cui risponde un tema vivace in do maggiore,
accennato dal pianoforte e ampliato dall'orchestra, molto somigliante alla frase del primo
movimento del Concerto in la minore. La scrittura orchestrale è però meno interessante e
originale di quella dell'op. 54 e vi si riscontrano numerose interiezioni all'unisono e sequenze
in note punteggiate che soltanto gli scorrevoli e fluenti interventi dello strumento solista
riescono ad alleggerire in un clima di delicata poesia romantica. Spigliata e brillante nel fitto
gioco delle terzine è la coda dell'Introduzione e Allegro appassionato (il brano dura
complessivamente 16 minuti e dieci secondi), che sotto certi aspetti vuole essere una
continuazione del Concerto in la minore.
129 1850
https://www.youtube.com/watch?v=bVFn7Hvxxos
https://www.youtube.com/watch?v=rYBPUs8TkJw
https://www.youtube.com/watch?v=utYtBqX_I1E
La composizione del Concerto per violoncello e orchestra coincide con il periodo di tempo in
cui Schumann assunse, su proposta di Killer, il posto di direttore dei concerti e della società
corale di Düsseldorf con un emolumento annuo di 700 talleri. Furono quasi quattro anni - dal
1° settembre del 1850 sino alla stagione 1854-'55, quando dovette cedere il posto a Julius
Tausch (1827-1895) - di intensa e febbrile attività non solo dal punto di vista creativo, ma
anche per quanto riguardava il lavoro direttoriale e organizzativo, teso ad accrescere il
prestigio e la fama di questa antica istituzione musicale tedesca. Fu a Düsseldorf che egli
scrisse fra l'altro, la Sinfonia in mi bemolle maggiore detta "Renana", le ouvertures della
Fidanzata di Messina, del Giulio Cesare e di Ermanno e Dorotea, i tre Phantasiestücke per
pianoforte op. 111, la Messa per coro a 4 voci e orchestra op. 147 e il Requiem op. 148:
lavori questi due ultimi di notevole impegno artistico, anche se non inseriti nella produzione
più popolare del musicista.
Non si può dire che Schumann come direttore d'orchestra raccogliesse i più entusiastici
consensi da parte del Comitato dei concerti della città, che lo considerava un musicista
troppo riservato, chiuso in se stesso e lontano da ogni virtuosismo della bacchetta, una
qualità questa che anche in passato ha avuto un peso determinante nella quotazione degli
interpreti. In tal modo si stabilì un rapporto di particolare tensione e di profonda
incomprensione tra l'artista e il Comitato, tanto che ad un certo momento Schumann fu
invitato a lasciare il posto che, era scritto nella lettera di licenziamento, «reggeva con
mediocre rendimento». Soltanto l'affettuoso interessamento di amici e l'intervento di alcune
autorità cittadine, che conoscevano il valore e la forte personalità del compositore, determinò
una soluzione di compromesso, con la proposta di far dirigere a Schumann esclusivamente le
proprie musiche e di lasciare le maggiori responsabilità dell'incarico al maestro sostituto
Tausch. Una situazione abbastanza umiliante per il musicista che ne risentì nel suo sistema
nervoso, già indebolito dal superlavoro intellettuale e dai fenomeni morbosi e psichici che lo
fiaccavano ogni giorno di più. Infatti in questo periodo ricompaiono in forma preoccupante e
allarmante la depressione, l'angoscia, l'apatia, accompagnati a volte da eccessi di misticismo,
da allucinazioni auditive persistenti e di straordinaria vivacità e da ossessiva fiducia nei
fenomeni e nelle sedute di spiritismo.
Ma di questo sconvolgimento intellettuale non c'è ancora alcuna traccia nel Concerto per
violoncello e orchestra, che Schumann cominciò a scrivere il 10 ottobre 1850; la bozza fu
pronta in sei giorni e l'intera orchestrazione fu completata dopo altri otto giorni. Sembra che
il musicista tenesse molto a questo lavoro, tanto che, secondo una testimonianza della stessa
moglie Clara, egli fece delle correzioni a tale composizione qualche anno più tardi, quando
già soffriva in maniera acuta dei disturbi mentali che lo avrebbero portato alla follia e alla
morte a soli 46 anni. Più che di un concerto per violoncello e orchestra si può dire che si tratti
di un concerto per violoncello con accompagnamento di orchestra, in quanto lo strumento
solista assurge a ruolo di protagonista e afferma le sue prerogative in modo preponderante su
un'orchestra dalle sonorità plasticamente morbide e soffuse di delicata malinconia, che si
ritroveranno poi anche in Brahms, il più fedele continuatore del sinfonismo schumanniano.
Durante i primi mesi del 1850 Robert Schumann è a Dresda; sin da aprile riceve lo stipendio
da Düsseldorf per il posto che assumerà però ufficialmente soltanto in settembre. A ottobre è
a Düsseldorf dove, nel giro di una sola settimana, compone il suo Concerto per violoncello
op. 129; questa meravigliosa pagina (un «pezzo sereno», come afferma lo stesso Schumann
in una lettera a Breitkopf & Hàrtel del 3 novembre 1853) non fa trasparire le condizioni
mentali di Schumann, che di lì a poco sarebbero precipitate irrimediabilmente. Assorbito dal
suo incarico di direttore musicale a Düsseldorf e totalmente immerso nella composizione
della Sinfonia Renana, Schumann non trova un solista all'altezza del suo concerto e
cominciano a sorgere in lui alcuni dubbi sul reale valore dell'opera, che viene rivista in alcuni
punti. Solo nel novembre del 1852 l'autore scrive al suo editore comunicandogli che il
Concerto è pronto per essere dato alle stampe, cosa che avverrà solo nel febbraio del 1854. Il
27 dello stesso mese Schumann tenterà di suicidarsi gettandosi nel Reno. La prima
esecuzione pubblica di cui si abbia notizia avverrà, postuma, il 9 giugno del 1860 nel corso
delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della sua nascita.
Il Concerto si articola nei canonici tre movimenti; il primo, Nicht zu schnell (Non troppo
allegro), viene introdotto da un delicato "sipario" di quattro battute affidato alle armonie dei
legni e al "pizzicato" degli archi: la voce del violoncello, calda e intensa, espone poi il primo
tema in la minore, appassionato e romantico, come l'anima musicale del miglior Schumann.
L'orchestra, che aveva mancato il tradizionale "tutti" introduttivo, si lancia ora in una
transizione che porta a do maggiore, tonalità nella quale appare il secondo tema del
violoncello, brillante e solare. Il discorso musicale viene condotto essenzialmente dal solista:
l'orchestra si limita ad accompagnare, a sottolineare, a riprendere gli spunti motivici che
nascono dalle sue corde. La sezione di sviluppo si basa su un nervoso motivo in terzine di
crome, che circola in orchestra, mentre il solista prosegue il suo canto appassionato, fatto di
rimembranze del primo tema e di slanci melodici ascendenti. L'ultima sezione dello sviluppo,
che porta alla ripresa del tema principale, è costituita da un dialogo fra solista e orchestra
basato su un energico spunto motivico discendente. Alla ripresa del tema principale fa
seguito la transizione orchestrale, che conduce ora a la maggiore, tonalità nella quale riappare
il secondo tema.
Manca la tradizionale cadenza del solista e allora, senza soluzione di continuità, si sfocia nel
secondo movimento, Langsam (Adagio), in fa maggiore, una delle pagine più struggenti e
romantiche dell'intera produzione schumanniana. Protagonista assoluto è il violoncello
solista, il cui canto intenso viene delicatamente sostenuto dall'orchestra; verso la fine i fiati
alludono al tema principale del primo movimento che subito riaccende la passione focosa nel
violoncello che, in un breve passaggio solistico, porta direttamente all'ultimo movimento,
Sehr lebhaft (Molto vivace). L'energia e la vitalità di questa pagina si manifestano subito fin
dal tema principale, costituito dalla doppia ripetizione di due secchi accordi orchestrali
seguiti da un guizzo melodico ascendente del violoncello. L'episodio che segue è condotto
dal violoncello in agili e virtuosistiche figurazioni che richiamano il guizzo del primo tema,
la cui figura ritmica si trasforma in vari modi, assumendo infine un aspetto più lirico con
l'approdo al secondo tema. La sezione di sviluppo è lineare e scorrevole, regolare la ripresa
che culmina in una cadenza del solista ampia e articolata, alla quale non mance il sostegno
ritmico dell'orchestra, cosa che sconcertò non poco i primi esecutori scontenti per
l'anticonvenzionalità delle cadenza che appariva probabilmente a loro occhi poco
"gratificante". La breve coda conclusiva, Schneller, riprende per l'ultima volta lo spunto
motivico iniziale del tema principale.
Alessandro De Bei
Ma se la «Terza Sinfonia» passò con facilità l'esame del «critico» Schumann, lo stesso non
avvenne per il «Concerto per violoncello e orchestra» che venne più volte corretto e
modificato e viene pubblicato soltanto nell'agosto del 1854 come op. 129; non si sa neppure
se l'opera abbia mai avuto una esecuzione pubblica durante la vita del compositore.
In contrasto con il concerto classico i movimenti di questa pagina si seguono senza soluzione
di continuità secondo un piano strutturale già elaborato da Mendelsshon nei «Concerti» per
pianoforte in sol minore e re minore e praticato dallo stesso Schumann nella «Sinfonia in re
minore». Si tratta insomma del tentativo di superare uno schema compositivo del passato in
nome di una maggiore libertà espressiva, romantico non meno dell'irruzione immediata in
primo piano dello strumento solista con la soppressione rispetto allo schema consolidato
dell'esposizione tematica dell'orchestra. Dove però più affiorano i tratti peculiari di
Schumann con maggior limpidezza è nel rifiuto totale di ogni trattamento virtuosistico della
scrittura violoncellistica. «Sembra quasi che il tormento del compositore — citiamo un breve
scritto di Giorgio Pestelli — quello di puntare i piedi contro la piena inventiva delle opere
della prima giovinezza, di inquadrare nella forma il dono dell'invenzione sentito ora quasi
con colpa, abbia voluto creare alla calda e fluente voce del violoncello un'antagonista
nell'orchestra; questa è infatti trattata con tutta la dignità sinfonica in modo da disturbare più
che accompagnare la voce del solista. Ma d'altra parte in questo avvolgente, fitto e difficile
discorso sta una delle maggiori attrattive di quest'opera unica nella letteratura concertistica».
131 1853
https://www.youtube.com/watch?v=WSTKMBMGbaw
https://www.youtube.com/watch?v=AkydR55LtOU
https://www.youtube.com/watch?v=kmZ2q71zik4
https://www.youtube.com/watch?v=S4Skavbab4A
134 1853
https://www.youtube.com/watch?v=tIWJ6dPL9zo
https://www.youtube.com/watch?v=VExJUJOmeWk
https://www.youtube.com/watch?v=ssAB1GqLAd4
L'«Allegro da Concerto» per pianoforte e orchestra, op. 134 venne composto nel 1853,
quando l'autore stava per essere vittima di una nuova gravissima crisi, dopo quelle sopportate
nel 1833 e nel 1845, che consigliò il suo ricovero nella casa di salute del dottor Richarz a
Endenich. Anche questa partitura è dedicata alla moglie Clara, e venne accolta con successo
nell'ultimo viaggio d'arte compiuto dai coniugi a Utrecht, la Haye, Rotterdam e Amsterdam.
La composizione comprende un'Introduzione di non eccessive proporzioni, sottolineata dal
«pizzicato» dell'orchestra, con la pronta risposta dello strumento solista. Si giunge quindi ad
un colloquio tra il pianoforte e la massa orchestrale, quest'ultima presente con accordi
piuttosto nutriti. Segue l'Allegro brillante che assume la tipica forma di un primo tempo di
concerto, animata da due temi, egualmente importanti, drammatico il primo, cantabile il
secondo. La composizione presenta difficoltà virtuosistiche notevoli, che trovano conferma
nella cadenza ove il solista è attivamente impegnato.
1853
https://www.youtube.com/watch?v=HuPJK9toIk4
https://www.youtube.com/watch?v=EiYYsRH_hD0
https://www.youtube.com/watch?v=cQHLSreWmJI
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Composizione: Düsseldorf, 21 settembre - 3 ottobre 1853
Prima esecuzione: Berlino, Alte Philharmonie Saal, 26 novembre 1937
Edizione: Schott, Magonza, 1937
Dedica: Joseph Joachim
Fu lo stesso Schumann ad annotare nel suo diario in data 21 settembre 1853 di aver iniziato a
comporre «un pezzo per violino» (ein Stück für Violine), e di averlo finito il 3 ottobre dello
stesso anno probabilmente pensando al violinista Joseph Joachim, ritenuto una vera autorità
nel suo campo. Era il periodo in cui il musicista aveva assunto, dopo il ritiro di Killer, il
posto di direttore dei concerti e della società corale di Düsseldorf con un emolumento annuo
di 700 talleri. Furono quasi quattro anni - dal 1° settembre del 1850 sino alla stagione
1854-'55, quando dovette cedere il posto a Julius Tausch (1827-1895) - di intensa e febbrile
attività non solo dal punto di vista creativo, ma anche per quanto riguardava il lavoro
direttoriale e organizzativo, teso ad accrescere il prestigio di questa antica istituzione
musicale tedesca. Infatti a Düsseldorf egli scrisse, fra l'altro, la Sinfonia in mi bemolle
maggiore detta "Renana", le ouvertures della Fidanzata di Messina di Schiller, del Giulio
Cesare di Shakespeare, dell'Ermanno e Dorotea di Goethe, il Concerto in la minore per
violoncello e orchestra op. 129, i tre Phantasiestücke per pianoforte op. 111; la Messa per
soli, coro a 4 voci e orchestra op. 147 e il Requiem per soli, coro e orchestra op. 148: lavori
questi ultimi due di notevole impegno, anche se considerati con una certa riserva per alcune
disuguaglianze stilistiche dalla critica e dalla musicologia più aggiornata.
Non si può dire che Schumann come direttore di orchestra raccogliesse i più larghi consensi
del Comitato dei concerti della città, che lo considerava un musicista troppo intimo, riservato
e lontano da ogni virtuosismo della bacchetta, una dote questa che anche in passato ha avuto
un peso determinante nella quotazione degli interpreti. In tal modo si stabilì un clima di
particolare tensione e di profonda incomprensione tra l'artista e il Comitato, tanto che ad un
certo momento Schumann fu invitato a lasciare il posto che, era scritto nella lettera di
licenziamento, «reggeva con mediocre rendimento». Soltanto l'intervento di amici e di alcune
autorità cittadine che conoscevano il valore e la forte personalità del musicista determinò una
soluzione di compromesso, con la proposta di far dirigere a Schumann esclusivamente la
propria musica e di lasciare le maggiori responsabilità dell'incarico al sostituto Tausch. Una
situazione abbastanza umiliante per il musicista che ne risentì nel suo sistema nervoso, già
indebolito dal superlavoro intellettuale e dai fenomeni morbosi che lo fiaccavano ogni anno
di più. Infatti in questo periodo ricompaiono in forma preoccupante la depressione,
l'angoscia, l'apatia, accompagnati a volte da eccessi di misticismo, da allucinazioni auditive
di straordinaria vivacità e da una ossessiva credenza nelle sedute e nelle esperienze spiritiche.
Certamente il Concerto per violino e orchestra in re minore non risente in maniera evidente
di questa crisi psichica del compositore e fu elaborato in uno dei rari momenti lucidi della
sua mente, prima che i disturbi mentali diventassero gravi e lo portassero alla follia e alla
morte. Anzi Schumann si mostrò abbastanza soddisfatto di questo lavoro e pensò che
Joachim lo avrebbe suonato quanto prima in uno dei suoi recitals europei; il violinista invece
definì questa composizione troppo carica di languore e non ne fece nulla, tanto che il
Concerto venne messo da parte e cadde nella dimenticanza. Ottant'anni dopo Georg
Schünemann, direttore della sezione musicale della biblioteca di Stato prussiana, ritrovò
questa pagina schumanniana tra i manoscritti lasciati da Joachim e la confrontò con la
riduzione pianistica fatta dallo stesso Schumann. Da questo confronto nacque l'edizione che
venne eseguita a Berlino il 26 novembre 1937 con il celebre Georg Kulenkampff nella parte
del solista e abitualmente inserita nelle stagioni sinfoniche.
Ennio Melchiorre
Il 21 settembre del 1853 Schumann annota brevemente nello Haushaltbuch (Libro delle
spese): «Iniziato pezzo per violino». Il primo ottobre aggiunge: «Il concerto per violino è
ultimato. Brahms in visita. La sera inaugurazione insieme del nuovo pianoforte». Due giorni
dopo viene completata anche la strumentazione. Clara lo legge subito al pianoforte e lo trova
magnifico. Sono quelli forse gli ultimi giorni felici per Schumann: il giovane ma già celebre
violinista Joachim è loro ospite durante il mese di settembre, l'amico Brahms, allora
ventenne, giunge da Amburgo il 30 settembre e suona per loro alcune sue nuove
composizioni. Vengono eseguiti anche pezzi di Robert e di Clara, si trascorrono delle ore
liete che trovano eco nell'ultimo scritto di Schumann per la Neue Zeitschrift für Musik: Neue
Bahnen (Vie nuove) con il quale Schumann presenta Brahms al mondo musicale.
Il Concerto per violino, come la Fantasia per violino e orchestra op. 131, fu composto su
sollecitazione di Joachim, allievo di un altro amico di Schumann, Ferdinand David,
dedicatario della Seconda sonata per violino del 1851. Joachim era stato invitato nella
primavera di quell'anno a Düsseldorf da Schumann in occasione del Niederrheinisches
Musikfest dove aveva raccolto un successo strepitoso nel Concerto per violino di Beethoven.
Per ottantaquattro anni il Concerto per violino rimane inedito ed, eccezion fatta per qualche
studioso, praticamente sconosciuto. Dopo la morte di Robert, nella cerchia di Clara, cioè
fondamentalmente Joachim e Brahms, si ha un mutamento radicale di giudizio nei confronti
del Concerto. Joachim in una lettera a Clara accenna a delle imperfezioni della scrittura
violinistica, Clara risponde che a suo avviso vi sono delle pecche nell'ultimo movimento e
giunge a suggerire a Joachim di scrivere lui un nuovo Finale. Probabilmente Clara rimase
disorientata dal terzo movimento, un brano sereno e brillante in ritmo di polacca, che
contrasta con gli altri due movimenti dal tono severo e talvolta cupo. Inoltre il Concerto per
violino, già nell'impianto generale, non corrispondeva affatto alle tendenze del concerto
romantico di quegli anni, ne di quello virtuosistico, ne del nascente concerto sinfonico. Infine
la critica musicale, in particolare quella influenzata dalla scuola dei «Nuovi tedeschi», si era
espressa con giudizi poco lusinghieri nei confronti delle ultime composizioni di Schumann.
Liszt, ad esempio, osserva che Schumann non sarebbe a suo agio con le grandi forme e che il
suo genio si esprimerebbe al meglio nei brevi pezzi strumentali e nel Lied. Questo insieme di
motivi, unito al timore mai espresso pubblicamente di una qualche relazione tra la malattia
del marito e le sue ultime creazioni, fa sì che al momento dell'edizione dell'Opera omnia di
Robert, delle sue opere violinistiche vengono pubblicate le due Sonate op. 105 e op. 121 e la
Fantasia per violino e orchestra op. 131, ma viene escluso il Concerto. Anni dopo Joachim, in
una lettera del 5 agosto del 1898 al suo futuro biografo Andreas Moser, spiega diffusamente
quali siano secondo lui le debolezze del Concerto e, in particolare, rileva che esso è un'opera
discontinua, alternando momenti di grande felicità d'ispirazione dove s'impongono idee
musicali piene di slancio e immediatezza, ad altri nei quali il materiale musicale s'irrigidisce,
rischia di diventare monotono, oppure contorto e arzigogolato. In effetti Joachim, come
Clara, risulta troppo condizionato dall'esperienza delle composizioni giovanili di Schumann,
ignorando quel «nuovo modo di comporre» di cui Robert parla riferendosi alle sue musiche
scritte dopo il 1845, quel ricercare quelle «nuove vie» che il compositore vide cosi bene
incarnate nel giovane Brahms. Le fonti manoscritte del Concerto pervennero un po' alla volta
tutte in mano di Joachim. Dopo la sua morte nel 1907 tutto il suo lascito viene venduto dal
figlio alla Preußische Staatsbibliothek di Berlino. Qui il Concerto per violino rimane
dimenticato per altri trent'anni, finché, grazie all'iniziativa e all'ostinazione di una nipote di
Joachim, viene pubblicato dall'editore Schott di Magonza nel luglio del 1937 e conosce la
prima esecuzione il 27 novembre di quell'anno al teatro dell'opera di Berlino (violinista
Georg Kulenkampff, direttore Karl Böhm).
Sono motivazioni politiche quelle che segnano la prima fortuna di quest'opera in Germania.
La propaganda nazista tiene a presentare il Concerto come il capolavoro romantico, l'anello
mancante della catena che univa il Concerto per violino di Beethoven a quello di Brahms,
dopo che quello dell'«ebreo» Mendelssohn era stato cancellato dal repertorio. Per fortuna il
Concerto di Schumann viene eseguito negli stessi anni anche da Yehudi Menuhin il quale lo
fa conoscere in tutta Europa e negli Stati Uniti.
Tuttavia anche per la critica del dopoguerra il Concerto per violino rimane un'opera
controversa, e solo in questi ultimi anni, con lo studio e la diffusione anche delle altre
composizioni del tardo Schumann, il Concerto ha trovato un numero sempre più ampio di
estimatori.
La struttura generale del Concerto per violino è affine a quella del Concerto per pianoforte
op. 54 (1841-1845) e ancora di più a quella del Concerto per violoncello op. 129 (1850):
simili sono le relazioni tonali fra i tre movimenti, simile il passaggio dal movimento lento al
finale che avviene senza soluzione di continuità, comune la presenza di reminiscenze o
citazioni tematiche da un movimento all'altro, o ancora il fatto che anche qui diversi temi nei
tre movimenti si basano sulla stessa costellazione intervallare costituendo così una sorta di
filo interno, di legame invisibile tra i movimenti medesimi.
Caratteristica peculiare di questo Concerto è invece il mutare nei tre movimenti del rapporto
tra solista e orchestra. Mentre nel primo movimento il violino e l'orchestra sono sempre
contrapposti, con un procedere a blocchi, nel secondo movimento, ma ancor più nel terzo,
prevale un concertare dialogico che giunge a momenti di integrazione sinfonica.
Lo Sviluppo, diviso in tre parti e affidato quasi interamente al solista, si caratterizza innanzi
tutto per il fatto che armonicamente rimane fondamentalmente ancorato alla tonalità della
tonica (sia pure nella variante minore - maggiore) indebolendo quell'architettura della forma
sonata basata sulla dialettica dei piani tonali e generando cosi un certo senso di monotonia
armonica. Il violino propone dapprima un'elaborazione del primo tema, trasformando
l'attacco del tema in figurazioni di terzine; quindi presenta una versione del secondo tema per
la prima volta (e unica in questo movimento) in dialogo concertante con il clarinetto, i primi
violini e l'oboe. Nella terza parte dello Sviluppo il solista, su un disegno pressoché ostinato
derivato dal secondo tema compie, su un lungo pedale di dominante, il ritorno alla tonica e
alla Ripresa. Questa, avviata dal violino viene poi continuata dall'orchestra. Va notato che
quasi tutta la Ripresa (esclusa la coda) è una riproposizione quasi letterale dell'Esposizione
(senza ovviamente le duplicazioni della doppia Esposizione). Così si succedono il primo e il
secondo tema da parte del solista e quindi ancora il tema principale all'orchestra con funzione
di refrain.
La coda consta di due parti: la prima presenta una breve melodia derivata dal secondo tema,
nella seconda risuona ancora una volta l'attacco del tema principale all'orchestra sul quale il
violino tesse dei virtuoslstici passaggi di doppie note che conducono il brano alla
conclusione.
Il secondo movimento, Langsam (Adagio), in forma tripartita (ABA') presenta innanzi tutto
la singolarità di avere la ripresa della prima parte (A') non nella tonalità della tonica (si
bemolle maggiore) ma nella tonalità della relativa minore (sol minore). La prima parte (A) si
articola su due temi. I violoncelli espongono un tema in ritmo sincopato con funzione
introduttìva e, su questo, s'innesta il tema principale del solista, una lunga melodia cantabile,
dapprima dolce, intima e molto espressiva che si espande in volute sempre più ampie per poi
tornare a raccogliersi. I violoncelli continuano ancora per alcune battute con il loro tema che
diventa una sorta di controcanto al violino, creando un gioco polifonico che cede poi a un
accompagnamento più discreto. La melodia del violino nella parte conclusiva assume parte
dell'idea melodica dei violoncelli che così viene integrata nel tema del solista. Un breve
intervento degli archi, basato sull'attacco del tema del solista, introduce la sezione centrale
(B). Questa è di nuovo preminentemente affidata al violino, che riespone variandolo il tema
dei violoncelli; esso viene ripreso subito dopo dai primi violini mentre il solista introduce
una nuova idea melodica che si dispiega attraverso una sequenza di progressioni. La Ripresa
della prima parte (A') riparte col tema introduttivo sempre ai violoncelli, segue il violino con
il tema principale, il quale si discosta leggermente dalla corrispondente prima enunciazione
in particolare per quel che riguarda il percorso tonale. Nella parte conclusiva del movimento
ritorna il tema introduttivo ai violoncelli, sostenuto dal tremolo degli archi, mentre il violino
disegna degli arpeggi sempre più incalzanti, con un progressivo accelerando che sfocia
direttamente nel Finale.
Il terzo movimento, Lebhaft, doch nicht schnell (Allegro, ma non troppo), è un rondò-sonata,
ovvero combina la forma sonata con i caratteri tematici e la tecnica del ritornello del rondò. Il
ritmo puntato e il carattere gagliardo della polacca risulta particolarmente evidente nel tema-
ritornello. È il violino a esporre all'inizio del movimento il primo tema, scandito
ritmicamente anche dall'accompagnamento orchestrale. Subito dopo una variante dello stesso
tema viene ripresentata dal tutti e, in questa seconda versione, ritornerà più volte con l'effetto
di ritornello nel corso del movimento. Un lungo passaggio affidato al solista, con la funzione
di transizione, presenta un nuovo motivo (x) sempre in ritmo puntato (che ritroveremo poi
nello Sviluppo) per sciogliersi poi in figurazioni di arpeggi e accordi spezzati che conducono
al secondo tema. Quest'ultimo, leggero e scherzoso, è presentato in un amabile dialogo tra il
pizzicato degli archi e lo staccato dei legni da un lato e il violino dall'altro. La conclusione
dell'Esposizione vede il solista impegnato per la prima volta in rapide figurazioni di tipo
virtuosistico (scale, arpeggi, volatine), che hanno una loro propria autonomia, secondo la
tradizione del concerto classico-romantico. Il violino conclude questo passaggio con una
vertiginosa cadenza sulla dominante seguito da un nuovo intervento del tutti orchestrale con
il tema-ritornello. Lo Sviluppo è fortemente condizionato dal principio del ritornello tipico
del rondò: il tema-ritornello infatti interrompe quasi a metà lo Sviluppo funzionando al
tempo stesso, in quanto primo tema, da falsa Ripresa (il tema infatti risuona adesso nella
tonalità di si maggiore). La prima parte dello Sviluppo utilizza il motivo (x) della transizione
al secondo tema e una reminiscenza del tema introduttivo dei violoncelli del secondo
movimento. Segue l'intervento del tutti col tema-ritornello di cui si diceva prima. La seconda
parte dello Sviluppo inizia ancora con il motivo della transizione (x), poi, mentre i legni
elaborano spunti del secondo tema, il violino solista vi ricama sopra delle fittissime figure di
arpeggi e di rapidissime scale. Un marcato crescendo e un'intensificazione della figurazione
del violino porta alla Ripresa. Questa inizia con il primo tema al violino. Da questo punto in
poi, eccetto la coda, gli eventi musicali ricalcano fedelmente l'esposizione: ritorna il tema-
ritornello del tutti alla tonica, la transizione al secondo tema, la riesposizione del secondo
tema anch'esso alla tonica, ancora una volta il tema-ritornello all'orchestra e infine un'ampia
coda articolata in due parti. Essa inizia ancora una volta col motivo (x) della transizione,
introduce quindi un nuovo motivo al solista che acquista consistenza tematica nella sua
articolazione periodica, motivo che risulta essere una variante del tema della sezione centrale
del secondo movimento. Tale tema viene poi ripreso dai legni al quale risponde il solista con
l'attacco del primo tema in un fitto e felice dialogo. Nella seconda parte della coda, sono i
legni insieme ai corni e alle viole, ad assumere la conduzione melodica; a essi si aggiungono
poi i primi violini, utilizzando elementi del primo e del secondo tema mentre il violino vi
tesse delle figurazioni sempre più mosse che conducono il movinento a una trionfale
conclusione.
Nino Schilirò
Musica da camera
https://www.youtube.com/watch?v=yrvKvRV0A_Q
1829
https://www.youtube.com/watch?v=EsaJgPSU-Oo
https://www.youtube.com/watch?v=y5mrnNHx_04
https://www.youtube.com/watch?v=AkvK-H8Bm14
https://www.youtube.com/watch?v=zF1Gv_wEk4c
Bisogna dire che Schumann si era già confrontato con il quartetto con pianoforte ben prima
dell'op. 47. Tra il 1828 e il 1829, giovane studente di giurisprudenza a Lipsia, Schumann
preferiva in realtà dedicarsi alla musica e suonare pezzi da camera con gli amici. In questo
contesto il compositore, non ancora deciso a fare della musica la sua professione, scrisse il
Quartetto in do minore per pianoforte e archi Anh. E1; insoddisfatto dell'esito, pensò quindi
di trasformarlo in una sinfonia, ma senza realizzare il progetto. Così l'opera (originariamente
identificala come op. 5) è rimasta, sino a qualche decennio fa, tra le dimenticate prove
giovanili del suo autore. Si tratta peraltro di un lavoro interessante, in cui si ravvisano
riferimenti a molteplici modelli cameristici - Beethoven e Schubert soprattutto, ma anche il
principe Louis Ferdinand di Prussia, Weber e Ries - e dove le imperizie dell'apprendista si
sommano a tocchi già geniali.
Nel movimento d'apertura una stentorea introduzione prepara il profilo ombroso e inquieto,
beethoveniano del primo tema; spetta alla transizione rasserenare il clima per proporre il
secondo tema, disteso e cantabile, svolto dal pianoforte e ripreso dal violino. In un nuovo
sopravvento della cupezza e dei motivi del primo tema si conclude quindi l'esposizione, che
viene replicata. Da questa chiusa trae spunto l'arcata iniziale dell'esteso sviluppo, che poi
attinge a motivi del secondo tema dispiegando rilassate ondate schubertiane e prosegue
ripresentando il profilo del primo tema su lunghe note tenute, per lavorarlo quindi in
imitazione contrappuntistica. Nell'alternanza caratteristica del movimento tra fasi di tensione
e distensione, l'arcata conclusiva dello sviluppo ritorna alle morbidezze del secondo tema.
Poi la ricomparsa dell'introduzione prelude all'attacco della ripresa dove ricompaiono,
secondo copione, il primo tema, il secondo e da ultima la chiusa.
Il tema principale che apre l'Andante è cantato dalla viola, che cede poi il passo al violino e
quindi, nella transizione, al violoncello, mentre il tema secondario è condotto in dialogo tra i
quattro strumenti. Nella sezione centrale le parti delineano l'elaborazione, per lo più
contrappuntistica, di motivi di entrambi i temi, con un grande crescendo che tuttavia, dopo
aver raggiunto il punto culminante, si spegne gradualmente in una ritransizione, che resta
come sospesa sui rintocchi del pianoforte: è la reminescenza del tema del Trio del Minuetto.
Quanto segue è una ripresa condensata della prima parte: ora i temi principale e secondario
risuonano in maggiore, prima che una nuova elaborazione di motivi del tema secondario
conduca alla coda, di nuovo in minore, con effetto di progressiva dissolvenza, improntata dal
ricordo del tema principale.
Il finale, dalla forte impronta schubertiana, incomincia con il tema principale, suonato dal
violoncello e poi ripreso da violino e viola sull'insistente scansione in ritmo puntato -
destinata a percorre quasi tutto il movimento - del pianoforte. A sorpresa la transizione si
apre al maggiore sino al secondo tema, tracciato dagli archi sul ritmo puntato che innerva
anche la chiusa dell'esposizione; segue la replica dell'esposizione. Rispetto al movimento
d'apertura, qui lo sviluppo è decisamente più contenuto e si basa essenzialmente
sull'elaborazione di motivi del primo tema e poi della transizione: in avvio s'ascolta anche
una reminiscenza del tema principale del movimento iniziale. Ciò che segue sembrerebbe la
ripresa, ma in realtà, dopo che il violoncello ha profilato il tema principale - pur nella tonalità
d'impianto - il corso degli eventi prende una piega diversa dall'esposizione e conosce una
nuova espansione. Ci accorgiamo che quanto abbiamo appena ascoltato è una falsa ripresa
per il fatto che la vera ripresa arriva di lì a poco: il primo tema è suonato in minore dal
violoncello e subito dopo in maggiore da violino e viola. Si susseguono a questo punto la
transizione, il secondo tema e la chiusa prima della coda, di nuovo in maggiore, basata sul
tema di fanfara del Trio del Minuetto.
Cesare Fertonani
41/1 1840
https://www.youtube.com/watch?v=hf565yAZJDg
https://www.youtube.com/watch?v=3UX90cRekQY
https://www.youtube.com/watch?v=VEgWmZhO8Q0
I tre Quartetti dell'op. 41, i soli che Schumann abbia scritto per questo complesso
strumentale, furono composti nel 1842, l'anno definito dai musicologi della "musica da
camera" e in cui l'artista avrebbe creato anche il Quintetto op. 44 e il Quartetto per archi e
pianoforte. Infatti, secondo una classificazione largamente accettata, Schumann compose tra
il 1830 e il 1839 esclusivamente musica pianistica, dai Papillons al Carnaval, dai Pezzi
fantastici alle Scene infantili; nel 1840 rimase impegnato nella composizione di oltre cento
Lieder per canto e pianoforte, mentre nel 1841 rivolse la sua attenzione alle grandi forme
musicali e compose, fra l'altro, le Sinfonie in si bemolle e in re minore, in cui riversò la
pienezza di sentimento del suo animo, che «è ricco di musica sino a scoppiare», come aveva
scritto egli stesso in una delle ardenti lettere indirizzate a Clara Wieck, che era riuscita a
sposare proprio nel 1840 dopo una lunga, tormentata e tenace opposizione dell'austero padre
della ragazza, Friedrich Wieck, suo maestro di pianoforte a Lipsia. Si sa che l'8 aprile 1842
Schumann aveva chiesto all'editore Breitkopf di mandargli tutte le partiture dei Quartetti di
Mozart e di Beethoven e nel suo quaderno di appunti aveva scritto le seguenti annotazioni:
«28 aprile: ho studiato i Quartetti di Beethoven; 6 maggio: ho studiato i Quartetti di Mozart;
2 giugno: schizzi per un mio Quartetto; 4 giugno: ho iniziato un Quartetto in la minore». Nel
mese di luglio concluse non soltanto il primo Quartetto, ma anche il secondo in fa maggiore e
il terzo in la maggiore, e li dedicò a Felix Mendelssohn, il quale si dimostrò amico sincero e
ammiratore senza riserve verso il musicista di Zwickau.
Sin dall'Introduzione grave e solenne del Quartetto op. 41 n. 1 si avverte un'influenza del
modo di comporre beeethoveniano, secondo cui il tema melodico scorre e acquista densità di
espressione da uno strumento all'altro, nel rispetto della forma-sonata. Il tema principale
rimane sempre dominante, ma diventa più articolato e vivo nell'Andante e nell'Allegro
successivi, dove non manca quell'affettuosa cantabilità intimistica, che è tipica della
sensibilità romantica schumanniana. La frase ritmicamente tagliente e ansiosa dello Scherzo
sembra che sia stata ricavata da un trio di Heinrich Marschner e utilizzata da Schumann
anche in uno dei suoi mirabili Lieder per canto e pianoforte. Di linea liederistica, così pura e
intensa nello svolgimento della poesia melodica, è l'Adagio che fa pensare a quei movimenti
ascensionali e spiritualmente disincantati presenti nelle sinfonie dello stesso autore. Di
travolgente musicalità è il finale, in cui affiorano accenti anche popolareschi con richiami ai
suoni dolci della cornamusa.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Robert Schumann compose i tre Quartetti per archi op. 41 in uno dei suoi periodi di furore
creativo, tra l'inizio di giugno e la fine di luglio del 1842, il cosiddetto anno della musica da
camera, che vide nascere anche il Quintetto op. 44, il Quartetto op. 47 e i Phantasiestiìcke op.
88 con pianoforte. L'incontro del pianista Schumann con il genere cameristico di maggiore
dignità estetica e impegno compositivo fu breve, intenso e molto felice. Dopo alcuni tentativi
sullo scorcio degli anni Trenta, è appunto nel 1842, dopo aver studiato a fondo i lavori di
Haydn, Mozart, Beethoven e Mendelssohn, che Schumann si sente finalmente pronto ad
affrontare il quartetto per archi.
Questo rapporto s'incontra sin dall'inizio del Quartetto n. 1. L'Introduzione in tempo Andante
espressivo, dove gli strumenti entrano uno dopo l'altro in imitazione delineando un ordito
contrappuntistico, è infatti in la minore. Preannunciata da accordi che suonano come segnali,
l'esposizione dell'Allegro inizia invece con il primo tema, cantabile come una barcarola
mossa, in fa maggiore. La successiva transizione è un fugato sui motivi del primo tema e
struttura fugata ha anche il vivace secondo tema con un controsoggetto dalle movenze di
saltarello. Alla codetta, che riprende motivi del primo tema segue la replica dell'esposizione.
Lo sviluppo consiste nell'elaborazione contrappuntistica, attraverso cromatismi e accordi
dissonanti, del primo e poi anche del secondo tema. La ripresa, come spesso in Schumann,
ripercorre fedelmente l'esposizione; a concludere il movimento è una breve coda con effetto
di dissolvenza.
Nel Presto finale Schumann mette a profitto lo studio dei quartetti di Haydn e di Mozart:
dall'uno riprende la forma sonata monotematica, il gusto per la giocosa elaborazione
contrappuntistica e per l'ironia; dall'altro la tendenza a fondere in un flusso unitario i
momenti dello sviluppo e della ripresa. Tutto o quasi ciò che si ascolta dopo l'incisivo primo
tema è da questo derivato: ne sono varianti dirette l'idea del canone della transizione, poi il
secondo tema, ricavato dal primo per libera inversione. Dopo la replica dell'esposizione, lo
sviluppo offre una serrata elaborazione sugli elementi motivici comuni dei temi
dell'esposizione. Poi, a mescolare improvvisamente le carte, ritorna la transizione: è soltanto
la prima di una serie di sorprese. La ripresa inverte l'ordine dei temi: la apre infatti il secondo
tema, ora in fa maggiore. Poi al primo tema succedono due nuovi, brevi e inattesi episodi:
una musette popolareggiante, in tempo Moderato, che porta la tonalità in maggiore, quindi un
misterioso corale omoritmico, finché non s'ascolta la spumeggiante coda conclusiva che
riprende i motivi tematici.
Cesare Fertonani
41/2 1840
https://www.youtube.com/watch?v=CEXtm-ReWiQ
https://www.youtube.com/watch?v=NJHH8y8vN7E
https://www.youtube.com/watch?v=YXVgFd5Z34w
https://www.youtube.com/watch?v=ZsOo4Jdhc6g
Robert Schumann compose i tre Quartetti per archi op. 41 in uno dei suoi periodi di furore
creativo, tra l'inizio di giugno e la fine di luglio del 1842, il cosiddetto anno della musica da
camera, che vide nascere anche il Quintetto op. 44, il Quartetto op. 47 e i Phantasiestiìcke op.
88 con pianoforte. L'incontro del pianista Schumann con il genere cameristico di maggiore
dignità estetica e impegno compositivo fu breve, intenso e molto felice. Dopo alcuni tentativi
sullo scorcio degli anni Trenta, è appunto nel 1842, dopo aver studiato a fondo i lavori di
Haydn, Mozart, Beethoven e Mendelssohn, che Schumann si sente finalmente pronto ad
affrontare il quartetto per archi.
Il Quartetto n. 2 si caratterizza per la concisione della forma specie nel primo e nel quarto
movimento. Il primo tema dell'Allegro vivace è costituito da una fresca e florida melodia
cantabile di ampio respiro condotta dal violino I che nella transizione diventa poi occasione
di un canone tra tutti gli strumenti. Il distendersi dell'idea melodica e della sua prosecuzione
riduce ai minimi termini il secondo tema dalla melodia sinuosa, anch'esso strutturato come
un piccolo canone, e quindi la codetta dell'esposizione; segue la replica dell'esposizione. Lo
sviluppo coincide con un'elaborazione basata sugli elementi del primo tema e della
transizione, il cui stampo ancora una volta imitativo è drammatizzato dal passaggio
attraverso tonalità minori, accordi dissonanti e scariche di accordi spezzati. La ripresa ricalca
quindi l'esposizione, sino alle armonie cromatiche e ai contrasti di dinamiche del corale che
occupa la coda conclusiva.
La curiosa intestazione Andante, quasi Variazioni dà conto della forma ingegnosa del
movimento che s'ispira alla sostanza dell'Adagio del Quartetto op. 127 di Beethoven. Il
cullante tema di berceuse, la cui origine risale al 1832 e sarà poi pubblicato come
Albumblätter op. 124 n. 13 (1854), s'articola in due periodi. Soltanto il secondo, tuttavia,
dove la melodia si profila al violoncello e poi al violino I serve di fatto per le variazioni. La
prima è contrappuntistica e ha i tratti di un corale figurato; la seconda contiene fruscianti
arabeschi e arpeggi veementi. In tempo Molto più lento, la terza malinconica variazione offre
grande complessità armonica, con cromatismi e inflessioni minori su pedale, mentre la
quarta, in tempo Un poco più vivace, segmenta e frantuma ciò che resta del tema. A questo
punto segue una ripresa del primo periodo del tema e la Coda. Un poco più lento che
riprende la gestualità della seconda variazione.
Onde di arpeggi continui e incalzanti, dal fraseggio sincopato, danno il tono allo Scherzo in
tempo Presto, un brano come da convenzione suddiviso in due parti cui fa riscontro il Trio,
intermezzo umoristico con il gioco di brevi frasi e incisi che, dopo la ripresa dello Scherzo,
ritorna a echeggiare nella Coda.
Il primo tema dell'Allegro molto vivace è un moto perpetuo leggero e brillante con imitazioni
nella successiva transizione; ridottissimo è lo spazio per il secondo tema, che cita il Lied
Nimm sie hin denn, diese Lieder dal ciclo beethoveniano An dieferne Geliebte op. 98 (cui
Schumann fa riferimento anche nella Fantasia op. 17 per pianoforte e nel finale della
Seconda Sinfonia op. 61); segue la replica dell'esposizione. Da un'elaborazione intensiva del
secondo tema, inframmezzata dal rincorrersi di accordi accentati, trae avvio lo sviluppo,
culminante poi in un assolo del violoncello. La ripresa ripercorre l'esposizione sino alla coda
che richiama le figure della sezione conclusiva dello sviluppo.
Cesare Fertonani
Tra l'anno in cui Haydn compose il Quartetto in mi bemolle e la data in cui nacquero i
Quartetti op. 41 di Schuman, intercorrono più di cinquantanni: mezzo secolo tra i più fecondi
e ricchi di conseguenze di tutta la storia delia musica, dal momento che esso abbraccia, tutta
l'attività creatrice di Beethoven e vide sorgere e fiorire il romanticismo. I profondi mutamenti
verificatisi in questo lasso di tempo nella concezione e nel linguaggio musicale si riflettono
con chiara evidenza nei Quartetti di Schumann. Questi mutamenti non riguardarlo tanto il
taglio formale e l'insieme della disposizione architettonica (anzi, l'estrinseca matrice entro la
quale Schumann cala la materia sonora dei suoi Quartetti è sostanzialmente identica a quella
dei suoi modelli classici), quanto la sostanza musicale stessa, nelle sue più sottili
infrastrutture, nelle sue premesse e nei suoi significati affettivi ed immaginifici. Nella
discrepanza che si dà tra una forma esterna inalterata (ma ridotta a cornice formale) e una
sostanza profondamente mutata, gli esegeti sogliono ravvisare il fondamentale momento
negativo delle opere composte da Schumann nella classica forma di sonata, sia che si trattì di
lavori per solisti, complessi da camera o sinfonici. Si afferma, insomma, che in Schumaiin si
verificherebbe esattamente il contrario di quanto abbiamo rilevato in Haydn: nel senso che la
cellula, prima dell'invenzione musicale schumanniana - ritmo, armonia, melodia - sarebbe di
natura tale che «si esaurisce alla prima enunciazione e non porge appiglio a sviluppi
tematici». Perciò «delle sue composizioni più classicamente ambiziose», sarebbero «quasi
sempre felicissimi, bellissimi, ardenti d'ispirazione gli inizi dei vari temi, ma quasi sempre
artificiosi, faticosi, freddi gli svolgimenti». Un rimprovero mosso sovente alle sue musiche
da camera e, in special modo, ai Quartetti, riguarda la scrittura strumentale che, troppe volte
si presenterebbe come una mera trasposizione del suo stile pianistico. Tutte le affermazioni di
questo genere, sono state, smentite in modo magistrale da Alban Berg, il quale, una trentina
d'anni fa pubblicò (nel corso d'una polemica con un compositore nazista) una analisi,
rigorosa quanto acuta, di uno dei pezzi più tipici di Schumann, la famosa Träumerei,
dimostrando che anche in questo brano estremamente semplice la strutturazione interna e
l'articolazione del pensiero musicale di Schumann, presentano una grande e
differenziatissima ricchezza di motivi melodici, metrici, ritmici e armonici e che la
disposizione pianistica, offre l'esempio d'una perfetta scrittura a 4 parti, la cui realizzazione si
potrebbe affidare quasi senza modifiche, ad un quartetto strumentale od anche vocale. Ciò
che vale per questo brano, vale a maggior ragione per i temi delle opere in forma dì sonata,
temi concepiti in partenza per gli svolgimenti che tale forma comporta ed ai quali essi non
sono affatto inadatti, ma si prestano proprio in virtù della ricchezza di motivi di cui sopra.
Non è dunque nella struttura formale dei temi, che va cercata la ragione del mutato rapporto
tra forma classica e il contenuto tematico che si dispone in essa: la ragione sta piuttosto nella
qualità, nell'indole espressiva di quei temi e nella disposizione d'animo del compositore che li
intesse in una trama musicale procedendo non per quelle associazioni per contrasto, per
quelle antitesi dialettiche che determinano il carattere originario, eminentemente drammatico
della forma di sonata, ma allineandoli sul piano d'una purissima, guanto ardente
contemplazione lirica che mira per lo più a cogliere staticamente i singoli momenti d'un
decorso affettivo e non il dinamismo del suo divenire. Irr questo modo Schumann continua e
sviluppa, traendone delle conseguenze a volte estreme, il tipo di «sonata lirica» inaugurato
dal tardo Beethoven, e nello stesso tempo preannuncia il dissolvimento, la macerazione
impressionistica della sotanz musicale che si riscontrerà nel Quartetto dì Debussy, composto
esattamente mezzo secolo più tardi. In questo senso si giustifica un'assunto come quello
formulato dal Mila per cui l'arte di Schumann «conduce per la prima Volta a una sorte di
impressionismo musicale». Assunto e qualifica che vanno accettate naturalmente, nel loro
senso interamente positivo, così come il mutamento che a partire da Beethoven si verifica
nell'intima indole della forma sonatistica va inteso non come un travisamento del suo spirito,
ma semplicemente come un suo mutamento evolutivo.
Questo stato dì cose risulta con molta evidenza nel Quartetto dì Schumann programmato
oggi. Esso è il secondo di una serie di tre Quartetti, i soli che Schumann abbia' scritto per
questo complesso. Ersi datano del periodo della maggiore felicità e virulenza creatrice del
compositore, di quel periodo cioè, che segue immediatamente il raggiungimento
dell'agognata unione con Clara Wieck. Schumann, che fino al 1870 aveva composto quasi
esclusivamente lavori pianistici, creò in quell'anno più dì cento dei suoi più bei Lieder; nel
1841 egli si gettò con lo stesso impeto sulla composizióne orchestrale (componendo, tra
l'altro, tre dei suoi cinque lavori sinfonici). Il 1842 invece fu l'anno in cui, con lo stesso
straripante impeto creativo, mosse alla conquista del terreno della musica da camera. D'un
sol getto, nel tempo incredibilmente breve d'un solo mese, nacquero tre Quartetti op. 41, che
Schumann volle dedicare «al suo amico Felix Mendelssohh-Bartholdy». Il secondo Quartetto
in fa maggiore fu eseguito per la prima volta l'8 gennaio 1843 nella, sala del Gewandhaus di
Lipsia. Il successo fu grande e valse a conquistare al compositore la stima anche di coloro tra
i critici contemporanei i quali fino a quel momento lo consideravano solo come autore di
«cosette carine, curiose e assai interessanti, ma senza un vero centro focale» (M. Hauptmann)
e che adesso esprimevano la loro alta meraviglia sull'entità per loro «insospettata» del talento
schumanniano. Il compositore stesso le teneva nella massima considerazione: «Penso sempre
che siano il miglior lavoro dei miei primi tempi, e anche Mendelssohh si è espresso spesso in
questo senso». Il primo tempo si fonda quasi tutto su di un tema dolce ed espansivo, così
ricco di spunti e di motivi da sviluppare che si intuisce come Schumann ne abbandoni quasi a
malincuore l'enunciazione per far posto ad un brevissimo secondo tema in la maggiore, più
quieto e svolto in strette imitazioni contrappuntistiche dai violini e dalla viola, per cedere
immediatamente il posto al primo tema «preferenziale» di cui un motivo s'insinua tra i due
membri della frase che costituisce questo secondo tema, quasi a conferma della associazione
per affinità e non per contrasto delle idee di questo tempo di sonata. Lo sviluppo, ricco e
arioso, si connette alla riesposizione mediante una nuova idea di transizione: accordi in valori
metrici uguali, ma con accenti ritmici spostati, la cui disposizione melodica si apparenta al
primo motivo del primo tema. Questa idea, alquanto più sviluppata, chiuderà il tempo, in
guisa di Coda. Il secondo tempo (Andante, quasi Varìani) è costituito da una serie di
deliziose, poeticissime divagazioni intorno ad alcuni motivi proposti nella prima sezione,
senza costituirsi come un vero e proprio tema, nel senso classico, cosstruttivo, del termine ma
ponendosi solo come spunti iniziali di una meditazione che si sviluppa secondo le libere
traiettorie della fantasia e dell'abbandono lirico. Lo Scherzo è costituito da un Presto di tono
fantastico, scritto, nello scorrevole ritmo di 6/8, nella tonalità di do minore, e d'un Trio
(nell'«istesso tempo»), in do maggiore dal ritmo di 2/4, dove sopra un accompagnamento
scherzosamente sincopato s'inarca una melodia, la cui seconda frase fu ripresa quasi
testualmente nel primo tempo della III Sinfonia di Brahms. Una Coda, che segue alla ripresa
dello Scherzo, presenta codesti, diversi motivi in una magistrale sovrapposizione
contrappuntistica in virtù della quale è come se essi si illuminassero e si trasfigurassero a
vicenda. Il Finale (in forma di «rondò sonata»), scritto nel tono principale del lavoro, lo
conclude nel modo più vivace ed estroso intessuto com'è di tre temi di capriccioso contrasto
dinamico se non di clima espressivo, intrisi del, più genuino e fantastico humour
schumanniano, dove si alternano. e confluiscono lirici abbandoni, ironia romantica e un
irresistibile slancio vitale. Una lontana eco di questo Finale la sentiremo con sorpresa non
solo in Debussy, ma ancora e vieppiù nella vicace iterazione di taluni finali dei Quartetti di
Bartòk.
Roman Vlad
41/3 1840
https://www.youtube.com/watch?v=08hmey8e0js
https://www.youtube.com/watch?v=bC7wFnRVOZ0
https://www.youtube.com/watch?v=Ia70NtMKc3M
https://www.youtube.com/watch?v=xKLcuwBK608
L'interesse di Schumann per il quartetto d'archi, una delle forme più nobili della tradizione
classica, doveva essere ben vivo già nel 1838, quando aveva dato avvio ai Quartettmorgen
(mattinate quartettistiche) nella sua casa di Lipsia. Vi si riuniva il quartetto di Ferdinand
David, che eseguiva di preferenza il repertorio più recente, al quale Schumann era
particolarmente interessato. Furono soprattutto i quartetti dell'op. 44 di Mendelssohn a fargli
grande impressione e ad accendere il suo entusiasmo. I punti di riferimento, per i compositori
di quella generazione, erano ovviamente i quartetti di Beethoven; ma Schumann, che pensava
da tempo di provare a scrivere quartetti, studiava con cura anche le composizioni dei suoi
classici predecessori. Così, se nel primo quartetto dell'op. 41 di Schumann l'influenza
dell'ultimo Beethoven è evidentissima (oltre a reminiscenze stilistiche, vi si trovano allusioni
vere e proprie a temi beethoveniani), altrove non è meno palese la lezione di Haydn e
Mozart.
Nei quartetti di Schumann i tratti personali, tuttavia, emergono con assoluta chiarezza. Nella
forma, innanzitutto: Schumann, diversamente dall'ultimo Beethoven, procede per sezioni
formali chiuse, per episodi contrastanti e ben distinti e assimilabili a «situazioni poetiche», a
tappe di una narrazione; i collegamenti avvengono per giustapposizione, senza zone di
transizione. Ma tra un episodio e l'altro, Schumann ama tessere una rete di reminiscenze
motiviche; nel terzo Quartetto dell'op. 41, ad esempio, il tema principale del primo
movimento sembra scaturire dall'introduzione che ne presenta una versione ancora
embrionale. Tratti individuali, e inconfondibili, si riscontrano anche nei temi schumanniani,
asimmetrici, dal ritmo complesso, ricchi di sincopi e di spostamenti dell'accento naturale. Si
ascoltino i motivi dell'appassionato tema principale dal caratteristico slancio romantico, o la
cantabilità intimistica del secondo tema. Lo Sviluppo non è che una breve sezione,
interamente basata sul primo motivo del tema principale. Schumann, che non è tanto
interessato all'elaborazione motivica quanto alla riambientazione armonica del tema, procede
per progressioni che ampliano lo spazio tonale. Il ruolo concesso al primo tema nello
Sviluppo fa sì che esso scompaia dalla Ripresa che ha inizio direttamente dal secondo tema:
è, questo, un principio di concentrazione formale che Schumann apprende dai classici.
Il secondo movimento del Quartetto (Assai agitato) ha un andamento simile allo Scherzo; ma
dello Scherzo non porta il nome, né ne riflette l'impianto formale. Il movimento è invece in
forma di tema con variazioni. Una scelta inconsueta, se consideriamo che le variazioni,
all'epoca, sono il mezzo preferito dai musicisti che si esibiscono nei salotti mondani e nelle
sale da concerto per fare sfoggio di un virtuosismo brillante quanto superficiale (con questo
mondo, sappiamo bene quanto Schumann sia poco indulgente). Ma la scelta appare meno
sorprendente, se consideriamo che Beethoven - nume tutelare della generazione romantica -
aveva ben mostrato come la variazione su un tema potesse servire a sviscerare a fondo la
materia musicale, invitando il compositore a spingersi fino nei territori più sconosciuti
dell'elaborazione tematica. E appare ancora meno strana, se consideriamo quanto questa
forma sia congeniale alla poetica di Schumann, che ama contrapporre episodi contrastanti
assimilandoli a stadi di un percorso narrativo: ogni variazione può dunque mettere in luce un
aspetto diverso, per carattere, del materiale musicale preso a fondamento della composizione.
Altamente ispirato, l'Adagio molto è in forma-Lied ampliata: a una prima parte, ripetuta in
forma variata, se ne contrappone una contrastante; seguono riprese in zone tonali affini e la
ripetizione, nella tonalità fondamentale, della prima parte, con coda conclusiva.
Particolarmente suggestiva è la parte centrale, nella quale un ritmo ostinato del secondo
violino fa da supporto a brevi frammenti melodici, che gli altri archi si rilanciano in un
intreccio contrappuntistico continuamente cangiante.
Contorni formali altrettanto netti presenta il Finale (Allegro molto vivace): si tratta di un
rondò, in cui un ritornello torna periodicamente a incorniciare episodi contrastanti.
L'architettura, cristallina, è ben definita da cesure che segnano bruschi cambi d'atmosfera. Il
cambiamento più radicale è portato dal terzo episodio (Quasi Trio), più ampio, caratterizzato
da una grazia quasi rococò; ma la coesione generale del movimento è assicurata da un forte e
unitario impulso ritmico, dagli accenti sincopati, dallo slancio propulsivo delle figure che
non allentano la tensione.
Claudio Toscani
Il 1842 è per Schumann l'anno della musica da camera: tre Quartetti per archi, un Quintetto e
un Quartetto per archi e pianoforte. L'8 aprile di quell'anno il musicista chiese all'editore
Breitkopf di spedirgli tutte le partiture dei Quartetti di Mozart e di Beethoven. Nel suo diario
egli poi annotò: «28 aprile, studiati i Quartetti di Beethoven; 6 maggio, studiati i quartetti di
Mozart: 2 giugno, schizzi per un mio Quartetto; 4 giugno, incominciato un Quartetto in la
minore». Il 22 luglio non solo il primo Quartetto in la minore, ma anche il secondo in fa
maggiore e il terzo in la maggiore (tutti e tre compresi nell'op. 41), dedicati a Mendelssohn,
erano compiuti. Dei tre Quartetti il secondo e il terzo sono i più interessanti per freschezza e
originalità di idee e per varietà,e saldezza di impianto armonico.
Più che l'influenza di Mozart si avverte la presenza di Beethoven, specie nel Quartetto in la
maggiore. Infatti nel primo tempo si nota una sigla armonica simile a quella del primo
movimento della Sonata per pianoforte op. 31 n. 3 di Beethoven, che imprime, sia
nell'Andante espressivo che nel successivo Allegro molto moderato, un accento interrogativo.
Comunque il tempo è contrassegnato da una frase affettuosa romantica e di calda espansione
melodica che viene esposta dal primo violino, ripresa dal violoncello e poi ampliata e
sviluppata in una serie di figurazioni armoniche, che determinano un sentimento ora
appassionato, ora liricamente più disteso. L'Assai agitato del secondo tempo è uno scherzo
elaborato in forma di variazioni sopra un tema di sedici battute, che ha un andamento quasi
singhiozzante con il suo ritmo sincopato. Delle quattro variazioni le migliori per intensità e
forza espressiva sono la terza, così intima e dolcemente cantabile nel discorso fra i quattro
strumenti, e la quarta, piena di irruenza e di slancio appassionato, tipico della accesa
sensibilità romantica schumanniana. Tutto si placa in una coda melodica soffusa di dolce e
delicata malinconia. L'Adagio è stato definito giustamente di piglio beethoveniano non solo
per la robustezza del tema che lo contraddistingue, ma soprattutto per l'articolazione
ritmicamente scattante del canto melodico attorno ad un disegno indicato dal secondo
violino. L'Allegro molto vivace si snoda secondo un discorso serrato e brillante, interrotto a
metà da un caratteristico episodio in fa maggiore (Quasi trio, annota Schumann), tra l'ironico
e l'umoristico. Il Quartetto è molto apprezzato, oltre tutto, per il serrato dialogo tra le voci
strumentali, tutte protagoniste e ben valorizzate dal compositore.
44 1842
https://www.youtube.com/watch?v=PU97k1_K3SE
https://www.youtube.com/watch?v=NGYwkrv8q2I
https://www.youtube.com/watch?v=JN6x9RbLgqw
Sin dagli anni giovanili Schumann mostrò particolare interesse alla forma del quartetto
d'archi, un genere tra i più difficili ed elevati della musica da camera, anche se passò diverso
tempo prima che si dedicasse a questo tipo di composizione. Nel 1829, durante il primo
soggiorno del musicista a Lipsia, Schumann abbozzò degli schizzi di un quartetto per archi in
fa minore, al quale fece seguito tra il 1831 e 1832 un secondo quartetto con pianoforte in si
maggiore, mai completato e messo da parte in un momento in cui i pezzi per pianoforte
ebbero la preferenza e lo resero celebre nei circoli artistici tedeschi. Dopo avere approfondito
l'esperienza pianistica e senza tralasciare la composizione dei Lieder per canto e pianoforte,
una vera miniera di originali capolavori intrisi di straordinaria "Stimmung" romantica, egli
studiò con scrupolosa attenzione e passione la produzione quartettistica di Haydn, Mozart e
Beethoven, cercando di impadronirsi delle regole e della tecnica che sono alla base di questa
forma musicale. Nel 1839, in una lettera ad un suo amico, Fischof, Schumann accenna ad un
quartetto «che mi ha reso particolarmente felice, anche se non può essere considerato come
un semplice saggio». Nello stesso anno egli torna ad esprimere la sua intenzione di scrivere
un quartetto e successivamente confessa a sua moglie Clara «di aver cominciato a comporre
due quartetti che mi sembrano ben fatti come quelli di Haydn». Solo nel 1841 ci sono
riferimenti precisi in una serie di lettere del musicista a proposito dell'elaborazione di alcuni
quartetti: il 4 giugno egli iniziò a comporre il Quartetto in la minore op. 41 n. 1, ai primi di
luglio era pronto il Quartetto in fa maggiore, il secondo dell'op. 41, e il 22 dello stesso mese
era terminato il Quartetto in la maggiore, il terzo dell'op. 41. Un ritmo creativo vertiginoso e
stupefacente, riguardante, tra settembre e ottobre dello stesso anno, anche il Quintetto con
pianoforte op. 44 e il Quartetto con pianoforte op. 47.
In questi lavori cameristici, che tengono conto naturalmente del modello predominante e
assorbente dei sedici quartetti beethoveniani, si può avvertire la particolare sigla creatrice
schumanniana, al di là del rispetto di certi schemi formali classicisti. Oltre ad una
straordinaria fantasia nell'inventare e collegare fra di loro i vari temi c'è nei Quartetti dell'op.
41 e nel Quintetto op. 44 quella sensibilità poetica di gusto romantico, fatta di improvvisi
slanci e di teneri ripiegamenti, molto tipica di un musicista essenzialmente liederista,
presente quando compone per il pianoforte o per la voce o per l'orchestra. Anche nel caso del
Quintetto op. 44 ha un ruolo da protagonista il pianoforte, che costituisce il punto di incontro
e di raccordo fra le due diverse parti in un gioco dialogante di elegante scrittura, in linea con
lo stile della musica da camera romantica. Tale scelta appare evidente sin dall'attacco
dell'Allegro brillante, dove si impone imperiosamente il tema robusto e marcato del
pianoforte, al quale fa da contrappeso espressivo, con particolare dolcezza di cavata, la
magnifica frase del violoncello. Il discorso quindi si allarga, si infittisce e si colora dei più
svariati accenti psicologici, così da raggiungere momenti di intenso lirismo. Un movimento
che reca in sé i segni della personalità creatrice schumanniana è il secondo (In modo di una
marcia) che si ispira chiaramente al modello dell'"Eroica" beethoveniana. È un tema di
marcia funebre esposto con voce rotta e spezzata dal primo violino su un accompagnamento
del pianoforte. Non manca l'esplosione drammatica e tesa, ma tutto ritorna al clima dolente
iniziale. Festoso, brillante e perfettamente incastonato in un classicismo formale è il terzo
tempo (Scherzo molto vivace), arricchito da due Trii, dei quali il secondo con la sua cordiale
esuberanza ritmica sembra presagire gli appassionati Allegri pianistici del giovane Brahms.
L'Allegro ma non troppo conclusivo sviluppa e completa, per così dire, il discorso dell'ultimo
Trio e vede il pianoforte in funzione di stimolo e di guida degli altri quattro strumenti. Infatti
da esso si dipartono e si ramificano i suggerimenti tematici che investono il discorso
dell'intero movimento, tanto da far pensare ad un tempo di concerto per pianoforte e
orchestra.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Il 1842 fu un anno del tutto peculiare per la creatività di Robert Schumann, l'anno
dell'incontro con la musica da camera, genere in precedenza pressoché ignorato dal
compositore. Dopo un periodo di inattività - legato forse all'assenza di Clara, impegnata nella
sua prima grande tournée pianistica dopo il matrimonio - fra giugno e luglio Schumann crea
di seguito ben tre quartetti per archi. Il "giornale coniugale" registra le tappe serratissime di
questa straordinaria fioritura: "[...] 5 luglio: terminato il mio secondo quartetto. [...] 8 luglio:
cominciato il terzo quartetto. [...] 22 luglio: finito il terzo quartetto, felicità". Sempre nello
stesso anno, fra settembre e novembre, vedranno la luce quasi contemporaneamente altri due
brani cameristici, il Quintetto per pianoforte e archi op. 44 e il Quartetto per pianoforte ed
archi op. 47.
In realtà già negli anni precedenti Schumann aveva tentato l'approccio con la musica da
camera, non andando oltre l'abbozzo di due quartetti con pianoforte (1828-30, 1831-32) e
quattro quartetti per archi (1829, 1838, 1839). Proprio tale circostanza chiarisce come il
progressivo orientamento dell'autore verso generi compositivi più complessi (liederistica,
sinfonismo, cameristica) debba essere interpretato come un lungo processo di acquisizione di
nuovi strumenti tecnici, di nuovi orizzonti compositivi, da parte di un autore che si era
affermato essenzialmente per la sua fisionomia di pianista. Al di là dei problemi tecnici di
scrittura c'era poi una sorta di timor reverentialis verso le grandi forme, proprio non solo di
Schumann ma di tutta un'epoca. Dopo gli esempi inattingibili di sonate, quartetti, sinfonie
forniti da Haydn, Mozart, Beethoven, il confronto con tali generi era divenuto il confronto
con il passato, con la storia. Non a caso anche in campo pianistico Schumann aveva
prediletto i cicli organici di miniature rispetto alle sonate o fantasie.
Logico che la nascita dei lavori cameristici del 1842 sia stata preceduta da un attento studio
dei modelli del passato, Beethoven in testa (fra questi modelli, tuttavia, un posto di
primissimo piano spetta alla polifonia bachiana). Tuttavia, proprio nel considerare il
particolare rapporto di Schumann rispetto a tali modelli è possibile apprezzare da una parte il
rapporto di continuità con essi, e dall'altra l'audacia del progetto compositivo. Nell'accingersi
a scrivere il Quintetto per pianoforte op. 44, infatti, Schumann aveva certo ben presente una
"regola" del consumo del tempo: il carattere intrinsecamente "sereno", meno "impegnato"
della musica da camera con pianoforte rispetto a quella per soli archi, tecnicamente più
complessa e concettualmente più profonda. Una distinzione, questa, che era dovuta in origine
alla diversa destinazione della musica con pianoforte ai "dilettanti" piuttosto che agli
"intenditori". A questa sorta di "regola" si erano adeguati tutti i grandi autori del classicismo;
non solo Mozart e Haydn, ma anche Beethoven - il Trio dell'"Arciduca" ingigantisce lo
schema del trio senza dimenticare la cordialità espressiva propria del genere - e Schubert, il
cui Quintetto "della Trota", per pianoforte e archi, risente di una immediata piacevolezza,
amabile e mondana, del tutto ignota alla concettuosità ardita del Quintetto per archi op.
postuma.
Arrigo Quattrocchi
47 1842
https://www.youtube.com/watch?v=pkyIasXviaQ
https://www.youtube.com/watch?v=6mZQ3s5I2vc
https://www.youtube.com/watch?v=eSFtIMhwdPs
Sostenuto assai (mi bemolle maggiore). Allegro (do maggiore - mi bemolle maggiore)
Scherzo. Molto vivace (sol minore). Trio I et II
Andante cantabile (si bemolle maggiore)
Finale - Vivace (mi bemolle maggiore)
E' nel 1840 che, quasi improvvisamente, appare nella produzione schunianniana, una
fioritura di lieder veramente sorprendente; ma non meno sorprendente è l'improvvisa
produzione di opere strumentali da camera che con una rapidità incredibile, fioriscono l'anno
seguente: i tre Quartetti dell'op. 41 sono composti in poco più di cinque settimane, il
Quintetto op. 44 è composto in poco più di sei giorni: e cinque ne domanda il Quartetto con
piano op. 47.
Due anni prima, Liszt aveva scritto al compositore consigliandolo di dedicarsi alla creazione
di musica d'insieme, poiché era facilmente prevedibile che ben presto il pianoforte sarebbe
divenuto un mezzo espressivo «troppo limitato per lui». Schumann aveva allora 31 anni, e
non aveva ancora composto musiche strumentali da camera: seguì il consiglio (ma fu spinto
fors'anche da un impulso interiore) con i risultati che abbiamo ricordato. Non seppe però
rinunciare definitivamente al pianoforte: e, dopo i tre Quartetti per archi, ecco il Quintetto,
ecco il Quartetto op. 47, dove il pianoforte ha un ruolo di primo piano, quasi di solista.
Il lavoro s'inizia con una Introduzione lenta, dove gli archi propongono una cellula melodica,
ripresa come un eco misterioso e lontano dal pianoforte: poi tutti gli strumenti attaccano
l'Allegro, ma non troppo fluido e scorrevole, d'una serenità quasi di sospensione quando, nel
mezzo dello sviluppo, riappare con una espressione nostalgica la frase dell'inizio. Nello
Scherzo con due trii è sensibile una vaga influenza mendelssoniana, e il primo trio potrebbe
anche far pensare a una «romanza senza parole» se certe inquiete «sincopi» non tradissero
chiaramente certo accento nervoso tipicamente schumanniano. Accento che riappare in certi
grandi intervalli melodici dell'Andante cantabile, d'un lirismo chiaro e limpido. Il Finale
(vivace), è a tre tempi, in stile fugato, su un tema lineare che deriva dal primo Allegro, ed al
quale altri temi si uniscono e si alternano in un rapido e vivido gioco sonoro, dove sembra,
per un momento, di sentir passare (ricordo incosciente) come una vaga reminiscenza del
Concerto in la per pianoforte e orchestra di Mozart.
Com'è noto, nella produzione compositiva di Robert Schumann il lavoro su alcuni ambiti
tendeva a concentrarsi in periodi ben circoscritti. Il 1842 fu l'anno della musica da camera. In
una di quelle incredibili eruzioni creative tipiche del compositore tedesco nacquero i tre
Quartetti per archi op. 41, il Quintetto op. 44 e il Quartetto con pianoforte op. 47, oltre ai
Phantasiestücke op. 88 per trio con pianoforte. Nel giro di pochi mesi Schumann si confrontò
dunque con un panorama pressoché completo della musica da camera dell'epoca,
cimentandosi con il genere più elevato della tradizione (quartetto per archi) e al contempo
con le tipologie proprie delle nuove generazioni romantiche (quartetto e quintetto con
pianoforte, pezzi di carattere). Nel caso del Quartetto op. 47, che come il Quintetto op. 44
mette in luce una dialettica tra la concezione autenticamente cameristica della scrittura e la
sua virtuale proiezione orchestrale, la tecnica compositiva privilegia il contrasto e la
giustapposizione di singole sezioni conchiuse, la molteplicità e la trasformazione delle idee
tematiche, la combinazione ed elaborazione contrappuntistica (ispirata a Bach e Beethoven)
rispetto allo sviluppo lineare e organico della struttura formale.
II primo movimento si apre con un'introduzione dove gli archi suonano, a mo' di corale sui
tocchi del pianoforte, il motto (mi bemolle-sol-fa-sol-la bemolle) da cui prenderà poi avvio il
lirico primo tema dell'esposizione, condotto dal pianoforte e subito seguito da una transizione
con tema cantabile degli archi. Il pulsante secondo tema, esposto in canone, è presto
contrappuntato, in controcanto agli archi, dalla melodia del corale luterano «Wer nun den
lieben Gott läßt walten», portando così alla chiusa dell'esposizione. Inatteso è, a questo
punto, il ritorno dell'introduzione come cerniera tra esposizione e sviluppo; in quest'ultimo
Schumann elabora in imitazione il primo tema e poi anche l'idea cantabile della transizione.
L'intensificarsi del discorso musicale cresce in un climax: sul momento culminante cade
l'attacco della ripresa, con il primo tema amplificato in risonanza quasi orchestrale cui
succede la ricapitolazione della transizione e del secondo tema. Il breve corale della chiusa
dell'esposizione viene quindi esteso, prima che lo slancio di un'appassionata melodia del
violoncello derivata dal tema della transizione segni l'inizio della coda.
Nel Finale, libero intreccio di forma sonata e rondò, ritorna prepotentemente in primo piano
il contrappunto. Già il primo tema si configura come un incisivo fugato, cui segue il tema
cantabile della transizione affidato agli archi. Per una di quelle sottili relazioni allusive
caratteristiche di Schumann, il secondo tema è derivato dalla seconda variazione
dell'Andante cantabile e l'esposizione si conclude con una fugace riapparizione del tema della
transizione. Lo sviluppo si apre poi con un ampio fugato condotto sulla testa del primo tema,
che porta la tessitura cameristica a forzare i propri limiti fonici e timbrici in una dimensione
paraorchestrale, dispiegando ondate in veemente crescendo fino all'apparire di una nuova
idea contrastante derivata dal secondo tema, circolare e come avvitata su se stessa, percorsa
da enigmatici cromatismi. L'effetto è quasi quello di un Trio e prelude all'inatteso attacco
della ripresa, che presenta a sua volta alcune sorprese: cade il primo tema, del resto
ampiamente utilizzato nello sviluppo, e la ricapitolazione incomincia col tema cantabile della
transizione, che dallo sfondo passa ora, per così dire, in primo piano. Dopo il ritorno del
secondo tema, la ripresa prosegue il gioco incrociato tra sfondo e primo piano con una
ricapitolazione del fugato in grande climax. Una brusca fermata sul punto culminante non fa
che accrescere la tensione, prima che tutta l'energia accumulata possa scaricarsi nella
giubilante coda, dalla scrittura ancora una volta paraorchestrale e costruita come gli stretti di
un fugato, prima che il congedo sia lasciato al riaffiorare in primo piano del tema cantabile
della transizione.
Cesare Fertonani
1843
Andante e Variazioni
per due pianoforti, due violoncelli e corno
https://www.youtube.com/watch?v=ZZET0727LOc
https://www.youtube.com/watch?v=vz_gUsIcrXc
https://www.youtube.com/watch?v=nghrNtXSWI4
https://www.youtube.com/watch?v=KrHUznqhOg4
https://www.youtube.com/watch?v=LnO_Vzp33HY
https://www.youtube.com/watch?v=Ej1TYiN6W9c
Robert Schumann scrisse tre Trii per violino, violoncello e pianoforte: i primi due (op. 63 e
op. 80) furono composti nel 1847, il terzo (op. 110) nel 1851. La pagina di cui ci occupiamo
ora è forse la più riuscita delle tre; la sua inquietudine, la sua passione, il lirismo intenso, il
perfetto equilibrio fra i tre strumenti toccano vertici che Schumann non riuscì più a
raggiungere nei due Trii successivi.
Il movimento iniziale, Mit Energie una Leidenschaft, è scritto nella canonica forma-sonata,
basata sul contrasto-opposizione di due gruppi tematici ambientati in altrettante aree tonali
(Esposizione), sulla loro rielaborazione ritmica, armonica e tonale (Sviluppo) e sulla
ricomposizione dei contrasti nella Ripresa finale. L'Esposizione si apre con il primo tema,
ardente e appassionato, che sembra nascere dalle viscere della terra; le note del violino si
«aprono» gradualmente verso l'alto, come a cercare la luce, sopra il ribollire incessante degli
arpeggi del pianoforte. È la cifra della «passione» romantica schumanniana, che abbiamo
tante volte udito nelle sue composizioni pianistiche. Il magma sonoro viene poi spezzato da
una efficace transizione basata sui secchi accordi in ritmo puntato del pianoforte: è la
preparazione al secondo tema, in fa maggiore, più cantabile ma simile al primo nello slancio
ascendente. Un'ampia coda, dove sopra gli ondulanti arpeggi del pianoforte si colgono
frammenti motivici del primo tema, chiude l'Esposizione e apre, con molta naturalezza, senza
cesure cadenzali, la sezione di Sviluppo. Le prime tre parti sono piuttosto convenzionali, dal
momento che si limitano essenzialmente a rielaborare spunti motivici tratti dai due temi
principali; il «poeta» Schumann riappare nella quarta sezione dello Sviluppo quando, dopo
una pausa con corona, udiamo un motivo nuovo, straordinario per timbro e colore, esposto
dal violoncello e dal violino Am steg (al ponticello, sfruttando cioè i suoni armonici dei due
strumenti) e sorretto dagli accordi in pianissimo del pianoforte, per il quale Schumann
prescrive l'uso del pedale del piano (detto anche «una corda» perché, abbassandolo,
l'esecutore permette al martelletto di percuotere soltanto una delle due o tre corde previste
per ogni nota della tastiera). È un momento magico, notturno, quasi impalpabile, una raggio
di luce divina che illumina per un attimo le angosce e le passioni umane.
Riprendere il filo del discorso musicale, dopo questo momento di quasi innaturale
sospensione delle emozioni, non è cosa facile; la restante porzione dello Sviluppo perde
infatti parte della sua veemenza ritmica e del suo slancio battagliero. Anzi, nella calda
tonalità di re bemolle maggiore, ritornano brevemente le atmosfere della quarta sezione dello
Sviluppo, prima dì venir travolte dallo slancio del primo tema. La Ripresa si svolge parallela
all'Esposizione ma vi aggiunge una coda nella quale, non poteva essere altrimenti,
riascoltiamo il motivo della quarta sezione dello Sviluppo, ora mormorato in delicati accordi
pianissimo dal pianoforte.
Il movimento successivo è uno Scherzo in fa maggiore (Lebhaft, doch nìcht zu rasch), dove
dominano i ritmi ben scanditi del pianoforte e le gioiose cavalcate ascendenti degli archi. Da
sottolineare l'impeto ritmico, che si evidenzia nei numerosi accordi sforzati (pianoforte) e nel
caratteristico ritmo puntato (violino e violoncello). Il Trio centrale, come di norma, presenta
un carattere più melodico e delicato che crea un forte contrasto con lo Scherzo precedente:
l'idea melodica principale viene esposta in successione dai tre strumenti (pianoforte,
violoncello, poi violino) in una specie di canone a tre voci sopra il lungo pedale di fa del
pianoforte. È l'idea della «staticità» in musica, in contrasto con la grande «dinamicità» dello
Scherzo.
Il movimento lento (Langsam, mit inniger Empfindung) è strutturato nella canonica forma A-
B-A: la parte A, in la minore, è un bell'esempio di liricità schumanniana, scarna, tesa, quasi
dolorosa; timbricamente la pagina è tutta giocata sui registri medio-gravi del violino e del
pianoforte (quest'ultimo suona sempre col pedale «una corda»), mentre il violoncello si
avventura nelle regioni acute, creando un effetto sonoro complessivo straniante, quasi
allucinato. La parte B, invece, nel tono di fa maggiore, si «apre» verso l'alto e offre ai due
archi la possibilità di duellare amabilmente sopra le terzine in accordi del pianoforte: il
contrasto con la sezione precedente è volutamente molto forte. Tipicamente schumanniana
infine è la relazione tonale di sesta fra le due sezioni (la minore-fa maggiore): il carattere
quasi angoscioso della tonalità in minore viene in parte mitigato, nella sezione centrale, da
quallo più aperto e solare del fa maggiore.
Il finale, Mit Feuer, è un'altra pagina che ci riporta al periodo delle opere pianistiche di
Schumann. È il pianoforte infatti a condurre il gioco, a trascinare con entusiasmo violino e
violoncello attraverso motivi pieni di gioia di vivere, di serenità ritrovata dopo i dubbi e le
riflessioni dei movimenti precedenti. Il discorso musicale scivola via serrato ed efficace, i
temi si susseguono con naturalezza, i numerosi cambi tonali non disturbano affatto la
percezione della continuità che riesce ad ottenere Schumann da sua musica. Il primo tema,
vero e proprio protagonista assoluto del movimento, esplode subito, senza preamboli, nel
pianoforte (re maggiore) e subito trascina gli archi in un vorticoso passaggio in terzine, che
funge da transizione verso una nuova tonalità (fa maggiore), nella quale riascoltiamo il primo
tema, ora presentato anche dal violino. La seconda idea tematica è l'immagine della raggiunta
serenità: una semplice linea discendente presentata dal violoncello e raddoppiata in ottave
spezzate dal pianoforte. Un ampio episodio di Sviluppo elabora i materiali fin qui uditi, ma
non è in questa sezione che l'ascoltatore riporrà la sua attenzione e il suo interesse; stiamo
infatti tutti aspettando il ritorno trionfale del tema principale nella tonalità d'impianto, la
ripresa del secondo tema e la travolgente galoppata conclusiva verso la felicità.
Alessandro De Bei
Nella musica da camera, e quindi nei tre Trii per violino, violoncello e pianoforte op. 63, op.
80 e op. 110, oltre naturalmente che nella produzione liederistica, Schumann esprime forse
meglio che altrove quel dèmone interiore fatto di pulsazioni del suo inconscio, in cui si
riflettono i vari stati d'animo dell'artista, secondo un modo di sentire che fu tipico del
compositore romantico. Non più una visione classicistica e razionale dell'arte, ma una
successione di sensazioni e di sentimenti dettati dall'esigenza creativa del momento, pur nel
rispetto di un linguaggio che ubbidisce ad una forma e ad una architettura sonora, estranea al
gioco e al passatempo puramente edonistico. In tal senso Madame de Staël seppe riassumere
in modo esemplare l'atteggiamento dei romantici di fronte al fenomeno musicale, quando
scrisse: «Di tutte le belle arti la musica è quella che agisce più immediatamente sull'animo.
Le altre arti ci indirizzano verso questa o quell'altra idea; soltanto la musica attinge alla
sorgente ìntima dell'esistenza e muta radicalmente la nostra disposizione intcriore...
Ascoltando suoni puri e deliziosi siamo pronti a cogliere il segreto del Creatore e a penetrare
il mistero della vita. Nessuna parola può esprimere questa impressione, perché le parole
derivano dalle impressioni originarie come quelle dei traduttori sulle orme dei poeti.
L'indeterminatezza della musica si presta a tutti i movimenti dell'anima ed ognuno crede di
ritrovare in una melodia, come nell'astro puro e tranquillo della notte, l'immagine di ciò che
desidera su questa terra». Ora, lo Schumann cameristico sembra scavare all'interno stesso
della musica per cogliere quegli elementi più intimistici e segreti della propria sensibilità, tra
slanci e ripiegamenti, tra improvvise accensioni della fantasia e rapidi mutamenti psicologici,
per comunicare agli altri sentimenti ed emozioni, nella ricerca di autentici valori espressivi
contro il virtuosismo, il facile effetto e la superficialità.
Il tema iniziale del Trio in re minore indicato eloquentemente in partitura "Mit Energie und
Leidenschaft" ha una densità drammatica e una tensione espressiva rivelatrice di uno stato
d'animo preoccupato. Un breve passaggio di accordi puntati conduce al secondo tema
affidato al pianoforte su un discorso cromatico molto vivace, intessuto tra il violoncello e il
pianoforte e poi tra il violino e il violoncello. Ad un certo punto tutto si placa e si ode come
un lontano carillon dalle armonie consolatrici, prodotto dal registro acuto del pianoforte e
unito al suono sul ponticello degli archi. La calma è solo momentanea, perché ritorna più
ansiosa ed esagitata l'atmosfera psicologica precedente, prima del violento e secco accordo
conclusivo. Il secondo tempo (Lebhaft, dock nicht zu rasch) rivela un senso di inquietudine
con il suo ritmo conciso e tagliente, tra movimenti ascendenti e discendenti. Ad un certo
punto il quadro cambia e nel terzo tempo il violino espone un tema doloroso e desolato,
sorretto nel registro grave dal pianoforte in un gioco di armonie delicate ed evanescenti.
Segue un ammirevole duetto tra il violino e il violoncello, mentre la metrica del pianoforte si
fa più sottilmente fluttuante, in una visione da notturno romantico. Questo episodio sfocia in
un passaggio più animato nella tonalità di la maggiore: il violino espone una melodia
cantabile, contrappuntata dalle voci del violoncello e del pianoforte. Nell'ultimo tempo il
tema esplode come in un inno di vittoria e acquista robustezza ed entusiasmo; pianoforte e
archi si richiamano tra di loro con accenti di giubilo e di gioia. Non mancano spunti
contrappuntistici e ripetizioni (queste ultime rimproverate a Schumann sin dal primo
momento dalla critica), ma non si può negare a questo finale una spontaneità e irruenza
espressiva di notevole efficacia emotiva, che forse non troverà il suo equivalente se non
trent'anni più tardi nel Quintetto in fa minore per pianoforte e archi di César FrancK.
70 1849
https://www.youtube.com/watch?v=ojybWTpPTEY
https://www.youtube.com/watch?v=skwF4e0-_IY
Potremmo attribuire all'opera 70 di Schumann il sapore e il valore di una vigilia. Prima parte
di un anno - il 1849 - densissimo di opere e di eventi, giocati in positivo. La seconda parte
sarà sconvolta, per le strade di Dresda, dalle barricate; e, nella mente del musicista, dalle
visioni allucinate di Faust e Mefistofele, di Manfred, di Mignon e dell'Arpista. Ma il 14
febbraio di quell'anno, in un solo giorno, usciva di getto questa mirabile opera destinata
originariamente al corno "moderno", con le chiavi, in fa: sul manoscritto il titolo era infatti
Romanze und Allegro für Klavier und Horn. Nell'edizione, uscita da Kistner di Lipsia il
successivo agosto, il titolo diventò: Adagio und Allegro für Klavier und Horn, bzw. Oboe,
Vìolin und Cello.
D'altro lato l'indicazione "bzw." (rispettivamente), che nelle edizioni italiane corrisponde a un
nostro più semplice "oppure", non va intesa come una semplice astuzia da editore: ne è
riprova il fatto che la prima esecuzione di quest'opera avvenne nel gennaio seguente con il
violino (Franz Schubert) e Clara Schumann al pianoforte.
L'uso del violoncello risulta particolarmente felice nell'Adagio, che porta l'indicazione
«Langsam, mit innigem Ausdruck» (Lento con intima espressività). È stato giustamente
osservato che l'ampiezza e l'eloquenza della melodia di quest'Adagio ricorda l'enorme
campata cantabile dell'Adagio sostenuto della Seconda Sinfonia, cioè uno dei vertici, prima
del Tristano, della funzione melodica nella musica romantica.
Anche nel tempo rapido il violoncello sembra molto ben esprimere almeno due delle tre
qualità che Clara indicava in questa Sonata, secondo lei "superba, fresca, appassionata"; tanto
più che nell'Allegro («Rasch und feurig», rapido e con fuoco) si apre improvvisamente uno
spazio cantabile in un Intermezzo che si ricollega alla grande melodia dell'Adagio.
Il "sapore di una vigilia", dicevo. Forse anche nel senso che gli anni futuri non daranno a
Schumann molto più spazio per questa vena felice ed espansa.
Guido Salvetti
L'adattabilità a vari strumenti accompagna l'Adagio e Allegro per corno e pianoforte op. 70,
scritto due giorni dopo i 3 Phantasiestücke, il 14 febbraio, e completato nella giornata del 17.
Questo brano, infatti, si ascolta spesso con altri strumenti solisti (soprattutto oboe, violino e
violoncello) fin da quando Clara Schumann, il 26 gennaio del 1850 a Dresda, ne diede la
prima esecuzione pubblica insieme al violinista Franz Schubert (un curioso caso di omonimia
con il grande compositore viennese, morto da ventidue anni). Ma già molti mesi prima, il 2
marzo del 1849, Clara aveva fatto ascoltare al marito il suo nuovo lavoro in privato, insieme
al cornista della Hofkapelle, Schlitterlau, che era anche suo copista.
In quel peiodo Schumann era notevolmente interessato al nuovo corno in fa a tre pistoni che
era stato introdotto in Germania pochi anni prima da Uhlmann. E infatti il 18 febbraio del
1849, solamente un giorno dopo aver completato l'Adagio e Allegro op. 70, si mise a lavorare
al formidabile Konzertstück für vier Ventilhörner (Pezzo da concerto per quattro corni a
pistoni), vero e proprio Concerto per quattro corni e orchestra. Anche nell'Adagio e Allegro,
pur nelle sue atmosfere più serenamente domestiche, Schumann sperimenta a fondo le risorse
tecniche ed espressive del nuovo strumento (che ha qui una delle primissime pagine
importanti del suo repertorio solistico), utilizzandolo, praticamente senza interruzioni, in un
ambito estremamente ampio di tre ottave e mezza. Il brano, intitolato sul manoscritto
originale Romanza e Allegro, è aperto da un intenso e poetico Adagio che sfocia in un
trascinante ed euforico Allegro; la ricomparsa in esso di momenti dal tono più meditativo fa
emergere per contrasto l'esaltata concitazione delle pagine finali e il pezzo si chiude con
quello stesso slancio romantico che anima il Konzerstück per quattro corni iniziato da
Schumann poche ore dopo aver scritto le ultime note di questo Adagio e Allegro.
Carlo Cavalletti
73 1849
https://www.youtube.com/watch?v=UhysVqKmekQ
https://www.youtube.com/watch?v=k5lbypWu-iw
I Phantasiestücke opera 73 furono scritti da Schumann nel 1849, anno che fu considerato dal
compositore fra i più fecondi della propria esistenza, e che fu l'ultimo da lui trascorso a
Dresda (con la significativa pausa della "fuga" nella tranquilla campagna di Kreisha, per
evitare i moti insurrezionali che nel frattempo vedevano Wagner e Bakunin sulle barricate
della cittadina sassone). Proprio rispetto al grigio clima culturale di Dresda, che in
precedenza aveva assai negativamente influito sulla creatività dell'autore, i brani in
programma rappresentano un tentativo di evasione, realizzato con la complicità degli amici
della locale orchestra di corte.
Arrigo Quattrocchi
80 1847
https://www.youtube.com/watch?v=eLKy0UGDfwM
https://www.youtube.com/watch?v=X8CpXuecIWw
https://www.youtube.com/watch?v=3gCJZg3A7XA
I Trii di Schumann sono collocati da Alfred Einstein tra le composizioni che manifestano più
chiaramente la decadenza, o, il prevalere di Maestro Raro nella triplice incarnazione con
Florestan ed Eusebius della facoltà creativa schumanniana; giudizio che, secondo
l'orientamento della fondamentale opera dell'Einstein sul romanticismo musicale, non vuol
tanto significare un apprezzamento critico quanto un riconosciménto del prevalere, in
Schumann, di strutture maggiórmente improntate a procedimenti tecnici tradizionali, rispetto
all'impeto «giovanile ed immortale» dei primi ventitrè numeri d'opus pianistici che, ancora
secondo Einstein, avrebbero assicurato al maestro di Zwickau l'immagine di uno Shelley
della musica, se non avesse sorpassato il trentacinquesimo anno di età.
Il Trio op. 80, gemello dell'opus 63 quanto all'anno di composizione, il 1847 che segnò lo
spegnersi delle aspirazioni di Schumann ad abbandonare Dresda per stabilirsi a Vienna, tre
anni dopo aver traslocato da Lipsia, segna uno dei tentativi più elaborati di trasformare
dall'interno la struttura beethoveniaria con la quale ogni romantico, salvo il tetragono
Chopin, ebbe a misurarsi: appartiene a quel genere di musica destinata, non che agli amatori,
ai musicisti.
Nel terzo movimento del Trio, la caratteristica sintattica prevalente è, in un clima tonale più
definito ohe negli altri movimenti, ancora una volta la figurazione asimmetrica annunciata
dal pianoforte fin dalla prima battuta, alla quale corrisponde l'arpeggio violinistico, poi
condiviso dai partners, acefalo sul tempo forte, ambedue distribuiti con efficacia estatica
nella coda, e con quella sagacia contrappuntistica il cui trionfo si celebra nel movimento
finale, dove al pianoforte è delegata, con la prevalenza fonica, la rimembranza del giovane
Schumann.
88 1842
Phantasiestücke
Trio per violino, violoncello e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=W_xMM4qxF1w
https://www.youtube.com/watch?v=yDhaBzuz8c8
94 1849
https://www.youtube.com/watch?v=aOGvHTXY2Us
https://www.youtube.com/watch?v=P3515WvykU8
https://www.youtube.com/watch?v=8ueejhbKBjo
Un dono di Natale per Clara, mentre si chiudeva il 1849, anno grande per il compositore. E si
apriva, dopo il fallimento dei moti del 1848, un nuovo periodo per la Germania: l'eroismo
romantico avrebbe ceduto il passo ad una più confortevole Gomütlickeit, e quella
machtgeschütze Innerlichkeit (intimità protetta dal potere) non sgradita al cancelliere
Bismarck.
A differenza di Wagner, Schumann non era mai salito sulle barricate: «Odio tutto ciò che non
nasce da un intimo impulso di vita» aveva scritto nel Diario, confermando la propria
estraneità alle utopie dei giovani universitari tedeschi, da lui frequentati durante gli studi, mai
completati, alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Lipsia.
Soggettività come centro del mondo, o almeno del proprio universo espressivo. Aveva scritto
Friedrich Schlegel: «Romanticismo è ciò che ci rappresenta un contenuto sentimentale in una
forma fantastica». Mutando i tempi e le attese, l'intimismo fatalmente diventerà (fino a
quando?) un pò meno sensibile alle pulsioni dello spirito, un pò di più alle tentazioni
casalinghe.
Nelle tre Romanze dell'opera 94, protagonista è il timbro, così nobilmente "casalingo",
davvero "grato all'udito" dell'oboe: trattasi, naturalmente, dell'orecchio dell'anima, al quale
talvolta non dispiace accomodarsi in pantofole.
Ad libitum, suggerisce Schumann, lo strumento può essere sostituito dal violino o dal
clarinetto, ma la vittoria l'oboe l'ha conquistata sul campo. Perché traccia, con la sua
penetrante discrezione, le divagazioni melodiche, perché riempie, come in un Lied, del
proprio canto lo spazio, perché «rappresenta un contenuto sentimentale in una forma
fantastica». Perché rende compiutamente l'idea della Romanza, composizione che non aspira
ad una forma forte e grande, piuttosto a non tradire il carattere amoroso. Essenziali le
indicazioni per i tre movimenti: Nicht schnell (Non veloce) per il primo e il terzo, Einfach,
innig (Semplice, intimo) per il secondo.
L'unità dell'opera si costituisce nell'intensità del dialogo tra i due solisti; un colloquio che
conosce un fitto, continuo lavorìo di variazioni, sommesse ma percepibili; mutano, all'interno
delle frasi diatoniche, gli intervalli, i rapporti tra le voci, i loro colori, ma non si allenta la
seduzione del racconto, che non avverte la necessità di un cammino, di una meta per
persuadere. «Non sono certo un pensatore, - aveva scritto da ragazzo - non riesco mai a
proseguire logicamente il filo di un buon pensiero... Fantasia, credo di averne».
Sandro Cappelletto
Con le Romanze op. 94 facciamo un passo indietro fino al 1849, anno particolarmente felice
nella vita tormentata di Schumann. Si tratta di tre piccole composizioni dalla forma tripartita
(A-B-A) e dal carattere delicato e quasi salottiero; dalla malinconia della prima si passa alla
serenità e all'incanto melodico della seconda per finire col mistero quasi magico della terza.
Scritte per oboe, violino o clarinetto, vengono talvolta eseguite anche col violoncello.
Alessandro De Beiìì
102 1849
https://www.youtube.com/watch?v=uKpAyvZTWSs
https://www.youtube.com/watch?v=DrVQ6ACkA5Y
https://www.youtube.com/watch?v=w66dy6Ogqv4
Nel periodo che va dal 1842 al 1853 Schumann scrisse molte composizioni da camera, a
cominciare dai tre Quartetti per archi op. 41 dedicati a Mendelssohn per finire con i quattro
pezzi op. 113 per viola e pianoforte Märchenbilder, recanti la data 1851, e i
Märchenerzählungen op. 132 per clarinetto e pianoforte, senza contare la Sonata per violino e
pianoforte elaborata in collaborazione con Brahms e Dietrich, la celebre F.A.E. Sonate,
l'Adagio e Allegro op. 70 per pianoforte e violoncello o corno, i Phantasiestücke op. 73 per
pianoforte, clarinetto, violino o violoncello, e i Cinque pezzi in stile popolare op. 102 (Fünf
Stücke im Volkston) per violoncello e pianoforte, composti nel 1849. Si tratta di uno
Schumann di straordinario fascino espressivo e già largamente noto per aver dato il meglio di
sé nei Lieder e nei lavori pianistici, specie nei Papillons op. 2, nel Carnaval op. 9, nei
Phantasiestücke op. 12, negli Studi sinfonici op. 13 e nella Kreisleriana op. 16.
In questa produzione cameristica per uno o più strumenti il musicista dispiega ugualmente il
suo temperamento romantico accesamente vivace e fantasioso, senza dimenticare
quell'intimismo psicologico e tormentato, così tipico di certe pagine scritte tutte d'un fiato e
con una freschezza inventiva dallo stile inconfondibilmente personale. Mentre nelle opere 70
e 73 il rapporto tra il violoncello e gli altri strumenti è in un certo senso paritetico, nei Cinque
pezzi in stile popolare lo strumento solista ha un ruolo dominante rispetto al pianoforte. Nel
primo movimento (Mit Uumor) Schumann si richiama al tema di una brillante polka boema,
ascoltata probabilmente a Lipsia da alcuni musicisti girovaghi. In testa al brano il
compositore ha scritto la citazione biblica «vanitas vanitatum», forse per indicare che ogni
sentimento, anche il più allegro, svanisce e si dissolve. Il Lento successivo ha un carattere
puramente lirico e va annoverato certamente tra le più belle ispirazioni poetiche del
compositore. Una irregolarità metrica si avverte nella configurazione del primo tema (sette al
posto delle abituali otto misure) ed anche all'inizio del movimento seguente (Nicht schnell),
somigliante ad una romanza senza parole, evocante un clima di berceuse. I due movimenti
finali sono delle danze stilizzate: il primo di carattere rusticano e il secondo simile ad una
estrosa tarantella, indicata da Schumann come vigorosa e fortemente accentuata (Stark und
markiert). La sezione centrale del tempo Nicht zu rasch (Non troppo veloce) si richiama con i
suoi slanci appassionati e ardenti allo spirito musicale dei Phantasiestücke op. 73 che, come
l'op. 102, si attengono allo schema A-B-A più la coda, usata spesso da Mendelssohn nelle sue
celebri Romanze senza parole.
Carlo Cavalletti
Composti fra il 15 e il 17 aprile 1849 - dunque poche settimane prima della fuga di
Schumann da Dresda verso la tranquilla campagna di Kreisha, per evitare i moti
insurrezionali che coinvolgevano, oltre la città, l'Europa intera, i Fünf Stücke im Volkston
rappresentano un tentativo di evasione dal grigio clima culturale di Dresda, che aveva così
negativamente influito sulla creatività dell'autore. Questi brani infatti erano destinati a un
consumo privato, a quella pratica della "Hausmusik" (musica casalinga) che tanta importanza
rivestiva nella vita musicale tedesca. Occorre dunque rifarsi alle esigenze del "far musica
insieme" per comprendere la limitata estensione di queste composizioni, la cordialità, del
loro contenuto, il fatto stesso che siano destinate ad libitum al violoncello o al violino (ma
preferibilmente al primo; la dedica è al violoncellista Grabau di Lipsia), a seconda della
disponibilità degli invitati per una riunione musicale.
Tutto ciò non vuol dire beninteso che i Fünf Stücke siano stati scritti dalla mano di un
compositore distratto; in questi brani anzi ritroviamo la propensione di Schumann per la
miniatura, e la sua tendenza ad organizzare le miniature in un ciclo compiuto (come indicano
già lo schema tonale dei brani e il loro carattere: la minore, veloce; fa maggiore, lento; la
minore, lento; re maggiore, veloce; la minore, veloce). Inoltre è interessante l'impiego, già
implicito nel titolo, di melodie dal carattere popolare, impiego che fa di Schumann un
precursore di quella tendenza, tipica dello musica mitteleuropea della seconda metà del
secolo, a scoprire e interpretare le culture popolari, anche se in un'ottica comunque travisata.
Il lirismo nostalgico dei cinque brani si fonda principalmente sul ruolo cantabile del
violoncello, discretamente accompagnato da un pianoforte che solo a tratti si impegna in una
funzione più discorsiva. Il n. 1, "Vanitas vanitatum", propone una energica melodia dal
sapore slavo, il n. 2 è invece una tenera berceuse, dall'inconsueto fraseggio di sette battute;
nel n. 3 all'andamento un poco rapsodico dell'incipit si contrappone il carattere elegiaco della
sezione interna. Dopo il n. 4, in stile di ballata, l'ultimo brano chiude ciclicamente la raccolta,
riallacciandosi al primo per tonalità e ambientazione espressiva.
Arrigo Quattrocchi
105 1851
https://www.youtube.com/watch?v=vWNF2t6rXhk
https://www.youtube.com/watch?v=9klbiQw79GU
https://www.youtube.com/watch?v=vsfEX-sUt0s
Schumann affrontò il problema della composizione cameristica soltanto nel 1842 con i tre
Quartetti op. 41, scritti con grande maestria strumentale, pur tenendo presente naturalmente
l'esempio beethoveniano. Tale esperienza determinò una profonda riflessione nell'artista,
educatosi fino allora quasi esclusivamente sul pianoforte, strumento preferito per l'ideazione
melodica aforistica e per la creazione della stupenda fioritura di Lieder, coltivati sulla scia
dell'eredità schubertiana. Egli considerò la musica da camera, non legata necessariamente a
riferimenti letterari, la più pura e la più severa sotto il profilo formale, anche se in questo
"genere" musicale l'acceso spirito romantico schumanniano non perde quella freschezza e
naturalezza d'inventiva e quella Sehnsucht tra passione e malinconia che è il tratto
fondamentale della personalità di questo compositore. Una tesi, però, non pienamente
condivisa dal violinista Joseph Joachim, il quale notò una netta differenza stilistica tra lo
Schumann pianistico e lo Schumann cameristico, reso più tormentato nell'ultimo periodo
della sua vita trascorsa a Düsseldorf tra ricorrenti crisi nervose e depressive.
In questo difficile momento si collocano le due Sonate per violino e pianoforte op. 105 e op.
121, scritte da Schumann nell'autunno 1851 per mostrarsi, come disse l'autore, nella migliore
luce al mondo musicale e offrire una sintesi del suo ideale di musica concertante. Certamente
nelle due composizioni viene rispettata la pura forma classica della Sonata con un richiamo
dei temi da un movimento all'altro (ad esempio, la frase iniziale dell'op. 105 si riaffaccia
nell'ultimo tempo), in una equilibrata fusione tra aspetti melodici e ritmici. In esse si avverte
con indubbia chiarezza quel modo di comporre tipico di Schumann, che è fatto di slanci
ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze, di introspezioni psicologiche e
di sogni fantastici venati di poesia romantica. Anche in questi lavori è presente la doppia
anima di Schumann svelata nei personaggi del malinconico Eusebio (specie nella Sonata in la
minore), e dall'appassionato Florestano (soprattutto nella Sonata in re minore), già a suo
tempo simbolicamente descritti nei pianistici Davidsbündler, la lega dei fratelli di David,
rivolta ad abbattere e sconfiggere il filisteismo e la mediocrità nell'arte.
La prima Sonata in la minore per violino e pianoforte è più succinta e raccolta rispetto alla
seconda in re minore, definita anche "Grosse Sonate" per l'ampiezza e la grandiosità della
struttura, e si distingue per il suo afflato romantico, sin dal tema iniziale espresso dal violino
con morbidezza di accento e senza enfasi. Il tema viene elaborato e traduce con particolare
efficacia quella tensione interiore, che si esprime tra volontà e dubbio, caratteristica della
sensibilità schumanniana. Il violino ritorna più volte sulla stessa frase, quasi a riaffermare
con forza il significato in positivo contenuto nella stupenda melodia. Più lirico e distensivo si
presenta l'Allegretto centrale con il violino in primo piano in un gioco di armonie cantabili e
meditative, frammiste ad un trapunto di note leggere e ariose. Nel tempo vivace finale spicca
l'inquietudine e la veemenza emotiva del discorso sonoro: il violino e il pianoforte sembrano
lanciarsi in una folle corsa in cui si delinea l'insoddisfazione e la crisi interna del
compositore, di fronte alle sue aspirazioni ideali.
Ennio Melchiorre
All'inizio di settembre del 1850 Schumann si trasferisce con la famiglia a Düsseldorf per
assumere l'incarico di direttore musicale. Gli obblighi del nuovo ufficio lo vedono impegnato
nella direzione dell'orchestra e del coro nonché nella produzione di musica sinfonica e corale.
In mezzo a questi grandiosi progetti Schumann ritorna anche alla musica da camera, un
repertorio non più coltivato dopo i due Trii con pianoforte del 1847. Adesso a 41 anni si
cimenta per la prima volta col genere della Sonata per violino e pianoforte. Schumann ne
scrive complessivamente tre: oltre alle due qui presentate, la terza (WoO 27) del 1853 è la
sua ultima composizione da camera. Stilisticamente le Sonate per violino sono opere
rappresentative del suo ultimo periodo creativo. Le caratteristiche di questo stile si possono
così riassumere: riduzione al minimo del materiale tematico e sua circolarltà con la
conseguente tendenza al monotematismo; sviluppo di molteplici figurazioni tematiche da
nuclei intervallari di base che si ritrovano nei diversi movimenti; forma il più possibile
concisa; complessità delle relazioni armoniche; un tono che tende spesso al cupo o al
melanconico e rassegnato.
La Sonata in la minore op. 105 (composta dal 12 al 16 settembre 1851) colpì subito Clara che
afferma di esserne stata letteralmente «incantata e commossa» sin dalla prima lettura. Il
primo movimento, Mit leidenschaftlichem Ausdruck (Con appassionata espressione
appassionata), in forma sonata, inizia con un tema sincopato in 6/8, una melodia inquieta e
appassionata che è alla base di quasi tutto il materiale motivico del primo movimento; a essa
segue un'ampia transizione modulante alla relativa maggiore che sembrerebbe dover portare
al secondo tema, ma invece abbiamo solo un frammento, un accenno di melodia che,
nell'andamento ritmico e intervallare, riprende il primo tema per concludere l'Esposizione
con un'idea motivica che è la trasposizione alla relativa maggiore della transizione. Lo
Sviluppo prende le mosse dal primo tema, il cui attacco risuona singolarmente alla tonica e
prosegue con una mirabile elaborazione del tema medesimo. Alla fine dello Sviluppo
un'ampia progressione ascendente riconduce alla tonalità di la minore e alla Ripresa con la
riesposizione del tema principale. La transizione, quasi letterale trasposizione di quella
dell'Esposizione, riafferma la tonica mutandone il modo da minore in maggiore; riappare
quindi il motivo secondario e infine la coda: ritorna ossessivo l'attacco del tema principale,
una sorta di perorazione finale prima che il violino si lanci su delle rapide e brillanti
figurazioni cadenzali.
Il terzo movimento, Lebhaft (Allegro), in forma sonata, presenta un tema principale costituito
da una lunga figurazione di sedicesimi, di carattere spiccatamente motorio, (quasi un
perpetuum mobile) in scrittura imitativa tra il pianoforte e il violino. Senza alcuna battuta di
transizione si passa al secondo tema, un motivo squadrato e scandito ritmicamente
dall'accompagnamento pianistico. L'Esposizione si chiude con una breve sezione conclusiva
dove ritorna frammentato il tema iniziale. Lo Sviluppo, articolato in tre parti, vede nella
prima e nella terza riapparire spunti del primo e del secondo tema, mentre quella centrale, in
mi maggiore, è basata su una nuova idea, una melodia distesa e cantabile, che interrompe per
alcuni momenti la concitazione motoria del movimento, anche se l'attacco del tema
principale fa qua e là capolino nell'accompagnamento pianistico. La Ripresa vede nell'ordine
riesposti il primo e il secondo tema. Nella coda ricompare l'attacco del tema del primo
movimento, ma, dopo qualche battuta, cede nuovamente al turbinoso movimento motorio che
conclude la sonata.
Nino Schilirò
Nel 1849 Schumann lasciava Dresda e andava a stabilirsi a Düsseldorf come direttore dei
concerti della società corale, carica che non doveva procurargli grandi soddisfazioni; né,
d'altra parte, egli sembrò darne molte ai dirigenti musicali e al pubblico della città renana,
stante le sue non eccezionali doti di capo d'orchestra e di coro. Ciò non tolse che nei primi
anni della nuova residenza la sua attività creatrice fosse intensa, e anzi contrassegnata da
opere annoverate tra i capolavori. Basterà citare il Trio op. 110, la Sinfonia n. 3 «Renana», il
Concerto per violoncello, il Manfredi, moltissimi Lieder e le due Sonate per violino:
composizioni scritte tutte tra il 1850 e il '51. Anzi, le due Sonate per violino sono quasi
gemelle (1851), sebbene quella oggi eseguita, l'op. 105, in la minore detenga la palma
rispetto alla Grande Sonata op. 121 in re minore. Si tratta infatti di un'opera dove il dissidio,
per dirla in breve fantasia romantica-forma classica, che bene spesso travaglia lo stile
compositivo schumanniano, si risolve a tutto tondo, senza residui di sorta. La traiettoria dello
slancio creativo si mantiene tersa, netta e procede con estrema scioltezza. Anche in virtù
della parsimonia dei mezzi d'impianto e l'economia degli sviluppi. Il primo movimento è
sostanzialmente tutto stretto a un unico pensiero, a un unico tema. Segue un Allegretto che
procede per sezioni melodiche precise di 8 o 16 battute; ma si faccia caso come, tra l'una e
l'altra sezione, il filo sia elegantemente annodato e come, ogni volta, il nodo giunga diverso.
Un esempio, questo Allegretto, nello stesso Schumann forse insuperato, di amorevole e
amorosa concordia dialogante di due strumenti. L'ultimo movimento ha, sopra tutti, un
elemento che dà motivo e misura alla sua bellezza: la continua contrapposizione tra piccoli
blocchi con pedale armonico al pianoforte e altri, invece, estremamente modulati, con mobile
ed espressivo cammino del basso. Ne risulta un variatissimo gioco di incidenti, di incontri, di
rilanci del violino con il pianoforte, e viceversa; quasi tutti improntati a una freschissima
grazia che però qualche addensarsi e svanire d'ombra, qualche palpito armonico colorano di
quella spiritualità inquieta e vibrante - insomma romantica - ch'è il proprio, anche qui, di
Schumann.
Giorgio Graziosi
110 1851
https://www.youtube.com/watch?v=BXzpnWECNn0
https://www.youtube.com/watch?v=uUZ4S28FCgk
https://www.youtube.com/watch?v=ei8C-_z28Rs
Bewegt, doch nicht zu rasch (sol minore - sol maggiore - sol minore)
Ziemlich langsam (mi bemolle maggiore). Etwas bewegter (do minore). Tempo I
Rasch (do minore). Etwas Zuruckhaltend bis zum langsameren Tempo (do maggiore).
Tempo I
Kraftig, mit Humor (sol maggiore - sol minore - sol maggiore)
Düsseldorf, nella serena regione del Reno, fu l'ultima residenza tranquilla della famiglia
Schumann; Robert, in seguito alla rinuncia di Hiller, venne nominato direttore della locale
orchestra. Furono anche gli ultimi anni, tra il 1851 e il 1853, dell'attività che vide nascere le
grandi ouvertures, le Sonate per la gioventù op. 118, la Messa e il Requiem, Il pellegrinaggio
della rosa e, soprattutto, le due Sonate per violino e pianoforte, e la Sinfonia n. 4.
A queste tre ultime composizioni, il Trio op. 110 è singolarmente vicino, al punto di
contenere nel terzo movimento il tema del Vivace nel primo tempo della Quarta. Il tono
generale sembra rifarsi all'impetuosa bellezza dei temi giovanili per pianoforte: volante
l'apertura del primo movimento col tema che nasce, come un discorso già iniziato, un cenno
d'intesa all'ascoltatore, sulla settima del sesto grado nella tonalità preannunciata dal
pianoforte (sol minore), mentre è ancora il violino a prospettare la seconda idea, di carattere
liricamente disteso. Caratteristico, del primo movimento, l'instancabile circolare del tema
principale attraverso le mutazioni armoniche e timbriche, quasi senza un apprezzabile
contrasto, o sviluppo, con l'alternativa, e il suo intensificarsi nella stretta conclusiva.
Claudio Casini
113 1851
Märchenbilder
Quattro pezzi per viola e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=coBlsuqiE8A
https://www.youtube.com/watch?v=DUwntDEgi6Q
https://www.youtube.com/watch?v=W-KLxUmKsrU
In particolare nei Märchenbilder, che possono essere suonati anche per violino e pianoforte,
si ritrova lo spirito delle «storie fantastiche» di gusto tedesco, ricche di simboli e di allegorie
legate alle leggende popolari, raccolte e valorizzate in letteratura dai vari Eichendorff, Tieck
e Novalis, i quali sostenevano che i loro racconti erano semplicemente dei sogni, simboli di
un mondo proiettato verso una ideale armonia celeste. Ciò che conta in questi racconti
letterari è l'atmosfera poetica misteriosamente evocata, quasi in un rapporto medianico tra
l'individuo e la natura; ugualmente nei Märchenbilder schumanniani è la magìa del suono
realizzata in ogni sua sfaccettatura a determinare l'essenza espressiva della composizione.
In ciascuno dei quattro tempi sono puntualizzati stati d'animo diversi - intimo e pensoso nel
primo e nell'ultimo, popolaresco ed estroso nel secondo, fremente e sentimentale nel terzo -
fusi e amalgamati nello stesso «cemento» di evocazione immaginaria al di fuori della realtà.
Sono quattro momenti o miniature musicali che vanno apprezzati per la loro purezza e
delicatezza inventiva, cogliendo l'attimo magicamente fissato nella frase melodica e senza
voler trovare ad ogni costo un nesso logico che ne spezzerebbe l'incanto e ne dissolverebbe il
penetrante profumo.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
121 1851
https://www.youtube.com/watch?v=ypB0sU_x5Bo
https://www.youtube.com/watch?v=QieqJ4_5W5c
https://www.youtube.com/watch?v=wbk_yr1_VZU
Un rapidissimo ritmo in 6/8 trascina il secondo movimento, Sehr lebhaft (Vivace), che ha la
struttura di uno Scherzo. L'idea tematica principale vigorosa e fortemente ritmica, si alterna a
un primo Trio, una melodia cantabile, venata di una punta di malinconia, e a un secondo Trio,
una melodia leggera, dai contorni sfumati.
Il terzo movimento, Leise, einfach (Sottovoce, semplice) è articolato come tema con
variazioni. Il tema deriva dal primo semplice verso del corale Aus tìefer Not schrei ich zu dir
e viene presentato la prima volta dal violino in pizzicato, quindi ripetuto con l'arco, mentre il
pianoforte varia l'accompagnamento. La seconda variazione vede il violino impegnato con
una scrittura polifonica a due parti. A questo punto segue un episodio che cita il tema
principale dello Scherzo e quindi un'ultima variazione col tema per seste su arpeggi del
pianoforte.
Il quarto movimento, Bewegt (Agitato), in forma sonata, si apre con un tema sinistro e
demoniaco, una melodia di ampio respiro, divisa in più sezioni che gravita per lo più nel
registro grave del violino. La transizione al secondo tema mantiene il tono del primo tema e
ha al suo interno una progressione armonica che suona come un'arcana reminiscenza barocca.
L'agitazione s'interrompe come d'incanto all'emergere della seconda idea tematica, una lunga
melodia calda e rasserenante, raddoppiata all'unisono dalla mano destra del pianoforte.
Questa procede riproponendo il primo tema, la transizione e il secondo tema che, anziché
nella tonalità della tonica, sorprendentemente riascoltiamo in si bemolle maggiore. A questo
punto ritorna il primo tema (ancora in si bemolle) e infine nell'ampia coda, che prende l'avvio
dal motivo della transizione, viene ripristinata la tonalità di re ma volta al modo maggiore.
Ritorna un'ultima volta il tema iniziale che adesso, in re maggiore, suona nella conclusione
esultante e trionfale.
Nino Schilirò
In una lettera del 1851 all'amico Wasiliewski, Schumann aveva confidato che il motivo
principale che lo aveva spinto a comporre una Seconda Sonata per violino era la profonda
insoddisfazione per la sua Prima Sonata (in la minore op. 105), composta solo un mese
prima. Qualunque fosse il movente, certo è che Schumann, nonostante la fragilità delle sue
condizioni psicologiche, in quei mesi trovò l'energia creativa per completare nel giro di
pochissimo tempo due lavori cameristici particolarmente impegnativi. Non c'è, in queste
opere per violino, la visionarietà delle coeve composizioni pianistiche, ma è indubbio che il
loro linguaggio espressivo febbrile e introverso allo stesso tempo non ha nulla a che fare con
lo stile salottiero tipico di molta musica cameristica ottocentesca destinata ad un pubblico di
amatori. A questo si aggiunga che il dedicatario dell'op. 121 era Ferdinand David, il celebre
violinista per il quale Mendelssohn aveva composto il suo Concerto per violino, mentre i suoi
primi interpreti furono Joseph Joachim e Clara Schumann, che la eseguirono per la prima
volta il 29 ottobre 1853.
Come nella maggior parte delle composizioni dell'ultimo periodo creativo schumanniano,
anche nelle due Sonate per violino si riscontra un diffuso impiego di procedimenti polifonici
e contrappuntistici. In effetti, la differenza principale fra le due opere è data soprattutto dalle
dimensioni: il sottotitolo dell'op. 121 recita, infatti, "Grande Sonata", denominazione subito
sottolineata dalla lenta introduzione di carattere sinfonico (ziemlich langsam, alquanto
adagio), in cui viene anticipato il primo tema del primo movimento (Lebhaft, vivace). La
concezione formale è di grande rigore ed è resa più compatta dall'utilizzo di materiale
tematico fortemente unitario. Il primo tema, esposto dapprima dal violino, viene trattato alla
maniera di una Fuga, percorrendo i gradi principali della tonalità di base (da re minore a la
minore a sol minore), mentre al pianoforte viene affidato un controcanto rigorosamente
contrappuntistico. Il motivo ritmico alla base di questo tema percorre tutto il movimento, in
una continua tensione dialettica con altri elementi tematici, quali, ad esempio, il secondo
tema, che, tuttavia, ad un attento esame rivela la sua derivazione dal primo. Nello sviluppo
viene introdotto un ulteriore spunto tematico, presentato anch'esso secondo una disposizione
"quasi fugata". Il movimento si conclude con una coda finale che ripresenta in un intreccio di
inesauribile energia i materiali tematici già impiegati, in un intenso dialogo strumentale.
Il movimento finale Bewegt (agitato) si apre con un tema basato su un arpeggio della triade
di re minore (con l'aggiunta di una nota estranea all'armonia), che richiama quello del finale
della Sonata per pianoforte op. 31, n. 2 (la Tempesta] di Beethoven. Anche in questo caso
l'elaborazione di temi e motivi rivela l'intento unitario sotteso a tutta la concezione formale
del brano. I diversi gruppi tematici, anche contrastanti, sono infatti collegati fra di loro
soprattutto a livello ritmico, in un febbrile moto perpetuo. Nello sviluppo il materiale
motivico viene variato e trasformato anche grazie al diffuso impiego della tecnica fugata, con
canoni, progressioni e imitazioni, in un dialogo serratissimo fra i due strumenti. Infine
l'epilogo in maggiore chiude sontuosamente un lavoro di intensa espressività, ricco di idee
che alimentano una affascinante quanto complessa scrittura strumentale.
Anna Ficarella
Nel 1852 Robert Schumann cadde in un grave stato di prostazione fisica e mentale, da cui
non si sarebbe più ripreso. Nel 1853 completò la sua ultima composizione, i Gesange der
Frühe op. 133; nei primi mesi del 1854 tentò il suicidio, gettandosi nelle acque del Reno, e fu
internato in un istituto di malattie mentali, dove si sarebbe spento due anni dopo. Ma il
periodo che precedette il tracollo fu fervidissimo: videro allora la luce grandi composizioni
sinfonico-corali, pezzi per pianoforte, cicli di Lieder e, inoltre, le sue uniche composizioni
dedicate al violino, che fino ad allora non aveva mai utilizzato in funzione solistica. Del 1851
sono le due Sonate opp. 103 e 121, del 1853 il Concerto in re minore op. post., la Fantasia
op. 131 e movimenti della Sonata F.A.E., scritta in collaborazione con Brahms e Dietrich,
che composero un movimento ciascuno.
Si riconoscono in questa Sonata gli aspetti più tipici di Schumann: i toni appassionati e
fantastici, il desiderio di un canto intimo e profondo (particolarmente sollecitato è il registro
grave del violino), la ricerca di sempre nuove soluzioni formali che corrispondano
all'inarrestabile fluire delle voci segrete, l'entusiasmo per un contrappunto che nasce
dall'ammirazione per Bach ma si muove in modo ardito e fantasioso, sostituendo la libertà e
l'invenzione alla dottrina. Si avvertono anche alcuni squilibri, ma una certa inadeguatezza
dell'involucro materiale alle aspirazioni ideali è connaturata allo slancio romantico verso
l'indicibile, l'indefinibile, l'irraggiungibile, che è inesorabilmente condannato a rimanere
irrealizzato, ma che si rinnova ogni volta con inesausto entusiasmo.
La Sonata in re minore op. 121 si apre con un movimento ampio e grandioso, che alterna
temi generosi a toni magniloquenti e unisce il denso contrappunto al tempestoso clima
"Sturm und Drang". Nell'introduzione Zìemlich langsam (Assai lento) si profila già negli
accordi dei due strumenti il tema principale, che nel successivo Lebhaft (Vivace) è presentato
alternativamente da violino e pianoforte in stile fugato. Lo stile contrappuntistico presiede
anche alla presentazione del secondo tema, che introduce momentaneamente la tonalità di fa
maggiore, più luminosa ma non meno agitata del re minore iniziale. Un contrappunto ruvido,
intricato, selvaggio domina anche l'ampia e importante sezione di sviluppo, che si arricchisce
di due nuove idee dall'energico ritmo sincopato. La riesposizione sfocia nella ripresa
dell'andamento in stile di recitativo dell'introduzione e culmina in una coda appassionata.
Il successivo Sehr lebhaft (Molto vìvace) è un breve Scherzo in si minore, il cui irruente tema
di ballata romantica è presentato all'unisono dai due strumenti. Due Trii, caratterizzati da un
interessante gioco di ritmi diversi tra i due strumenti, intercalano questo Scherzo, il cui
ultimo ritorno avviene in un improvviso do maggiore. Alla fine del movimento potenti
accordi in fortissimo preannunciano il tema del movimento seguente, Leise, einfach (Dolce,
semplice), che consiste in quattro variazioni su un delicato tema in sol maggiore, probabile
reminiscenza del corale luterano Gelobet seis Du Jesu Christ, esposto inizialmente dal
violino in pizzicato. La prima variazione, su un chiaro e dolce contrappunto, così lontano da
quello del primo movimento, si accosta all'universo bachiano. Il tempo si anima nella
seconda variazione, dove i bicordi del violino si contrappongono agli accordi sincopati del
pianoforte. La terza variazione, con uno di quei poetici sguardi all'indietro così tipici di
Schumann, contiene una diversione che ricorda il secondo movimento. La quarta variazione
è caratterizzata dai placidi arpeggi ascendenti del pianoforte.
Mauro Mariani
«Non ero soddisfatto della prima Sonata, sicché ne ho composta un'altra che spero sia
riuscita meglio», scrisse Schumann al momento di pubblicare la Sonata in re minore op. 121,
dedicata al violinista Ferdinand David. Di fatto in quest'opera, composta verso la fine di
ottobre di quello stesso 1851, si respira, salvi restando i fondamentali caratteri espressivi che
abbiamo trovato nella prima Sonata per violino e pianoforte, l'esigenza di una maggior
sicurezza formale. Il ritorno ai quattro tempi del canone classico (pur non rispettandone del
tutto l'articolazione dei movimenti) è di per sé significativo: e insieme con la speciale
imponenza dei temi e l'elaborata ampiezza dello sviluppo di questi, concorre a creare quel
carattere di «Grande Sonata» annunciato dal titolo originale. Se sia possibile affermare una
superiorità della Grosse Sonate sulla sorella di poco più anziana è questione da risolvere
forse soltanto con l'ascolto, magari facendo intervenire i propri gusti. Certo la Sonata in re
minore si pone obiettivi più ambiziosi, e presenta un orizzonte espressivo ancor più ampio e
variato dell'altra, passando attraverso stati d'animo diversissimi, indagati a loro volta in ogni
sfumatura, dall'intensa, fin drammatica comunicativa dell'ampio primo movimento, alla
poesia ancora una volta altissima del terzo, semplice ed enigmatico al tempo stesso (basti
pensare alla suggestione straordinaria dei pizzicati che lo aprono). Pur nella grandiosità delle
proporzioni interne ed esterne della Sonata, pur nell'evidente scrupolo costruttivo che la
anima, articolandone lo svolgimento in modo a grandi linee rispettoso delle istanze
architettoniche della composizione strumentale classica, è lecito ravvisare anche qui la
tendenza a determinare un panorama espressivo unitario perché diversificatissimo, specchio
delle infinite differenziazioni e contraddizioni della personalità umana, che tanti anni prima,
in climi per Schumann incomparabilmente più felici, si era riflessa nel molteplice
sdoppiamento dell'Io celato dietro la sfilata delle maschere di Carnaval; siglando così, in
quest'opera ormai protesa verso gli esiti ultimi e tragicamente sospesi dell'avventura artistica
di Schumann, la sostanziale coerenza di una parabola creativa in apparenza caotica e
costellata di deviazioni.
Daniele Spini
132 1853
Märchenerzählungen
Quattro pezzi per clarinetto (o violino), viola e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=1BSOsqER3go
https://www.youtube.com/watch?v=2MChPp3Riwc
https://www.youtube.com/watch?v=uNZlnmuSG7o
Se da giovane Schumann aveva asserito che Jean Paul Richter (cioè le immagini morbide
della sua narrativa) erano state la sua guida nel contrappunto, aspirò nondimeno tutta la vita
al posto ed alla reputazione dell'artista borghese. Clara non meno di lui lo voleva
Kapellmeister, ma soltanto nel 1850 se ne presentò l'occasione, quando Ferdinand Hiller gli
lasciò il posto di direttore stabile a Düsseldorf. Purtroppo era tardi. Riaffiorarono nel nuovo
incarico i sintomi della schizofrenia, manifestatasi una prima volta nel 1845, e le cure della
istruzione del coro e dei concerti afffrettarono forse la crisi decisiva del febbraio 1854. Le
opere di quegli anni rivelano la fatica della mente, e non hanno mai raggiunto il favore
accordato a quelle della gioventù. Esse mancano infatti di quel tratto schumanniano che
definirei spontaneità: quasi il pezzo emergesse da una improvvisazione alla tastiera, senza
che fra immagini letterarie, le loro emozioni e il corrispettivo musicale, esistesse il
diaframma della riflessione, della ricerca lessicale e tecnica. Nel 1853, quando vennero
composte le «Märchenerzählungen», le immagini sono invece sfumate in fantasmi, il mondo
romantico, la sua ideologia di una identità fra uomo e natura, idillio affatto schumanniano,
non è più ontologicamente presente, ma va ricercato nella memoria, ed a tratti anche questa
cede. Ciò si concreta in una diversa ed avanzata poesia.
Immagini ambigue, armonie e timbri singolari, come nella terza «Märchenerzählung», dove
la prescritta espressione soave, il «zarter Ausdruck» della didascalia, pare quasi la
confessione di chi sia rassegnato all'angoscia, una angoscia soave, se è concesso immaginare
questa crudele fra le pene. Più stanca l'immagine fiabesca negli altri tre numeri della raccolta.
Il primo alterna una mossa cantabile all'estro di una quartina staccata, lo si direbbe una
manifestazione d'umore instabile. Il secondo e il quarto, condotti secondo lo schema della
marcia con trio, ripercorrono gli ardori bizzarri di Florestano, ormai distanti e sfumati in
solitudine.
1853
1853
1853
https://www.youtube.com/watch?v=LimWogIrfaU
https://www.youtube.com/watch?v=k974Q8XMjmA
«Schumann, in un momento d'allegria, ci suggerì che avremmo dovuto comporre insieme una
sonata per violino e pianoforte. Joachim avrebbe dovuto poi indovinare il compositore di
ciascun movimento»; sono le parole con le quali Johannes Brahms ricorda la nascita della
F.A.E. Sonate, scritta tra il 15 e il 28 ottobre 1853 insieme a Robert Schumann e ad Albert
Dietrich (un allievo di Schumann) per l'amico violinista Joseph Joachim. Schumann compose
il secondo (Intermezzo) e il quarto movimento, terminandoli rispettivamente il 22 e il 23
ottobre 1853. Dietrich scrisse il primo movimento, un Allegro piuttosto convenzionale, e
Brahms lo Scherzo centrale.
Ai due movimenti già esistenti, Schumann aggiunse poi il primo e il secondo, costruendo
così la sua terza Sonata, in la minore, che presenta molti aspetti in comune con la seconda:
l'enfatica introduzione, il continuo passaggio da minore a maggiore e l'impeto appassionato
del materiale tematico. La pagina più interessante dell'intero lavoro è senza dubbio
l'Intermezzo, mirabile esempio di melodia schumanniana, calda, appassionata e nostalgica a
un tempo.
Alessandro De Bei
1853 - 1856
https://www.youtube.com/watch?v=4f2xAhqKKIQ
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1853 - 1856
Edizione: C. F. Peters, Lipsia, 1941
https://www.youtube.com/watch?v=hga9MGCpJXk
https://www.youtube.com/watch?v=JF0t3E0ncpI
https://www.youtube.com/watch?v=IGLxNTzVFTM
https://www.youtube.com/watch?v=JF0t3E0ncpI
https://www.youtube.com/watch?v=U6sKjMbFGlY&t=59s
1 1830
https://www.youtube.com/watch?v=ko3expceBSw
https://www.youtube.com/watch?v=RH4HrGmG0r0
https://www.youtube.com/watch?v=TgwSepZutZY
Organico: pianoforte
Composizione: 1830
Edizione: Kistner, Lipsia, 1831
Dedica: Pauline, contessa di Abegg
Schumann iniziò a comporre assai più tardi di quanto non usasse ai suoi tempi: aveva diciotto
anni quando scrisse i primi Lieder e poi le Polacche per pianoforte a quattro mani. Ma la sua
vocazione creativa, una volta manifestatasi, si incanalò rapidamente verso la composizione di
pagine per pianoforte: e fu una vocazione che assunse caratteri persino maniacali, tanto che
per dieci anni Schumann non compose se non per pianoforte solo.
All'inizio di questo periodo, quand'era sui vent'anni, Schumann pensava ancora a crearsi il
tradizionale repertorio del pianista-compositore. Poi, mano a mano che si vanificavano le
speranze di percorrere la carriera concertistica, il pianoforte divenne per lui non più veicolo
di personale affermazione ma campo di sperimentazione sulle forme e sul linguaggio. E la
sua opera pianistica del decennio 1830-40 si pose e si pone come uno tra i più importanti
capitoli nella storia dello strumento, un capitolo che per densità ed importanza di contenuti
ha un solo possibile paragone: l'opera che Fryderyk Chopin creò negli stessi anni.
Le Variazioni sul nome Abegg op. 1 si collocano ancora al confine tra la ricerca di
autoaffermazione e di successo e la ricerca speculativa. Inizialmente erano state pensate in
versione per pianoforte e orchestra (si ricordi che uno dei lavori di esordio di Chopin,
salutato da una entusiastica recensione di Schumann, erano le Variazioni op. 2 per pianoforte
e orchestra). Più tardi Schumann decise di rinunciare all'orchestra, ma le tracce di una
impostazione concertistica si scorgono ancora nella redazione definitiva.
Il nome ABEGG, che secondo la notazione tedesca corrisponde ai suoni la-si bemolle-mi-sol-
sol, era quello di una giovane e graziosissima pianista, Meta, conosciuta ad un ballo a
Mannheim (il ballo, sia detto per inciso, è una delle costanti nella poetica schumanniana). La
graziosa Meta venne però trasformata, nella dedica delle Variazioni, in una inesistente
contessa Pauline von Abegg (e anche la creazione di personaggi di fantasia esemplati su
personaggi reali è, come tutti sanno, una costante della poetica di Schumann). Il nome di
Meta-Pauline divenne il nucleo tematico di un valzer di struttura ed anche di carattere
schubertiano: otto battute, ripetute con piccole varianti, ed altre otto battute (sul tema letto
per moto contrario, discendente invece che ascendente), anch'esse ripetute con piccole
varianti.
La prima variazione è fortemente virtuosistica, con dislocazioni su più ottave che tendono a
coprire tutto lo spettro sonoro del pianoforte, e con scrittura a due parti, nella mano destra, di
difficile realizzazione. La seconda variazione, a dialogo tra soprano e basso (il Basso
parlando, dice la didascalia), capovolge però questa impostazione e ci presenta lo Schumann
intimistico che abbiamo più familiare.
I due aspetti ritornano nelle variazioni terza e quarta: la terza è una variazione di agilità
leggera e ornamentale, la quarta è una specie di barcarola, molto ornamentata, che introduce
il Finale alla fantasia divagazione capricciosa sul tema, che ingloba in sé diversi spunti di
variazioni. Prima della coda Schumann trova un effetto di evanescenza di un accordo (le
quattro note dell'accordo vengono spente una alla volta, come le luci di quattro lampioni), un
effetto della cui invenzione era molto orgoglioso, tanto che lo avrebbe ripreso nei Papillons
op. 2 e citato nella prefazione degli Studi da Caprìcci di Paganini op. 3.
Piero Rattalino
Il nome Abegg, nella terminologia musicale tedesca, corrisponde alle note La-Si bemolle-Mi-
Sol-Sol; ed è su questo breve frammento melodico che Schumann costruisce la lieve trama
delle sue Variazioni, prima opera data alle stampe, nel 1831, che, secondo la moda dell'epoca,
sfoggia una intitolazione francese: "Thème sur le nom Abegg varié pour le pianoforte". La
composizione di questo piccolo gioiello della durata di otto minuti circa, risale agli anni
1829-30, quando Schumann si trovava a Heidelberg dove, secondo i progetti della madre, si
sarebbe dovuto laureare in Legge.
Quanto mai lontane dalle macchinose e imponenti serie di variazioni composte dai
contemporanei, le "Variazioni Abegg", pur nella loro freschezza d'ispirazione, risentono
inevitabilmente di quel pianismo brillante e perlato di un Moscheles o di un Weber.
Al tema di sedici battute seguono tre sole Variazioni, di cui la seconda presenta la tipica
scrittura schumanniana con il lieve sfalsamento fra linea superiore e basso, e un Finale alla
fantasia impreziosito da vorticose, ma elegantissime volute di semicrome.
Giulio D'Amore
2 1829 - 1831
Papillons
Dodici pezzi per pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=kDUybI2ZTgc
https://www.youtube.com/watch?v=tpdLf9OGXXU
https://www.youtube.com/watch?v=sEIqSvcVcKA
https://www.youtube.com/watch?v=etmc-mBzYCI
Organico: pianoforte
Composizione: 1829 e 1831
Edizione: Kistner, Lipsia, 1832
Dedica: Therese, Rosalie e Emilie Schumann
«Avrei molto da dir(Le) sul soggetto dei Papillons se Jean Paul non avesse spiegato queste
cose meglio di me. Legga perciò le ultime pagine dei Flegeljahre»; sono queste le parole che
Robert Schumann dedica a Henriette Voigt il 22 agosto 1834, qualche tempo dopo la stesura
dell'op. 2. E due anni prima, in una lettera all'amico Castelli già aveva scritto evocando «il
fantastico ballo mascherato dell'ultimo capitolo dei Flegeljahre... Il filo che collega questi
Papillons è difficile da comprendere se l'esecutore non sa che sono nati da questa lettura».
Nella mente del giovanissimo Schumann, studente a Heidelberg e a Lipsia, avevano certo
avuto un posto di riguardo le letture di Jean Paul Friedrich Richter - più semplicemente
chiamato Jean-Paul tout-court - scrittore ultraromantico per eccellenza, il più importante
romanziere in Germania dopo i classici e soprattutto autore in grado di infiammare gli animi
e l'immaginazione. Per Schumann era qualcosa di più di un autore letterario. Se affermava di
aver imparato più contrappunto da lui che dalle lezioni del maestro, la somiglianza tra i due
era espressa persino dall'assimilazione di un tipo di linguaggio coscientemente coltivato da
Schumann, da un modo simile di pensare che toccava la sfera psicologica e personale, tanto
da scrivere nel 1838 a Clara, riferendosi a Flegeljahre: «In un certo senso si tratta di un libro
come la Bibbia. Tu troverai le parole: "Ascolta, Walt, io ti amo più di quanto tu mi ami" -
"No", esclamò Walt, "io ti amo di più". Quando tu li leggerai pensa a me».
La composizione di Papillons op. 2 risale in gran parte al 1830, ma alcuni brani erano già
stati concepiti l'anno precedente come schizzi e altri risalgono anche a epoca anteriore. Se
Jean Paul era per Schumann il referente letterario, Franz Schubert rimaneva il caposaldo dal
punto di vista dell'ispirazione musicale: le polonaises sono assai vicine a quelle dell'op. 75
del Viennese e i valzer, di cui Papillons è costellata, stilisticamente hanno contiguità di
scrittura. Strutturalmente l'opera si compone di una serie di dodici numeri in cui ciascuno
traduce un'idea poetica definita, ispirata da un passo del romanzo di Jean Paul, anche se non
c'è un rapporto meccanico testo-musica. Piuttosto giocano di più le allusioni, i riferimenti
indiretti, le citazioni, laddove anche il titolo, Papillons, alla fine sta per metamorfosi,
cambiamento, passaggio, in un iridescente alone di rimandi e di cambiamenti di stato che
riflettono l'essenza della vita: «Un ballo en masque è forse quanto di più alto la vita può
imitare dal puro gioco della poesia» scrive lo stesso Jean Paul, e ancora: «Da un punto di
vista superiore la storia dell'uomo può apparire come null'altro se non un lungo ballo
mascherato». Come in un fantastico «gioco del doppio», l'uomo cerca dunque di
comprendere se stesso nell'alterità, oltre la finzione o la maschera. E di «doppio» davvero si
può parlare per gli stessi personaggi di Papillons-Flegeljahre: Walt e Vult, fratelli gemelli, ma
due poli opposti; il primo biondo, timido e sognatore; il secondo bruno e insolente. Entrambi
innamorati della stessa donna, la polacca Wina. In questa opposizione Schumann - come Jean
Paul - vede lo specchio della propria personalità: a seconda che si lasci andare alla dolcezza
delle effusioni poetiche o che al contrario emerga la sua natura ardente è Walt o Vult, così
come, più avanti nel Carnaval op. 9 anche Eusebius o Florestano, o meglio: Walt-Eusebius e
Vult-Florestano. D'altronde il legame poetico tra Papillons e il successivo Carnaval è forte ed
evidente non solo nella fonte ispirativa - jeanpauliana, appunto -, ma più direttamente anche
nei rimandi musicali - laddove alcuni temi-portanti giungono anche a coincidere.
Poche, vaporose battute di Introduzione bastano per rendere chiara, intelleggibile la domanda
che prevale su tutto, che domina il pensiero nella mente dei due protagonisti, Walt e Vult:
l'occasione della festa, l'invito al ballo, il desiderio di conquistare Wina. È un galante,
cavalieresco invito alle danze, questo, la cui plastica gestualità musicale è subito manifesta:
la vibrante salita della melodia, per più di due ottave, traduce benissimo l'ardore e il desiderio
espresso nel romanzo e qui attribuito a Walt in procinto di partire per il Palazzo. Subito di
seguito si apre il primo quadro (n. 1), in cui Jean Paul - seguendo il testo sottolineato da
Schumann - scrive a proposito dello stesso Walt: «uscendo dalla sua piccola stanza pregò Dio
di poter essere cosi felice anche quando sarebbe rientrato. Si sentiva simile a un eroe assetato
di fama alla sua prima battaglia». Ecco allora prender forma un flessuoso tema di Valzer che
avrà un analogo nel n. 6 di Carnaval op. 9 e identificherà Florestano, lo specchio del Walt di
Papillons. Senza dubbio sono qui presenti - nei respiri ardenti della frase, nelle pieghe più
irruenti della melodia - piccoli gesti eroici e di coraggio, ma indeboliti in accordo con la
natura di Walt, trasformati in meravigliosa estasi lirica.
Ora Schumann passa alla descrizione del ballo: nel quarto episodio (n. 4), accanto a Walt
compaiono nuovi personaggi. Si tratta di Speranza (Spes) che si defila rapidamente - in realtà
Vult travestito -, di una giovane pastorella, e di «una semplice monaca», sotto le cui vesti si
cela Wina, la giovane polacca corteggiata da Walt e Vult. Walt invece è mascherato da
cocchiere con un copricapo da minatore, ma il suo personaggio sarà ben configurato
successivamente, nel N. 6. Qui Schumann pare suggerire già in anticipo quello che sarà il
successivo imbroglio, poiché tra poco i due fratelli si scambieranno gli abiti: dunque Vult-
Spes sarà Vult cocchiere-minatore. La prima frase del Presto, col suo tema squillante, non è
senza rapporto con la seconda del n. 6, che dipingerà il movimento di Walt - minatore, ma
anche qui con tratti più raffinati e contenuti. Cosi anche l'ultima frase, che riprende il tema
principale, ha una posa religiosa, e quasi evapora sublimando verso l'alto, un richiamo
probabilmente voluto e relazionato alla suora-Wina. Come si vede, notevoli sono le
complicazioni, i richiami, i sottintesi, i riferimenti anche indiretti, ma tutto ciò faceva parte
della complessità del romanzo di Jean Paul che Schumann ammirava e trasferiva in musica.
Nel quinto episodio (n. 5) Walt ha appena danzato con la donna dei sogni, Wina: è la
palpitante scena «del riconoscimento». I due giovani sollevano le maschere, i visi si sfiorano,
gli sguardi si incontrano. Schumann scrive qui una delle sue più belle melodie, toccante,
semplice, commossa: «Come due spiriti stranieri si guardavano l'un l'altro da dietro le
maschere nere, come se fossero stelle in un'eclissi solare, e ogni anima vedeva l'altra
lontana». Il tema cantabile descrive dunque una poetica scena d'amore, là dove l'incantato
tema di polonaise corrisponde all'identificazione, al disvelarsi della polacca Wina, mentre un
lirico controcanto progressivamente si fa avanti e avvolgendo il tema descrive lo stupore, il
dialogo muto, l'emozione dei visi, il rivelarsi delle personalità.
Il N. 7 descrive una supplica di Vult a Walt, durante la quale gli rivela il piano di scambiarsi
d'abito. Vult, infatti, ancora vestito da Speranza, sta per rientrare in sala da ballo, ma,
vedendo il fratello, lo trascina da parte proponendogli lo scambio. Walt acconsente, purché
facciano presto: si leva una melodia invocante, quasi suono celestiale di arpa in forma di
preghiera, seguita da una seconda idea dall'ondulato profilo melodico. La musica scorre
autentica con tratti sacri, dunque sottilmente non lascia trasparire l'imbroglio - che sta per
compiersi - in cui cade Walt.
Nella scena seguente (n. 8) i due fratelli saranno riconosciuti da molti invitati, ma non da
Wina, che in quel momento non è presente. Tocca a Vult - celato sotto le vesti di Walt
cocchiere - farla danzare, tanto che lei prosegue ignara nelle schermaglie amorose precedenti.
Vult la intrattiene nelle danze, e ballando le sussurra galanti propositi, intercalando con lei
qualche parola tipica in polacco e sfiorandone con le mani le delicate spalle. Jean Paul evoca
l'emozione della ragazza scrivendo che queste parole in lingua madre sono come dei
«papillons perduti venuti da un'isola lontana», che discendono sulle spalle della ragazza per
sfiorarla come la sfiorano le mani del cavaliere. Un nobile tema di mazurca, con i suoi
caratteristici accenti in controtempo, si staglia, e contrassegna Wina cosi come la polonaise
l'aveva rappresentata nel N. 5. Quasi senza accorgerci siamo trascinati nel vortice delle
danze, insieme alla cedevole Wina, conquistata dal fascino del suo aitante cavaliere.
Dopo il cambio d'abito, il passaggio del romanzo di Jean Paul esprime l'immagine di un Walt
che, calato nelle vesti di Vult, si mostra incerto ed esitante nel rientrare nella sala da ballo,
con un passo delicato e femminile, adeguato a Spes (l'abito di Vult scambiato). Walt esprime
le sue considerazioni, ma «subito si dimenticò di se stesso, della sala e di ogni altra cosa,
visto che il cocchiere Vult senza spiegazione (...) condusse Wina a capo della danza inglese e
davanti al suo stupore disegnò un'artistica figura di ballo». La musica illustra questa scena
con il N. 10 in tempo Presto: un tema di controdanza inglese è seguito da una citazione del
motivo del cocchiere, variante quindi del n. 6, allusione scoperta all'inversione dei ruoli Walt-
Vult. Poi un motivo di valzer prende il campo, distendendosi in un canto dal largo respiro,
laddove le ondulate armonie in arpeggio del basso suggeriscono l'avvicinarsi e l'allontanarsi
di cavaliere e dama nel volteggio delle danze. Verso la conclusione fa capolino anche il
ricordo del tema di mazurca, quando Vult travestito aveva ballato con Wina: Vult in realtà ha
ora compreso il vero sentimento di Wina, che ama Walt e non lui, e riconoscendo la sconfitta,
lascia il ballo, suscitandone il ricordo e annegando la delusione nella rabbia.
Anche se Schumann non ha indicato una corrispondenza letteraria precisa per il N. 11, vi si
può vedere la prosecuzione del quadro precedente. La rabbia di Vult si traduce
nell'enunciazione massiva e in sforzato di un brillante tema di polacca, ancora una volta
riferito a Wina. Dopo la rielaborazione del tema di polonaise, sentiamo un sinuoso scivolare
di note in ottava, e a seguire, con la ripresa del tema, leggere acciaccature in ribattuto, mentre
all'interno della sezione centrale piccole note cristalline si adagiano delicatamente intessendo
delicati ricami su un raffinato tessuto madreperlaceo: sono le parole misteriose proferite in
polacco, i papillons che «scendevano sulle spalle di Wina come fossero venuti da lontano».
Nel Finale (n. 12), il motivo conduttore è ricavato dal canto popolare Großvatertanz (in
Carnaval presente nell'analogo finale, N. 20) qui simbolicamente la fine del ballo, l'uscita di
scena degli invitati. Lo segue un secondo, semplice canto di commiato seguito dal ritorno
scorciato del motivo principale. Viene anche evocata l'entrata trionfale di Walt nel motivo del
valzer, che ora si distende in un'ampia arcata progressivamente sovrapposta al ritorno
tematico del tema principale. Le luci si spengono, «gli schiamazzi della notte di Carnevale si
stemperano, e la torre del campanile batte sei rintocchi» (una nota di la, ripetuta mentre un
pedale si riverbera in lunga dissolvenza). L'affrettarsi della melodia restituisce l'immagine del
disperdersi dei convitati, del confondersi nella notte delle figure in lontananza, mentre il
silenzio cala sulla scena dopo le ultime, sfumate risonanze.
Marino Mora
Nel periodo compreso tra il 1830 e il 1839, cioè tra le Variazioni sul nome ABEGG e i
quattro Klavierstücke, apparvero i capolavori pianistici di Schumann, e precisamente le
Kinderszenen, Papillons, Carnaval, la Kreisleriana, Studi sinfonici, la Toccata in do maggiore
op. 7, i Phantasiestücke op. 12, la Fantasia in do maggiore op. 17, Arabeske in do maggiore
op. 18 le otto Novellette op. 21 e il Faschingsschwank aus Wien op. 26 (Carnevale di Vienna)
senza considerare, perché composti più tardi, l'Album per la gioventù (1848), le Waldszenen
op. 82 (1848-'49) e i Gesänge der Frühe op. 133 scritti nel 1853. In tutti questi lavori si
avverte con molta chiarezza ed evidenza formale quel modo di comporre tipico di Schumann,
fatto di slanci ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze, di introspezioni
psicologiche e di sogni fantastici, contrassegnati da un idealismo di pura marca romantica.
Un mondo poetico, insomma, punteggiato da stati d'animo diversi e più volte contrapposti,
espressi sempre con straordinaria freschezza melodica e con una varietà armonica viva e
frizzante anche nei sapori dissonanti.
Il clima del romanzo di Jean Paul Richter si avverte nei Papillons, composti dal 1829 al 1831
e pubblicati nel 1832. Lo stesso Schumann del resto lo ammette in due lettere indirizzate a
Rellstab (19-IV-1832) e a Henriette Voigt (22-VIII-1834), in cui c'è questo preciso
riferimento: «Avrei molto da dirle sul soggetto dei Papillons se Jean Paul non avesse spiegato
queste cose meglio di me. Legga perciò le ultime pagine dei Flegeljahre». Jean Paul nel
capitolo citato scrive: «Un ballo en masque è forse quanto di più alto la vita può imitare nel
puro gioco della fantasia», e ancora in alcune pagine successive: «Da un punto di vista
superiore la storia del genere umano può ben apparire come null'altro che un lungo ballo
mascherato». Nei Papillons infatti si intrecciano e si fondono in una mirabile sintesi di
immaginazione due momenti diversi e apparentemente divergenti dell'animo umano: lo
slancio e la tensione verso un'idea di superiore bellezza e armonia e la ricerca di un porto
tranquillo dove le passioni si placano e la mente si abbandona a pensieri più intimi e
delicatamente introspettivi. L'invenzione musicale è quanto mai varia e incessante nella sua
caratterizzazione armonica; la frase melodica (stupenda quella iniziale che ritorna anche alla
fine) coglie con estrema semplicità e naturalezza i vari momenti di questa trasfigurazione
romantica in un quadro di rapide e incisive pennellate.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Iscrittosi nel 1828 alia facoltà di giurisprudenza a Lipsia, Schumann cominciò a frequentare
assiduamente l'ambiente musicale e a prendere regolari lezioni di pianoforte da Wieck,
trascurando gli studi giuridici. In quei mesi, durante i successivi viaggi, soprattutto in Italia, e
in una breve parentesi ad Heidelberg, prima del suo ritorno a Lipsia nell'ottobre 1830, egli
maturò la decisione di dedicarsi completamente e definitivamente alla musica. A quei periodo
di inquietudine e di speranze risalgono alcune composizioni come le otto Polonaises per
pianoforte a quattro mani e i sei Valzer per piano solo. Da questi due gruppi di composizioni
Schumann (che nel frattempo aveva scritto le «Variazioni sul nome Abbegg» destinate ad
aprire il suo catalogo) trasse nel 1831 i Papillons op. 2. Questi, sebbene ai primordi dell'arte e
della vicenda creativa del loro autore, ne fissano in modo inequivocabile la cifra, o forse
meglio la temperie espressiva, con l'inclinazione al fantastico, ai bizzarro, unita ad una
singolare concezione del virtuosismo strumentale. Tre eventi fondamentali avevano
predestinato l'evoluzione di Schumann in questa direzione: la conoscenza di Schubert e
soprattutto dei suoi Ländlers, la lettura di Jean Paul e l'impressione suscitata in lui
dall'ascolto di un concerto di Paganini. Il virtuosismo trascendentale di quest'ultimo, la
capacità di attingere a fonti autoctone estranee alla grande tradizione propria di Schubert (e la
relativa libertà di trattamento armonico) e infine la suggestione di una letteratura
spiccatamente fantastica sono anche le premesse di Papillons come di tutta la prima e
grandissima produzione pianistica di Schumann. Egli stesso indicò, a chi volesse interpretare
il soggetto dell'opera, la lettura dell'ultimo capitolo dei «Flegeljahre» di Jean Paul. Qui vi è
un ballo in maschera (sul tema delle farfalle) in cui i protagonisti si perdono, si ritrovano, si
rincorrono in continuazione. Ricerca dell'identità, sdoppiamento, ebbrezza dominano i
Papillons. Essi constano di dodici pezzi preceduti da cinque battute di introduzione. Nel
numero 1 è esposto il tema in due parti, ciascuna di otto battute ripetute due volte. I brani
successivi svolgono, più che variare, le premesse costituite o poste da questo tema di valzer e
sono infatti tutti in tempo dispari, salvo il numero due che è un «prestissimo» in 2/4.
L'ampiezza stessa va aumentando man mano che si va verso il finale. Il numero 11, dopo una
brevissima introduzione, consta di tre sezioni, due vivaci ed una più lenta al centro. Nel
finale il tema originario viene riesposto in una atmosfera di marcata cantabilità.
Bruno Cagli
3 1832
Sei Studi per pianoforte sui Capricci di Paganini
https://www.youtube.com/watch?v=pg3tbxweT4U
https://www.youtube.com/watch?v=htJX79Mv6cY
https://www.youtube.com/watch?v=9rSawc5njy8
Prima parte
Organico: pianoforte
Composizione: 1832
Edizione: Hofmeister, Lipsia, 1832
Vedi a op. 10 la seconda parte
4 1832
https://www.youtube.com/watch?v=1fwJE76772I
https://www.youtube.com/watch?v=zeeLJr9FNFE
https://www.youtube.com/watch?v=ltFNwDnQLPc
Organico: pianoforte
Composizione: 1832
Edizione: Hofmeister, Lipsia, 1832
Dedica: Jan Vaclav Kalfvoda (maestro di cappella)
Boris Porena
5a 1833
https://www.youtube.com/watch?v=UnCVEkNPdE0
Organico: pianoforte
Composizione: 1833
Edizione: Hofmeister, Lipsia, 1833
Dedica: Friedrich Wieck
1835 - 1836
Organico: pianoforte
Composizione: 1835 - 1836
Edizione: J. Rieter-Biedermann, Winterthur, 1866
5b 1850
https://www.youtube.com/watch?v=ZpOz9tLgFeQ
Organico: pianoforte
Composizione: 1850
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1883
6 1837
Davidsbündlertänze
Diciotto pezzi caratteristici per pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=sPgBDDSmsw4
https://www.youtube.com/watch?v=SGIcMIHzPxM
https://www.youtube.com/watch?v=-Ry4fQAGGos
https://www.youtube.com/watch?v=sBYPPoUhkHE
Organico: pianoforte
Composizione: 1837
Edizione: Friese, Lipsia, 1838
Dedica: Johann Wolfgang von Goethe
Le Davidsbündlertänze sono appunto le danze dei compagni di David; "danze dei morti, delle
Grazie, dei folletti", suggerisce l'autore; partendo dalla lega contro i filistei Schumann evita
le crociate trionfalistiche contro i nemici della musica e dell'arte, e preferisce definire un
itinerario intimissimo e privato, animato da quella dicotomia fra le due parti contrastanti
della sua personalità che si presta anche a una lettura psicoanalitica. Non a caso ciascuno di
questi diciotto piccoli "pezzi caratteristici" reca in calce la lettera F o la lettera E (o anche
tutte e due le lettere), a suggerirne, tramite la personalità di Florestano e Eusebio,
l'ambientazione espressiva. E poiché per Schumann "in ogni tempo si mescolano Gioia e
Dolore" (come recita l'antico detto riportato all'inizio dello spartito), ecco che l'intera
composizione è emotivamente scissa fra queste due sensazioni. A garantire la concezione
unitaria dello spartito c'è innanzitutto il movimento di danza che lo percorre internamente da
capo a fondo - privilegiato è il Valzer, ma si trovano anche due Landler (nn. 2 e 14) e una
Polka (n. 12) - poi l'esuberanza della scrittura pianistica, imprevedibile nel fraseggio, ricca di
soluzioni impreviste - anche se va osservato che nel sottoporre lo spartito a revisione,
Schumann ne edulcorò in parte i tratti più anticonformisti; oltre a mutarne il nome in
"Davidsbündler" ("Compagni di David").
Altrettanto e più importante è la logica secondo la quale queste danze vengono allineate fra
loro, logica che suggerisce interne divisioni e corrispondenze. La prima danza si apre subito
con il "motto" di Clara Wieck, alla mano sinistra (tratto dall'op. 6 n. 5 della compositrice); un
esordio che è allusione e cripto citazione. Importanza particolare assume poi la successione
tonale delle danze. La composizione infatti si chiude in una tonalità diversa (do maggiore) da
quella in cui inizia (sol maggiore); viene meno così la logica circolare propria dello stile
classico; per riprendere le parole di Piero Rattalino «il cerchio diventa spirale, e su tutta la
composizione si sviluppa la dinamica psicologica del movimento, del cammino verso
l'infinito»; ma anche la nona danza termina in do maggiore, e stabilisce una cesura centrale
parallela a quella della diciottesima. D'altra parte prima e ultima danza non sono altro che un
prologo e un epilogo alla vera composizione; seconda e diciassettesima danza sono infatti
nella stessa tonalità di si minore (prevalente nel corso dell'intero brano), e al termine della
diciassettesima riappare, come trasfigurato, il motivo di Ländler della seconda; si tratta di un
gioco della memoria, una rimembranza che segna la conclusione dell'itinerario delle danze,
dopo la quale può seguire un postludio che non "chiude" ma anzi rimanda verso nuovi
orizzonti, riaffermando il significato privato e personalissimo dell'intera composizione.
Arrigo Quattrocchi
Negli anni trenta, Berlioz e Schumann introducono nella musica romantica il manifesto: con
notevole anticipo Berlioz, ma Schumann risolvendo integralmente in musica assoluta quanto
nel collega francese restava di letteratura, di programma, in una parola di didascalia e
velleitarismo. Obbedendo perfettamente alla regola romantica, accogliendo lo schermo
ironico, Schumann, a differenza di Berlioz, non si affida a un solo personaggio, l'artista della
Symphonie fantastìque, e di Lélio che la continua come un romanzo di Dumas. Da anni, egli
ha definito in diversi personaggi gli impulsi contrastanti, che diverranno poi contraddittori e
infine ne lacereranno l'unità. Sono voci musicali indicanti talvolta persone del suo Kreis: fin
dalla prima giovinezza, Schumann pensa a fondare un ordine quasi cavalieresco, un Graal
senza Monsalvato, dai programmi rivoluzionari che, ad evidenza, sarà piuttosto da dire
rivoltosi o ribelli.
Il modello è ovviamente Jean Paul, la coppia dei fratelli Walt e Vult. Essi divengono, in
Schumann, le maschere del Carnaval e di altri lavori: il sognatore Eusebio, l'ardente
impulsivo Florestano (disceso dal Fidelio),il saggio Maestro Raro, Julius, Serpentino, cui
s'accodano fra i viventi Paganini e Chopin, fra le amiche del cuore Chiarina ed Estrella, e
infine, in geniale fraintendimento, le maschere della commedia italiana.
«E' il giucco del "doppio", è l'uomo che si sforza di scoprire se stesso oltre la maschera, il
giuoco fascinoso e complesso dell'ironia, di quella costante necessità romantica di autoanalisi
cioè, risolta in un processo dialettico di sintesi degli opposti, dove il non-io è signoreggiato
dall'io che lo crea » (Ida Porena-Cappelli).
Presenti già nel Carnaval op. 9, i personaggi-emblema ritornano, a firmare i singoli brani dei
Davidsbündlertanze.
Il ciclo, forse la massima attuazione di Schumann pianista, è del 1837, ed è stato edito in
Lipsia dal Friese l'anno seguente; è tuttavia posteriore al Carnaval, composto nel 1834-35 e
pubblicato nel '37.
Sono diciotto frammenti, assolutamente autonomi per quanto riguarda la struttura musicale, e
privi di unità tematica. Dedicati all'amico Walther von Göthe, sono la celebrazione di una
«lega di Davide», che radunando tutte quelle forze innovatrici avrebbe dovuto opporsi a
qualsiasi forma di conservatorismo, alla platitude del Biedermeier, allo spirito mercantile,
ravvisato per eccellenza nella gran baracca dell'opera italiana.
In precisa fedeltà agli assunti poetici, Schumann elimina ogni riferimento alle forme
tradizionali, anche nella modificazione schubertiana. La tecnica dello sviluppo cede a una
registrazione di momenti irrelati, di piena sufficienza ed autonomia: solo dal loro succedersi,
è deducibile la carica emotiva nella sua interezza. Si tratta, insomma, di un primo saggio, in
cui la giovane Romantik accenna aisuoi esiti tardi, l'istantaneismo musicale che verrà
attribuito a Debussy.
Mario Bortolotto
7 1829 - 1833
https://www.youtube.com/watch?v=7uaBC-AjEyE
https://www.youtube.com/watch?v=AeJGZ1hxuzg
https://www.youtube.com/watch?v=imWHHFicu5o
Organico: pianoforte
Composizione: 1829 - 1830; revisionata nel 1833
Edizione: Hofmeister, Lipsia, 1834
Dedica: Ludwig Schunke
Nel periodo che va dal 1830 al 1839, compreso tra le «Variazioni sul nome ABEGG» e i
quatro «Klavierstück», apparvero i più noti capolavori del pianismo schumanniano e
precisamente le Kinderszenen, Papillons, Carnaval, Kreisleriana, Studi sinfonici, la Toccata
in do maggiore op. 7, i Phantasiestücke op. 12, la Fantasia op. 17, Arabeske in do maggiore,
le otto Novellette op. 21 e il «Faschingsschwank aus Wien» (Carnevale di Vienna) op. 26. In
essi si avverte con molta chiarezza ed evidenza formale quel modo di comporre tipico di
Schumann, che è fatto di slanci ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze,
di introspezioni psicologiche e di sogni fantastici, venati di idealismo romantico. In ognuna
di queste composizioni è presente la doppia anima di Schumann svelata nei personaggi
dell'appassionato Florestano e del malinconico Eusebio, già compiutamente e
simbolicamente descritti nei pianistici «Davids bündler», la lega dei compagni di David,
rivolta ad abbattere il filisteismo e la mediocrità nell'arte. Un mondo poetico, insomma,
punteggiato da stati d'animo diversi e più volte contrapposti, espressi sempre con
straordinaria freschezza melodica e con una varietà armonica viva e frizzante anche nei
sapori dissonanti.
Ennio Melchiorre
Il fervore della fantasia, che domina nell'opera 21, non è assente nemmeno nella Toccata op.
7, redatta in una prima versione nel 1829 con il titolo di «Étude phantastique» e
successivamente rielaborata tra il 1830 e il 1832. Ma qui la fantasia è trattenuta nella felicità
del gioco contrappuntistico. La riassunzione dell'antica forma italiana non potrebbe essere
più personale e l'op. 7 costituì un modello per molti analoghi ritorni al passato, almeno fino a
Prokofiev.
Bruno Cagli
8 1831
https://www.youtube.com/watch?v=lEwjMmElaH8
https://www.youtube.com/watch?v=9zeczn47G0w
https://www.youtube.com/watch?v=cRoatzoUwHQ
Prestissimo
Organico: pianoforte
Composizione: 1831
Edizione: Friese, Lipsia, 1835
Dedica: Ernestine von Fricken
Dopo il ritorno a Lipsia per riprendere lo studio del pianoforte di Friedrich Wieck, la vita di
Schumann si avviava verso una svolta decisiva. L'idealizzazione dell'ambiente in cui
maturarono le esperienze di quel periodo tumultuoso si concretizzò nella Lega dei Fratelli di
Davide, dove per la prima volta Schumann dava nomi poetici alle persone, reali o
immaginarie, che lo circondavano; Maestro Raro a Wieck, Cilia a Clara, Eusebio e
Florestano a se stesso. Con la fondazione della Neue Zeitschrift für Musik, alla fine del 1833,
l'attività critica animata dall'impegno a "far tornare in onore la poesia dell'arte", si intrecciò
con quella del compositore, alla esaltante scoperta del mondo circostante e di se stesso. Il
primo nome nel quale Schumann riconobbe attraverso la sola poesia della musica i connotati
del genio fu quello di Chopin; la recensione delle Variazioni op. 2 di Chopin (apparsa per la
prima volta nel dicembre del 1831 sulla Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia, venne
simbolicamente premessa alla raccolta degli scritti curata dall'autore come esempio di
articolo programmatico che dettava le coordinate non solo dell'epifania del genio, ma anche
della verità della sua aspirazione, della forza della sua maestria. Il polacco Chopin reagì
all'entusiasmo del suo ammiratore tedesco con un riserbo stupito e ironico. Il 1831 è anche
l'anno di composizione dell'Allegro in si minore per pianoforte, che nonostante il numero
d'opus (la pubblicazione avverrà soltanto nel 1834) è un'opera prima a tutti gli effetti. Essa si
ricollega non soltanto all'interesse per i problemi tecnici e virtuosistici dello strumento
pianoforte suscitato dall'esempio di Paganini sul violino, ma anche agli studi teorici di
composizione con Heinrich Dorn, a quel tempo direttore musicale a Lipsia, rivolti soprattutto
a sviluppare la sensibilità armonica in stretta unione con la condotta contrappuntistica delle
parti. Di questi due aspetti l'opera è pervasa nella sua sostanza prima ancora che nella
realizzazione, sovrabbondante di slanci e di idee a stento incanalate in una definizione
unitaria. L'impressione è che, da un lato, miri a fare piazza pulita di ogni schematizzazione
precostituita di tempi e spazi sonori, dall'altro ricerchi un ordine e una disciplina
appoggiandosi nei momenti di più pericolosa anarchia alla tenuta costruttiva del fugato. Da
queste opposte istanze, che troveranno presto una via di conciliazione nella poetica dei cicli e
nella versatilità delle variazioni, la pagina riceve il suo carattere aspro, scabro, primitivo,
quasi brutale; ancora lontano da quella "nobile pacatezza sacerdotale" che sarà uno degli
ideali di Schumann, ma proprio per questo intensamente vissuto e spontaneamente estremo.
Sergio Sablich
L'Allegro op. 8, composto nel 1831, era inteso in origine come primo tempo di una Sonata,
una Sonata che non venne mai completata. Per Schumann, come per Mendelssohn, Chopin e
Liszt, la Sonata non era più, com'era stata invece per Haydn, Clementi, Mozart, Beethoven e
Schubert, il modo ordinario di "comunicare" con un pubblico di dilettanti colti che leggevano
privatamente la musica così come leggevano la poesia. La classe dei dilettanti, che in
precedenza era stata formata soprattutto da aristocratici, si stava un po'... annacquando con
l'immissione di borghesi, e la Sonata aveva del resto raggiunto con Beethoven un livello di
complessità formale e di profondità di contenuti che ne scoraggiavano la fruizione privata. È
significativo il fatto che Schubert, dopo aver pubblicato le Sonate op. 42 e op. 53, dovesse
accettare che l'editore intitolasse Sonata-Fantasia l'op. 78 e che non trovasse modo di
pubblicare le sue tre ultime, grandiose Sonate. Ignaz Moscheles, le cui sensibilissime antenne
sapevano captare l'evoluzione della società, fin dagli anni venti cominciava ad eseguire in
pubblico qualche Sonata di Beethoven, Liszt eseguiva nel 1837 la Sonata op. 106, la
tremenda Hammerklavier, e i concertisti assumevano il ruolo degli intermediari, per così dire
dei demiurghi tra il compositore e il fruitore. I giovani compositori della generazione 1810
sapevano sia di non poter più contare su un pubblico di dilettanti che accettasse
tranquillamente una Sonata dietro l'altra che di dover sostenere il paragone con le trionfanti
Sonate di Beethoven. I tentativi di Schumann nel genere della Sonata per pianoforte solo
furono molteplici e lo tennero occupato per un lungo tempo: dai ventuno ai ventotto anni egli
ultimò però tre Sonate soltanto, mentre dai ventiquattro ai ventotto Beethoven ne aveva
ultimate nove. E a tre Schumann si fermò, mentre Beethoven arrivò a comporne trentadue, di
Sonate.
L'Allegro op. 8, unico superstite di un progetto ambizioso, venne pubblicato da solo nel 1835
con dedica ad Ernestine von Fricken, a quel tempo fidanzata di Schumann. Che il progetto
fosse ambizioso lo si capisce e dall'impianto architettonico del pezzo e dal fatto che il pezzo
stesso si apra con una massiccia e ardita cadenza contenente un imperioso "motto" di tre
suoni che appare due volte. Nel Carnaval op. 9 troviamo le Sfingi, tre gruppi di suoni che,
letti secondo la denominazione tedesca delle note, danno la chiave del rapporto fra ASCH,
nome di una citttadina boema in cui era nata Ernestine von Fricken, e le cellule tematiche
della composizione. Il motto dell'Allegro op. 8, "tradotto" in lettere, dà HCF nella prima
formulazione e CDF nella seconda. Se si tratta di criptografia bisogna ammettere che
nessuno è mai riuscito a svelarne il significato. Ma probabilmente la criptografia non c'entra
affatto: si tratta invece di una cellula motivica che ritorna più volte nel corso del pezzo e ne
diventa il sostrato, sebbene non sia sempre facilmente percepibile. Oltre a questa si trovano
nella cadenza iniziale altre due cellule motiviche che vengono sfruttate nella composizione. Il
paradosso dell'Allegro op. 8, geniale lavoro dello Schumann ventunenne, è dunque che il
carattere del pezzo è in apparenza improvvisatorio ma che la costruzione è invece basata su
un minuzioso incastro di pochi elementi. Schumann, che non aveva fatto studi regolari né di
pianoforte né di composizione, aveva avuto lezioni di pianoforte da Friedrich Wieck e di
composizione da Heinrich Dorn. Il Dorn, musicista di solidissima formazione, trovandosi ad
insegnare il contrappunto ad un giovanotto di vent'anni che cominciava gli studi quando i
suoi coetanei già li avevano ultimati da un pezzo (Chopin si era diplomato in composizione a
diciassette anni), non fece percorrere a Schumann la solita trafila del sacramentale Gradus ad
Parnassum di Fux ma lo guidò nell'analisi delle composizioni di Beethoven. E l'Allegro op.
8, scritto durante il breve periodo degli studi con Dorn, è per l'appunto il riflesso di queste
analisi: Schumann imparò da subito a lavorare secondo la raffinata tecnica motivica degli
ultimi Quartetti di Beethoven.
Questo è l'ordito della composizione. La forma dell'Allegro è in sostanza quella del primo
tempo di Sonata. Dopo la cadenza iniziale si presentano il primo tema in sì minore e,
praticamente senza tema di transizione, il secondo tema in re maggiore e il tema di
conclusione dell'esposizione, caratterizzato, quest'ultimo, da un ritmo tipico che richiama, sia
pure con diversissimo carattere, l'inizio della Quinta Sinfonia di Beethoven. Il tema di
conclusione è il protagonista dello sviluppo, non molto ampio. La riesposizione è variata, con
il secondo tema in sol maggiore invece che, come sarebbe stato di norma, in si maggiore. Il si
maggiore, caldo e luminoso, viene riservato alla coda, piuttosto ampia. La scrittura pianistica
presenta alcuni caratteri riferibili alla koinè dell'epoca ma anche, nel secondo tema e nel tema
di conclusione, vari tratti che saranno proprì dello Schumann maturo.
Piero Rattalino
1831 - 1835
Organico: pianoforte
Composizione: 1831 - 1835
Edizione: G. Henle, Monaco, 1977
Dedica: Clara Wieek
9 1834 - 1835
https://www.youtube.com/watch?v=22Uozp_5JiQ
https://www.youtube.com/watch?v=fSG1CTVD4fo
https://www.youtube.com/watch?v=VELPD6FVylA
https://www.youtube.com/watch?v=t2LdoCuJP6M
https://www.youtube.com/watch?v=bEVmfxzay3Y
Organico: pianoforte
Composizione: 1834 - Lipsia, 3 marzo 1835
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1837
Dedica: Karol Lipinski
Schumann stesso precisa, in uno scritto per Francesco Liszt, il carattere e i moventi di questa
fantasiosa raccolta di venti pezzi che ha per titolo Carneval e per sottotitolo, «Scènes
mignonnes sur quatre notes» (questo ed i titoli dei singoli brani furono formulati dallo stesso
Schumann in francese): «Le origini di questa composizione risalgono ad una particolare
circostanza. Una delle mie conoscenze musicali essendo originaria di una piccola città dal
nome di Asch e siccome le quattro lettere costituenti questo nome figurano ugualmente nel
mio, ebbi l'idea di valermi della loro significazione musicale come punto di partenza di una
serie di brevi pezzi, nello stesso modo in cui Bach aveva fatto in rapporto al suo patronimico.
Sollecitata la fantasìa da codesta trovata, un brano succedeva all'altro senza che me ne
avvedessi, e siccome ciò avveniva durante la stagione di Carnevale del 1835, una volta finita
la composizione, aggiunsi i titoli e le diedi la denominazione generale di Carnevale». In una
ulteriore lettera al pianista Ignazio Moscheles, Schumann indicò talune delle intenzioni
imaginifiche di quei brani, pur soggiungendo che la musica doveva essere di per se stessa
sufficientemente espressiva per indicare il senso dell'interpretazione. «Estrella è come un
nome che si appone sotto un ritratto per meglio fissarlo nella memoria; Reconnaissance
evoca un felice incontro; Aveu una dichiarazione d'amore; Promenade il tradizionale giro
della sala da ballo fra due danze con la dama dei suoi pensieri a braccetto». E Schumann
aggiungeva con troppa modestia: «l'insieme non ha forse un grande valore artistico, ma può
offrire un certo interesse per la varietà delle diverse immagini che vi sono caratterizzate». Il
giudizio dei posteri ha smentito quest'opinione del compositore, attribuendo al suo Carnevale
un posto di preminenza nella letteratura pianistica del secolo scorso. Alle spiegazioni date
dallo stesso Schumann ci sembra opportuno aggiungere che i titoli «Florestano» ed
«Eusebio» si riferiscono a due personaggi immaginar! in cui Schumann, con poetica
finzione, sdoppia la sua personalità nei suoi saggi critici. Florestano rappresenta il lato
fantastico ed ardente della sua natura, Eusebio quello contemplativo, dolce e sognante. Dello
stesso carattere fantastico partecipa la «Lega dei Fratelli di Davide», in cui Schumann
raffigura l'ideale comunità di intenti dei musicisti e melomani che nel 1834 si raggrupparono
intorno alla Rivista Musicale fondata da lui a Lipsia, sotto il titolo di Neue Zeitschrift für
Musik. Un'ultima osservazione concerne il fatto che quel tema di quattro note si rivelò così
fecondo che Schumann ne trasse ancora qualche altro brano non incluso nel Carnevale ma
inserito più tardi nei Fogli d'album op. 99 o pubblicati a parte sotto i titoli di Valzer in la
minore e Romanza op. 124.
Roman Vlad
Ed eccoci al Carnaval op. 9 scritto nel 1834-'35 e il cui titolo esatto è il seguente: "Carnaval:
scènes mignonnes sur quatre notes pour le piano op. 9". È costruito sul principio della
variazione basato sulle note A S C H, cioè la, mi bemolle, do, si ed allinea una galleria di
ritratti fantastici, nei quali confluiscono elementi autobiografici e letterari nell'immediata
sottolineatura lirica: Pierrot, Arlecchino, Pantalone e Colombina, ma anche Chopin e
Paganini e naturalmente lo stesso compositore nella personificazione dualistica del proprio io
(Eusebio e Florestano). È stato lo stesso Schumann ad aggiungere in un secondo momento le
didascalie per indicare meglio l'atmosfera del discorso musicale, immersa tra i ricordi di
maschere e silhouettes di personaggi noti in una eccitante serata di festa al ritmo ininterrotto
di un valzer di originaria matrice schubertiana. Il Carnaval è stato giustamente definito il più
schumanniano dei lavori del grande compositore per la sua travolgente e bizzarra forza
creatrice. Dal Preambolo dal passo marziale in cui si ha l'impressione di vedere sfilare tutta la
folla dei protagonisti della vivace kermesse si passa al nostalgico Pierrot e al dinamico ed
estroso Arlecchino, e dopo l'elegante carezza del Valse noble si arriva al sognante Eusebio e
all'ardente Florestano, sempre ricorrenti nella fantasia dell'autore. Flessuosa e leggera si
mostra Coquette prima dei passaggi leggermente arabescati di Papillons e dei giochi
alchimistici delle Sfingi e delle Lettere danzanti. Non mancano i profili dai tratti delicati di
Chiarina, di Chopin, frammisti alle rievocazioni della graziosa Estrella e dei caratteristici
Pantaleone e Colombina, insieme ad un Paganini estroso, fino a giungere alla festosa e
tumultuosa Marcia dei seguaci di David che conclude in una travolgente girandola di ritmi la
singolare rassegna di questa immaginaria passeggiata nel regno delle ombre e dei simboli di
una umanità, ora triste e ora lieta, proiezione di un temperamento artistico di altissimo valore
e tra i più originali della letteratura non solo pianistica del Romanticismo tedesco.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Centro ideale e incarnazione massima della poetica del primo periodo creativo di Schumann,
Carnaval fu composto nel 1834-35, rielaborando parzialmente un'opera di minori
proporzioni, non entrata a far parte del catalogo dei lavori di Schumann, le Scènes musicales
sur un thème connu de Franz Schubert (1833). Quel poco o quel molto della sostanza del
vecchio pezzo che può essere confluito nella grande costruzione di Carnaval non è tale da
sminuire l'originalità e la profonda unitarietà di concezione di questo capolavoro,
monumento quant'altri mai imponente e rappresentativo della civiltà romantica, e non solo di
quella musicale: è comunque significativo che il sottotitolo di Carnaval, «Scènes mignonnes
sur quatre notes» riecheggi in qualche modo quello delle Scènes sul tema di Schubert, a
ribadire come già al momento di scrivere il primo tentativo di Schumann fosse ben chiara
l'intenzione di dar vita a un gruppo di episodi diversi nel carattere ma legati fra di loro da
un'intima comunanza strutturale, secondo il principio di una libera variazione tematica.
A dare a Carnaval, anche esteriormente, la sua piena fisionomia stilistica ed estetica, vennero,
a composizione ultimata, i titoli talora un po' criptici e sempre assai suggestivi che Schumann
appose ai vari brani della raccolta: non a suggerirne un intento programmatico o banalmente
descrittivo, bensì a siglarne l'assunzione nella sfera unitaria del fatto artistico, senza
distinzioni fra musica e letteratura. Conformemente al titolo di tutta la composizione, non
mancano fra i personaggi ideali di Carnaval le maschere, come Pantalone e Colombina,
Pierrot e Arlecchino. A queste si affiancano i nomi dei componenti dell'immaginario
sodalizio artistico che popolava la fantasia di Schumann, in una simbiosi spontanea fra realtà
della vita e finzione letteraria: Eusebio, Florestano, i «Fratelli di Davide», che nel brano
conclusivo marciano baldanzosamente contro i «Filistei»; due protagonisti della vita
musicale del tempo, di cui Schumann sembra voler mimare lo stile, quasi a celarsi, ancora
una volta, dietro altre maschere: Chopin e Paganini; e personaggi importanti della sua
esistenza, come Estrella, il nome con il quale Schumann aveva ribattezzato Ernestine von
Fricken, oggetto all'epoca delle sue attenzioni amorose e figlia di un aristocratico dilettante di
musica cui siamo debitori di aver stimolato, con un tema da lui composto, i grandiosi Studi
sinfonici che Schumann scrisse giusto in quel periodo (significativamente intitolati, in
origine, Studi di Florestano ed Eusebio).
Daniele Spini
10 1833
https://www.youtube.com/watch?v=BtvbqVm90VU
11 1833 - 1836
https://www.youtube.com/watch?v=avo4r2KhITU
https://www.youtube.com/watch?v=unSFDhT-toM
https://www.youtube.com/watch?v=Ce1VHmB08bg
https://www.youtube.com/watch?v=2bKWRDsC02o
Organico: pianoforte
Composizione: 1833 - Lipsia, 5 giugno 1836
Edizione: Kinster, Lipsia, 1836
Dedica: Clara Wieck
La stessa genesi della Sonata è sintomatica in questo senso: l'Allegro vivace, scritto nel 1832,
era già stato pubblicato da Schumann come Fandango: Rhapsodie pour le Pianoforte op. 4. Il
secondo movimento, Aria, è interamente basato su un Lied del 1827-29, An Anna. Lo stesso
Lied ha inoltre fornito il materiale dell'Introduzione, aggiunta al primo tempo al momento del
'montaggio' della Sonata (1834-35). L'unità dell'insieme non è di tipo diverso da quella che
miracolosamente tiene assieme le molteplicità divergenti di Papillons, del Carnaval, dei
Davidsbündlertänze: unità della funzione espressiva, rifratta in una serie di momenti
psicologico-musicali che una stessa distanza separa dal soggetto che li esprime.
Boris Porena
La prima sonata (Grosse Sonate in fa diesis minore op. 11) è stata composta fra il 1834 e il
'35. È dedicata «alla signorina Clara Wieck», che ne fu mirabile interprete. Si svolge in
quattro movimenti, un Allegro vivace preceduto da una introduzione (Un poco adagio),
un'Aria, uno Scherzo ed Intermezzo (Allegrissimo), un Finale (Allegro quasi maestoso).
L'ossequio alle forme della tradizione è in questo giovanile lavoro di assoluta devozione, ma,
sulle orme degli adorati modelli letterari, Hoffmann e Jean Paul (gli «uomini venuti dalla
luna») l'invenzione scantina ad ogni passo verso zone di un irrelato fantasticare, inseguendo
miraggi di immediatezza espressiva, o addirittura il pulsare del vitale: una indicazione dello
Scherzo è preziosa: «bassi vivi». È una premessa a Berg.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Scrivere una sonata per pianoforte, a metà degli anni Trenta del secolo scorso, non doveva
essere una cosa facile: c'era un'eredità molto pesante, quella di Beethoven, con cui fare i
conti; e c'era nel contempo un pensiero musicale, ormai pienamente romantico, che non si
ritrovava per nulla a suo agio nell'architettura, nella logica costruttiva di quella forma. Per chi
come Schumann cercava di affermarsi come compositore pianistico, d'altra parte, il lavoro di
ampie dimensioni, e la sonata in modo particolare, erano una tappa assolutamente obbligata.
Quel che sappiamo della genesi della prima Sonata pianistica schumanniana non fa che
confermarci la constatazione da cui siamo partiti: Schumann impiegò quasi due anni per la
composizione del lavoro (e un anno abbondante gli richiedettero anche la sua seconda e la
terza Sonata, di poco successive). Il primo nucleo dell'opera, in effetti, andrebbe cercato in
un Lied (Ad Anna) scritto nel 1828, e appartenente a una raccolta di dodici melodie dedicate
alle sue tre cognate; la composizione vera e propria della Sonata iniziò invece nel 1833, e si
protrasse sino al 1835. La Sonata venne poi pubblicata a Lipsia nel 1836, con la firma
«Florestano ed Eusebio»: una firma che ci riporta al mondo fantastico ideato da Schumann
per le discussioni estetico-musicali della sua rivista, dove Florestano rappresentava la natura
fantastica e ardente della sua personalità, ed Eusebio quella contemplativa e sognante; ma
una firma, anche, che per il fatto stesso di comprendere entrambi i personaggi non si poneva
come un distanzia mento dell'autore dall'opera, bensi come una completa e totale
sottoscrizione di paternità da parte di Schumann.
Non poteva essere altrimenti, d'altro canto: se scrivere una sonata rappresentava per
Schumann una scommessa, questa Sonata op. 11 è indubbiamente una scommessa vinta. Ma
non vinta piegando la propria personalità agli equilibri precostituiti della forma, rinunciando
al proprio mondo poetico-musicale per adattarsi ai principi costruttivi del periodo classico o
di Beethoven; vinta, invece, «reinventando» dall'interno quella stessa forma, ricostruendo un
nuovo equilibrio architettonico capace di dare unitarietà e solidità strutturale al proprio
mondo espressivo.
Va detto, tra l'altro, che proprio questo aspetto di reinvenzione formale, che pone la Sonata
tra le realizzazioni più alte del compositore di Zwickau, è rimasto per lungo tempo
totalmente incompreso. Ancora agli inizi degli anni Sessanta del nostro secolo, ad esempio,
Carlo Zecchi così scriveva nella presentazione di una delle più diffuse edizioni didattiche
italiane della composizione:
«... Da tale laborioso processo creativo risulta che Schumann non era proprio naturalmente
predisposto a un tale genere di composizioni di vaste proporzioni architettoniche e come egli
si sforzasse di trovare la sua propria strada e di risolvere i problemi che ad esse composizioni
sono legati, attraverso episodi di alto interesse pianistico e di originale contenuto lirico o
drammatico. Ma se egli trovò difficoltà a mantenersi nella forma e nei limiti dei suoi grandi
predecessori, ha mostrato una straordinaria originalità inventiva nella scelta e nello sviluppo
dei temi,... ha insomma supplito col profondo contenuto lirico del suo genio inventivo e
coll'interesse pianistico a quella che potrebbe sembrare una deficienza nel piano
architettonico».
Come dire: la forma non è un gran che, ma c'è della musica così bella...
Proveremo a scoprire insieme, ascoltando, che le cose stanno in tutt'altro modo: e se non
potremo andare a fondo di certi aspetti costruttivi (che richiederebbero da parte di chi ci
legge una competenza approfondita delle leggi strutturali dell'armonia tonale, e uno studio
dettagliato della composizione anche sulla carta, oltre che attraverso l'ascolto), potremo
perlomeno intuire che non si tratta affatto di «deficienza nel piano architettonico», ma di
costruzione di un piano architettonico del tutto nuovo e differente.
Il primo tempo della Sonata inizia con un'Introduzione (Un poco adagio): un arpeggio in
posizione allargata martellato nel forte dalla mano sinistra, al quale la destra sovrappone una
melodia che assume toni eroico-drammatici grazie agli scatti nervosissimi che precedono
ognuna delle lunghe note da cui essa è costituita. Dopo un po' la situazione sonora viene
rovesciata: l'arpeggio passa alla destra, ed è la mano sinistra a eseguire la melodia eroica con
le sue «zampate felinesche», conducendo nel contempo l'Introduzione verso la tonalità di la
maggiore (il relativo maggiore rispetto al fa diesis minore con cui era incominciata). A questo
punto avviene un mutamento assolutamente sorprendente: il fortissimo cui si era nel
frattempo arrivati si trasforma in un delicatissimo, e sull'arpeggio della sinistra emerge nella
destra una melodia di straordinario lirismo, dalle caratteristiche di tenera cantabilità vocale
(si tratta, in effetti, proprio di quel Lied Ad Anna cui si era accennato più sopra). Continuano
nel grave, al di sotto dell'arpeggio della sinistra, le «zampate» che ci riportano al clima
dell'inizio; ma la nuova melodia prosegue nonostante quelle, crescendo di intensità e persino
aumentando la sua carica di tensione lirico-espressiva, per arrivare infine a una conclusione
che, grazie all'armonia su cui va a collocarsi (la dominante di fa diesis minore), prepara il
ritorno del tema iniziale.
Descritta in questi termini l'Introduzione che abbiamo appena ascoltato non sembrerebbe
possedere caratteri di grande originalità formale, ma soltanto una forte carica lirico-
espressiva, che in effetti colpisce e affascina sin dal primo ascolto: non si tratta certo della
prima sonata che si apre con un'Introduzione, né della prima Introduzione strutturata sulla
presenza di due temi diversi, secondo lo schema ABA (o forse meglio, AA'BA). Ma
attenzione: innanzitutto la melodia non è affatto un secondo tema, un'alternativa al primo, ma
«emerge» al di sopra dello stesso tessuto di arpeggi che era presente sin dall'inizio, e si fa
largo tra le «zampate» che continuano a essere presenti, quasi come se si trattasse
dell'affiorare di un ricordo; e l'Introduzione nel suo insieme, cosa questa ancor più
importante, a ben vedere ... non introduce affatto il primo tema, ma semplicemente lo
precede. Secondo la «normale» logica costruttiva della forma-sonata, infatti, un'Introduzione
ha senso in quanto prepara, porta alla comparsa di qualcosa, crea una tensione che la
comparsa di quel qualcosa risolve. L'Introduzione di Schumann, invece, si conclude in modo
autonomo, come un pezzo chiuso e a sé stante.
L'Allegro vivace era stato inizialmente concepito come un Fandango, una sorta di folle danza
orgiastica nella quale alcuni commentatori hanno creduto di vedere l'appassionato Florestano
e Clara, futura moglie di Schumann e dedicataria della Sonata. Dopo un breve rimbalzare su
un intervallo di quinta nel grave (che si ricollega, anche se un po' alla lontana, alle «zampate»
dell'Introduzione), il primo tema vero e proprio della Sonata inizia con il suo caratteristico
ritmo di cavalcata (papapàm, papapàm, papapàm, pam), rimbalzando continuamente tra
mano destra e sinistra in un intreccio quasi contrappuntistico e spostandosi progressivamente
in su e in giù nello spazio sonoro, per poi «incantarsi» nella ripetizione di uno stesso
frammento e quindi ricominciare come all'inizio. Tutto l'episodio si ripete quindi per due
volte (la prima piano e staccatissimo, la seconda fortissimo), finché al di sopra dell'incessante
«papapàm» emerge uno spunto più melodico e continuo, che porta la cavalcata ad arenarsi su
una corona di sospensione, come in bilico sull'orlo di un precipizio. Qui inizia il secondo
tema, nella lontanissima tonalità di mi bemolle minore: ritmicamente, se non melodicamente,
è simile al primo, ma grazie a una serie di sforzati e alla collocazione ritmica dei bassi suona
alle nostre orecchie come «pàpapam» (anziché «papapàm»), e si infittisce poi ulteriormente
alla sua ripetizione, trasformandosi in una sorta di fibrillazione ritmica. La «fibrillazione» si
interrompe di netto e ricompare lo spunto del primo tema, piano e più lento, ripetuto alcune
volte trascinandolo nello spazio per riavvicinarsi alla tonalità di partenza, o meglio al suo
relativo maggiore e cioè la maggiore. Ed ecco dunque un'ultima ricomparsa del primo tema,
in la maggiore e in una nitida e rilucente scrittura accordale, privato di tutti gli intrecci
contrappuntistici con il quale l'avevamo conosciuto. Il tema si calma e si spegne a poco a
poco, sull'ostinata ripetizione del «papapàm» della cavalcata, e lascia quindi lo spazio a un
terzo tema conclusivo, dalle caratteristiche di ampia cantabilità melodica e di riposante e
serena tranquillità. Qui termina l'Esposizione, con gli stessi rimbalzi nel grave con cui era
incominciata (anche se ora sono in la maggiore anziché in fa diesis minore). E l'Esposizione,
secondo le regole classiche della forma-sonata, viene ritornellata, e cioè ripetuta
integralmente.
Un'Esposizione, a ben vedere, che si comporta proprio come abbiamo visto fare
l'Introduzione: rispetta cioè le «regole», ma insieme le stravolge, le piega a un progetto
compositivo diverso. Nella sonata classica (e anche in quella beethoveniana) c'è opposizione,
contrapposizione tra primo e secondo tema: ed è proprio questo contrasto (tematico in senso
stretto, oppure semplicemente armonico, e cioè contrapposizione di tonalità) che crea la
tensione costruttiva, la spinta a «risolvere» che realizza l'architettura del brano. Qui non c'è
nulla di tutto questo: il secondo tema non è scritto in una tonalità contrastante con il primo,
ma in una tonalità lontanissima, che crea un senso di distanza più che di opposizione; e alle
nostre orecchie suona come una sorta di climax, di punto culminante del parossismo ritmico
che abbiamo visto crescere sin dall'inizio. E il terzo tema, anziché essere una riconferma
della tonalità contrastante, stabilita dal secondo tema, appare invece come lo stadio
conclusivo di un discorso unitario, l'approdo a cui tendeva la «cavalcata» sin dalle prime
battute.
All'Esposizione segue lo Sviluppo, nel quale a farla da padrone è naturalmente il primo tema,
col suo ritmo ossessivo; ma Schumann dà ampio spazio anche allo spunto di apertura
melodica che avevamo conosciuto, e ai rimbalzi di quinta dell'inizio. Ricompare anche il
secondo tema, ma viene subito reinglobato nel flusso ritmico generale. Dopo un piano nel
quale l'agitazione sembra quasi spegnersi per naturale esaurimento, la tensione ricomincia
ancora una volta a crescere, mentre la destra intensifica il suo movimento ritmico
trasformandolo in un arpeggio continuo. A questo punto ricompare nella mano sinistra, al di
sotto dell'arpeggio continuo della destra, il primo tema dell'Introduzione, quello dello
«zampate». È un effetto di grossa sorpresa, come una secca cesura che interrompe
inopinatamente lo Sviluppo. Ma la sorpresa è forse ancora maggiore subito dopo, quando lo
Sviluppo riprende esattamente come all'inizio, soltanto trasponendo il tutto un tono sopra:
come se l'intero Sviluppo fosse una gigantesca progressione, interrotta a metà dalla
ricomparsa del tema dell'Introduzione.
Una nuova sorpresa ci attende invece con il secondo movimento, l'Aria. Una sorpresa
innanzitutto per la tonalità, per lo meno per chi è abituato a cogliere queste sensazioni: il
movimento lento inizia infatti in la maggiore, e cioè non in una tonalità contrastante con il fa
diesis minore con cui si era chiuso il primo movimento, ma esattamente con la sua relativa
maggiore. E un'altra sorpresa ci attende quando ci rendiamo conto che il tema dell'Aria altro
non è che quella straordinaria melodia che avevamo udito a metà dell'Introduzione. Il clima,
ovviamente, è tutt'altro: non c'è più l'agitazione dell'arpeggio, dal quale la melodia emergeva
nell'Introduzione, bensi un accompagnamento ad accordi ribattuti capace di dar corpo e
contemporaneamente leggerezza alla linea melodica. Mancano, ovviamente, le impennate
ritmiche, le «zampate» di cui la melodia portava le tracce nell'Introduzione: qui esse risultano
morbidamente appianate, e ne resta soltanto un'eco lontana nei salti di quinta discendente al
di sotto dell'accompagnamento, ora eseguiti però pianissimo e con un ritmo meno serrato.
Al movimento lento fa seguito lo Scherzo e Intermezzo, nel quale si combinano una grande
inventiva nella scrittura pianistica, una trascinante vivacità ritmica e una sottile perizia
contrappuntistica (si noti ad esempio proprio lo spunto iniziale, dove l'entrata della destra è
insieme accompagnamento e ripresa «a canone» dell'attacco della sinistra). Lo Scherzo
possiede due Trii: il primo (Più allegro) è basato su una melodia legatissimo che si staglia
nella zona centrale della tastiera, al di sopra e al di sotto di una serie di staccati, creando
l'effetto di una «terza mano»; dopo la ripresa della sezione principale dello Scherzo compare
invece il secondo Trio, che Schumann ha battezzato Intermezzo. «Alla burla ma pomposo»,
scriveva Cortot di questo episodio, e non possiamo non essere d'accordo con lui: c'è infatti
qualcosa di fortemente ironico in questo Intermezzo, ma anche una spiccata regalità «alla
francese», ed entrambe si combinano per creare una pagina assolutamente unica, di quelle
che rimangono impresse nella memoria sin dal primo ascolto.
Dopo l'Intermezzo sarebbe logico attendersi un ultimo ritorno dello Scherzo; ma ancora una
volta Schumann gioca di contropiede e fa precedere il ritorno dello Scherzo da un...
recitativo, un vero e proprio recitativo d'opera con tanto di frasi ritmicamente spezzate,
punteggiate dagli accordi dell'orchestra. Non manca nemmeno lo strumento obbligato:
«Quasi Oboe» scrive infatti Schumann verso la metà del passaggio, in corrispondenza
dell'ampio salto di settima discendente seguito da una scala ascendente. Il recitativo si
conclude poi con un ampio arpeggio ascendente eseguito a due mani, e lascia spazio
all'ultima e conclusiva ricomparsa dello Scherzo.
La forma dell'ultimo movimento, il Finale, è quella che viene solitamente chiamata rondò-
sonata: come dice la parola stessa si tratta di una struttura intermedia tra il rondò (ritorno di
uno stesso tema inframmezzato da differenti sezioni alternative) e la vera e propria forma-
sonata basata sul contrasto di due temi. In questo caso, più in particolare, si tratta di un
rondò-sonata privo della sezione centrale di Sviluppo.
Il primo tema, regale e maestoso nella sua ampia ascesa melodica, va da fa diesis minore a la
maggiore. A esso fa seguito un tema di transizione, che ha il sapore di una «sigla di stacco», e
che inizia in la minore per concludere in mi bemolle maggiore. E in mi bemolle maggiore
troviamo ora un gruppo di temi, che costituisce la prima «alternativa» prevista dalla forma
del rondò: un tema che riprende il ritmo zoppicante trasformandolo in senso melodico, un
breve spunto di carattere decisamente melodico-cantabile, e quindi una variante del tema
zoppicante. A questo punto ricompare il tema principale, che va ora da do minore a mi
bemolle maggiore.
Chi avesse un po' di pratica dell'armonia tonale, e avesse seguito con attenzione il percorso
tra le diverse tonalità compiuto sin qui da Schumann, a questo punto dovrebbe già essere
inorridito. Il rapporto tra fa diesis minore e do minore (le due tonalità in cui compare il
tema), cosi come il rapporto fra la maggiore e mi bemolle maggiore (le tonalità a cui le due
presentazioni del tema vanno ad approdare), è infatti un rapporto di «tritono», e cioè quella
distanza di tre toni interi che fin dagli albori della musica occidentale è stata battezzata con il
nome di «diabolus in musica», e accuratamente evitata in quanto radicalmente inconciliabile
con qualsiasi equilibrio tonale. Ma è proprio questo il rapporto tonale che Schumann mette
alla base della sua composizione, e non solo in questo passaggio, ma in tutta la grande
architettura di questo Finale: e a un livello di coerenza che ne esclude nel modo più assoluto
un'origine casuale.
Di nuovo, come all'inizio, il tema di transizione ci porta verso il gruppo di temi che avevamo
già ascoltato, ma che si ripresentano ora con piccole varianti e soprattutto in nuove tonalità,
riportandoci nella direzione di la maggiore. Compare a questo punto un nuovo gruppo di
temi: un breve episodio ad accordi staccati, un ampio disegno dei bassi accompagnato da
ribattuti della mano destra, un concatenarsi di arpeggi tra mano sinistra e mano destra, una
modificazione di quest'ultimo che lascia emergere un disegno melodico nella parte superiore,
e infine un semplicissimo procedere melodico sostenuto da accordi quasi organistici nella
mano sinistra.
Resta, a questo punto, da chiedersi il perché di tutte queste «anomalie» strutturali, e se sia
possibile ricondurle a un insieme di principi unitari e coerenti. Come già prima dicevamo si
tratta di un discorso molto complesso, ma possiamo comunque cercare di intuire una risposta,
la logica costruttiva del periodo classico, e ancora di Beethoven, si fondava sull'opposizione,
sul contrasto, ma soprattutto sulla risoluzione del contrasto: la sonata altro non era che il
teatro dove si metteva in scena quest'opposizione, e si celebrava il rito del suo superamento.
Per Schumann tutto ciò non ha più senso: il contrasto non va superato, ma accettato; tra i
diversi aspetti della realtà non c'è una dialettica che debba portare sempre e comunque a un
vincitore. Ecco allora che una grande struttura musicale può fondarsi sul contrario stesso
della dialettica tra dominante e tonica, e cioè sul rapporto di tritono; ecco che l'opposizione
tra relativo maggiore e relativo minore può trasformarsi nell'equivalenza,
nell'interscambiabilità tra minore e maggiore; ecco che le diverse parti di una composizione
non debbono per forza coordinarsi gerarchicamente, ma possono anche accostarsi, o
sovrapporsi. Ecco perché la Sonata non è firmata da Robert Schumann, ma da un'endiadi,
Florestano ed Eusebio.
Franco Sgrignoli
12 1837
https://www.youtube.com/watch?v=4f1hyGUPyOo
https://www.youtube.com/watch?v=o0JzIG7X-i0
https://www.youtube.com/watch?v=yOanowGonN4ù
https://www.youtube.com/watch?v=eUdxxEMCX9Y
Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 22 maggio - 4 luglio 1837
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1838
Dedica: Robena Laidlaw
Apre la raccolta Des Abends (A sera): un ritmo quieto e cullante, una melodia dolce e
carezzevole che si scioglie in arpeggi, un'armonia crepuscolare (ma anche l'inattesa svolta di
due modulazioni da re bemolle a mi maggiore) bastano a Schumann per creare un
affascinante tono intimo e sognante.
In questo primo pezzo si può riconoscere l'introverso Eusebius, uno dei due personaggi
immaginari in cui Schumann scindeva la sua personalità, mentre nel successivo è
l'appassionato Florestan a far sentire la sua voce. Infatti Aufschwang (Slancio) è una
manifestazione del vibratile ma indefinito entusiasmo di Schumann, della sua febbrile
aspirazione romantica verso qualcosa d'indeterminato e d'irraggiungibile: quindi in questa
eccitazione si nasconde inevitabilmente un germe d'acerba insoddisfazione. Come in un
rondò, una prima idea breve, veloce e fervida s'alterna a uno scorrevole e lieve passaggio in
sestine di semicrome, mentre al centro s'apre un'ampia parentesi dal tono calmo e disteso.
Le due battute che danno voce con inflessione quasi parlante all'esitante, tenera e triste
domanda di Warum? (Perché?) si ripetono più e più volte, mentre una raffinata e sensibile
armonia le avvolge in delicate sfumature di colore grigio e viola.
Grillen (Chimere) getta dietro le spalle queste malinconie ed evoca immagini bizzarre e
grottesche col suo andamento ora pesante e rude, ora saltellante, ora barcollante.
Schumann stesso ha rivelato che In der Nacht (Nella notte) bisogna riconoscere una
trasposizione della favola ellenistica di Ero e Leandro: di notte, Ero attende sulla riva l'amato
Leandro, che lotta col mare in tempesta per raggiungerla e che alla fine soccombe, inghiottito
dai gorghi. Questa favola ispira a Schumann (che forse la considerava una metafora del suo
contrastato amore per Clara) una fantasia dal carattere di ballata chopiniana. Le due sezioni
esterne descrivono i cupi e tempestosi flutti del mare, tra cui si distinguono gli angosciati
richiami dei due amanti, che riescono a tratti a sovrastare la furia degli elementi, mentre nella
parte centrale l'attenzione si focalizza su Ero e sul dolce canto con cui invoca il suo amato.
La gioia e la serenità di Fabel (Favola) non sono prive di ombre, perché il suo ritmo
saltellante da folletto è ripetutamente interrotto da una breve parentesi teneramente
malinconica, che ci ricorda che quel mondo infantile è irrevocabilmente perduto.
Toni inquieti e visionari s'insinuano nell'andamento veloce e brillante, simile a uno studio, di
Traumes Wirren (Sogni inquieti).
Ende vom Lied (Fine del canto) inizia in modo volutamente prosaico, dapprima con un tema
ben squadrato e un po' pesante, da cui spira un sano e aproblematico buonumore, poi con un
allegro e popolaresco andamento di marcia. Ma improvvisamente tutto sparisce e dal registro
grave sorgono pensosi e gravi accordi, che concludono i Phantasiestücke nella stessa tonalità
di re bemolle maggiore in cui erano iniziati.
Mauro Mariani
Nello Schumann pianistico e liederistico è racchiusa, forse più che nel resto della sua
produzione sinfonica e da camera sempre personalissima e geniale, la grande personalità
creatrice di questo compositore in cui gioia e dolore si rincorrono in una continua e
improvvisa alternanza di stati d'animo di straordinario fascino espressivo. Lo stesso
Schumann disse che i pezzi pianistici debbono puntare su tre cose essenziali per suscitare
l'interesse dell'ascoltatore: la ricchezza della scrittura delle singole linee (Stimmenfülle), il
cambiamento armonico, così come è stato indicato da Beethoven e Schubert, e l'uso del
pedale. Questi tre elementi sono presenti nel pianismo schumanniano, dove l'armonia muta
rapidamente e gli accordi, i ritmi incrociati e sincopati, gli arpeggi e le figurazioni melodiche
si intrecciano fra di loro in un gioco di fantasia illuminato da una vivissima luce romantica.
Ciò si avverte con chiarezza stilistica nei Papillons op. 2, nel Carnaval op. 9, nella
Kreisleriana op. 16, nella Fantasie op. 17, nelle Faschingschwank aus Wien op. 26 e così via
in tutte le altre composizioni pianistiche, compresi i Phantasiestücke op. 12. Questi Pezzi di
fantasia, come recita il titolo, furono scritti nel 1837 e dedicati a miss Anna Robena Laidlaw,
una giovane pianista inglese giunta in quel periodo a Lipsia e accolta con simpatia da
Schumann dopo aver dato concerti a Berlino, Londra, Riga e Varsavia. La Laidlaw si fa
apprezzare come pianista anche da Schumann, che le dedicherà, dopo la sua partenza da
Lipsia (7 luglio 1837) i Phantasiestücke. Non sono mancate voci di biografi che attribuirono
al compositore e alla pianista inglese un rapporto amoroso, tanto più che in quell'anno l'intesa
fra Schumann e Clara Wieck aveva subito qualche battuta d'arresto prima della conclusione
matrimoniale. Ma si ha ragione di ritenere che fra Schumann e la Laidlaw ci sia stata soltanto
una simpatia reciproca, rafforzata dal consenso entusiastico della pianista verso le creazioni
del compositore.
I Phantasiestücke si aprono con una pagina delicatissima e dalle morbide sonorità (A sera) in
cui si respira un'aria di notturna poesia romantica tra modulazioni di affettuosa dolcezza
espressiva. Il successivo Slancio dal ritmo dinamico e incisivo (un pezzo famosissimo) è
carico di travolgente eccitazione psicologica. Con il terzo brano (Perché?) si torna a quello
stato di abbandono e di malinconia che è tipico del musicista quando avverte le difficoltà
provenienti dall'impatto con la realtà. Più movimentato e tormentato il gioco delle
modulazioni in Grillen (Chimere), dove luci ed ombre si alternano fra di loro. Nel successivo
Nella notte l'agitazione e l'ansia si fanno intense e ossessive con quella varietà di tonalità e di
ascendenze cromatiche, caratteristiche del linguaggio di questo quinto pezzo. Qui esplode
veramente quel senso drammatico e quasi di disperazione che serpeggia in tante
composizioni pianistiche di Schumann. In Fabel (Favola) si esprime con leggerezza di tocco
un'atmosfera fatta di ricordi della fanciullezza. Ed ecco con Sognanti agitazioni un
trascolorare di scherzosi capricci e di immagini disegnate con brevi tratti di penna. Un gusto
alla Chopin che si evidenzia tra ritmi veloci e pensosi ripiegamenti. A conclusione di questo
album si delinea una intelaiatura solida e robusta di accordi, come ad indicare un futuro di
speranza, pur tra qualche accenno di malinconia nello sfumato epilogo tra sonorità sospese.
13a 1834
https://www.youtube.com/watch?v=W7QEIkRvxQQ
https://www.youtube.com/watch?v=ELud_3FL_2o
https://www.youtube.com/watch?v=weIMGPNd-Fk
https://www.youtube.com/watch?v=g5XbYD5LcE8
https://www.youtube.com/watch?v=JNnVYSksSNY
https://www.youtube.com/watch?v=RLdMWgWo578
https://www.youtube.com/watch?v=xM0U69psVbU
Organico: pianoforte
Composizione: 1834
Prima esecuzione: Lipsia, Börsensaal, 13 agosto 1837
Edizione: Haslinger, Vienna, 1837
Dedica: William Sterndale Bennet
13b 1852
Organico: pianoforte
Composizione: 1852
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1881
Dedica: William Sterndale Bennet
Studi sinfonici, studi sinfonici per pianoforte solo. Siamo talmente avvezzi al titolo di
Schumann che non facciamo più caso al paradosso in esso contenuto. In verità vi fece caso
Schumann stesso quando, nel 1852, ripubblicò la sua op. 13, ritoccata, con il titolo Studi
informa di variazioni. E Studi sinfonici non era stato del resto il primo titolo: il primo fu
Variazioni patetiche, il secondo Fantasie e finale, il terzo Studi di carattere orchestrale.
Schumann, nel 1837, optò per Studi sinfonici, versione abbreviata di Studi di carattere
orchestrale, perché l'ampliamento delle possibilità coloristiche, provocato dall'adozione
generalizzata delle barre e placche metalliche di tensione e della copertura del martelletto in
feltro (invece che in pelle), portava il pianoforte a rivaleggiare con l'orchestra. Negli Studi
sinfonici Schumann adottò in larga misura disposizioni dell'evento sonoro tipiche
dell'orchestra, e poi dell'organo (Studio n. 8), ed infine... del pianoforte (Studio n. 11): il
nuovo pianoforte, in altre parole, poteva fare ciò che faceva l'orchestra, ma poteva anche
andar oltre l'orchestra, scoprendo un nuovo territorio di sovrapposizioni di sonorità limpide e
di macchie sonore indistinte, tanto che lo Studio n. 11 viene visto da qualcuno come lontana
premonizione di Ondine di Ravel. Per ottenere ciò diventava essenziale la tonalità, cioè l'uso
di tutti i tasti neri con una particolare posizione della mano che favorisce il controllo capillare
della discesa del tasto. Schumann, non-pianista, si affiancava così ai pianisti Chopin e Liszt,
che in quegli anni stavano sviluppando una tecnica del suono pianistico novativa, anzi,
rivoluzionaria.
Gli Studi sinfonici, lo abbiamo già detto implicitamente, sono in forma di variazioni.
Variazioni su un tema che non è di Schumann ma di un dilettante, il barone von Fricken,
padre della fidanzata di quel momento, prima che sbocciasse il grande amore, Clara Wieck. Il
barone, che suonava il flauto, aveva mandato nel 1834 a Schumann un suo tema con
variazioni, sollecitando un parere. Schumann se la cavò, diplomaticamente, dicendo che il
tema lo aveva interessato al punto da fargli pensare di scrivere a sua volta delle variazioni. La
gestazione dell'opera fu però lunga e tormentata. Schumann scrisse dapprima le Variazioni
patetiche, poi le trasformò nelle Fantasie e finale, assegnò loro il numero d'opera 9 e le
ritenne pronte per la stampa. Quindi cambiò idea, mise da parte le Fantasie e finale togliendo
loro anche il numero d'opus che passò al Carnaval. Nel 1837 Schumann riprese in mano le
Fantasie e finale, modificò radicalmente la struttura del tema, tolse cinque variazioni, ne
aggiunse altre, spostò l'ordine di qualche pezzo, cambiò per due volte il titolo e assegnò il
numero d'opera 13. Il risultato è un paradosso non solo a causa del titolo, ma anche perché la
struttura delle variazioni/studi non corrisponde più per intero alla struttura del tema,
modificata.
Il finale delle Fantasie e finale non era costruito sul tema del barone von Fricken, che vi
veniva soltanto citato, ma su due temi tratti da un melodramma di Heinrich Marschner, Der
Templar und die Jüdin (1829). Il primo di questi due temi, che metteva in musica le parole
«Rallegrati, fiera Inghilterra», nel 1837 cascò come il cacio sui maccheroni perché suggerì a
Schumann la dedica degli Studi sinfonici. Nel 1836 era infatti giunto a Lipsia un
giovanissimo musicista inglese, il ventenne William Sterndale Bennett, compositore e
pianista. Schumann lo ammirò molto, ne recensì con favore le composizioni nella rivista di
cui era proprietario e direttore, e gli dedicò gli Studi sinfonici, trovando il modo di combinare
uno di quei giochi criptografici che lo divertivano moltissimo. Di che cosa doveva rallegrarsi
la fiera Inghilterra? Di aver trovato nel Bennett un suo musicista di statura europea, il primo
dopo Purcell. Certo, per capirlo bisognava conoscere l'opera di Marschner e collegare il
finale degli Studi Sinfonici con il dedicatario. Ma Schumann inventò in vita sua altri enigmi
anche più complicati di questo.
Piero Rattalino
Gli Studi sinfonici op. 13, invece, si collocano nella fase centrale del periodo della grande
fioritura pianistica di Schumann.
Come tutti i lavori di quel periodo - da Papillons a Davidsbündlertänze, dal Carnaval alla
Fantasia - e come moltissimi suoi lavori in genere, anche gli Studi sinfonici, nonostante la
loro forma più astratta di Tema con variazioni, incrociano in modo indissolubile la loro storia
e i loro significati con le tormentate vicende della vita di Schumann, anche se poi, attraverso
varie versioni nel corso degli anni, i segni di questi incroci si sono fatti meno palesi.
Innanzitutto il tema su cui si basano gli Studi è opera del barone Ignaz Ferdinand von
Fricken, musicista dilettante e padre adottivo di quella Ernestine von Fricken con cui
Schumann si era fidanzato nel 1834; Ernestine era stata anche uno dei motivi ispiratori del
Carnaval - basato principalmente sulle quattro note, tutte presenti anche nel cognome
Schumann, nascoste nel nome del paese in cui risiedevano i Fricken, Asch - diventandone
ovviamente uno dei personaggi con il nome di Estrella, prima di essere bruscamente scalzata
dal cuore e dall'immaginazione di Schumann, già all'inizio del 1835, dalla piccola Clara
Wieck: «sei il mio amore di sempre. Doveva venire Ernestine affinché noi ci potessimo
riunire».
Gli Studi ebbero varie versioni; fin dalla prima redazione, compiuta tra il 1834 e il gennaio
del 1835, Schumann fu incerto sul titolo da assegnare al nuovo lavoro, passando da
Variations pathétiques a Etüden im Orchestercharakter von Florestan und Eusebius fino a
Fantaisies et Finale sur un thème de M. le Baron de Fricken. Ciascuno di questi titoli
contiene degli elementi che individuano un tratto del brano (la forma tra studio e variazione,
il carattere orchestrale della scrittura, l'andamento fantastico culminante in un ampio finale),
ma nel secondo appare - altro rimando al complesso mondo interiore schumanniano - anche
quella attribuzione dell'opera a Florestano ed Eusebio (i due personaggi immaginari che
rappresentavano nella mente di Schumann le istanze opposte della sua personalità) che
avrebbe poi abbandonato questa composizione per passare a Davidsbündlertänze.
Questa prima versione comprendeva dodici brani, dei quali solo il Tema, il Finale e cinque
variazioni (1, 2, 4, 5, 10) rimasero - pur se con alcune modifiche - nella prima edizione,
pubblicata nel 1837 a Vienna con il titolo francese di Etudes symphoniques. Le cinque
variazioni non utilizzate, sostituite da sei nuovi brani, furono pubblicate postume da Brahms
nel 1873; oggi gli interpreti generalmente ripropongono queste cinque variazioni, non
inserendole però sempre nello stesso punto del brano, poiché non esiste - come ha scritto
Wolfgang Boetticher, curatore dell'edizione critica degli Studi sinfonici - «un indizio
filologico che possa sostenere la sequenza ottimale in cui i cinque pezzi postumi dovrebbero
apparire in rapporto ai rimanenti studi».
Nella seconda edizione (Lipsia, 1852) l'opera prese il nuovo titolo di Etudes en forme de
variations e perciò lo Studio n. 3 e lo Studio n. 9, che non erano esattamente delle variazioni
e quindi contraddicevano il titolo, furono eliminati, anche se oggi vengono anche loro
generalmente eseguiti.
La dolorosa e statica bellezza del semplice tema comincia ad animarsi già nella Prima
Variazione (Un poco più vivo), mentre già dalla Seconda Variazione, al di sotto di un canto
intenso e appassionato, la scrittura pianistica si fa sempre più densa e complessa per
alleggerirsi poi all'improvviso nel luminoso virtuosismo del Terzo Studio; la figura
discendente del tema viene ripresa a canone nei secchi accordi della Terza Variazione che
sfocia direttamente nella Quarta (Scherzando), anch'essa costruita su accordi che introducono
però un'atmosfera più leggera, contraddetta ancora una volta dall'esplosione virtuosistica
della Quinta Variazione (Agitato). Questa alternanza, talvolta perfino violenta, di atmosfere
diverse continua anche nelle Variazioni seguenti, con lo slancio virtuosistico e appassionato
della Sesta Variazione, del Nono Studio e dell'Ottava Variazione e le parentesi intensissime
della Settima e, soprattutto della Nona Variazione, vertice sommo di intensità espressiva,
raffinatezza di scrittura, ricerca timbrica. Spentasi in lontananza l'eco di quest'ultima,
straordinaria Variazione, esplode con un contrasto tanto più amplificato il Finale (Allegro
brillante), un ampio e sonoro rondò di quasi duecento battute che utilizza materiale tematico
tratto dall'opera Der Tempier und die ]üdin di Heinrich August Marschner (1795-1861) e in
particolare della romanza «Du stolzes England, Freuedich» (Risorgi, fiera Inghilterra); si
tratta di un ulteriore omaggio di Schumann al suo amico inglese dedicatario dell'opera, il
compositore William Sterndale Bennett.
Carlo Cavalletti
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Nel 1852, più o meno contemporaneamente alla composizione da parte di Liszt della Sonata
in si minore che gli sarebbe stata dedicata, Robert Schumann poneva mano alla revisione dei
suoi Studi sinfonici, per pubblicarli, quello stesso anno, presso l'editore lipsiense Schubert &
Co. Adesso il titolo suonava Études en forme de variations: e come «variazioni» erano
indicati i dodici pezzi che facevano seguito al tema. Ma nel 1834, quando Schumann ne
aveva intrapreso la composizione, l'opera sembrava doversi intitolare Etüden im
Orchestercharakter von Florestan und Eusebius. E la prima edizione, pubblicata a Vienna
presso Haslinger nel '37 recava invece il titolo di Douze études symphoniques: ciascun pezzo
era come Etude prima, seconda eccetera. La vicenda delle diverse titolazioni degli Studi
sinfonici forse è banale soltanto in apparenza. Nel suo complesso fornisce indicazioni utili
per la lettura dell'opera. Visti in successione, i tre diversi titoli possono inoltre suggerirci il
desiderio, da parte di Schumann, di rendere via via più chiara la dimensione formale del
lavoro, rendendola sempre più esplicita e meno letteraria.
Lo Schumann che nel 1834 pone mano agli Studi è un musicista di ventiquattro anni, che da
poco tempo ha capito quale sia la sua vocazione vera, e l'ha abbracciata con dedizione
assoluta. Nel quadro di una adesione entusiastica ai fatti della cultura e dell'arte in generale,
bevuti quasi con il latte materno dal figlio del colto libraio-editore di Zwickau, la musica a
poco a poco è venuta prendendo sempre maggior peso. Finalmente, dopo aver sentito
Paganini, nel luglio del '30 era giunta la decisione: il giovane che già ha dato brillanti prove
di pianista e promettenti saggi compositivi, si getta anima e corpo nella musica. In ottobre
abita già a Lipsia: allievo e ospite pagante di Friedrich Wieck. Passano due anni, durante i
quali Schumann tenta di prepararsi alla carriera del virtuoso, forse per essere un Paganini del
pianoforte. Il sogno sfuma brutalmente nel '32, quando lo strambo meccanismo che il
giovane ha inventato per rinforzare il quarto dito gli rovina senza rimendio una mano.
D'ora innanzi Schumann sarà soltanto compositore. Non per questo sfuma il suo interesse per
il pianoforte, che come succede al novanta per cento dei compositori di musica strumentale
dell'Ottocento resterà il veicolo preferito di sperimentazioni e confessioni: anche se senza
mai giungere al rapporto quasi fisico fra compositore-interprete e strumento che abbiamo
visto esplodere in Liszt. Per dieci anni Schumann limita anzi esclusivamente al pianoforte la
sua esperienza di compositore. I primi ventitre numeri d'opus del suo catalogo
contrassegneranno altrettante composizioni per pianoforte, dalle Variazioni Abegg op. 1 ai
quattro Nachtstücke, del '39. Poi ci sarà un provvisorio ma quasi totale tramonto della
tastiera, e la rovente parentesi liederistica del 1840; quindi, a poco a poco, il recupero della
grande forma classica con l'esplorazione della musica da camera.
E di un recupero della forma classica è chiaro che Schumann, giunto agli ultimi dieci-
quindici anni della sua vita di compositore, sentisse più o meno a ragione il bisogno. Gran
parte dell'avventura creativa del decennio del pianoforte si era svolta all'insegna della
creazione di cicli di pezzi brevi, spesso di chiara ispirazione letteraria almeno nei titoli,
saldato insieme, nel caleidoscopico susseguirsi di proposte espressive diversissime, dai nessi
più o meno nascosti creati dall'impiego del principio della variazione: una tendenza
rappresentata al meglio dal Carnaval op. 9, del 1834-35. Avanti a ciò, reiterati ma non sempre
riusciti o felicissimi tentativi di cimentarsi con la forma illustre della Sonata: una, rimasta
incompiuta, nel '31-32, un'altra, poi numerata come «Quarta», nel '33-37, sempre
incompiuta; la cosiddetta «Prima», nel '33-35, la «Seconda» fra il '35 e il '38, la «Terza»,
dallo stravagante titolo di Concerto senza orchestra, fra '35 e '36. A mezza strada, per così
dire, fra l'ossequio aperto alla forma classica delle Sonate, e la libertà fantastica dei cicli
come Carnaval o i Phantasiestücke o i Davidsbündlertänze, gli Studi sinfonici: scritti
ripetendo la robusta articolazione classica del «tema con variazioni», ma realizzati, sul piano
compositivo, con una profondità di intervento e di trasformazione del materiale motivico
originario tale da dar vita a un più rigoroso e vigorosamente formato «carnevale» di
maschere.
Negli anni intorno al 1834-35, fra i personaggi del cerchio magico di Schumann troviamo
anche Estrella, donde il nome del tredicesimo episodio di Carnaval. Presto Clara-Chiarine le
sarebbe subentrata: ma allora l'amore di Schumann era ancora tutto per Ernestine von
Fricken, questo il vero nome della fanciulla, figlia di un buon dilettante di musica. Proprio di
un tema suggeritogli dal barone von Fricken Schumann si servì per costruire l'edificio delle
sue dodici Variazioni (diciassette, quando vi si aggiungano le cinque pure composte da
Schumann ma espunte al momento della pubblicazione, e che, edite postume, sono
spessissimo reintegrate dagli interpreti nel contesto degli Studi sinfonici. I quali, come
abbiamo veduto, nella prima intenzione di Schumann dovevano recare un titolo che
scopertamente richiamava il mondo fantastico di Carnaval e delle prose critico-letterarie di
Schumann: Studi in carattere orchestrale di Florestano ed Eusebio. Al momento della
pubblicazione, nel 1837, Schumann era già abbastanza innanzi sulla via di quel recupero
formalistico che lo avrebbe portato a scrivere musica da camera relativamente «normale»
quanto a schemi compositivi e priva di titolazioni fantasiose. Tolse quindi il riferimento a
Florestano ed Eusebio - con tutte le implicazioni extramusicali del caso, e anche con la sua
notevole cifra esoterica - serbando invece quello al carattere «sinfonico» del lavoro; per
«sinfonico» intendendosi, con tutta probabilità, l'impianto poderoso dell'elaborazione, in tutto
degna della grande forma orchestrale.
In altre parole, il ciclo degli Studi sinfonici può essere letto: a) come successione di
miniature l'una trasformantesi nell'altra in una sorta di gioco di specchi all'infinito, in una
dimensione poetico-letteraria alla maniera del Carnaval; b) come un'opera in più numeri, di
spiccatissimo interesse pianistico, alla maniera degli Studi di Chopin e Liszt e attraverso
questi al loro archetipo violinistico, i Capricci di Paganini; c) come il più bell'esempio di
tema con variazioni per pianoforte fra le Diabelli di Beethoven e i due quaderni brahmsiani
(da Händel e da Paganini) degli anni Sessanta. E forse non per caso in tutti e quattro i casi il
tema è opera altrui; sia pure con ben diversa nobiltà, nel caso dei due cicli brahmsiani, in
paragone al valzerotto di Diabelli o al temino del barone von Fricken. Il quale, comunque,
viene da Schumann, fin dalla sua presentazione in apertura dell'opera, gravato di una
straordinaria potenzialità di significati. Quella che il decorso delle variazioni si incarica di far
emergere con una capacità di proiezione fantastica pressoché insuperabile anche sul piano
strettamente tecnico, della trasformazione del motivo. Fino a convergere nell'esplosione del
Finale, un Rondò nel corso del quale Schumann si compiace di citare un tema, allora famoso,
dall'opera Il Templare e l'Ebrea di Marschner: un omaggio al Romanticismo germanico e alle
sue fonti britanniche, in sintonia, fra l'altro, con la dedica a un buon amico inglese, William
Sternaale Bennett, conosciuto attraverso Mendelssohn e futuro alfiere della Bach-
Renaissance in Gran Bretagna.
Daniele Spini
https://www.youtube.com/watch?v=eM5AEO7cqjY
https://www.youtube.com/watch?v=ItA4E-WIaM8
https://www.youtube.com/watch?v=FxyBun_iOF0
https://www.youtube.com/watch?v=FxyBun_iOF0
Organico: pianoforte
Composizione: 1835 - Lipsia, 5 giugno 1836
Edizione: in SMZ, 1836
Dedica: Ignaz Moscheles
La Sonata in fa minore op. 14 è un lavoro che per l'imponenza del disegno architettonico non
meno che per la forza dirompente e bruciante delle idee musicali emerge nella produzione
schumanniana degli anni Trenta, potendo affiancarsi senza sfigurare accanto a capolavori
come la Fantasia, in do maggiore o Kreisleriana. Non a torto Vladimir Horowitz la
considerava «una delle più grandiose pagine della musica romantica» e lo stesso Schumann
la prediligeva, insieme alla Sonata in fa diesis minore op. 11, fra le sue composizioni
precedenti Kreisleriana.
Delle due anime di Schumann, il dolce e riflessivo Eusebius e l'irruento Florestan, qui è
quest'ultimo che prevale, accentuando semmai le angolazioni più dolorose, le pieghe più
tormentate e ribelli della sua natura.
La forma classica della Sonata costituiva per un compositore come Schumann un problema e
una sfida allo stesso tempo; dando per scontata la congenialità col pezzo breve, capace di
concentrare e manifestare appieno la forza dell'ispirazione romantica, restava il confronto
assillante ed esaltante con i capolavori di Beethoven e Schubert e, in prospettiva più
ravvicinata, l'esempio luminoso, ma anche problematico, di Mendelssohn. Valeva la pena
tentare di tenere in vita la forma classica per eccellenza in un contesto culturale che andava
affermando ideali artistici radicalmente nuovi?
Concludendo uno scritto del 1839 sulla Sonata op. 45 per violoncello e pianoforte di
Mendelssohn, Schumann sembrava trovare una soluzione salomonica - suggerita forse dal
Maestro Raro - «Che si scrivano pure delle Sonate o delle Fantasie, che importa il nome! Ma
che non si dimentichi perciò la musica. E il resto ciascuno cerchi di ottenerlo con il proprio
genio».
Nel 1831 scriveva a Hummel: «la forma del Concerto mi sembra più facile di quella della
Sonata per via delle sue maggiori licenze». Le ultime Sonate di Beethoven, la Sonata in fa
diesis minore op. 81 di Hummel - sorprendente traguardo espressivo di un ex mozartiano -
ma soprattutto Schubert con le sue dilatazioni formali e l'allentamento delle tensioni
armoniche segnavano la via da battere per una Sonata Romantica tutta da inventare. Nel 1833
Schumann comincia a comporre tre Sonate per pianoforte: l'opera 11 in fa diesis minore,
l'opera 22 - terminata solo nel 1838 - e una terza lasciata incompiuta. La stessa Fantasia op.
17, composta fra il 1836 eil 1838, nasce come sonata in tre tempi alla memoria di Beethoven
e, ancora, il Carnevale di Vienna - pubblicato nel 1841 - è inteso da Schumann come "Grande
Sonata romantica".
Le realizzazioni, fino alle tarde Sonate per violino e pianoforte e alle Drei Sonaten für die
Jugend (Tre Sonate per la gioventù) del 1853, non sono quindi poche e dimostrano la
costante attenzione di Schumann verso la grande forma. Più sperimentale e "anticlassico"
nelle prime sonate per pianoforte solo - tra cui l'opera 14 - lo sarà meno nei lavori tardi, forse
anche a causa di una certa stanchezza d'ispirazione.
Le Sonate op. 11 e op. 14, assai più della concentratissima Sonata in sol minore op. 22, sono
anzi un vero manifesto di forma allargata, vale a dire che presentano una tale ricchezza di
materiale melodico e di soluzioni armoniche al limite dell'atonale, da determinare per forza
di cose un ampliamento e ispessimento del profilo generale della composizione. Secondi temi
alla dominante possono anche aver luogo ma sono per lo più inghiottiti da una serie di
elementi che sarebbe improprio definire secondari e che anzi finiscono spesso per dominare e
saturare lo spazio sonoro. Schumann in pratica non intende limitare l'esercizio della fantasia
anche nella forma codificata e in una lettera a Moscheles, come a preparare il pur intelligente
interlocutore, scrive: «Riceverete presto la vostra Sonata e potrete allora constatare quali
strane bizzarrie esistano al mondo».
Alla base di tutta la composizione è un tema di Clara Wieck; tema particolarmente cupo e
doloroso che, presentato nella sua integrità e seguito da quattro Variazioni, costituisce il terzo
movimento della Sonata. Nell'Allegro compare subito alla mano sinistra ma è solo uno
spunto da cui ha origine una vorticosa sequenza di motivi contrastanti. Al doloroso cupio
dissolvi del tema di Clara, Schumann oppone disegni ascendenti e incalzanti. In questo clima
di forte emotività è naturale che i confini di esposizione, sviluppo e ripresa tendano a
confondersi e a sovrapporsi.
Nelle Quasi Variazioni Schumann sembra preoccupato di non stravolgere troppo il tema di
Clara che difatti domina tutto il movimento e prepara al grande, impetuoso finale. Il modello
di questo Prestissimo in forma sonata potrebbe essere il finale della Sonata in do minore D.
958 di Schubert col suo febbrile ritmo di tarantella da cui nascono episodi lirici, drammatici e
anche grotteschi. In Schumann la scrittura abbandona però le tipologie classiche adottate da
Schubert e si fa più febbrile e inquieta: i temi appaiono percorsi da una sorta di isteria
propulsiva data dalle sincopi brevi e dai continui sbalzi di registro. Anche gli episodi più
lirici, con la loro instabilità armonica, non placano l'ansia. Tutti gli spettri beffardi e amari di
Kreisleriana sono qui anticipati e non basta certo a dissipare un'atmosfera così sulfurea la
conclusione in fa maggiore, impossibile catarsi di una vera "anima dilacerata".
Giulio D'Amore
14b 1853
https://www.youtube.com/watch?v=ahsU0OLKZmE
https://www.youtube.com/watch?v=hZfFq649h34
https://www.youtube.com/watch?v=tGLUF-5hguo
Organico: pianoforte
Composizione: 1853
Edizione: Haslinger, Vienna, 1853
15 1838
https://www.youtube.com/watch?v=yibf6QNjgGU
https://www.youtube.com/watch?v=4eUiCI-3aq8&t=451s
https://www.youtube.com/watch?v=keHybvlJjxE
https://www.youtube.com/watch?v=ixEnq_qyBfs
https://www.youtube.com/watch?v=JkBapt0Oomw
Von fremden Ländern und Meuschen (Da genti e paesi lontani) - (sol maggiore)
Curiose Keschichte (Storia curiosa) - (re maggiore)
Hasche-Mann (A rincorrersi) - (si minore)
Bittendes Kind (Fanciullo che prega) - (re maggiore)
Glückes genug (Abbastanza felice) - (re maggiore)
Wichtige Begebenheit (Avvenimento importante) - (la maggiore)
Traumerei (Visione) - (fa maggiore)
Am Camin (Al camino) - (fa maggiore)
Ritter vom Steckenpferd (Sul cavallo di legno) - (do maggiore)
Fast zu ernst (Quasi troppo serio) - (sol diesis minore)
Fürchtenmachen (Bau-bau) - (sol maggiore)
Kind im Einschlummern (Il bimbo si addormenta) - (mi minore)
Der Dichter spricht (Parla il poeta) - (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1838
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1839
Intorno al 1838 Schumann compose una serie di trenta pezzi «caratteristici», piccole schegge
del suo immenso mondo poetico: tredici di questi brani divennero le Kinderszenen op. 15,
piccole scene di vita familiare, ricordi indimenticabili di un bambino sensibile filtrati dalla
mano delicatissima di un poeta. È opportuno anzitutto chiarire che queste pagine non furono
concepite da Schumann per pianisti dalle piccole mani; se è vero che la scrittura pianistica
non presenta grandi difficoltà esecutive (cosa che induceva Schumann all'autoironia: «Mi
piacciono molto le Kinderszenen, quando le suono faccio molta impressione, soprattutto a
me stesso»), è anche vero che la destinazione della raccolta non è didattica, come avverrà
invece per l'Album für die Jugend concepito nel 1848.
Lo stesso Schumann ne chiarisce la portata e la destinazione in una lettera a Clara dell'11
febbraio 1838: «Se è lecito rinvenire un'eco di quanto una volta mi dicesti circa il fatto che
talora assomiglierei a un fanciullo, ebbene essa va trovata in una trentina di piccoli pezzi
bizzarri, dodici dei quali [i brani divennero poi tredici] ho chiamato Kinderszenen. Ti
divertiranno ma dovrai ovviamente dimenticare di essere una "virtuosa". Essi si spiegano
tutti, da sé e nel modo più elementare possibile».
Va infatti ricordato che Clara fu pianista dalle straordinarie doti tecniche, prima eseciitrice di
molte opere del marito, suo personale «banco di prova» dal momento che Robert, a causa di
esercizi tecnici sbagliati alla tastiera, si era totalmente compromesso la capacità di suonare il
pianoforte già dal 1829.
La raccolta si apre con una tema dolcissimo, il «c'era una volta...» delle fiabe: Da genti e
paesi lontani cui fa seguito il piccolo rondò di Storia curiosa, nel quale si alternano due
principi melodici di carattere opposto: il primo energico e affermativo, il secondo più
delicato e reclinante.
A rincorrersi è il brano più impegnativo dal punto di vista esecutivo: il gioco festante delle
scalette di sedicesimi della mano destra deve essere reso con precisione e uguaglianza. Dopo
il gioco e la corsa sfrenata viene la riflessione e la preghiera: Fanciullo che prega è una
parentesi di patetico raccoglimento che mette in luce il raffinato gusto armonico di
Schumann; la pagina si apre infatti con una delicata nona di dominante e si conclude con
un'interrogativa settima di dominante: due accordi instabili, pieni di incertezza e di
aspettativa. Anche Abbastanza felice presenta preziose sottigliezze armoniche, come l'incerto
ed esitante sol diesis d'apertura o l'ambigua modulazione a fa maggiore conclusiva.
Al camino, ancora nella tonalità del sogno, fa maggiore, ci restituisce la tenerezza del
focolare domestico; Sul cavallo cavallo di legno il bambino gioca e scherza prima di
ripiegare improvvisamente su se stesso in Quasi troppo serio, caratterizzato musicalmente dal
continuo spostamento degli accenti. Con Bau-bau si apre il momento dei primi timori, dei
fantasmi impossibili; nel tema principale si osservi il controcanto della mano sinistra
costituito da un sofferto movimento cromatico discendente. Il primo brivido arriva con la
tonalità minore e la linea melodica serpeggiante e ritmicamente decisa della mano sinistra;
gli accenti spostati e gli sbalzi tonali del terzo episodio rappresentano forse l'anima agitata
del fanciullo.
Poi tutto tace e Il bimbo si addormenta sul ritmo di una dolce ninna-nanna: ecco infine la
voce di Schumann (Parla il poeta), che con un linguaggio armonico semplice e immediato
arriva diretto al cuore: le sue parole ci giungono come da un ricordo lontano, sbiadito e
proprio per questo ancor più delicato e commovente.
Alessandro De Bei
Assieme all'Album per la gioventù op. 68 e ai Pezzi per pianoforte a quattro mani op. 85 "per
bambini grandi e piccoli", le Scene infantili op. 15 sono il testo capitale di quella
esplorazione del mondo dell'infanzia, nelle sue connotazioni psicologiche più profonde,
intrapreso da Schumann con la coscienza di penetrare in una regione della sensibilità umana
ancora sconosciuta alla musica; Schumann non poteva avventurarvisi senza condividere quel
mondo, senza sentirlo dentro di sé come categoria eterna del sentimento, svincolata da ogni
condizionamento anagrafico; non molti potranno seguirlo su questa strada, non sapendo più
scoprire un paese di meraviglia che però è semplice e serio come un tesoro di memorie; ma
quelli che lo seguiranno ne riconosceranno intatta l'autorità di maestro, maestro nella materia
meno pedante che si possa immaginare: Musorgskij e Cajkovskij e più vicino a noi Ravel e
Britten.
Le Scene infantili, composte nel 1838 alla vigilia del suo matrimonio con Clara, si snodano
come un'amabile suite in tredici istantanee, scritte "per i piccoli fanciulli da un fanciullo
grande"; contemporanee alla folgorante estrosità di Kreisleriana, se ne allontanano per la
semplicità tecnica, come un'oasi famigliare tutta pace dell'anima. Il musicista si fa
osservatore e narratore: il mistero dell'infanzia, la meraviglia per paesi e uomini lontani, è
fissata con pochi tratti nel brano d'apertura, seguito dalla "storia curiosa", dal gioco
capriccioso, dalla richiesta ingenua di qualcosa di piccolo e di immenso allo stesso tempo,
dal quadro della felicità perfetta e della seria e marziale solennità del "grande avvenimento";
al cuore della serie i l'immortale Träumerei, il sogno ineffabile di un'età dell'oro stemperata
in canto, e Am Camin, simbolo di una "Haus-Musik" celebrata vicino al focolare. Il "grande
fanciullo" condivide ancora la giornata del suo piccolo amico seguendolo sui sussulti del
cavallo a dondolo, assecondandolo nelle sue sospensioni "troppo serie", in racconti che fanno
spavento, e finendo con l'accompagnarlo fino alla soglia del sonno di un cherubino; alla fine,
Il poeta parla: il musicista esce ironicamente dal quadro e parla solo di sé, o meglio sogna, in
una tenerezza meditativa che dà forma all'interiorità pura, al sentimento che qualunque parola
precisa limiterebbe nella sua libera espansione.
Giorgio Pestelli
La raccolta si apre con un pezzo incantevole nella sua semplicità: "Von fremden Ländern und
Menschen" (Dove si parla di paesi e di uomini sconosciuti). Allo spirito fiabesco di questo
brano si contrappone l'ironia sottile della "Kuriose Geschichte" (Una storiella curiosa),
seguita dai guizzi vivacissimi di "Hasche-Mann" (A mosca-cieca). Si ritorna al candore e
all'intimismo, sia pure di diversa natura, in "Bittendes Kind" (Fanciullo che prega), per
sfociare in un momento di gioia e di calore familiare in "Glückes genug" (Felicità completa).
L'elemento serioso e vagamente comico (dato dalla rigida quadratura e dalle ottave della
sinistra) caratterizza "Wichtige Begebenheit" (Un avvenimento importante), che lascia il
posto al più famoso dei pezzi, "Träumerei" (Sogni), la cui popolarità non deve ingannare
l'ascoltatore smaliziato. In effetti si tratta di una pagina straordinaria e non a caso Alban Berg
ne darà un'analisi minuziosa vedendo qui l'essenza della musica schumanniana, unica nel
pensiero romantico. Il pezzo che segue, "Am Kamin" (Presso il camino), ci riporta ad un
aspetto infantile meno vago, quello del fuoco che il piccolo Robert aveva visto nella sua casa
di Zwickau; "Ritter vom Steckenpferd" (Sul cavallo di legno) con il suo gioco di sincopi
ricrea il passatempo casalingo di tempi passati. Più enigmatico, e venato di malinconia è il
decimo pezzo, "Fast zu ernst" (Quasi troppo serio); un ritorno al gioco, ma più mutevole, si
avverte in "Fürch-tenmachen" (Bau-bau), lasciando poi che il bimbo si addormenti, su un
movimento regolare delicato, in "Kind im Einschlummern". Per il congedo bastano alcune
battute intensissime, sognanti, del poeta che parla ("Der Dichter spricht") con un filo di voce,
allontanandosi poco a poco fino a scomparire.
Renato Chiesa
Guida all'ascolto 4 (nota 4)
Nei primi dieci anni della sua attività di compositore Robert Schumann scrisse quasi
esclusivamente per il pianoforte. Delle non molte pagine con diversa destinazione, buona
parte è anteriore al 1830, e dunque da ascriversi a quel tempo di vigilia che vide Schumann
adolescente esitare a lungo fra la musica e la letteratura. Si era poi risolto in favore della
prima, dopo lo choc determinante dell'ascolto di Paganini a Francoforte, il giorno di Pasqua
del '30: del luglio di quello stesso anno è la lettera che annuncia alla madre l'irrevocabile
decisione di essere musicista. Che si concretò nel giovane Schumann appunto in una
veemente vocazione pianistica, che pareva quasi tradurre il virtuosismo trascendentale del
violino di Paganini nel più ampio rapporto con quello che da Beethoven in poi fu lo
strumento principe della confessione individuale come della ricerca linguistica e formale per
ogni compositore di musica strumentale. Completo in quanto strumento naturalmente
polifonico, il pianoforte offriva al musicista romantico anche l'invidiabile maneggevolezza di
una tastiera dove pareva riassunto, senza perderci troppo, il potenziale immenso
dell'orchestra ottocentesca, liberato da quel peso che la scrittura per un numero così grande di
strumenti sembrava imporre; meno ricco di colori, ovviamente, rispetto all'orchestra, il
pianoforte tuttavia suppliva a questo handicap con lo straordinario sbalzo ritmico di cui è
capace nella sua natura di strumento percussivo. Così il pianoforte seppe a un tempo essere la
voce dell'individualismo e della riflessione intima come il veicolo delle grandi ambizioni:
fino a stabilire un rapporto quasi fisico con il compositore, naturalmente attirato a essere
anche esecutore. Tanto avvenne anche per Schumann, che infatti tentò egli pure la carriera
del virtuoso: ma le sue aspirazioni di concertista, furono frustrate proprio dall'impegno
ostinato con il quale cercò di prepararsi alla carriera del pianista, inventando un
marchingegno per rinforzare il quarto dito, con l'unico risultato di rovinarsi
irrimediabilmente una mano.
Parallelamente, già nelle opere del decennio pianistico, accanto alla sfilata delle maschere di
Cornaval, alle Danze dei fratelli di David scatenati contro i «Filistei», alle suggestioni
hoffmanniane dei Kreisleriana, si fa però strada, a poco a poco, il tentativo di recuperare più
composte dimensioni formali. Per cui sarà logico, una volta esaurita la spinta propulsiva
degli ardori pianistici, e consumato un concreto confronto fra musica e poesia con
l'esperienza incredibile degli oltre centocinquanta Lieder del prodigioso 1840 (che sarà infatti
detto «l'anno dei Lieder»), che Schumann si dia decisamente, negli anni successivi, alla
ricognizione della grande forma. Anzitutto con l'orchestra, con la Prima sinfonia e la versione
originale della futura Quarta, e con il Concerto in la minore; ma anche nella musica da
camera, con la riesumazione del genere gloriosissimo del Quartetto per archi. E tutto con
faticosa ma decisa, più o meno felici che potessero esserne gli sbocchi, ambizione a nuova
solidità costruttiva. Lungo la linea che porterà a questa svolta, non poche e non poco
importanti sono anche le tappe coperte entro lo stesso decennio pianistico. A partire,
soprattutto, dalle prime versioni di quell'opera gigantesca che sono i dodici Studi sinfonici
(1834) e della Sonata in fa minore (1835), cui le preoccupazioni commerciali dì un editore
affibbiarono lo strampalato titolo di Concerto senza Orchestra; e con il punto di massima
tensione nell'esplicito omaggio beethoveniano della Fantasia (quasi una Sonata, in realtà),
composta nel '36 e pubblicata come op. 17. Tutte esperienze formali, queste, che in qualche
misura si riverberano sulle più tarde composizioni strutturate sullo schema di suite di pezzi
brevi, che via via continuavano a sgranarsi nell'irrefrenabile fecondità di Schumann,
compresi i Pezzi fantastici del '37 e i Kreisleriana del '38.
Daniele Spini
16 1838
Kreisleriana
Otto fantasie per pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=JYWmu8m7WAg
https://www.youtube.com/watch?v=rdG_Aj6XOYY
https://www.youtube.com/watch?v=9D6B5B39ERI
https://www.youtube.com/watch?v=wgOQdKOw09o
https://www.youtube.com/watch?v=LkiSy5Oe1JQ
https://www.youtube.com/watch?v=DgNAliGs_ys
https://www.youtube.com/watch?v=potcaiHtC5k
Organico: pianoforte
Composizione: 1838
Edizione: Haslinger, Vienna, 1838
Dedica: Fryderyk Chopin
In una lettera a Clara Wieck del 15 aprile 1837, Schumann scrisse: «Da quando hai ricevuto
la mia ultima lettera ho terminato una serie di pezzi nuovi: io li chiamo Kreisleriana. Tu e il
pensiero di te li dominate completamente, e io voglio dedicarteli, a te e a nessun altro... La
mia musica mi sembra ora realizzata così meravigliosamente, così semplice e proveniente dal
cuore...» In un'altra lettera del 3 maggio 1838, egualmente a Clara, Schumann precisò: «Ho
trascorso tre meravigliose giornate di primavera aspettando un tuo messaggio. Poi ho scritto
Kreisleriana in quattro giorni: dei mondi totalmente nuovi s'aprono davanti a me».
I brani della Kreislerìana, pubblicati con la dedica "all'amico F. Chopin", nonostante fossero
stati ideati per Clara Wieck, recano il sottotitolo di Phantasien e sono otto pezzi, ora febbrili e
allucinati ora distesi e apparentemente sereni: in particolare, i numeri pari, visionari ed
esaltati, sono in minore mentre quelli dispari, malinconici e lenti, sono in maggiore. Non
sono isolabili l'uno dall'altro, come può accadere, per esempio, a proposito dei
Phantasiestücke o di altri cicli, perché nell'insieme attingono un'omogeneità coerente e
assoluta, anche perché all'interno del complessivo loro tracciato si rinvengono legami tonali
ed espressivi strettissimi.
Luigi Bellingardi
Fu con la musica per pianoforte che Schumann fece i primi passi nella composizione: non
aveva compiuto studi approfonditi che come virtuoso di pianoforte (solo molto tardi osò
accostarsi all'orchestra), ma con il pianoforte aveva un rapporto confidenziale e gli affidò i
primi slanci e le prime manifestazioni della sua anima d'artista; anche da questo deriva il
tono soggettivo della sua musica composta dal 1830 al 1839, quasi si trattasse d'un diario
musicale, in cui si riflettono non tanto gli avvenimenti della sua vita quanto le sue esperienze
e le sue riflessioni di giovane artista ancora egualmente sollecitato dalla musica e dalla
letteratura. Con questi pezzi pianistici il soggettivismo romantico di Schumann cercava di
fissare nel modo più rapido e più intenso sensazioni concrete, impressioni sfiorate e idee
astratte appena intraviste, creandosi uno stile fatto di forme sempre nuove e libere che si
modellano sull'idea del momento, susseguendosi e svanendo rapidamente così come
rapidamente s'inseguono e svaniscono i pensieri del compositore seguendo il filo
imprevedibile d'un esaltato Phantasieren romantico. Anche la tecnica di Schumann non
obbedisce a regole e non è mai strettamente "pianistica", ma cerca d'andare oltre i limiti
naturali dello strumento e di dargli timbri e profondità nuovi, talvolta facendone quasi un
rivale dell'orchestra, come Liszt, ma senza la sua esibizione di virtuosismo.
I Kreisleriana sono senza dubbio tra i più significativi e "schumanniani" dei ventisei
capolavori pianistici che occuparono tutti i primi dieci anni dell'attività del compositore. A un
suo corrispondente francese Schumann scrisse: «Di tutte queste composizioni [si riferiva a
quelle dall'op. 15 all'op. 20] Kreisleriana mi è la più cara. Il titolo non può essere capito che
dai tedeschi. Kreisler è un personaggio creato da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, è un
maestro di cappella strano, esaltato, spirituale. Molte cose in lui vi piaceranno». In realtà i
Kreisleriana sono non tanto la trasposizione musicale dei racconti di Hoffmann quanto
l'espressione dell'anima divisa e tormentata di Schumann, ma non è senza significato che il
compositore abbia scelto come personificazione immaginaria della sua vita interiore quella
figura di musicista allucinato che muore pazzo.
Schumann scrisse una volta alla sua amata Clara: «Ho notato che la mia immaginazione non
è mai così viva come quando è ansiosamente diretta verso di te. È stato così che nei giorni
scorsi, aspettando la tua lettera, ho composto abbastanza da riempire dei volumi. Sono cose
stupefacenti, folli, qualche volta solenni». E il 3 maggio 1838, sempre a Clara: «Ho passato
tre meravigliose giornate di primavera aspettando la tua lettera. Poi ho composto i
Kreisleriana in quattro giorni; dei mondi totalmente nuovi s'aprono davanti a me [...]».
Dunque in quella radiosa primavera e in quello stato d'animo felice ed esaltato nacquero gli
otto pezzi dei Kreisleriana, che recano il sottotitolo di Phantasien ma sono piuttosto dei sogni
febbrili e delle allucinazioni: grandi ondate emozionali si accavallano, si mescolano, si
perdono nelle profondità di crisi misteriose, in un continuo ascendere verso le vette e
precipitare verso gli abissi, in uno stato di perpetua esaltazione e agitazione.
Nel primo pezzo, Agitatissimo, vertigini di sogno ondeggiano in turbini serrati e diafani, poi
si eleva un canto velato e indistinto, come parole che in un sogno crediamo di sentire ma di
cui ci sfugge il senso. Il secondo, Molto intimo e non troppo presto, inizia con una calma e
interiore solennità, che poi si complica con armonie bizzarre e viene interrotta da due
Intermezzi in tempo più veloce e mosso: nel primo l'incertezza e l'agitazione giungono fino a
venarsi di sofferenza, nell'altro una melodia si apre faticosamente la strada attraverso le
dissonanze laceranti. Il terzo pezzo, Molto agitato, inizia in modo eccitato e febbrile, scandito
dagli staccati nel registro basso, ma si placa e si trasforma in uno squisito arabesco sonoro
nella sezione centrale in tempo più lento. Nel quarto, Molto adagio, una frase ampia e lenta,
con tratti di maestosa tristezza quasi beethoveniana, si dissolve in una sezione centrale più
mossa per ritornare a concludere il pezzo in un'atmosfera di raccolta poesia. Nel quinto
pezzo, Molto vivace, ritmi mutevoli vengono accostati e contrapposti, con un andamento
capriccioso e imprevedibile, mentre il sesto, Molto adagio, ha una delle melodie più
affascinanti di tutta la letteratura pianistica romantica (una melodia che non si può definire
altrimenti che schumanniana), in cui s'insinua un presentimento del tema dell'ultimo pezzo. Il
settimo pezzo, Molto presto, è nuovamente febbrile e tumultuoso, con ondate che salgono e
scendono con rapidità vertiginosa. L'ottavo, Vivace e giocoso, ha un ritmo ossessivo, in cui si
succedono e s'alternano diverse immagini dal carattere insolito e grottesco. I Kreisleriana
sono dedicati da Schumann «al suo amico F. Chopin».
Mauro Mariani
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Tutta la prima produzione di Schumann, dagli esordi poco prima dei vent'anni al 1839, è
posta sotto il segno del pianoforte. I primi ventitre numeri d'opus contrassegnano altrettante
composizioni pianistiche, e non per nulla, tolta una Sinfonia giovanile rimasta fuori dal
corpus dei suoi lavori, gli stessi approcci di Schumann all'orchestra avvennero per il tramite
dello strumento a tastiera, sotto la forma di ripetuti tentativi di comporre un Concerto per
pianoforte e orchestra, culminati nel 1841-45 nel Concerto in la minore. Mezzo ideale di
confessione, capace del virtuosismo più spericolato come della riflessione più intima,
dell'espressività più bruciante come delle più sfumate prospettive timbriche, e soprattutto, per
la sua natura di strumento polifonico ma pur sempre «individuale», in grado di offrire al
compositore una densità di scrittura pari o di poco inferiore a quella dell'orchestra, ma con
una duttilità ritmica incomparabilmente superiore, il pianoforte fu il più naturale protagonista
della stagione romantica della musica europea; e dunque il più naturale compagno di
un'esperienza artistica come quella della giovinezza di Schumann, contrassegnata dalla felice
effusione di un'inventiva fantastica e di un'urgenza espressiva senza precedenti, nutrite
abbondantemente ambedue di letteratura, secondo quell'aspirazione all'unità delle arti che
rimase sempre un cardine dell'estetica schumanniana. Naturalmente, il pianoforte di
Schumann si orientò in prevalenza verso una speciale dimensione costruttiva; riprendendo da
Beethoven, idolo e spauracchio di ogni musicista tedesco dopo di lui, non il ferreo impegno
formale che aveva innestato sul ceppo glorioso della Sonata classica una concezione
strutturale affatto nuova, ma uno solo dei principi in base al quale quell'impegno si era
concretato in musica, ossia quello della variazione integrale, garanzia di unità intima
nell'estremizzata diversità degli esiti cui uno spunto tematico o ritmico poteva venir condotto
attraverso radicali elaborazioni e sviluppi.
Nonostante nel catalogo delle opere di Schumann le grandi forme - anzitutto la Sonata - siano
rappresentate in misura più che sufficiente, e con i risultati artistici che si sanno, è evidente
che lo schema privilegiato fra quelli adottati dal musicista fu quello delle costruzioni di breve
durata; non però intendendole come bozzetti conclusi in se stessi, e dunque di corto respiro,
bensì come parti inseparabili di composizioni sovente di dimensioni molto ampie, articolate
nel susseguirsi di episodi autosufficienti solo per fisionomia espressiva, ma profondamente
legate l'una all'altra da precise parentele strutturali. La stessa diversità di intonazione fra i
vari pezzi, del resto, non dava origine a caleidoscopiche giustapposizioni di tessere
eterogenee, sibbene si poneva a sua volta come garanzia di unità; perché nessuna di quelle
proposte, proprio per l'estremistico differenziarsi di ognuna dall'altra, poteva sussistere da
sola, ma richiereva l'indispensabile complemento delle altre, a ricomporre una personalità più
volte sdoppiata nei suoi diversi aspetti, secondo una tendenza che fu tipica di tanto
Romanticismo tedesco, e che Schumann fece propria fin dall'inizio della sua parabola
artistica.
A questa specie di composizioni appartengono di pieno diritto i Kreisleriana, dedicati «al suo
amico Chopin» e composti nel '38, cioè giusto alla vigilia della conclusione del periodo
«pianistico» di Schumann, che dopo essersi dedicato per un anno (il 1840) quasi
esclusivamente al Lied, avrebbe decisamente imboccato la strada del confronto con la forma
«grande» per eccellenza, la Sinfonia. Per Schumann, ventottenne, questi anni sono ancora
quelli delle scoperte, degli abbandoni, degli entusiasmi; ma già con una maturità tecnica ed
emotiva capaci di conferirgli un sicuro dominio sulla materia e sull'espressione, al di là di
quell'apparente prevalere del dissidio interiore sulla forma, che secondo alcuni determina il
carattere di «documento, di cosa vissuta» di queste pagine, inibendo loro la perfezione. È
certo, peraltro, che i Kreisleriana si inscrivono a tutti gli effetti fra le grandi pagine di diario
del primo Schumann, tanto che è impossibile non ricordare il peso che in quel preciso
periodo avevano sul suo stesso operare di compositore le vicende della sua vita privata, con il
contrastato amore per Clara Wieck, che solo dopo il superamento di gravi ostacoli sarebbe
potuta divenire sua moglie. Ma soprattutto, sono le scoperte allusioni letterarie dei
Kreisleriana, denunciate dallo stesso titolo, a caratterizzare queste otto «Fantasie» come una
delle testimonianze più autentiche della fase più accesa e visionaria del Romanticismo
musicale, contrassegnata da un'esasperata sensibilità psicologica.
Con il titolo Kreisleriana era apparsa, nel 1814, una raccolta di diversi scritti di argomento
musicale precedentemente pubblicati da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann sulla
«Allgemeine musikalische Zeitung». Johannes Kreisler era appunto lo pseudonimo con il
quale Hoffmann aveva firmato le prime recensioni musicali, ed era uno dei personaggi più
bizzarri del demonico mondo hoffmanniano. Riciclando quel titolo per la sua composizione,
Schumann dichiarava scopertamente la sua adesione agli assunti fantastici, irrazionali, venati
di un grottesco non di rado vòlto al negativo, che caratterizzavano l'opera del poliedrico e
originalissimo scrittore; soprattutto, era chiara da parte di Schumann l'intenzione di rifarsi
appunto al concetto tutto romantico, fiabesco ma anche diabolico, dello sdoppiamento dell'io,
manifestazione di dissociazione della personalità ma anche riconoscimento di sé nell'altro, in
ambigua equivalenza fra maschera e volto. In ciò sta la ragione dell'alternarsi, nell'ambito dei
Kreisleriana, di brani di contrastante intento espressivo, non meno caratterizzati e provvisti di
propria identità poetica e rappresentativa di quelli che compongono altre raccolte
schumanniane, pur non giovandosi, a differenza di quelli, di titoli suggestivi e immaginosi.
Così all'avvio scalpitante del primo brano succede la contemplazone del secondo, con il
respiro quasi narrativo della breve arcata melodica del tema, e nel quale si intarsiano, a
renderlo ancor più complesso e polisenso, i due «Intermezzi». Altrettanto avviene con il terzo
brano, un alternarsi di tensione e distensione seguito dalla concentrazione espressiva,
veramente eccezionale, del quarto, aperto e concluso da lenti episodi accordali. Il quinto
pezzo sembra proporre un clima bizzarro, preludiando alla profonda e inquieta riflessività del
Molto lento che lo segue. Il settimo e l'ottavo brano sono ambedue in tempo mosso, e
complementari nel carattere; l'impeto sfrenato dell'uno viene ricomposto dalla giocosità un
po' bizzarra con cui l'altro sigla la conclusione del ciclo.
Daniele Spini
17 1836
https://www.youtube.com/watch?v=CEjhA3QVdJA
https://www.youtube.com/watch?v=FzmTmOUb9Sw
https://www.youtube.com/watch?v=s7EnuLZvT1U
https://www.youtube.com/watch?v=s7EnuLZvT1U
https://www.youtube.com/watch?v=DFD-reugoFU
https://www.youtube.com/watch?v=1ZwFdce54ps
https://www.youtube.com/watch?v=qVgtLB1eKv0
https://www.youtube.com/watch?v=wINKk7zwKV0
Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 19 dicembre 1836
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1839
Dedica: Franz Liszt (in origine Clara Wieck)
Nel periodo che va dal 1830 al 1839, compreso tra le Variazioni sul nome ABEGG e i quattro
Klavierstücke, apparvero i più noti capolavori del pianismo schumanniano e precisamente le
Kinderszenen, Papillons, Carnaval, la citata Kreisleriana, Studi sinfonici, la Toccata in do
maggiore op. 7, i Phantasiestücke op. 12, la Fantasia in do maggiore op. 17, Arabeske in do
maggiore op. 18, le otto Novellette op. 21 e il Faschingsschwank aus Wien op. 26 (Carnevale
di Vienna), senza considerare, perché composti più tardi, l'Album per la gioventù (1848), le
Waldszenen op. 82 (1848-'49) e i Gesänge der Frühe op. 133 scritti nel 1853. In tutti questi
lavori si avverte con molta chiarezza ed evidenza formale quel modo di comporre tipico di
Schumann, fatto di slanci ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze, di
introspezioni psicologiche e di sogni fantastici, contrassegnati di idealismo romantico. Un
mondo poetico, insomma, punteggiato da stati d'animo diversi e più volte contrapposti,
espressi sempre con straordinaria freschezza melodica e con una varietà armonica viva e
frizzante anche nei sapori dissonanti.
Molto complessa e ricca di valori musicali ed estetici è la Fantasia op. 17, composta nel
1836, riveduta nel 1838 e pubblicata nel 1839 da Breitkkopf & Härtel. Originariamente
questo brano era stato concepito per uno scopo pratico: la necessità di raccogliere denaro pci
la costruzione di un monumento a Bonn in onore di Beethoven. Tanto è vero che avrebbe
dovuto chiamarsi, nelle intenzioni dell'autore, «Obolen auf Beethoven's Monument: Ruinen,
Trophaen, Palmen» oppure semplicemente «Für Beethoven's Denkmal». Ma sembra che
Schumann nello scrivere questa possente pagina pianistica abbia pensato alla sua adorata
Clara, che nel 1836 era lontana da lui, anche per l'intransigenza del vecchio Wieck ostile al
matrimonio della figlia con il musicista, colpito in quell'anno anche dalla gravissima perdita
della madre. Del resto lo stesso Schumann lo lascia chiaramente intendere, quando, in una
lettera indirizzata a Clara nel marzo 1836, dice: «II primo tempo è davvero quanto di più
appassionato abbia mai fatto: un profondo lamento per te».
"Sembra che la forma abbia concluso il suo ciclo vitale, e questo è nell'ordine delle cose;
perciò non dovremmo ripetere per secoli sempre le stesse cose, ma mirare anche al nuovo. Si
scrivano dunque sonate o fantasie (che importa il nome), ma non si dimentichi la musica, e il
resto imploratelo al vostro buon genio". Schumann scrisse queste parole nel 1839, anno nel
quale terminò le tre Sonate per pianoforte e pubblicò, con il titolo "Fantasie pour le
Pianoforte" e la dedica a Franz Liszt, la Fantasia in do maggiore op. 17. La sua origine è
legata a un avveninmento esterno. Quando nel 1835 fu diramato l'invito a inviare offerte
musicali per la costruzione di un monumento di Beethoven a Bonn, Schumann pensò di
contribuire con una grande Sonata per pianoforte in tre movimenti intitolati "Ruinen,
Trophaeen, Palmen", in cui figurassero citazioni di Beethoven. Il pezzo, abbozzato fin nei
dettagli, nel giugno del 1836, fu portato a termine soltanto nel 1838. Nel frattempo il
compositore si arrovellava sul problema del titolo: quello di Fantasia gli sembrava più adatto
di Sonata ma non intendeva, come consigliava il suo editore, rinunciare ai sottotitoli, ora
trasformati in "Rovine, Arco di trionfo e Costellazione". Solo al momento della
pubblicazione i sottotitoli scomparvero e il riferimento a Beethoven si ridusse alla sola
citazione dell'ultimo lied del ciclo An die ferne Geliebte: segreta allusione all'amore per
Clara Wieck, in uno dei periodi più contrastati e infelici della loro relazione. In loro
sostituzione Schumann optò per un motto poetico posto in epigrafe all'inizio dell'opera, gli
ultimi quattro versi della poesia Die Gebüsche ("I cespugli") di Friedrich Schlegel: "Risuona,
fra tutti i suoni / nel variopinto sogno terrestre / un tenue suono tenuto / per colui che ascolta
segretamente". Sonata o fantasia, Beethoven o Clara, quel che colpisce a ogni ascolto di un
capolavoro assai noto come la Fantasia op. 17 è la capacità di articolare il discorso con una
chiarezza lucidamente visionaria, stabilendo a ogni istante il punto di arrivo di una
molteplicità di avvii, accenni, allusioni, riferimenti, associazioni, che percorrono l'opera
sciogliendosi in musica: sotto questo aspetto, il passo schumanniano citato all'inizio è ben più
di una dichiarazioni d'intenti e si traduce in una esibizione addirittura esemplare di
virtuosismo, energia e libertà creativa. E' come se la musica, superando i concetti della teoria
delle forme che si erano sviluppati per fissarne le coordinate, volesse ritornare alle sue origini
primordiali ed elevarsi indipendentemente al discorso libero da ogni costrizione, verso una
visione poetica di indefinita vastità. Da questo punto di vista l'indicazione che compare
all'inizio ("Da eseguirsi in modo assolutamente fantastico e appassionato") è programmatica,
non meno di quel "tono dì leggenda" prescritto nell'episodio centrale del primo movimento:
termini che nella loro apparente vaghezza costituiscono insieme una premessa e uno
svolgimento che dal primo movimento si protende anche verso gli altri due, l'uno energico
col suo ritmo di marcia, l'altro intensamente lirico e interiorizzato, racchiudendo tutto un
mondo.
Sergio Sablich
La Fantasia opera 17 fu composta da Robert Schumann nel 1836 e fu pubblicata, dopo una
revisione, nel 1839, con dedica a Liszt. In origine era stata concepita per raccogliere fondi
destinati a un monumento a Beethoven (il progetto era appunto di Liszt); e infatti il titolo
originario sarebbe dovuto essere «Obolen auf Beethovens Monument: Ruinen, Trophäen,
Palmen». La composizione però è anche strettamente legata all'amore del musicista per Clara
Wieck, allora lontana da Schumann per volontà del padre della fanciulla, che si opponeva
alle nozze; «Potrai capire la Fantasia soltanto se ti riporti all'infelice estate 1836, quando
rinunciai a te»; così scriveva Schumann a Clara nel 1839, e aggiungeva: «Il primo tempo è
davvero quanto di più appassionato abbia mai scritto: un profondo lamento per te».
L'importanza di questi fatti va ben oltre la semplice aneddotica, e si riflette sulla stessa
essenza della composizione; infatti, seguendo un procedimento quasi criptografico,
Schumann riuscì, in quest'opera, a legare inscindibilmente fra loro i nomi di Beethoven e di
Clara (e, con la dedica, anche quello di Liszt). Già il motto di Schlegel posto all'inizio dello
spartito lascia intendere esplicitamente come nella composizione si celi un significato
segreto:
Durch alle Töne tönet
Im bunten Erdentraum
Ein leiser Ton gezogen
Für dem, der heimlich lauschet
Nella Fantasia opera 17 Schumann tentò appunto di far rivivere la grande forma,
attualizzandola, con contenuti differenti. Diversa è innanzitutto la scansione dei movimenti
rispetto a quella della sonata classica; invece di uno schema veloce-lento-veloce abbiamo
uno schema quasi lento-veloce-lento. Ma è poi il contenuto espressivo a indicare nuove
prospettive. Subito all'inizio del primo tempo (Durchaus phantastisch und leidenschaftlich
vorzutragen; da suonarsi interamente in modo fantastico e appassionato) la mano sinistra crea
un accompagnamento indistinto e incalzante, sul quale viene a stagliarsi la appassionata
melodia della mano destra; un'atmosfera "sospesa" che percorre l'intero movimento (una
specie di forma sonata, con lo sviluppo sostituito da un trio). Segue una marcia, animata dal
ritmo puntato, con una più lirica sezione centrale, e con una coda ben nota per la sua
trascendentale difficoltà. Il finale, condotto attraverso sonorità tenui e sommesse, ha il
carattere di una continua improvvisazione su due temi di ascendenza ancora beethoveniana
(dal Quinto Concerto per pianoforte e dalla Settima Sinfonia); ancora una sintesi fra l'ardore
romantico e l'omaggio al modello.
Arrigo Quattrocchi
Un posto del tutto particolare occupa nell'ambito delle composizioni pianistiche del decennio
1829-39 la Fantasia op. 17, datata 1838 nella versione e con il titolo definitivi, ma risalente a
due anni prima. Nel 1836, infatti, progettandosi a Bonn di erigere un monumento a
Beethoven, Schumann aveva voluto in qualche modo contribuire alle celebrazioni,
componendo un'opera di ampio respiro e di impianto in qualche modo riconducibile alla
grande forma anziché a quello a lui più consueto della serie di pezzi brevi. Nacque così una
composizione in tre tempi, che fu intitolata Obolen auf Beethovens Monument: Ruinen.
Trophaen, Palmen. Grosse Sonate für das Pianoforte. Für Beethovens Denkmal (Offerte al
monumento di Beethoven: Rovine. Trofei. Palme. Grande Sonata per pianoforte. Per il
monumento di Beethoven), dedicata a Clara Wieck e provvisoriamente catalogata come op.
12, lo stesso numero che sarebbe poi toccato ai Phantasiestücke. I titoli dei due brani, in
seguito, vennero più volte modificati, per essere da ultimo soppressi; scomparve poi anche il
riferimento a Beethoven, e dopo una revisione generale il lavoro fu ribattezzato Fantasia e
pubblicato, nel '39, con la dedica a Liszt. Schumann agì saggiamente: sarebbe infatti quanto
mai difficile apparentare la Fantasia ai concetti formali che si è soliti identificare con la
Sonata classica, nemmeno intendendoli con la libertà che informa le Sonate del periodo
romantico, comprese le tre composte da Schumann fra il 1833 e quello stesso 1836 (la
Seconda, l'op. 22, e la Terza, il cosiddetto Concerto senza orchestra, sebbene rielaborate in
seguito nelle stesure originali sono anch'esse anteriori alla Fantasia). All'op. 17 manca della
Sonata l'architettura complessiva, poiché i tre tempi che la compongono non cofigurano nella
loro successione quella simmetria che in quasi tutte le Sonate propriamente dette si manifesta
nella presenza, in prima e ultima posizione, di due tempi veloci, separati da uno o più altri
movimenti: in questo caso, terminando con un Adagio, saremmo in presenza, per così dire, di
una Sonata interrotta, priva di una regolare conclusione. In secondo luogo, nella Fantasia in
do maggiore non si ritrova quella che è la prima e insopprimibile condizione perché di
Sonata vera e propria si possa parlare, ossia un primo tempo in forma bitematica tripartita
svolta secondo un preciso itinerario armonico: il movimento iniziale della Fantasia può
essere ricondotto allo schema della forma-sonata soltanto vagamente, per l'anomalo rapporto
tonale fra il primo e il secondo tema, per il rapsodico andamento della parte centrale, per
l'irregolare trattamento della «ripresa». Finalmente, lo stesso svolgimento della Fantasia, con
le sue pur non esplicite intenzioni «programmatiche», si propone più con i caratteri di un
vasto poema pianistico che non con quelli di una composizione strumentale «assoluta»,
governata da esigenze anzitutto formali.
Ma forse proprio perché questo suo quarto approccio alla composizione di ampie proporzioni
Schumann si lasciò meno condizionare dai modelli del sonatismo classico o di quello
beethoveniano, permettendo invece che la sostanza musicale si dipanasse con assoluta libertà
su linee proposte esclusivamente dalla fantasia e dall'intuizione poetica, la Fantasia op. 17
risulta il suo capolavoro in questo campo, riuscendo molto meglio delle tre Sonate vere e
proprie a reggere i confronto con le opere maggiori di quegli stessi anni, dal Carnaval ai
Phantasiestücke, agli Studi sinfonici e ai Kreisleriana. Di queste la Fantasia condivide la
profonda proiezione poetico-letteraria, ribadita dal «motto» apposto da Schumann in
epigrafe, una quartina di Friedrich Schlegel: «Durch alle Töne tönet / im bunten Erdentraum /
ein Leiser Ton gezogen / für den der heimlich lauschet» («Attraverso tutti i suoni risuona / in
variopinto sogno terreno / un suono sommesso / per chi ascolta in segreto»), e l'estremizzato
slancio fantastico ed espressivo. Basterebbero le indicazioni dinamico-espressive del primo
movimento, che si apre con la prescrizione di «eseguire in modo quanto mai fantastico e
appassionato», come si conviene allo stupendo tema eroicamente stagliato in scalpitanti
ottave sul generoso fluire delle armonie affidate alla mano sinistra («non ho mai scritto
niente di più appassionato», confidava Schumann a Clara), dal quale prende le mosse una
costruzione di estrema varietà espressiva, con frequenti cambiamenti di tempo in
corrispondenza dei diversi episodi (uno di essi, più pacato e misterioso, reca l'indicazione «In
tono di leggenda), che del visionario titolo di Rovine della concezione originaria sembrano
dare poetirissima ragione. Così è dei Trofei cui doveva riferirsi l'andamento di marcia che
apre superbamente il tempo centrale della Fantasia (Moderato. Il più possibile energico), e
che ben potrebbe attagliarsi a una delle trionfali sfilate dei «Fratelli di Davide» in guerra
vittoriosa contro i «Filistei»: anche qui l'intonazione espressiva iniziale percorre un cammino
di imprevedibili esiti fantastici, secondo un febbrile succedersi di immagini, fino a sfociare in
una coda di asperrimo virtuosismo. Vertice poetico della Fantasia è l'enigmatico e
fascinosissimo ultimo movimento, che nell'ambito di una dinamica contenuta nei limiti di
una eccezionale delicatezza (Lento. Sempre piano) esplora grazie alle magie di un timbro
pianistico di straordinaria evanescenza le zone più metafisiche e rarefatte dell'espressione, e
nel quale compare un frammento melodico che potrebbe essere una citazione beethoveniana
(un'altra, dal ciclo liederistico All'amata lontana, figura anche nel primo tempo), dal secondo
movimento del Concerto n. 5 per pianoforte, l'Imperatore, come trasfigurata in lontananze
smisurate. Di stupenda suggestione è anche il trattamento dell'armonia, specialmente negli
improvvisi mutamenti d'orizzonte che segnano lo sviluppo del secondo tema del pezzo, la cui
cantabilità generosa ma sommessa si ripropone successivamente in tonalità lontanissime.
Verso la conclusione il movimento si accelera per tornare a calmarsi nei sommessi accordi
finali.
Daniele Spini
18 1839
https://www.youtube.com/watch?v=Bq2Cmki7A5I
https://www.youtube.com/watch?v=ploH3wZB_AQ
https://www.youtube.com/watch?v=1KkrJZeYOyU
https://www.youtube.com/watch?v=BO-p8YKfSD4
https://www.youtube.com/watch?v=jL_gLesebWY
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1839
Dedica: signora F. Serre
L'Arabeske op. 18 venne composta nel 1838 e pubblicata nel 1839. La spietata definizione di
Schumann («debole e per signore») non rende giustizia a questa pagina, molto amata dai
pianisti perché non difficile da eseguire, elegante e di sicuro effetto.
Dal punto di vista formale è un rondò con un tema principale dal ritmo sempre identico, tutto
giocato sulla morbida concatenazione di accordi; i due episodi che si alternano alla ripresa
del tema principale sono in tonalità minore e sono più giocati sulla dinamica: il primo
presenta un motivo rinforzato in ottava dalla mano sinistra, mentre il secondo ripropone una
variazione del tema principale. Nella coda i suoni si muovono lentamente e sembrano quasi
sospesi nello spazio musicale, in un suggestivo clima di rarefazione sonora.
Alessandro de Bei
Una breve e splendida composizione scritta da Schumann nel 1839, e pubblicata lo stesso
anno: la Arabeske op. 18 in do maggiore. Spesso considerata composizione "minore", essa è
invece uno dei brani nei quali è possibile cogliere più a fondo la particolarità e l'originalità
dell'ispirazione di Schumann: non a caso il titolo si riferisce all'arabesco, la decorazione
libera, fantasiosa ed impalpabile (sembra quasi di ascoltare una premonizione del "divino
arabesco" tanto caro a Debussy...). Il genio di Schumann, come hanno osservato i
commentatori più acuti, trova i suoi momenti più alti nel frammento, nell'ispirazione breve e
visionaria; nelle forme estese il musicista si trova meno a suo agio. L'Arabeske è proprio una
successione di "frammenti", leggeri e fantastici, uniti tra loro mediante il richiamo ad una
forma antica: il Rondò. Il Tema principale, in do maggiore, leggero e dal ritmo puntato, si
alterna a due diversi episodi "in minore" secondo il classico schema ABACA; a questa
successione di episodi segue poi una breve e meravigliosa Coda, in tempo più lento. La
schematicità della forma è arricchita da un breve episodio di transizione inserito tra B ed il
primo ritorno di A, e dal fatto che C, secondo episodio in modo minore, comincia come se
fosse una variazione del Tema principale, citandone il caratteristico incipit dal ritmo
incalzante. Il momento più alto del brano - ed uno dei culmini di tutto il repertorio pianistico
- è comunque la straordinaria pagina conclusiva, alla quale il compositore premette le parole
Zum Schluss (per finire): istante trasognato e poetico nel quale la scrittura pianistica ci fa
udire suoni mai ascoltati in precedenza, delicate trame di arpeggi sulle quali si staglia una
melodia lenta, accennata e suonata "quasi" insieme dalle due mani, in un gioco incantato di
eterofonie e di piccoli echi esitanti. La "poetica del frammento" schumanniana tocca qui uno
dei suoi vertici: l'ascoltatore è trasportato improvvisamente in un altro mondo sonoro ed
appena riscosso, con delicatezza, dal risuonare nelle ultime battute dell'incipit del Tema, il
cui salto ascendente si espande luminoso e resta come sospeso nell'aria.
Giovanni Bietti
Composta a ridosso della Humoreske, all'inizio del 1839, dunque negli euforici mesi iniziali
del soggiorno a Vienna, Arabeske è una delle rare concessioni - e forse la più riuscita - di
Schumann a regole formali prestabilite: si tratta infatti di un rondò, con tre enunciazioni del
refrain intercalate da due episodi in modo minore (di cui il secondo si riduce a poche battute)
e seguite da una coda. Fu definita dall'autore stesso «debole e per signore»: giudizio troppo
severo per un pezzo amabile ed elegante nei refrain, sensibile e delicato nei due episodi in
minore, e con una conclusione intima e sognante che - quanto diversa dalle code retoriche o
virtuosistiche di tanto concertismo ottocentesco! - sembra richiudersi in se stessa per
ripensare in un'aura di superiore poesia quanto appena ascoltato, innalzandosi ai livelli più
alti dell'arte schumanniana.
Mauro Mariani
19 1839
https://www.youtube.com/watch?v=2_sqNiwiA0o
https://www.youtube.com/watch?v=MtIWTWR_T0A
https://www.youtube.com/watch?v=fhP78zgLmMA
https://www.youtube.com/watch?v=CCXGawpeG6s
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1839
Dedica: signora F. Serre
Blomenstück op. 19 è una piccola parentesi di sommessa intensità fra decisivi esiti pianistici,
Kreisleriana e Phantasie subito antecedenti, Humoreske e Novelletten subito successive.
Composto in Vienna nel 1839, edito lo stesso anno presso Spina, è dedicata alla signora F.
Serre auf Maxen.
Secondo Cortot, il lavoro «sembra riflettere i più dolci miraggi di una felicità prossima ad
attuarsi. Solo pochi mesi infatti separano ancora i destini di Clara e di Schumann».
Il Blumenstück (variamente tradotto: Pezzo dei fiori, o fiorito, ovvero Ai fiori) è un saggio di
Lied, e anzi di Liederkreis, vale a dire un piccolo ciclo di canzoni eminentemente vocale.
Sono cinque spunti, con un ritorno costante, nell'ordine: I, II, III, II, IV, V, li, IV, II: in fondo,
una derivazione dallo schema di rondò.
20 1839
https://www.youtube.com/watch?v=DcEU6-dyBzI
https://www.youtube.com/watch?v=63IEF2df84E
https://www.youtube.com/watch?v=JCJ8atkdIIk
https://www.youtube.com/watch?v=FCjTg959j1Y
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1839
Dedica: Julie von Webenau
Giorgio Pestelli
Alla fine del miracoloso decennio risale invece l'"Humoreske" op. 20, composta, insieme con
i "Nachtstücke" op. 23 e il celebre "Faschingsschwank aus Wien" op. 26 ("Carnevale di
Vienna"), durante un lungo soggiorno a Vienna negli anni 1838-39. L'opera, che è tra le più
affascinanti e complesse, ma inspiegabilmente tra le meno eseguite di Schumann, è un
caleidoscopio variegatissimo di immagini musicali inserito in un'ampia struttura che
abbraccia un arco temporale di circa trenta minuti.
In una lettera alla futura moglie Clara Wieck dell'11 marzo 1839, così scrive il compositore:
«Tutta la settimana sono stato al pianoforte e ho composto, riso e pianto nello stesso tempo.
Troverai la traccia di tutto questo nella mia grande Humoresque...»; una continua, incessante
mutazione di stati d'animo, rispecchiante la personalità tormentata e schizofrenica del
musicista, caratterizza infatti il lavoro.
Giulio D'Amore
21 1838
Novelletten
Otto pezzi per pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Zfe-UbT6G58
https://www.youtube.com/watch?v=Il31GZZl6H8
https://www.youtube.com/watch?v=YVE_n8abznU
https://www.youtube.com/watch?v=Zfe-UbT6G58&list=RDZfe-UbT6G58&start_radio=1
https://www.youtube.com/watch?v=JQV2O2dm1vg
https://www.youtube.com/watch?v=Ojk3-nVHsEM
Organico: pianoforte
Composizione: 1838
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1939
Dedica: Adolf Henselt
«Come sono stato felice nei giorni scorsi, giovane, leggero... In queste ultime tre settimane
ho composto una quantità spaventosa di musica, di scherzi, di storie di Egmont, di scene di
famiglia con genitori, un matrimonio: insomma, come vedi, tutte le cose più desiderabili! Ho
chiamato il tutto Novelletten perché il tuo nome è Clara come quello della Novello, e perché
Wiecketten purtroppo non suonava così bene!». Questa lettera di Schumann a Clara Wieck,
scritta il 6 febbraio 1838 in quel tono insieme scherzoso e appassionato che lo distingueva,
rivela lo stato d'animo da cui nacquero le otto Novelletten op. 21, uno dei frutti più maturi e
straordinariamente densi del pianismo schumanniano. L'amore per Clara, seppure ancora
aspramente contrastato e coperto nel titolo con curiosa metafora (e chissà che il fantasma
della bella cantante che furoreggiava a Lipsia non abbia ingelosito Clara), avvampava in quel
tempo più forte che mai, dettando a Schumann piene meravigliose di musica. «La musica
affluiva in me» - egli scriveva; «cantavo continuamente mentre componevo, e quasi tutto è
venuto a meraviglia. Ora gioco con le forme...».
Che questo gioco con le forme avvenisse in mezzo a uno slancio e a un ottimismo perfino
insoliti, evidentemente ispirati dalla presenza di Clara, è dimostrato dal veemente lirismo e
dalla fondamentale unitarietà di questi otto pezzi, tutti in modo maggiore e tutti ruotanti
attorno alla tonalità di re maggiore, che appare in ben cinque brani. Un segno evidente della
definitiva affermazione di Florestano contro Eusebio? Piuttosto, forse, la conseguenza di una
momentanea esaltazione che si chiude in se stessa, non prima però di aver percorso, ora
monologando audacemente ora dialogando appassionatamente, tutte le tappe di una
fantasiosa necessità espressiva.
Queste suggestioni si palesano talvolta sotto forma di programma o di visione. Così, per
esempio, nell'Intermezzo della terza Novelletta si immagina l'evocazione delle tre streghe del
Macbeth, in un clima di sinistra, cupa oscurità. Si tratta forse di una meditazione
interrogativa sul senso del destino («Quando ci ritroveremo ancora noi tre / in mezzo ai
fulmini, ai lampi o alla pioggia», questi i versi che recava in epigrafe la prima edizione), che
dura però, appunto, soltanto lo spazio di un «Intermezzo», per cedere subito il passo alla
certezza di una risposta gioiosa. Tutta la parte centrale delle Novellette (dalla quarta alla sesta
compresa) rappresenta infatti il sogno animato di una festa di nozze, con brindisi e balli. E
volendo continuare sulla falsariga di un immaginario programma, immagine appena sbiadita
della tensione compositiva che pulsa in queste pagine e si realizza nella musica, ecco che la
compostezza un po' inquieta e venata di nostalgia della settima Novelletta potrebbe
significare l'improvvisa, straniata percezione di un'assenza: quella della sposa. Colei
apparirà, Stimme aus der Ferne («voce che viene da lontano», così la didascalia), soltanto
verso la fine dell'ottava Novelletta, dopo i sussurri e i sorrisi dei due Trii, sotto forma di una
semplice melodia, un motto che fra breve assumerà forma completa e si disegnerà con
nitidezza. Clara, naturalmente, trionfante e circonfusa di luce: attorno a lei tutto si ravviva,
mentre la festa riprende, con una intimità più piena, conducendo fino alle soglie dell'estasi.
Sergio Sablich
22 1833 - 1838
https://www.youtube.com/watch?v=UjlO0ABn3vQ
https://www.youtube.com/watch?v=QAt7IFi9Qx0
https://www.youtube.com/watch?v=P7p4gJKfT5c
https://www.youtube.com/watch?v=WpByVq_0MKc
https://www.youtube.com/watch?v=81BBA2Tp6d4
Organico: pianoforte
Composizione: 1833 - 1838
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1939
Dedica: Henriette Yoigt
La stesura della Sonata in sol minore op. 22 fu per Schumann particolarmente lunga e
travagliata. Il primo tassello di questo cammino lo rinveniamo nel 1828, quando il musicista
scrive il Lied per canto e piano dal titolo In Herbste: due anni più tardi questo stesso lavoro
viene trascritto per pianoforte solo, verosimilmente con l'intento di inserirlo in una serie di
alcuni brani. Qualche anno dopo, nel 1833, il compositore mette mano al primo e al terzo
movimento della Sonata, cui aggiunge come tempo intermedio il Lied del 1828 nella
versione per pianoforte. Nel 1835 Schumann scrive anche l'ultimo tempo, ma il giudizio
negativo di Clara Wieck, che lo considera di eccessiva difficoltà, lo fa desistere dall'inserirlo
nella Sonata e questo movimento originale rimane così parte a sé stante rispetto all'opera.
Tale finale verrà poi pubblicato postumo come Presto passionato in sol minore: oggi si usa
eseguirlo come pezzo autonomo, oppure ancora lo si inserisce come finale della Sonata op.
22. Alcuni esecutori preferiscono talvolta aggiungerlo al vero finale della Sonata, che
Schumann aveva successivamente composto nel 1838. La Sonata completa e con
quest'ultimo finale fu pubblicata da Breitkopf & Härtel nel 1839 a Lipsia. Clara poteva
finalmente presentarla al pubblico in un concerto a Berlino l'anno successivo.
Virtuosismo, tecnica, spettacolarità, tutto ciò che Schumann in quegli anni aveva potuto
cogliere e ammirare del funambolismo di un Paganini che aveva ascoltato in concerto, sono
in qualche modo trasferiti idealmente nella Sonata op. 22. Che, naturalmente, non vive di un
virtuosismo fine a se stesso, ma ne utilizza gli strumenti per esprimere esemplari contenuti
poetici. Lo vediamo sin dal primo movimento, che formalmente riprende sì i modelli
tradizionali delle forma-sonata - con la canonica successione di Esposizione, Sviluppo e
Ripresa -, ma li definisce con singolare originalità. Da un inaspettato, violento accordo di sol
minore, che potrebbe segnare la conclusione e non l'inizio di una pagina sonatistica, si
sprigiona come d'incanto un primo tema forte e passionale, un vortice sonoro che avvolge nel
suo travolgente perpetuum mobile l'ascoltatore e caratterizza pressoché integralmente il
tessuto connettivo del movimento. Schumann scrive Il più presto possibile, e davvero sembra
che la concitazione tutto sommerga come un torrente in piena. Per un attimo il secondo tema
restituisce un respiro più largo, risultando cantabile e delicato, ma viene presto sopraffatto
dall'agitazione generale in un nuovo, turbinante episodio conclusivo dominato dalla più
esasperata motricità. Nello Sviluppo è il primo tema a brillare, costituendo il materiale di
base di raffinati cambiamenti e trasformazioni, ma al suo interno, inaspettatamente, contiene
ulteriori idee, con un delizioso episodio dall'afflato romantico, rielaborato e infine ripreso in
una turbinosa progressione. Ancora si affollano nuove soluzioni, con l'elaborazione
dell'incipit del primo tema e un fantasmagorico epilogo in cui si accenna anche a una finta
ripresa. Quest'ultima invece giunge poco dopo riproponendo «regolarmente» la sequenza del
materiale dell'Esposizione, ma con l'aggiunta di un'ultima appendice emblematicamente
indicata, se possibile, Schneller (Più mosso) e - nella Coda - Noch Schneller (Ancora più
mosso): una contraddizione in termini per una pagina che, naturalmente, più fremente di così
non potrebbe essere, ma che risulta indicativa di questa ricerca del sensazionalismo ottenuto
attraverso l'annullamento di qualsiasi termine di riferimento, l'abbandono di ogni controllo, il
raggiungimento di un autentico spaesamento dentro la velocità pura.
Uno Scherzo di straordinaria brevità spazza via ogni illusione: Schumann scrive Sehr rasch
und markirt (Molto allegro e marcato), con un'idea principale tormentata e dai contorni
fortemente accentuati. Costruita su nervosi ritmi sincopati, appare come un soffio impetuoso
e trascinante subito proseguito in un breve segmento dalle atmosfere tzigane. Un elemento
motivico di contrasto, ondeggiante e fantasioso, quasi una danza leggera, impalpabile, si
inserisce brevemente inframmezzandosi ai ritorni tematici che si ripresentano infatti con
l'enunciazione dell'idea principale. È presente anche il nucleo di quello che potrebbe essere
considerato un piccolo trio mediano: un tema carezzevole su formule sincopate - che sono la
caratteristica di fondo di questo epigrammatico Scherzo - prosegue senza soluzione di
continuità in una fase rielaborativa su varianti dell'elemento, prima dell'ultimo, ciclico ritorno
dell'idea principale.
Marino Mora
Tre Sonate per pianoforte ci ha lasciato Robert Schumann: la prima, in fa diesis minore, op.
11, scritta nel 1833-35 e dedicata a Clara Wieck, la seconda, in sol minore, op. 22, quasi
contemporanea della prima, perchè scritta tra il 1833 e il 1838, la terza, infine, in fa minore,
che consiste nella revisione operata nel 1853 del Concerto senza orchestra op. 14, scritto nel
1835-36 e dedicato ad Ignazio Moscheles.
Carlo Marinelli
23 1839
https://www.youtube.com/watch?v=QPv5OpJTWh0
https://www.youtube.com/watch?v=-vjFrmfypq4
https://www.youtube.com/watch?v=MQDE0BLdp7I
https://www.youtube.com/watch?v=czyEY5_Q9X8
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1840
Dedica: Ernest Adolf Becker
26 1839
https://www.youtube.com/watch?v=nB2YlpTTSrI
https://www.youtube.com/watch?v=mq9FSyVtA-Q
https://www.youtube.com/watch?v=xq49C63vmEw
https://www.youtube.com/watch?v=DaUoIcItGnE
https://www.youtube.com/watch?v=fJCpWMs32Nw
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1841
Dedica: Simonin de Sire
La composizione del Carnevale di Vienna. Quadri fantastici op. 26 iniziò negli ultimi giorni
del soggiorno viennese di Schumann (durato sei mesi, fino all'aprile 1839) e terminò nel
1840 in uno stato di febbrile e intensa ispirazione («Al galoppo: creato, scritto, stampato;
ecco ciò che mi piace», ebbe a scrivere lo stesso Schumann). Durante il soggiorno viennese
egli approfondì lo studio dei Quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven, ma non riuscì ad
allacciare quei rapporti di lavoro che erario stati l'oggetto principale del suo viaggio nella
capitale austriaca.
Anche se Schumann, scrivendo all'amico Simonin de Sire, disse di aver concepito il
Carnevale di Vienna come una «grosse romantische Sonate» (grande sonata romantica), il
titolo stesso dell'opera (esplicito richiamo al Carnaval del 1835) ci avverte della sua natura:
una serie di straordinarie idee musicali che si susseguono, ora eroiche, ora poetiche
(Florestan ed Eusebius!) in una sorta di scintillante caleidoscopio musicale. Siamo
chiaramente di fronte a un nuovo modo di concepire la sonata di derivazione classica, che
prende le mosse dal «pezzo di carattere» del quale Schumann aveva già dato straordinarie
prove.
L'Allegro d'apertura è in forma rondò: un robusto tema principale lega saldamente quattro
episodi diversi fra loro per carattere, figurazione, metro e tonalità: il primo episodio, in mi
bemolle maggiore, ha il carattere del pezzo notturno; il secondo, in sol minore, presenta un
elegante andamento di danza; il terzo, in fa diesis maggiore, è una sfrenata e gioiosa
cavalcata ritmica, all'interno della quale non manca la citazione ironica dell'inno francese. Il
quarto episodio, il più ampio, riprende il tema del primo ma lo ripropone in modo scherzoso
e disinvolto. Una travolgente coda conclude il movimento.
La breve Romanza, bipartita, presenta subito accenti di nostalgia e mestizia, che la seconda
parte, con la sua apertura alla tonalità maggiore, cerca di fugare. Lo Scherzino è una pagina
ironica e scherzosa, «il bighellonare di uno spirito ozioso durante una festa», come lo definì
un commentatore francese.
L'Intermezzo, pubblicato separatamente nel 1839, è una delle pagine più ardenti e
appassionate di Schumann, riflesso forse del periodo più intenso del suo amore per Clara. È
un canto continuo, teso, a volte quasi disperato condotto dalla mano destra sopra un
travolgente e incessante movimento di arpeggi; è interessante osservare l'evoluzione tonale di
questo brano, che prende le mosse da mi bemolle minore, approda e si consolida in la
bemolle minore, e conclude, quasi inaspettatamente, nella tonalità di partenza.
Alessandro de Bei
Come sì vede abbiamo una tonalità principale (si bemolle maggiore) attorno a cui ruotano
tonalità complementari sempre nella regione dei bemolli, una condizione sonora uniforme
che conferisce una forte coesione al Carnevale di Vienna nonostante la varietà delle idee
musicali.
Il primo movimento (Allegro) è diviso in vari episodi, una sorta di Rondò in cui trovano
spazio una citazione della Marsigliese e un motivo della Sonata op.31 n.3 dì Beethoven. Il
secondo movimento (Romanze) smorza la tensione del primo ed introduce al cuore della
composizione, lo Scherzino, pagina quanto mai originale per il cromatismo ed il gioco di
pura giustapposizione delle singole idee. Il quarto movimento è forse la pagina più celebre
dell'intera composizione e venne pubblicata a se stante nel 1839. Basato essenzialmente su
una melodia di grande eleganza, questo Intermezzo nasconde numerose insidie di tipo
tecnico come l'uso misurato del pedale di risonanza o le veloci note dell'accompagnamento
che devono avere sempre lo stesso peso per non oscurare la linea del canto. Nel Finale il
virtuosismo diventa invece palese e centinaia di note, ad una velocità spesso proibitiva,
richiedono all'esecutore grande lucidità interpretativa e tecnica brillante.
Fabrizio Scipioni
A nove anni il piccolo Schumann, che già a sei aveva iniziato lo studio della musica, andò
con il padre a Karlsbad per ascoltare un concerto di Moscheles: l'impressione che ne ricevette
fu tale da fargli decidere che un giorno sarebbe diventato anch'egli un pianista. Ma esitò
ancora a lungo tra studi musicali e letterari e soltanto dal 1830, ottenuto dai genitori il
permesso d'interrompere gli studi universitari, si dedicò esclusivamente allo studio del
pianoforte, finché hel 1832 un errato metodo di studio gli procurò una paralisi alla mano
destra e mise fine alle sue aspirazioni di diventare un grande virtuoso.
Tuttavia il pianoforte rimase a lungo il tramite esclusivo tra Schumann e la musica: fino al
1840 compose soltanto musica pianistica, dando vita ad un gruppo nutrito e compatto di
capolavori, che costituiscono un tutto unitario e quasi inscindibile, le cui singole parti sono
perfettamente comprensibili solo se messe in rapporto alle altre.
Il titolo del pezzo (così come il sottotitolo Fantasiebilder, "immagini di fantasia") farebbe
pensare ad una composizione in forma libera, che insegua le idee capricciose della fantasia,
mentre in realtà i suoi movimenti sono quelli d'una Sonata, con l'aggiunta d'un Intermezzo,
tanto che in una lettera a Simonin de Sire, cui il pezzo è dedicato, Schumann ne parla come
di una «grande Sonata romantica»: in tal caso si tratterebbe in un certo senso di una Sonata
ali'incontrario (questo sì che sarebbe un carattere veramente carnevalesco), perché il primo
movimento è un rondò e l'ultimo è in forma-sonata, invertendo così l'ordine tradizionale.
Inoltre non c'è nessuna indicazione che guidi l'ascoltatore a riconoscere quelle immagini
fantastiche di cui titolo e sottotitolo fanno balenare l'esistenza. Schumann, che annoverava
come suoi maestri ideali da una parte grandi architetti della musica come Palestrina, Bach,
Mozart e Beethoven e dall'altra scrittori fantastici come Jean Paul e Hoffmann, fu sempre
diviso tra l'aspirazione alle forme grandi e solide e la confessione soggettiva delle proprie
angosce, dei propri entusiasmi, delle proprie visioni. Forgiare la forma a partire dalla
ribollente materia delle proprie fantasie fu un problema con cui Schumann si scontrò
continuamente: e il Carnevale di Vienna ne offre un esempio.
Il primo movimento, Allegro (Sehr lebhaft, scrive Schumann, cioè Molto mosso), è un rondò,
in cui un motivo ricorrente, tipicamente schumanniano per il suo slancio ed il suo entusiasmo
romantici, si alterna ad episodi più lirici e sognanti. Alla fine compare una citazione della
Marsigliese, al ritmo danzante di 6/8, che è un'allegra sfida alla censura austriaca (è forse
questo lo «scherzo di Carnevale»?).
Il secondo movimento è una tenera e delicata Romanze (Ziemlich langsam, Lento moderato),
sotto la cui brevità e semplicità stanno un minuzioso cesello ritmico, un complesso
cromatismo e continue modulazioni, che portano a toccare il luminoso do maggiore della
sezione centrale.
Lo Scherzino ha il ritmo baldanzoso di tanti Lieder sul tema romantico del Wanderer, del
viandante, ma qui non si tratta d'un eterno peregrinare esistenziale quanto d'un'allegra e un
po' ironica passeggiata.
L'Intermezzo (Mit größter Energie, Con la massima energia) è un altro momento tipicamente
schumanniano, con un canto che si dispiega su un tumultuante scorrere di semicrome e su
lente armonie, in una sovrapposizione da cui si genera una complessa polifonia.
Il Finale (Höchst lebhaft, Allegrissimo) ha un primo tema indiavolato, dagli accenti violenti e
spiritati, e un secondo tema più lirico, ma anch'esso febbrile e irrequieto: forse il più riuscito
movimento in forma-sonata mai scritto da Schumann.
Mauro Mariani
Con Faschingsswank aus Wien (Carnevale di Vienna), composto nel 1839 e pubblicato due
anni più tardi, ci troviamo ormai sul limite del decennio «pianistico» di Schumann. Incombe
ormai il 1840, l'«anno dei Lieder»; e Schumann ha già alle spalle il momento più bruciante
della sua esperienza di musicista. È l'immediata vigilia del ritorno in grande stile alle forme
consacrate, forse nel desiderio di un ritorno all'ordine comunque altamente improbabile.
Anche umanamente Schumann, prossimo ai trent'anni appare alla ricerca di un ubi
consistam: la più o meno blanda scapigliatura degli anni di Lipsia, presso il maestro Friedrich
Wieck, deve ora trasformarsi nell'esistenza di un artista maturo e affermato; non ultimo
perché possa giungere a buon fine il lungo fidanzamento con Clara, avversatissimo dal
vecchio Wieck. Ecco dunque Schumann fermarsi per un anno circa a Vienna, in cerca di
concrete prospettive professionali. Ma quella che era stata la capitale della musica ai tempi di
Haydn, di Mozart, di Beethoven, di Schubert, non ha più molto da offrire (solo negli anni
Sessanta, con la presenza di Brahms e Bruckner, tornerà a essere uno, ma non più l'unico, dei
centri della musica europea). In nulla si risolvono i contatti con editori come Haslinger e
Diabelli, nessuna strada utile si apre. In compenso Vienna per Schumann sarà occasione di
un'esperienza importante: la scoperta della partitura della Sinfonia in do maggiore di
Schubert, fin allora sconosciuta, subito da lui fatta avere a Mendelssohn e recensita con un
articolo geniale sulla «Neue Zeitschrift für Musik». Ed è anche il luogo che vede Schumann
dettare quelli che resteranno per qualche anno i suoi ultimi contributi alla letteratura per
pianoforte.
Fra questi, il Carnevale dì Vienna, pubblicato nel 1841 come op. 26. Un altro Carnaval, dopo
il capolavoro fulminante del 1834-35, vera Bibbia del pianoforte romantico, ritratto
insuperabile dello Schumann della gioventù? In realtà no; anzi qualcosa di molto diverso.
Peraltro, il tema carnevalesco non va sottovalutato: il carnevale, la danza di maschere,
potrebbe essere veduto un po' come il simbolo di quasi tutto lo Schumann 1830-40, e in
buona misura anche di quello successivo. Il travestimento, lo scambio fra il sé e l'altro da sé,
la scomposizione in figure diverse riconducibili, nella loro diversità, a un'unità superiore; e
poi il gioco e il serio che si nascondono l'uno dietro l'altro, la capacità di fingersi altri e di
assimilare gli altri a noi. Nella letteratura, un filone inesauribile. E nella simbiosi musica-
letteratura cara a Schumann giovane, quasi una costante, fra l'esplicito e l'enigmatico. Nel
Camaval op. 9 ciò aveva trovato forma in un caleidoscopio mutevolissimo, e come le figure
del caleidoscopio del tutto irripetibile: i giochi di parole fra lettere di un nome e
nomenclatura delle note, le «maschere» della commedia (Pantalone, Colombina, Pìerrot) e
quelle della vita (Chiara, Estrella, ma anche Chopin e Paganini!), spezzoni di vissuto (Valse
allemande, Valse noble) ed esaltazioni poetico-polemiche (Marcia dei «Davidsbündler»
contro i Filistei); tutto ciò si traduceva in musica sotto la specie di venti pezzi, ora ampi ora
ridotti a mere schegge di musica, uno anzi (Sfingi) addirittura da non suonare neanche,
diversissimi fra loro eppure indissolubilmente legati dal filo della comunanza tematica, per il
loro stesso essere «Scènes mignonnes sur quatre notes», dove ogni scoria del materiale
d'origine era però bruciata dalla temperatura altissima della fantasia, in una fucina
prodigiosa.
Nel più tardo Carnevale viennese, di tutto ciò non si ha traccia. Spariti i titoli (di per sé un
capolavoro), qui si ha quasi la struttura di una Sonata. Con un tempo in più, quell'Intermezzo
che divide lo Scherzino dal Finale, rispetto ai quattro dello schema classico. E soprattutto con
lo scambio di ruoli, a ben vedere vertiginoso, tra la forma del Rondò, già propria ai finali,
specialmente nel caso di opere di minor impegno compositivo, e quella augustissima del
primo tempo, la forma-Sonata tout-court, simbolo e ragion d'essere della composizione
strumentale di genere nobile: perché Schumann, paradossalmente, dà, sì, a questo Carnevale i
tempi soliti a una Sonata per pianoforte (quello in forma-Sonata, quello lento, qui
rappresentato dalla Romanza, lo Scherzo, il Rondò); ma scambia di posizione il primo con
l'ultimo, facendo finire l'opera con una forma-Sonata, dopo averla cominciata con un Rondò.
E non è azzardato supporre che in Schumann ci sia stata proprio l'intenzione di strutturare il
Carnevale di Vienna come una specie di Sonata «a testa in giù»: perché la forma-Sonata
posta a conclusione dell'opera non segue lo schema semplificato che anche presso i classici
vige quando questo schema sia impiegato per un Finale anziché per un primo tempo; ma anzi
ha il suo bravo ritornello alla fine dell'esposizione, proprio come se fosse il primo tempo di
una Sonata normale.
Quale che sia l'interpretazione da dare all'organizzazione formale del Carnevale di Vienna, è
comunque chiaro che esso da un lato si pone sulla linea del recupero «classico» propria della
maturità di Schumann; dall'altro registra il permanere di una tensione fantastica che in molte
cose lo riconduce a continuità con le esperienze dei nove anni precedenti. Un'ambiguità,
questa, che ha un po' pesato, magari inconsciamente, sulla sua fortuna, in fondo inferiore a
quella di molte altre opere di Schumann; unitamente all'inevitabile e invece assurdo
confronto, che la quasi omonimia finisce sempre per proporre, fra questo e l'altro, e
indubbiamente tanto più grande, Camaval. E tuttavia anche nel Carnevale di Vienna
quell'equilibrio fra sentimento e ironia che sempre in Schumann si accompagna all'immagine
della maschera esercita il suo fascino: a cominciare proprio dal Rondò, che di per sé pare
essere una danza di maschere, nell'alternarsi, secondo la vecchia forma a intarsio, del tema
principale con gli episodi secondari. Una successione altamente fantasiosa, anzitutto sotto il
profilo della variazione ritmica; ma anche sotto quello della caratterizzazione espressiva: e
capace, addirittura, di lasciare spazio a una citazione, garbatamente stravolta quasi in modo
di Valzer, della Marsigliese. Resta tuttavia dominante la cifra espressiva affermata in apertura
dallo scatto del tema principale, con cui contrasta bruscamente la quieta linea della Romanza.
In questa, peraltro, l'itinerario armonico subisce vicende imprevedibili (compresa quella di
portare la conclusione del pezzo in tutt'altra tonalità da quella dell'inizio), e comunque
l'espressività non è meno enigmatica che intensa. Dallo Scherzino all'Intermezzo sembra
disegnarsi un progressivo intensificarsi dell'energia, fino alla ribollente partenza del Finale,
con le sue ottave scagliate su e giù per la tastiera contro l'agitato disegno di semicrome; e alla
chiusa, una volta esaurita l'articolazione della forma-Sonata, con il rapido svolgersi di una
coda di vitalità ìrresistibile.
Daniele Spini
28 1839
https://www.youtube.com/watch?v=_4nzJczdTWs
https://www.youtube.com/watch?v=fB2gIpFGYDw
https://www.youtube.com/watch?v=x47U8QTzImE
https://www.youtube.com/watch?v=D_BDNzLVmjc
https://www.youtube.com/watch?v=554ZO7hGDLg
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1840
Dedica: conte Heinrich II di Reuss-Köstritz
Roman Vlad
32 1838 - 1839
https://www.youtube.com/watch?v=gB1rO9Q5To0
https://www.youtube.com/watch?v=0CMA_-n0U5Q
https://www.youtube.com/watch?v=F81mTLZh8CQ
https://www.youtube.com/watch?v=zmSB6TdYpJg
Organico: pianoforte
Composizione: 1838 - 1839
Edizione: Schuberth, Lipsia, 1841
Dedica: Amalie Rieffel
Dal punto di vista strettamente pianistico Schumann ha contribuito, insieme a Chopin e Liszt,
alla definizione e all'arricchimento della tecnica del pianoforte; erano quelli gli anni del
delicato ed entusiasmante passaggio da uno strumento ancora in divenire alla straordinaria
'macchina' dalle possibilità tecniche e timbriche quasi infinite. Come Chopin, anche
Schumann ha come punto di riferimento, per il timbro, il suono del pianoforte viennese
anche se poi molte pagine successive postulano possibilità tecniche e foniche di maggiore
evidenza.
Composti nel 1838-39, i Quattro pezzi op.32, furono pubblicati nel 1841 e da allora sono
raramente eseguiti forse per la loro apparente discontinuità forse perché 'oscurati' dai grandi
capolavori pianistici dello stesso Schumann. I brani sono apparentati dalle tonalità vicine, da
un tipico ritmo puntato ma soprattutto dall'ispirazione. Lo Scherzo e la Romanza
appartengono allo Schumann romantico, gli altri due all'ammiratore di Bach, il grande 'nume
tutelare' dei musicisti romantici. Schumann dedicò a Bach numerose composizioni (Sei studi
in forma canonica per pianoforte a pedali op. 56 del 1845, Quattro fughe op. 72 del 1845,
Sette pezzi in forma di fughetta op. 126 del 1853, per non parlare delle Sei fughe sul nome
BACH per organo o piano a pedali op. 60 del 1845, una vera e propria imitazione romantica
dell'Arte della Fuga), che testimoniano non solo del bisogno di una maggiore profondità di
stile, ma anche della tendenza pedagogica del movimento romantico, per non parlare dello
strano fascino che il passato esercitava su quella generazione. Se dunque dal punto di vista
formale i Quattro pezzi op. 32 oscillano variamente da Bach a Hoffmann, dalla polifonia al
fantastico, è possibile riscontrare in questi piccoli capolavori riferimenti a Mozart (e la sua
Giga K. 574) o anticipazioni di quello stile 'sussurrante' che sarà tipico di tante pagine
pianistiche dello stesso Schumann. Grande varietà coloristica, attenta cura nell'impiego dello
staccato e del legato che sfrutta a pieno le potenzialità delle due mani; si apre così un nuovo
stile fatto di libera espressione, di alternanza tra l'intimo e il brillante, fra la morbidezza e la
vivacità.
Lo Scherzo (Sehr markiert, "molto marcato") propone i sussulti di ritmi puntati saltellanti,
ossessivi, con modulazioni inquiete e improvvisi punti coronati che non svaniscono
nemmeno nella più 'calma' sezione centrale.
La Giga (Sehr schnell, "molto veloce") è in forma di Fuga ma Schumann mantiene leggera la
struttura non sovrapponendo mai più di tre voci.
La Romanza (Sehr rasch und mit Bravour, "molto veloce e con agilità") è forse la pagina più
originale dell'intero ciclo. Anche qui siamo in presenza di un tema dal ritmo puntato
ossessivo, accompagnato da gruppi dì due semicrome in staccato che scandiscono
violentemente tutti i tempi della battuta. Come nello Scherzo, la sezione centrale è solo
apparentemente più 'tranquilla', più lenta e melodica, mentre l'accompagnamento conserva
tutta l'agitazione della prima parte.
68 1848
https://www.youtube.com/watch?v=MHnejgLHVvk
https://www.youtube.com/watch?v=h80MnvSzQf4
https://www.youtube.com/watch?v=cfGR2h-UQ0M
https://www.youtube.com/watch?v=IM_t8o3JLtQ
https://www.youtube.com/watch?v=yDEfyd-c8dk
Organico: pianoforte
Composizione: Dresda, 30 agosto - 14 settembre 1848
Edizione: Schubert, Lipsia, 1849
72 1845
https://www.youtube.com/watch?v=TJAhqxKSlpc
https://www.youtube.com/watch?v=f63A-_TzR8Y
https://www.youtube.com/watch?v=sYWFGQlSA5Q
76 1849
https://www.youtube.com/watch?v=nOR39aQqoFo
https://www.youtube.com/watch?v=G1w7DSpw4I8
https://www.youtube.com/watch?v=4zPsWFiK1m4
Organico: pianoforte
Composizione: Kreischa, 12 giugno 1849
Edizione: Whistling, Lipsia, 184
82 1848 - 1849
https://www.youtube.com/watch?v=POmD0N9WJ08
https://www.youtube.com/watch?v=0CMA_-n0U5Q
https://www.youtube.com/watch?v=F81mTLZh8CQ
https://www.youtube.com/watch?v=J1bR4T8utr4
Tra il dicembre del 1848 e il gennaio del 1849 Schumann mette mano alle sue Waldszenen
op. 82, (Scene della foresta), una serie di nove brani ispirati a immagini e soggetti legati al
mondo della natura. Il compositore trascende certamente il mero aspetto decrittivo-
onomatopeico, ma con l'animo stupefatto del fanciullino ascolta le misteriose vibrazioni che
dalla natura stessa emanano restituendone una libera, personale, interpretazione. È questo il
mondo incantato del romanticismo, in cui la fantasia e l'irrazionalità stanno al centro e il
mondo della foresta è un topos poetico, una fonte per l'ispirazione, come ad esempio si vede
sempre in Schumann nel ciclo liederistico Liederkreis op. 37, su testo di Eichendorff. Nello
specifico di Waldszenen rinveniamo tratti morbidi, sereni, bucolici, istantanee di vita rustica,
paesana, ma anche citazioni di atmosfere un po' cupe, ossessive, alla Hoffmann, come nel
caso del N. 4 della serie, Luogo maledetto, che ha per epigrafe l'esplicita citazione di una
poesia di Friedrich Hebbel.
Nel secondo brano, Cacciatore in agguato, giochi ritmici di furtiva attesa resi da incisivi e
icastici accordi si alternano a sornioni, guizzanti movimenti in terzine di crome: c'è qui,
netto, il dualismo tra la tensione-attesa di chi punta la preda attendendo il momento propizio
e il movimento dinamico della fuga, nell'eterna e spesso tragica lotta per la sopravvivenza.
Luogo maledetto è introdotto dalla poesia di Hebbel, che narra di un fiore rosso, cresciuto in
mezzo ad altri dal colore più stemperato, pallido. Deve quella tinta «non al rossore naturale
originato dal sole, ma alla terra che bevve del sangue umano». L'atmosfera tragica,
allucinata, trasmessa dalle parole si traduce in un inciso ritmicamente segmentato su nota
puntata, una sorta di vero e proprio nucleo generatore del brano che si estende ramificandosi
in una serie di bagliori puntillistici e pulsanti di sinistri presagi, quasi fosse un minaccioso
recitativo. Il sapiente uso timbrico delle zone gravi del pianoforte, il ricorso coloristico a
penetranti dissonanze, l'uso stilistico di tecniche barocche e contrappuntistiche
contribuiscono a conferire al brano una cupa atmosfera generale di ambientazione claustrale.
Forte è così il contrasto con il N. 5, Paesaggio gioioso, in cui una melodia continua tutta fatta
di mobili e agili terzine ci restituisce un'immagine di verde radura attraversata da garruli
ruscelli: nelle armonie cristalline, nelle pause sospensive e negli improvvisi respiri l'animo si
riconcilia col mondo e si riapre alla vita. È un clima sereno che prosegue anche nel brano
successivo, Osteria, dove è persino tangibile un senso di festa: una melodia rustica e di gaia
coralità, appoggiata a robusti, ritmici accordi poi sviluppati, scorre spensierata alimentando
toni conviviali e conferendo al brano un'idea di gioiosa comunanza.
Il brano forse più conosciuto di Waldszenen è l'Uccello profeta (N. 7), in cui l'instabilità
satura della melodia, il suo colore iridescente, le volate che richiamano il tremolìo d'ali del
misterioso vaticinatore, il silenzio improvviso di linee spezzate, sollecitano la fantasiosa
immagine di magici poteri propiziatori; la melodia corale nella parte centrale suggerisce
l'idea di religiosa preghiera, cui segue la ripresa del tema principale.
In Canzone di caccia una melodia solida e lineare costruita su corposi accordi richiama un
robusto canto corale di voci maschili in una festa paesana. Interrotto da una figura leggiadra
e delicata, come una danza di giovani fanciulle - basato sulla sincope ritmica e
sull'alleggerimento accordale -, il tema della Canzone di caccia è infine ripreso dal gruppo.
La suite di brani ha come degno suggello Addio (N. 9), in cui una melodia nobile e
nostalgica, punteggiata dall'ondulato appoggio del basso pare un ultimo, struggente sguardo
alle bellezze della natura, l'evaporare lento e ineluttabile di un sogno incantato.
Marino Mora
Nel 1849 a Dresda la salute di Schumann tornò ad una maggiore stabilità ed il musicista
riprese con furore la propria attività creativa. Le Waldszenen, iniziate nel 1848, segnano il
suo ritorno al pianoforte. Schumann trasse le immagini dal «breviario del cacciatore» del
Laube, e ne premise una citazione ai singoli pezzi, soppressa come al solito nel ripensamento
della redazione definitiva. Ogni ipotesi sulla menomazione delle facoltà nell'ultimo
Schumann viene a cadere di fronte a questi pezzi. Le immagini hanno ciascuna la propria
collocazione e pregnanza come in un ciclo liederistico, un racconto volutamente
frammentario che, tralasciando l'insignificante o affidandolo all'ipotesi ne risulta di tanto più
efficace. L'appello è sommesso, appoggiato su armonie piene e consonanti nel registro
centrale del pianoforte, e soltanto qualche modulazione accidentale potrebbe porre
sull'avviso riguardo agli umori maligni della natura magica verso la quale siamo guidati. E
subito si passa al bozzetto di carattere, l'appostamento, uno schizzo schumanniano, o meglio
di maniera schumanniana nella sua ingenuità precostituita o imposta dai tabù della
schizofrenia. Ma il massimo Schumann è subito pronto nel liederismo struggente dei fiori
solitari o nel mistero venato di sinistro del luogo affatturato. Una lirica di Friedrich Hebbel è
premessa al pezzo. Fra i fiori pallidi soltanto uno è rosso, e ha bevuto sangue umano. E
l'orrido romantico è sottolineato dal ritmo puntato, da ouverture francese, rotto da
contrappunti beffardi, un anello di congiunzione fra un apice dell'alienazione romantica e la
storia, cioè Bach, che appresta al risultato la meraviglia di una provvisoria e riscoperta
salvezza. La paesaggistica delle reazioni soggettive riprende il suo corso nei due numeri
seguenti, e fa un'altra tappa magica al n. 7, l'uccello profeta. Una sorta di preludio bachiano,
rivisitato da Schumann e irresistibilmente psicologicizzato in una profezia di terre
sconosciute e ahimè pericolose o irraggiungibili. Tanta introspezione cede all'esteriorità
boschereccia delle fanfare, ed infine il congedo cantato, dolcissima e momentanea
separazione dalla illusione.
99 1836 - 1849
Bunte Blätter
Quattordici pezzi per pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=YI7s-c7k3So
https://www.youtube.com/watch?v=PxMo5--3mTE
https://www.youtube.com/watch?v=8vyxcFYZVKs
https://www.youtube.com/watch?v=TGzJ7rL8OlA
Organico: pianoforte
Edizione: Arnold, Elberfeld, 1852
Dedica: Mary Potts
111 1851
https://www.youtube.com/watch?v=V1wm4bFKlW0
https://www.youtube.com/watch?v=uNdHx0tNLU4
https://www.youtube.com/watch?v=yl9vPSacT88
https://www.youtube.com/watch?v=uVF8OtnV6Lg
Organico: pianoforte
Composizione: 1851
Edizione: Peters, Lipsia, 1852
Dedica: principessa Reuss-Köstritz
118 1853
https://www.youtube.com/watch?v=_5VACGwB2bo
https://www.youtube.com/watch?v=WXnojYMsYmA
118 n. 1 1853
https://www.youtube.com/watch?v=yIZtVWBB9ro
Organico: pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 11 - 24 giugno 1853
Edizione: Schubert, Lipsia, 1854
Dedica: Julie Schumann
118 n. 2 1853
https://www.youtube.com/watch?v=5-PjAUd0t8Y
Organico: pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 11 - 24 giugno 1853
Edizione: Schubert, Lipsia, 1854
Dedica: Elise Schumann
118 n. 3 1853
https://www.youtube.com/watch?v=tRWkRi7J3SE
Organico: pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 11 - 24 giugno 1853
Edizione: Schubert, Lipsia, 1854
Dedica: Marie Schumann
https://www.youtube.com/watch?v=1CMVeM7IuWc
https://www.youtube.com/watch?v=G54NIhGZ05k
https://www.youtube.com/watch?v=4I_k1hvifRE&list=PL-
EbSmbfX83xfoQhbNPQOEHfIl3oZs7P-
Organico: pianoforte
Edizione: Arnold, Elberfeld, 1854
Dedica: Alma von Wasielewski
126 1853
https://www.youtube.com/watch?v=CBFfRVJLj5M
https://www.youtube.com/watch?v=Qz7jgOO6BrM
https://www.youtube.com/watch?v=w1_IJ9_Fprc
https://www.youtube.com/watch?v=2XjCuiTXpvQ
Organico: pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 28 maggio - 9 giugno 1853
Edizione: Arnold, Elberfeld, 1854
Dedica: Rosalie Leser
133 1853
https://www.youtube.com/watch?v=DW_tR5rK8l4
https://www.youtube.com/watch?v=W6r3R2pCPeA
https://www.youtube.com/watch?v=pcmO4AKmeDc
https://www.youtube.com/watch?v=IBl-800xQJU
Nel periodo che va dal 1830 al 1839, compreso tra le Variazioni sul nome ABEGG e i quattro
Klavierstücke, apparvero i più noti capolavori del pianismo schumanniano e precisamente le
Kinderszenen, Papillons, Carnaval, la citata Kreisleriana, Studi sinfonici, la Toccata in do
maggiore op. 7, i Phantasiestücke op. 12, la Fantasia in do maggiore op. 17, Arabeske in do
maggiore op. 18, le otto Novellette op. 21 e il Faschingsschwank aus Wien op. 26 (Carnevale
di Vienna), senza considerare, perché composti più tardi, l'Album per la gioventù (1848), le
Waldszenen op. 82 (1848-'49) e i Gesänge der Frühe op. 133 scritti nel 1853. In tutti questi
lavori si avverte con molta chiarezza ed evidenza formale quel modo di comporre tipico di
Schumann, fatto di slanci ardenti e di improvvisi ripiegamenti, di impeti e di tenerezze, di
introspezioni psicologiche e di sogni fantastici, contrassegnati di idealismo romantico. Un
mondo poetico, insomma, punteggiato da stati d'animo diversi e più volte contrapposti,
espressi sempre con straordinaria freschezza melodica e con una varietà armonica viva e
frizzante anche nei sapori dissonanti.
I Gesänge der Frühe sono cinque brani nelle tonalità seguenti: i primi due in re maggiore, gli
altri in la maggiore, fa diesis minore e l'ultimo ancora in re maggiore. Essi vogliono tradurre
in musica le emozioni dell'artista all'avvicinarsi dell'alba, ma più che una descrizione
pittorica del risvegliarsi della natura sottolineano vari momenti emotivi di fronte al sorgere
della luce del giorno. Si passa da un sentimento di assorta contemplazione ad un'espressione
serena e beneaugurante, per giungere ad un'esplosione di fresca gioiosità e immergersi quindi
tra i marosi degli accordi arabescati di un suggestivo lirismo, secondo il concetto romantico
della natura, intesa come suprema consolatrice degli affanni e dei turbamenti dell'uomo.
1828
Mi bemolle maggiore
La maggiore
Fa maggiore
Si bemolle maggiore
Si minore
Mi maggiore
Sol minore
La bemolle maggiore
Organico: pianoforte
Composizione: 1828
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1933
Dedica: Eduard, Charles e Jules Schumann
Utilizzate poi in "Papillons", op. 2
54a 1853
Allegro affettuoso (la minore). Andante espressivo (la bemolle maggiore). Allegro (la
minore)
Intermezzo. Andantino grazioso (fa maggiore)
Allegro vivace (la maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1853
Edizione: Kistner, Lipsia, 1853
66 1848
https://www.youtube.com/watch?v=mhKrqn7hvRY
https://www.youtube.com/watch?v=Ct6lD62FFUc
https://www.youtube.com/watch?v=8CK1ybJt5vw
Organico: pianoforte
Composizione: 1848
Edizione: Kistner, Lipsia, 1849
Dedica: Lida Bendemann
Bilder aus Osten op. 66 di Robert Schumann, ovvero Quadri d'oriente, rappresentano un
perfetto esempio di suggestione intellettuale e gioco di rimandi tipici del compositore, frutto
di raffinate sovrastrutture poetiche e letterarie. Consistenti in una collana di sei brevi
improvvisi che vanno col titolo a citare un'opera dell'orientalista tedesco Friedrich Ruckert
(poeta che fornì, tra l'altro, a Schumann il testo per deliziosi Lieder come Widmung e Zum
Schluss), i Bilder si basano su una ramificata costellazione di rapporti interni tra le tonalità
(si bemolle minore, re bemolle maggiore, fa minore), un aspetto che conferisce alla serie il
senso di un ciclo espressivamente compiuto. Delicate atmosfere poetiche sono suggerite dalla
scrittura musicale sin dal primo improvviso (Lebhaft), misterioso, con le prime immagini che
emergono sfumate, come annegate dentro a un mare di nebbia, poi vivido, acceso e, nella
parte centrale, narrativo e scorrevole nei suoi cromatismi che s'intersecano e paiono mille,
piccoli rivoti. Brevi immagini, impressioni fuggevoli: tutto scorre fugacemente con il
secondo, Nicht schnell und sehr gesangvoll zu spielen, una melodia continua basata sulla
plastica successione di spunti imitativi, e Im Volkston, semplice e accordale, presto percorso
da una linea sinuosa e circolare sostenuta da un basso dalla cadenza ritmica regolare. Nella
Coda s'intensificano i contrasti con una spiccata enfatizzazione dal profilo dinamico-agogico,
data anche dell'esibita spinta massiva delle triadi. Nicht schnell è un delicato quadro
narrativo, mentre spicca subito dall'incipit il robusto tema di stampo improvvisativo e un po'
romantico del quinto brano (Lebhaft), costruito secondo la classica architettura A-B-A, con la
sezione centrale mossa e ariosa e la ripresa del tema principale. L'ultimo della serie (indicato
come Reuig, andächtig) è, come suggerisce il titolo (Pentito, devoto), un quadro di profonda
spiritualità, con una sezione di mezzo in cui un canto di preghiera si innalza pian piano, sino
a divenire forte, intenso, prima della ripresa della prima sezione. Nell'Epilogo, dopo la
sfavillante apertura, l'inattesa citazione del tema del quarto improvviso (Nicht schnell),
conclude con un pacato sospiro l'intero ciclo.
Marino Mora
85 1849
Dodici pezzi per pianoforte a quattro mani per bambini di tutte le età
https://www.youtube.com/watch?v=yLe4lmlB7Hs
https://www.youtube.com/watch?
v=MNhUVxt7u58&list=PLIo2MDvgvaff_BKPCLyQcgU5uF8CYN_QT
https://www.youtube.com/watch?v=U2yE47zwqoI
Organico: pianoforte
Composizione: Dresda, 10 settembre - 1 ottobre 1849
Edizione: Schuberth, Lipsia, 1850
109 1851
Ballszenen
Nove pezzi caratteristici per pianoforte a quattro mani
https://www.youtube.com/watch?v=z1rC3Z2tXLU
https://www.youtube.com/watch?v=z1rC3Z2tXLU
https://www.youtube.com/watch?v=N9diP2VFNFU
130 1853
Kinderball
Sei pezzi facili per pianoforte a quattro mani in forma di danza
https://www.youtube.com/watch?v=lwlHibi80OU
https://www.youtube.com/watch?v=-
hqtbZGNoHo&list=PLIo2MDvgvafdI6yPCuMO_ecZ9R3u3MYWn
https://www.youtube.com/watch?v=lwlHibi80OU&list=RDlwlHibi80OU&start_radio=1
Organico: pianoforte
Composizione: Düsseldorf, 18 - 20 settembre 1853
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1853
Composizioni per due pianoforti
46 1843
https://www.youtube.com/watch?v=iaFMAK1iSwc
https://www.youtube.com/watch?v=_4h0sed22ok
https://www.youtube.com/watch?v=NUQT7iNQoz4
Organico: 2 pianoforti
Composizione: 1843
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 19 agosto 1843
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1844
Dedica: H. Parish
Vedi anche la versione originale per due pianoforti, 2 violoncelli e corno
56 1845
https://www.youtube.com/watch?v=ugrRd2lMRJc
https://www.youtube.com/watch?v=cuABwwXMVAY
Organico: organo
Composizione: Dresda, 29 aprile - 7 giugno 1845
Edizione: Whistling, Lipsia, 1845
Dedica: Johann Gottfried Kuntsch
58 1845
https://www.youtube.com/watch?v=w82WqLg7MeM
https://www.youtube.com/watch?v=O332jRnKhm8
Organico: organo
Composizione: Dresda, 29 aprile - 7 giugno 1845
Edizione: Kistner, Lipsia, 1846
60 1845
https://www.youtube.com/watch?v=QjmDZITJxcE
Organico: organo
Composizione: Dresda, 7 - 18 aprile 1845
Dedica: Heinze, Lipsia, 1847
Musica religiosa
71 1848
https://www.youtube.com/watch?v=-KZ4ZZchIZA
https://www.youtube.com/watch?v=jxufaVN214I&list=PLPFGhRoY0-
ZVBxHRSzkAwNi7NjkBfs3ym
Organico: soprano, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3
tromboni, timpani, archi
Composizione: Dresda, 25 novembre - 19 dicembre 1848
Prima esecuzione privata: Dresda, residenza di Schumann, 21 febbraio 1849
Prima esecuzione pubblica: Lipsia, Gewandhaus, 10 dicembre 1849
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1849
93 1849
Verzweifle nicht im Schmerzenstal
Mottetto per doppio coro maschile e orchestra e organo ad libitum
https://www.youtube.com/watch?v=b8Ue9rH-qH8
https://www.youtube.com/watch?v=1RY74HQghig
https://www.youtube.com/watch?v=6oG7Gop7c9U
https://www.youtube.com/watch?v=LnA1E71wvgc
https://www.youtube.com/watch?v=Aks1cc29A3c&list=PLPFGhRoY0-
ZVgjKNDFjJrVAMlYcrLYn0R
147 1852
Messa
per soli, coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=s_3A6Iu4ASk
https://www.youtube.com/watch?v=THEl1NFj21s
https://www.youtube.com/watch?v=eTCArOK2qJEù
https://www.youtube.com/watch?v=zeLA0TNyueQ
Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: Düsseldorf, 13 febbraio - 30 marzo 1852
Prima esecuzione privata: Düsseldorf, residenza di Schumann, 18 aprile 1852
Edizione: Rieter-Birdermann, Lipsia, 1862
Negli ultimi anni della sua vita trascorsi a Düsseldorf, a partire dal 1850, Schumann sentì il
bisogno di dedicarsi a composizioni che, rivolgendosi al grande pubblico, avessero una
funzione didattica e pedagogica, di guida morale e spirituale. Se tale obiettivo era stato al
vertice dei suoi interessi anche nei tumultuosi anni giovanili, nella fase della maturità la
prospettiva si trasformò sensibilmente nelle intenzioni, abbandonando l'individualismo di
chiara marca rivoluzionaria e romantica per accostarsi a un tipo di religiosità più attiva e
partecipe, elevata e nello stesso tempo radicata nelle tradizioni popolari.
Non erano soltanto i compiti connessi all'incarico che Schumann ricopriva a Düsseldorf,
quello di direttore generale della musica, a spingerlo in questa direzione. Giacché se è vero
che quei compiti consistevano - oltre che nella organizzazione e nella direzione di
un'orchestra professionale e di una Società corale di dilettanti - anche nell'obbligo di due o
tre esecuzioni musicali di rilievo all'anno per il servizio religioso cattolico, altrettanto vero è
che Schumann aveva accettato con entusiasmo quell'incarico proprio perché esso
corrispondeva pienamente a una esigenza fortemente sentita. In una lettera del gennaio 1851
al suo ammiratore di Oldenburg August Strackerjan egli scriveva: «Impegnare le proprie
forze per la musica sacra rimane l'obiettivo più alto dell'artista. Ma in gioventù siamo tutti
ancora troppo radicati nella terra, con le sue gioie e i suoi dolori; con l'avanzare dell'età,
anche i rami tendono a elevarsi. E, come spero, questa età non sarà più troppo lontana per
quel aspiro a fare».
Basti pensare che Schumann non ebbe mai occasione di udirla per intero durante la sua vita e
che la prima esecuzione integrale ebbe luogo solo nel 1861 ad Aquisgrana sotto la direzione
di Franz Wülner. In quell'occasione Clara Schumann, nonostante il giudizio poco lusinghiero
di Brahms, diede il suo assenso per la pubblicazione, che avvenne l'anno successivo a Lipsia.
Nel porre in musica il testo latino della Messa Schumann si attenne a una concezione
sinfonico - corale di proporzioni ampie ma non monumentali. L'organico orchestrale è quello
delle Sinfonie, con legni e fiati a due e tre tromboni, a cui va aggiunto l'organo. Il coro è a
quattro parti ed è impiegato sovente in una scrittura omofonica densa e compatta, quasi
chiusa in se stessa, progressivamente ampliata in passaggi imitativi e fugati, fino al culmine
delle due fughe del "Sanctus", l'"Hosanna" prima e l'"Amen" poi. Il carattere generale rimane
però orientato in senso intimo e raccolto, quasi introverso e malinconico, se non lugubre. A
parte la scelta della tonalità d'impianto, do minore, inusuale per una Messa, a predominare
sono i tempi lenti, moderati perfino nelle sezioni più ricche di testo, come il "Gloria" e il
"Credo". I solisti, che sono soltanto tre contro i consueti quattro - soprano, tenore e basso,
senza contralto - non hanno molto spazio per i loro interventi: esclusi all'inizio, al centro e
alla fine - "Kyrie", "Credo" e Agnus Dei" sono qui sezioni puramente corali -, rimangono di
supporto al coro anche nel "Gloria" e nel "Sanctus". Solo l'"Offertorium" aggiunto
all'ordinario della Messa ho uno spiccato rilievo solistico, con il canto del soprano solo
accompagnato dall'organo e dal violoncello obbligato. Il testo di questo delicatissimo
momento di sospensione e di contemplazione all'interno della Messa, "Tota pulchra es,
Maria", sembra indicare che la composizione fosse destinata a una festa mariana: vi si
rilevano però evidenti parentele tematiche e d'atmosfera con l'ultima parte delle Scene dal
Faust, quasi che Schumann saldasse l'elemento laico e quello religioso in un'unica visione
spirituale di assorta decantazione.
La Messa ha inizio con una breve introduzione orchestrale assai frastagliata, tipica dello stile
dell'ultimo Schumann: una fascia continua degli archi tesa ad abolire la divisione in battute è
arricchita dagli interventi dei fiati, come un disegno dai colori. Tutto si svolge in
"pianissimo" e nel tempo Ziemlich langsam, piuttosto adagio. L'ambiguità armonica si
mantiene ben oltre la prima entrata del coro: solo alla ripresa del "Kyrie" dopo il "Christe" si
afferma decisamente la tonalità di do minore, con una veemente impennata verso il "forte"
che non manca di effetto drammatico. Da questo culmine si ridiscende subito al clima
iniziale, come in una velata dissolvenza che conferma quell'attitudine all'introspezione e al
ripiegamento che sarà un tratto distintivo di tutta l'opera.
Di lì una semplice cadenza perfetta riconduce a do maggiore, per la conclusione non del tutto
scontata del "Gloria": i conati di fuga accademica sono infatti soffocati sul nascere, sia nel
"Cum sancto spiritu" sia nell'"Amen", dal ritorno di interrogativi dubbiosi, di sforzati
adempimenti all'imperativo categorico della certezza nella fede.
La tonalità di la bemolle maggiore si prolunga anche nel "Sanctus", un Adagio con lunghe
note tenute in "pianissimo", quasi immateriale nella sua calma, lineare immobilità (solo
violoncelli e violini all'unisono articolano una breve sequenza circolare più sciolta). Il giubilo
del "Pieni sunt coeli" erompe quasi inatteso a piena voce, "forte" e "vivace", in mi bemolle
maggiore con un potente contrasto, e conduce al fugato dell'"Hosanna in excelsis Deo",
mosso e slanciato nel suo ritmo ternario. Una fanfara della tromba all'unisono con i soprani
segna il passaggio al "Benedictus", affidato al tenore solo in canto alternato con le voci
femminili del coro: la solennità del momento è resa non soltanto con la rarefazione
dell'accompagnamento orchestrale ma anche con una particolare sospensione armonica di
sapore quasi arcaico, su cui il canto si muove con delicata leggerezza. L'episodio che segue,
"O salutaris hostia", si compone di una esposizione del basso solo ripresa dal coro a voci
piene in forma di corale; una intensificazione drammatica sulla visione delle guerre che
incombono minacciando la forza dell'uomo che chiede aiuto segna l'acme dello sviluppo: la
ripetizione del "Sanctus" iniziale riporta la tranquillità, per innalzarsi nella definitiva
liberazione della fuga conclusiva sull'"Amen". Non solo per la sfumatura dei contrasti e delle
loro elaborazioni ma anche per la semplicità e l'immediatezza delle suggestioni musicali
questa parte è nel suo complesso la più prossima a realizzare quel sentimento religioso
insieme vero e poetico che Schumann vagheggiava nella conseguente, estrema riduzione dei
mezzi compositivi a elementare evidenza.
L'"Agnus Dei" finale testimonia invece l'omogeneità della costruzione generale della Messa e
l'impianto fondamentalmente classico delle sue corrispondenze. La conclusione si riallaccia
al "Kyrie" iniziale non solo nella tonalità di do minore e nel tempo Ziemlich langsam ma
anche nel materiale tematico e nel tono sommesso, se possibile ancora più concentrato, della
preghiera.
L'invocazione alla pietà ha dapprima colori scuri, dolorosi, e un andamento quasi
processionale di penitenza: par di cogliere nella musica la depressione per i peccati dell'uomo
e la gravità della richiesta. Essa si rianima a poco a poco intessendo un fiorito dialogo tra
voci e strumenti, quasi prendendo coraggio: intravedendo nella pace una luce, una speranza,
una promessa.
Sergio Sablich
148 1852
Requiem
per coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=KvhFEQMhDFQ
https://www.youtube.com/watch?v=IlPzeLZOI-0
https://www.youtube.com/watch?v=2HnMIhiAg5Y
https://www.youtube.com/watch?v=whlw6fIzMW0
Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 26 aprile - 23 maggio 1852
Prima esecuzione: Königsberg, Stadttheater, 19 novembre 1864
Edizione: Rieter-Birdermann, Lipsia, 1864
Negli anni trascorsi a Düsseldorf, a partire dal 1850, Schumann manifestò sempre più
decisamente l'intenzione di dedicarsi a composizioni che, rivolgendosi al grande pubblico,
avessero anche una funzione didattica e altamente pedagogica, di guida morale e spirituale.
Se tale obiettivo era sempre stato al vertice dei suoi interessi, anche nei tumultuosi anni
giovanili, il mutamento di prospettiva nella fase della maturità si realizzò nel passaggio da un
individualismo portato all'eccesso, di chiara marca rivoluzionaria, a una visione più pacata e
riflessiva, popolare in senso positivo, dei compiti dell'arte: dove lo stesso principio della
«religione dell'arte», di cui Schumann aveva fatto il proprio credo artistico fin da quando si
era definito nel 1830 «religioso senza religione», si trasformò sensibilmente nelle intenzioni,
accostandosi non solo ai temi elevati della religione ma anche a un tipo di religiosità più
attiva e partecipe, insieme spontanea e diretta.
Non erano soltanto i compiti connessi all'incarico che ricopriva a Düsseldorf, quello di
direttore generale della musica, a spingerlo in questa direzione. Giacché se è vero che quei
compiti consistevano - oltre che nella organizzazione e nella direzione di un'orchestra
professionale e di una società corale di dilettanti - anche nell'obbligo di due o tre esecuzioni
musicali di rilievo all'anno per il servizio religioso cattolico, altrettanto vero è che Schumann
aveva accettato con entusiasmo quell'incarico proprio perché esso corrispondeva pienamente
a una esigenza fortemente sentita. In una lettera del gennaio 1851 al suo ammiratore di
Oldenburg August Strackerjan egli scriveva: «Impegnare le proprie forze per la musica sacra
rimane l'obiettivo più alto dell'artista. Ma in gioventù siamo tutti ancora troppo radicati nella
terra, con le sue gioie e i suoi dolori; con l'avanzare dell'età, anche i rami tendono a elevarsi.
E, come spero, questa età non sarà più troppo lontana per quel che aspiro a fare».
Questi due lavori strettamente legati alla liturgia cattolica, nati rispettivamente tra il febbraio-
marzo e l'aprile-maggio del 1852, sono gli ultimi due a recare un numero d'opera nel catalogo
di Schumann (op. 147 e op. 148). Tale circostanza, ancor più avvalorata dalla dichiarazione
di Schumann secondo cui un Requiem lo si scrive solo «per se stessi», accresce
inevitabilmente il significato simbolico dell'opera come testimonianza estrema dell'arte
creativa di Schumann in rapporto alla vita, che di lí a poco gli sarebbe letteralmente sfuggita
dalle mani. Essa non deve tuttavia venir troppo enfatizzata: Schumann non intese affatto
affidare al suo Requiem l'ultima parola, né congedarsi drammaticamente con esso dal mondo.
Al contrario, la sua aspirazione era anzitutto di rinnovare la tradizione della musica sacra,
coniugando la semplicità e la purezza di un autentico sentimento religioso, oggettivato in
forme austere, con la necessità di far parlare l'antico spirito cristiano in un linguaggio
musicale adatto ai tempi, e dunque tanto personale quanto autonomo. Da questo punto di
vista sia la Messa che il Requiem sono frutti maturi di un magistero compositivo interamente
ripensato ed esercitato, ma non sono specificamente destinati alla sola funzione liturgica.
E’ singolare, soprattutto se si pensa alla rapidità con cui fu composto, che del Requiem
esistano così tanti schizzi e studi preliminari, come per nessun'altra opera di Schumann: la
costruzione musicale è talmente perfetta nelle sue proporzioni e simmetrie da sembrare quasi
il risultato di un calcolo. Ciò non deve sorprendere, anche se contrasta con l'immagine
convenzionale di Schumann derivante dall'alta temperatura emotiva e passionale delle sue
composizioni pianistiche. È invece proprio l'aspetto oggettivo della meditazione sulla morte a
interessare il compositore, quale espressione di un sentimento religioso sereno e
cristianamente rivolto all'accettazione del mistero della fede; da cui risulta, al polo opposto,
una visione mistica dell'Aldilà come regno dello spirito pacificato, lontano da ansie e conflitti
terreni. Il tono che predomina è anch'esso disteso, caratterizzato com'è da una assenza di
contrasti perfino nei momenti più intensamente drammatici, come per esempio il «Dies irae»,
e da una "opacità" di fondo che neutralizza la luce troppo violenta e assorbe anche i timbri
scuri dei registri gravi, rendendoli opalescenti. La scelta della tonalità d'impianto di re
bemolle maggiore concorre a creare un clima armonico morbido e vellutato, innervato però
da procedimenti contrappuntistici di austera pienezza e forza plastica. E la stessa
strumentazione, di classica trasparenza, si uniforma a questa atmosfera di levigata
compostezza, senza rinunciare a vibrare con partecipe adesione sentimentale, ma come
trasfigurata in una sua intatta lontananza.
Di fondamentale importanza è la funzione del coro, che si erge a voce collettiva, quasi
sovraindividuale, di fronte alla celebrazione del rito della messa funebre: fin dall'inizio,
intonando gravemente, con calma solennità, le parole del «Requiem aeternam», esso mette in
rilievo la disposizione concentrica della forma, simbolo della ciclicità della vita e della
morte, per poi ribadire nel successivo «Te decet hymnus», quasi festosamente, la completa
remissione nella gloria di Dio. Una figura musicale esprime questo concetto con evidente
pregnanza: il motivo di quattro note di due quarti ascendenti in progressione verso l'alto, cui
corrisponderà simmetricamente la sua inversione, sembra collegare cielo e terra in un'unica
promessa.
Solo nei passi per così dire umanamente più toccanti e individualmente più responsabili
intervengono i quattro solisti, staccandosi tutti insieme dal coro. E ciò accade in tre punti
significativi del Requiem: prima nel quasi sussurrato «Kyrie eleison», poi nel tremebondo
interrogativo del «Quid sum miser tunc dicturus?» e infine nel delicatissimo epilogo del
"Benedictus". Quest'ultimo è unito all'«Agnus Dei» senza soluzione di continuità, in un
pezzo tonalmente unitario che trascolorando nell'enarmonia si ricollega all'inizio del
Requiem, a confermare il principio circolare che ne sta alla base. Alle voci femminili soliste
sono invece affidati i momenti più intimamente lirici, di tono confinante con il Lied: al
soprano solista il «Recordare, Jesu pie» e l'iniziale consacrazione dell'«Hostias», poi
completato in duetto col contralto; al contralto solista l'intero «Qui Mariam absolvisti» e la
preghiera contrita «Oro supplex et acclinis». Non può sfuggire in queste scelte, nella
distribuzione del testo tra solisti e coro, una precisa attenzione tanto al valore delle parole
quanto alle situazioni e ai significati che vi sono sottesi.
Nonostante la divisione in nove parti, ognuna con un suo ben definito carattere, il Requiem di
Schumann presenta una straordinaria continuità di svolgimento, ulteriore riprova della sua
fondamentale unitarietà. E' come se un unico respiro - ampio, solenne, misurato - lo
avvolgesse da cima a fondo, in un ininterrotto, grandioso arco tenuto insieme da una
disciplina insieme musicale e spirituale: grazie alla raggiunta consapevolezza della fine
predestinata, e senza nulla far presagire dell'imminente tracollo psichico, Schumann si
congeda dal mondo con un'opera piena di speranza e di comprensione, nella quale la saldezza
costruttiva di una musica senza residui di sbalzi è emblema essa stessa di forza spirituale,
materializzando lo spirito nella sua forma più alta e perfetta e nello stesso tempo
trascendendolo al di là della religione.
Sergio Sablich
33 1840
Sechs Lieder
per coro maschile a cappella
https://www.youtube.com/watch?v=UF3_-PHgTgA
55 1846
Fünf Lieder
per coro a cappella
https://www.youtube.com/watch?v=qysk4bM2qo0
https://www.youtube.com/watch?v=YoCOiyaamp8
https://www.youtube.com/watch?v=DyTtqGjMaVM
https://www.youtube.com/watch?v=WuRi--y78Vw
https://www.youtube.com/watch?v=gPsCjWenxa4
59 1846
Vier Gesänge
per coro a cappella
https://www.youtube.com/watch?v=-_NRtA0SVVI&list=PLPFGhRoY0-
ZVIxoVtHIuE4S8kd25tBFkG
https://www.youtube.com/watch?v=VpiDHgsH0Pw
https://www.youtube.com/watch?v=Guo9BpaQEgk
https://www.youtube.com/watch?v=QzYJ4nDhpRs
https://www.youtube.com/watch?v=RKyB3caY3MU
62 1847
Drei Gesänge
per coro maschile a cappella
https://www.youtube.com/watch?v=ueJIZsFRltk
https://www.youtube.com/watch?v=ZxSH_9KXUBk
https://www.youtube.com/watch?v=h9p_UGW_bTc
Der Eidgenossen Nachtwache - Nicht schnell, aber muntern Geistes (fa diesis minore)
Testo: Joseph Karl Benedikt von Eichendorff
Freiheitslied - Mit Begeisterung (la minore)
Testo: Friedrich Rückert
Schlachtgesang - Schlachtgesang (do maggiore)
Testo: Friedrich Gottlieb Klopstock
65 1847 - 1848
https://www.youtube.com/watch?v=waECOiB2FhA&list=PLPFGhRoY0-ZV2e-
kTwD4hSYHFKuW0EKed
1848
Drei Freiheitsgesänge
per coro maschile con accompagnamento di strumenti a fiato ad libitum
67 1849
https://www.youtube.com/watch?v=MzYcfkB2GVc
https://www.youtube.com/watch?v=bpEYbnHVjBw
https://www.youtube.com/watch?v=IZ3nPLZo5pI
https://www.youtube.com/watch?v=-lOLX3csS7M
https://www.youtube.com/watch?v=OeY-WHyBzd4
69 1849
Romanzen
per coro femminile con accompagnamento di pianoforte ad libitum -
https://www.youtube.com/watch?v=lyLlJ2iXK8I&list=PLFu4Do5rkZ9Xti-
UEZus2yvMP9sAPCTnA
Volume I
75 1849
91 1849
Romanzen
per coro femminile con accompagnamento di pianoforte ad libitum -
https://www.youtube.com/watch?v=kqVpp3xpl1g
https://www.youtube.com/watch?v=NJr9HquJGkk
https://www.youtube.com/watch?v=LgzwdVPTZfg
https://www.youtube.com/watch?v=JHXvg2JtItw
https://www.youtube.com/watch?v=arcZQo7DHTM
https://www.youtube.com/watch?v=RHX0paqc_sQ
Volume II
137 1849
Jagdlieder
per coro maschile con accompagnamento di 4 corni ad libitum
https://www.youtube.com/watch?v=6n0jnfmhV-k
https://www.youtube.com/watch?v=bUJ5o8_lUw8
https://www.youtube.com/watch?v=4P9oQ7bYK_U
https://www.youtube.com/watch?v=PubXyvWM2X0
https://www.youtube.com/watch?v=7DX_Bejv3Hk
141 1849
https://www.youtube.com/watch?v=duz1ATumVHc
https://www.youtube.com/watch?v=JckJporS-5Y
https://www.youtube.com/watch?v=8Mn8iQTVWHQ
https://www.youtube.com/watch?v=4ImLwILOze8
An die Sterne - langsam (sol maggiore)
Testo: Friedrich Rückert
Ungewisses Licht - Lebhaft und sehr markirt (re maggiore)
Testo: Johann von Zedlitz
Zuversicht - Langsam, nicht schleppend (sol maggiore)
Testo: Johann von Zedlitz
Talismane - Mit Kraft und Feuer (do maggiore)
Testo: Johann Wolfgang von Goethe
145 1849
https://www.youtube.com/watch?v=mdJjuHcgFhI
https://www.youtube.com/watch?v=paW9dLtJ5Vk
https://www.youtube.com/watch?v=rcQzqt5_82E
https://www.youtube.com/watch?v=3jvxsIzr2NE
https://www.youtube.com/watch?v=ndGmdZ1-UiI
146 1849
Romanzen und Balladen
per coro a cappella - Volume IV
https://www.youtube.com/watch?v=0_CszJUq_2o
https://www.youtube.com/watch?v=kweT3nYf18Y
https://www.youtube.com/watch?v=LZGtgFN6S08
https://www.youtube.com/watch?v=YieKucQswWc
https://www.youtube.com/watch?v=YTM2JaA2zG0
50 1840 - 1843
https://www.youtube.com/watch?v=2zV7lMykY-A
https://www.youtube.com/watch?v=FG0q6Kjd9kI
https://www.youtube.com/watch?v=Ig4b-
xrdeXo&list=OLAK5uy_nL29M9k6j6Z299jQT8s1iEL7PMUIYTP1g
Dopo aver composto nel 1842 diversi lavori cameristici importanti, come il Quintetto op. 44
e il Quartetto op. 47 per pianoforte e archi, l'Andante e Variazioni per due pianoforti e i
Phantasiestücke (Pezzi fantastici), Schumann è alla ricerca di un soggetto letterario e poetico
che allarghi la sua sfera creativa verso un'opera di ampio respiro musicale, con l'intervento,
delle voci e dell'orch¬stra. Aveva letto e analizzato vari testi, ma la sua attenzione si
concentra su una novella in versi, tradotta in tedesco dal poema "Lalla Rookh" scritto nel
1817 da Thomas Moore, che risponde perfettamente a quel senso di idealismo romantico,
affascinante e fantasioso, tipico della sensibilità schumanniana. In due lettere il compositore
accenna chiaramente al suo impegno nella stesura della partitura, che prenderà il nome de Il
Paradiso e la Peri (Das Paradies und die Peri). Nella prima, del maggio 1843 e rivolta ad un
amico, egli scrive: «In questo momento sono assorto in un grande lavoro, il più grande che io
abbia affrontato sino ad oggi. Non è un'opera, bensì qualcosa di un genere tutto nuovo».
Nella seconda lettera, del 19 giugno 1843, egli annuncia in toni entusiastici ad un altro
amico: «Ho finito di comporre Il Paradiso e la Peri venerdì scorso. È un lavoro di grande
impegno e spero che sia ben riuscito. Il soggetto è così puro e poetico da conquistarmi
interamente e da farmi scrivere la musica in un tempo relativamente breve, quasi come
Mozart». Nasce così l'oratorio profano Il Paradiso e la Peri, presentato il 4 dicembre del 1843
al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione d'orchestra dello stesso autore e in un clima di
sincero entusiasmo da parte più del pubblico che della critica. Il lavoro viene replicato l'11
dicembre e incontra un'accoglienza più favorevole; passa poi all'Opera di Dresda, dove
l'esecuzione del 23 dicembre, sempre del 1843, suscita larghi riconoscimenti per la purezza e
la freschezza melodica, a volte liederistica, della musica in cui si esalta il mito dell'eterno
femminino secondo la concezione di Schumann, basata su un idealismo trascendente,
connaturato alla letteratura e alla filosofia del tempo, da Friedrich Schlegel a Wolfgang
Goethe, da Jean-Paul allo stesso scrittore inglese Thomas Moore.
Ennio Melchiorre
84 1847
https://www.youtube.com/watch?v=RSC0SJYMGx4
98b 1849
https://www.youtube.com/watch?v=CCCvVO8FaTQ
https://www.youtube.com/watch?v=BxYxZ3C9dLc
https://www.youtube.com/watch?v=-GQyUJxOT1w
Organico: 2 soprani, 2 contralti, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, arpa, archi
Composizione: Dresda, 9 - 12 settembre 1849
Prima esecuzione privata: Dresda, residenza di Schumann, 19 settembre 1849
Prima esecuzione pubblica: Dresda, Hoftheater, 8 maggio 1850 (col solo pianoforte) -
Düsseldorf, Neues Theater, 21 novembre 1850 (versione orchestrale)
Edizione: Breitkof & Härtel, Lipsia, 1851
E' noto che nell'Ottocento le interrelazioni tra musica e società erano, sotto molti aspetti,
assai più intense che al giorno d'oggi, anche nei paesi di lingua germanica, e che in questo
contesto di civiltà un ruolo prevalente di diffusione culturale fu svolto dalle associazioni di
canto corale e dalla relativa produzione, indipendentemente dall'entità o dalla qualità
dell'organico di esecutori impegnati di volta in volta. Tale genere di attività inoltre
soddisfaceva le istanze spirituali di gran parte dei ceti popolari che si riconoscevano
particolarmente in composizioni come il Lied a più voci o la Cantata, profana, quasi
rinvenissero in tali lavori una sorta di contraltare musicale all'arte figurativa dell'epoca, da
Schwind a Thoma, per la presenza caratterizzante di elementi comuni, quali il culto dei buoni
sentimenti e della natura, la propensione tanto al fantastico quanto al tratto di devota umiltà,
la trasfigurazione degli ideali del passato e la confortante fiducia che la vita eterna potesse
specchiarsi di nuovo nelle opere di tutti i giorni.
Strutturalmente prossimo allo schema della Cantata è il Requiem per Mignon, secondo la
bipolare costante che permea l'intera produzione vocale di Schumann della maturità, sia di
ordine concettuale sia di ordine esecutivo: da una parte infatti l'autore era convinto assertore
che la Cantata come genere avrebbe beneficiato in futuro di un particolare favore popolare,
dall'altra parte la composizione di tali lavori era stimolata dall'intensa attività musicale
specifica svolta dopo il 1847, tra Dresda e Düsseldorf. Il modello della Cantata dell'età
barocca e pre-barocca era sempre indubbiamente presente a Schumann sia nella prassi
concertistica sia nell'impostazione ideale, come chiaramente si evince in vari scritti
successivi al 1832 quando, a proposito di un lavoro di Carl Loewe sulla vita di Johannes Hus,
ebbe ad esprimersi in questi termini: «non è stata ancora detta la parola decisiva su tale
genere di composizione vocale cui è aperto un cammino autonomo tra l'opera di soggetto
sacro e l'oratorio drammatico, purché l'ispirazione dell'artista venga accesa da figure ideali
straordinarie, come Hus appunto, o come Gutenberg, Lutero, Winkelried, o come Goethe: il
lavoro di Loewe è foriero di tempi nuovi, quando la società civile non tesserà la sua vita
soltanto tra la chiesa o il teatro d'opera »...
Strutturalmente, il Requiem per Mignon appare articolato in sei sezioni che si susseguono
senza alcuna interruzione, pur essendo reciprocamente ben differenziate nei tempi, nella
tonalità e nei tratti espressivi. L'incipit è in do minore e presenta l'andamento di una sorta di
corteo lento e solenne: la salma della giovane viene traslata in una silenziosa sala ove è
accolta da un mesto coro che la assisterà sino al risveglio nel giubilo dei fratelli celesti. La
seconda sezione, in tempo un poco più mosso, è caratterizzata dall'a-solo del soprano e poi
del contralto, impegnati in un assorto, conciso lamento. Nella terza sezione, in tempo mosso
e nella tonalità di do maggiore, al coro, che ha esaltato la bellezza delle possenti ali e la levità
della candida veste, replicano i solisti nel tono minore, rammaricando che le ali non la
sollevino, impedendone il libero, ondeggiante gioco della veste; soltanto alla conclusione
riappare il modo maggiore, quando il coro esorta a guardare in alto con gli occhi dello
spirito. Pure la quarta sezione, solenne ma non troppo adagio, è strutturata su un dialogo tra i
solisti, che raffigurano le sconsolate compagne di gioco di Mignon, e il coro, incitante a
serbar viva la forza creatrice che solleva in alto, oltre le stelle, quanto vi è di più grande e di
più bello cioè la vita, nell'alternarsi delle tonalità di fa maggiore e di re minore. La quinta
sezione è in do maggiore ed in tempo sempre più animato, con l'ingiunzione sempre più
decisa al «ritorno alla vita», mentre la conclusione del Requiem, attestando l'avvento
dell'amore celeste nell'immortalità, sigla la attestazione finale del «ritorno alla vita», in
tempo vivace, in ritmo alla breve e nella luminosa tonalità del fa maggiore, con il marcato
chiaroscuro corale.
E' significativo notare quanto la successione delle tonalità venga tenacemente sorretta da un
motivo concettuale che assume la funzione di motivo conduttore della musica, in tutto l'arco
della composizione, l'idea tematica cioè della vita che rinasce dalla morte, alla quale rimane
pur sempre avvinta da nessi ineluttabili; nonché il fatto che non vi sia simmetria o
tradizionale rapporto reciproco delle tonalità ma che la cifra emozionale del testo risulti
arbitra indiscussa della espressività musicale. Schumann anche in tale insolito lavoro corale
non ricusa certo alcuna suggestione della Romantik ed anche il Requiem per Mignon, alla
pari delle ultime composizioni vocali, come la Messa op. 147 e il Requiem in re bemolle
maggiore, non si sottrae alla traiettoria dell'intera sua produzione, agli imprescindibili
caratteri schumanniani, nonostante sia percepibile, specie nell'assunto formale,
un'ascendenza concettuale e linguistica derivata da Mendelssohn. Non è arduo identificare
nel Requiem per Mignon anche il segno di un'introversa irrequietezza, sintomatica della
poetica romantica, olrte a tratti indelebili di struggimento e divinazione lirica, pur nel
simbolismo della costruzione sonora e specie nella fragilità del peculiare impianto strutturale.
Luigi Bellingardi
108 1851
Nachtlied
Lied per coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=o61-EPADboA
https://www.youtube.com/watch?v=ENL9x6r088E
https://www.youtube.com/watch?v=xsfPUvl0zEI
Testo: Friedrich Hebbel
Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, trombone
basso, timpani, archi
Composizione: Dresda, 4 - 11 novembre 1849
Prima esecuzione: Dresda, Neues Theater, 13 marzo 1851
Edizione: Simrock, Bonn, 1852
Il 1849 fu un anno di intensa creatività artistica per Schumann, che scrisse a Ferdinand
Killer: "Questo è stato per me l'anno più fecondo di tutti". Nel 1849 si celebrava anche il
centenario della nascita di Goethe: Schumann partecipò ai festeggiamenti con le Faustszenen
eseguite quasi contemporaneamente a Weimar e a Lipsia. Tra le quaranta composizioni nate
quell'anno ci sono anche molte opere vocali, come il Nachtlied per coro e orchestra op. 108.
Basato su una poesia di Friedrich Hebbel, che fu anche il dedicatario della partitura - dalla
tragedia Genoveva dello stesso Hebbel Schumann trasse anche l'opera omonima, e su un
testo sempre di Hebbel compose il melologo Schön Hedwig op. 106 -, il Nachtlied fu messo
in musica in un solo giorno, il 4 novembre, e poi orchestrato tra l'8 e l'11 dello stesso mese.
Alla sua prima esecuzione, avvenuta a Düsseldorf il 13 marzo 1851, ottenne un grande
successo, poi fu pubblicato da Simrock a Bonn nel novembre del 1852, ma cadde presto
nell'oblìo. Eppure Schumann teneva in grande considerazione questa composizione
("Quest'opera mi è particolarmente cara"), autentico esempio di Romanticismo musicale per
la perfetta corrispondenza tra il contenuto poetico dei versi di Hebbel e la scrittura musicale,
ottenuta con la massima economia dei mezzi sinfonico-corali; una scrittura impalpabile e
onirica, insieme cupa ed emotiva, carica di inquietudine e di tenerezza, che sembra anticipare
il clima del Requiem tedesco di Brahms.
Il Nachtlied è un Mottetto per coro misto a otto voci (senza solisti) e orchestra, basato su tre
strofe di Hebbel che descrivono il passaggio dalla vita alla morte. La prima strofa, un
richiamo alla notte che nasce e che avanza ("Quellende, schwellende Nacht"), coincide con
un Ziemlich langsam in re minore, e inizia con un bicordo di flauti e violini, sui quali si
innesta un cupo tema della viola (pianissimo), subito ripreso da violoncelli e fagotti. Dopo 16
battute tenori e bassi introducono una struttura polifonica fatta di blocchi contrapposti, motivi
frammentari che si dipanano sullo sfondo statico e raggelato dell'orchestra. Con la seconda
strofa, "Herz in der Brust wird beengt", una evocazione della vita che prospera e poi declina,
la scrittura strumentale si fa più fitta e incalzante, con incessanti modulazioni ed espansioni
melodiche nelle parti corali: la musica di Schumann descrive così il contrasto tra la calma
impressionante della notte e lo sgorgare della forza vitale, trasformando l'atmosfera
misteriosa ed esitante dell'inizio in un implacabile accelerando che raggiunge il culmine in
un tempo Alla breve. Questa sezione coincide con la terza strofa della poesia ed è
caratterizzata da una brusca modulazione a re maggiore e dai sordi effetti del coro in eco
sulla parola "Schlaf". I profili discendenti delle frasi sulle parole "da nahst du dich leise"
evocano il progressivo passaggio dalla coscienza al sonno eterno, l'unione mistica con la
notte, il momento della fusione tra l'anima individuale e quella del mondo, punteggiata da
due parole chiave "Schlaf" (sonno) e "Kreis" (cerchio).
Gianluigi Mattietti
Testo
NACHTLIED
CANTO NOTTURNO
112 1851
https://www.youtube.com/watch?
v=7nuVBgTZFWc&list=OLAK5uy_lZ97za6xVEFaU9mdVg1k9BM0DWb9zjpU0
https://www.youtube.com/watch?
v=7S8Lo2MVKrg&list=OLAK5uy_nJWifi05tOzFLpoZ1ujKemTMPSpzPxwHc
Die Fruhlinglufte bringen den Liebesgruss - Im frochlichen Ton (la maggiore) - coro e
orchestra
Johannis war gekommen - Ziemlich lebhaft (fa maggiore) - tenore e orchestra
Wir tanzen, wir tanzen in lieblicher Nacht - Ziemlich lebhaft (la maggiore) - coro degli
Elfi e orchestra
Und wie sie sangen, da horen sie - Dasselbe Tempo (do diesisa minore) - soprano,
contralto, tenore, coro e orchestra
So sangen sie, da dammert's schon - Ziemlich langsam (mi bemolle maggiore) - soprano,
tenore e orchestra
Bein ein armes Waisenkind - Etwas schneller (fa maggiore) - soprano, contralto e orchestra
Es war der Rose erster Schmerz - Etwas langsamer (re minore) - soprano, tenore, basso e
orchestra
Wie Blatter am Baum, wie Blumen vergeh'n - Dasselbe Tempo (sol diesis minore) -
soprano, contralto, baritono, coro e orchestra
Die letzte Scholl' hinunterrollt - Um die Halfte langsamer (sol diesis minore) - soprano,
contralto, tenore e orchestra
Dank, Herr, dir dort im Sternenland - Gebet. Chor der Elfen. Sehr lebhaft (re bemolle
maggiore) - soprano, coro degli Elfi e orchestra
In's Haus des Totengrabers - Nicht schnell, sehr getragen (mi maggiore) - soprano, tenore,
baritono e orchestra
Zwischen grunen Baumen schaut des Mullers Haus - Lebhaft (do maggiore) - soprano,
contralto
Von dem Greis geleitet - Lebhaft (fa maggiore) - soprano, contralto, baritono, basso e
orchestra
Bald hat das neue Tochterlein - Massig (si bemolle maggiore) - tenore e orchestra
Bist du im Wald gewandelt - Frisch (mi bemolle maggiore) - coro e orchestra
Im Wald gelehnt am Stamme - Ziemlich langsam (sol minore) - contralto e orchestra
Der Abendschlummer umarmt die Flur - - Ziemlich langsam (mi bemolle maggiore) -
soprano, contralto e orchestra
O sel'ge Zeit, da in der Brust - Ziemlich langsam (sol minore) - coro e orchestra
Wer kommt am Sonntagsmorgen - Ziemlich lebhaft (la bemolle maggiore) - basso e
orchestra
Ei Muhle, liebe Muhle - In muntern Tempo (do maggiore) - soprano, contralto e orchestra
Was klingen denn die Horner - Kraftig (fa maggiore) - coro e orchestra
Im Hause des Mullers, da tonen die Geigen - Etwas lebhafter (fa maggiore) - coro e
orchestra
Und wie ein Jahr verronnen ist - Langsam (re bemolle maggiore) - soprano, tenore e
orchestra
Engelstimmen: Roslein! Roslein! zu deinen Blumen nicht - Etwas bewegter (do maggiore)
- coro e orchestra
Organico: soprano, mezzosoprano, 2 contralti, tenore, baritono, basso, 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 3 aprile - 27 novembre 1851
Prima esecuzione privata: Düsseldorf, residenza di Schumann, 6 luglio 1851
Prima esecuzione pubblica: Düsseldorf, 5 febbraio 1852
Edizione: Kistner, Lipsia, 1852
Trama
Una rosa vuol vivere l'esistenza umana e, per intercessione della regina delle fate, il suo
desiderio viene esaudito. Il fiore, tramutato in fanciulla, prende il nome dì Rosa e a sua vòlta
riceve in dono dalla regina degli elfì una rosa. Si tratta di un talismano che dona salute ed
eterna felicità e dal quale la giovane non dovrà mai separarsi.
Fin dall'inizio del suo pellegrinaggio umano, ella incontra tristi esperienze: respinta ovunque
cerchi ospitalità, si rifugia infine in un cimitero dove si sta sotterrando una giovane donna
morta per amore. Il becchino è mosso, da pietà per Rosa, la prende con sé, portandola presso
certi buoni mugnai (i genitori di colei che egli ha appena seppellito), i quali credono di
riconoscere nella nuova arrivata la loro figlia scomparsa. Rosa trova poi marito, dà alla luce
un bambino e sacrifica la propria vita regalando a lui il fiore dell'eterna felicità.
Congedandosi dal mondo degli uomini, ella non riprenderà l'aspetto primitivo, ma diverrà un
angelo accolto in cielo dai serafini.
Nel primo Ottocento il genere oratoriale, ormai glorioso sia per il contributo händeliano che
tornava in voga sia per i lavori più recenti di Haydn, rappresentava una preziosa alternativa al
teatro d'opera: meno spese, meno convenzioni a cui asservirsi, libretti migliori (non
sempre...), libertà di spaziare in luoghi fantastici e di spostarsi nello spazio e nel tempo senza
scontrarsi con la materialità del palcoscenico. Schumann studiò, recensì, ammirò parecchi
Oratori degli anni Trenta e Quaranta, ma per parecchio tempo non si risolse a scriverne: ci
arrivò per gradi e solo dopo aver saggiato il pianoforte, il Lied, la musica da camera, la
Sinfonia. A ben vedere, l'unico vero Oratorio di Schumann è il primo, Il Paradiso e la Peri,
anno 1843; l'alternanza di soli e coro, il filo connettivo della vicenda, l'intersecarsi di
narrazione e soggettività trovano un equilibrio davvero esemplare per il genere. Il
pellegrinaggio della Rosa, ricavato da un poema in versi di Moritz Horn, nasce alcuni anni
dopo, nella primavera del 1851, e con connotazioni diverse: innanzitutto la durata è minore,
ma in fondo anche molti Oratori di Spohr e di Loewe erano stati piuttosto brevi. Ciò che
conta soprattutto è piuttosto la vocazione domestica del lavoro, composto in origine per voci
soliste, piccolo coro e pianoforte ed eseguito in questa veste il 6 luglio dello stesso 1851 per
festeggiare e inaugurare con gli amici il nuovo appartamento degli Schumann, che si erano
trasferiti da poco a Düsseldorf. Quasi costretto dall'entusiasmo degli amici, ma non del tutto
convinto, Schumann si decise a orchestrare l'Oratorio solo nel mese di novembre; in questa
veste il lavoro potè accedere alle sale da concerto e venir eseguito pubblicamente a
Düsséldorf il 5 febbraio del 1852 sotto la direzione di Schumann stesso, da dove prese
l'abbrivio di una certa popolarità.
La natura cameristica originaria non potè tuttavia essere rinnegata, nemmeno negli inserti
corali, propensi a note di intimismo; non sarà una coincidenza che proprio nell'autunno 1851
Schumann avesse provato a organizzare un coro domestico, formato da quello stesso
gruppetto di amici che avevano tenuto a battesimo Der Rose Pilgerfahrt.
Märchen, fiaba: qualificando cosi il suo lavoro, Schumann riconobbe esplicitamente di aver
puntato su una dimensione poetica e immaginativa che si discosta dal solco più abituale
dell'Oratorio. Non storie bibliche né evangeliche, come nei precedenti illustri di Schneider,
Spohr, Mendelssohn; e nemmeno solidi pannelli storici, tipo il Gutenberg di Carl Loewe; nel
soggetto schumanniano è protagonista un fiore, una tenera rosellina, sorella spirituale della
Violetta di Coethe, dei tanti gigli e fior di loto di Heine che l'arte di Schumann aveva già
incontrato più volte nei Lieder. La Rosa (personificata fin dal suo primo apparire) è malata
della patologia romantica per eccellenza, la Sehnsucht, imprecisata nostalgia, struggimento
che si nutre di se stesso. Già la Peri, l'angelo caduto del precedente Oratorio di Schumann, ne
era affetta e non si dava pace fin quando non riusciva a ritrovare l'abbraccio cosmico del
paradiso da cui era stata scacciata. La Rosa desidera invece l'amore di un uomo, simile in
questo alla Sirenetta di Andersen e come lei pronta a mutare il suo corpo, ad affrontare la
sofferenza, l'esclusione dal suo mondo, la mortalità; forte dell'unica protezione di un
talismano, sarà pronta a sacrificarlo di propria iniziativa per il bene della sua bimba, avendo
ormai scoperto che il vero talismano è l'amore.
Parlando del suo Paradiso e la Perì, Schumann aveva commentato nel suo diario il 28 giugno
1843: "in musica non conosco niente di simile, a parte alcuni Oratori di Loewe, che però
hanno un retrogusto troppo didattico". Se il timore era di scivolare nel didascalico,
Schumann poteva proprio dirsi contento: anche Der Rose Pilgerfahrt è del tutto immune da
enfasi, formulazioni esemplari, caratteri maiuscoli, proprio perché nel suo patrimonio
genetico è rimasta indelebile la concezione cameristica originaria, con il pianoforte a far le
veci dell'orchestra: tanto da assomigliare molto al cosiddetto Liederspiel, vale a dire, catena
di Lìeder, teatro fatto di istantanee liriche. A ciò si aggiunga la dimensione di lontananza
prodotta dalla fiaba stessa e il sapore arabeggiante indotto dalla delicata simbologia floreale:
ed ecco i contorni armonici (e quelli timbrici, una volta aggiunti al disegno iniziale) perdere
spesso la loro plastica evidenza e prediligere soluzioni ambigue, sospensioni, sviamenti che
irradiano sul lavoro il fascino sottile dell'orientalismo. Questa, ormai a metà Ottocento,
potrebbe sembrare una conquista lessicale abbastanza ovvia; era invece ancora una rarità,
dato che ben di rado l'esotismo di testi e didascalie si incarnava poi realmente anche nelle
partiture, fatti salvi pochi esempi spesso estranei al teatro, fra cui proprio un brano di
Schumann di pochi anni prima, Bilder aus Osten per pianoforte a quattro mani.
Quasi ad anticipare la natura tutta intcriore di questo Oratorio, il suo esordio porta come
unica indicazione uno stato d'animo, Im fröhlichen Ton (con accento lieto), ed è infatti fresco
e cordiale come un refolo di primavera; le prime note sfiorano in amichevole, forse
inconsapevole omaggio un altro celebre incipit, quello mendelssohniano delle Ebrìdi: primo
sintomo del clima fiabesco che si verrà delineando. Quando poi entrano due chiare voci
femminili e riprendono la melodia intrecciandosi a canone come due giunchi, Schumann
ottiene un effetto di trompe-l'oeil che supera in presa emotiva molti tentativi, forse più
sofferti e certo più complessi, di appropriarsi del dotto stile imitativo: una delle mete a cui
più ambisce lo Schumann degli ultimi anni. Nella stupefatta commozione con cui l'intero
coro femminile prende la parola lodando la primavera (O sel'ge Frühlingszeit) sedimenta un
ricordo del Fidelio di Beethoven, quando i prigionieri risalgono dal carcere e rivedono la luce
del giorno; in questo punto, fra l'altro, l'accompagnamento strumentale sparisce quasi del
tutto, con un tocco d'arcaismo che suggerisce leggendarie purezze, da età dell'oro.
Ecco alzarsi la voce narrante (Johannis war gekornmen), per ora affidata al tenore solista, che
in questa prima sortita canta un vero e proprio Lied, pieno di screziature raffinate; il senso di
contemplazione traspare dalle svolte a sorpresa dell'armonia, con transizioni dirette fra
tonalità lontane (fa maggiore-re bemolle) che sembrano portare in un altro mondo. Arrivano
infatti le voci degli elfi a schiudere gli orizzonti del sogno e della fantasia: qui Schumann
abolisce di fatto i confini fra un brano e l'altro, lasciando che ogni momento scivoli nel
successivo e crei un pannello più esteso e unitario. Il vero e proprio 'mormorio della foresta',
che comincia a serpeggiare sotto le ultime parole del tenore, prosegue come una danza sotto
il coretto di spiriti: voci esclusivamente femminili, a denotare l'immagine positiva e
affettuosa che Schumann vuol darne (in diverse Opere romantiche gli elfi hanno più aspre
voci infantili o persino timbri maschili di testa). La danza si interrompe sollecita non appena
le orecchie fini degli elfi captano una 'melodia lamentosa'; tacciono, e si pongono in ascolto:
ed ecco, preannunciata da un cromatismo tanto breve quanto pregnante del pianoforte, una
tenera voce sopranile, quella della Rosa, che fra tanta gioia piange perché le è preclusa la
sorte dei mortali, che amano e sono amati. La Principessa degli elfi cerca di dissuaderla, ma
alla fine si intenerisce ed esaudisce il desiderio, anzi, le dona come talismano una rosa fatata,
ammonendola a non perderla, perché all'istante tornerebbe a trasformarsi in fiore. Mentre il
dialogo prosegue, gli elfi riprendono a intrecciare le loro danze, e il clima è ancor più
immateriale di prima; l'effetto di sospensione si accentua con un minuscolo espediente
armonico, quello della 'sesta aggiunta', e la prossimità con un Preludio di Chopin risalta con
particolare evidenza nel nitido bianco e nero della versione pianistica; cosi come poco dopo
(Und wie ein Blitz) solo la stesura originaria fa spiccare lo svolazzo enigmatico dell'Uccello
profeta, protagonista della raccolta pianistica di due anni prima dal fiabesco titolo di Scene
del bosco.
Ed ecco Rosa sola nel vasto mondo, come in una fiaba: che però comincia subito male, con la
fanciulla che bussa a una casetta e chiede accoglienza col tono schietto e senza fronzoli del
canto popolare, ma viene scacciata con piglio bisbetico. Riprende il suo cammino, e il tenore
che ce lo racconta (und weiter unter Abendglüh'n) torna sulla melodia di prima (Sie steigt
den Hügel still hinauf), a tendere fili connettivi fra scena e scena (per un attimo si sente già
fremere qualcosa del canto primaverile di Walther, quando sarà poi bocciato dai Maestri
cantori).
Altra casetta, questa volta sul limitare del cimitero; e infatti Rosa ci trova il becchino, col suo
vocione fondo di basso-baritono ma l'animo gentile: a lui, con uno stile non lontano da certi
Lieder dì Schubert, spetta far capire all'inesperto fiorellino come l'amore possa far soffrire
tanto da uccidere. La pulsione greve e ipnotica dei bassi (strumentati saranno tromboni) fa
già pensare al Brahms del Begräbnìsgesang (Canto di sepoltura); su questa massa plumbea la
voce chiara della protagonista si staglia con un vero grido di dolore: in cui però si misura la
lontananza astrale dal mondo del teatro d'opera, e la sintonia con il Lied; anzi, dopo l'attacco
del coro funebre Wie Blätter am Baum, la frase di Rosa arieggia un frammento dello
schubertiano Nacht una Träume: coincidenze casuali dovute alla lunga frequentazione di
pagine amate, utili nondimeno a documentare l'affinità di scrittura e di intenti espressivi.
Dopo il lungo compianto funebre, il narratore riprende il filo del racconto (Die letzte Scholl'
hinunterrollt), con una dolcezza che sembra voler accarezzare la spaurita Rosa; e qui riaffiora
l'espansività del Paradiso e la Perì, in cui i chiaroscuri erano tendenzialmente più marcati. Il
dialogo di Rosa con il becchino, che le parla della propria vedovanza, si tinge di una
trepidazione prewagneriana nell'uso di armonie cromatiche, che stingono le une sulle altre,
col senso di un dolore ormai congenito. Esausta dopo questo suo primo giorno di vita umana
così movimentata e avara di gioie, Rosa recita una preghiera e poi, prima di addormentarsi,
manda un pensiero ai suoi amici elfi: "Chissà, mi penseranno ancora?". La risposta non tarda
a venire: ecco un coretto di elfi, mormorato in pianissimo, come un'eco di sogno; qui
Schumann riscrive in modo magistrale un archetipo che affonda le sue origini almeno nel
Faust di Spohr (1816): voci suasive e cantilenanti sopra un accompagnamento leggero e
pulviscolare; gli spiritelli fanno del loro meglio per insinuare in Rosa la nostalgia di casa, ma
restano inascoltati.
Su questa immagine si conclude la prima parte dell'Oratorio, nel segno dell'aspetto più
fiabesco e caratteristico del Romanticismo. La seconda comincia col mattino seguente:
commosso dalla gentilezza di Rosa, il becchino vuole aiutarla e la porta in una nuova
famiglia che la possa amare. Due voci femminili (soprano e contralto) descrivono la casetta
del mugnaio con il tono più gioioso e compensano il lirismo drammatico delle scene
precedenti con una ventata di folclore (Zwischen grünen Bäumen). E dopo il finissimo
dialogo fra Rosa, il becchino, il mugnaio e sua moglie (esempio di quella sintesi di Opera e
Lied a cui tanto si sforzava di approdare il teatro musicale in lingua tedesca), ecco proseguire
l'evocazione di una vita normale, immersa nella natura e nella serenità domestica, con
l'immancabile coretto di cacciatori (Bist du im Wald gewandelt). Fra di loro uno se ne resta
in disparte, appoggiato a un albero, come tramortito di gioia; è il figlio del guardiaboschi, che
ancora non riesce a capacitarsi di poter sposare la sua cara Rosa; e il momento in cui la voce
narrante (questa volta di contralto) mette in musica questo turbamento supera persino in
intensità il successivo duetto degli innamorati (Ich weiss ein Röslein prangen). Per le nozze,
Schumann costruisce di nuovo un pannello più ampio (Wer kommt am Sonntagsmorgen?), in
cui si sente la vicinanza con quattro ballate per coro e orchestra successive di alcuni mesi;
non manca nemmeno uno squarcio vividissimo di musica popolare, con l'eco fuggevole e
discreta di un celebre coro venatorio del Franco cacciatore di Weber.
Conclusi gli sponsali, eccoci all'epilogo: è trascorso un anno e Rosa è diventata madre;
affiora di nuovo lo svolazzo arcano dell'Uccello profeta; e su questa cifra enigmatica ecco la
madre donare il suo talismano alla creatura, perché possa sempre proteggerla. Questa
soluzione fu inserita per richiesta di Schumann, che aveva coinvolto lo stesso Moritz Horn
nella stesura del testo dell'Oratorio; in una lettera del 9 giugno 1851 gli propose di non far
tornare Rosa al mondo dei fiori, ma di farla salire in cielo, affidando l'ultima parola a un coro
di angeli: "La progressione rosa, fiaba, angelo mi sembra poetica e allusiva di quella dottrina
sulle superiori affinità tra gli esseri viventi che è cara a noi tutti". Trasfigurata in una
Berceuse, la morte perde cosi la sua drammaticità e il lavoro si spegne in un soffio,
confermando l'osmosi continua della forma grande con la vocazione mai sopita di Schumann
per l'istantanea minuscola e privata.
Elisabetta Fav
116 1851
Der Königssohn
Ballata per soli, coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=13r9FWTaRy0+
Organico: soprano, tenore, baritono, basso, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti,
4 corni, 2 cornetti, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, archi
Composizione: Düsseldorf, 30 giugno 1851
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 6 maggio 1852
Edizione: Whistling, Lipsia, 1853
123 1853
Rheinweinlied
Ouvertüre festiva in do maggiore per tenore, coro e orchestra
Organico: tenore, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3
tromboni, timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 15 - 19 aprile 1853
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 17 maggio 1853
Edizione: Simrock, Bonn, 1857
139 1858
Des Sängers Fluch
Ballata per soli, coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=wBXsxcpztnA&list=RDwBXsxcpztnA&start_radio=1
Organico: soli, coro misto, ottavino, 2 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe,
3 tromboni, basso tuba, timpani, arpa, archi
Composizione: Düsseldorf, 1 gennaio - 19 gennaio 1852
Prima esecuzione: Wuppertal-Elberfeld, Theater am Brausenwerth, 28 febbraio 1857
Edizione: Arnold, Elberfeld, 1858
Dedica: Johannes Brahms
140 1852
https://www.youtube.com/watch?v=UzeIiq5Zi_Q
Der alte Koning zog zu Wald - Lebhaft, nicht zu schnell (mi minore)
Zwei Reiter reiten vom Konigsschloss - Massig (do diesis minore)
Den Runenstein in der Sommernacht - Sehr massig (la maggiore)
Die Sale funkeln im Koningsschloss - Rauschend festlich (do diesis minore)
Organico: soprano, contralto, tenore, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4
corni, 3 tromboni, timpani, arpa, archi
Composizione: Düsseldorf, 18 giugno - Scheveningen, 12 settembre 1852
Prima esecuzione: Düsseldorf, Sala Geisler, 2 dicembre 1852
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia, 1858
143 1853
https://www.youtube.com/watch?v=vLQSkF0f4-Y
Organico: tenore, basso, coro maschile, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3
trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, archi
Composizione: Düsseldorf, 27 febbraio - 12 marzo 1853
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 23 ottobre 1855
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia, 1860
Neujahrslied
Lied in mi bemolle maggiore per soli, coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=UxIn5oT7KNc
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, 4 tromboni, timpani, archi
Composizione: Dresda, 27 dicembre 1849 - 3 gennaio 1850
Prima esecuzione: Düsseldorf, Neues Theater, 11 gennaio 1851
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia, 1861
Lieder
https://www.youtube.com/watch?v=QjL1_kum704
https://www.youtube.com/watch?v=DPNwBZYju7I
https://www.youtube.com/watch?v=X0pFd-UQ99c
https://www.youtube.com/watch?v=sX1LTPV0QuA
https://www.youtube.com/watch?v=WWKVQ0dOJrQ
https://www.youtube.com/watch?v=sKIUbVtAKac
https://www.youtube.com/watch?v=Y_WKd2lzRqE
https://www.youtube.com/watch?v=k6sr7b6pl7c
https://www.youtube.com/watch?v=FUioZCMWWxw
1827 - 1828
Sei Lieder
per voce e pianoforte
Tre Lieder
per voce e pianoforte
1840
24 1840
Liederkreis
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=raX9s2xWTNM
https://www.youtube.com/watch?v=MQoVY3SSTc8
https://www.youtube.com/watch?v=5LhAUUnVD7U
In uno studio sui lieder schumanniani, che risale al 1914, il musicologo Guido M. Gatti
traccia una comparazione pertinente fra la produzione liederistica dell'autore del Manfred e
quella non meno illuminante di Schubert. «Questo artista - osserva Gatti - sceglie una lirica e
cerca di intenderla e quasi di immedesimarsi con lo spirito del poeta: il suo è un lavoro
incessante di trasposizione della propria sensibilità personale per sostituirvi quella del lirico;
si tratta dì uno sforzo negativo, nel quale il temperamento del musicista subisce delle
costrizioni dolorose. Schumann invece non rinuncia alla propria personalità: innanzitutto
perché egli sceglie quelle liriche che in quel momento rappresentano il suo stato interiore, e
poi perché egli preferisce sopra ogni cosa rivelare se stesso prima che lo spirito del poeta; di
modo che è la propria sensibilità, la propria anima sovrapposta e spesso preponderante su
quella dell'autore stesso».
Molti sono i lider schumanniani validi per la delicatezza del sentimento e l'esemplare
equilibrio tra valore poetico e musicale, ma indubbiamente tra i capolavori appartenenti a
questo specifico genere vanno annoverate le ventinove melodie dei Myrthen op. 25 (1840) su
poesie di Rückert, Goethe, Mosen, Burns, Heine, Byron e Moore e soprattutto la raccolta del
Frauenliebe und - leben (Vita e amore di donna) op. 42 (1840) su versi di Adalbert von
Chamisso e i sedici stupendi poemi del ciclo Dichterliebe (Amor di poeta) op. 48, ispirati da
Heine e dedicati da Schumann alla celebre cantante Wilhelmine Schroeder-Devrient. E'
proprio in questi esempi dove la simbiosi tra pianoforte e canto risulta perfetta che il lied
schumanniano si presenta non solo come uno dei modelli di tutta la lirica vocale da camera
dell'Ottocento tedesco, ma anticipa perfino le raffinatezze e le libertà di un Brahms e di un
Wolf, il quale ultimo, come Schumann, doveva concludere la sua tormentata esistenza in un
manicomio, dopo cinque anni di completo disordine mentale.
Naturalmente anche nei lieder dell'op. 24 c'è il segno della inconfondibile personalità
schumanniana con i suoi sogni, i suoi slanci, i suoi abbandoni (significativo è il terzo canto -
Ich wandelte unter Bäumen - pieno di intimismo sentimentale), i suoi scatti appassionati, i
suoi languori, i suoi aneliti verso l'infinito, insomma con tutti quei richiami tipici della
romantica Sehnsucht.
25 1840
Myrthen
Ciclo di lieder per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=wt2XqrS2RCA
https://www.youtube.com/watch?v=MpfnWGH1xRY
25 n. 1 1840
1. Widmung
Lied per voce e pianoforte
Testo: Friedrich Rückert
Testo (nota 1)
WIDMUNG
DEDICA
25 n. 2 1840
2. Freisinn
Lied per voce e pianoforte
Testo: Johann Wolfgang von Goethe
Testo (nota 1)
Freisinn
Lasst mich nur auf meinem Sattel gelten!
Bleibt in euren Hütten, euren Zelten!
Und ich reite froh in alle Ferne,
Über meiner Mütze nur die Sterne.
Senso di libertà
25 n. 3 1840
3. Der Nussbaum
Lied per voce e pianoforte
Testo: Julius Mosen
Dell'anno 1840, ricchissimo nella produzione liederistica, è Der Nussbaum, in cui spetta al
pianista sfoggiare arpeggi regolari e cantabili sopra i quali si libra una melodia pura, che
nella sua totale assenza di conflitti sul piano armonico rende la sostanziale armonia - caso
rarissimo - tra voci della natura e sogno della fanciulla: il Lied fa parte della raccolta Myrten,
offerta da Schumann alla moglie Clara il giorno delle nozze.
Johannes Streicher
Testo
Der Nussbaum
Es grünet ein Nussbaum vor dem Haus,
Duftig, luftig breitet er blättrig die Äste aus.
Il noce
25 n. 4 1840
4. Der Nussbaum
25 n. 5 1840
Testo (nota 1)
Se siedo solo
Se siedo solo,
dove posso stare meglio?
Il mio vino
lo bevo solo;
nessuno mi mette barriere,
così ho pensieri tutti miei.
25 n. 6 1840
Testo (nota 1)
Non mi porre
25 n. 7 1840
7. Die Lotosblume
Lied per voce e pianoforte
Testo: Heinrich Heine
25 n. 8 1840
8. Talismane
Lied per voce e pianoforte
Testo: Johann Wolfgang von Goethe
25 n. 9 1840
Testo (nota 1)
IL CANTO DI SULEIKA
25 n. 10 1840
25 n. 11 1840
25 n. 12 1840
25 n. 13 1840
25 n. 14 1840
25 n. 15 1840
Testo (nota 1)
25 n. 16 1840
16. Rätsel
Lied per voce e pianoforte
Testo: Lord Byron, tradotto da J. Korner
25 n. 17 1840
Testo (nota 1)
25 n. 18 1840
Testo (nota 1)
25 n. 19 1840
19. Hauptmanns Weib
Lied per voce e pianoforte
Testo: Robert Burns, tradotto da Wilhelm Gerhard
25 n. 20 1840
25 n. 21 1840
Was will die einsame Träne - Ziemlich langsam mit inniger Empfindung (la maggiore)
25 n. 22 1840
22. Niemand
Lied per voce e pianoforte
Testo: Robert Burns, tradotto da Wilhelm Gerhard
25 n. 23 1840
23. Im Westen
Lied per voce e pianoforte
Testo: Robert Burns, tradotto da Wilhelm Gerhard
25 n. 24 1840
25 n. 25 1840
25 n. 26 1840
27 1840
27 n. 1 1840
27 n. 2 1840
27 n. 3 1840
27 n. 4 1840
4. Jasminenstrauch
per voce e pianoforte
Testo: Friedrich Rückert
27 n. 5 1840
Nur ein lächelnder Blick - Innig, nicht zu rasch (mi bemolle maggiore)
29 1840
Tre Gedichte
per più voci e pianoforte
29 n. 1 1840
1. Ländliches Lied
per due soprani e pianoforte
Testo: Emmanuel Geibel:
Composizione: 1840
Organico: 2 soprani e pianoforte
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1841
29 n. 2 1840
2. Lied
per tre soprani e pianoforte
Testo: Emmanuel Geibel:
Composizione: 1840
Organico: 3 soprani e pianoforte
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1841
29 n. 3 1840
3. Zigeunerleben
per coro e pianoforte
Testo: Emmanuel Geibel:
Composizione: 1840
Organico: coro misto, pianoforte con triangolo e tamburello ad libitum
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1841
30 1840
Drei Gedichte
per voce e pianoforte
Testo: Emanuel Geibel
31 1840
Drei Gesänge
per voce e pianoforte
31 n. 1 1840
1. Die Löwenbraut
per voce e pianoforte
Testo: Adalbert von Chamisso da Pierre-Jean de Beranger
31 n. 2 1840
2. Die Kartenlegerin
per voce e pianoforte
Testo: Adalbert von Chamisso da Pierre-Jean de Beranger
Testo (nota 1)
DIE KARTENLEGERIN
Schlief die Mutter endlich ein
über ihrer Hauspostille?
Nadel, liege du nun stille,
nähen, immer nähen, nein!
Ei, was hab' ich zu erwarten?
ei, was wird das Ende sein?
LA CARTOMANTE
Dieser Carreau-König da
muss ein Fiirst sein, oder König,
und es fehlt daran nur wenig,
bin ich selber Fiirstin ja.
Hier ein Feind, der mir zu schaden
sich bemùht bei seiner Gnaden,
und ein Blonder steht mir nah.
Quel re di quadri
dev'essere un principe o un re
e ci manca appena poco
che io non sia una principessa.
Qui c'è un nemico che mi vuole
inimicare Sua Grazia
e un uomo biondo mi sta accanto.
31 n. 3 1840
Die rote Hanne - Nicht schnell, sehr ernst (si bemolle maggiore)
34 1840
Vier Duette
Quattro duetti per soprano, tenore e pianoforte
35 1840
Zwölf Gedichte
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=z1gfz_RYQWg
Seppur non così importante come quella di Schubert, la produzione liederistica di Schumann
illumina un tratto caratteristico della sua arte e rappresenta un punto di passaggio obbligato
nell'evoluzione del genere. Da semplice quadretto descrittvo di forma rigorosamente strofica,
espressione di una sensibilità popolare, più spesso popolareggiante, il Lied era stato elevato
al rango di forma d'arte e immesso nella tradizione colta da Mozart e da Beethoven; fino a
conoscere, con Schubert, sviluppi imprevedibili, e diventare il mezzo eletto per suscitare
l'eco di risonanze profonde, interiori, trasfigurate in una unione ideale di poesia e musica:
capace, dunque, come nel caso degli ultimi cicli schubertiani, di dare voce alle più intime e
segrete introspezioni dell'anima.
Così facendo il Lied si aprì lo sbocco verso la piena inarrestabile del Romanticismo, che ne
avrebbe rappresentato al massimo grado le esigenze accentuandone ancor più i toni
soggettivi e quelli di una dolorosa, sovente tragica confessione lirica. Non meraviglia dunque
che Schumann si accostasse al genere assai presto, con tutta l'ansia intrepida della sua
gioventù e con il carico della sua accesa, trascinante fantasia: nessuno meglio di lui avrebbe
potuto raccogliere l'eredità di Schubert e portare a maturazione il frutto prezioso, così
rigogliosamente sbocciato. Non fu però così. Non almeno subito, in quel primo slancio tanto
generoso quanto incontrollato.
Schumann compose i suoi primi Lieder nel 1827, l'anno della morte di Beethoven, e continuò
a produrne, con maggiore frequenza, nel 1828, l'anno della morte di Schubert: dunque fra i
diciassette e i diciotto anni. A diciassette anni, nel 1814, Schubert aveva composto quel
Gretchen am Spinnard (Margherita all'arcolaio, da Goethe) che con la sua caratterizzazione
psicologica e non soltanto musicale era destinato a segnare, oltre che la data di nascita del
Lied moderno, una pietra miliare nella fusione di musica e parole. Al confronto, il primo
degli undici Lieder op. 2 di Schumann (Sensucht, parola magica e intraducibile,
caleidoscopio di suggestioni tipicamente romantiche: nostalgia, anelito, rimpianto...) è
soltanto un promettente inizio, lontanissimo però dal mondo poetico e musicale schubertiano:
acerbo e quasi velleitario. Lo stesso potremmo dire per il primo dei Lieder di Schumann su
testo di Goethe, Der Fischer (Il pescatore), soprattutto se lo mettessimo accanto agli esordi di
Schubert, per esempio a Erlkönig (Il re degli Elfi). Componendo i sui primi Lieder
Schumann dovette accorgersi che la sua ambizione non veniva ancora sorretta dalla
necessaria esperienza. Se Schubert era il Lied, imitarlo era impossibile, oltre che
inopportuno. All'ombra incombente e minacciosa di Beethoven nelle grandi forme si
sovrappose, nel caso specifico, quella del grande, semplice, metafisico Schubert. E
Schumann, il quale neppure a diciott'anni era quell'entusiasta irriflessivo che appariva a
molti, si comportò di conseguenza: tacque. Tacque e attese di raggiungere la certezza di sé, di
quel che voleva e doveva essere. Scriverà retrospettivamente: «sviluppare me stesso, tutto
come sono, questo era sin dalla giovinezza il mio desiderio e la mia intenzione. [...] Come
possa salvare e conquistare me stesso è per me un bisogno indispensabile». La conseguenza
fu che per dodici anni non compose più nemmeno un Lied, e si dedicò invece all'attività nella
quale avrebbe potuto riconoscere e conquistare se stesso. Questo campo, un vero campo di
battaglia, fu il pianoforte: dalla piccola forma del pezzo isolato al ciclo organico e unitario di
più pezzi, dal semplice brano di carattere alla grande forma della Sonata pianistica.
Quando si riaccostò al genere liederistico, Schumann era diventato un altro, non soltanto per
età ed esperienza, ma anche per maturità e individualità acquisite. La sua smania di comporre
Lieder ruppe gli argini come una furia a lungo repressa nel 1840 (in quel solo anno se ne
contano quasi centocinquanta) ed è rivelatrice di questo mutamento. Il "complesso" di
Schubert sembrava essere dimenticato e sepolto nella superba coscienza di sé, certo
fortificata da quanto Schumann era venuto compiendo in quegli anni nella musica pianistica;
gli stessi risultati a cui portò quel cambiamento recano impresso il sigillo di una personalità
capace ora di spaziare all'interno del Lied con accenti inconfondibilmente propri. Schumann
si era tracciato una via autonoma al Lied ed era ora in grado di raccoglierne i frutti con
un'abbondanza che a lui stesso sembrò straordinaria, quasi incredibile.
Un luogo comune molto frequentato dalla critica, per la quale la vita e l'opera di un artista
debbono per forza dipendere in modo diretto da amori, disgrazie o fatalità, collega questa
straordinaria fioritura del 1840 al nome di Clara Wieck. Secondo quest'opinione sarebbero
stati il fidanzamento con Clara, giunto al momento culminante delle grandi scelte dopo
acerrimi contrasti, e poi il matrimonio celebrato nel settembre 1840 a riaccendere in Robert
la fiamma della creazione liederistica, spingendolo a tradurre in canto le diverse sfumature
del suo appassionato amore per la giovane compagna. Non manca a questa tesi il conforto di
una lettera famosa: «Ah Clara, quale beatitudine scrivere per il canto: da tempo ne sentivo la
mancanza». «Die hatte ich lange entbehrt», scrive Schumann; e ciò nella pregnanza di
significati della lingua tedesca, significa non soltanto "sentire la mancanza", ma anche
rinunciare, tenersi lontano da qualcosa pur desiderandola. Schumann aveva rinunciato a
scrivere Lieder appunto perché non si sentiva pronto o all'altezza; e soltanto a posteriori
quella rinuncia gli sembrava una "mancanza" di cui avvertiva e registrava tutto il peso: un
peso forse anche angoscioso, che però ormai apparteneva al passato e aveva lasciato il posto
alla gioia inebriante di una straordinaria energia creatrice.
Più che merito di Clara, quindi, quei frutti dovremmo considerare il risultato di una semina
occulta e oculata, di un magistero poetico e musicale giunto a individuale maturazione. Clara
tutt'al più può essere presente sullo sfondo come punto di riferimento soggettivo, ideale
dedicataria di un lavoro che impegnò Schumann in una ricerca nuova sotto molteplici punti
di vista: armonico, formale, linguistico, stilistico. Qui, assai più che nell'atteggiamento
sentimentale o emotivo, sta la vera novità dei Lieder del magico anno 1840. E a dimostrarlo
stanno, nella fioritura così rigogliosa, anzitutto cinque grandi cicli: Liederkreis op. 24, da
Heine; Myrthen op. 25, su testi di poeti diversi fra i quali Rückert, Goethe, ancora Heine,
Byron e Thomas Moore (questo è l'unico a recare esplicitamente la dedica a Clara);
Liderkreis op. 39, da Eichendorff; Frauenliebe una Leben op. 42, da Chamisso; Dichterliebe
op. 48, dal Libro dei canti di Heine. Al centro si trovano due raccolte riunite sotto il titolo di
Lieder und Gesänge o Gedichte (cioè canti e poesie), la prima delle quali è l'op. 35, su testi di
Justinus Kerner (l'altra, op. 37, è invece ricavata da Primavera d'amore di Friedrich Rückert).
Questi dodici Lieder tratti da Kerner e musicati da Schumann nei primi mesi del suo
matrimonio con Clara si differenziano dai cicli veri e propri perché non narrano una storia
ma allineano una serie di stati d'animo affini in senso non tanto psicologico quanto poetico.
Di Kerner (1786-1862), figura di primo piano della scuola romantica sveva, Schumann
coglie soprattutto la vena trasognata e intenerita, riecheggiante toni e motivi popolari, e il
contrasto fondamentale tra un desiderio di sicurezza nel ben protetto alveo familiare e la
fondamentale impossibilità di sentirsi appagato fuori di un perpetuo soffrire. Ciò che Kerner
evoca nel breve giro di un'immagine o di una visione, Schumann lo potenzia con il canto, che
qui occupa una posizione ancora rilevante rispetto all'accompagnamento pianistico. Può
sembrare curiosa la scelta di testi che sempre più si allontanano da sensazioni di pace e di
gioia pur vagheggiando una vita semplice e immediata, e che prediligono invece, in modo
talvolta anche bizzarro ed eccentrico, fantasie di mondi lontani, descrizioni nostalgiche della
natura, di boschi, tempeste e crepuscoli, di amori perduti e di amicizie infrante dal destino:
tutti dominati da tristezza, solitudine, rinuncia, infelicità, e votati a una malinconica
rassegnazione. E ciò indurrebbe a riflettere sul sentimento di fondo che dominava Schumann
in un momento per lui apparentemente felice.
Per Schumann la natura stessa del Lied invitava alla rappresentazione lirica, soggettiva,
dell'infelicità. E il cantare quest'infelicità era per lui il modo di vincerla. Se il tono di fondo è
questo, determinante è la riflessione compositiva originata dal rapporto col testo. Rispetto
agli altri cicli, in questo la presenza del pianoforte è meno risaltata, più compressa, e mira a
fondere la melodia della parola con il suono dello strumento. Il pianoforte non si allontana
dagli orizzonti del canto né propone un'altra verità sollecitando i dubbi, ma avvolge la voce
delicatamente e ne amplifica estesamente le linee. Se un principio si vuol trovare nel ciclo,
questo è dato dal contrasto, peraltro ricorrente in Schumann, tra esteriorità e interiorità, tra
ciò che si manifesta limpidamente all'esterno e ciò che accade all'interno della percezione
discordante: sovente con brucianti contrapposizioni armoniche su un impianto costellato di
modi minori e dissolvenze improvvise, o viceversa con lente, infinite sospensioni di tempi e
di spazi.
Se ne ha un esempio subito all'inizio, dove la voluttà di una notte di tempesta sta tutta nella
consapevolezza che mentre fuori infuria l'uragano è possibile trovare una quiete interiore, la
quiete del focolare domestico: ma essa è simbolo di un'aspirazione più che di una realtà, di
un anelito più che di un possesso, come chiaramente indica la figura sincopata sottostante
all'energico slancio del canto. E ciò dà al Lied una forte tensione drammatica, via via
accresciuta fino alla conclusione, tutt'altro che risolutiva, in maggiore. Cui si contrappone
subito la visione, quasi ieratica nella sua solennità, dell'amata che si consacra alla vita
monastica nel vecchio duomo di Augusta: dove il tono austero della cerimonia e il
sentimento religioso che ne accompagna il rituale antico, assaporati alla luce di un ideale di
pura bellezza, sembrano sovrapporsi, in uno sdoppiamento tra il sadico e l'ammaliato, al
cocente dolore di una speranza che muore.
Il terzo, quarto e quinto Lied sono inni alla natura pervasi di empito lirico e di nostalgia verso
un mondo divenuto ormai estraneo all'errabondo viandante: qui l'intervento del compositore
si fa più marcato. Nel terzo Lied Schumann riprende alla fine della prima strofa, quasi a voler
incorniciare in un quadro definitivo l'addio alla casa paterna; in Erstes Grün (n. 4) è invece il
pianoforte a intercalare a ogni strofa un ritornello in maggiore che lenisce il dolore della
lontananza; infine, col quinto Lied erompe per la prima volta in modo cosciente la nostalgia,
e il canto sembra interiorizzarsi per fantasticare, come esplicitamente indica la didascalia: ora
il ciclo si coniuga al passato, nel ricordo di una perdita irreparabile. Che subito si umanizza,
nel sesto Lied, in trenodia per l'amico defunto, cui solo il canto e la memoria possono dare
conforto: singolare mescolanza di funebri ritmi di marcia e di cristallini rintocchi di brindisi
un tempo felici. Si introduce poi di nuovo il tema del viaggio verso una terra ignota (n. 7), in
una sempre maggiore estraneità dai luoghi della pace: e se il mondo della natura benedice il
solitario, la celebrazione di quel legame è accettazione ancor sempre stupefatta di un destino.
I tre Lieder successivi, strettamente collegati fra loro, sono la definitiva premessa alla
rassegnazione che verrà alla fine. La rinuncia si manifesta in modo ironico in Stille Liebe (n.
8), allorché l'impossibilità di cantare denunciata dal testo è vanificata dal moto del pianoforte
che si presenta all'inizio e tra una strofa e l'altra, per essere poi sviluppato alla fine in una
attonita espressione del dolore, dai risvolti improvvisamente tragici. La concentrata
inquietudine del nono Lied, che distanzia la domanda finale in una serie di fin troppo
eloquenti risposte, si scioglie in atmosfere già quasi tristaniane nel decimo, dove per la prima
volta appare un vero e proprio postludio strumentale di commento tanto trasfigurante quanto
compiacente verso le lacrime versate e intrise di dolore. E il commiato avviene negli ultimi
due Lieder con un imprevedibile, magistrale colpo d'ala: la stessa melodia si presenta due
volte, quasi eco di se stessa, su testi e accommpagnamenti diversi per ribadire la stessa cosa
sottovoce e sempre più lentamente; ossia per riconoscere un destino e al tempo stesso
negarlo. Siamo ai limiti dell'ineffabile, vicini alla soglia del silenzio e consegnati alla notte,
misteriosa e malinconica ben più di un epilogo d'effetto: una visione di sogno ai confini della
morte, forse onnicomprensiva, in quell'attimo, di ogni realtà.
Sergio Sablich
36 1840
Sechs Gedichte
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=shS30gJsMb0
Testo (nota 1)
1 - SONNTAGS AM RHEIN
2 - STÄNDCHEN
2 - SERENATA
3 - NICHTS SCHÖNERES
4 - AN DEN SONNENSCHEIN
O Sonnenschein, o Sonnenschein!
Wie scheinst du mir ins Herz hinein,
Weckst drinnen lauter Liebeslust,
Dass mir so enge wird die Brust!
5 - DICHTERS GENESUNG
Son proprio io, la creatura che spesso hai visto nei sogni,
son proprio io, la creatura che hai cantato come il tuo amore,
son proprio io, la regina degli elfi,
tu aspiravi a contemplarmi, t'è andata bene.
Ora devi esser mio in eterno,
unisciti anche tu, unisciti alla ronda degli elfi!"
6 - LIEBESBOTSCHAFT
6 - AMBASCIATA D'AMORE
37 1840
Zwölf Gedichte
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=ZWkdl_x5T_k
37 n. 1 1840
Der Himmel bat eine Träne geweint - Einfach (la bemolle maggiore)
37 n. 2 1840
2. Er ist gekommen in Sturm und Regen
per voce e pianoforte - Composizione di Clara Schumann
Testo: Friedrich Ruckert da "Liebesfrühling"
Er ist gekommen in Sturm und Regen - Sehr schnell. Leidenschaftlich (fa minore)
37 n. 3 1840
3. O ihr Herren
per voce e pianoforte
Testo: Friedrich Ruckert da "Liebesfrühling"
37 n. 4 1840
4. Liebst du um Schönheit
per voce e pianoforte - Composizione di Clara Schumann
Testo: Friedrich Ruckert da "Liebesfrühling"
37 n. 6 1840
Liebste, was kann denn uns scheiden? - Heiter (la bemolle maggiore)
37 n. 7 1840
Schön ist das Fest des Lenzes - Einfach, nicht rasch (la bemolle maggiore)
37 n. 8 1840
Flügel, um zu fliegen über Berg und Tal - Leidenschaftlich (sol diesis minore)
37 n. 9 1840
https://www.youtube.com/watch?v=7zai7VTAtlU
Rose, Meer und Sonne - Ruhig, die letzten Verse mit steigendem Ausdruck (si maggiore)
Robert Schumann, che prima sentiva indifferenza e perfino fastidio per la musica cantata
(«forse Lei è come me [...] che non ho mai giudicato grande arte la composizione per il
canto?», lettera dell'estate 1839, in R. Sch.s Briefe. Neue Folge, ed. G. Jansen, Lipsia 1886,
p. 143), nel 1840 scoprì in sé la vocazione per il Lied (a diciotto anni aveva scritto tredici
Lieder, presto dimenticati e accantonati). E quale vocazione! «Ah, Clara, che felicità è
scrivere per il canto. E me ne sono privato per un tempo così lungo!» (lettera a Clara
Schumann, febbraio 1840). Solo in quel febbrile 1840 Schumann, trascinato dalla gioia della
scoperta del proprio genio autentico, compose 138 Lieder. Certo, egli non dimenticò mai il
suo impulso naturale all'espressione strumentale, e spesso la sostanza del suo Lied più che
canora è pianistica o, meglio, il canto si avvia da un suggerimento non vocale o trova in esso
la sua conclusione. Come accade in Rose, Meer und Sonne (nono Lied della raccolta
Liebesfrühling su poesie di F. Rückert, op. 37), dove il delicato disegno di arpeggio
discendente in un costante si maggiore e la ripetizione dèi ritornello ("La rosa, il mare, il sole
sono un'immagine di lei che amo") e soprattutto le mirabili dodici battute conclusive del
pianoforte sono l'espressione di un pathos amoroso fervido e palpitante (il ritmo sincopato
della voce mediana nel postludio pianistico).
Franco Serpa
Testo
Alle Weitenflammen,
Der zerstreute Himmelsglanz,
Fliessen hell zusammen
In der Sonne Strahlenkranz.
37 n. 10 1840
37 n. 11 1840
37 n. 12 1840
12. So wahr die Sonne scheinet
per voce e pianoforte
Testo: Friedrich Ruckert da "Liebesfrühling"
39 1840
Liederkreis
Ciclo di lieder per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=PJJVpdJDBBY
Seppur non così imponente come quella di Schubert, creatore, all'alba del Romanticismo, del
Lied moderno, la produzione liederistica di Schumann illumina un lato caratteristico della
sua arte e rappresenta un punto di passaggio obbligato nella storia di questa forma. Da
semplice quadretto di genere in forma rigorosamente strofica, espressione di una sensibilità
popolare, più spesso popolareggiante, il Lied per canto e pianoforte era stato elevato al rango
di forma d'arte e immesso nella tradizione colta da Mozart e Beethoven, fino a conoscere,
con Schubert, sviluppi imprevedibili, e diventare il mezzo eletto attraverso il quale poter
rendere l'eco di risonanze profonde, interiori, liricamente trasfigurate in una unione ideale di
parole e musica; capace dunque, come nel caso degli ultimi, sommi cicli schubertiani, di
interpretare le più segrete introspezioni dell'anima e dell'inconscio, le gioie e i dolori
dell'uomo, le sue aspirazioni e i suoi fallimenti, il suo interrogarsi angoscioso senza riuscire a
trovare risposte definitive. Così facendo il Lied si apriva la strada verso la piena inarrestabile
del Romanticismo, che ne avrebbe realizzato al massimo grado le esigenze accentuando
ancor più i toni di intensa soggettività e di dolorosa, sovente tragica, confessione.
E appunto con Schumann che il ciclo di Lieder come forma organizzata strutturalmente si
pone nuovi compiti, individua nuove mete. Non può più bastare una raccolta di belle canzoni,
ma occorre fissare un'ordinata successione di momenti che rispecchino una situazione
sentimentale o morale eternamente fluttuante, e che siano legati fra loro da relazioni
strettissime, quasi necessarie, e non più modificabili. Sono stazioni di un itinerario simbolico,
ed emblematico, quelle che la musica ripercorre, quasi specchiandosi nella natura che
circonda il viaggio esistenziale dell'uomo; e anche lo schema formale riflette le fasi di una
storia che ha un inizio, uno sviluppo e una fine, ineluttabili.
Nel Liederkreis op. 39, composto nel 1840 su testi di Joseph von Eichendorff, il giro
armonico è perfettamente conchiuso dalla simmetrica corrispondenza delle tonalità, dal fa
diesis minore dell'inizio al fa diesis maggiore della fine. Di più. Il ciclo, composto di dodici
Lieder, è diviso in due parti, la seconda delle quali ripresenta specularmente, con una lieve
asimmetria interna, la stessa successione tonale. Essa si basa sui due princìpi del maggiore-
minore e del circolo delle quinte, e richiama quindi da vicino l'ordinamento dato da Chopin
ai suoi Preludi op. 28. A ciò va aggiunto che il momento culminante di tutto il ciclo,
rappresentato dal Lied Schöne Fremde (Bella lontananza), cade esattamente alla metà, ossia
nel sesto pezzo, ed è nella tonalità di si maggiore, l'unica a non ripresentarsi più nella
seconda parte; per cui si noti anche la sottile ironia in relazione al titolo.
Sergio Sablich
Il Liederkreis op. 39 venne composto nel 1840 e pubblicato a Lipsia due anni dopo.
L'accento più felice di questo ciclo su testi di Eichendorff è nel trapasso dal tono di interiore
raccoglimento (le voci della natura, configurate in una dimensione preziosa di morbidezza e
sogno) ad alcune modulazioni di angoscia e di presagio dolente. Ma il ciclo consente pure di
intendere la continuità di fondo dell'ispirazione schumanniana: nelle assonanze evocative di
Waldesgespräch come negli accordi sostenuti, accorati di Mondnacht e nel tremito lieve di
Zwielicht, ove sembra che le foreste dell'alta Slesia si animino di mille voci misteriose, in
una unità di musica e poesia che resterà fra i grandi risultati di una civiltà musicale al suo
culmine. L'ultimo «lied», Frühlingsnacht, è pagina di alta suggestività, scandita
sull'inquietudine di un rapido movimento di terzine.
Edoardo Guglielmi
40 1840
Fünf Lieder
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=q63BeN0S0eQ
https://www.youtube.com/watch?v=AzrPWoSOxQI
40 n. 1 1840
1. Märzveilchen
per voce e pianoforte
Testo: Hans Christian Andersen, tradotto da Adalbert von Chamisso
Märzveilchen
Der Himmel wölbt sich rein und blau,
Der Reif stellt Blumen aus zur Schau
Am Fenster prangt ein flimmernder Flor.
Ein Jüngling steht, ihn betrachtend, davor.
Und hinter den Blumen blühet noch gar
Ein blaues, ein lächelndes Augenpaar,
Märzveilchen, wie jener noch keine gesehn.
Der Reif wird, angehaucht, zergehn.
Eisblumen fangen zu schmelzen an,
Und Gott sei gnädig dem jungen Mann.
Violette di marzo
40 n. 2 1840
2. Muttertraum
per voce e pianoforte
Testo: Hans Christian Andersen, tradotto da Adalbert von Chamisso
40 n. 3 1840
3. Der Soldat
per voce e pianoforte
Testo: Hans Christian Andersen, tradotto da Adalbert von Chamisso
40 n. 4 1840
4. Der Spielmann
per voce e pianoforte
Testo: Hans Christian Andersen, tradotto da Adalbert von Chamisso
40 n. 5 1840
5. Verratene Liebe
per voce e pianoforte
Testo: Adalbert von Chamisso
42 1840
https://www.youtube.com/watch?v=UwlpqxJS5HM
Nondimeno se la fioritura appare esplosiva, non la si può considerare inattesa e tanto meno
occasionale. La costante predilezione che legò Schumann a Schubert e la sua assidua
consuetudine con la poesia romantica tedesca suggeriscono piuttosto l'idea di una lunga
maturazione; resa sotterranea sin lì dal prevalere del pianoforte quale confidente ideale della
fantasia, ma poi pronta a dar frutti quando l'esperienza umana del compositore contribuì a
tingere dell'entusiasmo della scoperta il suo ritorno al Lied (alcuni s'era già provato a
scriverne circa una decina d'anni prima). Nacquero allora d'impeto pagine esemplari
dell'intera letteratura liederistica, tutte dedicate a Clara, tra cui i celebri cicli Dichterliebe e
Frauenliebe und Leben, invero assai simili a un duplice dono nuziale.
Diversamente dal continuo rapporto con Heine, Chamisso è poeta al quale l'autore di
Frauenliebe sembra essere stato attratto quasi unicamente dall'assonanza momentanea della
ispirazione. Anzi i testi, anch'essi dettati da uno spunto autobiografico, che Schumann
prescelse per il suo Liederkreis potrebbero dar ragione a chi li ha accusati d'eccessivo
sentimentalismo domestico (Chamisso, quarantenne, sposò una ragazza di 18 anni), ma
sempre che si voglia prescindere dal fatto che ormai a decidere del loro valore è la lettura
datane dal musicista. Il quale tanto li sentì congeniali da usare per interpretarli procedimenti
e modi epressivi che s'imporranno come tipici di tutti i suoi Lieder.
Così sin dalla seconda canzone è affermata l'importanza del pianoforte, chiamato a
commentare e integrare il canto, oltre che a definire nell'accompagnamento il clima da cui
esso nasce. Così nell'intera collana la melodia non è monopolio della voce, ma passa da
quella allo strumento e viceversa in un amoroso snodarsi di proposte e risposte ove i giri
armonici, gli andamenti ritmici, le modulazioni non sono meno inscindibili dal contenuto
lirico che piega a sé la forma. Ancora e unicamente alla musica si deve infatti se questo
diario di una fanciulla, svolto episodicamente rispecchiandola fidanzata, sposa, madre felice,
sbigottita infine di fronte alla morte dello sposo ma quasi placata dal ricordo della sua
perfetta unione, è divenuto un autentico diario di sentimenti.
Senza forzarne l'ambito, neppure nello struggente recitativo dell'ultimo Lied, Schumann vi ha
conquistato una nuova intimità al canto, quasi una nuova forma lirica. Quel che forse
vagheggiava quando appunto nel '40 dichiarò insufficiente il pianoforte ai propri pensieri.
Emilia Zanetti
43 1840
Tre Lieder
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=bx3S_bDmKDc
43 n. 1 1840
1. Wenn ich ein Vöglein war'
per voce e pianoforte
Testo: canto popolare
43 n. 2 1840
2. Herbstlied
per voce e pianoforte
Testo: S. A. Mahlmann
43 n. 3 1840
3. Schön Blümelein
per voce e pianoforte
Testo: Robert Reinick
45 n. 1 1840
1. Der Schatzgräber
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=7CYiLySnq_I
Testo: Joseph Karl Benedikt von Eichendorff
45 n. 2 1840
2. Frühlingsfahrt
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=IN_ilslwsrc
Testo: Joseph Karl Benedikt von Eichendorff
45 n. 3 1840
3. Abends am Strand
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=3Q4BhdkGdEo
Testo: Heinrich Heine
Dichterliebe
Ciclo di lieder per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=sX1LTPV0QuA
https://www.youtube.com/watch?v=L-Nkm8cBLgE
https://www.youtube.com/watch?v=ctYGyuiUqlQ
In uno studio sui Lieder schumanniani, che risale al 1914, il musicologo Guido M. Gatti
traccia una comparazione pertinente fra la produzione liederistica dell'autore del Manfred e
quella non meno illuminante di Schubert. «Questo artista - osserva Gatti - sceglie una lirica e
cerca di intenderla e quasi di immedesimarsi con lo spirito del poeta: il suo è un lavoro
incessante di trasposizione della propria sensibilità personale per sostituirvi quella del lirico;
si tratta di uno sforzo negativo, nel quale il temperamento del musicista subisce delle
costrizioni dolorose. Schumann invece non rinuncia alla propria personalità: innanzitutto
perché egli sceglie quelle liriche che in quel momento rappresentano il suo stato interiore, e
poi perché egli preferisce sopra ogni cosa rivelare se stesso prima che lo spirito del poeta; di
modo che è la propria sensibilità, la propria anima sovrapposta e spesso preponderante su
quella dell'autore stesso».
Molti sono i Lieder schumanniani validi per la delicatezza del sentimento e l'esemplare
equilibrio tra valore poetico e musicale, ma indubbiamente tra i capolavori appartenenti a
questo specifico genere vanno annoverate le ventinove melodie dei Myrthen op. 25 (1840) su
poesie di Rückert, Goethe, Mosen, Burns, Heine, Byron e Moore e soprattutto la raccolta del
Frauenliebe und - leben (Vita e amore di donna) op. 42 (1840) su versi di Adalbert von
Chamisso e i sedici stupendi poemi del ciclo Dichterliebe (Amor di poeta) op. 48 sempre del
1840, ispirati da Heine e dedicati da Schumann alla celebre cantante Wilhelmine Schroeder-
Devrient. È proprio in questi esempi, dove la simbiosi tra pianoforte e canto risulta perfetta,
che il Lied schumanniano si presenta non solo come uno dei modelli di tutta la lirica vocale
da camera dell'Ottocento tedesco, ma anticipa perfino le raffinatezze e le libertà di un
Brahms e di un Wolf, il quale ultimo, come Schumann, doveva concludere la sua tormentata
esistenza in un manicomio, dopo cinque anni di completo disordine mentale.
La morbidezza struggente del canto schumanniano è presente nel Dichterliebe sin dal primo
Lied Im wunderschönen Monat Mai, qundi assume una linea più frastagliata e incisiva nel
secondo Aus meinen Tränen spriessen e procede vivace e spigliato nel taglio ritmico nel terzo
Die Rose, die Lilie. Nel quarto Lied Wenn ich in deine Augen seh' il sentimento amoroso
riacquista il suo fremito interiore e nascosto; in Ich will meine Seele tauchen si espande con
fervore di accenti l'anima appassionata di Schumann. Un procedimento a mò di corale con le
note ribattute del pianoforte si avverte nel Lied Im Rheim, im heiligen Strome, quasi
un'anticipazione del quarto tempo della Sinfonia Renana (la terza) in mi bemolle maggiore.
Stupendo per intensità e tensione espressiva è il settimo Lied Ich grolle nicht, mentre assume
un tono più mosso e irrequieto il Lied Und wüssten's die Blumen. Ricca di accenti festosi è la
narrazione delle nozze dell'amata in Das ist ein Flöten und Geigen, sottolineata specialmente
dall'accompagnamento pianistico. Intimità e delicatezza di sentimento sono racchiuse nel
Lied Hör'ich das Liedchen klagen. Di intonazione scorrevole, come una favola popolare, è il
Lied Ein Jüngling liebt ein Mädchen. Di straordinario effetto, tra modulazioni di plastica
espressività, è il successivo brano Am leuchtenden Sommermorgen. Un Lied abbastanza
triste e dall'andamento di recitativo è Ich hab'im Traum geweinet su accordi staccati del
pianoforte. Cordialmente affettuoso è Allnächtlich im Traume, mentre l'entusiasmo e lo
slancio schumanniano sono racchiusi nel Lied Aus alten Märchen winkt es. Un senso di
distacco doloroso dalla vita emerge nell'ultimo brano del ciclo Die bösen alten Lieder, in cui
la poesia di Heine trova nella musica di Schumann il suo riscontro più vero e autentico di
canto del destino dell'uomo.
Testo
1
Im wunderschönen Monat Mai,
Als alle Knospen sprangen,
Da ist in meinem Herzen
Die Liebe aufgegangen.
E se tu mi ami, piccola,
tutti i fiori ti dono,
e alla tua finestra udrai
il canto dell'usignolo
3
Die Rose, die Lilie, die Taube, die Sonne,
Die liebt' ich einst alle in Liebeswonne.
Ich lieb' sie nicht mehr, ich liebe alleine
Die Kleine, die Feine, die Reine, die Eine;
11
Ein Jüngling liebt ein Mädchen,
Die hat einen ändern erwählt;
Der andre liebt eine andre,
Und hat sich mit dieser vermählt.
12
Am leuchtenden Sommermorgen
Geh' ich im Garten herum.
Es flüstern und sprechen die Blumen,
Ich aber wandle stumm.
13
Ich hab' im Traum geweinet,
Mir träumte, du lägest im Grab.
Ich wachte auf, und die Träne
Floss noch von der Wange herab.
Io ho pianto in sogno,
sognai che nella tomba eri stesa.
Mi risvegliai e la lacrima
giù per la guancia scorreva.
Io ho pianto in sogno,
sognai che tu mi lasciavi.
Mi risvegliai e piansi ancora
a lungo, in fiotti amari.
Io ho pianto in sogno,
sognai che ancora mi ami.
Mi risvegliai e continuano
a sgorgarmi le lacrime.
14
Allnächtlich im Traume seh' ich dich,
Und sehe dich freundlich grüssen,
Und laut aufweinend stürz ich mich
Zu deinen süssen Füssen.
15
Aus alten Märchen winkt es
Hervor mit weisser Hand,
Da singt es und da klingt es
Von einem Zauberland;
16
Die alten bösen Lieder,
Die Träume bös' und arg,
Die lasst uns jetzt begraben,
Holt einen grossen Sarg.
49 1840
https://www.youtube.com/watch?v=XpcRBTzF5PQ
49 n. 1 1840
49 n. 2 1840
49 n. 3 1840
3. Die Nonne
per voce e pianoforte
Testo: Fröhlich
51 1840 - 1846
51 n. 1 1840
1. Sehnsucht
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Wwk4VAx1yrA
51 n. 2 1842
2. Volksliedchen
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=33f8PGIar1Q
51 n. 3 1841
Testo: C. Christern
51 n. 4 1846
51 n. 5 1842
5. Liebeslied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=4rz9AAKTlIA
53 1840
53 n. 1 1840
1. Blondels Lied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=GKVGr5_ro6w
Testo: J. G. Seidl
53 n. 2 1840
2. Loreley
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=EVl9bxZI8aM
Testo: W. Lorenz
53 n. 3 1840
3. Der arme Peter
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=vGMhcknNTMc
Testo (nota 1)
Il povero Pietro
57 1840
Belsatzar
Ballata per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=rdxCQ4nTwZo
https://www.youtube.com/watch?v=ZjDoXYINV34
Testo (nota 1)
Belsazar
Baldassarre
La mezzanotte già s'appressava;
a Babilonia sorda quiete regnava.
Al re avvampano le guance;
nel vino cresce l'arroganza.
1840
Ein Gedanke
per voce e pianoforte
Testo: E. Ferrand
64 1841 - 1847
64 n. 1 1847
1. Die Soldatenbraut
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=XdpBilBfSeQ
64 n. 2 1847
64 n. 3 1847
3. Tragödie
Serie di tre Lieder - in origine per coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=eCGqImpe_IY
1845
Soldatenlied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=YOdUkCCtxCI
74 1849
Spanisches Liederspiel
Ciclo di arie per una o più voci e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=GOQ1aUDHKzs
Testo: Emanuel Geibel da poeti spagnoli
77 1840 - 1850
77 n. 1 1840
2. Mein Garten
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=t9Mt2SenHBU
77 n. 3 1850
3. Geistemähe
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=1tCyHpP0ATg
Testo: F. Halm
77 n. 4 1840
4. Stiller Vorwurf
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=lJ0rMC0NDhU
77 n. 5 1850
5. Aufträge
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Zn98IoLiakc
78 1849
Vier Duette
per soprano, tenore e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=bYlEc26rL9o
78 n. 1 1849
1. Tanzlied
per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Friedrich Rückert
78 n. 2 1849
2. Er und Sie
per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Justinus Kerner
78 n. 3 1849
78 n. 4 1849
4. Wiegenlied
per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Friedrich Hebbel
1849
Sommerruh
Duetto per soprano, contralto e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=6dyZdrWdw48
79 1849
https://www.youtube.com/watch?v=IM_t8o3JLtQ&t=14s
79 n. 1 1849
1. Der Abendstem
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=4zuLED4Dnbg
Testo: August Heinrich Hoffmann von Fallersleben
79 n. 2 1849
2. Schmetterling
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=g5e_zRktbsE
79 n. 3 1849
3. Frühlingbotschaft
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=x2-UASWNMpc
79 n. 4 1849
4. Frühlingsgruss
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=_Qs3h1SA2HQ
79 n. 5 1849
5. Vom Schlaraffenland
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=cGqfR80RjP4
79 n. 6 1849
6. Sonntag
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=z8EXoY1b42w
79 n. 7 1849
https://www.youtube.com/watch?v=VfLsOnnjvgs
79 n. 8 1849
https://www.youtube.com/watch?v=k1lCsR57fFI
79 n. 9 1849
https://www.youtube.com/watch?v=cMJEM0ov3nQ
79 n. 10 1849
10. Mailied
per due voci e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=UM36sXhNlpk
79 n. 11 1849
11. Käuzlein
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Zaxlj8zsWmE
79 n. 12 1849
https://www.youtube.com/watch?v=7XIvU082JOM
79 n. 13 1849
https://www.youtube.com/watch?v=-ICpTWg0Z78
14. Marienwürmchen
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=a7q02HyThHc
MARIENWUERMCHEN
COCCINELLA
79 n. 15 1849
https://www.youtube.com/watch?v=MRYsZfx_DWA
79 n. 16 1849
https://www.youtube.com/watch?v=tIylNzhdgTI
79 n. 17 1849
17. Weihnachtslied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=9P6RvmfXB2w
Testo: tradotto da Hans Christian Andersen
79 n. 18 1849
https://www.youtube.com/watch?v=5iAYmwPyXQw
79 n. 19 1849
19. Frühlingslied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=MQ9lbMHYJ9M
79 n. 20 1849
20. Frühlingsankunft
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=yvGBI9pyHWI
79 n. 21 1849
https://www.youtube.com/watch?v=blUTanKbfYs
79 n. 22 1849
22. Kinderwacht
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=p7RCfpirBC8
79 n. 23 1849
https://www.youtube.com/watch?v=Yi1dkT_RVZI
79 n. 24 1849
24. Er ist's
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Wdm4GDgIzGw
79 n. 25 1849
25. Spinnelied
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Z6L0r7elUIg
79 n. 26 1849
https://www.youtube.com/watch?v=aEB_dpKcHgo
79 n. 27 1849
27. Schneeglöckchen
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Df1mvXah6kg
79 n. 28 1849
https://www.youtube.com/watch?v=BDBgDCszYaU
79 n. 29 1849
29. Mignon
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=X7-xBzl2gAA
Drei Gesänge
per voce e pianoforte
83 n. 1 1850
1. Resignation
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=V9qy7z97LPk
Testo: J. Buddeus
83 n. 2 1850
https://www.youtube.com/watch?v=NlhtA6VexH4
83 n. 3 1850
https://www.youtube.com/watch?v=byWhf-Ei12Y
87 1850
Der Handschuh
Ballata per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=8-aCxM3b9pg
89 1850
Sechs Gesänge
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=bRKPHdLH0Ik
90 1850
Sechs Gedichte
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=3CgBJaRrduI
95 1849
Drei Gesänge
per voce e pianoforte o arpa
https://www.youtube.com/watch?v=VeYcHW9kdDM
96 1850
98a 1849
https://www.youtube.com/watch?v=iDM9Ag9OgqA
101 1849
Minnespiel
per una o più voci e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=99MB3ND9KlM
https://www.youtube.com/watch?
v=99MB3ND9KlM&list=RD99MB3ND9KlM&start_radio=1
103 1851
Mädchenlieder
per due voci femminili e pianoforte
Testo: Elisabeth Kulmann
104 1851
Sieben Lieder
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=1QnxTMimrNo
Testo: Elisabeth Kulmann
106 1849
Schön Hedwig
Ballata per voce recitante e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=SMVLBzwzRFU
Sechs Gesänge
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=yeGdNtZ-Aaw
1. Herzeleid
per voce e pianoforte
Testo: Titus Ullrich
2. Die Fensterscheibe
per voce e pianoforte
Testo: Titus Ullrich
3. Der Gärtner
per voce e pianoforte
Testo: Eduard Mörike
4. Die Spinnerin
per voce e pianoforte
Testo: Paul Heyse
5. Im Wald
per voce e pianoforte
Testo: Wolfgang Müller
6. Abendlied
per voce e pianoforte
Testo: G. Kinkel
114 1853
Drei Lieder
per tre voci femminili e pianoforte
114 n. 1 1853
1. Nänie
per tre voci femminili e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=htQ31o5xD2A
Testo: L. Bechstein
114 n. 2 1853
2. Triolett
per tre voci femminili e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=Kho9KQ8pVB0
114 n. 3 1853
3. Spruch
per tre voci femminili e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=9YOkzbcaR_I
117 1851
Vier Husarenlieder
per baritono e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=DHxM6VaWCGQ
119 1851
Drei Gedichte
per voce e pianoforte
Testo: S. Pfarrius
Zwei Balladen
Melologhi per voce recitante e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=x8zsEnS33G0
127 n. 1 1840
1. Sängers Trost
per voce e pianoforte
Testo: Justinus Kerner
127 n. 2 1840
2. Dein Angesicht
per voce e pianoforte
Testo: Heinrich Heine
127 n. 3 1840
127 n. 4 1850
4. Mein altes ross
per voce e pianoforte
Testo: M. Strachwitz
127 n. 5 1840
1851
Frühlingsgrüsse
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=SGRpK2q8P0U
135 1852
https://www.youtube.com/watch?v=3PZMy9CRQOQ
138 1849
Spanische Liebeslieder
Ciclo di arie per una o più voci e oianoforte a quattro mani
https://www.youtube.com/watch?v=I1yM7VVGg2c
https://www.youtube.com/watch?v=X6hyMNdeYyU
https://www.youtube.com/watch?v=X2hZWyoTL9I
Vier Gesänge
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=jYe8pkmNa-w
142 n. 1 1840
1. Trost im Gesang
per voce e pianoforte
Testo: Justinus Kerner
Trost im Gesang - Durchaus leise, doch nicht langsam (mi bemolle maggiore)
142 n. 2 1840
142 n. 3 1852
3. Mädchen-Schwermut
per voce e pianoforte
Testo: L. Bernhard
142 n. 4 1840
Mein Wagen rollet langsam - Nach den Sinn des Gedichtes (si bemolle maggiore)
Testo (nota 1)
1852
1853
Canoni
1832
https://www.youtube.com/watch?v=JgsRQmfHeWk
Organico: pianoforte
Composizione: 1832
Edizione: Kahnt, Lipsia, 1858
1846
Hirtengesang
Doppio canone
Testo: Annette von Droste-Hülshoff
Organico: 2 soprani, 2 tenori
Composizione: 1846
Edizione: Breitkopf & Härte!, Lipsia, 1930
Opere teatrali
81 1847 - 1848
Genoveva
https://www.flaminioonline.it/Guide/Schumann/Schumann-Genoveva81-testo.html
https://www.youtube.com/watch?v=YzmFe3Pxrfs
https://www.youtube.com/watch?v=42MHzaG-ktc
Ruoli:
Hidulfus (baritono)
Sigfrido (baritono)
Genoveva (soprano)
Golo (tenore)
Margherita (contralto)
Drago (basso)
Baldassarre (baritono
Gaspare (basso)
Genoveffa non è un personaggio creato solamente dalla fantasia dei poeti e particolarmente
di quelli romantici o preromantici. Ha una sua storia quanto mai lunga e varia che
meriterebbe forse la pena di esser più ampiamente discussa e conosciuta. Innanzi tutto
occorre evitare una confusione, che si compie ancora di frequente: in Francia viene ancora
esaltata Santa Genoveffa, detta di Parigi, realmente vissuta, a quanto pare, nel quinto secolo
dopo Cristo, raffigurata in immagini e statue e recentemente cantata anche dal poeta cattolico
Charles Péguy (La Tapisserie de Sainte Geneviève et de Jeanne d'Arc, Parigi 1913). Essa
impose una eroica resistenza quando Attila devastava la Francia e con una serie di miracoli
provvide al vettovagliamento di Parigi in successivi tempi difficili. Per quanto le fonti
agiografiche che ne cantano le gesta siano molte, le sue opere rimangono legate a fatti
realmente avvenuti anche se collocati in una luce di leggenda. Ma, come si può immaginare,
questa pura figura di Santa, che ha qualcosa di Caterina da Siena e insieme di Giovanna
d'Arco, non va confusa con Genoveffa di Brabanie, personaggio interamente affidato alla
tradizione poetica del tardo Medioevo. Un punto di contatto però tra le due donne c'è - e
forse ha giustificato la scelta del nome -: Santa Genoveffa, come Genoveffa di Brabante, si
trova a un certo punto calunniata, ingiuriata, accusata per la ostinazione con cui difende la
sua idea, proprio come la nobildonna, che, per mantener fede al marito lontano, subisce le più
atroci angherie dal suo vendicativo innamorato. E come la Santa vien salvata quasi da un
miracolo, cosi Genoveffa di Brabante viene infine riabilitata, dopoché il marito ingannato
l'ha condannata a morte e dopo che la sentenza, che doveva, aver luogo in un punto nascosto
di una foresta, non è stata, eseguita, perché gli assassini si sono impietositi (o un servo fedele
li ha allontanati con la forza o con un grosso compenso). Ma all'infuori di questo punto
comune sarà bene dimenticare la Santa protettrice di Parigi, per venire unicamente alla
gentildonna, insidiata dal più fedele amico del marito. La situazione di Genoveffa di
Brabante ricorda quella di altre eroine chiamate a esser protagoniste di storie d'amore, da
Isotta a Francesca: ma ha un colorito particolare; la fantasìa dei cantori medioevali, su su fino
a quella dei poeti del Sei e Settecento rimase prevalentemente colpita dalla scena del bosco, o
meglio dalla vita che la nobildonna è costretta a condurre, insieme al figlioletto, di cui il
marito, Sigfrido, conte palatino, ignora perfino l'esistenza, tra le infinite insidie della foresta,
in una grotta più che modesta, e nella continua unsìa dì venir scoperta. Le sue vesti consunte,
i lunghi capelli, che le cadono ai piedi e costituiscono ancora un segno della sua regale
bellezza, la renderebbero dopo anni di lontananza irriconoscibile e la potrebbero presentare
quasi come una penitente di amico stampo, se non ci fosse la presenza del figlio, che non a
caso viene chiamato concordemente dai poeti tedeschi Schmerzenreich (cioè letteralmente:
ricco di dolori). E compagna della strana eremita è una cerva, che ha allattato il bambino nei
primi tempi e che rappresenta il miracoloso punto di contatto col mondo perduto, in quanto,
dopo alcuni anni, Sigfrido, insieme a Colo, e altri cavalieri, durante una battuta di caccia in
grande stile, inseguendo la povera bestia ferita, giungono al rifugio di Genoveffa e tutti,
stupiti, commossi e pentiti, riconoscono nella donna che improvvisatnenie si presenta ai loro
occhi la castellana già creduta morta. Sigfrido si getta ai suoi piedi e implora perdono mentre
il colpevole Golo, smentito clamorosamente, vien condannalo a una morte atroce: quattro
cavalli (o quattro tori) che vanno in direzioni differenti lo squartano.
Se Golo, nell'interpretazione romantica, viene a passare in primo piano, vuol dire dunque che
Genoveffa è diminuita in qualche modo? Si può rispondere, senza timore, negativamente.
All'immagine della nobildonna, dai capelli fluenti, consumata dagli stenti e dall'ansia della
solitaria vita nella foresta, si sostituisce ora la castellana imperiosa e insieme umile dinanzi a
Dio, fedele sino alla morte, incapace di compromessi, anche del più modesto, generosa con
tutti ma implacabile contro chi attenta al suo onore. Quante eroine romantiche non rivelano
qualche tratto in comune con lei! Basti pensare a Kätohen von Heilbronn di Kleist, alla stessa
Agnes Bernauer di Hebbel e a cento altre per trovare figure che in qualche modo la
ricordano. Gli è che la leggenda faceva già, attraverso la profonda fedeltà della donna verso
l'amato, di lei un personaggio del mondo romantico, in certo senso ante litteram. Era quindi
perfettamente naturale che i poeti tedeschi, verso la fine del Settecento e durante la prima
metà dell'Ottocento sviluppassero questo motivo, che non era stato svolto ancora, ai loro
occhi, con quella ampiezza che meritava e che d'altra parte non escludeva affatto l'altro -
della vita nascosta nella foresta - e in certo senso anzi lo completava, lo metteva in luce più
chiara. Se Genoveffa è entrata ormai nel novero di quelle figure che, come Orlando, Armida,
Tristano e, da un mondo ancor più lontano, Orfeo, Prometeo, Elettra, i secoli si tramandano,
senza lasciarli mai scomparire completamente vuol dire che in lei sono racchiusi diversi
germi di vita, e ogni tempo - forse anche il nostro - può sviluppare quello che più risponde
alle sue esigenze, ai suoi gusti, in modo da vedersi quasi specchiato in lei come in un
simbolo.
LA «GENOVEFFA» DI SCHUMANN
Può forse giungere nuovo a qualche conoscitore dell'opera pianistica e dei Lieder di
Schumann, ma è ormai accertato che sin dall 1830 l'autore del Carnaval pensava a un'opera.
Nel 1841 scriveva a un amico: «Sa qual''è la mia preghiera d'artista, al mattino e alla sera?
Un'opera tedesca». E dopo aver terminato Il Paradiso e la Peri, specie di oratorio profano con
riferimenti però religiosi, fissava nel diario questa affermazione: «Il prossimo lavoro sarà
un'opera... ne sono tutto entusiasmato». E per la mente gli passarono diversi argomenti, tutti
molto elevati: dopo quelli derivati dall'immancabile Shakespeare (che figura in testa con un
Amleto) si nota tra l'altro con qualche stupore nella lista un Lohengrin, un Canto dei
Nibelunghi, perfino una specie di Tannhäuser: temi, come si vede cari a un «vicin suo
grande», a Riccardo Wagner. Nella primavera del 1847 gli capitò tra le mani la Genoveva di
Hebbel e subito Schumann sentì di aver trovato il testo che gli occorreva. S'era già provato
nel genere teatrale con alcune musiche di scena scritte per il Faust goethiano e ardeva dal
desiderio di dare al teatro tedesco così scarso di un repertorio musicale proprio, un'opera
valida e duratura. Incaricò un amico, il pittore poeta Robert Reinick della stesura del testo ma
presto incominciarono i guai.
A molti verrà in mente che il musicista morì di una malattia mentale - ma sarebbe fuori luogo
pensare che già in questo episodio essa si manifestasse. Occorre, conoscere il carattere chiuso
di certi nordici per spiegarsi come una scena di questo genere sia potuta avvenire e
soprattutto sia potuta restare - dall'una e dall'altra parte - senza conseguenze: si hanno infatti
testimonianze sicure della reciproca stima che i due artisti conservarono intatta anche dopo
questo strano incontro. Inoltre, da parte di Schumann un certo ritegno può spiegarsi col fatto
che egli aveva stabilito, forse per necessità melodrammatiche di alternare al testo di Hebbel,
più o meno rielaborato, interi brani di Tieck, che nel 1799 aveva dato, come s'è già visto, il
primo impulso a una elaborazione «romantica» dell'antica leggenda.
Non contento di ciò nell'ultimo atto introdusse perfino una poesia di Heine, cambiandone il
titolo (da Ein Weib = Una donna divenne un Gaunerleid = Canto di malandrini), e perfino il
testo, per poter ridurre le quattro strofe a due sole. Il libretto è dunque un mosaico, con
elaborazioni poetiche tratte da tre scrittori, sostanzialmente diversi e neppure fusi da una sola
mano, che occorrerebbe aver sotto gli occhi il manoscritto originale per vedere quanto, del
testo, è ancora di Reinick e quanto di Schumann. E' comunque sicuro che mentre il primo
aveva cercato dì dare una notevole evidenza agli elementi sostanziali della leggenda - quali la
cerva, la vita solitaria di Genoveffa col bambino nel bosco - Schumann, forse per restare
fedele il più possibile allo spirito del dramma hebbeliano, o forse per eliminare gli elementi
«pittoreschi» e viene voglia di dire quasi «impressionistici» della scena della foresta, ridusse
tutto non all'essenziale, ma ai minimi termini danneggiando così il ritmo logico della
tragedia. Mettendo insieme Hebbel con Tieck non si accorse di aver combinato un guaio che
la musica difficilmente avrebbe potuto rimediare. Il vero protagonista del dramma
hebbeliano non è Genoveffa, ma Golo, l'innamoralo respinto che, pur portando a
compimento, almeno intenzionalmente il suo delitto, è tormentato continuamente dal rimorso
e quasi attende la punizione con un senso, diremmo, di sollievo. Hebbel anzi, portando
questo impulso agli estremi, ci mostra come Golo alla fine del dramma chieda d'esser
abbandonato nella foresta dopo essersi, con un pugnale, di sua mano, cavato ambedue gli
occhi. Nella Genoveffa schumanniana invece, dopo aver dato incarico a due manigoldi di
compier l'opera che a lui non riesce - quella di uccidere la nobildonna - egli si allontana con
un discorso misterioso e non compare più in scena. Manca così al protagonista la sua
evidenza drammatica; e la situazione è peggiorata anche da una trovata, lì per lì forse
efficace, ma che svisa completamente il carattere di Golo. Genoveffa insidiata da lui, dopo
aver tentato tutti i mezzi per abbandonarlo, lo chiama «vile bastardo» e questa ingiuria
suscita in Golo un tale risentimento da vincere anche, sia pur tra continui dubbi, l'amore. Il
sottile giuoco psicologico intessuto da Hebbel cade così, trasformando Golo da eroe
romantico, in personaggio melodrammatico, da cui ci si aspetta da un momento all'altro che
dica, come qualche nostra cara conoscenza ottocentesca «Vendetta avrò» oppure «Vendetta,
tremenda vendetta». Ci sono poi altre incoerenze: Sigfrido, per esempio, pronuncia la
condanna a morte della sposa, prima ancora di aver consultato la maga e lo specchio
incantato. Questa scena che è il nucleo stesso di tutto il terzo atto vien a perdere così la sua
giustificazione drammatica, e, forse per questo, Riccardo Wagner, che in fatto di senso
tragico ne possedeva certo più di Schumann, lo dichiarò senza ambagi «infelicemente
insipido» e con questo complimento invitava l'autore a modificarlo. Ma il creatore degli
Studi sinfonici se n'ebbe a male, sospettando che Wagner gli volesse sciupare l'effetto delle
apparizioni magiche e, per quanto dichiarasse più volte di aver molta stima di lui come poeta
e come autore drammatico, non gli dette retta. Il creatore della Tetralogia lo ripagò di ugual
moneta quando in Mein Leben dichiarò che, da parte sua, la consuetudine con Schumann non
gli offrì nessuno «spunto vero e proprio» e che in fondo anche questi era inaccessibile a
influssi che venissero dall'esterno, tanto che, aggiunge in tono sottilmente malizioso Wagner,
«il mio esempio gli era servito solo esteriormente, a riconoscer cioè giusto di scriversi il testo
di un'opera da sé» - e l'esempio a cui qui si accenna è la partitura del Tannhäuser che
Schumann conobbe e, almeno in parte, ammirò. Ma in questa critica del testo non bisogna
andare troppo oltre; né è giusto attaccare l'unica opera dell'autore di Carnaval partendo dalle
incongruenze del libretto. Non saremo davvero noi italiani a poter lanciare la prima pietra
contro questa Genoveffa con tanti capolavori musicali scritti, in tre secoli almeno, sopra una
trama scenica - per non ricordare i versi, le strofette, le canzonette - che non si potrebbe certo
proporre a modello di coerenza drammatica.
Resta da vedere la parte che questa opera di Schumann ha e nell'evoluzione del compositore
e nella storia della musica, in generale, e di quella tedesca in particolare. Su questo punto
altrettanto severe sono state le riserve poste dalla critica. Schumann, agli occhi di qualcuno,
sarebbe solo un lirico, che stenta a muoversi nel mondo del melodramma e, dopo qualche
tentativo fatto per convincersi di non sapersi orientare nel teatro lirico, torna alle forme che
più gli sono familiari. Invano si cercherebbe nelle poche prove melodrammatiche ch'egli ci
ha lasciato - e di cui Genoveffa è la più impegnativa - quella contrapposizione drammatica
operata appunto attraverso la musica, che costituirebbe il nucleo vitale dell'opera di teatro. Se
anche queste obbiezioni non mancano completamente di qualche giustificazione, a una
valutazione obbiettiva esse risultano per lo meno esagerate. Intanto non è vero che dal
melodramma - nelle sue varie forme - Schumann distogliesse la sua attenzione: prova ne sia
quel Manfredi (sul testo di Byron) che ancor oggi s'impone all'attenzione e all'ammirazione
di molti ascoltatori, forse non in Italia, ma almeno in Germania e all'estero. Inoltre sopra un
punto positivo la critica è concorde: l'Ouverture della Genoveffa è una pagina sinfonica
degna in tutto di un grande maestro. Nello spunto iniziale, in cui, sul pianissimo
dell'orchestra i violini accennano come un lirico lamento, si presenta subito, prima con la
voce dei violoncelli, poi con quella delle viole e dei fagotti un motivo breve, scattante,
torbido che si riaffaccia spesso nell'opera quando compare Golo o di lui si parla, tanto che
qualche critico l'ha riconosciuto come un tema legato a questo personaggio oppure al
principio dell'odio, che domina il torbido innamorato di Genoveffa. Ma si ha il diritto di
parlare qui di qualcosa come un leit motiv, un motivo conduttore wagneriano?
Evidentemente no, ma mi pare profondamente interessante notare come l'identificazione di
una cellula musicale con un personaggio, o almeno con un dato sentimento di un protagonista
non fosse estraneo a Schumann, come del resto non lo era stato, sia pur in senso più lato, ad
altri musicisti prima di lui. Già da questi elementi che l'Ouverture offre, ma che hanno piena
evidenza solo nel quadro di tutta l'opera si può intravedere quale sia l'importanza di
Genoveffa: essa si propone sempre di più accanto alle opere di un Weber come un anello di
congiunzione tra il vecchio Singspiel tedesco e il nuovo dramma wagneriano. La
concitazione che regna nell'Ouverture dopo il drammatico inizio si irradia per tutta l'opera e
non può, in alcuni momenti non imporsi all'attenzione di un ascoltatore non prevenuto, a
qualunque epoca egli appartenga. Forse potremo venir tacciati di troppo zelo se tentiamo di
porre l'accento sugli elementi positivi - anche dal punto di vista del dramma musicale - di
questa Genoveffa schumanniana. Ma le nostre osservazioni vogliono piuttosto proporre un
giudizio più equilibrato sopra un'opera che, comunque, è uscita dalla penna di un grande
musicista. Non sfuggono a nessun occhio attento le pagine prettamente liriche o liederistiche
dello spartito, come il canto di Golo («Pace, scendi nel mio petto») nel primo atto, la canzone
a due nel secondo («Se fossi un augelletto»), le dolci melodie che accompagnano le
apparizioni suggerite dallo specchio magico nel terzo; né si può fare a meno di notare nella
partitura certi passi che sanno troppo di accompagnamento pianistico e in cui il giuoco
timbrico degli strumenti è naturalmente trascurato. Ma questo è solo uno degli aspetti di
Genoveffa, che, se nella parabola ascendente del melodramma romantico poteva nuocere alla
sua fortuna e diffusione, oggi forse; dopo tanto imperversare d'intonazioni drammatiche, che
escono qualche volta dai limiti segnati dalla musica pura, come per esempio, il coro parlato,
si è venuta creando una disposizione di spirito, una Stimmung in cui anche le effusioni
liriche, in un melodramma, sono accettate con minore ostilità di un tempo. Né va dimenticato
che la composizione di Genoveffa terminata in partitura esattamente il 4 agosto 1849, era
stata preceduta da un'esperienza notevole, compiuta da Schumann nelle forme corali di
ampio respiro - e che di questa esperienza egli seppe ampiamente valersi. Si badi per
esempio al coro iniziale, che anche se intonato da cavalieri, sacerdoti e popolani del
Medioevo ha l'andamento e il profilo del corale protestante. E' un canto solenne, pieno,
robusto che non ha nulla di particolarmente romantico, né di quelle effusioni commosse e
personali che siamo abituati a ritrovare nell'autore degli Studi Sinfonici. Evidentemente quel
canto piaceva anche all'autore se con una felice trovata egli lo ha ripreso nell'ultimo atto
quando Genoveffa e Sigfrido, ricongiunti dopo le prove più dure rivolgono ancora una volta
il loro animo a Dio. E qui s'era presentata alla fantasia di Schumann una idea veramente
geniale: sul canto di ringraziamento dei cacciatori e di Sigfrido, che avevano trovato nel
bosco Genoveffa - canto che ha una sua potenza musicale evidentissima - s'innesta a un certo
punto il canto religioso intonato nella chiesa e già noto attraverso la prima scena del primo
atto. La chiusa si presentava qui come naturale e infatti Schumann aveva pensato di
terminare con questo solenne richiamo all'inizio la sua opera, almeno in un primo tempo. Ma
nel dicembre del 1848, mentre era ancora deciso a non far parlare un'altra volta il vescovo
Hidulfus, già pensava a un ampliamento del finale, che permettesse a tutto il coro di
comparire in scena e d'inneggiare a Genoveffa e Sigfrido. Drammaticamente e anche
musicalmente la soluzione più spontanea era la migliore e il coro di chiusura par messo lì,
come ha osservato spiritosamenle un critico tedesco, «per assicurare gli ascoltatori che i due
sposi sono veramente giunti al loro castello». Ma, come dianzi, anche qui un difetto non deve
cancellare la leale bellezza di una pagina musicale veramente alta. E questi momenti, che
potremmo chiamare epici e altri ancora che capitano nello spartito, e che si possono dire
senz'altro drammatici, devono imporre il massimo rispetto verso questa opera di Schumann,
maltrattata sinora forse oltre ì limiti del giusto. Gli è che le creazioni degli autentici musicisti
vanno avvicinate senza preconcetti, e neppure con quelle idee, che per necessità di metodo e
di sistemazione, la critica impone a volte come dogmi. Quando la si consideri con animo non
prevenuto anche Genoveffa potrà rivelare a chiunque pagine di alta poesia musicale.
***
Rodolfo Paoli
Musiche di scena
115 1848 - 1851
Manfred
Poema drammatico in tre parti per soli, coro e orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=A74nG-Aq07k
https://www.youtube.com/watch?v=SRVQMvphvXQ
https://www.youtube.com/watch?v=BIZu45Wt6hY
Personaggi:
Organico: soprano, contralto, tenore, 5 bassi, 9 voci recitanti, coro misto, 2 flauti, 2 oboi,
corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani,
organo, archi
Composizione: Dresda, 19 ottobre 1848 - 1851
Prima esecuzione: Weimar, Hoftheater, 13 giugno 1852
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1853
Schumann compose le musiche per il Manfred di Byron nel 1848, l'anno della sua opera
Genoveva e di molte delle Szenen aus Goethes Faust. Sembra quasi che ci sia stato un ordine
prestabilito, o un logico progetto nella vita artistica di Schumann, anche se la sua esistenza
era insidiata dalla fragilità nervosa e poi, col tempo, da un disordine psichico di esaltazioni e
di sempre più gravi disperazioni che gli consumarono la mente e il corpo e l'uccisero. E forse
già, nell'epoca felice e produttiva, dal 1830 al 1850 circa, la ripartizione in anni diversi dei
lavori dello stesso genere musicale era segno che l'esteriore sicurezza di decisioni
nascondeva un'ansiosa prudenza nel cammino verso le forme estetiche complesse. Certo, le
proporzioni estrinseche dell'opera d'arte e la complessità della sua organizzazione espressiva
non accrescono solo per se stesse la sostanza artistica, sì che da quella sua prudenza il genio
di Schumann, il suo acuto pensiero, il vigore morale (in lui più austero e deciso che nei suoi
coetanei e grandi amici, Liszt, Chopin, l'amatissimo Mendelssohn: del difficile rapporto con
Wagner, che suo amico non fu, diremo qualche cosa più avanti) non furono mai debilitati, ed
egli creò, anno per anno, in ogni genere un suo capolavoro o molti capolavori: per il
pianoforte dal 1830 al 1839, per la voce umana col pianoforte nel prodigioso anno 1840
(centotrentotto Lieder!), per l'orchestra nel 1841 (la Prima sinfonia in si bemolle maggiore e
la sinfonia in re minore, che, pubblicata dieci anni dopo, sarà la Quarta), per i piccoli
complessi da camera nel 1842. Infine, nel 1843 ci fu l'impegno maggiore fino a quel
momento della vita, il grande oratorio profano Das Paradies und die Peri: Schumann l'aveva,
dapprima, concepita per il teatro ma, come già in passato, scelse una sosta intermedia prima
del passo verso la responsabilità più matura, anzi per lui la definitiva, cioè l'opera tedesca.
In un'esposizione così secca, l'elenco cronologico è poco più che uno scheletro di biografia,
ma dimostra ciò che si è già detto: che Schumann mise gradualmente alla prova le sue
energie creative per realizzare la grande forma della musica drammatica e vocale-corale. Che
essa corrispondesse o no alla natura primaria del suo genio, è un dubbio che Schumann prima
evitò e poi, dopo l'insuccesso della Genoveva, agitò dolorosamente dentro di sé tra sconforti,
speranze e nuovi tentativi non scenici.
Con un eccesso di rigore Schumann giovane aveva preso partito per la musica pura
condannando ogni tipo di commistione tra melodia e parola. Ma egli era un artista coltissimo,
saturo di poesia e di emozioni poetiche: per quanto tempo i versi amati e venerati di Goethe,
Schiller, Heine, Eichendorff, Chamisso potevano restare estranei alla sua musica? Come si è
visto, quel tempo fu breve; e i Lieder del 1840 mutarono del tutto la disposizione di
Schumann verso la parola cantata e verso l'espressione drammatica in musica. Questo lo
sollecitò ad accorgersi dell'urgenza della questione, nazionale più che solo culturale,
dell'opera tedesca (è appunto dell'autunno 1842 la sua celebre frase, riportata in tutte le
biografie: «Sa Ella qual è la mia preghiera di artista, al mattino e alla sera? Si chiama "opera
tedesca" e qui sta il nostro lavoro»). Era in quel decennio il problema centrale per i musicisti
e, in genere, per gli intelletti in Germania, ma un problema tale che non trovava soluzione
nelle singole capacità creative, quand'anche di un genio e che Schumann non potè risolvere,
perché egli era istintivamente ostile a ogni eloquenza e dunque anche a quella che
all'espressione teatrale è indispensabile. Negli anni in cui il sinfonismo tedesco aveva
raggiunto il punto alto della sua evoluzione, nella tecnica strumentale e per la complessità
espressiva, l'opera in Germania non era più una questione qualità di musicale, bensì di
maturità drammaturgica e qundi di dinamica scenica e di eloquenza vocale, adeguate
all'evoluzione del linguaggio strumentale. Lo comprese Wagner, al quale gli studi e le
riflessioni chiarirono fino in fondo quelle difficoltà e i mezzi di superarle. Così, per esempio,
quando a Dresda nel 1847 Wagner lesse il libretto che Schumann si era scritto per la
Genoveva, vi colse immediatamente i difetti della disorganizzazione e della staticità, e
propose al collega di collaborare per migliorarlo. Schumann, irritato, respinse l'offerta, e
continuò per la sua strada, sbagliando. Schumann e Wagner non si intesero né in
quell'occasione né poi; anche se la figura di Wagner, già allora così decisa e autorevole,
contribuì a tener vive in Schumann l'attesa e l'ambizione emulativa di un risultato
drammatico soddisfacente. Così si spiegano l'interesse e, con esso, l'ingenerosa diffidenza
che Schumann dimostrò per il Fliegende Holländer e per il Tannhauser.
Per i suoi oratori e per le ballate narrative e drammatiche Schumann aveva adoperato testi
della grande poesia tedesca, primi quelli di Goethe, che forniscono al lirismo musicale un
impianto ideale in sé solido e un dinamismo di figure e sentimenti; oppure si era apprestato
un tema fiabesco che da ogni dinamica poteva prescindere.
Ma perché scelse il Manfred di Byron, che non è né un poema, né un dramma, ne una favola,
o è tutte queste cose mescolate e indistinte? È sicuro che questo testo non ha in sé, e non può
prestare alla musica, un energico dispositivo di tipi, di eventi e di sviluppi, anzi esso ci
appare oggi così enfatico, bizzarro, svagato da lasciarci interdetti. Perché, ripetiamo,
Schumann lo scelse? Né fu il solo, allora e poi, a sentirsene preso. Le risposte alla nostra
perplessità di oggi per la fama ottocentesca di Byron sarebbero molte e varie, delle quali due
sono principali: l'autorità di Goethe, almeno per i paesi di lingua tedesca ma non solo per
quelli, e la leggenda biografica del poeta eroe.
Sì, George Gordon sesto Lord di Byron, fu una leggenda, in vita e dopo la sua morte
prematura da combattente per la libertà dei Greci. L'ideale romantico e decadente della vita
estetica ed eroica egli lo incarnò per primo in Europa e con più audace provocazione di tutti
coloro che per un secolo almeno lo imitarono. Byron era tutto e poteva fare tutto: era bello (a
F. D. Guerrazzi, che non era davvero generoso, sembrò «un dio greco»), era atletico, era
coraggioso, produceva poesie con torrenziale fecondità, girava il mondo, incantava i salotti,
combatteva, seduceva in amori leciti e proibiti (questi, naturalmente, i più ostentati). Egli era
tutti i suoi dannati eroi, frenetici e magniloquenti, e quegli eroi erano lui, sì che l'uno e gli
altri si confusero nell'immaginazione dei lettori d'Europa, anche illustrissimi, tra i quali
Goethe, Leopardi, Nietzsche. I documenti dell'interesse e dell'ammirazione, in verità non
incondizionata, di Goethe per Byron sono numerosi nei diari, nelle lettere, nei colloqui (si
vedano, recenti, E. M. Butler, Byron and Goethe: Analysis of a Passion, London 1956 e Lord
Byron and His Contemporaries, a cura di Ch. E. Robinson, London e Toronto 1982): e forse
lusingato di aver trovato nel Wunderkind, nel fanciullo prodigio, come egli chiamò Byron, un
suo seguace e imitatore, Goethe espresse ammirazione per il Manfred, non solo nella celebre
recensione del 1820 in «Kunst und Altertum» (poi nei Samtliche Werke, ed. in 15 volumi,
vol. XIII, pp. 640-2, Stuttgart 1874: «La tragedia Manfred di Byron è per me un fenomeno
meraviglioso che mi tocca molto da vicino...» e via su questo tono), ma anche in altre
occasioni; e ne tradusse pagine (i versi «We are the fools of Time and Terror» nella
recensione citata, in cui annota: «II monologo di Amleto qui ci sembra migliorato»; in
seguito, tradusse anche l'incontro di Manfred e Astarte e il soliloquio iniziale; e in Germania
circolarono presto versioni in tedesco delle opere complete di Byron, una pubblicata a Lipsia
da A. Wagner già nel 1819 e una, a cura di un certo Adrian, pseudonimo, pubblicata a
Francoforte nel 1837: ma Schumann si servì, per il Manfred, della traduzione di K. A.
Suckow, un poco accorciata e mutata nella sequenza di due scene nel III atto).
Ciò che è duraturo di Byron e tuttora degno di attenzione e di ammirazione è il suo talento
satirico, brillante e acre, senza pose né esagerazioni, come è nel bel poema Don Juan. Il resto,
il byronismo vero, fu moda, anche se vi parteciparono spiriti incomparabilmente superiori a
Byron (e come ogni moda di gusto, stile e di condotta sociale, quando è passato il suo tempo,
essa sembra ai posteri inconsistente e anche ridicola). Sì che non è meraviglia che Schumann,
ragazzo di 18 anni, si sia esaltato piangendo notti intere sulle pagine del Manfred, e dieci
anni dopo, anche confortato dall'autorità di Goethe, sia tornato su quelle pagine, quando
inseguiva l'ideale del teatro musicale tedesco. Egli sarà stato affascinato anche dagli spiriti
satanici che circolano per tutto il poema, perché era attirato e turbato dall'occultismo e teneva
sedute spiritiche, specialmente dal 1847, dopo la morte di Mendelssohn, con la cui anima egli
continuò ad incontrarsi: il Manfred lo concluse esattamente un anno dopo quella perdita per
lui irreparabile! E dalla serie uniforme di soliloqui, incubi, invettive che è il testo letterario di
Byron, egli creò, con la musica, un esperimento di teatro, un monodramma fantastico e
spettrale, con un personaggio vero e con i suoi dolorosi affetti. Non è un'opera, perché
Schumann fu fin troppo rispettoso dei versi che egli intese solo accompagnare e illustrare e
perché il protagonista non è creato nel canto; ma è quanto di più vicino egli abbia creato al
tipo di dramma in musica, per la forza crescente del pathos, che ha un'ascesa di natura
drammatica-teatrale, per la giusta intensità emotiva della scena centrale (l'apparizione di
Astarte, di sublime lirismo, anche se concentrato in pochi minuti di musica), infine per la
severità della catarsi finale, che manca nell'originale letterario e fu inventata da Schumann.
Infatti, già la magnifica ouverture, tutta dedicata a lui, ce lo presenta in un ritratto ideale
indimenticabile. Questo brano, meritamente celebre, è un vero poema sinfonico, un
Charakterbild lisztiano (cioè, la descrizione della psicologia di un personaggio, della sua
fisionomia interiore ed esteriore) superiore, per concisione tematica e solidità costruttiva, a
qualsiasi poema Liszt abbia scritto. Si inizia con tre rapidi accordi in contrattempo, che sono
un gesto scenico, un passo affannato e deciso di qualcuno verso di noi: poi una mestissima
melodia cromatica ascendente e discendente dei legni e dei violini secondi ci addita il suo
aspetto, ci esprime i suoi pensieri desolati. Da quella melodia si enuclea il primo tema
sinfonico, a disegno circolare e convulso, il tema dell'immagine-ricordo della sorella amante,
Astarte. Dopo un'ampia e drammatica elaborazione del tema di Astarte è introdotto il
secondo terna, sviluppato dal primo in un sottile sistema di affinità, e verrebbe da dire:
consanguineità, fisionomica, negli intervalli e nella configurazione a circolo. Esso è un'idea,
o un moto dell'anima che non sa, non può uscire fuori di sé e che si contrae ossessivamente
in se stesso. E il tema di Manfred. Nel dinamismo drammatico di grande respiro e
complessità i due temi (anzi tre, perché a Manfred è riferito anche un terzo breve tema, una
cellula tematica che è poco più di un brivido) si confrontano tra loro e soprattutto con due
motivi solenni, enunciati dagli ottoni, che esprimono il soprannaturale. Nella musica del
poema la capacità costruttiva è ammirevole nel decorso delle idee e nella tensione dei
contrasti, così come è complessa e precisa l'articolazione dei contenuti narrativi: il ricordo, il
rimorso, la disperazione, la sfida, fino all'esaltato desiderio della fine; e con il compimento
del desiderio, dopo un'ultima, evanescente apparizione del tema di Astarte, l'ouverture si
conclude.
Seguono quindici episodi, dei quali uno, la splendida introduzione alla seconda parte, è solo
sinfonico, gli altri sono corali e solistici (le apparizioni degli spiriti dei quattro elementi, i
fantasmi, i dèmoni di Arimane) o sono melologhi (musica che accompagna la recitazione
dell'attore protagonista). Tra questi episodi spiccano, per l'austerità della commozione, il
vano incontro di Manfred col fantasma della sorella, che ho già ricordato, e l'addio al sole. In
entrambi il ritegno espressivo e la castità dell'invenzione riscattano del tutto le esagerazioni
verbali e immaginative dei versi, sì che ce ne resta un ricordo poetico perfettamente
schumanniano e salvo da qualsiasi ombra di artificio.
Questa musica, in gran parte della quale egli aveva versato il meglio del suo genio,
Schumann non l'ascoltò mai. Partito da Dùsseldorf con Clara per Weimar, dove Liszt avrebbe
diretto la prima esecuzione il 13 giugno 1852, egli, aggredito dai suoi fantasmi interiori,
travolto dall'angoscia e dalla disperazione, dovette interrompere il viaggio, né ebbe più
occasione di incontrare sulla scena l'eroe che egli aveva tanto nobilitato.
Franco Serpa
Afflitto da gravi crisi nervose e da una sorta di stanchezza interiore che lo opprime e gli
impedisce di sfruttare serenamente le energie creative, Schumann si allontana da Lipsia, dopo
quindici anni di intensa attività, e alla fine del 1844 si trasferisce a Dresda. Varie sono le
circostanze all'origine di questo stato di smarrimento e di profonda depressione. Il dispiacere
per il ritiro di Mendelssohn, amico fedele e stimato, dalla direzione del Gewandhaus;
l'abbandono della rivista musicale diretta per dieci anni, dovuto all'incomprensione con i
colleghi di lavoro e ad una progressiva perdita d'entusiasmo; le notevoli difficoltà finanziarie,
se pure in parte mitigate da una fortunata tournée intrapresa in Russia con la moglie Clara;
ma soprattutto la ricerca di prestigio e notorietà, che convince l'artista della necessità di
evadere dall'ambiente lipsiense e di misurare altrove le sue capacità e le sue giustificate
ambizioni. Fino a quel momento, infatti, la critica aveva sottovalutato la sua produzione
musicale, considerandola semplice appendice all'attività di scrittore e letterato; né d'altro
canto potevano bastare i consensi accordatigli da una ristretta élite di compositori (David,
Bennett) che gravitavano intorno all'area, influente ma limitata, dello stesso Mendelssohn.
Tuttavia, neanche a Dresda Schumann trova un terreno favorevole o, per lo meno, adatto ad
appagare le sue esigenze; la vicinanza di Wagner non gli è di nessun aiuto e anzi si trasforma
in vera e propria diffidenza, per un musicista che «non sa scrivere né pensare quattro battute
correttamente». Irrequietezza ed insoddisfazione lo spingono a chiudersi in se stesso e a
cercare un momentaneo conforto con lo studio delle grandi opere del passato: è il periodo
delle composizioni in stile rigoroso e contrappuntistico, applicato nelle fughe per pianoforte
ed organo. Una serie di viaggi a Vienna, Berlino e Praga — quest'ultima fu l'unica delle tre
città a riservargli calorose accoglienze — interrompe provvisoriamente questa fase di
accanita applicazione, ma non serve ad alleviare l'instabilità psichica di Schumann, che
nell'aprile del 1847 è già di ritorno a Dresda. Desideroso di affrontare nuovi generi musicali,
più vicini al suo particolare stato d'animo, l'artista trova un naturale approdo nelle forme
sinfonico-corali, nell'oratorio e nella musica drammatica. In questa scelta, consapevole e ben
definita, che presuppone l'accostamento a modi e strutture teatrali, s'inquadra la duplice
finalità schumanniana: da un lato allargare gli interessi creativi e al tempo stesso valutare le
proprie possibilità in un ambito in cui la musica, costretta a seguire ed assecondare la
funzione espressiva delle parole, sia in grado di rispecchiare più fedelmente luci ed ombre
dell'animo umano. Nasce cosi, in tre mesi (aprile-giugno 1847), lo schizzo integrale
dell'opera «Genoveffa», prima affermazione del declamato melodico opposto ai moduli
statici del recitativo; s'intensifica l'impegno per le «Faustzenen», già abbozzate nel 1843 ed
elaborate dal dramma di Goethe, che in quel periodo è quasi una tappa d'obbligo per tutti i
musicisti; inizia, nel 1848, la composizione del «Manfred», tratta dall'opera omonima di
George Byron. Indubbiamente, il rinnovato fervore e la sorprendente concentrazione
realizzativa che distinguono questo ciclo di lavori, furono alquanto favoriti dalle tematiche e
dai contenuti del reportorio teatrale romantico: il tragico dibattersi delle passioni, l'angoscia
del vivere quotidiano, l'essenza fortemente individualizzata di ogni personaggio. Tali spunti
offrono a Schumann, nel momento più delicato e più intensamente sofferto della sua carriera,
un ideale punto di riferimento che proprio nel «Manfred», rappresentazione simbolica
dell'eterno contrasto tra il Bene e il Male, sfocerà in vera e propria conquista dei mezzi
sonoro-espressivi, traducendo in esito concreto i crismi di una concezione in cui l'arte è più
che mai legata all'esistenza terrena («Odio tutto ciò che non nasce da un intimo impulso di
vita»).
Pubblicato nel 1817, il «Manfred» di Byron fu accolto positivamente, anche se una parte
della critica intravide nell'opera richiami e suggestioni del «Faust» goethiano, oltre che una
precisa analogia delle vicende del protagonista con quelle dell'autore, su cui gravava il
sospetto di una relazione non ben accertata con la sorellastra Augusta Leigh. Il dramma è
comunque una delle testimonianze più efficaci della poetica byroniana, che si definisce qui
quale autentica indagine sui valori dell'io, esaltando nella figura principale il desiderio
incontenibile di superare, sfidando qualsiasi imposizione, i limiti della propria condizione
umana. In un castello isolato sulle Alpi, Manfred vive tormentato dal rimorso di un
misterioso delitto da lui commesso. Grazie alle sue arti magiche, egli è in grado di
comunicare con gli spiriti dell'universo, che tutto possono offrirgli tranne l'unica cosa che
veramente desidera: l'oblio. Sconvolto, si dirige su un'alta montagna con l'intenzione di
lanciarsi nel vuoto, ma viene salvato dall'intervento di un cacciatore; si rivolge allora, ma
invano, alla Maga delle Alpi, rifiuta di sottomettersi alle forze del Male e ingiunge alle
Parche di condurlo da Arimene, re degli spiriti infernali. A lui chiede di evocare la donna
amata e poi «distrutta dal suo fatale abbraccio»: rispondendo alla sua invocazione, il
fantasma di Astarte gli predice per il giorno seguente la soluzione alle pene che lo affliggono.
Al momento stabilito i demoni appaiono, ma egli nega il loro potere, scacciandoli; poi
muore, sotto gli occhi di un abate, accorso troppo tardi per redimere i peccati delia sua
anima.
Dopo il brano d'apertura, Manfred chiama al suo cospetto i quattro geni della terra,
dell'acqua, dell'aria e del fuoco (sette nella versione di Byron) che esauriscono rapidamente il
loro canto; successivamente, come un'oasi di momentaneo sollievo, la melodia si distende
con l'apparizione di uno degli spiriti sotto le vesti di una donna bellissima, che suscita in
Manfred l'illusione della ritrovata pace interiore. Bruscamente l'immagine svanisce, per
lasciar posto alla terribile invettiva del primo Spirito, commentata dai bassi del Coro con un
canto-recitativo ben adeguato al momento drammatico. Il cambio di scena sulle vette della
Jungfrau trova il protagonista assorto in un monologo di rassegnazione, mentre il corno
inglese evoca una delicata aria pastorale, che sorge solitaria dai lunghi silenzi delle
montagne, precedendo l'arrivo del cacciatore che dissuade Manfred dalle sue funeste
intenzioni. Dopo la suggestiva parentesi dell'Intermezzo orchestrale, non privo di riferimenti
tematici all'«Ouverture», la seconda parte si apre con l'«Apparizione della Maga delle Alpi»,
presentata dai violini che intrecciano un motivo costruito sulla rapida ascesa di otto note: la
musica si protrae anche durante il dialogo con Manfred e tutta la scena costituisce uno degli
esempi più efficaci di melòlogo, cioè quella forma teatrale basata sulla sovrapposizione
dell'accompagnamento orchestrale alla lettura del testo poetico. Questo procedimento, che
caratterizza le fasi più significative del «Manfred» schumanniano, culmina nell'«Evocazione
di Astarte», preceduta da un solenne intervento di Coro e orchestra che introduce l'eroe nella
dimora di Arimene, sovrano delle potenze infernali: un sottofondo leggerissimo di violini
annuncia la presenza della donna, mentre Manfred implora da lei il perdono con frasi
supplichevoli descritte da una melodia lenta e dolorosa, che dà opportuno rilievo ai toni
accorati della declamazione. È grande l'abilità con cui Schumann riesce a mantenere integro
il ruolo della parola, senza trascurare o sminuire la sua espressività, ma anzi associandola con
equilibrio ai vari inserimenti musicali. Nella terza ed ultima parte, dopo l'Intermezzo e il
lungo colloquio di Manfred con l'abate, la musica riflette le sensazioni del protagonista, che
insegue con i pensieri una lontana e ormai perduta serenità. Infatti, quasi improvvisamente,
due violenti e drammatici accordi materializzano la figura 'tetra e orribile', cioè lo spirito che
simboleggia la Morte: brevi e impetuose, le entrate dell'orchestra sottolineano il rifiuto
sdegnoso di Manfred e la sua estrema sfida al demone («Morirò come vissi: solo!»]. Poi tutto
si placa nel Requiem finale, sostenuto dal Coro e pervaso di misticismo e purificazione: le
ultime note richiamano il dolce tema di Astarte e fissano nella tonalità maggiore la
conclusione dell'opera.
Piero Gargiulo
1844 - 1849
https://www.youtube.com/watch?v=pQlU7eDe6hI
https://www.youtube.com/watch?v=Xa8Ly9KjZ64
https://www.youtube.com/watch?v=BsRtT1-RkCM
Prima parte:
Terza parte:
Waldung, sie schwankt heran - Trsfigurazione di Faust (coro, Echo) - Ziemlich langsam (fa
maggiore)
Ewiger Wonnebrand, gluhendes Liebesband - Tenore solo - Etwas bewegter (re minore)
Wie Felsen-Abgrund mit zu Fussen - Basso solo - Langsam (si bemolle maggiore)
Gerettet ist das edle Glied - Angeli (coro) - Ziemlich langsam (la bemolle maggiore)
Hier ist die Aussicht frei - Tenore o baritono solo - Langsam (sol maggiore)
Dir, der Unberuhbaren - Coro - Tempo wie vorher (si bemolle maggiore)
Alles Vergangliche ist nur ein Gleichniss - Coro finale (coro mistico) - Die Halben etwas
langsamer wie vorher (re minore)
Sembra che già nel 1832, a ventidue anni, Schumann avesse accarezzato l'idea di mettere in
musica il Faust di Goethe, terminato appena l'anno prima ma a lui ben noto, per quanto
riguardava la prima parte della tragedia (1808), sin dagli anni dell'infanzia. Uno degli
Intermezzi op. 4 per pianoforte - il secondo in mi minore - sarebbe stato ispirato dal canto di
Margherita all'arcolaio che inizia con le parole Meine Ruh' ist hin, canto sul quale, diciotto
anni prima, Schubert aveva creato con Gretchen am Spinnrade (1814) un tipo di Lied
assolutamente nuovo per carattere e forma e che Schumann avrebbe qui parafrasato mediante
il pianoforte; forse a voler dare espressione a una pena d'amore, più probabilmente a uno
stato interiore di profondo disagio esistenziale, che di lì a poco sarebbe sfociato in una
devastante crisi depressiva: la prima di una lunga serie. Schumann ne uscì inventandosi un
mondo fittizio - la lega dei fratelli di Davide - e un impegno fantastico - la lotta contro i
filistei -, abbandonando per il momento ogni idea faustiana.
Ripresa oltre un decennio più tardi, quest'idea si sarebbe sviluppata in una delle più corpose e
impegnate partiture di Schumann, di un genere la cui definizione risulta a prima vista
problematica: non oratorio profano, benché sia intriso del suo spirito, impieghi i suoi mezzi
compositi e ne adotti la veste drammatica non rappresentativa; non vera e propria opera
destinata al teatro, benché il titolo - Scene dal "Faust" di Goethe - sembri sottolineare
l'importanza dell'elemento scenico-drammatico; non sinfonia con voci e coro, per quanto
l'incidenza della componente sinfonica sia rilevante. E neppure, da ultimo, semplice
illustrazione dei passi virtualmente «musicali» presenti nel Faust, giacché l'intento di
Schumann mirava a raggiungere la piena unità e corrispondenza non soltanto di parole, fatti e
suoni ma anche, in un senso assai più profondo, di pensiero, poesia e creazione musicale.
La stessa genesi, lunga e tormentata, della composizione, alla cui realizzazione occorsero
quasi dieci anni, rispecchia l'impegno con cui Schumann, nel rivestire di musica un testo che
lo entusiasmava tanto quanto lo ossessionava, strenuamente agì al fine di appropriarsi del
Faust e ritagliarne un'interpretazione congeniale alla sua natura di artista; un'interpretazione
che dovendo fatalmente scegliere fra una massa incredibilmente ricca di temi e di situazioni,
fin dal principio privilegiò quelle valenze mistiche e quelle risonanze spirituali che
sembravano predestinate a incarnarsi nella musica. La via seguita appare a questo riguardo
estremamente istruttiva e condizionante per il significato stesso dell'opera.
Fu dunque alla fine del 1843 che Schumann decise di mettere in cantiere il progetto a lungo
vagheggiato. Nel 1844, di ritorno da un viaggio in Russia con Clara, iniziò la composizione
partendo dall'ultima parte del Secondo Faust, e precisamente dall'imponente scena finale del
poema che, nella versione definitiva del musicista, costituirà la terza e ultima parte ma, dal
punto di vista compositivo, è il nucleo centrale e originario del lavoro. Interrotta più volte,
quest'ultima parte fu completata nell'aprile 1847; salvo aggiungersi, in luglio, una seconda
versione del conclusivo Chorus Mysticus. Due anni dopo Schumann estese il lavoro a ritroso
alla prima e alla seconda parte. Le tre scene iniziali, tutte dal Primo Faust (Scena nel
giardino, Margherita davanti all'immagine detta Mater dolorosa, Scena in duomo), videro la
luce nella prima metà del 1849, insieme con la quarta, prima della seconda parte (Ariel e il
risveglio di Faust), che si distacca dalle precedenti per un evidente mutamento di clima ma è
in stretta relazione con esse "per contrasto". Si attua qui infatti un primo passaggio verso
l'atmosfera meno cupamente drammatica e più diffusamente simbolica del Secondo Faust,
cui appartengono anche le due restanti scene della seconda parte, Mezzanotte e Morte di
Faust, composte nel 1850. Alla forma dell'opera così come noi la conosciamo mancava
soltanto l'Ouverture, che Schumann stese per ultima nel 1853 riassumendovi, in una struttura
saldamente sinfonica, il materiale musicale fondamentale e i toni caratteristici elaborati nelle
sette scene. Il percorso tenuto da Schumann per estrarre dal Faust la materia di una
composizione formalmente sui generis non segue, come è chiaro, un mero calcolo
compositivo, ma nasce da precise scelte interpretative che stabiliscono una gerarchla fra le
tre parti in base a significati non soltanto poetico-musicali ma anche metafisico-spirituali.
Non è senza valore che Schumann cominciasse proprio dalla fine del poema. L'importanza
dominante di questa vasta scena articolata in sette numeri non risiede tanto nel fatto che da
sola essa occupi una buona metà del lavoro quanto piuttosto nel suo significato di
trasfigurazione dei conflitti precedenti, subordinati e finalizzati alla contemplazione di una
realtà immateriale di puri angeli e di essenze perfette cui la voce del coro (non soltanto nel
conclusivo Coro mistico) conferisce toni di universale conciliazione. Non sembra esagerato
asserire che Schumann vi abbia potuto vedere quella realizzazione dell'assoluto musicale cui
la metafisica romantica della musica, da lui ripristinata anche teoricamente dopo
l'applicazione pratica nella lotta contro i filistei, costituzionalmente tendeva; e niente meglio
di questo Finale "incommensurabile" poteva esprimere l'aspirazione all'assoluto
incondizionato, all'infinito come totalità organica riconquistata e divenuta, attraverso la
musica, percepibile ed eloquente.
È in relazione con questo stadio ultimo delle possibilità espressive della musica - intrecciato
con il tema della Redenzione e della progressiva conquista della Perfezione come
svuotamento della Sehnsucht (nostalgia) e dello Streben (anelito a), stante l'interpretazione
schumanniana dell'estrema visione di Goethe - che si dispongono le altre due parti del lavoro.
La prima parte, drammatica e movimentata, ispirata dal Primo Faust, dipinge la vicenda
amorosa di Faust e Margherita; e ad esserne protagonista, nella brevità essenziale delle tre
scene, è la giovane donna: vittima predestinata del sacrificio, appena consumati gli attimi di
una felicità fugace, costei si consegna intera al dolore e all'angoscia, solo per far risaltare più
lucidamente il trionfo del suo riscatto.
La seconda parte, della quale è Faust il protagonista, trascende l'elemento terreno per
svolgersi nel mondo fantastico degli spiriti (Elfi, ma anche spettri e dèmoni) e della natura. Il
peso allegorico è marcato: Faust è un simbolo dell'umanità intera. È la parte più fiorita,
suggestiva e romanticamente rigogliosa, del lavoro: gli stessi elementi descrittivi e illustrativi
valgono a incorniciare i simboli che vi appaiono nel mondo di fiaba di una natura dai vasti
confini.
Se la terza parte è il punto di arrivo e nello stesso tempo l'origine della partitura
schumanniana, sarebbe sbagliato vederne l'articolazione come un movimento lineare e
continuo di ascesa, o addirittura come un processo di tipo dialettico che trova la sintesi nella
contemplazione mistica, dopo aver attraversato la regione delle vicende umane e quella degli
spiriti e della natura. Le tre parti, o meglio le sette scene complessivamente, sono altrettanti
quadri a sé stanti, non legati da continuità drammatica né tantomeno scenica, che illuminano,
a livelli differenti, un unico tema poetico: l'aspirazione all'assoluto incondizionato, privato da
ogni carico materiale. Sotto questo profilo il Faust di Schumann è opera fortemente
ideologica in quanto risultato di una concezione estetica radicale; ma è anche opera
autobiografica, che ci parla delle ossessioni, delle visioni e delle più intime aspirazioni del
suo autore: e più volte, nei suoi sogni inquieti, Schumann si era visto circondato dagli Elfi,
dilaniato dai Lemuri, trasportato in cielo dagli angeli. Né Faust, né Margherita, né
Mefistofele hanno una storia in quanto personaggi di un'azione, men che mai se intesa in
senso unitario e omogeneo: essi sono aspetti di un'unica realtà la cui vera sostanza sta nella
musica che l'avvolge e ne dischiude le zone più riposte, per depurarsi infine nella
concentrazione assorta e nella solennità dell'apoteosi finale. E forse nessuno meglio di
Schumann ha saputo cogliere questo senso di perfezione immanente cui il poema di Goethe
da ultimo guarda, in una intuizione mistica che appare romanticamente la più prossima alla
musica. Riassumendo: l'intenzione di musicare, del Faust, anzitutto la scena finale, è la
ragione stessa dell'opera di Schumann. Essa condiziona la sua concezione globale. E le altre
scene sono per cosi dire stadi preparatori di essa.
***
Mentre la tragedia goethiana, nella sua identità intessuta di alti valori estetico-filosofici,
sembrava negarsi alla dimensione operistica - tanto che Wagner, pur tentato, vi rinunciò,
limitando a una Ouverture (1840, seconda versione 1855) e a sette brani sparsi dalla Prima
parte (1832) il suo debito al tema, e un paladino di Goethe come Busoni preferì eludere il
confronto e basare la sua creazione faustiana sull'antico spettacolo di marionette (Doktor
Faust, 1925, incompiuto) -, un altro filone si impadronì del Faust per renderlo in una
prospettiva sinfonico-corale. Sono i casi della Faust-Symphonie di Liszt (1853-57) e
dell'Ottava Sinfonia di Mahler (1906-07). Per quanto Liszt suddivida le tre parti della sua
Sinfonia - definite «Charakterbilder», ossia raffigurazioni di caratteri - con chiari riferimenti
ai personaggi principali di Goethe e Mahler accosti direttamente l'inno medioevale Veni
creator spiritus alla scena finale del Faust quasi vedendo in essa il pendant di quello, è
evidente che l'assunto goethiano è nel primo caso un programma extramusicale di contenuto
spirituale e ideale, nel secondo un grandioso messaggio di fede e di speranza nella forza
dell'amore (come Mahler spiegava in una lettera alla moglie del 1909). Insomma il Faust non
vale qui per quello che è, summa di un atteggiamento estetico e filosofico che si costruisce
passo dopo passo, ma quale sostegno fantastico da cui la grande forma della Sinfonia può
trarre giovamento e nutrimento ampliandosi a dimensioni abnormi e inglobando anche i
mezzi vocali, senza per questo perdere i suoi requisiti strutturali ed espressivi. I due filoni -
quello operistico e quello sinfonico - si escludono dunque a vicenda in quanto concezioni
radicalmente opposte di uno stesso tema; eppure, entrambe appaiono giustificate dalla
ricchezza stessa della materia, dalla sua forma insieme spettacolare e astrattamente
concettuale.
E Schumann? Schumann sceglie una via intermedia e del tutto personale che, per quanto
effettivamente isolata, ha apparenti punti di contatto con la leggenda drammatica La
Damnation de Faust (1846), che Berlioz aveva ricavato dalla versione francese del primo
Faust di Gerard de Nerval incorporando le Huit scènes de Faust composte vent'anni prima. A
parte il titolo della prima versione, punti di contatto in realtà non ce ne sono. Berlioz tende
infatti a distaccarsi da Goethe nella misura in cui Schumann tenta di decifrarlo; là c'è un
cammino verso una drammatizzazione che, senza giungere ad essere operistica, sottende una
precisa drammaturgia e un'azione drammatica continua, incalzante, visionaria, per sfociare
nella condanna di Faust e nel suo annientamento; qui invece una introspezione del dramma
verso la pura contemplazione di quadri staccati, in sé compiuti, tenuti insieme da una logica
musicale che ha il suo fondamento nell'elemento sinfonico e la sua mèta nell'aspirazione a
raggiungere uno stato d'animo placato - «compenetrato nell'Essere e nel Tutto» (Schumann)
-, nella sfera dell'universalità e del simbolo. Anche sotto questo riguardo, dunque, la
posizione di Schumann è unica.
***
Nelle Scene dal «Faust», che abbracciano l'intero periodo della piena maturità di Schumann,
è possibile seguire le tracce di questi diversi atteggiamenti e scorgere i semi di un lavoro
sperimentale sul linguaggio che non appare altrove in modo così esteso e grandiosamente
ambizioso. Il rapporto con il testo di Goethe, che Schumann adatta alle proprie esigenze
tagliando e ricucendo i versi, parte senza dubbio da presupposti letterari ma è volto, più che
all'intonazione della parola o della frase, alla caratterizzazione poetica dell'immagine e alla
sua definizione musicale. Il trattamento estremamente differenziato delle voci soliste, ognuna
delle quali incarna un personaggio reale e uno o più personaggi simbolici, spazia dalla
molteplice varietà dello stile liederistico a modi di stampo operistico (dal recitativo
all'arioso), mantenendo una linea di autonomia musicale anche nei passi più drammatici: a
metà strada, si crea un declamato aperto e flessibile, particolarmente adatto alle visioni
estatiche della terza parte. Di grande impegno è la partecipazione del coro, protagonista di
molti episodi e spinto a tessiture impervie (non soltanto all'acuto) secondo un uso che si rifà a
tradizioni corali specificamente tedeschi: tradizioni che del resto proprio Schumann contribuì
ad arricchire e consolidare con un diuturno esercizio professionale. Ma è l'orchestra il mezzo
attraverso il quale Schumann crea il clima poetico dell'opera. Un'orchestra continuamente in
primo piano non soltanto nei passaggi strumentali introduttivi o di collegamento ma anche
nell'azione musicale vera e propria. La ricchissima varietà delle proposte timbriche, dove
Schumann eccelle come maestro dei particolari e delle sottigliezze combinatorie, sembra
nascere da un'idea di orchestrazione assoluta più che di strumentazione a tavolino: e a quanto
pare è il senso poetico a dettare questa caratterizzazione. Anche nei passi più compatti e
imponenti circola all'interno della compagine strumentale una brulicante gradazione di
accenti e di tinte che costituisce il tono fondamentale della scrittura schumanniana, di un
musicista cioè tanto a disagio nella condizione di un discorso sinfonico autonomo quanto
adatto a mediarlo per mezzo di un nucleo poetico che si espande e, trasmutando, si evolve.
Da un percorso armonico stratificato deriva quella pertinente allusività tonale che, con le sue
deviazioni e riconduzioni cicliche, collega e chiarisce episodi anche lontani fra loro. E
vedremo nel dettaglio come proprio sotto il profilo armonico-tonale la partitura sia sorretta
da simmetrie e corrispondenze che cementano le diverse scene in unità non drammatica ma
strutturale, quasi a ribadire l'interpretazione dei significati poetici e spirituali in un'ascesa,
anche musicale, verso lo stadio supremo della definitiva compiutezza.
La prima esecuzione completa delle Scene dal "Faust" avvenne a Colonia il 13 gennaio 1862
sotto la direzione di Ferdinand Hiller. I giudizi furono discordi, critici verso le
«disuguaglianze di qualità stilistica» che ne erano, in positivo il presupposto. Ancora oggi
rimane opera di esecuzione non frequente, ma non più controversa. Schumann era morto da
sei anni. Aveva potuto ascoltarne soltanto un'edizione incompleta nell'estate 1849 quando il
lavoro, nello stato in cui si trovava, era stato eseguito a Dresda, Lipsia e Weimar - su
interessamento di Liszt - in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di
Goethe. Liszt era stato assai più generoso dei futuri critici: «Quest'opera bella e grandiosa» -
aveva scritto da Weimar all'amico - «ha suscitato l'impressione più bella e più grandiosa». E
Schumann gli aveva risposto: «Gli attestati di simpatia che mi giungono da vicino e da
lontano testimoniano che il mio lavoro non è inutile. Così noi tessiamo, tessiamo la nostra
tela e finiamo per divenire tutt'uno con essa».
Ouverture
L'Ouverture, composta nel 1853, è uno degli ultimi lavori di Schumann e in assoluto l'ultima
sua pagina orchestrale: la mattina del 27 febbraio 1854 Schumann cercava di suicidarsi
gettandosi nelle acque del Reno a Düsseldorf e, salvato per caso, veniva subito internato nel
manicomio di Endenich presso Bonn, da cui non sarebbe più uscito fino alla morte (29 luglio
1856).L'Overture è nella tonalità di re minore e si articola in una Introduzione («Lento,
solenne») e in un movimento in forma di sonata («Poco più mosso»). I due temi, pur
nettamente circoscritti, tendono più a confluire l'uno nell'altro che a contrapporsi
drammaticamente; il materiale di contorno richiama figure delle scene già composte ma non
alla lettera: più che una anticipazione del materiale tematico vero e proprio è lecito parlare di
una esposizione e di una introduzione nel clima spirituale e psicologico di ciò a cui
assisteremo. Ed è in questo senso significativo che la tonalità di fa maggiore, quella della
trasfigurazione finale, appaia di passaggio già connotata di valore positivo e affermativo, e
che l'Ouverture, così profondamente imbevuta del modo minore, culmini in una perorazione
di tono innodico nella tonalità di re maggiore, cui si uniforma anche la breve Coda, quasi a
voler sintetizzare le tappe e i traguardi delle diverse scene e dell'opera intera.
Parte prima
N. 1 - Scena nel giardino (Margherita e Faust, poi Mefistofele e Marta). Tonalità di fa
maggiore. (Faust ha venduto l'anima a Mefistofele, che in cambio si è messo al suo servizio
per esaudirne ogni desiderio. Ringiovanito, Faust anela all'amore: la vista di Margherita, così
pura e timida, lo ha subito conquistato. Faust chiede a Mefistofele di favorire l'incontro con
la ragazza).
Omettendo senz'altro presentazioni e convenevoli, Schumann comincia dal momento più
intenso del dialogo fra i due: poche battute introduttive bastano a creare un clima di tenero
idillio, nel quale il canto dei due innamorati si inserisce con naturalezza di tono affatto
liederistico. Alla ferma dichiarazione di Faust, contrappuntata da un motivo arpeggiato
ascendente, fa riscontro l'esitazione commossa di Margherita, echeggiata dall'orchestra con
incisi di seconde discendenti e ascendenti rotti da brevi pause. L'armonia sottolinea
quest'incertezza attestandosi sulla dominante e risolvendo di volta in volta, a seconda dello
stato d'animo in quell'istante prevalente, su accordi minori o maggiori. Segue poi il giuoco,
delicato e ingenuo, della margherita, che la ragazza sfoglia per conoscere il suo destino: su
un pedale di dominante interrogativamente sospeso, si alternano ora direttamente triadi
maggiori al «m'ama» e triadi minori al «non m'ama». Solo quando Faust, con trasporto,
dichiara appassionatamente il suo ardore, la tonalità di fa maggiore si espande in tutta la sua
chiara forza risolutrice, appena increspata da un brivido di presentimento alle parole di
Margherita «Tremo tutta» (effetto di tremolo nei secondi violini). Interviene a questo punto
Mefistofele per annunciare che è tempo di separarsi: il suo recitativo, introdotto da una
saltellante figura discendente del fagotto su un ritmo di duine che sfasa l'equilibrio metrico
della scena (in tempo 12/8), più che interrompere turba per sempre la serenità dell'idillio. Gli
fa eco la brusca interiezione di Marta. Sul congedo rapido dei due innamorati (le parole della
breve chiusa sono di Schumann), l'orchestra fa riudire, in fa maggiore, le battute introduttive,
questa volta ripiegate su se stesse, piano e come scomparendo.
Parte seconda
N. 4 - Ariel. Il risveglio di Faust (Ariel e coro. Faust). Tonalità di si bemolle maggiore nel
primo episodio (Ariel), di mi minore/mi maggiore nel secondo (Il risveglio di Faust).
(Margherita ha partorito e subito ucciso suo figlio, ed è stata incarcerata e condannata a
morte. Invano Faust, oppresso dal rimorso, cerca di salvarla dal carcere: Margherita rifiuta di
seguirlo e si rimette al giudizio di Dio. Sopravviene l'alba. Già quasi dall'oltretomba,
Margherita ripete il nome dell'amato, additandogli nuovi orizzonti spirituali. Si chiude qui la
prima parte del Faust di Goethe.)
Inizia la seconda parte della tragedia. Un luogo ameno. Faust, adagiato sull'erba fiorita,
riposa inquietamente. È il crepuscolo. Intorno a lui aleggiano stormi di spiriti e di folletti,
guidati da Ariel. È costui lo spirito etereo e generoso, di shakespeariana memoria, che ora
raduna gli elfi della foresta affinchè preparino, al sorgere del sole, il risveglio di Faust,
purificato e reso consapevole della sua nuova missione. Il primo episodio di questa scena è
tripartito: nel canto di Ariel e nella risposta del coro degli spiriti Schumann rispetta
scrupolosamente le indicazioni del testo - che già di per sé richiede l'intervento della musica -
sia nell'accompagnamento di arpe eolie per Ariel (reso con una geniale combinazione di arpa,
violini e violoncelli) sia nella disposizione del coro a solo, diviso a due e più, alternando ed
insieme. La ripresa della prima parte è affidata nuovamente al canto solitario di Ariel, che
annuncia il sorgere del sole e il prossimo risveglio di Faust.
L'episodio del risveglio è interamente affidato al canto di Faust: una nuova energia lo
penetra, la contemplazione dell'iride che il sole mattutino accende dal pulviscolo di una
cascata lo restituisce all'attività. Nella lenta ma inesorabile progressione dal modo minore al
modo maggiore si percepisce un nuovo entusiasmo, una volontà rianimata. Il canto di Faust è
finalmente ampio e disteso. La natura, con i suoi suoni e le sue pulsazioni, è lo sfondo
magico e misterioso che vivifica e purifica le sensazioni del personaggio. Alla violenta
drammaticità delle scene precedenti subentra una calma rilassata, carica di attese e di vita ma
non inquieta; della natura, più che semplicemente descriverla, la musica sembra voler
cogliere l'essenza poetica con un lirismo che, se fa pensare al Mendelssohn del Sogno di una
notte d'estate, è schumanniano per la dovizia d'intimità e di slanci effusivi, fino a costituire
un repertorio completo di atteggiamenti e stilemi del romanticismo di sogno.
Parte terza
N. 7 - Trasfigurazione di Faust (scena, finale del Faust, in sette parti o sezioni). «Gole
montane. Bosco, rupi, solitudine, Santi anacoreti distribuiti su per il monte fra gli
scoscendimenti»: questo il quadro figurativo dell'ultima scena. Musicata integralmente nei
suoi 267 versi, essa presenta una straordinaria complessità e varietà di aspetti pur nella rigida
simmetria formale che la governa e nella distribuzione gerarchica, dal basso verso l'alto, dei
personaggi maschili e femminili, che si corrispondono anch'essi: Pater Ecstaticus, Pater
Profundus e Pater Seraphicus da un lato, Magna Peccatrix, Mulier Samaritana e Maria
Aegyptiaca dall'altro. Al di sopra degli uni il Doctor Marianus, al di sopra delle altre la Mater
Gloriosa. Parallelamente nella sfera angelica si hanno il coro dei Fanciulli Beati da una parte
e il coro delle Penitenti (da cui emergerà Una poenitentium, colei che un giorno era chiamata
Margherita) dall'altra: essi confluiranno in una nuova triade, quella di Angeli, Angeli Novizi
e Angeli Perfetti, per giungere a contemplare infine tutti insieme in unità la perfezione della
gerarchla celeste nel conclusivo Chorus Mysticus. Vediamo adesso brevemente una per una
le sette sezioni dell'ultima scena (sette, come sette sono complessivamente le Scene dal
"Faust"). La simmetria tonale e formale è qui molto più stretta che nelle altre due parti e si
dispone secondo una figura ascensionale richiesta dal senso stesso del testo.
N. 3 - Basso solo: Wie Felsen-Abgrund mir zu Fussen (Pater Profundus. Poi Pater Seraphicus
e coro di Fanciulli Beati).
Tonalità di si bemolle maggiore. Pater Profundus, confinato nella regione più bassa della
gerarchia celeste, esperimenta Dio per mezzo della conoscenza razionale e intellettuale: ha
«pensieri profondi e giusti» ma non possiede la fiamma dell'intuizione rivelatrice. Al suo
canto pervaso di immagini della vita terrena Schumann presta mediazioni di carattere
analogico e imitativo, slanciandosi nell'evocazione della natura selvaggia animata dal soffio
dell'amore divino con una citazione dalla Sinfonia "Renana", composta in quell'anno (terzo
tempo, Nicht schnell). Il canto plastico del Pater Profundus si chiude in una assorta
invocazione affinchè Dio plachi i suoi pensieri e illumini il suo cuore.
Gli subentra senza soluzione di continuità il Pater Seraphicus (voce di baritono), che abita
nella regione media fra la terra (il cui ricordo è in lui ormai del tutto placato) e le sfere degli
angeli. Egli non è solo. Sono con lui i Fanciulli Beati (coro di ragazzi) cioè coloro che, nati
alla mezzanotte, sono morti in tenera età e benché salvi non hanno potuto raggiungere lo
stadio superiore degli Angeli in quanto privi dell'esperienza del male e della vita (si ricordi il
Limbo della tradizione cattolica). Sarà compito del Pater Seraphicus mostrar loro il mondo
attraverso i propri occhi angelici è trarli gradatamente, colmando l'esperienza che manca
loro, alla perfezione suprema.
Nel suo candore "infantile" e quasi popolaresco, così prossimo al mondo, innocente e sereno,
del Des Knaben Wunderhorn prima della "catastrofe" (e dopo la catastrofe avremo i bambini
di Mahler, nell'Ottava Sinfonia), questo episodio rappresenta un'oasi di conciliazione e di
tenerezza prima che l'ascesa riprenda verso il suo compimento. Si ascolti come la musica
lievemente accompagna il progressivo salire dei fanciulli verso l'alto, in un ritmo che via via
si fa più rapido e incalzante senza tradire alcuna fretta, con la cadenza delle cose prescritte; e
invece la nota affettuosamente umoristica del brivido di paura che si impadronisce dei
fanciulli allorché il Pater Seraphicus accenna al male che pur esiste sulla terra, ed essi
chiedono di tornare subito nel cieli al sicuro.
N. 4 - Coro. Gerettet ist das edle Glied (Angeli, Angeli Novizi, Angeli Perfetti, Fanciulli
Beati).
Tonalità di la bemolle maggiore/mi maggiore/sol bemolle maggiore/si bemolle maggiore.
Questa vasta e composita sezione tutta corale, posta al centro delle sette che formano la scena
finale, è assai più che in Goethe un nodo cruciale dell'interpretazione schumanniana. Si
compie qui la vera salvazione di Faust e la sua trasfigurazione in simbolo dell'umanità
vittoriosa e spiritualizzata. La didascalia definisce il quadro scenico: «in volo nelle parti più
alte dell'atmosfera, gli Angeli recano la parte immortale di Faust»; «Chi si affatica sempre a
tendere più oltre, noi possiamo redimerlo», cantano gli Angeli. Ed è su questi versi, intonati
dal coro con particolare ieraticità, che è costruito l'intero episodio. La massiccia
orchestrazione, la veemente fermezza del coro, descrivono l'effigie di un trionfo assoluto,
scandito al ritmo di una marcia solenne. Ecco poi il canto di un soprano solo (Jene Rosen,
aus den Händen), che espone su toni più leggeri e vivaci il significato della vittoria sul male,
subito ripreso dal coro dei soprani e concluso, con gioiosa esultanza, da tutti gli Angeli
Novizi. Salendo ancora di un gradino, si presentano gli Angeli Perfetti, che pur nella loro
perfezione recano ancora un residuo della dolorosa esistenza terrena: il loro canto sembra
quasi voler figurare una compiutezza nell'«Amore eterno» inclinando dall'articolazione
contrappuntistica - tendenzialmente qui modulante - alla quiete e all'unità dell'insieme
omofonico. La ripresa del tema del soprano solo, quasi a mo' di ritornello, rischiara questa
penombra e riporta alla tonalità di la bemolle maggiore, chiudendo cosi il primo episodio.
Una brusca modulazione enarmonica a mi maggiore introduce il secondo episodio. Tocca ora
agli Angeli Novizi esporre la visione della trasfigurazione di Faust. Nuovamente il coro si
fraziona e si ricompone come in balìa di un'eccitazione irrefrenabile. Mentre i Fanciulli Beati
accolgono Faust nella schiera celeste, una luce adamantina si diffonde tutt'intorno. La
trasfigurazione sta per compiersi: una linea ascendente verso l'acuto (esposta in progressione
da clarinetto, oboe e flauto) punteggia la definitiva salita in cielo di Faust. Il tessuto armonico
si apre di nuovo allargandosi distesamente e modulando a si bemolle maggiore, tonalità nella
quale avviene la ripresa del coro iniziale (Gerettet ist das edle Glied) in un fugato robusta e
potente.
N.6 - Basso solo: Dir, der Unberührbaren (Doctor Marianus, Mater Gloriosa, Coro delle
penitenti, Magna Peccatrix, Mulier Samaritana, Maria Aegyptiaca, Una poenitentium
chiamata un tempo Margherita, Fanciulli Beati).
Tonalità di si bemolle maggiore/do maggiore/la maggiore. Aperta e chiusa dalle parole
compite del Doctor Marianus, questa penultima sezione presenta in rapido avvicendamento
le figure femminili delle tre peccatrici pentite, desunte dai Vangeli e dagli Atti dei Santi
(Magna Peccatrix è colei che singhiozzando versò ai piedi del Salvatore il suo prezioso
balsamo; la Mulier Samaritana offrì da bere a Gesù; Maria Aegyptiaca fu una cortigiana che,
respinta dal Tempio, si ritirò nel deserto a vita di penitenza per quarantasette anni, lasciando
il proprio nome scritto sulla sabbia). Il significato dell'ascesa verso il vertice riguarda ora
l'Elemento Femminile, la cui celebrazione avverrà nel conclusivo Coro mistico. La purezza
della Mater Gloriosa e la carità delle peccatrici, il cui canto tende ora a fondersi, risplende
nell'apparizione di una delle penitenti, chiamata un tempo Margherita: costei, come
sappiamo, è già salva, ma non perdonata, e la giustificazione dei suoi atti si compie ora qui
nel ricordo del suo dramma, ma come vólto in positivo e riscattato dal tripudio di fede che la
circonda e riscalda. Significativamente questa apparizione è contrassegnata dalla stessa
struttura formale e quasi dalle stesse parole con cui Margherita si era rivolta, in vita,
all'immagine della Mater Dolorosa: divenuta semplicemente "Una poenitentium", può ora
rivolgersi alla Mater Gloriosa - rovescio di quell'immagine - come placata; e là dove erano
parole di pena e di dubbio sono ora accenti di gioia e di certezza. Scortata dai Fanciulli Beati,
Margherita può riunirsi secondo il suo desiderio a Faust nella beatitudine delle supreme sfere
celesti.
La trasfigurazione dell'esperienza in spirali sempre più elevate è il tema di fondo di questo
episodio. Elemento caratterizzante è il ritmo, che nel suo progressivo intensificarsi e
accrescersi rende quasi allegoricamente la propulsione dell'ascesa e si distende infine nel
movimento statico e circolare delle terzine, continuum che fluisce senza più divenire.
N. 7 - Chorus Mysticus: Alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis (soli e coro).
Tonalità di do maggiore/fa maggiore. I sublimi versi finali del Faust rappresentano per
Schiumann il compimento dell'opera ma anche, come già abbiamo detto, il suo nucleo
originario. Il fatto che egli li abbia musicati in due versioni, la seconda delle quali è
un'ulteriore riduzione di una pagina già esemplarmente scarna e concisa nonostante la densità
dei significati, rivela la piena consapevolezza di un impegno gigantesco.
Dal punto di vista formale - che ad altra analisi non potremmo in questa sede neppure
avvicinarci - il Coro mistico finale è diviso in tre parti. La prima (Lento, in do maggiore)
espone integralmente gli otto versi del testo in una progressiva espansione di concentrata
solennità, secondo la tecnica del doppio coro - a blocchi alternati e poi sovrapposti - e con
sostegno tematico di tre tromboni. La seconda (Vivace, in fa maggiore) si articola in un
fugato tra orchestra e coro, a cui si aggiungono i quattro solisti, su un testo costituito dagli
ultimi due versi e a ritroso dal quinto e sesto (invertiti) e terzo e quarto. La terza (Più mosso)
chiude l'opera in fa maggiore, ribadendo questi quattro versi e con particolare insistenza gli
ultimi due (Das Ewigweibliche/zieht uns hinan) in un contesto che torna omofonico e a cori
alternati come nella prima parte ma tende, più che ad ascendere, a fissarsi in circolare
immobilità, per poi assottigliarsi nel graduale diminuendo delle sonorità in un diafano velo di
pause e di incisi ribattuti. L'evidente simmetria dell'impianto formale sembra voler
identificare la chiusa con un ordine e una proporzione d'equilibrio alfine raggiunto anche sul
piano linguistico: ed è in questo senso significativo che do maggiore, tonalità della morte di
Faust, sia qui usato esplicitamente, come dominante, in funzione di fa maggiore, tonalità
della Trasfigurazione. A sua volta la tecnica ad incastro adoperata da Schumann può far
pensare a tre stadi di uno sviluppo altrettanto simmetrico, che riassume per l'ultima volta e
condensa le tre parti dell'opera: dal vuoto al pieno (figurativamente, dal basso verso l'alto)
nella prima parte; articolazione e movimento del "pieno" (anche nella ricchezza di mezzi e di
elementi linguistici quali contrappunto, ritmo e armonia) nella seconda parte; corrispondente
ritorno, "a specchio", dal pieno al vuoto (ossia dall'alto verso le altezze incommensurabili
delle sfere celesti, che si ripercuotono anche in basso) nella terza parte. Se la pausa
"musicale" e la frantumazione del testo a minimi incisi ribattuti sono gli elementi strutturali
della chiusa, l'ultima intonazione del verso finale ormai non «trae verso l'alto» ma si spegne
in pianissimo nella tessitura grave, mentre violini e viole tratteggiano un tenue arabesco
discendente per raggiungere, sul pedale dei bassi, le note della triade di fa maggiore. Da
ultimo, il vuoto silenzio. E non appare dubbio che il silenzio verso cui l'opera tende fosse
sentito da Schumann come la perfezione raggiunta con l'opera, al di là dell'opera.
Sergio Sablich
www,wikipedia.org
Robert Schumann
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Robert Alexander Schumann (Zwickau, 8 giugno 1810 – Endenich, 29 luglio 1856) è stato un
compositore, pianista e critico musicale tedesco. È da molti considerato come l'iniziatore e
insieme uno dei più grandi compositori di musica romantica. Infatti si fa risalire il
Romanticismo musicale alle sue prime composizioni pianistiche, pubblicate nel 1830. La sua
musica riflette la natura profondamente individualista del Romanticismo. Intellettuale ed
esteta, fu poco compreso in vita, ma la sua musica è oggi considerata audacemente originale
per l'armonia, il ritmo, la forma e per la rivoluzionaria tecnica pianistica.
Biografia
Le sue inclinazioni non erano solo verso la musica: egli subì anche l'influenza del padre,
August Schumann, un "homme de lettres", libraio e compositore di novelle. Con il fratello
gestiva la libreria e casa editrice "Gebrüder Schumann", a Zwickau, specializzata nella
pubblicazione in formato tascabile di narrativa, soprattutto inglese. "Ho sognato di affogare
nel Reno": Schumann annotò su un foglietto questo pensiero all'età di 19 anni.
Inconsapevolmente egli previde il suo destino, la vita che avrebbe trascorso in Renania, e
anche il tentativo di suicidio nel fiume. Schumann non poté coronare il sogno di diventare un
grande pianista a causa di esperimenti insensati a cui si sottopose per perfezionare la sua
tecnica pianistica durante l'inverno del 1831-1832. Questi esperimenti gli causarono la
perdita dell'uso del medio della mano destra.
Decise allora di dedicarsi alla composizione e nel 1831 apparvero le Variazioni Abegg, che
furono presto seguite da altri pezzi per pianoforte solo. Fece molti viaggi in Italia, a Brescia,
Milano, Venezia, e rimase affascinato dalle musiche italiane. Perse anche la madre e due dei
suoi fratelli, rimanendo per sempre turbato; scriveva con passione e secondo il suo umore e
stato d'animo, firmando talvolta i suoi lavori con pseudonimi, come "Eusebio" e
"Florestano". Introspettiva e spesso stravagante, la sua prima produzione è stata un tentativo
di rompere con la tradizione delle forme e delle strutture classiche, che considerava troppo
restrittive. Con le sue composizioni Schumann attrasse l'attenzione di molti e si trovò al
centro di una cerchia di giovani musicisti e appassionati di musica. Questo circolo, chiamato
Lega di David, fondò nel 1834 la rivista Neue Zeitschrift für Musik, rivista di progresso
musicale tuttora pubblicata, orientata a opporsi ai vecchi metodi di insegnamento, che
corrompevano il gusto e impedivano lo slancio dell'arte, e anche ad un certo dilettantismo
invadente; la Lega dei compagni di David lottava metaforicamente contro i filistei dell'arte.
Tra il 1835 e il 1844 Schumann redasse quasi da solo la rivista, scrivendo un gran numero di
articoli e studi, ma le sue prime composizioni non trovarono favore se non nella cerchia degli
amici, mentre per il grande pubblico risultavano troppo complesse. Innamoratosi della figlia
del suo maestro, Clara Wieck talentuosissima pianista e compositrice[1], ne chiese la mano,
ma Wieck si oppose al matrimonio con tutte le sue forze in quanto, pur riconoscendo
l'immenso talento di Robert, ne vedeva anche lo scarso equilibrio mentale e ne deplorava la
tendenza all'alcolismo. I due innamorati si sposarono soltanto il 12 settembre 1840, giorno
precedente al ventunesimo compleanno di Clara; i primi anni di matrimonio furono per
Schumann felicissimi e fecondi.
Schumann, che fino ad allora si era dedicato unicamente alle composizioni per pianoforte, si
dedicò alla composizione dapprima di Lieder, poi di musica sinfonica e da camera. Nel 1843
iniziò un periodo compositivo più vario, in cui però sono prevalenti le opere corali, la parte
più misconosciuta dell'opera di Schumann. Nel 1843 Felix Mendelssohn Bartholdy, che
aveva fondato il conservatorio di Lipsia, chiamò Schumann per insegnarvi, cosa che egli fece
per un anno, per poi dedicarsi a seguire la moglie in tournée in Russia e stabilirsi quindi a
Dresda e darsi totalmente alla composizione. Nel 1847 assunse la direzione del Liedertafel, la
locale società filarmonica, e nel 1848 fondò una società corale mista; nel 1850 fu chiamato a
Düsseldorf come direttore generale della musica.
Durante questo soggiorno si aggravarono i sintomi della sua instabilità mentale, già
manifestati in precedenza; soffriva di amnesie, di allucinazioni sonore, restava assorto per
ore, fino al punto da essere licenziato. Nel febbraio del 1854 tentò di suicidarsi gettandosi nel
Reno, fu salvato da barcaioli e successivamente internato nel manicomio di Endenich presso
Bonn. Là si trascinò ancora per due anni, appena rischiarati da fuggevoli lampi di lucidità,
sempre assistito da Brahms e da altri amici che andarono ripetutamente a trovarlo fino alla
morte. Clara lo rivide solo negli ultimi giorni di vita. I disturbi nervosi che accompagnarono
Schumann per lunghi anni della sua vita e della sua attività compositiva vengono attribuiti da
alcuni, compresi i suoi medici, a un'infezione di sifilide contratta molti anni prima della
morte.[2], È anche stato ipotizzato un tumore cerebrale (meningioma); invece secondo
un'ipotesi più accreditata e argomentata scientificamente, tale da suffragare pure l'ipotesi di
una base genetica per la sua famiglia, la patologia di cui soffriva è da attribuirsi alla malattia
maniaco-depressiva, altrimenti detta disturbo bipolare[3]. La morte sarebbe stata causata da
avvelenamento da mercurio, usato allora come trattamento per la sifilide da cui si credeva
affetto.[4]
Florestano ed Eusebio
"Antico detto: Qualunque sia l'età la gioia e il dolore sono mescolate: rimani fedele alla gioia
e sii pronto al dolore con coraggio": questa epigrafe introduceva la prima edizione delle
Davidsbündlertänze di Robert Schumann e poche altre frasi potevano riassumere in maniera
più esaustiva la personalità complessa, e a tratti contorta, di questo incredibile artista. La lega
dei fratelli di Davide (Davidsbündler, per l'appunto) era l'insieme di alcuni curiosi
personaggi, dai caratteri completamente diversi tra loro, che riassumevano tutte le
sfaccettature dell'animo romantico di Schumann: il cui unico denominatore comune era una
lotta a spada tratta contro il pensiero conservatore settecentesco dei “filistei” (così come
venivano chiamati i borghesi “parrucconi” e retrogradi dagli studenti dell'epoca, a cui
Schumann contrapponeva la figura di Davide, come nell'Antico Testamento).
L'idea di scomporre la propria personalità in vari personaggi non rappresentava certo una
novità schumanniana, ma trovava radici nella letteratura del primo Ottocento e, in
particolare, in Jean Paul, autore molto caro al giovane Robert. Nei caratteri opposti di
Eusebio e di Florestano, i due principali personaggi della lega, erano scisse anche le due
sfumature fondamentali del romanticismo.
Lo sdoppiamento della personalità di Schumann superava di gran lunga i limiti di una licenza
artistica e preludeva, infatti, a un'instabilità mentale che lo portò ad un tentativo di suicidio,
al ricovero in manicomio e ad una triste morte, oltre che ad una vita non propriamente felice.
Ma il concetto di due anime che convivono in una stessa personalità artistica e che, in modo
diverso, perseguono lo stesso ideale rappresenta un concetto fondamentale del romanticismo
ottocentesco.
Un dualismo che trova riferimenti in letteratura, nel pensiero, nella musica e nell'arte, oltre
che in un modello sociale, sempre in bilico tra compostezza pubblica e passione personale,
così ben espresso dai personaggi dei grandi romanzi del primo Ottocento, come ad esempio Il
rosso e il nero di Stendhal, o anche Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Musiche, poesie,
romanzi e opere d'arte partorite da personalità nelle quali la gioia e il dolore, citati
nell'epigrafe, convivono con pari dignità e con lo stesso peso nell'ispirazione artistica.
Composizioni
Schumann è uno dei compositori romantici per eccellenza; sostiene Antonio Rostagno che
«Heine nella letteratura e Schumann nella composizione intuiscono che un ciclo storico si è
concluso e che occorre una svolta radicale. In comune essi hanno la percezione di vivere e
operare “dopo” una frattura, “dopo” l’esaurimento di un ciclo; ma a differenza di molti
contemporanei, Schumann non trova facilmente il dialogo con la propria epoca e con la
nuova situazione sociale e culturale.[5]»
Le sue opere sono un esempio di passionalità focosa, e di sentimenti intimi, delicati, sensuali,
lacrimevoli, autunnali. Il suo stile, ricco di sfumature ma sempre chiaro e preciso nella
condotta delle parti, è espresso attraverso un uso dell'armonia assai personale, che, come
avviene per i suoi grandi contemporanei (in particolare Chopin e Liszt), si rende
immediatamente riconoscibile all'orecchio dell'ascoltatore, soprattutto nei piccoli e
numerosissimi brani per pianoforte per i quali è giustamente noto. Ed è forse in questi ultimi,
piuttosto che nelle sue pur mirabili grandi composizioni per orchestra e per strumento solista
e orchestra, che Schumann raggiunge la vetta più alta e più tipica della sua arte. Ad ogni
modo, sebbene a tratti strumentalmente imperfetta, la produzione orchestrale di Schumann,
compresa la tanto discussa opera Genoveva, occupa un posto fondamentale nella musica,
ponendosi come punto di riferimento dei canoni romantici, mirabili le quattro Sinfonie, non
meno di quanto avvenga per capolavori pianistici come il Carnaval, gli Studi sinfonici, le
dieci fughe e le Sonate. Compose anche grandi opere sinfonico-corali, come Das Paradies
und die Peri, Der Rose Pilgerfahrt, Manfred e Scene dal 'Faust' di Goethe.
Filmografia
Träumerei (1944) del regista tedesco Harald Braun, su sceneggiatura di Harald Braun e di
Herbert Witt, con Hilde Krahl (Clara Wieck), Mathias Wieman (Robert Schumann), Emil
Lohkamp (Franz Liszt) e Ulrich Haupt (Johannes Brahms), inedito in Italia e pressoché
invisibile da molti decenni.
Canto d'amore (tit. or. Song of Love; 1947; 118 min.) di Clarence Brown, film
hollywoodiano con Katharine Hepburn (Clara Wieck), Paul Henreid (Robert Schumann),
Rober Walker (Johannes Brahms) e Henry Daniell (Franz Liszt). La sceneggiatura deriva da
un testo teatrale di Bernard Schubert e Mario Silva. Le esecuzioni al pianoforte sono a cura
del direttore William Steinberg e del pianista Artur Rubinstein. Il racconto, dopo un breve
prologo intorno alle vicissitudini amorose dei giovani Robert e Clara, ostacolati dal futuro
suocero, si incentra sugli eventi del 1853-54, a partire dall'arrivo di Brahms a casa
Schumann. Il film, di stampo teatrale (girato quasi interamente in interni), è radicalmente
infedele alla realtà storico-musicale: gli autori sovrappongono ad essa banali invenzioni
sentimentali, rendendo il lavoro totalmente privo di interesse. Anziché raccontare il lento
precipitare nella follia del musicista - argomento peraltro adatto a uno sviluppo
cinematografico - si fantastica intorno all'amore impossibile del giovane Brahms per Clara,
lasciando in definitiva sullo sfondo la figura di Schumann. Altrettanto inesatti sono tutti i
riferimenti musicali: basti dire che Brahms si presenta a casa di Robert e Clara eseguendo la
Rapsodia op. 79 n. 2, un brano che risale al 1879 (ovvero a venticinque anni dopo gli eventi
raccontati nel film). Interessante notare invece che gli unici brani di Schumann ai quali si
concede un certo spazio (a parte l'immancabile Träumerei) sono il Carnaval op. 9 e il
Concerto per pianoforte: in questa mielosa pellicola - incredibilmente avara di attenzioni nei
confronti dell'arte del grande compositore - quanto meno si ricava la conferma che quei due
lavori schumanniani, alla metà del Novecento così come ancora oggi, sono quelli più amati
dal grande pubblico.
Sinfonia di primavera (tit. or. Frühlingssinfonie, 1983; 105 min.), film tedesco di Peter
Schamoni con Nastassja Kinski (Clara Wieck), Herbert Grönemeyer (Robert Schumann),
Rolf Hoppe (Friedrich Wieck) e André Heller (Felix Mendelssohn). Il titolo riprende quello
della prima sinfonia del compositore. Il pregevole film di Peter Schamoni, uno specialista del
documentario autore di validi lavori sui pittori Max Ernst e Caspar David Friedrich, offre un
ritratto di grande verosimiglianza intorno alle vicende biografie di Robert, Clara e Friedrich
Wieck nel periodo 1830-41 e va considerato come una delle migliori biografie musicali della
storia del cinema. Insolita coproduzione tra la Germania occidentale e quella dell'est, la
sceneggiatura, sempre di Schamoni, ricostruisce con puntigliosa precisione ambienti e figure,
ripercorrendo con attenta partecipazione il cammino artistico del giovane Schumann (le
numerose citazioni dal repertorio pianistico sono tutte appropriate) e spesso citando nei
dialoghi, in modo del tutto naturale, frasi note (tratte dalle lettere o dai diari) dei personaggi.
Il racconto si concentra sugli anni lipsiensi di Schumann, sul suo difficile rapporto con
Friedrich Wieck (un ottimo Hoppe) e sul travolgente amore per Clara. Nel fare ciò esso
inoltre ricrea, con encomiabile precisione, gli ambienti concertistici, gli accesi dibattiti
interni alla nuova generazione romantica, l'aspro conflitto con lo spietato Wieck, la
complessa situazione familiare di Clara (il freddo rapporto con la matrigna) e termina con le
nozze e l'esecuzione della Prima sinfonia schumanniana al Gewandhaus, sotto la direzione di
Mendelssohn.
Note
1 Quando si conobbero, Clara era già una giovane pianista affermatissima: ai suoi concerti
veniva addirittura Goethe; addirittura Nicolò Paganini suonò insieme a lei e le regalò delle
composizioni scritte ad hoc... In seguito, non solo Clara Wieck Schumann diverrà uno dei
pianisti più ricercati del suo tempo, ma proprio grazie ai quarant'anni - tanto ha vissuto, dopo
la morte di Robert - trascorsi in giro per l'Europa a fare concerti, nei quali ogni sera
proponeva, accanto a Chopin, Beethoven, eccetera, pure le musiche del "suo" Robert,
aumentò in tal modo la notorietà di Schumann fino al punto che, in Francia per esempio, i
diritti d'autore per l'esecuzione delle sue composizioni saranno maggiori rispetto a quasi tutti
i musicisti contemporanei.
2 Caspar Franzen: Qualen fürchterlichster Melancholie, Dtsch Arztebl 2006; 103(30):A
2027-9.
3 Kay Redfield Jamison, Toccato dal fuoco, in Saggistica TEA, 2ª ed., TEA S.p.A., 2013
[1993], ISBN 978-88-502-0649-0.
4 Jänisch W, Nauhaus G. "Autopsy report of the corpse of the composer Robert
Schumann: publication and interpretation of a rediscovered document", Zentralbl Allg Pathol
1986; 132: 129–36.
5 * Antonio Rostagno, Kreisleriana di Robert Schumann, Roma, NeoClassica, 2017, p. 9,
ISBN 978-88-9374-015-9.
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Schubert e Schumann, Effatà Editrice, Cantalupa, 2008, EAN: 9788874024094
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manicomio[collegamento interrotto], ISBN 978-88-7770-790-1, Spirali, Milano 2007
Luigi Ronga (cur.), Robert Schumann. La musica romantica, traduzione di Luigi Ronga,
edizioni SE, Milano, 2007, ISBN 88-7710-697-2 (ristampa; si tratta di una raccolta degli
scritti di critica musicale di Robert Schumann)
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Robert Schumann / Gli scritti critici, 2 volumi, Ricordi Lim, NR 135821
Franz Liszt, Robert e Clara Schumann, Passigli Editore
John Daverio, Robert Schumann. Araldo di una "nuova era poetica", a cura di Enrico
Maria Polimanti, Astrolabio, Roma, 2015, ISBN 978-88-340-1688-6