Lavori Fuori Capitolato

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LEZIONE 2

5. Illustrate il significato di deissi e presupposizione come segnali linguistici dell'oralità.

La lingua orale è fortemente caratterizzata dalla deissi e dalla presupposizione. La deissi si riferisce alla condivisione dello stesso
spazio e dello stesso tempo proprio della comunicazione verbale, ciò viene esplicitato attraverso l’utilizzo di avverbi come ieri, oggi,
qui, lì, questo, quello, o riferendosi alle persone coinvolte per esempio io, tu. La presupposizione è l’insieme delle conoscenze
comuni e pregresse tra i due attori di una conversazione, l’insieme di tutte quelle conoscenze che vengono date per scontate perché
appartenenti al bagaglio delle conoscenze comuni immagazzinate prima dell’inizio della conversazione. In quest’ottica un dialogo
non è nient’altro che una porzione di conversazione tra soggetti a cui si devono sommare tutte le conversazioni precedenti. Parlando
in termini pratici durante una conversazione verbale potremmo omettere il soggetto di un’azione o potremmo parlare di qualcosa che
sarebbe incomprensibile a chiunque non conosca determinate informazioni preliminari date per scontate. Parlando con un caro amico
potrei dire ad esempio “lei se n’è andata”, senza dare ulteriori spiegazioni quel caro amico capirebbe a chi mi sto riferendo e le
ragioni per cui “lei” è andata via.

Lingua orale/lingua scritta, scritti di carattere pratico/scritti letterari

La comunicazione attraverso la lingua orale è avvantaggiata da una serie di fattori che facilitano lo scambio di informazioni tra due
interlocutori. Quando comunichiamo verbalmente mettiamo in moto anche altri tipi di linguaggio: quello mimico che riguarda le
informazioni inviate dalle espressioni del nostro volto, quello gestuale che riguarda le informazioni che inviamo attraverso i gesti
delle nostre mani, e quello prossemico che si riferisce alle informazioni che trasmettiamo a seconda della distanza che stabiliamo con
il nostro interlocutore. Ad avvantaggiare la comunicazione verbale, intervengono anche altri fattori prettamente linguistici: la
presupposizione e la deissi, assenti nella lingua scritta. La deissi si riferisce alla condivisione dello stesso spazio e dello stesso tempo
propria della comunicazione verbale, ciò viene esplicitato attraverso l’utilizzo di avverbi come ieri, oggi, qui, lì, questo, quello, o
riferendosi alle persone coinvolte per esempio io, tu. La presupposizione è l’insieme delle conoscenze comuni e pregresse tra i due
attori di una conversazione, l’insieme di tutte quelle conoscenze che vengono date per scontate perché appartenenti al bagaglio delle
conoscenze comuni immagazzinate prima dell’inizio della conversazione. In quest’ottica un dialogo non è nient’altro che una
porzione di conversazione tra soggetti a cui si devono sommare tutte le conversazioni precedenti. Parlando in termini pratici durante
una conversazione verbale potremmo omettere il soggetto di un’azione o potremmo parlare di qualcosa che sarebbe incomprensibile
a chiunque non conosca determinate informazioni preliminari date per scontate. Parlando con un caro amico potrei dire ad esempio
“lei se n’è andata”, senza dare ulteriori spiegazioni quel caro amico capirebbe a chi mi sto riferendo e le ragioni per cui “lei” è andata
via.
Si definisce scritto di carattere pratico il testo che esaurisce la sua funzione nel momento e nel luogo della sua redazione (es. uno
statuto, trattato di pace,un atto pubblico) e che ha dei destinatari facilmente individuabili. Nello scritto letterario il destinatario è
indefinito poichè l'emittente può anche aver individuato un destinatario diretto o immaginare un destinatario più generico, ossia un
pubblico ma non avrà mai un’idea precisa di chi sarà il fruitore della propria produzione letteraria. nel testo letterario l’autore non si
limita a comunicare delle informazioni, ma trasferisce una parte di sé, ovvero le sue intenzioni.

6. Indicare i tratti distintivi nell'opposizione lingua orale/lingua scritta.

La comunicazione attraverso la lingua orale è avvantaggiata da una serie di fattori che facilitano lo scambio di informazioni tra due
interlocutori. Quando comunichiamo verbalmente mettiamo in moto anche altri tipi di linguaggio: quello mimico che riguarda le
informazioni inviate dalle espressioni del nostro volto, quello gestuale che riguarda le informazioni che inviamo attraverso i gesti
delle nostre mani, e quello prossemico che si riferisce alle informazioni che trasmettiamo a seconda della distanza che stabiliamo con
il nostro interlocutore. Ad avvantaggiare la comunicazione verbale, intervengono anche altri fattori prettamente linguistici: la
presupposizione e la deissi assenti nella lingua scritta. La deissi si riferisce alla condivisione dello stesso spazio e dello stesso tempo
propria della comunicazione verbale, ciò viene esplicitato attraverso l’utilizzo di avverbi come ieri, oggi, qui, lì, questo, quello, o
riferendosi alle persone per esempio io, tu. La presupposizione è l’insieme delle conoscenze comuni e pregresse tra i due attori di una
conversazione, l’insieme di tutte quelle conoscenze che vengono date per scontate perché appartenenti al bagaglio delle conoscenze
comuni immagazzinate prima dell’inizio della conversazione. In quest’ottica un dialogo non è nient’altro che una porzione di
conversazione tra soggetti a cui si devono sommare tutte le conversazioni precedenti. Parlando in termini pratici durante una
conversazione verbale potremmo omettere il soggetto di un’azione o potremmo parlare di qualcosa che sarebbe incomprensibile a
chiunque non conosca determinate informazioni preliminari date per scontate. Parlando con un caro amico potrei dire ad esempio “lei
se n’è andata”, senza dare ulteriori spiegazioni quel caro amico capirebbe a chi mi sto riferendo e le ragioni per cui “lei” è andata via.
La lingua scritta invece richiede maggiore riflessione sulle strategie enunciative. L’assenza di condivisione o la minore condivisione
di conoscenze pregresse impone allo scrittore di dover supplire dando quante più informazioni possibili e di agire preventivamente
non potendo conoscere le reazioni del proprio interlocutore. Diremo che manca allo scritto la possibilità di retroazione, per cui non
sarà possibile per lo scrittore aggiustare il tiro, correggersi, modificare il proprio prodotto o il modo di pensare che lo ha generato. lo
scrittore consapevole dell’handicap di non poter utilizzare nel linguaggio scritto altri linguaggi non verbali e di non poter sfruttare
appieno la presupposizione e la deissi, deve pianificare la formulazione linguistica avendo la possibilità, data la non estemporaneità
dello scritto, di organizzare meglio la sintassi ed il proprio lessico evitando fraintendimenti ed incomprensioni. Il letterato agisce
quindi in maniera diversa sia sull’ asse sintagmatico (ovvero asse orizzontale della selezione tra tutte le possibili parole utilizzabili
per esprimere lo stesso significato in una lingua) e paradigmatico (asse verticale della combinazione tra loro delle parole che
compongono un discorso.

I testi analizzati dal punto di vista linguistico durante il corso sono testi scritti di carattere letterario: in che modo questa
scelta condiziona l'analisi linguistica?
Quando parliamo di testi scritti dobbiamo fare una grande distinzione tra testi di carattere pratico e testi letterari. Si definisce scritto
di carattere pratico il testo che esaurisce la sua funzione nel momento e nel luogo della sua redazione (es. uno statuto, trattato di
pace,un atto pubblico) e che ha dei destinatari facilmente individuabili oltre ad avere un lessico adatto alla specifica funzione ed al
destinatario individuato.
Nello scritto letterario il destinatario è indefinito poichè l'emittente può anche aver individuato un destinatario diretto o immaginare
un destinatario più generico, ossia un pubblico, ma non avrà mai un’idea precisa di chi sarà il fruitore della propria produzione
letteraria. nel testo letterario l’autore non si limita a comunicare delle informazioni, ma trasferisce una parte di sé, ovvero le sue
intenzioni. testi scritti di carattere letterario in prosa dal Duecento al Settecento abbracciano un’ ampia tipologia di testi con
differenti strategie testuali e ‘linguistiche’ che includono testi di carattere precettistico e didascalico, o narrativo, o argomentativo e
scientifico, o epistolare e così via, ciascuno dei quali è inseribile in generi che man mano vanno prendendo forma all’interno
dell’evoluzione della storia letteraria italiana. Quanto più i testi saranno recenti tanto più avanzeranno lungo l’evoluzione storica
della lingua e della letteratura italiana, cioè quanto più la tradizione prenderà corpo e autonomia nazionale, i condizionamenti letterari
di genere si faranno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri e scelte (sia di tipo linguistico sia stilistico) ormai non più
imputabili esclusivamente all’autonoma scelta dell’autore, perché sempre più condizionata dal ‘genere’ letterario e dal canone di testi
che in quel ‘genere’ sono stati redatti fino ad allora e dalla possibile possibilità di emulare testi già esistenti per non disattendere le
aspettative del lettore.

LEZIONE 3

6. Illustrate le dicotomie saussuriane: sincronia / diacronia, asse paradigmatico / asse sintagmatico.

Ferdinando Saussure introdusse concetti che portano alla distinzione linguistica tra asse sintagmatico e asse paradigmatico della
lingua. Quando comunichiamo compiano più o meno inconsciamente una serie di scelte su due assi differenti, un asse verticale detto
paradigmatico attraverso il quale il parlante o lo scrivente sceglie tra elementi linguistici, parole differenti, legate tra loro da un
rapporto associativo, dall’appartenenza ad una categoria intercambiabile, (es: madre, genitore, mamma). Tali parole prescelte
vengono poi disposte dal parlate/scrittore su di un asse orizzontale detto sintagmatico in una sequenza condizionata dalle scelte
operate che da forma al discorso. La lingua scritta e quella orale hanno un diverso modo di combinare gli elementi. La lingua orale
attua la selezione e la combinazione con una coerenza inferiore rispetto a quella scritta, perché influenzata dalla deissi e dalla
presupposizione, nonché dal carattere di estemporaneità. La lingua orale presuppone un rapporto tra locutore e interlocutore o di
sincronia (contemporaneità) e/o di isotopia (condivisione di uno stesso spazio). Queste due condizioni mancano nella lingua scritta
influenzandone la produzione. Saussure, inoltre, distingue nello studio della lingua due livelli di analisi: un’analisi sincronica (che
prescinde dal fattore tempo) e un’analisi diacronica, ovvero un’analisi che tiene conto del cambiamento della lingua nel tempo e della
sua evoluzione.

Definite e contestualizzate i livelli di analisi diafasico, diamesico, diastratico, diatopico

Eugenio Coseriu introdusse in linguistica un nuovo metodo analitico che concepisce la lingua non come qualcosa di fermo e statico
ma come un sistema mobile e in continua evoluzione.
Possiamo individuare diversi criteri di analisi, di fattori che influenzano la produzione linguistica secondo la terminologia coniata da
Coseriu. Asse di variazione DIAMESICO, riguarda il mezzo impiegato per comunicare (ad esempio la differenza tra scritto ed orale)
Asse di variazione DIASTRATICO, riguarda le variabili di tipo sociale, legate all’appartenenza ad una determinata classe o gruppo
sociale(per esempio la differenza nel linguaggio tra un avvocato appartenente ad una famiglia benestante ed un operaio appartenente
ad una famiglia umile). Asse di variazione DIATOPICO, riguarda le variazioni nello spazio (ad esempio la differenza nel linguaggio
tra un persona nata e cresciuta nel sud Italia ed una nata e cresciuta nel nord Italia). Asse di variazione DIAFASICO, riguarda i
fattori del linguaggio influenzati dalla situazione comunicativa, dalla funzione del messaggio e dal contesto in cui avviene la
comunicazione.

7. Livelli di analisi linguistica (assi di variazione) nella teoria di Coseriu


Eugenio Coseriu introdusse in linguistica un nuovo metodo analitico che concepisce la lingua non come qualcosa di fermo e statico
ma come un sistema mobile e in continua evoluzione.

Possiamo individuare diversi criteri di analisi, di fattori che influenzano la produzione linguistica secondo la terminologia coniata da
Coseriu. Asse di variazione DIAMESICO, riguarda il mezzo impiegato per comunicare (ad esempio la differenza tra scritto ed orale)
Asse di variazione DIASTRATICO, riguarda le variabili di tipo sociale, legate all’appartenenza ad una determinata classe o gruppo
sociale(per esempio la differenza nel linguaggio tra un avvocato appartenente ad una famiglia benestante ed un operaio appartenente
ad una famiglia umile). Asse di variazione DIATOPICO, riguarda le variazioni nello spazio (ad esempio la differenza nel linguaggio
tra un persona nata e cresciuta nel sud Italia ed una nata e cresciuta nel nord Italia). Asse di variazione DIAFASICO, riguarda i
fattori del linguaggio influenzati dalla situazione comunicativa, dalla funzione del messaggio e dal contesto in cui avviene la
comunicazione. Per Coseriu un qualunque messaggio linguistico è sempre prodotto in una determinata varietà di lingua e ha una sua
collocazione in ognuna di queste dimensioni.

8. Elencare e descrivere i livelli di analisi linguistica utilizzati nella teoria variazionistica di Coseriu.

Eugenio Coseriu introdusse in linguistica un nuovo metodo analitico che concepisce la lingua non come qualcosa di fermo e statico
ma come un sistema mobile e in continua evoluzione.

Possiamo individuare diversi criteri di analisi, di fattori che influenzano la produzione linguistica secondo la terminologia coniata da
Coseriu. Asse di variazione DIAMESICO, riguarda il mezzo impiegato per comunicare (ad esempio la differenza tra scritto ed orale)
Asse di variazione DIASTRATICO, riguarda le variabili di tipo sociale, legate all’appartenenza ad una determinata classe o gruppo
sociale(per esempio la differenza nel linguaggio tra un avvocato appartenente ad una famiglia benestante ed un operaio appartenente
ad una famiglia umile). Asse di variazione DIATOPICO, riguarda le variazioni nello spazio (ad esempio la differenza nel linguaggio
tra un persona nata e cresciuta nel sud Italia ed una nata e cresciuta nel nord Italia). Asse di variazione DIAFASICO, riguarda i
fattori del linguaggio influenzati dalla situazione comunicativa, dalla funzione del messaggio e dal contesto in cui avviene la
comunicazione. Per Coseriu un qualunque messaggio linguistico è sempre prodotto in una determinata varietà di lingua e ha una sua
collocazione in ognuna di queste dimensioni.
10. Illustrate in termini oppositivi i livelli diafasico e diastratico.

Il livello diastratico riguarda le variabili di tipo sociale, legate all’appartenenza ad una determinata classe o gruppo sociale. Vengono
presi in considerazione fattori quali il livello di istruzione del parlante, l’età, il sesso, la posizione economica, la professione svolta
etc. (per esempio la differenza nel linguaggio tra un avvocato appartenente ad una famiglia benestante ed un operaio appartenente ad
una famiglia umile). il livello diafasico riguarda i fattori del linguaggio influenzati dalla situazione comunicativa, dalla funzione del
messaggio e dal contesto in cui avviene la comunicazione. Molte variabili significative sull’asse Diastratico son altrettanto
significative sull’asse diafasico, ad esempio le varianti utilizzate dai gruppi che si collocano più in basso nella scala sociale sono
anche quelle più usate nelle situazioni di minore formalità e, viceversa, le varianti linguistiche utilizzate dai gruppi sociali più alti
sono anche quelle più usate in situazioni di formalità. I due assi della comunicazione quindi, seppur indipendenti, risultano essere
connessi tra loro. Indipendentemente dalle scelte di tipo diastatico, cio che caratterizza la lingua letteraria è la scelta della situazione
comunicativa che si attua a livello diafasico, ovvero dalla funzione del messaggio e dal contesto

Lezione 4

3. Stile: storia di una parola

Lo stile è quel modo attraverso il quale l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e dell’uso letterario introducendovi
volontariamente degli elementi che non le sono propri. In altre parole lo stile si può definire come il risultato di una selezione, di
inclusioni (o esclusioni) compiute dal parlante o dallo scrivente all’interno della varietà linguistica che gli è propria, dallo ‘scarto’
compiuto nei confronti dei modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard. Possiamo quindi dedurre che lo stile può essere
definito solo per comparazione con modelli esistenti. Questo è almeno la definizione che potremmo dare ai giorni nostri. Tuttavia la
parola stile ha assunto significati diversi nel corso della storia della nostra lingua.

La parola stile risale al 200 ma se ne inizia a fare un uso più frequente dal 300 in poi. Stile ha, fin dal Trecento, tre significati diversi
di cui quello retorico non è il prevalente: 1) ‘modo di comportarsi secondo un’abitudine inveterata’, ovvero come diremmo oggi lo
stile di vita. 2) ‘stilo’ con cui i pittori incidono su un supporto duro 3) ‘modo di scrivere’,di comporre letterariamente, concetto nostro
di stile.

I momenti in cui l’uso è più marcato sono il 500, soprattutto in riferimento alla poesia, periodo di massima popolarità della poetica
Petrarchesca, e l’800, soprattutto in riferimento alla prosa.

Nel periodo medievale il concetto di stile é ampliato in riferimento a veri e propri generi letterari che vanno via via nascendo, Si
diffonde l’idea che lo stile debba adeguarsi alla materia trattata e si costituisce una vera e propria gerarchia tra gli stili. Questa
concezione di stile che ricorda la ruota di Virgilio, raggiunge il suo apice nel 500. secondo Tasso ad esempio lo stile doveva
adeguarsi alla materia trattata (ad esempio l’epica per il proprio contenuto aulico doveva avere uno stile magnifico, lo stesso stile che
contrassegnò la sua “Gerusalemme Liberata”).

Nell’ottocento durante il periodo romantico nasce una nuova concezione di stile come espressione individuale dell’autore che quindi
deve liberarsi dalle forme e dai canoni preesistenti di stampo classico, e deve creare un suo linguaggio che rappresenti l’espressione
dei propri sentimenti. in tal senso potrebbe citarsi la definizione di stile di Ugo Foscolo che rivendica l’unicità di ogni personalità e
dice che non è possibile insegnare lo stile tramite i modelli classici. Secondo Foscolo la vera sostanza dello stile consiste nel modo di
esprimere i pensieri, i sentimenti, le emozioni che essendo individuali e soggettive non possono essere esternate allo stesso modo da
tutti gli autori. Impadronirsi dello stile di altri autori sarebbe come indossare abiti di una taglia diversa dalla propria. Oggi crediamo
che la maggiore o minore fortuna di un autore possa fare in modo che altri autori lo abbraccino fino a trasformare lo stile da un fatto
privato ad un fatto collettivo, ciò ci consente di integrare al significato moderno, ottocentesco (stile come fatto privato) a quello
antico (stile inteso come insieme di tratti condivisi).

4. Lingua e stile: quali dinamiche intercorrono in via generale fra questi due concetti?

Possiamo immaginare la lingua come un dizionario virtuale condiviso da cui attingono tutti gli appartenenti ad un determinato
gruppo. Ogni persona che condivide la lingua con la collettività ha un suo idioletto. Per idioletto intendiamo una selezioni di vocaboli
che tendiamo ad utilizzare più di frequente tra quelli messi a disposizione dalla lingua. Nella lingua letteraria Lo scrittore è, tuttavia,
inserito in un sistema altamente formalizzato, all’interno del quale opera scelte non necessariamente coincidenti con il proprio
idioletto di uso comune , con quelle scelte che opera per gli atti linguistici orali o per gli scritti di carattere pratico. L’autore
contemporaneo nello scrivere aderisce più o meno ai canoni di stile dettati dagli scritti a lui precedenti dello stesso genere a cui può
decidere di ispirarsi e che può prendere come modelli. Ed è proprio in questa comparazione che possiamo leggere in concetto di stile
come risultato di una selezione, di inclusioni (o esclusioni) compiute dal parlante o dallo scrivente all’interno della varietà linguistica
che gli è propria, dallo ‘scarto’ compiuto nei confronti dei modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard. Lo stile è quel
modo attraverso il quale l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e dell’uso letterario introducendovi volontariamente
degli elementi che non le sono propri. Lo stile non può essere definito senza il concetto di lingua, se non alla luce della lingua
“normale”, quella socialmente condivisa, la lingua d’uso, dalla quale il parlante/scrittore con il suo stile si adegua o si distanzia.

5. Inserite il concetto di stile all'interno della dicotomia saussuriana fra langue e parole

Saussure distingue tra i termini francesi langue e parole. La parole è il mezzo attraverso il quale un soggetto utilizza la langue per
comunicare, un atto di fonazione personale utilizzato per comunicare. La langue è da immaginarsi come un dizionario virtuale
condiviso , un repertorio, a cui attingono tutti gli appartenenti ad una determinata società nell’atto di produzione della parole. Ne
consegue che la langue è l’insieme, il repertorio, creato da tutti i singoli atti di parole, e che la parole a sua volte attinge al repertorio
della langue. Quindi nella dicotomia Saussuriana i due concetti sono connessi tra loro ed interdipendenti. La lingua è necessaria
perché la parola produca i suoi effetti così come la parola è indispensabile perché la lingua si definisca. La lingua di uno scrittore è
anch’essa un atto di parole. Lo scrittore si inserisce nella dicotomia tra standard (norma), dettata dalla produzione letteraria esistente,
e l’insieme delle selezioni e scarti che compie dallo standard nella sua produzione personale.Lo stile è quel modo attraverso il quale
l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e dell’uso letterario introducendovi volontariamente degli elementi che non le
sono propri. Possiamo quindi dedurre che lo stile può essere definito solo per comparazione con modelli esistenti.

6. Sintassi e stile: illustrarne il rapporto all'interno di uno dei testi analizzati durante il corso. DA rivedere

Lo stile è quel modo attraverso il quale l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e dell’uso letterario introducendovi
volontariamente degli elementi che non le sono propri. In altre parole lo stile si può definire come il risultato di una selezione, di
inclusioni (o esclusioni) compiute dal parlante o dallo scrivente all’interno della varietà linguistica che gli è propria, dallo ‘scarto’
compiuto nei confronti dei modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard. Possiamo quindi dedurre che lo stile può essere
definito solo per comparazione con modelli esistenti.

Parliamo di sintassi quando ci riferiamo della combinazione di parole in frasi e discorsi o della struttura delle frasi stesse.

7. Proponete una definizione di stile e tracciate in sintesi l'evoluzione del concetto.

Lo stile è quel modo attraverso il quale l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e dell’uso letterario introducendovi
volontariamente degli elementi che non le sono propri. In altre parole lo stile si può definire come il risultato di una selezione, di
inclusioni (o esclusioni) compiute dal parlante o dallo scrivente all’interno della varietà linguistica che gli è propria, dallo ‘scarto’
compiuto nei confronti dei modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard. Possiamo quindi dedurre che lo stile può essere
definito solo per comparazione con modelli esistenti. Questo è almeno la definizione che potremmo dare ai giorni nostri. Tuttavia la
parola stile ha assunto significati diversi nel corso della storia della nostra lingua.

La parola stile risale al 200 ma se ne inizia a fare un uso più frequente dal 300 in poi. Stile ha, fin dal Trecento, tre significati diversi
di cui quello retorico non è il prevalente: 1) ‘modo di comportarsi secondo un’abitudine inveterata’, ovvero come diremmo oggi lo
stile di vita. 2) ‘stilo’ con cui i pittori incidono su un supporto duro 3) ‘modo di scrivere’, con significato però molto generico.

I momenti in cui l’uso è più marcato sono il 500, soprattutto in riferimento alla poesia, in quanto periodo di massima popolarità della
poetica Petrarchesca, e l’800 soprattutto in riferimento alla prosa.

Nel periodo medievale il concetto di stile e ampliato in riferimento a veri e propri generi letterari che vanno via via nascendo, Si
diffonde l’idea che lo stile debba adeguarsi alla materia trattata e si costituisce una vera e propria gerarchia tra gli stili. Questa
concezione di stile che ricorda la ruota di Virgilio, raggiunge il suo apice nel 500. secondo Tasso ad esempio lo stile doveva
adeguarsi alla materia trattata (ad esempio l’epica per il proprio contenuto aulico doveva avere uno stile magnifico, lo stesso stile che
contrassegnò la sua “Gerusalemme Liberata”).

Nell’ottocento durante il periodo romantico nasce una nuova concezione di stile come espressione individuale dell’autore che quindi
deve liberarsi dalle forme e dai canoni preesistenti di stampo classico, e deve creare un suo linguaggio che rappresenti l’espressione
dei propri sentimenti. in tal senso potrebbe citarsi la definizione di stile di Ugo Foscolo che rivendica l’unicità di ogni personalità e
dice che non è possibile insegnare lo stile tramite i modelli classici. Secondo Foscolo la vera sostanza dello stile consiste nel modo di
esprimere i pensieri, i sentimenti, le emozioni che essendo individuali e soggettive non possono essere esternate allo stesso modo da
tutti gli autori. Impadronirsi dello stile di altri autori sarebbe come indossare abiti di una taglia diversa dalla propria. Oggi crediamo
che la maggiore o minore fortuna di un autore possa fare in modo che altri autori lo abbraccino fino a trasformare lo stile da un fatto
privato ad un fatto collettivo, ciò ci consente di integrare al significato moderno, ottocentesco (stile come fatto privato) a quello
antico (stile inteso come insieme di tratti condivisi).

LEZIONE 7

5. Illustrate i momenti e le figure principali della nascita della stilistica

Il concetto moderno di stilistica, così come la intendiamo oggi, nasce tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Tale concetto nasce in sovrapposizione alla stilistica che per tanti anni venne insegnata nelle scuole, che era intesa come l’arte dello
scrivere bene secondo rigidi schemi classicistici di appartenenza a stili e generi. L’attenzione posta dal Romanticismo nei confronti
dell’individualità nello stile in contrapposizione all’imitazione e all’adesione a rigidi schemi che sopprimono l’espressione personale,
coadiuvata da una critica letteraria sbilanciata verso l’interpretazione del contenuto e non della forma portarono ad una perdita di
interesse nei confronti della stilistica di stampo, classico che fu inizialmente soppressa e per un secolo lasciata senza un sostituto. Le
idee romantiche avevano favorito tra l’altro la nascita della linguistica come scienza autonoma, soggiacente a regole fisse e stabili, la
cui variabilità era vista solo in termini diacronici. Perché nascesse una nuova stilistica era necessario nascesse una nuova concezione
della linguistica. Tale visione meccanicistica fu messa in discussione da Ferdinand de Suassure sul versante linguistico e da
Benedetto Croce su quello filosofico (idealismo).
Dalla scuola di Suassure nasce la stilistica descrittiva di Bally, suo allievo, che crede che la lingua abbia come scopo principale
quello di comunicare e non sia riducibile unicamente al pensiero razionale dell’uomo ma che veicoli anche i suoi stati d’animo, le sue
emozioni. Ciascun parlante esprime a suo modo i propri stati d’animo effettuando scelte stilistiche dal bagaglio di opzioni specifiche
messe a disposizione da una lingua. Quindi per Bally la stilistica studia il modo attraverso il quale l’uomo esprime la sua sensibilità
interiore attraverso il linguaggio, linguaggio che a sua volta agisce sulla sensibilità personale. Un altro importante linguista che
collaborò alla nascita di una nuova stilistica fu karl Vossler, che ispirandosi alla filosofia di Croce e alle idee della linguistica di
Humboldt, diede vita alla stilistica interpretativa o genetica. Per Vossler dalle caratteristiche di un espressione linguistica propria di
un autore il critico può risalire alla sua genesi interiore, poichè la forma esteriore della lingua (il linguaggio inteso in termini
meccanici) e la forma interiore (il modo di vedere le cose di ognuno di noi) sono strettamente collegati ed interdipendenti.
La stilistica interpretativa o genetica di Vossler e la stilistica descrittiva di Ballysono state poi legate l’una all’altra da Leo Spitzer.
Per Spitzer attraverso l’analisi del testo letterario è possibile mettere in evidenza degli elementi caratterizzanti che rendono la lingua
dell’autore singolare rispetto alla lingua del suo tempo, ovvero rispetto ai modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard.
Spitzer chiamava questi elementi caratterizzanti di un autore “etimo spirituale”. L’individuazione dell’“etimo spirituale” da parte del
critico (una sorta di ipotesi di lavoro) veniva poi verificata di nuovo sul testo, alla ricerca di altri ‘segnali’, “spie” che alleandosi a
quel primo elemento caratterizzante, consentivano di emettere una e una sola diagnosi interpretativa di carattere critico. Lo stile
quindi, nella visione di Spitzer è il frutto del lavoro pianifico di scarto tra le scelte linguistiche che un autore ha a disposizione e che
rappresentano lo standard/norma. A qualsiasi emozione, ossia a qualsiasi allontanamento dal nostro stato psichico normale,
corrisponde un allontanamento dall’uso linguistico normale e, viceversa, un allontanamento dal linguaggio usuale è indizio di uno
stato psichico paticolare. Una particolare espressione linguistica è il riflesso di una particolare condizione interiore.

6. Illustrate la posizione teorico e il metodo stilistico di Leo Spitzer.

Il concetto moderno di stilistica, così come la intendiamo oggi, nasce tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Tale concetto nasce in sovrapposizione alla stilistica che per tanti anni venne insegnata nelle scuole, che era intesa come l’arte dello
scrivere bene secondo rigidi schemi classicistici di appartenenza a stili e generi. L’attenzione posta dal Romanticismo nei confronti
dell’individualità nello stile in contrapposizione all’imitazione e all’adesione a rigidi schemi che sopprimono l’espressione personale,
coadiuvata da una critica letteraria sbilanciata verso l’interpretazione del contenuto e non della forma portarono ad una perdita di
interesse nei confronti della stilistica di stampo, classico che fu inizialmente soppressa e per un secolo lasciata senza un sostituto. Le
idee romantiche avevano favorito tra l’altro la nascita della linguistica come scienza autonoma, soggiacente a regole fisse e stabili, la
cui variabilità era vista solo in termini diacronici. Perché nascesse una nuova stilistica era necessario nascesse una nuova concezione
della linguistica. Tale visione meccanicistica fu messa in discussione da Ferdinand de Suassure sul versante linguistico e da
Benedetto Croce su quello filosofico (idealismo).
Dalla scuola di Suassure nasce la stilistica descrittiva di Bally, suo allievo, che crede che la lingua abbia come scopo principale
quello di comunicare e non sia riducibile unicamente al pensiero razionale dell’uomo ma che veicoli anche i suoi stati d’animo, le sue
emozioni. Ciascun parlante esprime a suo modo i propri stati d’animo effettuando scelte stilistiche dal bagaglio di opzioni specifiche
messe a disposizione da una lingua. Quindi per Bally la stilistica studia il modo attraverso il quale l’uomo esprime la sua sensibilità
interiore attraverso il linguaggio, linguaggio che a sua volta agisce sulla sensibilità personale. Un altro importante linguista che
collaborò alla nascita di una nuova stilistica fu karl Vossler, che ispirandosi alla filosofia di Croce e alle idee della linguistica di
Humboldt, diede vita alla stilistica interpretativa o genetica. Per Vossler dalle caratteristiche di un espressione linguistica propria di
un autore il critico può risalire alla sua genesi interiore, poichè la forma esteriore della lingua (il linguaggio inteso in termini
meccanici) e la forma interiore (il modo di vedere le cose di ognuno di noi) sono strettamente collegati ed interdipendenti.
La stilistica interpretativa o genetica di Vossler e la stilistica descrittiva di Ballysono state poi legate l’una all’altra da Leo Spitzer.
Per Spitzer attraverso l’analisi del testo letterario è possibile mettere in evidenza degli elementi caratterizzanti che rendono la lingua
dell’autore singolare rispetto alla lingua del suo tempo, ovvero rispetto ai modelli esistenti che costituirebbero la norma/standard.
Spitzer chiamava questi elementi caratterizzanti di un autore “etimo spirituale”. Secondo le idee si Spitzer quindi, L’individuazione
dell’“etimo spirituale” da parte del critico (una sorta di ipotesi di lavoro) veniva poi verificata di nuovo sul testo, alla ricerca di altri
‘segnali’, “spie” che alleandosi a quel primo elemento caratterizzante, consentivano di emettere una e una sola diagnosi interpretativa
di carattere critico. Lo stile quindi, nella visione di Spitzer è il frutto del lavoro pianifico di scarto tra le scelte linguistiche che un
autore ha a disposizione e che rappresentano lo standard/norma. A qualsiasi emozione, ossia a qualsiasi allontanamento dal nostro
stato psichico normale, corrisponde un allontanamento dall’uso linguistico normale e, viceversa, un allontanamento dal linguaggio
usuale è indizio di uno stato psichico paticolare. Una particolare espressione linguistica è il riflesso di una particolare condizione
interiore.

7. La stilistica descrittiva di Bally e la stilistica genetica di Karl Vossler.


Il concetto moderno di stilistica, così come la intendiamo oggi, nasce tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Tale concetto nasce in sovrapposizione alla stilistica che per tanti anni venne insegnata nelle scuole, che era intesa come l’arte dello
scrivere bene secondo rigidi schemi classicistici di appartenenza a stili e generi. L’attenzione posta dal Romanticismo nei confronti
dell’individualità nello stile in contrapposizione all’imitazione e all’adesione a rigidi schemi che sopprimono l’espressione personale,
coadiuvata da una critica letteraria sbilanciata verso l’interpretazione del contenuto e non della forma portarono ad una perdita di
interesse nei confronti della stilistica di stampo, classico che fu inizialmente soppressa e per un secolo lasciata senza un sostituto. Le
idee romantiche avevano favorito tra l’altro la nascita della linguistica come scienza autonoma, soggiacente a regole fisse e stabili, la
cui variabilità era vista solo in termini diacronici. Perché nascesse una nuova stilistica era necessario nascesse una nuova concezione
della linguistica. Tale visione meccanicistica fu messa in discussione da Ferdinand de Suassure sul versante linguistico e da
Benedetto Croce su quello filosofico (idealismo).
Dalla scuola di Suassure nasce la stilistica descrittiva di Bally, suo allievo, che crede che la lingua abbia come scopo principale
quello di comunicare e non sia riducibile unicamente al pensiero razionale dell’uomo ma che veicoli anche i suoi stati d’animo, le sue
emozioni. Ciascun parlante esprime a suo modo i propri stati d’animo effettuando scelte stilistiche dal bagaglio di opzioni specifiche
messe a disposizione da una lingua. Quindi per Bally la stilistica studia il modo attraverso il quale l’uomo esprime la sua sensibilità
interiore attraverso il linguaggio, linguaggio che a sua volta agisce sulla sensibilità personale. Un altro importante linguista che
collaborò alla nascita di una nuova stilistica fu karl Vossler, che ispirandosi alla filosofia di Croce e alle idee della linguistica di
Humboldt, diede vita alla stilistica interpretativa o genetica. Per Vossler dalle caratteristiche di un espressione linguistica propria di
un autore il critico può risalire alla sua genesi interiore, poichè la forma esteriore della lingua (il linguaggio inteso in termini
meccanici) e la forma interiore (il modo di vedere le cose di ognuno di noi) sono strettamente collegati ed interdipendenti.

LEZIONE 8
2. Descrivete il fenomeno dell'anafonesi

L'anafonesi è un fenomeno di trasformazione che riguarda le e chiuse e le o chiuse . In particolari contesti queste due vocali

diventano rispettivamente i ed u, nel pronunciare la lingua e il labbro inferiore si innalzano.

L'anafonesi si verifica quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da un gruppo velare che inizia con “n”. Ad esempio la parola latina

Linguam che sarebbe dovuta diventare, come avviene per regola generale nelle lingue panromanze, lengua per anaforesi diventa

lingua.

L’anaforesi avviene anche quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da una L o una N palatali derivanti da LI e NI. Ad esempio la

parola latina familia sarebbe dovuta diventare fameglia secondo l’evoluzione linguistica nel resto del territorio della Romania ma in

fiorentino per anafonesi diventa famiglia.

Poiché il fenomeno è tipicamente fiorentino, è anche una delle tracce più evidenti dell'origine fiorentina dell'attuale lingua italiana.

3. Illustrare ed esemplificate a scelta uno dei seguenti fenomeni fonetici attinenti al vocalismo: a) chiusura delle vocali in
iato; b) chiusura delle vocali protoniche; c) riduzione dei dittonghi discendenti.

Chiusura delle vocali in iato è un fenomeno linguistico tipicamente toscano, che avvenne per le parole latine in cui erano presenti due
vocali consecutive appartenenti a sillabe diverse. Le e e le o toniche diventarono I ed U quando la prima vocale era breve e la
seconda no. Ad esempio Meum Tuum e Suum che secondo l’evoluzione vocalica generale nel resto del territorio della
Romania sarebbero dovuti diventare Meo Too e Soo diventano invece in Toscana Mio tuo e suo.
04.Descrivete le condizioni in cui avviene il dittongamento toscano
il dittongamento toscano è un fenomeno linguistico che riguardò il territorio della Toscana.
A differenza delle evoluzioni vocaliche generali che avvennero per le lingue panromanze, in Toscana le e
aperte e le o aperte si trasformarono dittongandosi in Je e wo, ovvero non avendo possibilità con la tastiera in
mio possesso di utilizzare i giusti simboli, le e aperte diventano una je ovvero una semivocale palatale
seguita da e aperta. Mentre le o aperte diventarono wo ovvero una semivocale velare seguita da o aperta.
Questo fenomeno avviene quando la e e la o aperte si trovano in posizione tonica ed in sillaba libera (sillaba
che termina in vocale). Ad esempio la parola latina Pedem diventa pjede e la parola latina Bonum diventa
bwono.
5. Indicate le principali differenze fra il sistema vocalico latino e i sistemi vocalici italo-romanzi?
Il sistema vocalico latino era composto da dieci vocali. Ovvero per ciascuna vocale (a,e,i,o,u) esistevano due
varianti corta e lunga indicati con specifici segni che non trovo nella tastiera che sto usando ma che posso
descrivere una piccola linea sopra per la forma lunga, ed una piccola u/v indicata sopra la vocale per la forma
breve. L’uso della versione lunga o corta di una vocale nella stessa parola comportava l’attribuzione di
significati diversi, quindi potremmo dire che le due varianti comportavano rilevanza fonologica. Con il
passaggio dal latino alle lingue romanze questo sistema vocalico subì delle variazioni. Nel cosiddetto
vocalismo panromanzo le vocali si riducono da dieci a sette, o cinque se non si considerano le varianti con
accento. Quindi la riduzione quantitativa viene parzialmente compensata dalla variazione timbrica della o
della e che coesistono nella variante aperta e chiusa.
6. Chiarire la differenza fra fonetica e fonologia, il significato rispettivo di fono e fonema, indicando
almeno cinque coppie minime dell' italiano ?
La fonetica si occupa dell'aspetto fisico dei suoni; l'unità di studio della fonetica è quindi il
fono. La fonologia si occupa dell'aspetto astratto dei suoni e la sua unità di studio è il fonema.

La fonologia si occupa di stabilire quali sono i fonemi in una data lingua, ovvero quali sono i suoni cui corrisponde una differenza di
significato (nella parola) fonema è dunque il segmento fonico con valore distintivo di significato. Per coppie minime si intendono
coppie di parole di una stessa lingua che cambiano di significato al variare di un solo suono. Tra queste posiamo fare alcuni esempi:
balla/palla, pazzo/pezzo,topo/toro,caro/faro,secco/pecco.

7.Illustrate le diverse caratteristiche dei volgarizzamenti in Italia fra Duecento e Quattrocento


Il rinnovamento culturale che caratterizzò il XIII e il XIV secolo e l’emancipazione della cultura volgare favorirono la diffusione
presso il nuovo pubblico cittadino di testi che fino ad allora erano appannaggio di chi sapeva il latino (chierici e notai in primo
luogo): si assistette quindi ad un moltiplicarsi di traduzioni, adattamenti, rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più
vari, dall’epica classica alla storia (almeno inizialmente romanzata), dalla trattatistica (retorica, filosofico-morale, scientifica) alla
narrativa, dalla letteratura religiosa a quella didattica. La dizione volgarizzamenti indica il solo modo di produzione, ovvero la
dipendenza della sostanza del discorso da un’opera preesistente (originale o essa stessa frutto di volgarizzamento) e comprende
quindi entità disomogenee, prodotte a partire da lingue diverse in luoghi e in contesti culturali differenti, realizzate, in prosa e più
raramente in versi, in modi molto vari, anche a seconda della perizia del volgarizzatore, e soprattutto appartenenti a generi testuali
anche molto distanti tra loro .Si volgarizza a partire da lingue diverse: dal latino in primo luogo e poi dal francese, marginalmente dal
provenzale e dal castigliano e, nel Trecento, anche dal toscano.
Primi esempi di prosa letteraria in volgare databili metà del Duecento: pamphilius, volgarizzamento veneziano di una commedia
elegiaca mediolatina; Miracole de Roma, volgarizzamento dei Miriabilia urbi Romae. la funzione della prosa sono assolte dal latino e
dal francese. Il latino, di uso ininterrotto dalla classicità al Medioevo, era il dominatore incontrastato dei generi più prestigiosi , da esso
dipendono i volgarizzamenti di retorica e arte oratoria o epistolografica, di filosofia e scienza, di religione e devozione, nonché di
letteratura, di storiografia, di polemistica, condotti su opere classiche, tardoantiche e mediolatine. Il francese, della prosa narrativa tra il
XII e il XIII sec. fu di enorme successo in Italia. Da esso dipendono i romanzi, anche se di materia, la letteratura didattica e in genere la
produzione di livello concettuale inferiore; infine il provenzale, lingua per eccellenza della poesia. Nel Trecento non sono rari i casi di
volgarizzamenti realizzati a partire dal toscano.
Le prime opere in prosa sono volgarizzamenti, cioè traduzioni in altre lingue di opere già circolanti: con il formarsi di un pubblico
estraneo alla lingua latina ma desideroso di acculturarsi, la richiesta di opere relative agli ambiti più vari, dall'epica classica alla storia.
Volgarizzare, che all'inizio significava volgere in volgare un testo latino, ben presto passa ad indicare anche la traduzione dall'uno
all'altro volgare romanzo. Designa solo il modo di produzione del testo, ovvero la dipendenza della sostanza del discorso da un'opera
preesistente, originale o essa stessa frutto di volgarizzamento. nel mondo medievale sono rare le traduzioni fedeli al testo di partenza,
libere da contaminazioni con altre fonti o da aggiunte secondarie o ancora prive di debiti più o meno dichiarati nei confronti di altri testi.
disomogeneità e pervasività dei volgarizzamenti sono tipici. il lessico e la sintassi sono gli ambiti più esposti alla pressione della lingua
del testo di partenza: nel volgarizzare si è arrivati ad una vera e propria fondazione del vocabolario volgare,con tanto di lemmatizzazione
e definizione delle parole chiave del sapere volgarizzato. il volgare ha così acquisito alcune parole per designare concetti astratti e
specialistici (alleanza,amicizia). I volgarizzamenti dei romanzi dal francese, spesso realizzati da anonimi traduttori per diletto e da
mercanti, sono in genere di qualità più modesta rispetto a quelli del latino, opera invece di giudici e notai. Quanto alla sintassi, il
costante confronto con i modelli latini a concorso all'arricchimento delle strutture volgari, specie subordinanti. nei volgarizzamenti sono
frequenti i calchi del participio congiunto latino, reso in volgare con una frase subordinata al participio passato. Al contrario, non
mancano i volgarizzamenti che mostrano una spiccata tendenza all'abbandono dei costrutti latini in favore di altri tipicamente volgari,
per e. rendendo il participio congiunto latino con il gerundio.

L’operazione di transcodifica culturale messa in atto tra metà Duecento e metà Trecento è motivata dall’intenzione di divulgare i
saperi necessari al nuovo pubblico cittadino, in Toscana soprattutto mercantile, al Nord già signorile.

I primi generi coinvolti sono quindi l’oratoria e la retorica, intesa come arte del rettore comunale (ne sono esempio la Rettorica di
Brunetto Latini, dal ciceroniano De inventione, e le varie versioni toscane e bolognesi del Fiore di rettorica, dalla Rhetorica ad
Herennium), o la storia, fondativa del mito della continuità con l’epoca classica; al Nord non mancano la letteratura e la precettistica
morale

La lingua dei volgarizzamenti – a parità di registro e di tipo di pubblico – non è in sostanza diversa da quella della coeva prosa
originale. Lessico e sintassi sono gli ambiti più esposti alla pressione del modello linguistico del testo originale: le acquisizioni
maturate nella pratica traduttiva possono divenire patrimonio stabile della lingua, consolidare modelli già produttivi oppure restare
confinate nella contingenza del singolo volgarizzamento.

Va però precisato che non si tratta mai di un passaggio meccanico del lessico e delle strutture sintattiche dal testo originale al testo
tradotto, ma di una ‘accelerazione’ conseguente alla pratica traduttoria, che, confrontando costantemente sistemi culturali, modelli
linguistici e testuali diversi, sollecita e arricchisce di per sé la prosa volgare allora in formazione. Se così non fosse, non si darebbe
ragione della quantità di francesismi presenti nei volgarizzamenti dal latino o della presenza di latinismi privi di esatto corrispondente
nel testo latino di partenza; il volgarizzare, soprattutto quando esercitato su testi di rilievo concettuale o di forte tecnicizzazione, ha
comportato «una vera e propria fondazione del vocabolario volgare, con tanto di lemmatizzazione e definizione delle parole chiave
del sapere volgarizzato».

Il volgare si è così dotato di nuove parole (per latinismo o per neoformazione), relative soprattutto ai concetti astratti e alla
terminologia specialistica: per es., sono i volgarizzamenti ad attestare per primi gli astratti alleanza, amicizia, asprezza, azione,
cautela, contraddizione, contrapporre, dannoso, difficoltà, discernere, disporre, elevare, facile e facilità, favorire, faticoso, fatuo,
ecc

L’attività traduttiva ha concorso, insieme al costante confronto con i modelli latini, all’implementazione delle strutture sintattiche
volgari, consentendo il progressivo superamento della paratassi tipica della prima prosa in volgare.

Sono frequenti i calchi del participio congiunto, sia presente ,sia passato. A partire dalla metà del Trecento acquista rilievo anche la
costruzione dell’accusativo con l’infinito, fino allora poco presente nei volgarizzamenti, seppure già ben attestata nella prosa
latineggiante di Guittone e di Dante. Per contro, non mancano i volgarizzamenti che mostrano una spiccata tendenza all’abbandono
dei costrutti latini in favore di «altri genuinamente volgari»; lo stesso participio congiunto è spesso reso con il gerundio, produttivo
anche nella prosa coeva.

Il rapporto diretto con l’antichità affermato dall’Umanesimo rinnovò profondamente la traduzione, che con Coluccio Salutati,
Leonardo Bruni e Guarino Veronese divenne oggetto anche di teoria; ma poiché «il banco di prova del tradurre umanistico è in
sostanza di greco in latino», la traduzione dal latino al volgare perse di centralità culturale e digradò «verso livelli di cultura più
bassi».
Solo verso l’ultimo quarto del XV secolo, anche grazie alla politica filo-volgare di Lorenzo il Magnifico, si riaccese nei colti
l’interesse per i volgarizzamenti.

17. A quali fenomeni si allude con i termini di aferesi, sincope, apocope? Come si chiamano i loro contrari?

Molti di questi fenomeni sono comuni a molte lingue, e nel nostro caso hanno contraddistinto l’evoluzione del latino nelle lingue
romanze.

Per aferesi si intende la caduta di un elemento vocalico o sillabico all'inizio di parola, ad esempio obscurum che diventa scuro,
historiam che diventa storia. Il suo contrario è la si definisce prostesi, ovvero l’aggiunta di un elemento vocalico o sillabico all'inizio
di parola. Ad esempio Studium che diventa istudio (forma arcaica di studio).

Per sincope si intende sincope la caduta di un elemento fonetico all'interno di una parola . Ad esempio la forma latina vedere + AT
dovrebbe diventare vederà invece tramite sincope diventa vedrà, altro esempio può essere la parola latina viridem che diventa verde.
Il suo contrario è l’epentesi o anaptissi che consiste nell’inserimento di un elemento fonetico all'interno di una parola . Ad esempio
Paduam che diventa padova o Genuam che diventa Genova.

Per apocope si intende la caduta di un elemento vocalico o sillabico alla fine di una parola. Ad esempio Bonum che diventa Buono ma
anche buon per apocope. Il suo contrario è l’epitesi che consiste nell’ aggiunta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola.
Ad esempio essere mutato dalla parola latina esse.

18. Illustrate ed esemplificate uno o più dei seguenti fenomeni fonetici: a) chiusura in protonia; b) anafonesi; c) assimilazione dei
nessi consonantici latini; d)palatalizzazione delle sequenze consonante + J
L'anafonesi è un fenomeno di trasformazione che riguarda le e chiuse e le o chiuse . In particolari contesti queste due vocali

diventano rispettivamente i ed u, nel pronunciare la lingua e il labbro inferiore si innalzano.

L'anafonesi si verifica quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da un gruppo velare che inizia con “n”. Ad esempio la parola latina

Linguam che sarebbe dovuta diventare, come avviene per regola generale nelle lingue panromanze, lengua per anaforesi diventa

lingua.

L’anaforesi avviene anche quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da una L o una N palatali derivanti da LI e NI. Ad esempio la

parola latina familia sarebbe dovuta diventare fameglia secondo l’evoluzione linguistica nel resto del territorio della Romania ma in

fiorentino per anafonesi diventa famiglia.

Poiché il fenomeno è tipicamente fiorentino, è anche una delle tracce più evidenti dell'origine fiorentina dell'attuale lingua italiana.

Altro fenomeno di trasformazione linguistica prettamente fiorentino riguarda la chiusura delle vocali protoniche. Quando la vocale
precede una sillaba tonica o una sillabba atona non finale, accade che le e diventano i e le o diventano u. Ad esempio la parola latina
Nepotem secondo l’evoluzione generale delle lingue romanze sarebbe dovuta diventare nepote, ma in fiorentino per via del fenomeno
sopra descritto diventa nipote.

19. Indicare il significato delle seguenti coppie di fenomeni fonetici: aferesi/prostesi, sincope/anaptissi, apocope/epitesi.

Molti di questi fenomeni sono comuni a molte lingue, e nel nostro caso hanno contraddistinto l’evoluzione del latino nelle lingue
romanze.

Per aferesi si intende la caduta di un elemento vocalico o sillabico all'inizio di parola, ad esempio obscurum che diventa scuro,
historiam che diventa storia. Il suo contrario è la si definisce prostesi, ovvero l’aggiunta di un elemento vocalico o sillabico all'inizio
di parola. Ad esempio Studium che diventa istudio (forma arcaica di studio).

Per sincope si intende sincope la caduta di un elemento fonetico all'interno di una parola . Ad esempio la forma latina vedere + AT
dovrebbe diventare vederà invece tramite sincope diventa vedrà, altro esempio può essere la parola latina viridem che diventa verde.
Il suo contrario è l’epentesi o anaptissi che consiste nell’inserimento di un elemento fonetico all'interno di una parola . Ad esempio
Paduam che diventa padova o Genuam che diventa Genova.

Per apocope si intende la caduta di un elemento vocalico o sillabico alla fine di una parola. Ad esempio Bonum che diventa Buono ma
anche buon per apocope. Il suo contrario è l’epitesi che consiste nell’ aggiunta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola.
Ad esempio essere mutato dalla parola latina esse.

20. Indicate un fenomeno ciascuno relativo a: a) vocalismo; b) consonantismo; c) morfologia; d) sintassi avvenuto nel passaggio
dal latino volgare al volgare italiano.
come esempio di vocalismo potremmo citare L'anafonesi. L’anafonesi è un fenomeno di trasformazione che riguarda le e chiuse e le

o chiuse . In particolari contesti queste due vocali diventano rispettivamente i ed u, nel pronunciare la lingua e il labbro inferiore si

innalzano.

L'anafonesi si verifica quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da un gruppo velare che inizia con “n”. Ad esempio la parola latina

Linguam che sarebbe dovuta diventare, come avviene per regola generale nelle lingue panromanze, lengua per anaforesi diventa

lingua.

L’anaforesi avviene anche quando la “e”e le “o” chiuse sono seguite da una L o una N palatali derivanti da LI e NI. Ad esempio la

parola latina familia sarebbe dovuta diventare fameglia secondo l’evoluzione linguistica nel resto del territorio della Romania ma in

fiorentino per anafonesi diventa famiglia. Poiché il fenomeno è tipicamente fiorentino, è anche una delle tracce più evidenti

dell'origine fiorentina dell'attuale lingua italiana

Come Esempio di consonantismo potremmo citare l’assimilazione regressiva delle consonanti latine composte da due occlusive “ct”

e “Pt”. In Toscano queste per assimilazione regressiva raddoppiano la seconda consonante sostituendo la prima, per cui CT e PT

diventano TT. Ad esempio Noctem si trasforma per assimilazione regressiva in notte.

Come esempio di trasformazione morfologica potremmo citare la perdita delle declinazioni delle forme nominali del latino. Queste

vengono sostituire in un primo momento da una declinazione a due casi, ovvero nominativo ed accusativo. Dopo questa prima fase

sopravvive solo l’accusativo che darà forma alla maggior parte delle parole italiane.

I fenomeni di mutamento morfologici e fonetici portarono anche a mutamenti nella sintassi. Ad esempio la perdita delle declinazioni

dei nomi e delle consonanti finali portò alla stabilizzazione di ordini fissi tra le parole, alla forma SVC ovvero soggetto + verbo +

complemento. Questa struttura non diventa obbligata, soprattutto nel parlato, ma diventa la struttura predominante per evitare

equivoci in frasi come ad esempio: Paola ama Luca. Invertendo l’ordine delle parole in italiano cambierebbe il significato o in altri

casi non sarebbe più chiaro chi è il soggetto.

21. Illustrate la nascita, la storia e le regole d'uso antiche dell'articolo determinativo

L’ articolo è assente in latino come categoria grammaticale. L’articolo ha origine da un’attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM
(in Sardegna) e ILLUM (nella Romània). Il toscano è caratterizzato dalla formazione precoce, accanto alla forma forte “lo” di una
forma debole che in tutta la Toscana è “el” e a Firenze è “il” (il resto d’Italia non conosce la forma debole). La forma debole “il”
veniva usata dopo parola uscente per vocale.

22. Chiarite il significato di segno diacritico e esemplificate tramite il sistema ortografico italiano

I segni diacritici vengono così definiti perché non hanno nessuna realtà fonetica corrispondente. Questi furono creati per attribuire dei
segni a dei suoni che erano tipici della lingua italiana ed assenti in Latino. Ad esempio la combinazione di due segni “gn” venne
introdotta per indicare il suono della nasale palatale in parole come gnomo o gnu. Si è fatto ricorso ai tre segni “gli”(trigramma)
invece per indicare il suono laterale palatale “gli” in parole come figli o foglie. Per indicare il suono velare del segno “c” davanti a
vocali palatali si è usato il simbolo”h”, ad esempio in parole come secche.

23. Illustrate ed esemplificate i seguenti fenomeni morfosintattici: a) nascita dell'articolo; b) creazione del futuro e del
condizionale romanzi

L’ articolo è assente in latino come categoria grammaticale. L’articolo ha origine da un’attenuazione semantica dei dimostrativi
IPSUM (in Sardegna) e ILLUM (nella Romània). Il toscano è caratterizzato dalla formazione precoce, accanto alla forma forte “lo”
di una forma debole che in tutta la Toscana è “el” e a Firenze è “il” (il resto d’Italia non conosce la forma debole). La forma debole
“il” veniva usata dopo parola uscente per vocale.

Altri fenomeni di rilevanza morfologica furono la nascita del futuro e del condizionale romanzi. Il condizionale Toscano prese forma
con la perifrasi dell’infinito di un verbo seguito dal perfetto del verbo avere . Esempio cantare + Habui, diventa cantare + ei ovvero
canterei. Il futuro venne formato con l’infinito di un verbo a cui venne aggiunto il presente del verbo avere. Ad esempio cantare +
habeo ovvero cantare + ao in fiorentino canterò.

24.Illustrare la formazione del futuro e del condizionale romanzi


L’evoluzione dal latino alle lingue romanze comportò diversi cambiamenti di natura morfologica. Tra i più rilevanti possiamo citare
sicuramente la nascita del futuro e del condizionale. Il condizionale Toscano prese forma con la perifrasi dell’infinito di un verbo
seguito dal perfetto del verbo avere . Esempio cantare + Habui, diventa cantare + ei ovvero canterei. Il futuro venne formato con
l’infinito di un verbo a cui venne aggiunto il presente del verbo avere. Ad esempio cantare + habeo ovvero cantare + ao in fiorentino
canterò.

lezione 9
20. Lingua e letteratura del Duecento
La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino. Il
rinnovamento culturale che caratterizzò il XIII e il XIV secolo e l’emancipazione della cultura volgare favorirono la diffusione presso
il nuovo pubblico cittadino di testi che fino ad allora erano appannaggio di chi sapeva il latino (chierici e notai in primo luogo): si
assistette quindi a un moltiplicarsi di traduzioni, adattamenti, rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più vari,
dall’epica cavalleresca francese, ai classici latini, agli scritti di carattere scientifico, ai testi d carattere retorico/oratorio, morale e più
genericamente relativo al comportamento, agli scritti storici e infine di intrattenimento.

Le prime opere in volgare databili metà del Duecento furono Le opere di Guido Faba, l'Omelia padovana, il volgarizzamento veneziano
del "Pamphilus", i romaneschi "Mirabilia urbis Rome" e il "Liber ystoriarum".

I primi generi coinvolti sono quindi l’oratoria e la retorica, intesa come arte del rettore comunale (ne sono esempio la Rettorica di
Brunetto Latini, dal ciceroniano De inventione, e le varie versioni toscane e bolognesi del Fiore di rettorica, dalla Rhetorica ad
Herennium), o la storia, non mancano la letteratura e la precettistica morale.

L’attività traduttiva ha concorso, insieme al costante confronto con i modelli latini, all’implementazione delle strutture sintattiche
volgari, consentendo il progressivo superamento della paratassi tipica della prima prosa in volgare.

20. Elementi fono-morfologici e sintattici che contraddistinguono la lingua del Duecento.


La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino. Il
rinnovamento culturale che caratterizzò il XIII e il XIV secolo e l’emancipazione della cultura volgare favorirono la diffusione presso
il nuovo pubblico cittadino di testi che fino ad allora erano appannaggio di chi sapeva il latino (chierici e notai in primo luogo): si
assistette quindi a un moltiplicarsi di traduzioni, adattamenti, rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più vari,
dall’epica cavalleresca francese, ai classici latini, agli scritti di carattere scientifico, ai testi d carattere retorico/oratorio, morale e più
genericamente relativo al comportamento, agli scritti storici e infine di intrattenimento.

Le prime opere in volgare databili metà del Duecento furono Le opere di Guido Faba, l'Omelia padovana, il volgarizzamento veneziano
del "Pamphilus", i romaneschi "Mirabilia urbis Rome" e il "Liber ystoriarum".

I primi generi coinvolti sono quindi l’oratoria e la retorica, intesa come arte del rettore comunale (ne sono esempio la Rettorica di
Brunetto Latini, dal ciceroniano De inventione, e le varie versioni toscane e bolognesi del Fiore di rettorica, dalla Rhetorica ad
Herennium), o la storia, fondativa del mito della continuità con l’epoca classica, non mancano la letteratura e la precettistica morale.

L’attività traduttiva ha concorso, insieme al costante confronto con i modelli latini, all’implementazione delle strutture sintattiche
volgari, consentendo il progressivo superamento della paratassi tipica della prima prosa in volgare.

lezione 10

17. illustrate l'opposizione fra enunciato e enunciazione formulata da Emile Benviste.


L’enunciazione è l’atto linguistico di produzione della parola o di un testo, l’enunciato è il prodotto dell’enunciazione, ovvero il
testo scritto o la parola. Possiamo aggiungere che l’autore storico di un testo è colui che compie l’atto di enunciazione, e va distinto
da l’autore implicito che compare come protagonista in alcuni testi ( come ad esempio nel “Libro de' Vizi e delle Virtudi” di Bono
Giamboni) che agisce solo nell’enunciato che può avere connotazioni diverse dal reale autore storico ( nel nostro esempio Bono
Giamboni).

lezione 14

09. Nel seguente brano di bono giamboni individuate elementi (parole, sintagmi, caratteristiche fonetiche) ascrivibili alle
tre componenti della sua lingua, latino, francese, toscano.

"considerando a una stagione lo stato mio, e la mia ventura fra me medesimo esaminando, veggendomi subitamente caduto in buon
luogo in malvagio stato, seguitando il lamento che fece Iobo nelle sue tribulazioni, cominciai a maladire l'ora e 'l dì ch'io nacqui e
venni in questa misera vita, e il cibo che in questo mondo n'avea nutricato e conservato."

Buon e Luogo sono due esempi di dittongamento toscano. In Buon riscontriamo tra l’altro un esempio di apocope. ‘l è la forma
debole dell’articolo lo da Illum. Il toscano è caratterizzato dalla formazione precoce, accanto alla forma forte “lo” di una forma
debole che in tutta la Toscana è “el” e a Firenze è inizialmente “‘l” per diventare successivamente “il” (il resto d’Italia non conosce la
forma debole)

La parola Stagione è un francesismo, la parola latina Stationem sarebbe dovuta diventare stazzone secondo le comuni regole
linguistiche del Fiorentino del duecento .

Tribolazioni, dal latino TRIBULATIONEM, è un latinismo fonetico oltre che per la conservazione della u che sarebbe dovuta
diventare o, per TI davanti a vocale in ts.

10. Analizzate dal punto di vista sintattico il seguente brano di bono giamboni:

"considerando a una stagione lo stato mio, e la mia ventura fra me medesimo esaminando, veggendomi subitamente caduto in buon
luogo in malvagio stato, seguitando il lamento che fece Iobo nelle sue tribolazioni, cominciai a maladire l'ora e 'l dì ch'io nacqui e
venni in questa misera vita, e il cibo che in questo mondo n'avea nutricato e conservato."

considerando: subordinazione con verbo ad un modo non finito, ossia con gerundio (considerando, veggendomi, seguitando) oppure
con l'infinito (a maladire).L’uso del gerundio per introdurre le subordinate sarà ripetuto più volte nell’opera. L’uso del gerundio in
apertura del brano serve inoltre all’autore per comunicare al lettore una sensazione di sospensione nel tempo dei fatti narrati.

Successivamente troveremo molti altri verbi al gerundio:esaminando, veggendomi, seguitando e molti altri nel resto dell’opera. L’uso
ripetuto del gerundio ha la funzione di dare all’opera una dimensione diacronica e serve all’autore per introdurre le subordinate.

che in questo mondo m'avea nutricato e conservato: subordinazione con verbo finito, sempre mediante il che relativo che esprime il
soggetto o l'oggetto o un complemento indiretto.

fra me medesimo indica un momento intimo in cui il tempo esterno, che scorre, non esiste. il fluire del tempo sarà introdotto
effettivamente nel presente del protagonista della sua storia solo con cominciai, che innesca l'azione del personaggio.

11. Paratassi e ipotassi nella prosa letteraria del Duecento.

La prosa letteraria del Duecento è prevalentemente caratterizzata ed incline alla paratassi , ovvero alla prevalenza di
coordinazione delle frasi nel periodo. Viceversa la prosa letteraria del duecento è restia all’ipotassi, ovvero alla prevalenza di rapporti
di subordinazione delle frasi nel periodo.

12.Descrivete cosa è e come funziona la regola del dittongo mobile

Consiste, all’interno dello stesso paradigma, nell’alternanza tra dittonghi e monottonghi a seconda della posizione dell’accento, o
raramente a seconda dell’apertura o chiusura della sillaba (per esempio ai giorni di oggi diciamo ancora io voglio ma egli
vuole).

12. Illustrate la figura di Bono Giamboni e fornite alcuni elementi linguistici e stilistici della sua scrittura letteraria così come li
abbiamo desunti dal brano analizzato durante il corso.

Bono Giamboni fu un Letterato fiorentino, nato presumibilmente prima del 1240. Esercitò la professione di giudice ed è ricordato in
numerosi documenti d'archivio dopo il 1261. È tra i migliori volgarizzatori del duecento. Tradusse l'Arte della guerra di Vegezio e
le Storie di P. Orosio, scrisse due opere originali (il Trattato e la sua revisione ampliata, sia per dimensione che per contenuto
narrativo, il Libro), e probabilmente compilò un trattatello retorico (il Fiore di rettorica). Appartenendo ad un ceto intellettuale
medio-alto si rivolge ad un nuovo pubblico volgare nato all'interno della società comunale. Dall’analisi di alcuni brani del Libro
possiamo desumere alcuni tratti stilistici ed elementi linguistici che contraddistinguono l’opera di Giamboni.
Nel brano possiamo riscontrare la sistematica applicazione della chiusura delle vocali toniche in iato: si vedano Dio e Idio , mio e
mia , tua , sue. Il dittongamento toscano è regolarmente presente, possiamo citare: buon, luogo, uomo, uomini, Figliuol, truovo
cuor. Per quanto riguarda i tratti stilistici possiamo riscontrare nel testo il ricorso frequente alla coordinazione, senza
l’esplicitazione della congiunzione coordinativa, e con l’esplicitazione della congiunzione. Per quanto riguarda l’uso delle
subordinate se ne rilevano nel testo con verbo finito, sempre mediante il che relativo che esprime il soggetto o l’oggetto
o un complemento indiretto, e con verbo ad un modo non finito(con il gerundio di Considerando, veggendomi, seguitando e con
l’infinito per esempio di maladire. L’uso ripetuto del gerundio in apertura dell’opera serve inoltre all’autore per comunicare al
lettore una sensazione di sospensione nel tempo dei fatti narrati. fra me medesimo indica un momento intimo in cui il tempo
esterno, che scorre, non esiste. il fluire del tempo sarà introdotto effettivamente nel presente del protagonista della sua storia solo
con cominciai, che innesca l'azione del personaggio.

13. Tracciate un quadro della prosa letteraria del duecento


La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino.
Il rinnovamento culturale che caratterizzò il XIII e il XIV secolo e l’emancipazione della cultura volgare favorirono la diffusione
presso il nuovo pubblico cittadino di testi che fino ad allora erano appannaggio di chi sapeva il latino (chierici e notai in primo
luogo): si assistette quindi a un moltiplicarsi di traduzioni, adattamenti, rimaneggiamenti in volgare di opere relative agli ambiti più
vari, dall’epica cavalleresca francese, ai classici latini, agli scritti di carattere scientifico, ai testi d carattere retorico/oratorio,
morale e più genericamente relativo al comportamento, agli scritti storici e infine di intrattenimento.
Le prime opere in volgare databili metà del Duecento furono Le opere di Guido Faba, l'Omelia padovana, il volgarizzamento
veneziano del "Pamphilus", i romaneschi "Mirabilia urbis Rome" e il "Liber ystoriarum".

I primi generi coinvolti sono quindi l’oratoria e la retorica, intesa come arte del rettore comunale (ne sono esempio la Rettorica di
Brunetto Latini, dal ciceroniano De inventione, e le varie versioni toscane e bolognesi del Fiore di rettorica, dalla Rhetorica ad
Herennium), o la storia, fondativa del mito della continuità con l’epoca classica, non mancano la letteratura e la precettistica morale.

L’attività traduttiva ha concorso, insieme al costante confronto con i modelli latini, all’implementazione delle strutture sintattiche
volgari, consentendo il progressivo superamento della paratassi tipica della prima prosa in volgare.

Lezione 19
11. illustrate uno o più dei seguenti fenomeni morfosintattici: nascita articolo, legge do tober mussafia

L’ articolo è assente in latino come categoria grammaticale. L’articolo ha origine da un’attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM
(in Sardegna) e ILLUM (nella Romània). Il toscano è caratterizzato dalla formazione precoce, accanto alla forma forte “lo” di una
forma debole che in tutta la Toscana è “el” e a Firenze è “il” (il resto d’Italia non conosce la forma debole). La forma debole “il”
veniva usata dopo parola uscente per vocale.

14. Descrivete le condizioni in cui vige la legge Tobler- Mussafia.

Legge Tobler-Mussafia (che prende il nome dai due studiosi che per primi l'hanno studiata, il primo riconoscendola nell'antico
francese, il secondo verificandone la validità anche nell'antico italiano) rende obbligatoria la posizione del clitico in alcune precise
situazioni, lasciandola libera in altre. Oggi l’enclisi dei pronomi atoni è obbligatoria solo dopo modi infiniti del verbo (dopo il
gerundio, per es.: vedendoti, avendoti visto; dopo il participio passato e dopo l’imperativo. In antico vigeva, come oggi, l’obbligo di
enclisi nelle forme dei modi non finiti, ma non quella che riguarda l’imperativo che invece seguiva la legge di Tobler-Mussafia.

Secondo tale norma l’enclisi dell’elemento atono era più o meno tassativamente obbligatoria nei seguenti casi. Ad inizio assoluti di
frase, per cui non era possibile iniziare un periodo con clitico (per esempio si potrebbe citare l’inizio del Libro di Boni Cominciasi),
in genere dopo “e” e “ma”, ed all’inizio di una principale preceduta da una secondaria introdotta da “se” o “quando” o da un
gerundio.

lezione 21

10. poesia, prosa, volgarizzamenti nel trecento italiano.

Rispetto alla prosa duecentesca, nel Trecento Il modello francese dei romanzi cavallereschi perde efficacia, ed a questo si affianca un
crescente interesse per i classici latini. I volgarizzamenti non sono le uniche opere che prendono vita, a questi si affiancano opere
originali ispirate ai classici. Il pubblico destinatario dell’opera letteraria del 300 si allarga sempre di più al ceto medio,
prevalentemente mercantile, ed alle opere di stampo classico si affiancano nuovi generi che hanno come destinatario una fetta
crescente della società cittadina. Il volgare quindi non ha con i classici latino solo un rapporto passivo. Tra i nuovi generi vale la pena
ricordare quello della novella di cui Il Decameron di Boccaccio rappresenta la massima espressione. L’opera del Boccaccio seppur
abbia una sua originalità non è un espediente letterario del tutto nuovo. Sicuramente B. non si sarà ispirato soltanto all’opera
duecentesca Il Novellino che racchiude al suo interno forme acerbe di quella che chiamiamo novella, ma un certo peso avranno avuto
anche le tradizioni religiose tipiche dell’uomo medievale, abituato alla letture degli episodi del vangelo legate alle prediche ed alla
lettura di racconti di peccati e peccatori (l’ exemplum omiletico). nel XIV secolo non assistiamo più alla preponderanza della poesia
rispetto alla prosa, a cui si era assistito nel Duecento. Il fiorentino del 300 precedente la scoppio dell’epidemia di peste nera
raccontata nel Decameron, verrà definito Fiorentino puro, perché libero dalle influenze che la lingua subirà in seguito allo
spostamento dalle campagne verso la capitale Toscana dopo la fine dell’epidemia. Infine non possiamo non menzionare l’importanza
di Petrarca che sarà assunto come punto di riferimento per la poesia, così come Boccaccio per la prosa.

Lezione 25

14 Definite in che cosa consiste la tematizzazione e illustratene le modalità di funzionamento nella prosa di Iacopo Passavanti.

La tematizzazione nella prosa del Passavanti è un elemento fondamentale e principale che riesce a fungere da coesione tra due frasi
differenti e viene utilizzato per giustificare e regolare le inversioni da Soggetto Verbo a Verbo Soggetto tramite il complemento e con
l’anteposizione del complemento al Verbo e Soggetto. La distinzione fra tema cioè l’argomento di partenza e rema l’argomento
informativo nuovo che è poi il contenuto del messaggio si può disporre come una serie di periodi in cui un tal rema di un periodo
diventi il tema del periodo successivo. E proprio nella prosa del Passavanti, tale funzione logica di legame tra le frasi con inversioni
dei costituenti di frase per creare una serie interrotta di passaggi da rema a tema della successiva, dal punto di vista lessicale, è svolta
con l’apertura del periodo con l’aggettivo o pronome dimostrativo con valore anaforico. A volte utilizza anche semplici congiunzioni
e, ma, per rafforzare i collegamenti interfrasali, congiunzioni non con funzione coordinativa o avversativa ma per segnalare la
continuità del discorso e renderlo al lettore unitario e continuo nonostante periodi separati.

15 Posizione degli aggettivi attributivi e ricadute stilistiche.

La posizione pronominale degli aggettivi attributivi ha funzione connotativa, ovvero ha uno scopo qualificativo che connota una
maggiore soggettività da parte dello scrivente. La posizione postnominale degli aggettivi attributivi ha invece una funzione
denotativa, con funzione meno soggettiva di carattere indicativo.
16.La sintassi e lo stile di Iacopo Passavanti.

Uno dei tratti stilistici che più contraddistingue la scrittura del Passavanti è la tematizzazione. La tematizzazione nella prosa del
Passavanti è un elemento fondamentale e principale che riesce a fungere da coesione tra due frasi differenti e viene utilizzato per
giustificare e regolare le inversioni da Soggetto Verbo a Verbo Soggetto tramite il complemento e con l’anteposizione del
complemento al Verbo e Soggetto. La distinzione fra tema cioè l’argomento di partenza e rema l’argomento informativo nuovo che è
poi il contenuto del messaggio si può disporre come una serie di periodi in cui un tal rema di un periodo diventi il tema del periodo
successivo. E proprio nella prosa del Passavanti, tale funzione logica di legame tra le frasi con inversioni dei costituenti di frase per
creare una serie interrotta di passaggi da rema a tema della successiva, dal punto di vista lessicale, è svolta con l’apertura del periodo
con l’aggettivo o pronome dimostrativo con valore anaforico. A volte utilizza anche semplici congiunzioni e, ma, per rafforzare i
collegamenti interfrasali, congiunzioni non con funzione coordinativa o avversativa ma per segnalare la continuità del discorso e
renderlo al lettore unitario e continuo nonostante periodi separati.

11. illustrate dal punto di vista linguistico (fono-morfologico, sintattico e stilistico) uno dei due brani riportati sotto,
inquadrando gli autori (bono giamboni e passavanti) nel contesto socio-culturale:

a) "così avviene degli uomini che vivono in questo mondo, il quale è appellato mare per lo continovo movimento e inistabile istato, e
per le tempestose avversitadi e gravi pericoli che ci sono, nè quali la maggiore parte della gente perisce".
Uno dei tratti stilistici che più contraddistingue la scrittura del Passavanti è la tematizzazione. La tematizzazione nella prosa del
Passavanti è un elemento fondamentale e principale che riesce a fungere da coesione tra due frasi differenti e viene utilizzato per
giustificare e regolare le inversioni nella struttuta soggetto+verbo+complemento. La distinzione fra tema cioè l’argomento di partenza e
rema l’argomento informativo nuovo che è poi il contenuto del messaggio si può disporre come una serie di periodi in cui un tal rema
di un periodo diventi il tema del periodo successivo. Nella prosa del Passavanti, tale funzione logica di legame tra le frasi con
inversioni dei costituenti di frase per creare una serie interrotta di passaggi da rema a tema della successiva, dal punto di vista lessicale,
è svolta con l’apertura del periodo con l’aggettivo o pronome dimostrativo. Nel nostro caso possiamo vedere come la parola così (per
questo, perciò) in apertura svolga la funzione di legame interfasale allo scopo sopra enunciato. Sotto il profilo fonetico possiamo
evidenziare la parola uomini, dittongo regolare in velare. La parola istato è un esempio di prostesi di i nelle parole che cominciano per
s+consonante. La parola continovo è un caso di epentesi (anaptissi) di v.
Rispetto alla prosa duecentesca, nel Trecento Il modello francese dei romanzi cavallereschi perde efficacia, ed a questo si affianca un
crescente interesse per i classici latini. I volgarizzamenti non sono le uniche opere che prendono vita, a questi si affiancano opere
originali ispirate ai classici. Il pubblico destinatario dell’opera letteraria del 300 si allarga sempre di più al ceto medio,
prevalentemente mercantile, ed alle opere di stampo classico si affiancano nuovi generi che hanno come destinatario una fetta
crescente della società cittadina. Il volgare quindi non ha con i classici latino solo un rapporto passivo. Tra i nuovi generi vale la pena
ricordare quello della novella di cui Il Decameron di Boccaccio rappresenta la massima espressione. L’opera del Boccaccio seppur
abbia una sua originalità non è un espediente letterario del tutto nuovo. Sicuramente B. non si sarà ispirato soltanto all’opera
duecentesca Il Novellino che racchiude al suo interno forme acerbe di quella che chiamiamo novella, ma un certo peso avranno avuto
anche le tradizioni religiose tipiche dell’uomo medievale, abituato alla letture degli episodi del vangelo legate alle prediche ed alla
lettura di racconti di peccati e peccatori (l’ exemplum omiletico)
Iacopo Passavanti fu un frate domenicano. La sua appartenenza all’ordine religioso lo caratterizzò soprattutto come predicatore. La
sua opera maggiore, Lo Specchio di Vera Penitenza, prende forma proprio dalla pratica predicatoria. L’opera rappresenta un punto di
riferimento per la lingua Italiana del 300 e per il puro fiorentino, molte delle parole dell’opera furono usate per anni all’interno del
vocabolario dell’Accademia della Crusca, e l’opera su elogiata da Salviati come esempio di Fiorentino aureo . lo specchio è un raro
esempio di specula ovvero di trattato comportamentale che nella tradizione Latina erano indirizzati prevalentemente ai principi. In
un primo momento si potrebbe commettere l’errore si associare l’opera con il Libro di Bono, ma un’analisi più attenta evidenzia il
punto di vista ecclesiastico dello specchio, che si rivolgeva ad un pubblico di penitenti e confessori intervallando i vari argomenti con
degli exempla, ovvero raccontini esemplari. Il duplice pubblico ai l'opera di rivolge, quello laico dei fedeli e quelli ecclesiastico dei
confessori, portò l'autore a redarre una duplice versione dell'opera, a compiere una auto traduzione. L'opera infatti ebbe due stesure,
una in latino destinata al lettore ecclesiastico ed una in volgare destinata al pubblico laico. La coesistenza delle due versione da parte
dello stesso autore incrementa l'interesse linguistico dello specchio, che ci permette una serie di analisi e riflessioni. Durante il
periodo di incubazione del volgare all'interno del latino assistiamo in Italia ad un fenomeno di diglossia. Questo concetto venne
introdotto da FERGUSON nel XX secolo, per diglossia intendiamo la coesistenza all'interno di una società di due lingue con un
rapporto asimmetrico. Una lingua A( nel nostro caso il latino) ritenuata elitaria, usata in contesti formali, studiata nelle scuole, ED
usata per lo scritto. ed una lingua B( in questo caso il volgare) che corrisponde alla lingua materna, destinata al parlato ed ai contesti
informali, parlata prevalentemente dalle classi sociali più basse. Questo rapporto asimmetrico tra latino e volgare avrà dal duecento in
poi un graduale assestamento che porterà all'uso sempre maggiore del volgare in tutti i contesti ed alla lenta scomparsa del latino.

12. Tema e rema: tematizzazione come tratto stilistico in Iacopo Passavanti.

La tematizzazione nella prosa del Passavanti è un elemento fondamentale e principale che riesce a fungere da coesione tra due frasi
differenti e viene utilizzato per giustificare e regolare le inversioni da Soggetto Verbo a Verbo Soggetto tramite il complemento e con
l’anteposizione del complemento al Verbo e Soggetto. La distinzione fra tema cioè l’argomento di partenza e rema l’argomento
informativo nuovo che è poi il contenuto del messaggio si può disporre come una serie di periodi in cui un tal rema di un periodo
diventi il tema del periodo successivo. E proprio nella prosa del Passavanti, tale funzione logica di legame tra le frasi con inversioni
dei costituenti di frase per creare una serie interrotta di passaggi da rema a tema della successiva, dal punto di vista lessicale, è svolta
con l’apertura del periodo con l’aggettivo o pronome dimostrativo con valore anaforico. A volte utilizza anche semplici congiunzioni
e, ma, per rafforzare i collegamenti interfrasali, congiunzioni non con funzione coordinativa o avversativa ma per segnalare la
continuità del discorso e renderlo al lettore unitario e continuo nonostante periodi separati.

5. Durante il corso abbiamo connesso la prosa di Jacopo Passavanti ad uno stile caratteristicamente omiletico. Perché?
Iacopo Passavanti fu un frate domenicano, La sua appartenenza all’ordine religioso lo caratterizzò soprattutto come predicatore. La sua
opera maggiore, Lo Specchio di Vera Penitenza, prende forma proprio dalla pratica predicatoria. Lo specchio è un raro esempio di
specula ovvero di trattato comportamentale che  nella tradizione Latina erano indirizzati prevalentemente ai principi. L’opera si
rivolgeva ad un pubblico di penitenti e confessori intervallando i vari argomenti con degli exempla, ovvero raccontini esemplari.
L’opera fu quindi pensata per essere letta in pubblico alla classe meno colta dei penitenti. La componente predicatoria dell’opera si
riflette nello stile usato del Passavanti, il quale si dimostra funzionale alla lettura davanti ad un pubblico di ascoltatori. L’uso continuo
di congiunzioni come ma ed e serve proprio a rafforzare i collegamenti interfrasali, congiunzioni non con funzione coordinativa o
avversativa ma per segnalare la continuità del discorso e renderlo al lettore unitario e continuo nonostante periodi separati. Allo stesso
scopo,ovvero facilitare la comprensione del testo all’ascoltatore, lo stile del Passavanti risulta Tematizzato. Per tematizzazione
intendiamo una composizione della sintassi che prevede che frasi e periodi inizino con un aggettivo o pronome dimostrativo che
richiama il rema del periodo precedente diventando tema nel periodo corrente, nel periodo corrente dopo al tema segue il rema che a
sua volta diventerà il tema del periodo successivo e così via. Questo procedimento regola quindi le inversioni nella struttura
Soggetto,verbo e complemento che non viene nell’opera del Passavanti rispettata sempre.

Indicate sommariamente alcuni fenomeni fonetici, morfologici o sintattici del seguente brano (da Iacopo Passavanti, Specchio di
vera penitenza): “Solo Iesu Cristo salvatore, Iddio e uomo, sanza peso di peccato, leggiermente notando, passò il mare di questo
mondo. E ciò significò egli, quando, essendo i discepoli suoi nella nave nel mare di Galilea, e avendo grande fortuna per la forza
del contrario vento, egli venne a loro andando leggiermente sovra l’onde del turbato mare”.

Nella prosa del Passavanti la tematizzazione è il principale elemento di coesione interfrasale che giustifica e regola le inversioni
nella struttura soggetto+verbo+ complemento.Tutto il presente brano è esempio di tematizzazione, ovvero di messa in evidenza
sintattica, in apertura del nuovo periodo, del tema del nuovo periodo espresso mediante pronome anaforico che rinvia e riprende il
rema del periodo precedente. Ad esempio il periodo che inizia con E ciò significò egli presenta la struttura CVS
(Complemento+Verbo+Soggetto), e ciò significo egli funge da legame interfrasale introducendo il periodo e richiamando il rema del
periodo precedente . Turbato mare invece è un esempio di aggettivo pronominale, la posizione degli aggettivi di preferenza nel
Prologo allo Specchio di vera Penitenza. La posizione pronominale degli aggettivi attributivi ha funzione connotativa, ovvero ha uno
scopo qualificativo che connota una maggiore soggettività da parte dello scrivente. La posizione postnominale degli aggettivi
attributivi ha invece una funzione denotativa, con funzione meno soggettiva di carattere indicativo.

6. Analizzate dal punto di vista linguistico e stilistico il seguente brano tratto dallo Specchio di vera penitenza di Iacopo
Passavanti: “Secondo che dice el venerabile dottore messere santo Ierolimo, Poenitentia est secunda tabula post naufragium: la
penitenzia è la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta. Parla il santo dottore della penitenzia, per somiglianza di coloro che
rompono in mare, de’ quali spesse volte interviene che, rotta la nave per grande fortuna e per tempestade che sia commossa in mare,
coloro che sono più accorti prendono alcuna delle tavole della rotta nave, alla quale attegnendosi fortemente, soprastando all’acqua,
non affondano; ma giungono a riva o a porto, iscampati del periglio del tempestoso mare".

In apertura del periodo (secondo che dice el venerabile dottore) possiamo riscontrare una dislocazione a sinistra con inversione tra
verbo e soggetto rispetto alla struttura astratta tipica del volgare che prevedeva l’ordine soggetto+ verbo+ complemento. El
rappresenta l ’unica attestazione nell’opera dell’articolo debole in questa forma. Possiamo evidenziare la parola Penitenzia per quanto
riguarda il consonantismo, l’uso delle soluzioni anzia , enzia delle desinenze latine ANTIAM e ENTIAM è un fenomeno la cui
origine risiede nella pronuncia ecclesiastica del latino che caratterizza la prosa del Passavanti. La parola iscampati è frutto di protesi
di i nelle parole che cominciano per s+consonante. Nelle parole nave rotta la posizione dell'aggettivo rotta è denotativa e l'aggettivo
svolge una funzione definitoria. Nel caso di rotta nave l'aggettivo è pronominale, quindi connotativa. Questa è la posizione degli
aggettivi preferita dal Passavanti nel prologo allo Specchio di vera Penitenza.

lezione 27

21. Dalle due lingue dei secoli precedenti (latino/volgare) alle tre lingue del Quattrocento (greco/latino/ volgare)

Nel Quattrocento il volgare attraversa una fase di crisi, Con il diffondersi dell’Umanesimo il latino diventa il principale strumento
espressivo in ogni campo della cultura ed il volgare viene tendenzialmente relegato alle scritture pratiche e ai generi letterari popolari. Il
volgare scritto nel primo Quattrocento conosce un ampliamento rispetto al secolo precedente nella trattatistica d’arte. Il volgare
rappresenta uno strumento importante per gli artisti in quanto non tutti parlavano il latino, la comparsa di scritti letterari in questo ambito
eleva inoltre la figura dell’artista vista fino a questo momento come artigiano. Il volgare veniva visto inoltre come una lingua non adatta
agli scritti letterari in quanto priva di una grammatica a differenza del latino. Per Flavio Biondo il volgare era privo di una grammatica
soltanto perché mancava a questa lingua una tradizione letteraria che ne avrebbe favorito la nascita, ciò che rendeva il latino ben
strutturato grammaticalmente era proprio l’uso della lingua nel tempo da parte di grandi letterati. Proprio Biondo fu protagonista insieme
a Leonardo bruni di una disputa sulla lingua parlata nell’antica Roma. Per Biondo la lingua parlata nell’antica Roma era il latino ed il
volgare era nato proprio dal latino la cui purezza e la cui diffusione nell'Impero Romano erano state incrinate dalle invasioni barbariche.
Per Bruni invece anche nell’antica Roma la lingua parlata era il volgare che quindi è sempre stato il linguaggio parlato dal ceto basso al
contrario del latino che era la lingua usata dalla gente colta per la produzione letteraria ed in generale per lo scritto. Per questa ragione
per Bruni il volgare era privo di una struttura grammatica e lo sarebbe stato sempre. Nel secondo Quattrocento la sempre maggiore
conoscenza del greco, relativizzando il prestigio del latino, contribuisce ad un recupero di prestigio da parte del volgare. Tra i fattori che
contribuirono all’espandersi dell’interesse e della conoscenza della lingua greca e della letteratura greca in Occidente possiamo
menzionare la Caduta di Costantinopoli, che portò all’esodo verso l’Italia molti letterati e studiosi della lingua Greca, e di conseguenza
all’insegnamento pubblico del Greco ed alla circolazione di manoscritti appartenenti ai classici Greci. Il recupero di prestigio da parte
del volgare durante la seconda metà del quattrocento avviene soprattutto nell'ambito della poesia e della filosofia ed ebbe un forte
impulso da parte della figura di Lorenzo il Magnifico che diventò promotore dei grandi autori Fiorentini del 300, oltre ad essere egli
stesso autore in volgare. Il Fiorentino puro antecedente la diffusione dell’epidemia di peste a Firenze venne definito aureo. Il fiorentino
del quattrocento invece venne definito Fiorentino argenteo in quanto mutato in seguito al ripopolamento della città dopo la fine
dell’epidemia di peste da parte di gente proveniente dalle campagne e dalle città del resto della Toscana. Tale ripopolamento portò alla
contaminazione del Fiorentino aureo con elementi linguistici del resto della Toscana, per questo parliamo nel quattrocento di Fiorentino
argenteo.

22. Illustrate le dinamiche intercorrenti fra latino e volgare nel Quattrocento.

Nel Quattrocento il volgare attraversa una fase di crisi, Con il diffondersi dell’Umanesimo il latino diventa il principale strumento
espressivo in ogni campo della cultura ed il volgare viene tendenzialmente relegato alle scritture pratiche e ai generi letterari popolari. Il
volgare scritto nel primo Quattrocento conosce un ampliamento rispetto al secolo precedente nella trattatistica d’arte. Il volgare
rappresenta uno strumento importante per gli artisti in quanto non tutti parlavano il latino. La comparsa di scritti letterari in questo
ambito eleva inoltre la figura dell’artista visto fino a questo momento come artigiano. Il volgare veniva visto inoltre come una lingua
non adatta agli scritti letterari in quanto priva di una grammatica a differenza del latino. Per Flavio Biondo il volgare era privo di una
grammatica soltanto perché mancava a questa lingua una tradizione letteraria che ne avrebbe favorito la nascita, ciò che rendeva il latino
ben strutturato grammaticalmente era proprio l’uso della lingua nel tempo da parte di grandi letterati. Proprio Biondo fu protagonista
insieme a Leonardo bruni di una disputa sulla lingua parlata nell’antica Roma. Per Biondo la lingua parlata nell’antica Roma era il latino
ed il volgare era nato proprio dal latino la cui purezza e la cui diffusione nell'Impero Romano erano state incrinate dalle invasioni
barbariche. Per Bruni invece anche nell’antica Roma la lingua parlata era il volgare che quindi è sempre stato il linguaggio parlato dal
ceto basso al contrario del latino che era la lingua usata dalla gente colta per la produzione letteraria ed in generale per lo scritto. Per
questa ragione per Bruni il volgare era privo di una struttura grammatica e lo sarebbe stato sempre. Nel secondo Quattrocento la sempre
maggiore conoscenza del greco, relativizzando il prestigio del latino, contribuisce ad un recupero di prestigio da parte del volgare. Tra i
fattori che contribuirono all’espandersi dell’interesse e della conoscenza della lingua greca e della letteratura greca in Occidente
possiamo menzionare la Caduta di Costantinopoli, che portò all’esodo verso l’Italia molti letterati e studiosi della lingua Greca, e di
conseguenza all’insegnamento pubblico del Greco ed alla circolazione di manoscritti appartenenti ai classici Greci. Il recupero di
prestigio da parte del volgare durante la seconda metà del quattrocento avviene soprattutto nell'ambito della poesia e della filosofia ed
ebbe un forte impulso da parte della figura di Lorenzo il Magnifico che diventò promotore dei grandi autori Fiorentini del 300, oltre ad
essere egli stesso autore in volgare. Il Fiorentino puro antecedente la diffusione dell’epidemia di peste a Firenze venne definito aureo. Il
fiorentino del quattrocento invece venne definito Fiorentino argenteo in quanto mutato in seguito al ripopolamento della città dopo la
fine dell’epidemia di peste da parte di gente proveniente dalle campagne e dalle città del resto della Toscana. Tale ripopolamento portò
alla contaminazione del Fiorentino aureo con elementi linguistici del resto della Toscana, per questo parliamo nel quattrocento di
Fiorentino argenteo.

Lezione 28
23. El/Il; mila/milia; fusse/fosse; quali termini di queste coppie appartengono al fiorentino aureo e quali al fiorentino
argenteo? I milia/mila e fossi/fussi appartengono rispettivamente alla morfologia nominale e verbale del fiorentino
argenteo.
l'articolo debole IL prorpio del fiorentino aureo, subì la contaminazione della forma EL usata nel resto della Toscana nel
Fiorentino argenteo. Milia nel fiorentino argenteo diventa Mila, e La forma fosse del Fiorentino aureo divenne fusse
nell’argenteo.

24. Fra fiorentino aureo e fiorentino argenteo (indicate alcuni dei fenomeni distintivi).

Il Fiorentino puro antecedente la diffusione dell’epidemia di peste a Firenze venne definito aureo. Il fiorentino del quattrocento
invece venne definito Fiorentino argenteo in quanto mutato in seguito al ripopolamento della città dopo la fine dell’epidemia di
peste da parte di gente proveniente dalle campagne e dalle città del resto della Toscana. Tale ripopolamento portò alla
contaminazione del Fiorentino aureo con elementi linguistici del resto della Toscana, per questo parliamo nel quattrocento di
Fiorentino argenteo. Il termine argenteo fu coniato da Arrigo Castellani. Di seguito elenco alcuni elementi distintivi:

I numerali aurei diece, dicessette, dicennove, milia si trasformano in dieci, diciassette, diciannove, mille; l'articolo debole IL
prorpio del fiorentino aureo, subì la contaminazione della forma EL usata nel resto della Toscana nel Fiorentino argenteo;
Riduzione al secondo elemento vocalico in alcuni dittonghi dopo consonante + r come truovo / trovo e priego /prego;alle forme
tegghia e vegghiare si sostituiscono le forme teglia e vegliare; aqlcune parole con suono iniziale w si trasformano in suono vw
come ad esempio uova che diventa vuova o uomini vuomini; il verbo essere fossi diventa fussi.

Lezione 29

10. indicate i latinismi e sintattici nel seguente brano della lettera proemiale alla raccolta aragonese:

"ripensando assai volte meco medesimo, illustrissimo signor mio Federico, quali in tra molte e infinite laudi degli antichi tempi fussi
la più eccellente, una per certo sopra tutte l'altre essere gloriosissima e quasi singulare ho giudicato: che nessuna illustre e virtuosa
opera nè di mano nè di ingegno si puote immaginare, alla quale in quella prima età non fussino e in publico e in privato grandissimi
premi e nobilissimi ornamenti apparecchiati".

Dal punto di vista del vocalismo tonico va annotata la conservazione di AU latino nelle varie forme riconducibili a LAUDEM per cui
abbiamo laudi. Tra i latinismi sintattici evidenziamo la costruzione del superlativo relativo che si affianca al superlativo assoluto per
noi più normale “una per certo sopra l’altre gloriosissima”. ll latinismo di costruzione che prevede l’uso ripetuto della congiunzione
“e” anche davanti al primo elemento delle dittologie “non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi
ornamenti”. “una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato” in questa frase ritroviamo il latinismo
che prevede l’uso del verbo alla fine della frase.

Importante evidenziare inoltre la operazione del verbo composto Fussino apparecchiati, Le forme verbali composte sono
un’innovazione linguistica romanza e dunque sono caratteristiche del volgare, numerosi umanisti, nel desiderio di modellare il
proprio volgare sul latino, tentarono di ridurne l’uso, sostituendo dove possibile il passato remoto al passato prossimo. Il Poliziano
invece non elimina i verbi composti, ma li depotenzia separando di frequente l’ausiliare dal participio passato, ponendo in fine di
periodo il participio passato e dunque riducendo l’evidenza del tempo composto.

Infine riporto la frase “una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato” per evidenziare l’uso del
verbo infinito essere. il contrassegno più evidente della sintassi latineggiante dell’Epistola è dato dall’adeguamento alla costruzione
latina delle oggettive o soggettive implicite con infinito con verbi di opinione o dichiarativi.

lezione 32

15. Poliziano tra istanze umanistiche e istanze "popolari": la lettera proemiale alla raccolta aragonese e i detti piacevoli.

Federico d’Aragona di Napoli di ritorno da un viaggio si fermò a Pisa dove trovò ad accoglierlo Lorenzo de’ Medici Durante quesrto
incontro si parlò tra le altre cose anche di letteratura e Federico d’Aragona si dimostrò interessato a conoscere meglio la storia
letteraria fiorentina e toscana. Alla richiesta di Federico d’Aragona di vedere raccolti insieme in un unico volume le opere più
importanti scritte in volgare in Toscana fino a quel momento, Lorenzo rispose con la cosiddetta Raccolta Aragonese. La Raccolta si
concludeva poi con una piccola antologia di Lorenzo de’ Medici poeta, scelta che dimostra che a considerazioni di tipo strettamente
letterario, si coniugassero ragioni politiche di autopromozione del signore di Firenze. Fin da una prima lettura della Lettera proemiale
alla raccolta Attribuita a Poliziano si mostra evidente la natura colta, di forte impronta letteraria, che la caratterizza. Quel che la
contraddistingue maggiormente la sintassi dell’Epistola ponendola su un piano ben diverso da quella dei Detti è una serie di richiami
di varia natura alla sintassi latina. La lettera Proemiale si apre con un’allusione alla grande tradizione retorica latina, che ricorda
l’incipit del De oratore, la lettera infatti richiama il tema spesso sfruttato in ambito umanista del proemio come incoraggiamento alla
virtù e all’esercizio letterario. I richiami intertestuali nell’opera sono molteplici, riferiti prevalentemente alla cultura classica (Greco
e Latina) e umanista, ma non mancano richiami anche alla tradizione volgare (Petrarca e Dante vengono richiamati esplicitamente, vi
sono inoltre allusioni varie ad altri autori). Questa doppia attenzione alla tradizione greca e latina e a quella volgare corrisponde, a
livello propriamente linguistico, alle diverse penetrazione di elementi latini e volgari nell’epistola. gli elementi innovativi del
fiorentino “argenteo”, a causa della connotazione ‘bassa’ che li caratterizza, non sono accolti nell’epistola di natura alta. I Detti sono
invece una raccolta di aneddoti, favole, detti arguti, proverbi, animati da un umorismo sottile, spesso amaro, che mettono talvolta allo
scoperto aspetti anche sgradevoli della vita fiorentina. Per ragioni di tipo diafasico quindi, il linguaggio dei detti risulta essere meno
alto rispetto alla Lettere proemiale. Oltre al rifiuto delle innovazioni linguistiche quattrocentesche quello che caratterizza
maggiormente la sintassi dell'Epistola ponendola su un piano ben diverso dai Detti è una serie di richiami di varia natura alla sintassi
latina. Tra questi ricordiamo la costruzione del superlativo relativo anche affiancato al superlativo assoluto per noi più normale, l’uso
ripetuto della congiunzione “e” anche davanti al primo elemento delle dittologie, la posizione del verbo in fine di periodo, la
separazione del verbo ausiliare dal participio passato nei verbi composti (con il participio in fine di periodo), l'adeguamento alla
costruzione latina delle oggettive o soggettive implicite con infinito.

06.latino, greco e volgare nell'Umanesimo quattrocentesco.

Nel Quattrocento il volgare attraversa una fase di crisi, Con il diffondersi dell’Umanesimo il latino diventa il principale strumento
espressivo in ogni campo della cultura ed il volgare viene tendenzialmente relegato alle scritture pratiche e ai generi letterari popolari.
Il volgare scritto nel primo Quattrocento conosce un ampliamento rispetto al secolo precedente nella trattatistica d’arte. Il volgare
rappresenta uno strumento importante per gli artisti in quanto non tutti parlavano il latino, la comparsa di scritti letterari in questo
ambito eleva inoltre la figura dell’artista vista fino a questo momento come artigiano. Il volgare veniva visto inoltre come una lingua
non adatta agli scritti letterari in quanto priva di una grammatica a differenza del latino. Per Flavio Biondo il volgare era privo di una
grammatica soltanto perché mancava a questa lingua una tradizione letteraria che ne avrebbe favorito la nascita, ciò che rendeva il
latino ben strutturato grammaticalmente era proprio l’uso della lingua nel tempo da parte di grandi letterati. Proprio Biondo fu
protagonista insieme a Leonardo bruni di una disputa sulla lingua parlata nell’antica Roma. Per Biondo la lingua parlata nell’antica
Roma era il latino ed il volgare era nato proprio dal latino la cui purezza e la cui diffusione nell'Impero Romano erano state incrinate
dalle invasioni barbariche. Per Bruni invece anche nell’antica Roma la lingua parlata era il volgare che quindi è sempre stato il
linguaggio parlato dal ceto basso al contrario del latino che era la lingua usata dalla gente colta per la produzione letteraria ed in
generale per lo scritto. Per questa ragione per Bruni il volgare era privo di una struttura grammatica e lo sarebbe stato sempre. Nel
secondo Quattrocento la sempre maggiore conoscenza del greco, relativizzando il prestigio del latino, contribuisce ad un recupero di
prestigio da parte del volgare. Tra i fattori che contribuirono all’espandersi dell’interesse e della conoscenza della lingua greca e
della letteratura greca in Occidente possiamo menzionare la Caduta di Costantinopoli, che portò all’esodo verso l’Italia molti letterati
e studiosi della lingua Greca, e di conseguenza all’insegnamento pubblico del Greco ed alla circolazione di manoscritti appartenenti
ai classici Greci. Il recupero di prestigio da parte del volgare durante la seconda metà del quattrocento avviene soprattutto nell'ambito
della poesia e della filosofia ed ebbe un forte impulso da parte della figura di Lorenzo il Magnifico che diventò promotore dei grandi
autori Fiorentini del 300, oltre ad essere egli stesso autore in volgare. Il Fiorentino puro antecedente la diffusione dell’epidemia di
peste a Firenze venne definito aureo. Il fiorentino del quattrocento invece venne definito Fiorentino argenteo in quanto mutato in
seguito al ripopolamento della città dopo la fine dell’epidemia di peste da parte di gente proveniente dalle campagne e dalle città del
resto della Toscana. Tale ripopolamento portò alla contaminazione del Fiorentino aureo con elementi linguistici del resto della
Toscana, per questo parliamo nel quattrocento di Fiorentino argenteo.

7. illustrate la presenza e la natura dei latinismi nella scrittura di agnolo poliziano.

Presenti nella scrittura di Agnolo Poliziano dal punto di vista del vocalismo tonico va annotata la conservazione di -AU- latino 30 e
36 Conservano la scempia del modello latino
Possiamo illustrare la presenza e la natura dei latinismi nella scrittura di Poliziano, partendo dall’analisi di uno dei suoi testi, La
lettera proemiale alla raccolta Aragonese. La lettera Proemiale si apre con un’allusione alla grande tradizione retorica latina, che
ricorda l’incipit del De oratore, la lettera infatti richiama il tema spesso sfruttato in ambito umanista del premio come
incoraggiamento alla virtù e all’esercizio letterario. I richiami intertestuali nell’opera sono molteplici, riferiti prevalentemente alla
cultura classica (Greco e Latina) e umanista, ma non mancano richiami anche alla tradizione volgare (Petrarca e Dante vengono
richiamati esplicitamente, vi sono inoltre allusioni varie ad altri autori). Questa doppia attenzione alla tradizione greca e latina e a
quella volgare corrisponde, a livello propriamente linguistico, alle diverse penetrazione di elementi latini e volgari nell’epistola. Oltre
al rifiuto delle innovazioni linguistiche quattrocentesche quello che caratterizza maggiormente la sintassi dell'Epistola è la presenza
di una serie di richiami di varia natura alla sintassi latina. Tra questi ricordiamo la costruzione del superlativo relativo anche
affiancato al superlativo assoluto per noi più normale, l’uso ripetuto della congiunzione “e” anche davanti al primo elemento delle
dittologie, la posizione del verbo in fine di periodo, la separazione del verbo ausiliare dal participio passato nei verbi composti (con il
participio in fine di periodo), l'adeguamento alla costruzione latina delle oggettive o soggettive implicite con infinito. Dal punto di
vista del vocalismo tonico va annotata la conservazione di AU latino nelle varie forme riconducibili a LAUDEM (laude, laudi), per il
consonantismo emerge il costante riferimento al latinismo fonetico, in particolare per l’accoglienza di nessi di consonante + l
conservati e indenni dalla palatalizzazione del volgare( preclare, carissimo).

8. analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dalla lettera proemiale alla raccolta aragonese:
"imperocche?, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per molti e vari luoghi della Grecia
dissipata e quasi dimembrata, Pisistrato, ateniese principe, uomo per molte virtu? e d'animo e di corpo prestantissimo,
proposti amplissimi premi a chi alcuni dè versi omerici gli apportassi, con somma diligenzia ed esamine tutto il corpo del
santissimo poeta insieme raccolse, e si? come a quello dette perpetua vita, cosi? lui a se stesso immortal gloria e clarissimo
splendore acquistonne".

Nell’analizzare il brano soprastante possiamo partire dalla prima parola “imperocche”. Il legami interfrasali nell’epistola di Poliziano
tematizzano di rado. Il suo autore rinuncia a condurre per mano il lettore enfatizzando quanto già detto nel periodo precedente,
preferisce rilanciare il discorso in avanti mediante congiunzioni come Imperocché che serve a spiegare ma soprattutto ad arricchire
con ulteriori precisazioni quanto espresso in precedenza.

Nel consonantismo spicca oltre al rifiuto delle innovazioni del volgare quattrocentesco, il costante riferimento al latinismo fonetico,
in particolare per l’accoglienza di nessi di consonante + l conservati e indenni dalla palatalizzazione del volgare( clarissimo ,
amplissimi e splendore)

Importante evidenziare inoltre la separazione del verbo composto “essendo…. dissipata e rimembrata”. Le forme verbali composte
sono un’innovazione linguistica romanza e dunque sono caratteristiche del volgare, numerosi umanisti, nel desiderio di modellare il
proprio volgare sul latino, tentarono di ridurne l’uso, sostituendo dove possibile il passato remoto al passato prossimo. Il Poliziano
invece non elimina i verbi composti, ma li depotenzia separando di frequente l’ausiliare dal participio passato, ponendo in fine di
periodo il participio passato e dunque riducendo l’evidenza del tempo composto.

Lezione 34

11. Quali problemi vengono affrontati e quali soluzioni vengono proposte nelle prime grammatiche del volgare, in particolare
nelle Regole del Fortunio e nelle Prose del Bembo?

La nascita della stampa nel 500 favorisce la circolazione delle opere letterarie su base nazionale (geograficamente parlando) e non
più soltanto locale come avveniva nel medioevo. Questo porta alla necessita di stabilire delle regole linguistiche generale, ad una
normatizzazione della lingua volgare. Questo processo si può definire Koneizzazione, ovvero formazione di una lingua comune, in
questo caso del toscano. La questione della lingua diventa quindi oggetto di dibattito nel XVI secolo. Di grande importanza in questo
contesto fu Pietro Bembo che già dai primi decenni del 500 aveva cominciato a scrivere sulla necessità di stabilire nel volgare delle
regole di carattere grammaticale. In questo periodo viene scritta la prima "grammatica" volgare di Fortunio lasciata dall'autore
incompiuta in seguito alla morte. Della Grammatica furono pubblicati soltanto i primi due libri dei cinque previsti. Uno dei due
volumi della grammatica era dedicato al problema ortografico, ovve per cui il sistema di rapprentazione della lingua volgare
attraverso l'alfabeto latino aveva dei limiti dovuti all'insorgenza di nuovi suoni e nuove esigenze a cui si era tentato di dare risposta
fino a quel momento senza un indirizzo unitario di cui adesso in seguito all'insorgere della stampa si sentiva la necessità. Il fortunio
decise di prendere come modello le opere di Dante e Petrarca che erano già state assunte in passato come modello letterario in tutto il
territorio geografico Italiano. L'opera di Fortunio tuttavia aveva dei limiti che ne condizionarono il successo. L'autore rimase
aggrappato ad una prospettiva filologica di stampo umanista e fu incapace di elaborare un sistema di regole preciso che potesse essere
preso come modello da un pubblico di letterati. A questa esigenza risposero invece le prose sulla volgar lingua di Pietro Bembo che
se ben pubblicate successivamente furono ideate precedentemente alla grammatica di Fortunio. La comparsa nel 1525 delle Prose di
Bembo nel panorama letterario Italiano non fu importante soltanto per le teorie linguistiche espresse e per l'indicazione di norme da
seguire, ma soprattutto perchè, a differenza della grammatica di Fortunio, rappresentavano il punto di vista di un letterato di prestigio
ed intelletuale di primo piano. Che ne fosse d'accordo o meno il punto di vista di un illustre autore quale Bembo non poteva passare
inosservato. Bembo indicò come modello per la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.Il modello rigido
proposto da Bembo aveva una valenza didattica che ne assicurò la fortuna e la prevalenza rispetto alla teoria della lingua cortigiana di
Calmeta e rispetto alla teoria supportata da Machiavelli nella sua opera Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'idea di
Bembo di tagliar fuori il Fiorentino contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua
fiorentina proveniva dalla fortuna letteraria di alcuni autori, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla
produzione letteraria.
12.La posizione linguistica di Pietro Bembo e il ciceronianismo.

La nascita della stampa nel 500 favorisce la circolazione delle opere letterarie su base nazionale (geograficamente parlando) e non
più soltanto locale come avveniva nel medioevo. Questo porta alla necessita di stabilire delle regole linguistiche generale, ad una
normatizzazione della lingua volgare. Questo processo si può definire Koneizzazione, ovvero formazione di una lingua comune, in
questo caso del toscano. La questione della lingua diventa quindi oggetto di dibattito nel XVI secolo. Di grande importanza in questo
contesto fu Pietro Bembo che già dai primi decenni del 500 aveva cominciato a scrivere sulla necessità di stabilire nel volgare delle
regole di carattere grammaticale. . La comparsa nel 1525 delle Prose di Bembo nel panorama letterario Italiano non fu importante
soltanto per le teorie linguistiche espresse e per l'indicazione di norme da seguire, ma soprattutto perchè, a differenza della
grammatica di Fortunio, rappresentavano il punto di vista di un letterato di prestigio ed intellettuale di primo piano. Che ne fosse
d'accordo o meno il punto di vista di un illustre autore quale Bembo non poteva passare inosservato. Bembo indicò come modello per
la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Il modello rigido proposto da Bembo aveva una valenza didattica
che ne assicurò la fortuna e la prevalenza rispetto alla teoria della lingua cortigiana di Calmeta e rispetto alla teroria supportata da
Machiavelli nella sua opera Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'ide di Bembo di tagliar fuori il Fiorentino
contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua fiorentina proveniva dalla fortuna
letteraria di alcuni autori, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla produzione letteraria.

Tra il 1510 e il '30 trionfa a Roma il ciceronianesimo, l'imitazione di Cicerone come modello per il latino. Classicismo, imitazione
della lingua e dello stile degli antichi diventano canoni in tutti i generi letterari per ottenere risultati artistici di alto valore. Pietro
Bembo assunse posizioni analoghe a quelle avanzate nel secolo precedente da Paolo Cortesi, a favore dell'unicità dei modelli latini da
imitare. Anche in questa direzione la scelta del Bembo è contraria all'arricchimento linguistico mediante l'uso quotidiano. La lingua
letteraria non deve accostarsi a quella del popolo ma discostare da questa. Quando l'affermazione del volgare è definitiva e lo
sviluppo della stampa crea un pubblico più vasto Bembo accentua la frattura fra lingua letteraria e lingua parlata per favorire la
produzione aristocratica gradita ai signori dai quali umanisti e letterati dipendevano.

La posizione di Bembo per il volgare che elegeva come modello assoluto solo due autori, per la poesia Petrarca e per la prosa
Boccaccio, si può definire parallela alla posizione umanista per il latino che eleggeva come punto di riferimento e modello da imitare
per la prosa Cicerone (per la poesia Virgilio).

13. Pietro Bembo: la posizione teorica vista alla luce del dibattito quattrocentesco e contemporaneo sul ciceronianesimo

La nascita della stampa nel 500 favorisce la circolazione delle opere letterarie su base nazionale (geograficamente parlando) e non
più soltanto locale come avveniva nel medioevo. Questo porta alla necessita di stabilire delle regole linguistiche generale, ad una
normatizzazione della lingua volgare. Questo processo si può definire Koneizzazione, ovvero formazione di una lingua comune, in
questo caso del toscano. La questione della lingua diventa quindi oggetto di dibattito nel XVI secolo. Di grande importanza in questo
contesto fu Pietro Bembo che già dai primi decenni del 500 aveva cominciato a scrivere sulla necessità di stabilire nel volgare delle
regole di carattere grammaticale. . La comparsa nel 1525 delle Prose di Bembo nel panorama letterario Italiano non fu importante
soltanto per le teorie linguistiche espresse e per l'indicazione di norme da seguire, ma soprattutto perchè, a differenza della
grammatica di Fortunio, rappresentavano il punto di vista di un letterato di prestigio ed intellettuale di primo piano. Che ne fosse
d'accordo o meno il punto di vista di un illustre autore quale Bembo non poteva passare inosservato. Bembo indicò come modello per
la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.Il modello rigido proposto da Bembo aveva una valenza didattica
che ne assicurò la fortuna e la prevalenza rispetto alla teoria della lingua cortigiana di Calmeta e rispetto alla teroria supportata da
Machiavelli nella sua opera Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'ide di Bembo di tagliar fuori il Fiorentino
contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua fiorentina proveniva dalla fortuna
letteraria di alcuni autori, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla produzione letteraria.

Tra il 1510 e il '30 trionfa a Roma il ciceronianesimo, l'imitazione di Cicerone come modello per il latino. Classicismo, imitazione
della lingua e dello stile degli antichi diventano canoni in tutti i generi letterari per ottenere risultati artistici di alto valore Pietro
Bembo assunse posizioni analoghe a quelle avanzate nel secolo precedente da Paolo Cortesi, a favore dell'unicità dei modelli latini da
imitare. Anche in questa direzione la scelta del Bembo è contraria all'arricchimento linguistico mediante l'uso quotidiano. La lingua
letteraria non deve accostarsi a quella del popolo ma discostare da questa. Quando l'affermazione del volgare è definitiva e lo
sviluppo della stampa crea un pubblico più vasto Bembo accentua la frattura fra lingua letteraria e lingua parlata per favorire la
produzione aristocratica gradita ai signori dai quali umanisti e letterati dipendevano.

La posizione di Bembo per il volgare che eleggeva come modello assoluto solo due autori, per la poesia Petrarca e per la prosa
Boccaccio, si può definire parallela alla posizione umanista per il latino che eleggeva come punto di riferimento e modello da imitare
per la prosa Cicerone (per la poesia Virgilio).

Lezione 36

08.Niccolò Machiavelli: prassi e teoria linguistiche.

La comparsa nel 1525 delle Prose di Bembo nel panorama letterario Italiano non fu importante soltanto per le teorie linguistiche
espresse e per l'indicazione di norme da seguire, ma soprattutto perchè, a differenza della grammatica di Fortunio, rappresentavano il
punto di vista di un letterato di prestigio ed intellettuale di primo piano. Che ne fosse d'accordo o meno il punto di vista di un illustre
autore quale Bembo non poteva passare inosservato. Bembo indicò come modello per la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e
Boccaccio per la prosa.Il modello rigido proposto da Bembo aveva una valenza didattica che ne assicurò la fortuna. Al modello
proposto da Bembo si oppose fermamente Niccolò Machiavelli nel suo Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'idea di
Bembo di tagliar fuori il Fiorentino contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua
fiorentina proveniva dalla fortuna letteraria di alcuni autori, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla
produzione letteraria. La visione di Machiavelli era Fiorentinocentrica, per cui contraria all’offrire un modello passato accessibile a
tutti e più incline a mantenere il primato nel campo della lingua alla Firenze a lui contemporanea.

Nel nostro corso abbiamo analizzato il trattato politico del Principe in cui ritroviamo l'uso del fiorentino corrente nel 500, con tutte le
caratteristiche del fiorentino argenteo quattrocentesco. Per esempio nell’opera e soppiantato completamente l'artiocolo plurale i. “Il”
ed “el” si alternano secondo il principio della variatio. “Gli” viene utilizzato come plurale della forma forte molto più spesso di “li”.
Per i pronomi possessivi machiavelli utilizze le forme indeclinabili per il maschile e femminile plurale: “mia disagi”,”altre sua
qualità”, “sua antinati”.Nei numerali troviamo l'innovazione quattrocentesca di “dua”. i tratti quattrocenteschi li troviamo anche nei
verbi, per esempio le forme del verbo essere sono in u (fussi, fussino), nel verbo avere troviamo la riduzione del nesso vr (“arà”,
“arebbono”). Troviamo nei verbi le desinenze ono tipiche del 400 invece di ano per la terza persona plurale del presente (costono,
potevono).

Per ciò che riguarga lo stile possiamo evidenziare l'uso dell’antitesi classificatoria, ovvero l’uso massiccio dell'antitesi o...o in
occasione di definizioni, quando massimo è il bisogno di determinare con precisione di cosa si occuperà la futura trattazione,
manifestando un grande rigore categorizzante. Il rigore definitorio oltre che con l'uso di o...o viene messo in atto attraverso
l'avversativa ma, soprattutto ad inizio di frase, per prendere le distanze con quanto precedente detto e specificarlo ulteriormente.
Questo modo di procedere argomentativo (che dal punto di vista dell'autore viene messo in atto per antitesi ed opposizione allo scopo
di razionalizzare un ragionamento sulla materia presa in esame), rappresenta per il principe una serie di scelte o alternative di
comportamento utili al fine mantenere il potere. Machiavelli non vuole esprimere concetti astratti, ma vuole riferirsi in modo pratico
al reale. Tra i tratti stilistici che manifestano questo scopo ad esempio possiamo citare l'suo ripetuto espressioni tipiche della deissi
come “qui”,usato come riferimento alla realtà. A tale scopo assistiamo all'alternarsi tra la forma impersonale e la forma diretta "tu"
che trasfoma il trattato teorico in un dialogo con gli attori politici contemporanei. Sempre allo scopo di ricondurre al reale troviamo
diverse metafore che quindi non hanno funzione retorica, ma hanno appunto lo scopo di riportare quanto detto alla realtà delle
esperienze del lettore.

09.La nascita della grammatica della lingua italiana.

La nascita della stampa nel 500 favorisce la circolazione delle opere letterarie su base nazionale (geograficamente parlando) e non
più soltanto locale come avveniva nel medioevo. Questo porta alla necessita di stabilire delle regole linguistiche generale, ad una
normatizzazione della lingua volgare. Questo processo si può definire Koneizzazione, ovvero formazione di una lingua comune, in
questo caso del toscano. La questione della lingua diventa quindi oggetto di dibattito nel XVI secolo. Di grande importanza in questo
contesto fu Pietro Bembo che già dai primi decenni del 500 aveva cominciato a scrivere sulla necessità di stabilire nel volgare delle
regole di carattere grammaticale. In questo periodo viene scritta la prima "grammatica" volgare di Fortunio lasciata dall'autore
incompiuta in seguito alla morte. Della Grammatica furono pubblicati soltanto i primi due libri dei cinque previsti. Uno dei due
volumi della grammatica era dedicato al problema ortografico, per cui il sistema di rapprentazione della lingua volgare attraverso
l'alfabeto latino aveva dei limiti dovuti all'insorgenza di nuovi suoni e nuove esigenze a cui si era tentato di dare risposta fino a quel
momento senza un indirizzo unitario di cui adesso in seguito all'insorgere della stampa si sentiva la necessità. Il fortunio decise di
prendeve come modello le opere di Dante e Petrarca che erano già state assunte in passato come modello letterario in tutto il territorio
geografico Italiano. L'opera di Fortunio tuttavia aveva dei limiti che ne condizionarono il successo. L'autore rimase aggrappato ad
una prospettiva filologica di stampo umanista e fu incapace di elaborare un sistema di regole preciso che potesse essere preso come
modello da un pubblico di letterati. A questa esigenza risposero invece le prose sulla volgar lingua di Pietro Bembo che se ben
pubblicate successivamente furono ideate precedentemente alla grammatica di Fortunio. La comparsa nel 1525 delle Prose di Bembo
nel panorama letterario Italiano non fu importante soltanto per le teorie linguistiche espresse e per l'indicazione di norme da seguire,
ma soprattutto perchè, a differenza della grammatica di Fortunio, rappresentavano il punto di vista di un letterato di prestigio ed
intelletuale di primo piano. Che ne fosse d'accordo o meno il punto di vista di un illustre autore quale Bembo non poteva passare
inosservato. Bembo indicò come modello per la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.Il modello rigido
proposto da Bembo aveva una valenza didattica che ne assicurò la fortuna e la prevalenza rispetto alla teoria della lingua cortigiana di
Calmeta e rispetto alla teroria supportata da Machiavelli nella sua opera Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'idea di
Bembo di tagliar fuori il Fiorentino contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua
fiorentina proveniva dalla fortuna letteraria di alcuni autori, non è un vantaggio conoscere il fiorentino come lingua materna per
saper ben scrivere fiorentino, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla produzione letteraria, il prestigio
del fiorentino insomma dipende dalla sua eccellenza naturale come lingua parlata . La visione di Machiavelli era Fiorentinocentrica,
per cui contraria all’offrire un modello passato accessibile a tutti e più incline a mantenere il primato nel campo della lingua alla
Firenze a lui contemporanea.

Lezione 37

09.Analizzate nei suoi tratti fonomorfologici la lingua di Machiavelli utilizzando il breve brano tratto dal De principatibus:

"[III] DE PRINCIPATIBUS MIXTIS. [De' principati misti] - [1] Ma nel principato nuovo consistono le difficultà. E prima,
s'e' non è tutto nuovo, ma come membro - che si può chiamare tutto insieme quasi misto -, le variazioni sue nascono in prima
da una naturale difficultà quale è in tutti e' principati nuovi. Le quali sono che li uomini mutano volentieri signore credendo
migliorare, e questa credenza li fa pigliare l'arme contro a quello: di che e' s'ingannano, perché veggono poi per esperienza
avere piggiorato".

Nell’analizzare da un punto di vista fonomorfologico la lingua del brano potremmo partire dal titolo in latino “De Principatibus
Mixtis”. l’uso del latino nel titolo genarale e nei titoli dei capitoli ed anche alcuni inserti nella trattazione, più alcuni latinismi come
quello fonetico in questo brano “difficoltà”, non è da considerarsi come espressione del gusto umanista dell’imitatio, Il
latineggiamento della lingua di Machiavelli va addebitato soltanto alla sua formazione culturale, come qualcosa che appartiene al
bagaglio culturale dell’autore e che viene usato spontaneamente.

“Ma nel principato nuovo consistono le difficoltà” Machiavelli esprimeva il suo rigore definitorio oltre che con l'uso di dell’antitesi
“o...o” attraverso l'avversativa “ma”, soprattutto ad inizio di frase, per prendere le distanze con quanto precedente detto e specificarlo
ulteriormente. Questo modo di procedere argomentativo (che dal punto di vista dell'autore viene messo in atto per antitesi ed
opposizione allo scopo di razionalizzare un ragionamento sulla materia presa in esame), rappresenta per il principe una serie di scelte
o alternative di comportamento al fine mantenere il potere.

“E’ principati nuovi” Rappresenta une dei tanti tratti che testimoniano la volontà del machiavelli di aderire al Fiorentino Argenteo,
“e’” sostituisce completamente l’articolo plurale maschile “i” nell’opera.

“pigliare l'arme” anche questo è un tratto distintivo del fiorentino quattrocentesco, arme che esce in e invece di i.

10.Individuate nei due brani di Poliziano e Machiavelli riportati qui sotto l'affioramento dei tratti del fiorentino argenteo:

a) "Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti, comeché molti e mirabili fussino, tutti nientedimeno a
quest'una laude essere inferiori";

b) "E sempre interverrà ch'e' vi sarà messo da coloro che saranno in quella malcontenti o per troppa ambizione o per paura:
come si vidde già che li etoli missono e' romani in Grecia, e, in ogni altra provincia che gli entrorno, vi furno messi da'
provinciali".

a) Tra i tratti quattrocenteschi troviamo “fussino” (le forme del verbo essere sono in u sono tipiche del fiorentino argenteo)

b) Tra i tratti quattrocenteschi troviamo “ Missono”, il passato remoto di mettere con la doppia s.

Lezione 38

14. Analizzate dal punto di vista linguistico e stilistico il seguente brano tratto dal De principatibus di Machiavelli:

"[14] L'altro migliore remedio è mandare colonie in uno o in dua luoghi, che sieno quasi compedes di quello stato: perché è
necessario o fare questo o tenervi assai gente d'arme e fanti. [15] Nelle colonie non si spende molto; e sanza sua spesa, o poca,
ve le manda e tiene, e solamente offende coloro a chi toglie e' campi e le case per darle a' nuovi abitatori, che sono una
minima parte di quello stato".

“perché è necessario o fare questo o tenervi assai gente d'arme e fanti” è un esempio di antitesi classificatoria tipica del Machiavelli.
Lo scrittore fa un uso massiccio dell'antitesi o...o in occasione di definizioni, quando massimo è il bisogno di determinare con
precisione di cosa si occuperà la futura trattazione, manifestando un grande rigore categorizzante. Questo modo di procedere
argomentativo (che dal punto di vista dell'autore viene messo in atto per antitesi ed opposizione allo scopo di razionalizzare un
ragionamento sulla materia presa in esame), rappresenta per il principe una serie di scelte o alternative di comportamento al fine
mantenere il potere. Machiavelli non vuole esprimere concetti astratti, ma vuole riferirsi in modo pratico al reale.

Da un punto di vista linguistico possiamo sottolineare “dua”, esempio di numerale tipico del fiorentino argenteo. Articolo pluarale e
soppianta i

“Compedes” l’uso del latino nel titolo generale, nei titoli dei capitoli e nella trattazione come in questo caso, non è considerarsi come
espressione del gusto umanista, Il latineggiamento della lingua di Machiavelli va addebitato soltanto alla sua formazione culturale,
come qualcosa che appartiene al bagaglio culturale dell’autore e viene usato solo per questo

15. Parlato e scritto, tradizione e innovazione nella lingua di Niccolò Machiavelli.

La comparsa nel 1525 delle Prose di Bembo nel panorama letterario Italiano non fu importante soltanto per le teorie linguistiche
espresse e per l'indicazione di norme da seguire, ma soprattutto perchè, a differenza della grammatica di Fortunio, rappresentavano il
punto di vista di un letterato di prestigio ed intellettuale di primo piano. Che ne fosse d'accordo o meno il punto di vista di un illustre
autore quale Bembo non poteva passare inosservato. Bembo indicò come modello per la scrittura letteraria Petrarca per la poesia e
Boccaccio per la prosa.Il modello rigido proposto da Bembo aveva una valenza didattica che ne assicurò la fortuna. Al modello
proposto da Bembo si oppose fermamente Niccolò Machiavelli nel suo Discorso intorno la nostra lingua, che si ribellava all'idea di
Bembo di tagliar fuori il Fiorentino contemporaneo in favore di un modello passato. Per Bembo la fortuna letteraria della lingua
fiorentina proveniva dalla fortuna letteraria di alcuni autori, per Machiavelli il fiorentino era per sua natura la lingua più adatta alla
produzione letteraria. La visione di Machiavelli era Fiorentinocentrica, per cui contraria all’offrire un modello passato accessibile a
tutti e più incline a mantenere il primato nel campo della lingua scritta e parlata nella Firenze a lui contemporanea.

Nel nostro corso abbiamo analizzato il trattato politico del Principe in cui ritroviamo l'uso del fiorentino corrente nel 500, con tutte le
caratteristiche del fiorentino argenteo quattrocentesco. Per esempio nell’opera e soppiantato completamente l'artiocolo plurale i. “Il”
ed “el” si alternano secondo il principio della variatio. “Gli” viene utilizzato come plurale della forma forte molto più spesso di “li”.
Per i pronomi possessivi machiavelli utilizze le forme indeclinabili per il maschile e femminile plurale: “mia disagi”,”altre sua
qualità”, “sua antinati”.Nei numerali troviamo l'innovazione quattrocentesca di “dua”. i tratti quattrocenteschi li troviamo anche nei
verbi, per esempio le forme del verbo essere sono in u (fussi, fussino), nel verbo avere troviamo la riduzione del nesso vr (“arà”,
“arebbono”). Troviamo nei verbi le desinenze ono tipiche del 400 invece di ano per la terza persona plurale del presente (costono,
potevono).

Per ciò che riguarda lo stile possiamo evidenziare l'uso dell’antitesi classificatoria, ovvero l’uso massiccio dell'antitesi o...o in
occasione di definizioni, quando massimo è il bisogno di determinare con precisione di cosa si occuperà la futura trattazione,
manifestando un grande rigore categorizzante. Il rigore definitorio oltre che con l'uso di o...o viene messo in atto attraverso
l'avversativa ma, soprattutto ad inizio di frase, per prendere le distanze con quanto precedente detto e specificarlo ulteriormente.
Questo modo di procedere argomentativo (che dal punto di vista dell'autore viene messo in atto per antitesi ed opposizione allo scopo
di razionalizzare un ragionamento sulla materia presa in esame), rappresenta per il principe una serie di scelte o alternative di
comportamento utili al fine mantenere il potere. Machiavelli non vuole esprimere concetti astratti, ma vuole riferirsi in modo pratico
al reale. Tra i tratti stilistici che manifestano questo scopo ad esempio possiamo citare l'suo ripetuto espressioni tipiche della deissi
come “qui”,usato come riferimento alla realtà. A tale scopo assistiamo all'alternarsi tra la forma impersonale e la forma diretta "tu"
che trasfoma il trattato teorico in un dialogo con gli attori politici contemporanei. Sempre allo scopo di ricondurre al reale troviamo
diverse metafore che quindi non hanno funzione retorica, ma hanno appunto lo scopo di riportare quanto detto alla realtà delle
esperienze del lettore.

lez 39

Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dal De principatibus: "[42] Aveva dunque fatto Luigi questi
cinque errori: spenti e' minori potenti; accresciuto in Italia potenza a uno potente; messo in quella uno forestiere potentissimo;
non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. [43] E' quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s'e' non avessi
fatto il sesto, di to?rre lo stato a' viniziani".

“e' minori potenti” Rappresenta une dei tanti tratti che testimoniano la volontà del machiavelli di aderire al Fiorentino Argenteo, “e’”
sostituisce completamente l’articolo plurale maschile “i” nell’opera.
“E' quali “errori ancora, vivendo lui “i pronomi tonici soggetto sono interessati nel Quattrocento da alcune innovazioni. Nella prosa
machiavelliana infatti troviamo attestato quel pronome soggetto di III persona “lui”,
“potevono non lo offendere” possiamo notare la mancata risalita del clitico e la mancata enclisi che non avviene per via della
negazione.
Potevono eempio di terza persona pluarale del presente che termina in ono invece di ano tipico del fiorentino argenteo

Lezione 40

11. Tracciate un quadro dei rispettivi ambiti d'uso del latino, del volgare e del dialetto nel secondo Cinquecento e nel Seicento.

L’analisi dei cambiamenti linguistici suddivisa per secoli non si dimostra particolarmente inadeguata per il 600’ che possiamo per una
serie di fattori analizzare in concomitanza con la seconda metà del 500. Il concilio di Trento fa da spartiacque tra la prima metà e la
seconda metà del 500 più coerente, sotto vari punti di vista, con il secolo successivo.
Il Concilio di Trento, che, oltre che un evento epocale in fatto di costume e di ideologia ebbe effetti rilevanti nel campo della
comunicazione sociale, della politica linguistica della Chiesa, della predicazione, perché Il clero dovette rivedere le proprie abitudini
relative alla predicazione.
Già ampiamente usato nella mimesi del parlato nella commedia primo-cinquecentesca, nel Seicento il dialetto viene usato nella
traduzione di classici (la Commedia dantesca, la Gerusalemme del Tasso) e per scritture narrative da un lato come recupero,
ideologicamente cosciente, del dialetto in alternativa alla lingua letteraria, d’altro canto come ribellione rispetto alla linea filo-toscana
prima bembesca e poi cruscante. Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed
il latino. Salviati sostiene la priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua
pura lo rende superiore a qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. L’ostilità al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in
qualche modo inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, lo spinse a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.
Non tutti i campi della cultura sono stati investiti dall’avanzare a macchia d’olio del volgare. La Chiesa ad esempio, per la
predicazione si schiera sempre più a favore del volgare ma svolge ancora la funzione in latino. In campo scientifico si registra un
generale avanzamento del volgare in favore del Latino. Anche nelle università si assiste ad una sempre maggiore diffusione del volgare.

12. Pietro Bembo e Leonardo Salviati (quali sono le analogie e le differenze nelle rispettive posizioni linguistiche?)

Leonardo Salviati fu uno dei maggiori esponenti dell’Accademia Fiorentina, che nacque con lo scopo di promuovere la diffusione
della lingua volgare, di far recuperare il primato della lingua alla città di Firenze. Compito dell’accademia era quello di stabilire un
dizionario e delle regole linguistiche a livello nazionale.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.

13. L'Accademia fiorentina e la nascita dell'Accademia della Crusca.

l’Accademia Fiorentina nacque a Firenze tra il 1540 e il 1541 con lo scopo di promuovere la diffusione della lingua volgare, di far
recuperare il primato della lingua alla città di Firenze. Compito dell’accademia era quello di stabilire un dizionario e delle regole
linguistiche partendo dal Fiorentino.
Uno dei maggiori esponenti dell’Accademia Fiorentina fu Leonardo Salviati.

Successivamente nel 1582 un gruppo di amici che si riunivano per cenare e conversare piacevolmente di argomenti leggeri (cruscate)
fondò la brigata dei Crusconi. Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia ufficiale, compreso il
Salviati che suggeri’ di adottare il nome Accademia della Crusca.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.

Una delle aspirazione del Salviati era la creazione di un vocabolario che prendesse a modello la produzione letteraria Fiorentina del
trecentesco. Gli accademici della Crusca si impegnarono dopo la morte del Salviati a portare avanti quella aspirazione
concretizzandola redigendo il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612. Con l’impresa del
Vocabolario Firenze recuperò il suo primato linguistico. Il Vocabolario fu sottoposto a diverse riedizioni ed a partire dalla terza
edizione furono incluse a modello anche le opere di scrittori del Cinquecento, con particolare riguardo alle opere tecniche e
scientifiche, ridimensionando la prospettiva arcaizzante originaria che dette vita a diverse critiche.

Lezione 41

16. Lionardo Salviati, l'Accademia della Crusca e la nascita del Vocabolario.

Leonardo Salviati fu uno dei maggiori esponenti dell’Accademia Fiorentina, che nacque a Firenze tra il 1540 e il 1541 con lo scopo di
promuovere la diffusione della lingua volgare, di far recuperare il primato della lingua alla città di Firenze. Compito dell’accademia era
quello di stabilire un dizionario e delle regole linguistiche a livello nazionale partendo dal Fiorentino puro trecentesco.
Successivamente nel 1582 un gruppo di amici che si riunivano per cenare e conversare piacevolmente di argomenti leggeri (cruscate)
fondò la brigata dei Crusconi. Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia ufficiale, compreso il
Salviati che suggeri’ di adottare il nome Accademia della Crusca.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.
Una delle aspirazione del Salviati era la creazione di un vocabolario che prendesse a modello la produzione letteraria Fiorentina del
trecentesco. Gli accademici della Crusca si impegnarono dopo la morte del Salviati a portare avanti quella aspirazione concretizzandola
redigendo il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612. Con l’impresa del Vocabolario Firenze
recuperò il suo primato linguistico. Il Vocabolario fu sottoposto a diverse riedizioni ed a partire dalla terza edizione furono incluse a
modello anche le opere di scrittori del Cinquecento, con particolare riguardo alle opere tecniche e scientifiche, ridimensionando la
prospettiva arcaizzante originaria.

17. La lessicografia della Crusca: storia de Vocabolario e le reazioni alla Crusca (qualche esempio nei secoli XVII e XVIII).

Nel 1582 un gruppo di amici che si riunivano per cenare e conversare piacevolmente di argomenti leggeri (cruscate) fondò la brigata
dei Crusconi. Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia Fiorentina (che aveva come scopo la
promozione della lingua volgare Fiorentina), compreso Leonardo Salviati che suggeri’ di adottare il nome Accademia della Crusca.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.

Una delle aspirazione del Salviati era la creazione di un vocabolario che prendesse a modello la produzione letteraria Fiorentina del
trecentesco. Gli accademici della Crusca si impegnarono dopo la morte del Salviati a portare avanti quella aspirazione
concretizzandola redigendo il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612. Con l’impresa del
Vocabolario Firenze recuperò il suo primato linguistico. Il Vocabolario fu sottoposto a diverse riedizioni ed a partire dalla terza
edizione furono incluse a modello anche le opere di scrittori del Cinquecento, con particolare riguardo alle opere tecniche e
scientifiche, ridimensionando la prospettiva arcaizzante originaria.

Come esempio di reazione al Vocabolario posso citare Il torto e ’l diritto del Non si può di Bartoli per il secolo XVII, e la Rinunzia
avanti il Notaio degli Autori del presente Foglio periodico al Vocabolario della Crusca di Alessandro Verri che aprì il primo numero
della rivista di stampo illuminista il caffè di Piero Verri.

Il torto e ’l diritto rappresenta un insieme di considerazioni che valutano il grado di affidabilità di forme accolte nel Vocabolario della
Crusca, Bartoli discute sulla possibilità di dichiarare inammissibile o meno l’una o l’altra delle forme autorizzate dal Vocabolario
della Crusca. Lungi da una preconcetta avversione ai dettami della Crusca, il Bartoli mette in guardia dai rischi di assolutizzare ciò
che si può o non si può scrivere, stabiliti sulla base di una documentazione non esaustiva. Bartoli intende sottolineare la variabilità di
quel fiorentino trecentesco che, immobilizzato nella sua funzione di modello, correva il rischio di essere appiattito (anche se magari a
scopo didattico). l’invito del Bartoli è quello di usare il divieto grammaticale (appunto il non si può) con minor rigore, dato il rischio
che di volta in volta ci si trovi nel diritto o nel torto di farlo in maniera assoluta e rigida.

La posizione anticruscante e anti-arcaizzante di Alessandro Verri prende forza dalla contrapposizione, fin dall’attacco della Rinunzia,
delle idee alle parole. Per Verri quelle che contano sono soltanto le idee, indipendentemente dalla forma lessicale che le veicolano. La
Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e
ragione anche al costo di rinunciare alla purezza del Cruscante Fiorentino trecentesco. Verri rivendica il diritto sia di creare parole
nuove sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera, in quanto la lingua può essere arricchita e migliorata. La Libertà di
espressione viene rivendicata nel paragrafo iniziale, giustificandola con l’esempio della libertà dimostrata dai padri fondatori della
lingua , ovvero dalle Tre Corone.

18. La lingua in Italia nel Seicento fra volgare, latino, dialetto.

Già ampiamente usato nella mimesi del parlato nella commedia primo-cinquecentesca, nel Seicento il dialetto viene usato nella
traduzione di classici (la Commedia dantesca, la Gerusalemme del Tasso) e per scritture narrative, da un lato come recupero del dialetto
in alternativa alla lingua letteraria, d’altro canto come ribellione rispetto alla linea filo-toscana prima bembesca e poi cruscante. Per
Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la priorità
del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a qualsiasi altra
lingua ormai non più parlata. L’ostilità al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche modo inquinante l’originaria
purezza del Fiorentino, lo spinse a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.
Non tutti i campi della cultura sono stati investiti dall’avanzare a macchia d’olio del volgare. La Chiesa ad esempio, per la
predicazione si schiera sempre più a favore del volgare ma svolge ancora la funzione in latino. In campo scientifico si registra un
generale avanzamento del volgare in favore del Latino. Anche nelle università si assiste ad una sempre maggiore diffusione del volgare,
così come nelle prediche.

19. . Illustrate il contesto storico e storico-linguistico che porta dall'Accademia degli Umidi all'Accademia Fiorentina e infine
all'Accademia della Crusca. Tracciate infine un profilo di Lionardo Salviati e il suo contributo alla creazione del
Vocabolario degli Accademici della Crusca.

L'Accademia degli Umidi nacque a Firenze il 1º novembre 1540 sotto la spinta di dodici letterati che si autodefinivano "popolari".
Essi erano accomunati da una grande passione per le lettere, e amavano il toscano parlato alla loro epoca, la lingua viva.l’Accademia
degli Umidi fu trasformata nell’Accademia Fiorentina con un atto politico, da parte del duca Cosimo I con lo scopo di promuovere la
diffusione della lingua volgare, di far recuperare il primato della lingua alla città di Firenze.

Uno dei maggiori esponenti dell’Accademia Fiorentina fu Leonardo Salviati.

Successivamente nel 1582 un gruppo di amici che si riunivano per cenare e conversare piacevolmente di argomenti leggeri (cruscate)
fondò la brigata dei Crusconi. Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia ufficiale, compreso il
Salviati che suggeri’ di adottare il nome Accademia della Crusca.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.
Una delle aspirazione del Salviati era la creazione di un vocabolario che prendesse a modello la produzione letteraria Fiorentina del
trecentesco. Gli accademici della Crusca si impegnarono dopo la morte del Salviati a portare avanti quella aspirazione concretizzandola
redigendo il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612. Con l’impresa del Vocabolario Firenze
recuperò il suo primato linguistico. Il Vocabolario fu sottoposto a diverse riedizioni ed a partire dalla terza edizione furono incluse a
modello anche le opere di scrittori del Cinquecento, con particolare riguardo alle opere tecniche e scientifiche, ridimensionando la
prospettiva arcaizzante originaria.

20. La Crusca fra adesioni e reazioni dal Seicento al Settecento

Nel 1582 un gruppo di amici che si riunivano per cenare e conversare piacevolmente di argomenti leggeri (cruscate) fondò la brigata
dei Crusconi. Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia Fiorentina (che aveva come scopo la
promozione della lingua volgare Fiorentina), compreso Leonardo Salviati che suggeri’ di adottare il nome Accademia della Crusca.

Per Salviati il fiorentino in qualità di lingua viva non teme rivali con le lingue morte come il greco ed il latino. Salviati sostiene la
priorità del parlato nel funzionamento della lingua, l’uso vivo e attuale del Fiorentino visto come lingua pura lo rende superiore a
qualsiasi altra lingua ormai non più parlata. Salviati si mostra ostile al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in qualche
modo fattore inquinante l’originaria purezza del Fiorentino, tali ragioni lo spinsero a criticare Tasso ed il suo stile ricco di cultismi.

Salviati espone la propria teoria, riprendendo dalle Prose del Bembo il modello della lingua pura trecentesca. A differenza del Bembo
però Salviati non vede come modello rigido quello del Petrarca per la poesia e quello del Bocaccio per la prosa. In primo luogo
reintroduce Dante come importantissimo modello linguistico, ed in generale Salviati assume a modello tutta la produzione letteraria
Trecentesca, espressione del Fiorentino puro prima che venisse inquinato nei secoli successivi. in sostanza, ad un modello di stile si
sostituisce un modello di lingua in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e letterario. Si riconosce a tutto il
Trecento una purezza che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una miriade di modelli di lingua, selezionati solo
perché appartenenti ad un periodo storico in cui la lingua Fiorentina viene vista come pura.

Una delle aspirazione del Salviati era la creazione di un vocabolario che prendesse a modello la produzione letteraria Fiorentina del
trecentesco. Gli accademici della Crusca si impegnarono dopo la morte del Salviati a portare avanti quella aspirazione
concretizzandola redigendo il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a Venezia nel 1612. Con l’impresa del
Vocabolario Firenze recuperò il suo primato linguistico. Il Vocabolario fu sottoposto a diverse riedizioni ed a partire dalla terza
edizione furono incluse a modello anche le opere di scrittori del Cinquecento, con particolare riguardo alle opere tecniche e
scientifiche, ridimensionando la prospettiva arcaizzante originaria in reazione ad una moltitudine di critiche.

Come esempio di reazione al Vocabolario posso citare Il torto e ’l diritto del Non si può di Bartoli per il secolo XVII, e la Rinunzia
avanti il Notaio degli Autori del presente Foglio periodico al Vocabolario della Crusca di Alessandro Verri che aprì il primo numero
della rivista di stampo illuminista il caffè di Piero Verri.

Il torto e ’l diritto consiste per lo più, in considerazioni legate insieme dal tema dell’opportunità di dichiarare inammissibile o meno
l’una o l’altra delle forme autorizzate dal Vocabolario della Crusca. Bartoli intende sottolineare la variabilità di quel fiorentino
trecentesco che, immobilizzato nella sua funzione di modello, correva il rischio di essere appiattito (anche se magari a scopo
didattico). l’invito del Bartoli è quello di usare il divieto grammaticale (appunto il non si può) con minor rigore, dato il rischio che di
volta in volta ci si trovi nel diritto o nel torto di farlo in maniera assoluta e rigida.

La posizione anticruscante e anti-arcaizzante di Alessandro Verri prende forza dalla contrapposizione, fin dall’attacco della Rinunzia,
delle idee alle parole. Per Verri quelle che contano sono soltanto le idee, indipendentemente dalla forma lessicale che le veicolano. La
Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e
ragione anche al costo di rinunciare alla purezza del Cruscante Fiorentino trecentesco. Veri rivendica il diritto sia di creare parole
nuove sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera, in quanto la lingua può essere arricchita e migliorata. Libertà di
espressione viene rivendicata nel paragrafo iniziale, giustificata con l’esempio della libertà dimostrata dai padri fondatori della lingua
, ovvero dalle Tre Corone.

Lezione 42

05.La prosa di Daniello Bartoli e le sue posizioni linguistiche

La produzione letteraria di Daniello Bartoli comprende opere di carattere storiografico, retorico, scientifico ed alcune opere di
carattere linguistico come "Il torto e il diritto del non si può", un "Trattato di ortografia", e, relativa alla privata attività di scrittore, la
"Selva di parole" rimasta inedita fino a poco tempo fa. In queste opere possiamo rintracciare la posizione del Bartoli sulla questione
linguistica, soprattutto in tal senso ci è utile analizzare Il torto ed il diritto del non si può. Il torto e ’l diritto rappresenta un insieme di
considerazioni che valutano il grado di affidabilità di forme accolte nel Vocabolario della Crusca, Bartoli discute sulla possibilità di
dichiarare inammissibile o meno l’una o l’altra delle forme autorizzate dal Vocabolario della Crusca. Lungi da una preconcetta
avversione ai dettami della Crusca, il Bartoli mette in guardia dai rischi di assolutizzare ciò che si può o non si può scrivere, stabiliti
sulla base di una documentazione non esaustiva. Bartoli intende sottolineare la variabilità di quel fiorentino trecentesco che,
immobilizzato nella sua funzione di modello, correva il rischio di essere appiattito (anche se magari a scopo didattico). l’invito del
Bartoli è quello di usare il divieto grammaticale (appunto il non si può) con minor rigore, dato il rischio che di volta in volta ci si
trovi nel diritto o nel torto di farlo in maniera assoluta e rigida.

Nelle opere del Bartoli troviamo una sostanziale fedeltà al lessico toscano registrato nel Vocabolario degli Accademici della Crusca
ma con un aggiornamento che attesta non cieca sottomissione. Nonostante egli potè consultare soltanto le prime due edizioni del
vocabolario della crusca, il lessico di Daniello Bartoli mostra diverse anticipazioni rispetto alla III edizione. Nella prosa del Bartoli è
frequente lo stile nominale che consiste nella presenza di frasi prive del verbo, non espresso esplicitamente o non replicato. il verbo
omesso può essere rappresentato dal verbo di esistenza, dagli ausiliari o da un verbo facilmente integrabile mentalmente deducendolo
sulla base del contesto.

Nella prosa del Bartoli sono molto frequenti gli infiniti sostantivati distinguibili dalle forme verbali sulla base dell'associazione o
meno dell'articolo o della preposizione articolata all'infinito, della assenza o presenza di un elemento sintatticamente dipendente nel
caso del participio. Il parlato si presenta nella prosa di Daniello Bartoli In forma mimetica, attraverso la prosopopea, mediante l'uso di
interrogazioni, esclamazioni, interiezioni usate per esprimere stati d’animo ed emozioni.

6. Daniello Bartoli: teoria e prassi linguistica.

La produzione letteraria di Daniello Bartoli comprende opere di carattere storiografico, retorico, scientifico ed alcune opere di
carattere linguistico come "Il torto e il diritto del non si può", un "Trattato di ortografia", e, relativa alla privata attività di scrittore, la
"Selva di parole" rimasta inedita fino a poco tempo fa. In queste opere possiamo rintracciare la posizione del Bartoli sulla questione
linguistica, soprattutto in tal senso ci è utile analizzare Il torto ed il diritto del non si può. Il torto e ’l diritto rappresenta un insieme di
considerazioni che valutano il grado di affidabilità di forme accolte nel Vocabolario della Crusca, Bartoli discute sulla possibilità di
dichiarare inammissibile o meno l’una o l’altra delle forme autorizzate dal Vocabolario della Crusca. Lungi da una preconcetta
avversione ai dettami della Crusca, il Bartoli mette in guardia dai rischi di assolutizzare ciò che si può o non si può scrivere, stabiliti
sulla base di una documentazione non esaustiva. Bartoli intende sottolineare la variabilità di quel fiorentino trecentesco che,
immobilizzato nella sua funzione di modello, correva il rischio di essere appiattito (anche se magari a scopo didattico). l’invito del
Bartoli è quello di usare il divieto grammaticale (appunto il non si può) con minor rigore, dato il rischio che di volta in volta ci si
trovi nel diritto o nel torto di farlo in maniera assoluta e rigida.

Nelle opere del Bartoli troviamo una sostanziale fedeltà al lessico toscano registrato nel Vocabolario degli Accademici della Crusca
ma con un aggiornamento che attesta non cieca sottomissione. Nonostante egli potè consultare soltanto le prime due edizioni del
vocabolario della crusca, il lessico di Daniello Bartoli mostra diverse anticipazioni rispetto alla III edizione. Nella prosa del Bartoli è
frequente lo stile nominale che consiste nella presenza di frasi prive del verbo, non espresso esplicitamente o non replicato. il verbo
omesso può essere rappresentato dal verbo di esistenza, dagli ausiliari o da un verbo facilmente integrabile mentalmente deducendolo
sulla base del contesto.

Nella prosa del Bartoli sono molto frequenti gli infiniti sostantivati distinguibili dalle forme verbali sulla base dell'associazione o
meno dell'articolo o della preposizione articolata all'infinito, della assenza o presenza di un elemento sintatticamente dipendente nel
caso del participio. Il parlato si presenta nella prosa di Daniello Bartoli In forma mimetica, attraverso la prosopopea, mediante l'uso di
interrogazioni, esclamazioni, interiezioni usate per esprimere stati d’animo ed emozioni.

Lezione 48

5. Francesco Algarotti, l'Accademia della Crusca e la Francia

Nel settecento la fine della dominazione spagnola con la pace di Utrecht, gli importanti rapporti commerciali o gli scambi di varia
natura fra alcune città italiane e la Francia, l'insediamento in Toscana, a Napoli e nella Savoia di principi francesi o filofrancesei
ed il prestigio politico e culturale della Francia e viceversa il frazionamento culturale e politico italiano, incoraggiarono una
sempre maggiore penetrazione della lingua e della cultura francese nel territorio italiano. Il paragone con la Francia e il francese
innescò in Italia riflessioni importanti sul legame tra condizioni linguisitche e situazione politica. il francese venne considerato
'lingua della ragione' perché ammetteva solo l'ordine diretto dei costituenti della frase. Per ordine diretto si intende la sequenza
SVC dei costituenti della frase. Contrariamente a ciò che succedeva nella lingua nostrana dove si faceva ampio uso in ambito
letterario dell’ordine inverso di stampo barocco ( per ordine inverso si intende la libera disposizione dei costituenti della frase. Ad
esempio VSC, SCV, CVS etc.).
L’esempio della Francia stimola una riflessione sul legame tra condizioni linguistiche e situazione politica, ricca di conseguenze
per il futuro. Francesco Algarotti imputa alla ‘picciolezza e divisione degli stati’ la decadenza letteraria italiana evidenziava i
‘grandissimi vantaggi’ dei Francesi dall’essere ‘una nazione grande e unita’ dove il sapere circola senza interruzione d’una in altra
provincia, ogni cosa fa capo a Parigi . Il confronto risalta la conservatività dell’italiano, povero di terminologia settoriale, e
intralciato da una sintassi dal periodare complesso e ricco di inversioni. Quindi il riconoscimento di condizioni socio-politiche che
condizionano la vita culturale di un paese.
Francesco Algarotti sosteneva che in Italia l'Accademia della Crusca, non essendo un organo istituzionale, non aveva potuto
svolgere la medesima funzione dell'Académie française. Il paragone fra Académie française e l'Accademia della Crusca
evidenziava nelle due istituzioni finalità divergenti: rivolta verso il futuro la prima, verso il passato la Seconda, Francesco
Algarotti individuava nell'Académie Française un importante istituto di regolamentazione e promozione della lingua e della
letteratura francesi obbiettivo che l’accademia della Crusca non era riuscita ha raggiungere.

6. Quali sono i piani linguistici più permeabili ai francesismi introdotti nel Settecento?
La polemica fra i fautori e i censori dei gallicismi si concentrò soprattutto su fenomeni relativi ai piani lessicale e sintattico.
L’atteggiamento del “tipico letterato” settecentesco è, su entrambi i piani, quasi pregiudizialmente antagonistico alle posizioni
arcaizzanti della Crusca (e ciò sia detto tanto che si tratti di un partigiano della gallomania, quanto che egli accetti posizioni medie
e sostanzialmente equilibrate come quelle dell’Algarotti)
7. Illustrate i temi e le posizioni della querelle des anciens et des modernes e di quella correlata fra Dominique Bouhours e
Giovan Gioseffo Orsi.

Nella querelle des anciens et des modernes Bernard de Fontenelle sosteneva l'uguaglianza di natura fra antichi e moderni, la
superiorità dei moderni in fatto di scienza e filosofia, l'uguaglianza o la superiorità degli antichi in fatto di letteratura e di poesia.
Questa idea si scontrava con i fondamenti della letteratura Italiana. Quella italiana era una cultura per lo più invecchiata e stantia,
di prevalente matrice retorica, che pare necessariamente star dalla parte degli antichi e che sembra essere incapace di offrire
risposte a quel desiderio di apertura nello spazio e verso il nuovo. il modello italiano nel campo della letteratura e della lingua
assumeva come punto di riferimento la letteratura e la lingua del passato considerata come superiore. Non è dunque un caso che
negli stessi anni in cui, principalmente in Francia, si discute di antichi e di moderni, una nuova polemica si innescasse fra letterati
francesi e letterati italiani. L’italiano infatti rappresentava, suo malgrado, agli occhi della punta più avanzata della cultura
settecentesca, il vecchio, il contorto, l’artificiale, il formale, il retoricamente atteggiato perché si trattava, per l’italiano, di una
lingua per necessità misurata solo sulla letteratura, giacché l’italiano della civile conversazione, la lingua comune dell’oralità ad
un livello diafasico alto o medio-alto non esisteva. Viceversa il francese è il nuovo, è lo strumento linguistico svelto e vivace che
tien dietro alla velocità dei moderni spostamenti geografici, che tien dietro alla velocità con cui le notizie si diffondono e circolano
per il tramite dei giornali, che assicura al contempo la diffusione del sapere per scritto e nell’oralità. Si innescò quindi una
riflessione positiva sulla natura delle lingue e i loro differenti caratteri intrinseci.
Nella polemica fra Dominique Bouhours e Gioseffo Felice Orsi, l'italiano e il francese furono caratterizzati il primo come incline a
libertà sintattica e disponibile all'ordine inverso, il secondo come incline alla fissità sintattica stabilita da un ordine diretto che il
Bouhours considerava naturale. Felice Orsi qualificò l'ordine inverso come segno di propensione di una lingua all'espressione
dell'immaginazione, l'ordine diretto come segno di propensione di una lingua all'analisi. Di contro Bouhours condannava
l'artificiosità della letteratura italiana barocca accusata di innaturalezza.

8. Il genio delle lingue: sintassi lineare e ordine inverso nel Settecento

Nel primo decennio del XVIII secolo La polemica Orsi-Bouhours innescò una riflessione positiva sulla natura delle lingue e i loro
differenti caratteri intrinseci (il "genio delle lingue"). Nella polemica fra Dominique Bouhours e Gioseffo Felice Orsi, l'italiano e il
francese furono caratterizzati il primo come incline a libertà sintattica e disponibile all'ordine inverso, il secondo come incline alla
fissità sintattica stabilita da un ordine diretto che il Bouhours considerava naturale. Felice Orsi qualificò l'ordine inverso come
segno di propensione di una lingua all'espressione dell'immaginazione, l'ordine diretto come segno di propensione di una lingua
all'analisi. Di contro Bouhours condannava l'artificiosità della letteratura italiana barocca accusata di innaturalezza.

9. Illustrate la posizione di Francesco Algarotti nei confronti della situazione linguistica italiana a lui contemporanea e nei
confronti dell'Accademia della Crusca in particolare.

Nel settecento la fine della dominazione spagnola con la pace di Utrecht, gli importanti rapporti commerciali o gli scambi di varia
natura fra alcune città italiane e la Francia, l'insediamento in Toscana, a Napoli e nella Savoia di principi francesi o filofrancesei
ed il prestigio politico e culturale della Francia e viceversa il frazionamento culturale e politico italiano, incoraggiarono una
sempre maggiore penetrazione della lingua e della cultura francese nel territorio italiano. Il paragone con la Francia e il francese
innescò in Italia riflessioni importanti sul legame tra condizioni linguisitche e situazione politica. il francese venne considerato
'lingua della ragione' perché ammetteva solo l'ordine diretto dei costituenti della frase. Per ordine diretto si intende la sequenza
SVC dei costituenti della frase. Contrariamente a ciò che succedeva nella lingua nostrana dove si faceva ampio uso in ambito
letterario dell’ordine inverso di stampo barocco ( per ordine inverso si intende la libera disposizione dei costituenti della frase. Ad
esempio VSC, SCV, CVS etc.).
L’esempio della Francia stimola una riflessione sul legame tra condizioni linguistiche e situazione politica, ricca di conseguenze
per il futuro. Francesco Algarotti imputa alla ‘picciolezza e divisione degli stati’ la decadenza letteraria italiana evidenziava i
‘grandissimi vantaggi’ dei Francesi dall’essere ‘una nazione grande e unita’ dove il sapere circola senza interruzione d’una in altra
provincia, ogni cosa fa capo a Parigi . Il confronto risalta la conservatività dell’italiano, povero di terminologia settoriale, e
intralciato da una sintassi dal periodare complesso e ricco di inversioni. Quindi il riconoscimento di condizioni socio-politiche che
condizionano la vita culturale di un paese.
Francesco Algarotti sosteneva che in Italia l'Accademia della Crusca, non essendo un organo istituzionale, non aveva potuto
svolgere la medesima funzione dell'Académie française. Il paragone fra Académie française e l'Accademia della Crusca
evidenziava nelle due istituzioni finalità divergenti: rivolta verso il futuro la prima, verso il passato la Seconda, Francesco
Algarotti individuava nell'Académie Française un importante istituto di regolamentazione e promozione della lingua e della
letteratura francesi obbiettivo che l’accademia della Crusca non era riuscita ha raggiungere.

10. Le polemiche linguistiche del Settecento

Nel settecento la fine della dominazione spagnola con la pace di Utrecht, gli importanti rapporti commerciali o gli scambi di varia
natura fra alcune città italiane e la Francia, l'insediamento in Toscana, a Napoli e nella Savoia di principi francesi o filofrancesei
ed il prestigio politico e culturale della Francia e viceversa il frazionamento culturale e politico italiano, incoraggiarono una
sempre maggiore penetrazione della lingua e della cultura francese nel territorio italiano. Il paragone con la Francia e il francese
innescò in Italia riflessioni importanti sul legame tra condizioni linguisitche e situazione politica. il francese venne considerato
'lingua della ragione' perché ammetteva solo l'ordine diretto dei costituenti della frase. Per ordine diretto si intende la sequenza
SVC dei costituenti della frase. Contrariamente a ciò che succedeva nella lingua nostrana dove si faceva ampio uso in ambito
letterario dell’ordine inverso di stampo barocco ( per ordine inverso si intende la libera disposizione dei costituenti della frase. Ad
esempio VSC, SCV, CVS etc.).
L’esempio della Francia stimola una riflessione sul legame tra condizioni linguistiche e situazione politica, ricca di conseguenze
per il futuro. Francesco Algarotti imputa alla ‘picciolezza e divisione degli stati’ la decadenza letteraria italiana evidenziava i
‘grandissimi vantaggi’ dei Francesi dall’essere ‘una nazione grande e unita’ dove il sapere circola senza interruzione d’una in altra
provincia, ogni cosa fa capo a Parigi . Il confronto risalta la conservatività dell’italiano, povero di terminologia settoriale, e
intralciato da una sintassi dal periodare complesso e ricco di inversioni. Quindi il riconoscimento di condizioni socio-politiche che
condizionano la vita culturale di un paese.
Francesco Algarotti sosteneva che in Italia l'Accademia della Crusca, non essendo un organo istituzionale, non aveva potuto svolgere la
medesima funzione dell'Académie française. Il paragone fra Académie française e l'Accademia della Crusca evidenziava nelle due
istituzioni finalità divergenti: rivolta verso il futuro la prima, verso il passato la Seconda, Francesco Algarotti individuava
nell'Académie Française un importante istituto di regolamentazione e promozione della lingua e della letteratura francesi

Nella querelle des anciens et des modernes Bernard de Fontenelle sosteneva l'uguaglianza di natura fra antichi e moderni, la
superiorità dei moderni in fatto di scienza e filosofia, l'uguaglianza o la superiorità degli antichi in fatto di letteratura e di poesia.
Questa idea si scontrava con i fondamenti della letteratura Italiana. Quella italiana era una cultura per lo più invecchiata e stantia,
di prevalente matrice retorica, che pare necessariamente star dalla parte degli antichi e che sembra essere incapace di offrire
risposte a quel desiderio di apertura nello spazio e verso il nuovo. il modello italiano nel campo della letteratura e della lingua
assumeva come punto di riferimento la letteratura e la lingua del passato considerata come superiore. Non è dunque un caso che
negli stessi anni in cui, principalmente in Francia, si discute di antichi e di moderni, una nuova polemica si innescasse fra letterati
francesi e letterati italiani. L’italiano infatti rappresentava, suo malgrado, agli occhi della punta più avanzata della cultura
settecentesca, il vecchio, il contorto, l’artificiale, il formale, il retoricamente atteggiato perché si trattava, per l’italiano, di una
lingua per necessità misurata solo sulla letteratura, giacché l’italiano della civile conversazione, la lingua comune dell’oralità ad
un livello diafasico alto o medio-alto non esisteva. Viceversa il francese è il nuovo, è lo strumento linguistico svelto e vivace che
tien dietro alla velocità dei moderni spostamenti geografici, che tien dietro alla velocità con cui le notizie si diffondono e circolano
per il tramite dei giornali, che assicura al contempo la diffusione del sapere per scritto e nell’oralità. Si innescò quindi una
riflessione positiva sulla natura delle lingue e i loro differenti caratteri intrinseci.
Nella polemica fra Dominique Bouhours e Gioseffo Felice Orsi, l'italiano e il francese furono caratterizzati il primo come incline a
libertà sintattica e disponibile all'ordine inverso, il secondo come incline alla fissità sintattica stabilita da un ordine diretto che il
Bouhours considerava naturale. Felice Orsi qualificò l'ordine inverso come segno di propensione di una lingua all'espressione
dell'immaginazione, l'ordine diretto come segno di propensione di una lingua all'analisi. Di contro Bouhours condannava
l'artificiosità della letteratura italiana barocca accusata di innaturalezza. L’esempio della Francia stimola una riflessione sul legame
tra condizioni linguistiche e situazione politica, ricca di conseguenze per il futuro. Francesco Algarotti imputa alla ‘picciolezza e
divisione degli stati’ la decadenza letteraria italiana evidenziava i ‘grandissimi vantaggi’ dei Francesi dall’essere ‘una nazione
grande e unita’ dove il sapere circola senza interruzione d’una in altra provincia, ogni cosa fa capo a Parigi . Il confronto risalta la
conservatività dell’italiano, povero di terminologia settoriale, e intralciato da una sintassi dal periodare complesso e ricco di
inversioni. Quindi il riconoscimento di condizioni socio-politiche che condizionano la vita culturale di un paese.
Francesco Algarotti sosteneva che in Italia l'Accademia della Crusca, non essendo un organo istituzionale, non aveva potuto
svolgere la medesima funzione dell'Académie française. Il paragone fra Académie française e l'Accademia della Crusca
evidenziava nelle due istituzioni finalità divergenti: rivolta verso il futuro la prima, verso il passato la Seconda, Francesco
Algarotti individuava nell'Académie Française un importante istituto di regolamentazione e promozione della lingua e della
letteratura francesi obbiettivo che l’accademia della Crusca non era riuscita ha raggiungere

Lezione 49

4. Alessandro Verri milanese e romano.

Durante il periodo Milanese Alessandro Verri collabora con il fratello alla rivista italiana di stampo illuminista il caffè. In questo
periodo sposa la posizione anticruscante e anti-arcaizzante del fratello Pietro Verri e dell’intero gruppo dell’ Accademia dei Pugni e
della redazione de il caffè.

Alessandro Verri aprì la prima stampa della rivista Milanese con la Rinunzia avanti il Notaio degli Autori del presente Foglio
periodico al Vocabolario della Crusca, in cui esprime le sue idee in ambito linguistico. La rinuncia prende forza dalla
contrapposizione, delle idee alle parole. Per Verri quelle che contano sono soltanto le idee, indipendentemente dalla forma lessicale
che le veicolano. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori del “Caffè” l’onesta libertà di
esprimere pensieri e ragione anche al costo di rinunciare alla purezza del Cruscante Fiorentino trecentesco. Veri rivendica il diritto sia
di creare parole nuove sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera, in quanto la lingua può essere arricchita e migliorata.
Libertà di espressione viene rivendicata nel paragrafo iniziale, giustificata con l’esempio della libertà dimostrata dai padri fondatori
della lingua , ovvero dalle Tre Corone.
finita l’esperienza del “Caffè” viaggiò, come soggiornando a Parigi (in compagnia di Cesare Beccaria) e poi in Inghilterra. Di ritorno da
tale viaggio passò per Roma dove si innamorò e si sposò. A Roma rimase fino alla morte, nonostante gli inviti del fratello a rientrare a
Milano. Qui si dedicò allo studio dei classici greci e latini e alla composizione di opere teatrali e di romanzi archeologici, in cui si riflette un
atteggiamento conservatore ormai agli antipodi rispetto alle posizioni di Pietro. A questa seconda ispirazione, tanto diversa da quella che
aveva nutrito gli anni del “Caffè”, risalgono i romanzi: Le avventure di Saffo e le Notti romane al sepolcro degli Scipioni. In essi
Alessandro, mostra quanto mutato fosse il suo pensiero rispetto alla fase giovanile della Milano dell’Accademia dei Pugni e della Rinunzia
pubblicata sul “Caffè”.

Lezione 51

5. Illustrate un argomento a vostra scelta fra quelli studiati nel volume di Roberta Cella o, a seconda dell'anno di corso, nel
volume di Francesco Bruni
6. Illustrate dal punto di vista linguistico, stilistico e ideologico il seguente brano tratto dalla Rinunzia avanti il notaio di
Alessandro Verri:
"Cum sit, che gli Autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le idee alle parole, ed essendo inimicissimi d'ogni
laccio ingiusto che imporre si voglia all'onesta libertà de' loro pensieri, e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare
nelle forme solenne rinunzia alla purezza della Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni".

Durante il periodo Milanese Alessandro Verri collaborò con il fratello alla rivista italiana di stampo illuminista il caffè. In questo
periodo sposò la posizione anticruscante e anti-arcaizzante del fratello Pietro Verri e dell’intero gruppo dell’ Accademia dei Pugni e
di quanti gravitavano intorno alla redazione de il caffè.

Alessandro Verri aprì la prima stampa della rivista Milanese con la Rinunzia avanti il Notaio degli Autori del presente Foglio
periodico al Vocabolario della Crusca, in cui esprime le sue idee in ambito linguistico. La rinuncia prende forza dalla
contrapposizione, delle idee alle parole. Per Verri quelle che contano sono soltanto le idee, indipendentemente dalla forma lessicale
che le veicolano. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori del “Caffè” l’onesta libertà di
esprimere pensieri e ragioni anche al costo di rinunciare alla purezza del Cruscante Fiorentino trecentesco. Veri rivendica il diritto sia
di creare parole nuove sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera, in quanto la lingua può essere arricchita e migliorata.
La Libertà di espressione viene rivendicata già nel paragrafo iniziale, giustificata con l’esempio della libertà dimostrata dai padri
fondatori della lingua , ovvero dalle Tre Corone.
Nel brano il suo pensiero viene messo in pratica nel lessico e nello stile. Nel lessico attraverso la rinuncia a Fiorentinismi arcaici e
cruscanti se non per alcune eccezioni a scopo citazionale che vengono infatti evidenziato dall’uso del corsivo (toscana favella).
Nello stile attraverso l’adesione alla sintassi tipica Francese che prevede la sequenza SVC, , coerente con la posizione di chiarezza e
razionalità del suo ambiente e della sua posizione intellettuale. Viene prediletto quindi predilige l’ordine diretto, per cui troviamo nel
testo la struttura soggetto, verbo e complemento. Nel testo sopra al complemento oggetto, che nella sequenza analitica di marca
francese dovrebbe occupare la terza posizione, è premesso un complemento indiretto nel caso di “di fare nelle forme solenne rinunzia”,
ma l’anticipazione del complemento indiretto è funzionale a mantenere legato a “solenne rinunzia” il complemento indiretto che ne
dipende. Dal punto di vista della costruzione del periodo la Rinunzia aderisce ad un modulo logico ricorrente che, tramite una
secondaria (costruita implicitamente con il modo gerundio o esplicitamente, con valore causale), espone la premessa a cui consegue
quanto espresso nella principale. Si vedano: “Cum sit[... ed essendo ... perciò sono venuti in parere”.
Questo stile chiaro, netto, ordinato e preciso venne definito style coupè in contrapposizione alla sintassi complessa, disordinata e ricca
di inversioni tipica del barocco italiano.
Nel brano analizzato dal punto di vista linguistico ritroviamo usi grafici divergenti dalla ortografia moderna. Nell’uso delle maiuscole
per nomi come “Autori” e “Toscana”. Negli interpuntivi, usati il modo differente da quelli moderni. Ad esempio la virgola viene posta
davanti a “e” e davanti a “o” ,anche in coordinazione ravvicinata: Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni.
La parola rinunzia rappresenta l’incertezza che nell’italiano riscontriamo nel settecento tra la pronucia” ci” e “zi” per il latino TI/CI.
Si segnala infine la rigorosa alternanza fra ed davanti a vocale( “ed essendo” ) e e davanti a parola che inizia per consonante (e della
ragion loro)

08. Commentate dal punto di vista grafico, fono-morfologico e sintattico il seguente brano della Rinunzia di Alessandro Verri:
"6. Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno Ortografico e conformeremo le
sue leggi alla ragione, dove ci parràche sia inutile il replicare le consonanti o l'accentar le vocali, e tutte quelle regole che il
capriccioso Pedantismo ha introdotte, e consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno. In oltre considerando noi che le
cose utili a sapersi son molte, e che la vita è breve, abbiamo consagrato il prezioso tempo all'acquisto delle idee, ponendo nel
numero delle secondarie cognizioni la pura favella, del che siamo tanto lontani d'arrossirne, che ne facciamo amende honorable
avanti a tutti gli amatori de' riboboli nojosissimi dell'infinitamente nojoso Malmantile, i quali sparsi quà e là come giojelli nelle
Lombarde cicalate, sono proprio il grottesco delle
belle Lettere".

Veri nella rinuncia espone le sue idee, che si basano sull’anteporre le idee alle parole. Per Verri quelle che contano sono soltanto le
idee, indipendentemente dalla forma lessicale che le veicolano. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i
collaboratori del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e ragioni anche al costo di rinunciare alla purezza del Cruscante
Fiorentino trecentesco. Veri rivendica il diritto sia di creare parole nuove sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera, in
quanto la lingua può essere arricchita e migliorata. La Libertà di espressione viene rivendicata già nel paragrafo iniziale, giustificata
con l’esempio della libertà dimostrata dai padri fondatori della lingua , ovvero dalle Tre Corone.
Nel brano il suo pensiero viene messo in pratica nel lessico, nella sintassi, nelle scelte fono morfologiche e grafiche.
Possiamo partire dalla libertà rivendicata di introdurre nella lingua forestierismi come Dispotico (Francesismo) e belle lettere (calco dal
francese belles Lettres, locuzione gemella di beaux Arts, sostitutiva della forma italiana arti belle). Possiamo inoltre evidenziare la
libertà rivendicata nella rinunzia nella formazione di neologismi, come la parila coniata da Verri Pedantismo
Nel brano ritroviamo usi grafici divergenti dalla ortografia moderna, come l’uso ricorrente della “j”. Si vedano Nojoso, nojosissimi e
giojelli. Ritroviamo l’uso delle maiuscole per nomi come “regno” “ortografico” e “lettere”. Trovaimo diversi esempi nel testo dell’uso
della virgola davanti ad “e”ed in riferimento agli accenti di cui il Verri parla proprio nel testo (accentar le vocali) ritroviamo l’accento
su “quà” probabilmente influenzato dal vicino “là”.
Di marca stilistica e sintattica è infine la tematizzazione che ha evidente effetto di mettere in rilievo l’oggetto della negazione: “e tutte
quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno”. Ma in generale nello
stile della rinunzia ritroviamo l’adesione alla sintassi tipica Francese che prevede la sequenza SVC, , coerente con la posizione di
chiarezza e razionalità del suo ambiente e della sua posizione intellettuale. Viene prediletto quindi l’ordine diretto, per cui troviamo nel
testo la struttura soggetto, verbo e complemento

Lezione 53

9. Illustrate la situazione dell'insegnamento scolastico che il nuovo stato unitario si trovò a riformare, la natura e i contenuti del
sistema scolastico unitario, i problemi linguistici affrontati.

Prima della riforma scolastica del Regno d'Italia l'insegnamento scolastico di base era per lo più affidato a istituzioni religiose quali le
Scuole Pie. Vigeva un alto tasso di analfabetizzazione, il dialetto aveva un altissima diffusione e la frammentazione politica non aveva
permesso soprattutto fuori dall’ambito letterario la formazione di una lingua nazionale. questo era il quadro del primo Ottocento, per
cui una volta proclamato il Regno d’Italia nel 1861, restava da unificare l’Italia sotto il profilo linguistico. Nacque quindi l’esigenza di
creare un sistema scolastico su base nazionale che permettesse l’alfabetizzazione del popolo e la diffusione della lingua Italiana. In
questo contesto Il problema didattico più importante era quale italiano insegnare e in che modo gestire la dialettofonia degli alunni. Si
rece necessario rendere obbligatoria la scuola e regolamentarla sotto il profilo legislativo. la legge Casati emanata nel 1859 per il
Regno di Sardegna, fu estesa nel 1861 con l'unificazione, a tutta l'Italia. Questa prevedeva due gradi di istruzione, elementare e medio;
il grado elementare organizzato in due bienni di cui il primo soltanto è obbligatorio, il grado medio diviso in due indirizzi (classico e
professionale). Tuttavia la legge Casati mancava di pene severe per i genitori che non rispettavano l’obbligo scolastico per i loro figli,
ed ebbe scarsi risultati sull’incremento di alfabetizzati. Nel 1877 entrò in vigore La legge Coppino che riformò la scuola elementare,
ora di durata quinquennale, rendendo obbligatoria la frequenza del primo triennio, prevedendo pene severe ai genitori che non
mandassero i figli a scuola. La legge Coppino risultò molto più incisiva e nel 1911, a cinquant'anni dall'unificazione, l'analfabetismo si
dimezzò attestandosi intorno al 40%.

10. Illustrate le differenti posizioni linguistiche che si fronteggiano nell'Ottocento.

L’Ottocentocoincide con la fase di più accentuato dinamismo della storia linguistica italiana. Un dinamismo che è in parte condiviso dalle
altre lingue moderne e dipende dai grandi rivolgimenti sociali e tecnologici che segnano il secolo. In Italia soprattutto avrà un grande peso
l’unificazione politica.
Nell’ottocento presero forma tre diverse teorie linguistiche: classicismo, purismo e neo-toscanismo.
Il purismo ottocentesco fu impersonato dall'abate Antonio Cesari , il quale afferma la superiorità di natura del fiorentino trecentesco. Per
Cesari dalla lingua dovevano essere estromesse sia le novità del fiorentino dei secoli successivi al 300, sia i forestierismi, in nome di una
tutela intransigente della purezza linguistica del secolo aureo. Per Cesari La lingua a lui contemporanea della città di Firenze non è un
modello da seguire e ritiene che non sia utile essere fiorentini di nascita per scrivere e parlar bene. Egli riconosceva la purezza della lingua
italiana soltanto nel toscano e in modo particolare nel fiorentino del Trecento.
Basilio Puoti pur riconoscendo nel Trecento un modello linguistico e letterario, rispetto alle posizioni di Antonio Cesari mostra aperture
verso il Cinquecento e introduce divieti per gli stili comici ed i registri bassi trecenteschi. Nel pensiero di Puoti, che si può classificare
come purista si intravede la contemporanea presenza dell’elemento che più caratterizza il classicismo linguistico dell’Ottocento: la fiducia,
piuttosto che nelle caratteristiche intrinseche della lingua, nell’affinamento stilistico e nella possibilità di arricchirla e perfezionarla
attraverso l’esercizio letterario
Il classicismo ottocentesco impersonato da Vincenzo Monti si opponeva al purismo,rifiutando gli arcaismi e i termini popolari trecenteschi,
ed accogliendo il contributo non toscano alla formazione della lingua letteraria ed accettando l'arricchimento linguistico. I classicisti
intendono la lingua come espressione di una cultura alta e selezionata, utilizzabile in primo luogo in sede letteraria e che dunque rigetta
sulla base di considerazioni di stile il parlato, il comico, il demotico, il plebeo. in questa prospettiva, il Latino funziona come modello
linguistico, il cui repertorio è risorsa continuamente disponibile per elevare l’italiano letterario.
I massimi esponenti del neotoscanismo ottocentesco furono Niccolò Tommaseo e Giovan Battista Niccolini,essi indicano nell'uso Toscano
vivo della lingua un modello. Lo scrittore quindi, per loro, può coniugare istanze dell'uso vivo con la tradizione letteraria, viene quindi
attribuita notevole importanza al gusto personale dello scrittore. Quindi secondo Niccolò Tommaseo la norma linguistica risiede nell'uso
toscano vivo, senza però rinnegare la tradizione letteraria italiana. Questi auspicava per l’educazione linguistica degl’italiani, il diretto
contatto con toscani nativi, non necessariamente cólti.

11. La legislazione scolastica del Regno d'Italia.

Prima della riforma scolastica del Regno d'Italia l'insegnamento scolastico di base era per lo più affidato a istituzioni religiose quali le
Scuole Pie. Vigeva un alto tasso di analfabetizzazione, il dialetto aveva un altissima diffusione e la frammentazione politica non aveva
permesso soprattutto fuori dall’ambito letterario la formazione di una lingua nazionale. questo era il quadro del primo Ottocento, per
cui una volta proclamato il Regno d’Italia nel 1861, restava da unificare l’Italia sotto il profilo linguistico. Nacque quindi l’esigenza di
creare un sistema scolastico su base nazionale che permettesse l’alfabetizzazione del popolo e la diffusione della lingua Italiana. In
questo contesto Il problema didattico più importante era quale italiano insegnare e in che modo gestire la dialettofonia degli alunni. Si
rece necessario rendere obbligatoria la scuola e regolamentarla sotto il profilo legislativo. la legge Casati emanata nel 1859 per il
Regno di Sardegna, fu estesa nel 1861 con l'unificazione, a tutta l'Italia. Questa prevedeva due gradi di istruzione, elementare e medio;
il grado elementare organizzato in due bienni di cui il primo soltanto è obbligatorio, il grado medio diviso in due indirizzi (classico e
professionale). Tuttavia la legge Casati mancava di pene severe per i genitori che non rispettavano l’obbligo scolastico per i loro figli,
ed ebbe scarsi risultati sull’incremento di alfabetizzati. Nel 1877 entrò in vigore La legge Coppino che riformò la scuola elementare,
ora di durata quinquennale, rendendo obbligatoria la frequenza del primo triennio, prevedendo pene severe ai genitori che non
mandassero i figli a scuola. La legge Coppino risultò molto più incisiva e nel 1911, a cinquant'anni dall'unificazione, l'analfabetismo si
dimezzò attestandosi intorno al 40%.

Lezione 54

12. L'Ottocento: l'Unificazione e la scuola

Prima della riforma scolastica del Regno d'Italia l'insegnamento scolastico di base era per lo più affidato a istituzioni religiose quali le
Scuole Pie. Vigeva un alto tasso di analfabetizzazione, il dialetto aveva un altissima diffusione e la frammentazione politica non aveva
permesso soprattutto fuori dall’ambito letterario la formazione di una lingua nazionale. questo era il quadro del primo Ottocento, per
cui una volta proclamato il Regno d’Italia nel 1861, restava da unificare l’Italia sotto il profilo linguistico. Nacque quindi l’esigenza di
creare un sistema scolastico su base nazionale che permettesse l’alfabetizzazione del popolo e la diffusione della lingua Italiana. In
questo contesto Il problema didattico più importante era quale italiano insegnare e in che modo gestire la dialettofonia degli alunni. Si
rece necessario rendere obbligatoria la scuola e regolamentarla sotto il profilo legislativo. la legge Casati emanata nel 1859 per il
Regno di Sardegna, fu estesa nel 1861 con l'unificazione, a tutta l'Italia. Questa prevedeva due gradi di istruzione, elementare e medio;
il grado elementare organizzato in due bienni di cui il primo soltanto è obbligatorio, il grado medio diviso in due indirizzi (classico e
professionale). Tuttavia la legge Casati mancava di pene severe per i genitori che non rispettavano l’obbligo scolastico per i loro figli,
ed ebbe scarsi risultati sull’incremento di alfabetizzati. Nel 1877 entrò in vigore La legge Coppino che riformò la scuola elementare,
ora di durata quinquennale, rendendo obbligatoria la frequenza del primo triennio, prevedendo pene severe ai genitori che non
mandassero i figli a scuola. La legge Coppino risultò molto più incisiva e nel 1911, a cinquant'anni dall'unificazione, l'analfabetismo si
dimezzò attestandosi intorno al 40%.

13. Teorie e modelli linguistici nel secondo Ottocento: classicismo, purismo, neo-toscanismo.

Nell’ottocento presero forma tre diverse teorie linguistiche: classicismo, purismo e neo-toscanismo.
Il purismo ottocentesco fu impersonato dall'abate Antonio Cesari , il quale afferma la superiorità di natura del fiorentino trecentesco. Per
Cesari la lingua a lui contemporanea della città di Firenze non è un modello da seguire e ritiene che non sia utile essere fiorentini di nascita
per scrivere e parlar bene. Egli riconosceva la purezza della lingua italiana soltanto nel toscano e in modo particolare nel fiorentino del
Trecento.
Per Basilio Puoti pur riconoscendo nel Trecento un modello linguistico e letterario, rispetto alle posizioni di Antonio Cesari mostra
aperture verso il Cinquecento e introduce censure per gli stili comici trecenteschi.
Il classicismo ottocentesco impersonato da Vincenzo Monti si opponeva al purismo,rifiutando gli arcaismi e i termini popolari, accoglie il
contributo non toscano alla formazione della lingua letteraria ed accetta l'arricchimento linguistico tramite l'analogia ed i latinismi.
I massimi esponenti del neotoscanismo ottocentesco furono Niccolò Tommaseo e Giovan Battista Niccolini,essi indicano nell'uso vivo
della lingua un modello. Lo scrittore quindi per loro, può coniugare istanze dell'uso vivo con la tradizione letteraria, viene quindi attribuita
notevole importanza al gusto personale dello scrittore. Secondo Niccolò Tommaseo la norma linguistica risiede nell'uso toscano vivo, senza
però rinnegare la tradizione letteraria italiana.

14. L'Ottocento: le condizioni linguistiche dell'Italia pre-unitaria.

Prima della riforma scolastica del Regno d'Italia l'insegnamento scolastico di base era per lo più affidato a istituzioni religiose quali le
Scuole Pie. Vigeva un alto tasso di analfabetizzazione, il dialetto aveva un altissima diffusione e la frammentazione politica non aveva
permesso soprattutto fuori dall’ambito letterario la formazione di una lingua nazionale. questo era il quadro del primo Ottocento, per
cui una volta proclamato il Regno d’Italia nel 1861, restava da unificare l’Italia sotto il profilo linguistico. Nacque quindi l’esigenza di
creare un sistema scolastico su base nazionale che permettesse l’alfabetizzazione del popolo e la diffusione della lingua Italiana. In
questo contesto Il problema didattico più importante era quale italiano insegnare e in che modo gestire la dialettofonia degli alunni. Si
rece necessario rendere obbligatoria la scuola e regolamentarla sotto il profilo legislativo. la legge Casati emanata nel 1859 per il
Regno di Sardegna, fu estesa nel 1861 con l'unificazione, a tutta l'Italia. Questa prevedeva due gradi di istruzione, elementare e medio;
il grado elementare organizzato in due bienni di cui il primo soltanto è obbligatorio, il grado medio diviso in due indirizzi (classico e
professionale). Tuttavia la legge Casati mancava di pene severe per i genitori che non rispettavano l’obbligo scolastico per i loro figli,
ed ebbe scarsi risultati sull’incremento di alfabetizzati. Nel 1877 entrò in vigore La legge Coppino che riformò la scuola elementare,
ora di durata quinquennale, rendendo obbligatoria la frequenza del primo triennio, prevedendo pene severe ai genitori che non
mandassero i figli a scuola. La legge Coppino risultò molto più incisiva e nel 1911, a cinquant'anni dall'unificazione, l'analfabetismo si
dimezzò attestandosi intorno al 40%.

Lezione 55

15. Alessandro Manzoni e la lingua: dal primo abbozzo del romanzo, alla prima edizione dei Promessi Sposi, all'edizione definitiva.

Una volta completato l’abbozzo del romanzo, Alessandro manzoni si dedicò alla sua revisione che portò alla pubblicazione della prima
edizione dei Promessi Sposi, la ventisettana “fermo e Lucia”. Nel lavoro di revisione del primo abbozzo Manzoni si affido alla lettura della
Crusca veronese di Antonio Cesari e il Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini. Manzoni ricercò una soluzione di stampo
letterario e libresco, filo-toscana e arcaizzante, cercò soluzioni autorizzate dalla lessicografia settecentesca di ascendenza cruscante o
purista o dagli autori cinquecenteschi per lo più comici o popolari. Le scelte linguistiche operate da Manzoni in questa fase furono
determinate dalla volontà di avvicinarsi il più possibile all'uso toscano, pur attingendo a materiali libreschi.
La prima edizione del Fermo e Lucia fu caratterizzata quindi da un sostanziale ibridismo fra toscano letterario e vari elementi lombardi e
francesi. La revisione che porta dall'edizione Ventisettana dei Promessi sposi alla Quarantana comporta sistematicamente la sostituzione di
forme arcaiche e letterarie con espressioni dell'uso vivo. Sicuramente di forte impatto fu il soggiorno Fiorentino dell’autore durante il quale
entrò in contatto con la lingua Fiorentina parlata dalla classe colta. Il suo modello, da toscano letterario e libresco che era, perché
conosciuto sui classici e sulle pagine della Crusca veronese, divenne il fiorentino colloquiale e medio, vivo ma non plebeo, ascoltato e
apprezzato sulla bocca stessa degli amici e dei conoscenti incontrati durante il soggiorno. Ne sarebbe uscita (dopo altri interminabili anni di
puntigliosa revisione linguistica e stilistica) la seconda e definitiva edizione dei Promessi Sposi nella quale il modello linguistico fu Il
fiorentino parlato dalle classi colte.

16. Graziadio Isaia Ascoli e il Manzoni della Relazione.

Emilio Broglio, dal 1867 ministro della Pubblica Istruzione, nel 1868 nominò una commissione di cui Manzoni fu membro, con l’intento
di ricercare e proporre tutti i provvedimenti e i modi, coi quali si potesse aiutare il diffondersi della buona lingua italiana e della buona
pronuncia. Per Manzoni la lingua italiana era il Fiorentino vivo parlato dalle classi colte.
Manzoni rispose a Broglio con una relazione in cui proponeva in primo luogo la compilazione di un vocabolario rigorosamente impostato
sull’uso vivo fiorentino, e poi suggerì di preferire insegnanti elementari toscani o che si fossero formati a Firenze. Ai parlanti e agli
scriventi non toscani doveva essere proposto come modello il fiorentino parlato colto, l'unificazione linguistica doveva procedere
sostituendo a ciascun dialetto la lingua fiorentina.
La proposta manzoniana parve ingenua al linguista Graziadio Isaia Ascoli, che a distanza di qualche anno dalla proposta manzoniana
fondò l’“Archivio glottologico italiano”, una rivista specialistica di linguistica tuttora viva. Il primo numero venne introdotto da un
Proemio, in cui il fondatore prendeva posizione sulla questione dell’italiano e sulla proposta avanzata da Manzoni. l’Ascoli impostò il
discorso su un linguaggio tecnico, per Ascoli prima di proporre dei rimedi bisognava riflettere sulle cause dello stato della lingua italiana
al suo tempo. in Italia non c’era uno stato come in Francia, e non c’era un centro, un polo culturale ( Firenze non lo aveva rappresentato).
in Italia non c’era stato un evento tale da determinare l’unità linguistica. Insomma la proposta di eleggere il fiorentino a lingua comune
costringendo con leggi e dettami inefficaci quel che altrove è avvenuto sulla base di un’evoluzione naturale, che prima che linguistica è
stata politica e soprattutto culturale, venne vista come la soluzione sbagliata. Una soluzione ‘letteraria’ della questione linguistica non
sarebbe servita a niente, era necessario che anche in Italia si formasse quella società civile che solo la scuola e l’istruzione potevano creare.

17. Alessandro Manzoni e la Lettera a Giacinto Carena.


Nel 1846 il naturalista piemontese Giacinto Carena aveva riunito, nel primo volume del suo Vocabolario
domestico il lessico, tralasciato dalla Crusca, di uso quotidiano e legato ai lavori, che egli aveva raccolto in
Toscana e in particolare a Firenze. L’anno successivo il Manzoni saluta l’uscita del Vocabolario domestico
con la Lettera a Giacinto Carena in cui espone seppure in forma concisa alcuni dei capisaldi del suo credo
linguistico. In primis per Manzoni il fiorentino è la lingua italiana, per cui rimprovera Carena di non aver
raccolto i termini del suo vocabolario nella sola città di Firenze.
Manzoni poi rimprovera Carena per aver lasciato alito alla sinonimia e non aver proposto un rigido lessico
incentrato sul Fiorentino. Per M. la sinonimia, la pluralità di termini per indicare una medesima cosa, è una
disgrazia e non una ricchezza per la lingua.
18. Manzoni romanziere e Manzoni linguista (le proposte avanzate da Manzoni per l'unificazione linguistica nella Relazione per la
commissione ministeriale).
Una volta completato l’abbozzo del romanzo, Alessandro manzoni si dedicò alla sua revisione che portò alla pubblicazione della prima
edizione dei Promessi Sposi, la ventisettana “fermo e Lucia”. Nel lavoro di revisione del primo abbozzo Manzoni si affido alla lettura
della Crusca veronese di Antonio Cesari e il Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini. Manzoni ricercò una soluzione di
stampo letterario e libresco, filo-toscana e arcaizzante, cercò soluzioni autorizzate dalla lessicografia settecentesca di ascendenza
cruscante o purista o dagli autori cinquecenteschi per lo più comici o popolari. Le scelte linguistiche operate da Manzoni in questa fase
furono determinate dalla volontà di avvicinarsi il più possibile all'uso toscano, pur attingendo a materiali libreschi.
La prima edizione del Fermo e Lucia fu caratterizzata quindi da un sostanziale ibridismo fra toscano letterario e vari elementi lombardi e
francesi. La revisione che porta dall'edizione Ventisettana dei Promessi sposi alla Quarantana comporta sistematicamente la sostituzione
di forme arcaiche e letterarie con espressioni dell'uso vivo. Sicuramente di forte impatto fu il soggiorno Fiorentino dell’autore durante il
quale entrò in contatto con la lingua Fiorentina parlata dalla classe colta. Il suo modello, da toscano letterario e libresco che era, perché
conosciuto sui classici e sulle pagine della Crusca veronese, divenne il fiorentino colloquiale e medio, vivo ma non plebeo, ascoltato e
apprezzato sulla bocca stessa degli amici e dei conoscenti incontrati durante il soggiorno. Ne sarebbe uscita (dopo altri interminabili anni
di puntigliosa revisione linguistica e stilistica) la seconda e definitiva edizione dei Promessi Sposi nella quale il modello linguistico fu Il
fiorentino parlato dalle classi colte. Emilio Broglio, dal 1867 ministro della Pubblica Istruzione, nel 1868 nominò una commissione di cui
Manzoni fu membro, con l’intento di ricercare e proporre tutti i provvedimenti e i modi, coi quali si potesse aiutare il diffondersi della
buona lingua italiana e della buona pronuncia. Per Manzoni la lingua italiana era il Fiorentino vivo parlato dalle classi colte.
Manzoni rispose a Broglio con una relazione in cui proponeva in primo luogo la compilazione di un vocabolario rigorosamente impostato
sull’uso vivo fiorentino, e poi suggerì di preferire insegnanti elementari toscani o che si fossero formati a Firenze. Ai parlanti e agli
scriventi non toscani doveva essere proposto come modello il fiorentino parlato colto, l'unificazione linguistica doveva procedere
sostituendo a ciascun dialetto la lingua fiorentina.

19. Graziadio Isaia Ascoli e il problema della lingua nazionale.


Emilio Broglio, dal 1867 ministro della Pubblica Istruzione, nel 1868 nominò una commissione di cui Manzoni fu membro, con
l’intento di ricercare e proporre tutti i provvedimenti e i modi, coi quali si potesse aiutare il diffondersi della buona lingua italiana e
della buona pronuncia. Per Manzoni la lingua italiana era il Fiorentino vivo parlato dalle classi colte.
Manzoni rispose a Broglio con una relazione in cui proponeva in primo luogo la compilazione di un vocabolario rigorosamente
impostato sull’uso vivo fiorentino, e poi suggerì di preferire insegnanti elementari toscani o che si fossero formati a Firenze. Ai
parlanti e agli scriventi non toscani doveva essere proposto come modello il fiorentino parlato colto, l'unificazione linguistica doveva
procedere sostituendo a ciascun dialetto la lingua fiorentina.
La proposta manzoniana parve ingenua al linguista Graziadio Isaia Ascoli, che a distanza di qualche anno dalla proposta manzoniana
fondò l’“Archivio glottologico italiano”, una rivista specialistica di linguistica tuttora viva. Il primo numero venne introdotto da un
Proemio, in cui il fondatore prendeva posizione sulla questione dell’italiano e sulla proposta avanzata da Manzoni. l’Ascoli impostò il
discorso su un linguaggio tecnico, per Ascoli prima di proporre dei rimedi bisognava riflettere sulle cause dello stato della lingua
italiana al suo tempo. in Italia non c’era uno stato come in Francia, e non c’era un centro, un polo culturale ( Firenze non lo aveva
rappresentato). in Italia non c’era stato un evento tale da determinare l’unità linguistica. Insomma la proposta di eleggere il fiorentino a
lingua comune costringendo con leggi e dettami inefficaci quel che altrove è avvenuto sulla base di un’evoluzione naturale, che prima
che linguistica è stata politica e soprattutto culturale, venne vista come la soluzione sbagliata. Una soluzione ‘letteraria’ della questione
linguistica non sarebbe servita a niente, era necessario che anche in Italia si formasse quella società civile che solo la scuola e
l’istruzione potevano creare.

Lezione 56

7. Indicate quali furono i mezzi principali per una crescita dell'alfabetizzazione nel nuovo stato unitario e quali categorie di lettori
furono coinvolte nella nascita della nuova stampa periodica.

Nel Seicento e poi nel secolo successivo il periodico o era un mezzo di diffusione di notizie di cronaca politica (la gazzetta) o un mezzo,
destinato ad un pubblico ristretto,per la diffusione di nozioni scientifiche. Con il primo Ottocento, sulla spinta di un mercato nazionale e
non più cittadino conseguente all'unificazione politica e sulla spinta di una nuova imprenditorialità nel campo dell'editoria e
dell’industrializzazione dei sistemi tipografici, nacque invece il periodico di cultura e il giornale d'opinione destinati ad un nuovo pubblico
più ampio e diversificato. Il pubblicò dei lettori si ampliò per effetto dell’unificazione nazionale, per l’ampliamento del sistema di
distribuzione della stampa e per effetto della sempre più diffusa scolarizzazione che comportò una esponenziale crescita
dell’alfabetizzazione.
Nel 1877La legge Coppino riformò la scuola elementare, rendendola di durata quinquennale, rendendo obbligatoria la frequenza del
primo triennio e prevedendo pene severe ai genitori che non mandassero i figli a scuola. Per effetto La legge Coppino a cinquant'anni
dall'unificazione, l'analfabetismo si dimezzò attestandosi intorno al 40%.
Per tutte le ragioni enunciate sopra Il linguaggio giornalistico nell’Ottocento fu sottoposto ad un processo di svecchiamento linguistico, lo
stile della stampa divenne paratattico,costituito da frasi nominali funzionali ad un approccio divulgativo. L’ampliamento del pubblico non
più composto dalle sole classi colte implicò la creazione di una lingua meno retoricamente impostata, caratterizzata da una sintassi meno
artificiosa e da un lessico moderno.

Lezione 57

11. Tracciate per sommi capi l'evoluzione del genere romanzo in Italia dal Seicento all'Ottocento e collegate tale genere alla
problematica linguistica dell'Unificazione politica.

Nel Seicento nasce in Europa il genere del romanzo, per lo più indirizzato verso il genere fantasioso ed avventuresco e caratterizzato da
tratti formali approssimativi e di basso valore.
Il romanzo seicentesco e primo-settecentesco aveva assunto le caratteristiche di un prodotto di massa venendo ad occupare i margini della
letteratura. Un misto di trame e temi che svariavano dal fantastico al brutale, disomogeneo per scrittura, qualità formali e verosimiglianza,
aveva assunto agli occhi dei letterati i caratteri di un genere minore, da collocare in quella che oggi chiameremmo appunto paraletteratura.
Fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento però, proprio in risposta ad impulsi europei, anche in Italia si erano avuti alcuni tentativi
di nobilitare il genere della narrazione lunga di tipo romanzesco. Tra questi troviamo tentativi molto diversi per forme e caratteristiche,
Verri, Foscolo, Cuoco ciascuno a suo modo, agendo sulla forma o sui contenuti, puntando sull’attualità o sull’antico, tentavano di trovare
uno spazio per il romanzo nella cultura italiana, restia ad accogliere generi che non fossero accreditati dalla tradizione autoctona,
all’interno della quale il genere narrativo di forma lunga era di necessità legato alla poesia e dunque alla forma del poema, in particolare ai
grandi modelli ariosteschi e tassiani del poema cavalleresco. Quale esempio indicativo di una rivalutazione del genere romanzo alla fine
del Settecento si possono citare le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo
È invece con il terzo decennio dell’Ottocento, e entro la spinta rinnovatrice del movimento romantico, che nacque il romanzo italiano
moderno e l’ostracismo decretato dal classicismo italiano alla nuova forma, venne prima combattuto su più fronti e poi definitivamente
vinto.
Sicuramente un certo peso nella popolarità e nell’innalzamento a genere letterale non più minore ebbe nel 1827 la pubblicazione della
prima edizione dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che porto in Italia il genere del Romanzo Storico di Walter Scott (popolare in
italia grazie alle traduzioni e le riscritture nel melodramma). Nel determinare la fortuna del romanzo storico in Italia sicuramente influì la
situazione politica nazionale del risorgimento che portò ad una sensibilità del pubblico borghese per la storia.
Il romanzo, la cui diffusione avvenne anche tramite i giornali, aveva un pubblico ampio che obbligava alla scelta di una lingua media,
lontana dalla tradizione aulica e letteraria.
Nella seconda metà dell’Ottocento Il crescente numero degli alfabetizzati portò ad un allargamento del pubblico della letteratura oltre che
della stampa periodica. Il bisogno di una letteratura di carattere ‘popolare’ che si proponesse di rivolgersi ad un pubblico ampio e
diversificato, anziché ad un’élite di eruditi portò ad un sempre maggiore crescita del genere del romanzo. L’unificazione Nazionale e la
necessità di una lingua nazionale che ancora non esisteva portarono il problema della lingua dentro il Romanzo, a cui ogni autore rispose
in modo personale. Fatta l’Italia bisognava fare gli Italiani e bisognava fare la lingua Italiana.

L'Ottocento: la nascita del romanzo

Nel Seicento nasce in Europa il genere del romanzo, per lo più indirizzato verso il genere fantasioso ed avventuresco e caratterizzato da
tratti formali approssimativi e di basso valore.
Il romanzo seicentesco e primo-settecentesco aveva assunto le caratteristiche di un prodotto di massa venendo ad occupare i margini della
letteratura. Un misto di trame e temi che svariavano dal fantastico al brutale, disomogeneo per scrittura, qualità formali e verosimiglianza,
aveva assunto agli occhi dei letterati i caratteri di un genere minore, da collocare in quella che oggi chiameremmo appunto paraletteratura.
Fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento però, proprio in risposta ad impulsi europei, anche in Italia si erano avuti alcuni tentativi
di nobilitare il genere della narrazione lunga di tipo romanzesco. Tra questi troviamo tentativi molto diversi per forme e caratteristiche,
Verri, Foscolo, Cuoco ciascuno a suo modo, agendo sulla forma o sui contenuti, puntando sull’attualità o sull’antico, tentavano di trovare
uno spazio per il romanzo nella cultura italiana, restia ad accogliere generi che non fossero accreditati dalla tradizione autoctona,
all’interno della quale il genere narrativo di forma lunga era di necessità legato alla poesia e dunque alla forma del poema, in particolare ai
grandi modelli ariosteschi e tassiani del poema cavalleresco. Quale esempio indicativo di una rivalutazione del genere romanzo alla fine
del Settecento si possono citare le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo
È invece con il terzo decennio dell’Ottocento, e entro la spinta rinnovatrice del movimento romantico, che nacque il romanzo italiano
moderno e l’ostracismo decretato dal classicismo italiano alla nuova forma, venne prima combattuto su più fronti e poi definitivamente
vinto.
Sicuramente un certo peso nella popolarità e nell’innalzamento a genere letterale non più minore ebbe nel 1827 la pubblicazione della
prima edizione dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che porto in Italia il genere del Romanzo Storico di Walter Scott (popolare in
italia grazie alle traduzioni e le riscritture nel melodramma). Nel determinare la fortuna del romanzo storico in Italia sicuramente influì la
situazione politica nazionale del risorgimento che portò ad una sensibilità del pubblico borghese per la storia.
Il romanzo, la cui diffusione avvenne anche tramite i giornali, aveva un pubblico ampio che obbligava alla scelta di una lingua media,
lontana dalla tradizione aulica e letteraria.
Nella seconda metà dell’Ottocento Il crescente numero degli alfabetizzati portò ad un allargamento del pubblico della letteratura oltre che
della stampa periodica. Il bisogno di una letteratura di carattere ‘popolare’ che si proponesse di rivolgersi ad un pubblico ampio e
diversificato, anziché ad un’élite di eruditi portò ad un sempre maggiore crescita del genere del romanzo

Lezione 59

8. Caratteristiche linguistiche della scrittura giovanile di Giovanni Verga.

Possiamo desumere le caratteristiche della scritture giovanile di Verga dai suoi studi, dalle sue letture e dalle sue epistole, analizzando in ordine
cronologico la più antica a noi pervenuta, ovvero la letterina scritta allo zio paterno da un Verga undicenne.
Nella letterina troviamo cultismi di origine libresca come "della di Lei" invece di "della Sua". Possiamo riscontrare la presenza della fonetica
siciliana nell'uscita in -i di “cosi” per “cose”. Inoltre troviamo nella letterina anche francesismi come favorire, toscanismi come “pigliare”
invece di prendere e arcaicismi come “divertirmi”. Sono presenti nella lettera degli errori lessicali vistosi come la scelta sgrammaticata del
trapassato remoto per disporre su diversi piani temporali gli eventi. La lingua della letterina del Verga undicenne è una lingua italiana
fatta di molte contaminazioni e modelli differenti, non per scelta consapevole, ma a causa delle letture che gli sono proposte ed a causa
del contesto degli studi con cui apprende la lingua. Possiamo desumere che le letture del giovane scolaro Verga sono tradizionali ed
invecchiate.
La scuola del Maestro Antonino Abbate offre al giovane Verga la conoscenza di una letteratura romanzesca alla moda e non particolarmente
impegnata. Vengono additati come modelli i testi letti in classe dello stesso Abate o di autori romantici del primo Ottocento, affidando dunque
l'insegnamento linguistico all'emulazione di modelli letterari non aggiornati o non impegnati. Il modello che Antonino Abate proponeva ai
propri allievi tramite le sue opere personali era quello di uno stile pieno di attardati rinvii al repertorio mitologico, linguisticamente oscuro,
grammaticalmente poco corretto, e ricco di artifici. l'insegnamento della lingua da parte di Abbate era per lo più limitato all'esercizio
sinonimico.

9. Illustrate la lingua di Giovanni Verga nella letterina trascritta qui sotto:


"Caro Sign.r Zio, | Ieri abbiamo ricevuto il suo gratissimo foglio nel quale avemmo rilevato l'amore che V.E. nutre per noi; da canto
mio La ringrazio della remura che V.E. si piglia per lo studio nel quale dobbiamo fondare i nostri pensieri per la nostra riuscita. |
Abbiamo inteso che V.E. verrà fra poco in questa, e desideriamo sapere il giorno della di Lei venuta onde adempiere il nostro dovere
venendoLa ad incontrare. | Intanto desidererei che con la venuta di V.E. porterà qualche libro di storia per divertirmi, essendo quasi in
fine della Storia romana di Rollin che mi ha favorito questo mio Sig. Zio Don Salvadore. | Io studio la Lingua Latina, ed in due mesi
che ho dimorato in questa incomincio a spiegare tale Lingua. | Le baciamo le mani come pure alle Sign.r Zie alle quale non scrivo
per farmi le cosi della Scuola, non che alla Zia D.nna Francesca, mi dico Suo nipote da figlio | Giovan Carmelo Verga"

Possiamo desumere le caratteristiche della scritture giovanile di Verga da questa letterina scritta allo zio paterno da un Verga undicenne, che
rappresenta in ordine cronologico la più antica tra le epistole a noi pervenuta. Nella letterina troviamo cultismi di origine libresca come "della
di Lei" invece di "della Sua". Possiamo riscontrare la presenza della fonetica siciliana nell'uscita in -i di “cosi” per “cose” e l’ipercorretismo
“zie alle quale” invece di quali, sostituito per la pura di commettere un errore. Inoltre troviamo nella letterina anche francesismi come favorito,
toscanismi come “pigliare” invece di prendere e arcaicismi come “divertirmi”. Sono presenti nella lettera degli errori lessicali vistosi come
la scelta sgrammaticata del trapassato remoto per disporre su diversi piani temporali gli eventi. La lingua della letterina del Verga
undicenne è una lingua italiana fatta di molte contaminazioni e modelli differenti, non per scelta consapevole, ma a causa delle letture
che gli sono proposte ed a causa del contesto degli studi con cui apprende la lingua. Possiamo desumere che le letture del giovane
scolaro Verga sono tradizionali ed invecchiate.
La scuola del Maestro Antonino Abbate offre al giovane Verga la conoscenza di una letteratura romanzesca alla moda e non particolarmente
impegnata. Vengono additati come modelli i testi letti in classe dello stesso Abate o di autori romantici del primo Ottocento, affidando dunque
l'insegnamento linguistico all'emulazione di modelli letterari non aggiornati o non impegnati. Il modello che Antonino Abate proponeva ai
propri allievi tramite le sue opere personali era quello di uno stile pieno di attardati rinvii al repertorio mitologico, linguisticamente oscuro,
grammaticalmente poco corretto, e ricco di artifici. l'insegnamento della lingua da parte di Abbate era per lo più limitato all'esercizio
sinonimico.

lezione 60

7. I sicilianismi irriflessi nella scrittura giovanile di Giovanni Verga.

Possiamo desumere le caratteristiche della scritture giovanile di Verga dai suoi studi, dalle sue letture e dalle sue epistole, analizzando in ordine
cronologico la più antica a noi pervenuta, ovvero la letterina scritta allo zio paterno da un Verga undicenne.
Nella letterina troviamo cultismi di origine libresca come "della di Lei" invece di "della Sua". Possiamo riscontrare la presenza della fonetica
siciliana nell'uscita in -i di “cosi” per “cose” e l’ipercorretismo “zie alle quale” invece di quali, sostituito per la pura di commettere un errore.
Inoltre troviamo nella letterina anche francesismi come favorire, toscanismi come “pigliare” invece di prendere e arcaicismi come
“divertirmi”. Sono presenti nella lettera degli errori lessicali vistosi come la scelta sgrammaticata del trapassato remoto per disporre su
diversi piani temporali gli eventi. La lingua della letterina del Verga undicenne è una lingua italiana fatta di molte contaminazioni e
modelli differenti, non per scelta consapevole, ma a causa delle letture che gli sono proposte ed a causa del contesto degli studi con cui
apprende la lingua. Possiamo desumere che le letture del giovane scolaro Verga sono tradizionali ed invecchiate.
La scuola del Maestro Antonino Abbate offre al giovane Verga la conoscenza di una letteratura romanzesca alla moda e non particolarmente
impegnata. Vengono additati come modelli i testi letti in classe dello stesso Abate o di autori romantici del primo Ottocento, affidando dunque
l'insegnamento linguistico all'emulazione di modelli letterari non aggiornati o non impegnati. Il modello che Antonino Abate proponeva ai
propri allievi tramite le sue opere personali era quello di uno stile pieno di attardati rinvii al repertorio mitologico, linguisticamente oscuro,
grammaticalmente poco corretto, e ricco di artifici. l'insegnamento della lingua da parte di Abbate era per lo più limitato all'esercizio
sinonimico.

8. L'apprendimento verghiano dell'italiano: maestri e strumenti grammaticali e lessicografici.

La scuola del Maestro Antonino Abbate offre al giovane Verga la conoscenza di una letteratura romanzesca alla moda e non particolarmente
impegnata. Vengono additati come modelli i testi letti in classe dello stesso Abate o di autori romantici del primo Ottocento, affidando dunque
l'insegnamento linguistico all'emulazione di modelli letterari non aggiornati o non impegnati. Il modello che Antonino Abate proponeva ai
propri allievi tramite le sue opere personali era quello di uno stile pieno di attardati rinvii al repertorio mitologico, linguisticamente oscuro,
grammaticalmente poco corretto, e ricco di artifici. l'insegnamento della lingua da parte di Abbate era per lo più limitato all'esercizio
sinonimico. Le letture del giovane scolaro Verga sono tradizionali ed invecchiate.

Lezione 63

10. Individuate alcuni elementi della lingua del giovane Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto dai Carbonari della
montagna:

Riscontrimao il Tono retorico-oratorio dell’opera nell’uso dei puntini di sospensione “Li ripresimo quasi con slancio ... e poi”
Al registro formale della lingua scritta va ricondotto l’uso del noi che sostituisce io, che ha funzione di maschera il dato biografico
come in “Ripresimo“ o ha funzione di plurale collettivizzante.
Nel brano riscontriamo l’Inappropriatezza nelle reggenze verbali in “ci pareva di combattere anche la nostra battaglia morale ai
Borboni e a Clary”.
Particolarmente connotata risulta l’adozione dell’imperfetto, Questo abuso dell’imperfetto avviene a svantaggio del passato remoto e
del passato prossimo. Verga dimostra di essere cosciente della caratteristica del proprio dialetto che conosce solo il passato remoto e al
quale è ignoto il passato prossimo e censura l’eccesso dei perfetti.
Il romanzo è caratterizzato da un andamento sincopato, costituito da periodi di estrema brevità, separati gli uni dagli altri dall’andata a
capo o dalla linea che accompagna o sostituisce il punto fermo. Questo modo di periodare discende dal modello francese e
settecentesco dello style coupé, che nel momento storico in cui Verga scrive, emula lo stile giornalistico della notizia dell’ultim’ora.
Nella morfologia verbale colpisce, come tratto caratterizzante, la frequenza delle forme cosiddette forti (con l’accentazione sulla
radice, cioè rizotoniche) della prima persona plurale (“ripresimo”), L’origine di tale forma è analogica e si riconduce alla prima persona
singolare con la desinenza –mo.

Lezione 67
9. Individuate alcuni elementi della lingua del giovane Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto da Sulle lagune:

Nel romanzo sulle lagune Troviamo la specializzazione funzionale della forma letteraria ve , vi per l’avverbio locativo
( si utilizza per fare riferimento a un complemento di luogo già espresso nel contesto e significa 'lì', 'in quel posto'), ce , ci
con funzione di pronome (nel nostro brano :che ci resta, ci scrive).Troviamo l’uso del passato prossimo ma l’uso
dialettale del passato remoto riaffiora in “Ieri ricevemmo”.
I periodi sono costituiti da frasi esclamative e interrogative, interiezioni, puntini di sospensione, che servono a connotare
il tono di sfogo e di lamento, il ritmo sintattico è sincopato, con periodi e frasi brevi, ma a differenza dell'analoga sintassi
dei Carbonari, qui, come abbiamo detto assistiamo ad un tentativo di mimesi emotiva

09.Illustrate dal punto di vista sintattico (tenendo conto delle due parti narrativa e epistolare che vi si alternano) il seguente
brano tratto da Sulle lagune:
"Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poiche? dopo aver baciato l'immagine, egli baciava
ognuna di quelle date. | Poscia comincio? a rileggere, forse per la ventesima volta, quelle lettere, mentre insieme ad altre carte le
andava ordinando dentro una grossa sopracoperta, nella quale avea scritto in antecedenza l'indirizzo di Collini. [...] Mio buon
amico, | Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia finestra, da cui un raggio allegro di sole si riflette
sul mio tavolino, frastagliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il davanzale. Ho dinanzi a me quest'immenso
orizzonte, inondato diluce splendida e cerulea, che si stende sino alla laguna, ove voi dovete essere a quest'ora... fors'anche
affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti verso...".

Il brano è caratterizzato da un andamento sincopato, costituito da periodi di estrema brevità, separati gli uni dagli altri dall’andata a capo o
dalla linea che accompagna o sostituisce il punto fermo. Questo modo di periodare discende dal modello francese e settecentesco dello
style coupé, che nel momento storico in cui Verga scrive, emula lo stile giornalistico della notizia dell’ultim’ora. Nel romanzo troviamo
periodi costituiti da una principale e una subordinata di I grado o da una principale e una sua coordinata. Raramente alla principale si
accompagnano subordinate che superino il III grado.
Diversa dal punto di vista del tono e della sintassi è la sezione epistolare.
I periodi sono costituiti da frasi esclamative e interrogative, interiezioni, puntini di sospensione, che servono a connotare il
tono di sfogo e di lamento, il ritmo sintattico è sincopato, con periodi e frasi brevi, ma qui, come abbiamo detto assistiamo
ad un tentativo di mimesi emotiva

Lezione 71
02. Filologia e analisi linguistica: in che modo la condizione di non finito di Frine rappresenta una risorsa e/o una limitazione
per l'analisi linguistica del romanzo inedito?
Dopo il primo soggiorno Fiorentino Verga si dedico alla stesura di Fine, un romanzo che non sarà mai pubblicato se non anni dopo con
il nome di Eva. Tuttavia possiamo considerare Eva, nonostante le tante analogie con Frine un romanzo a se stante, completamente
riscritto. Questo fa di Frine un inedito, il chè ci offre l’opportunità di dare uno sguardo ad un lavoro che manca della stesura definitiva
da destinare alla stampe, ci da l’opportunità di guardare Verga all’opera nel suo cantiere di lavoro. Possiamo analizzare un lavoro che
manca dell’ultima fase correttiva, vergine delle modifiche che nascono dal rapporto con l’editore.
Inoltre Il manoscritto di Frine al quale noi abbiamo la possibilità di accedere e che costituisce l’unica testimonianza del romanzo, è un
autografo che servì direttamente per l’elaborazione, spesso di getto, su cui Verga intervenne poi per correzioni ed integrazioni. Questo
ci permette insomma di avere una testimonianza di come Verga scrivesse,intorno al 1866-1869, in una forma semispontanea.
La mancanza dell’ultima fase elaborativa (la bella copia) e l’assenza della pubblicazione rendono il testo del romanzo
meno letterario, più omogeneo nella miscela delle sue componenti o più scorrevole. Il manoscritto ci da inoltre la possibilità di
constatare l’attività correttoria di Verga per quanto riguarda i fatti linguistici.

Lezione 73

8. Le componenti straniere della lingua del giovane Verga (quali le lingue usate, quale l'ambito di provenienza)

La lingua del giovane Verga è una lingua italiana fatta di molte contaminazioni e modelli differenti. Nel periodo giovanile Verga fa
ampio uso di forestierismi, che spesso vengono riprodotti con grafie fonetiche. Quello giovanile è un Un Verga desideroso di entrare
nei salotti più importanti nonostante le sue evidenti incertezze ortografiche, e lo fa con una lingua che aderisce alla cultura europea.
Nelle opere giovanili troviamo citazione di termini francesi ed inglesi. Nei periodi delle frasi si evince un’attinenza al modello
francese settecentesco dello “style coupè” caratterizzato da un andamento sincopato e da periodi molto brevi. In Frine troviamo un
lessico abbondante di termini stranieri riguardanti l’abbigliamento, il costume mondano, i mezzi di trasporto, l’arredamento.

9. Varianti diatopiche in Verga (fra siciliano, fiorentino e lingue straniere).

La lingua del giovane Verga è una lingua italiana fatta di molte contaminazioni e modelli differenti, frutto di un percorso
di studi affrontato con il maestro Abbate che offre al giovane Verga la conoscenza di una letteratura romanzesca alla
moda e non particolarmente impegnata. Ampio è l’uso di arcaicismi, di fiorentinismi, di francesismi e termini siciliani.
Un percorso graduale di maturazione letteraria porterà l’autore, dalla scrittura sincopata, frammentata, fatta di periodi
brevi e semplici che strizzano l’occhio allo style coupè delle prime opere come i carbonari della montagna allo stile
“vero” dei malavoglia, dove il cambiamento sotto il profilo linguistico è evidente. Nelle opere della maturità verista come
i Malavoglia saranno caratterizzati non dal siciliano ma da un “italiano siciliano”. Un italiano fortemente connotato
diastraticamente, ricco di modi di dire ed espessioni siciliane, ricco di dialoghi diretti e contraddistinto dal discorso
indiretto libero e legato, che ha lo scopo di catapultare il lettore all’interno del romanzo offrendo un punto di vista
impersonale.

10. Tracciate un quadro dell'evoluzione e delle persistenze della lingua verghiana nel periodo catanese (da I Carbonari della
montagna a Frine)

Dal romanzo propriamente storico, collocato a notevole distanza nel tempo e nello spazio, progressivamente Verga confeziona
romanzi intimi relativi a vicende vicine nello spazio e nel tempo. All'altezza di Frine Verga dimostra di non rispettare la regola del
dittongo mobile, cancella il dittongo dopo elemento palatale, usa arcaicismi ed occasionalmente francesismi. Nell'uso delle
consonanti scempie/intense si fa guidare dall’etimo latino. Lo stile è ancora quello caratterizzato da una scrittura sincopata,
frammentata, fatta di periodi brevi e semplici che strizzano l’occhio allo style coupè, alternati a dialoghi diretti ricchi
di
frasi esclamative e interrogative, interiezioni, puntini di sospensione etc.
Lezione 77

05. Individuate alcuni elementi della lingua di Verga nel breve brano riportato qui sotto, tratto da Storia di una capinera:

Storia di una capinera non rappresenta una frattura netta con la precedente lingua Verghiana, tuttavia assistiamo nel romanzo ad un
aumento della componente Toscana che coesiste con un lessico colto ed arcaico.
Riscontriamo Fiorentinismi nell’incremento degli alterati, a livello lessicale e nell’uso della forma impersonale che sostituisce la
prima persona plurale. Nel brano :
Viene usato il diminutivo Toscano “Testolina”. Sicuramente rappresenta un elemento distintivo della lingua del Verga l’utilizzo
insistito dell’imperfetto, tutto il brano è all’imperfetto (guardava, cantava, beccava, aveva era), fa esclusione pensai che denota un
altro piano temporale.

7. Indicare alcuni fiorentinismi adottati da Verga in Storia di una capinera


Storia di una capinera non rappresenta una frattura netta con la precedente lingua Verghiana, tuttavia assistiamo nel romanzo ad un
aumento della componente Toscana, frutto del secondo soggiorno Fiorentino, che coesiste con un lessico colto ed arcaico.
Riscontriamo Fiorentinismi nell’incremento degli alterati(dimutivi come uccelletto e testolina), a livello lessicale(ad esempio
babbo o ruzzare) e nell’uso della forma impersonale che sostituisce la prima persona plurale attraverso l’uso del “si”.

8. Illustrate il significato linguistico e stilistico che Storia di una capinera rappresenta nel percorso verghiano
Il romanzo fu scritto dopo il secondo soggiorno Toscano, è durante il dibattito sulle monacazioni forzate. Verga quindi sceglie un
tema di attualità raccontando la storia di una ragazzina costretta a farsi monaca contro la sua volontà ed ambientando il romanzo
durante l’epidemia di colera che colpì la Sicilia negli anni 50. Da un punto di vista ideologico il romanzo epistolare rappresenta
una svolta di impegno sociale. Da un punto di vista linguistico/stilistico possiamo affermare che Storia di una capinera non
rappresenta una frattura netta con la precedente lingua Verghiana, tuttavia assistiamo nel romanzo ad un aumento della
componente Toscana, frutto del secondo soggiorno Fiorentino, che coesiste con un lessico colto ed arcaico.
Riscontriamo Fiorentinismi nell’incremento degli alterati(dimutivi come uccelletto e testolina), a livello lessicale(ad esempio
babbo o ruzzare) e nell’uso della forma impersonale che sostituisce la prima persona plurale attraverso l’uso del “si”.
Aumentano le occorrenze in o in luogo di a per la prima persona singolare dell’imperfetto.

Lezione 80
05. Da Frine a Eva: interventi narratologici e modifiche linguistiche.

Eva rappresenta rispetto a Frine una quasi totale riscrittura. La storia seppur molto simile presenta diverse differenze già a partire dai
protagonisti.
Sicuramente tra le più importanti possiamo citare la differenze che riguardano il narratore. Nell’introduzione avviene una presa di
coscienza e una distinzione tra autore implicito e narratore, inoltre il narratore non racconta i fatti narrati in Eva in presa diretta (cosa
che avveniva in Frine), ma a distanza di tempo, quindi con un distacco. Da un punto di vista prettamente linguistico possiamo segnalare
il lavoro di snellitura del romanzo che risulta più conciso(diminuisce il numero delle pagine). Vengono quasi totalmente eliminati i
forestierismi alla moda, la lingua diventa più appropriata . Vengono ridotte le dittologie e gli aggettivi sovrabbondanti di Frine.
Vengono ridotti i dettagli descrittivi, le incongruenze temporali e l’uso della prima persona plurale in favore della forma impersonale
“si”. Vengono censurati i sicilianismi ed incrementati i toscanismi. Si segnala inoltre in Eva una maggiore scioltezza nei dialoghi in cui
spesso ritroviamo il discorso diretto libero.

06. Collocate Eva nel percorso linguistico e letterario di Verga e illustrate gli aspetti linguistici interessanti del seguente brano:
"Sotto un di quegli alberi c'era una poltrona colla spalliera appoggiata al tronco; un mucchio di guanciali le dava l'aspetto
doloroso che hanno le poltrone degli infermi. Vidi una scarna e pallida figura quasi sepolta fra quei guanciali, e accanto alla
poltrona un'altra figura canuta e veneranda - la madre accanto al figliuolo che moriva. | Corsi a lui con una commozione che
non sapevo padroneggiare. Com'egli mi vide mi sorrise di quel riso così dolce degli infermi, e fece un movimento per levarsi".

Verga nel 1872 decide di abbandonare il giovanile inedito Frine, scritto durante in primo soggiorno fiorentino. Allo scrittore, passato
attraverso un secondo soggiorno fiorentino e da poco trasferitosi a milano, il romanzo Frine dove ormai risultare insoddisfacente.
Eva uscì infatti, nell’estate del 1873, con una premessa con la quale Verga sperava di prevenire le obiezioni moralistiche sul
romanzo. Eva racconta la storia d’amore della ballerina Eva e del pittore Enrico Lanti per tanti tratti narrativi e tematici alla storia
raccontata in Frine.
Eva rappresenta rispetto a Frine una quasi totale riscrittura. La storia seppur molto simile presenta diverse differenze già a partire dai
protagonisti.
Sicuramente tra le più importanti possiamo citare la differenze che riguardano il narratore. Nell’introduzione avviene una presa di
coscienza e una distinzione tra autore implicito e narratore, inoltre il narratore non racconta i fatti narrati in Eva in presa diretta (cosa
che avveniva in Frine), ma a distanza di tempo, quindi con un distacco. Da un punto di vista prettamente linguistico possiamo segnalare
il lavoro di snellitura del romanzo che risulta più conciso(diminuisce il numero delle pagine). Vengono quasi totalmente eliminati i
forestierismi alla moda, la lingua diventa più appropriata . Vengono ridotte le dittologie e gli aggettivi sovrabbondanti di Frine.
Vengono ridotti i dettagli descrittivi, le incongruenze temporali e l’uso della prima persona plurale in favore della forma impersonale
“si”. Vengono censurati i sicilianismi ed incrementati i toscanismi. Si segnala inoltre in Eva una maggiore scioltezza nei dialoghi in cui
spesso ritroviamo il discorso diretto libero.
Un'opzione in senso favorevole al toscano potrebbe sembrare l’uso di filgiuolo e l’insinuarsi nella lingua del Verga di levarsi nel
significato di ‘alzarsi in piedi’. Testimonia l’adesione ad una lingua diatopicamente connotata, probabilmente appresa dalla viva voce
dei Fiorentini il termine “guanciali”.

Lezione 82

11. Nedda: la scoperta della novella, la scoperta del mondo degli umili e le strategie linguistiche verghiane.
Verga scrisse Nedda per far cassa sotto pressione dell’editore ma riteneva il genere della narrazione breve come un genere minore,
una distrazione dall’impegno importante della scrittura dei romanzi. Nonostante lo straordinario successo editoriale egli tardò a
comprendere le potenzialità insite nella scoperta della narrazione breve.
Nedda rappresenta un importante punto di svolta dal punto di vista contenutistico, rappresenta l’ingresso
letterario dell’autore nel genere “rusticale”, ed un avvicinamento al mondo degli umili e delle loro
ingiustizie che contraddistinguerà il periodo verista. Dal punto di vista linguistico però all’altezza di Nedda
siamo ancora distanti dalla maturità Verista. Nel linguaggio della novella coesistono ancora elementi del
fiorentino parlato(ad esempio l’uso di O ad inizio delle frasi interrogative), sicilianismi e inserti in siciliano,
elementi fonomorfologici e lessicali del toscano di tradizione letteraria( ad esempio l’uso dell'enclisi con
verbi di modo finito e la presenza di toscanismi di tono libresco). Manca all’operala completa impersonalità
che sarà conquistata più avanti, le disgrazie di Nedda vengono raccontate da un narratore lontano nel
tempo, nello spazio e diastraticamente. ritroviamo nella novella un primo assaggio dell’uso dell’indiretto
libero.
12. Illustrate il significato di Nedda nel percorso letterario e linguistico di Verga, soffermandovi anche sull'interpretazione
datane da Luigi Russo.
Verga scrisse Nedda per far cassa sotto pressione dell’editore ma riteneva il genere della narrazione breve come un genere minore,
una distrazione dall’impegno importante della scrittura dei romanzi. Nonostante lo straordinario successo editoriale egli tardò a
comprendere le potenzialità insite nella scoperta della narrazione breve.
Nedda rappresenta un importante punto di svolta dal punto di vista contenutistico, rappresenta l’ingresso
letterario dell’autore nel genere “rusticale”, ed un avvicinamento al mondo degli umili e delle loro
ingiustizie che contraddistinguerà il periodo verista. Dal punto di vista linguistico però all’altezza di Nedda
siamo ancora distanti dalla maturità Verista. Nel linguaggio della novella coesistono ancora elementi del
fiorentino parlato(ad esempio l’uso di O ad inizio delle frasi interrogative), sicilianismi e inserti in siciliano,
elementi fonomorfologici e lessicali del toscano di tradizione letteraria( ad esempio l’uso dell'enclisi con
verbi di modo finito e la presenza di toscanismi di tono libresco). Manca all’operala completa impersonalità
che sarà conquistata più avanti, le disgrazie di Nedda vengono raccontate da un narratore lontano nel
tempo, nello spazio e diastraticamente. ritroviamo nella novella un primo assaggio dell’uso dell’indiretto
libero.
Luigi Russo vede nella Novella Nedda una svolta nella poetica Verghiana dal punto di vista contenutistico:
Cambia la visione della vita, cambia anche il contenuto della nuova arte: non più duelli, non più amori raffinati di artisti e di
ballerine, ma passioni semplici, tragedie silenziose e modeste di povere contadine. Ma accanto alle novità rilevate qui sopra da
Russo, di carattere esclusivamente tematico e contenutistico, il medesimo critico evidenziava nell’opera vari difetti, sopravviventi
vecchie abitudini letterarie.
Per Russo all’adesione sentimentale alle classi umili dimostrata in Nedda non ha fatto seguito un cambio di stile e di lingua.
Russo individuava quei “difetti” nelle strategie narrative (presenza di un narratore distante dal mondo narrato a cui ancora è
consentito di intervenire con commenti e prese di posizione) e nell’aspetto formale e linguistico ancora fortemente connotato in senso
letterario.

Lezione 85
08. Individuate le tipologie di discorso (diretto e indiretto, libero e legato) nel seguente brano:
"Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all'uso di don Silvestro, rizzandosi sulla punta dei piedi,
coll'uscio spalancato a due battenti, che per questo non c'era pericolo d'andare in prigione; e diceva che finché ci sarebbero
stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa, s'intendeva lui, trinciando colla mano in giro. | - Io per me li
vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava".

“e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa, s'intendeva lui, trinciando colla
mano in giro.” Indiretto legato introdotto dal verbo diceva
| - Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria". Diretto libero che viene introdotto dalla sola stanghetta
9. Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano, estratto dalla novella Pentolaccia
In Pentolaccia assistiamo ad un aumento delle apocopi che riguardano per lo più infiniti, integrate con le forme piene (non elise) degli
infiniti davanti a parola che inizia per vocale. Nel brano troviamo :da far perdere;
Nel Brano riscontriamo la ridondanza di “ci” avverbio locativo “come uno che non ci vegga più dagli occhi” “e lui ci masticava” “ci
aveva la pentola al fuoco”
Attiene alla mimesi di una lingua parlata la ripetizione lessicale :“e faccia cose da matto, come uno che non ci vegga più dagli occhi
pel mal di denti; ché quelle cose lì sono appunto come i denti, che dànno un martoro da far perdere la ragione allorché spuntano, ma
dopo non dànno più noia e servono a masticare; e lui ci masticava così bene”.
Dal punto di vista lessicale si assiste ad una sostanziale indifferenza riguardo alla provenienza geografica delle forme, mentre,
viceversa, Verga dimostra particolare sensibilità nei confronti della loro connotazione diastratica. L’abbassamento di tono è evidente,
per l’eliminazione di elementi considerati più formali a favore sia del toscano ( testa è mutato in capo ), sia nelle scelte a favore del
siciliano ( galantuomo ‘signore’ ).
Il narratore usa la prima persona plurale per riferirsi a chi parla e la seconda persona plurale per riferirsi a chi ascolta/legge: si veda
la correzione “non si sa capire”.
“Eveva” “manteneva” in Pentolaccia si riscontra sempre la forma piena con la v invece della forma avea mantenea
In pentolaccia ritroviamo ancora la forma vegga
Infine nel brano riscontriamo l’alternanza dei tempi presente della narrazione ed imperfetto o passato remoto della vicenda narrata:
“la gelosia è un difetto che l’abbiamo tutti” “i galletti si spennacchiano” e poi nella vicenda “abbia “faccia” “vegga”

Lezione 89

10. Tecniche dell'impersonalità: I Malavoglia e Pentolaccia

In pentolaccia l'impersonalità assume i caratteri di un narratore popolare. Nei Malavoglia l’impersonalità assume i caratteri corali di un
intero paese, il paese di Acitrezza. Nella pentolaccia verga sperimenta per la prima volta l'impersonalità, l’autore non è il narratore
onnisciente, ma si annulla. Il racconto è affidato ad un narratore popolare, cioè a una voce che provenga dall’interno del gruppo sociale
a cui appartengono i protagonisti. ne I Malavoglia per esprimere l’impersonalità, per conseguire l’annullamento dell’autore e della sua
personalità,Verga aderisce in presa diretta ad un parlato che viene dal di dentro della situazione narrata e dunque annullando la distanza
narrativa fra l’autore-narratore e chi parla. L’impersonalità appunto assume i caratteri corali di un intero paese, il paese di Acitrezza.
Dal punto di vista linguistico nei Malavoglia Verga utilizza per raggiungere l’impersonalità la tecnica dell’indiretto libero alternato
all’indiretto legato ed al diretto libero e legato.

11. Individuate nel brano seguente de I Malavoglia gli esempi di ci attualizzante e del che polivalente; illustrate inoltre altri
elementi utili alla caratterizzazione linguistica.
"Una sera si fermò nella strada del Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, e per questo aveva
acchiappato le febbri alla Bicocca, ed era stato per morire, tanto che aveva la faccia gialla e la pancia grossa come un otre; ma
il mulo era grasso e col pelo lucente. | - Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca? diceva lui, che stavate ancora nella
casa del nespolo! Ora ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo, chi nuota e chi va a fondo». - Stavolta non potevano dargli
nemmeno un bicchiere di vino, pel ben tornato."
I Malavoglia sono contraddistinti dall’assenza di una vera e propria narrazione e dall’uso linguistico del discorso indiretto libero e
legato e del discorso diretto libero e legato che hanno la funzione di conferire maggiore impersonalità all’opera e di inserire il lettore
direttamente nella vita sociale di Acitrezza. A seconda della reggenza del verbo interessato, il discorso indiretto è legato al verbo
introduttore attraverso l’uso del “che”, come avviene ad esempio in “diceva lui che”oppure come accade per introdurre il discorso
diretto in “Ora ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo, chi nuota e chi va a fondo”. Troviamo inoltre il che polivalente usato per
indicare qualunque rapporto di subordinazione nella frase “che ci aveva attaccato il mulo adesso”
Riscontriamo nei Malavoglia in generale come anche in questo brano, l’uso del ci attualizzante associato al verbo avere “ che ci aveva
attaccato il mulo adesso”.
La sintassi ‘dialettale’ del Verga non è diatopicamente connotata, bensì è costituita da “tratti che si ritrovano nell’italiano dei semicolti
di qualunque regione

Lezione 90

05. Discorso diretto e discorso indiretto liberi e legati.

Si parla di discorso diretto quando vengono riportate le parole esatte che vengono pronunciate dai personaggi.
Il discorso diretto può essere libero o legato.
1)Nel discorso libero non viè introduzione, il discorso viene riportato
senza essere essere preannunciato dal verbo dire . Magari scandito da un
semplice andare a capo, dalle virgolette o da una stanghetta. Il parlante lo
si deduce.
2)il discorso legato è preceduto da un verbo dichiarativo es. il più comune
verbo dire o ritenere. Il discorso può essere introdotto dai nomi dei
personaggi, dalle virgolette, dalle stanghette etc.
Nel discorso indiretto invece non vengono riportate le parole esatte del parlante ma le frasi del discorso vengono
riportate variando verbi, aggettivi, soggetto .Nel discorso indiretto non vengono usate le virgolette.
Il discorso indiretto può essere libero o legato
1)libero quando manca il verbo dire per lasciare che sia la voce del narratore a parlare
senza interruzioni brusche
2)legato quando è introdotto dal verbo dire o da un sinonimo che serve a palesare che
si stanno riportando frasi di un discorso.

lo stile indiretto libero offre un’immagine della fluidità che si è soliti attribuire alla lingua parlata. Eppure quest’ultima non conosce
l’indiretto libero, il quale esprime dunque perfettamente la specificità della forma scritta nel suo rapporto immaginario e convenzionale
con il parlato

06. Illustrate la categoria di discorso, distinguetene le particolari tipologie soffermandovi in particolare sul discorso indiretto
libero e sui suoi rilevatori primari esecondari.

Si parla di discorso diretto quando vengono riportate le parole esatte che vengono pronunciate dai personaggi.
Il discorso diretto può essere libero o legato.
1)Nel discorso libero non viè introduzione, il discorso viene riportato
senza essere essere preannunciato dal verbo dire . Magari scandito da un
semplice andare a capo, dalle virgolette o da una stanghetta. Il parlante lo
si deduce.
2)il discorso legato è preceduto da un verbo dichiarativo es. il più comune
verbo dire o ritenere. Il discorso può essere introdotto dai nomi dei
personaggi, dalle virgolette, dalle stanghette etc.
Nel discorso indiretto invece non vengono riportate le parole esatte del parlante ma le frasi del discorso vengono
riportate variando verbi, aggettivi, soggetto .Nel discorso indiretto non vengono usate le virgolette.
Il discorso indiretto può essere libero o legato
1)libero quando manca il verbo dire per lasciare che sia la voce del narratore a parlare
senza interruzioni brusche
2)legato quando è introdotto dal verbo dire o da un sinonimo che serve a palesare che
si stanno riportando frasi di un discorso.
lo stile indiretto libero offre un’immagine della fluidità che si è soliti attribuire alla lingua parlata. Eppure quest’ultima non conosce
l’indiretto libero, il quale esprime dunque perfettamente la specificità della forma scritta nel suo rapporto immaginario e convenzionale
con il parlato
il discorso indiretto libero è individuabile mediante tratti pertinenti che si distinguono in rilevatori primari, cioè costanti grammaticali
di natura formale, e rilevatori secondari, cioè elementi variabili e meno formalizzabili. Rilevatori primari sono la trasposizione, che
investe tempi, modi e persone del verbo, pronomi personali, avverbi circostanziali, aggettivi e pronomi dimostrativi e possessivi,
trasformandoli da elementi formali del discorso diretto in elementi formali del discorso indiretto. Rivelatori secondari sono tutti quegli
elementi del parlato, principalmente di carattere enfatico o idiomatico, che collaborano al riempimento lessicale o sintattico del
costrutto. Possono essere formule asseverative, imprecative o esecrative, appellativi, frasi nominali, frasi interrogative o esclamative,
topicalizzazioni, proverbi.
Il discorso indiretto libero può instaurare con la narrazione e con le altre due modalità enunciative (discorso diretto e discorso indiretto)
un rapporto di frattura, cioè di passaggio netto, oppure un rapporto di fusione quando l’indiretto libero si inserisce nella narrazione in
modo da non potersi localizzare il punto di stacco

07. Individuate il discorso indiretto legato e il discorso libero nel seguente passaggio de I Malavoglia (cap. XV):
"La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; già i Malavoglia non avevano più niente da perdere, e don
Michele almeno le avrebbe dato il pane".
La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele indiretto legato introdotto dal verbo “diceva”
già i Malavoglia non avevano più niente da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane indiretto libero a cui manca il verbo
dire o sinonimo

Lezione 91
02. I Malavoglia: i tempi verbali e i deittici

La trasposizione del discorso diretto in indiretto libero coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare: l prima, la
seconda e la terza persona singolare diventano tutti la terza singolare; la la prima, la seconda e la terza persona plurale diventano tutti
la terza plurale.
i tempi vengono rimodulati secondo il rapporto cronologico fra narratore e fatti narrati. Per cui ad esempio il presente indicativo
diventa imperfetto indicativo (abbiamo → avevano) . La frequenza dell’imperfetto nel testo, determinata dalla volontà verghiana di
riferire il discorso sia in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi alle normali funzioni
dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto è valutabile in un
rapporto di oltre quattro volte superiore. L’abuso dell’imperfetto non è da considerarsi quindi una ingenuità dello scrittore che per
questo motivo subì diverse critiche, ma è da considerarsi come voluta e funzionale agli scopi del Verga.
Il lettore dei Malavoglia catapultato nella vicenda senza il filtro di una narrazione costruita, viene immesso di getto nella realtà dei
personaggi. Il romanzo è contraddistinto dall’ assenza di descrizione dei personaggi come dei luoghi e degli spazi in cui quei
personaggi agiscono, anch’essi dati per noti e conosciuti come se il lettore fosse “nato e vissuto in mezzo a loro”. Questa sensazione di
già noto e conosciuto è ottenuta mediante la deissi che si manifesta in attraverso l’uso “questo” e “quello” per indicare luoghi,
personaggi e tempi.

03. In che rapporto sta l'uso dell'imperfetto con il discorso indiretto?


La trasposizione del discorso diretto in indiretto libero coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare: l prima, la
seconda e la terza persona singolare diventano tutti la terza singolare; la la prima, la seconda e la terza persona plurale diventano tutti
la terza plurale.
i tempi vengono rimodulati secondo il rapporto cronologico fra narratore e fatti narrati. Per cui ad esempio il presente indicativo
diventa imperfetto indicativo (abbiamo → avevano) . La frequenza dell’imperfetto nel testo, determinata dalla volontà verghiana di
riferire il discorso sia in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi alle normali funzioni
dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto è valutabile in un
rapporto di oltre quattro volte superiore. L’abuso dell’imperfetto non è da considerarsi quindi una ingenuità dello scrittore che per
questo motivo subì diverse critiche, ma è da considerarsi come voluta e funzionale agli scopi del Verga
04. Uso dei tempi verbali nella lingua letteraria verghiana in genere e nei Malavoglia in particolare.
La trasposizione del discorso diretto in indiretto libero coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare: l prima, la
seconda e la terza persona singolare diventano tutti la terza singolare; la la prima, la seconda e la terza persona plurale diventano tutti
la terza plurale.
i tempi vengono rimodulati secondo il rapporto cronologico fra narratore e fatti narrati. Per cui ad esempio il presente indicativo
diventa imperfetto indicativo (abbiamo → avevano) . La frequenza dell’imperfetto nel testo, determinata dalla volontà verghiana di
riferire il discorso sia in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi alle normali funzioni
dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto è valutabile in un
rapporto di oltre quattro volte superiore. L’abuso dell’imperfetto non è da considerarsi quindi una ingenuità dello scrittore che per
questo motivo subì diverse critiche, ma è da considerarsi come voluta e funzionale agli scopi del Verga

05. Tratti linguistici dell'oralità nella produzione matura di Verga


La trasposizione del discorso diretto in indiretto libero coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare: l prima, la
seconda e la terza persona singolare diventano tutti la terza singolare; la la prima, la seconda e la terza persona plurale diventano tutti
la terza plurale.
i tempi vengono rimodulati secondo il rapporto cronologico fra narratore e fatti narrati. Per cui ad esempio il presente indicativo
diventa imperfetto indicativo (abbiamo → avevano) . La frequenza dell’imperfetto nel testo, determinata dalla volontà verghiana di
riferire il discorso sia in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi alle normali funzioni
dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto è valutabile in un
rapporto di oltre quattro volte superiore. L’abuso dell’imperfetto non è da considerarsi quindi una ingenuità dello scrittore che per
questo motivo subì diverse critiche, ma è da considerarsi come voluta e funzionale agli scopi del Verga.
Il lettore dei Malavoglia catapultato nella vicenda senza il filtro di una narrazione costruita, viene immesso di getto nella realtà dei
personaggi. Il romanzo è contraddistinto dall’ assenza di descrizione dei personaggi come dei luoghi e degli spazi in cui quei
personaggi agiscono, anch’essi dati per noti e conosciuti come se il lettore fosse “nato e vissuto in mezzo a loro”. Questa sensazione di
già noto e conosciuto è ottenuta mediante la deissi che si manifesta in attraverso l’uso “questo” e “quello” per indicare luoghi,
personaggi e tempi.

06. Analizzate, dal punto di vista del discorso, il seguente brano dei Malavoglia, individuando nell’indiretto libero i connettori,
e illustrandone il rilevatore primario della trasposizione e i rilevatori secondari (per es. deissi, enfasi, formule idiomatiche,
esclamative e interrogative).
“Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della settimana, come se il nonno avesse ancora giudizio. Egli
rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che andasse a nascondere il gruzzoletto sotto la materassa, e gli diceva, per
farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari ella casa del nespolo, e fra un anno o due ci
sarebbero arrivati. | Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa;
e meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e di là”.

il discorso indiretto libero è individuabile mediante tratti pertinenti che si distinguono in rilevatori primari, cioè costanti grammaticali
di natura formale, e rilevatori secondari, cioè elementi variabili e meno formalizzabili. Rilevatori primari sono la trasposizione, che
investe tempi, modi e persone del verbo, pronomi personali, avverbi circostanziali, aggettivi e pronomi dimostrativi e possessivi,
trasformandoli da elementi formali del discorso diretto in elementi formali del discorso indiretto. Rivelatori secondari sono tutti quegli
elementi del parlato, principalmente di carattere enfatico o idiomatico, che collaborano al riempimento lessicale o sintattico del
costrutto. Possono essere formule asseverative, imprecative o esecrative, appellativi, frasi nominali, frasi interrogative o esclamative,
topicalizzazioni, proverbi.
Il discorso indiretto libero può instaurare con la narrazione e con le altre due modalità enunciative (discorso diretto e discorso indiretto)
un rapporto di frattura, cioè di passaggio netto, oppure un rapporto di fusione quando l’indiretto libero si inserisce nella narrazione in
modo da non potersi localizzare il punto di stacco.
“Egli rispondeva sempre di sì, col capo” indiretto legato introdotto dal verbo rispondere
“ e gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari” anche qui riscontriamo l’indiretto
legato introdotto dal verbo dire all’imperfetto, il tempo verbale più usato da Verga nel discorso indiretto per trasportare il presente della
forma diretta e per le sue particolarità.. La frequenza dell’imperfetto nel testo, determinata dalla volontà verghiana di riferire il discorso
sia in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi alle normali funzioni dell’imperfetto, che
esprime duratività, iteratività e imperfettività. La trasposizione del discorso diretto in indiretto libero coinvolge persone grammaticali e
tempi verbali. In particolare: l prima, la seconda e la terza persona singolare diventano tutti la terza singolare; la la prima, la seconda
e la terza persona plurale diventano tutti la terza plurale. Nel brano troviamo il ripetuto uso di egli. Il che regge il verbo diceva e lega il
discorso.
Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa; e meglio che non ci fosse
mai stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e di là”. In questo discorso indiretto libero troviamo sai i
rilevatori primari che quelli secondari. Tra i rilevatori primari troviamo L’uso del tempo verbale dell’imperfetto, l’uso della terza
persona singolare grammaticale e della terza plurale in luogo della prima singolare e prima plurale. Adesso ora e di qua e di là sotto
tutti tratti della lingua parlata che servono a rintracciare il discorso indiretto e sono considerarsi rilevatori secondari. “ribatteva che” Il
che regge il verbo ribattere con funzione di legare il discorso indiretto al verbo.
La stanghetta serve a fare da connettore.
07. Analizzate, dal punto di vista del discorso, il seguente brano de I Malavoglia, individuando nell’indiretto libero i connettori,
e illustrandone il rilevatore primario della trasposizione e i rilevatori secondari (per es. deissi, enfasi, formule idiomatiche,
esclamative e interrogative).
“Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli allargare il cuore; gli diceva
che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno. A
maggio si sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare
davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un
maiale, per non perdere le buccie dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come
aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del capo, guardando i pulcini”.

“Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli allargare il cuore; gli diceva che
avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno”
Gli parlava e diceva introducono il discorso indiretto legato. “Diceva che” Il che regge il verbo avere con funzione di legare il discorso
indiretto al verbo.
“Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le buccie dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la
minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del
capo, guardando i pulcini” qui ritroviamo il discorso indiretto libero che possiamo rintracciare attraverso rilevatori primari e secondari.
Tra i primari troviamo l’uso della terza persona singolare in luogo della prima e della seconda persona singolare, l’uso del tempo
verbale condizionale passato usato come trasposizione del futuro “ avrebbe comperato” “ sarebbe stato” e l’uso dell’imperfetto “serviva
“ come trasposizione del presente indicativo. Rivelatori secondari sono tutti quegli elementi del parlato, principalmente di carattere
enfatico o idiomatico per esempio: “Coi denari dei pulcini” o “come aver messo dei soldi nel salvadanaio”

Lezione 94

03. Il problema della lingua dopo I Malavoglia.


Il malavoglia sarebbe dovuto essere il primo romanzo del ciclo dei vinti che avrebbe dovuto raccontare le disgrazie connotando i
protagonisti su diversi livelli diastatici.
Del ciclo dei vinti videro la luce soltanto i primi due romanzi, i Malavoglia e Il mastro don Gesualdo.
La stesura del nuovo romanzo il mastro don gesualdo rappresenta per l’autore una regressione linguistica al livello della novella Nedda.
La volontà di di modificare il linguaggio per adattarlo al nuovo contesto diastatico socio-culturale borghese del protagonista, la voglia di
rinnovarsi si rivelò una insidia. La gestazione del romanzo fu lunghissima e sottopose il romanzo a continue revisioni. Il risultato non fu
dei migliori.
Nel romanzo L’impersonalità assume aspetti grammaticali, sparisce l’uso dell’indiretto libero che aveva contraddistinto i Malavoglia, il
discorso diretto è usato con parsimonia. La dialettalità esteriore, che riscontriamo nell’uso di nomi propri o di parole siciliane inserite in
una struttura sintattica normale, risulta in stridente convivenza con forme e parole letterarie o toscane , il linguaggio risulta come lo
definisce pirandello una rappresentazione dell’italiano regionale che sottolinea la mancanza di unità linguistica nazionale.
La lingua del romanzo appare come un compromesso fra siciliano e lingua letteraria, una “mostruosa contaminazione”, per usare le
parole stesse di Pirandello, dunque assimilabile all’italiano regionale, poco apprezzabile dai Filomanzoniani e dai Filofiorentini perché
non tosco Fiorentina, soprattutto per le scelte lessicali e di reggenza preposizionale.

Lezione 95
04. Verga e Manzoni davanti alla lingua di Firenze.
Per manzoni, al termine della sua maturazione letteraria, quindi all’altezza della stesura della quarantana dei Promessi Sposi, il modello
di lingua non è quello libresco o purista del Fiorentino trecentesco Cruscante. Il modello di lingua per Manzoni, dopo il suo soggiorno
fiorentino che lo porterà in contatto con la lingua viva, è quello della lingua parlata a Firenze dalla classe colta. Nella revisione della
quarantana dei promessi sposi Manzoni si orienterà di conseguenza verso una maggiore adesione al Fiorentino parlato delle classi colte.
Nella relazione preparata per il ministro dell’istruzione Manzoni propose per risolvere la questione della lingua insegnata nelle scuole,
l’uso di insegnanti Fiorentini e l’invio di tutti gli altri insegnanti a soggiornare a firenze per apprendere la lingua viva.
La lingua di Verga si pone in contrasto con il modello di lingua manzoniano. Se nella prima parte della sua vita letteraria, la lingua di
Verga risulta una mescola di diversi elementi( Fiorentino parlato, espressioni arcaiche, Fiorentino libresco, Sicilianismi, Forestierismi),
nella fase della sua maturità si connota diastraticamente per raggiungere lo scopo di verosomiglianza ed impersonalità del racconto. Nei
Malavolgia l’impersonalità assume l’aspetto della coralità di un intero paese che racconta attraverso l’alternanza dell’indiretto libero e
dei discorsi diretti la storia della sfortunata famiglia senza il filtro del narratore, con un linguaggio che non è dialettale ma che
scompagina la lingua dall’interno per renderla vicina all’ italiano basso parlato dai protagonisti. Nel Mastro assisteremo ad una
retrocessione linguistica all’altezza della novella Nedda. La lingua nella volontà di adeguarsi al nuovo contesto borghese dei protagonisti
dell’opera risulta una amalgama di elementi diversi. La dialettalità esteriore, che riscontriamo nell’uso di nomi propri o di parole
siciliane inserite in una struttura sintattica normale, risulta in stridente convivenza con forme e parole letterarie o toscane , il linguaggio
risulta come lo definisce pirandello una rappresentazione dell’italiano regionale che sottolinea la mancanza di unità linguistica
nazionale.
La lingua del romanzo appare come un compromesso fra siciliano e lingua letteraria, una “mostruosa contaminazione”, per usare le
parole stesse di Pirandello, dunque assimilabile all’italiano regionale, poco apprezzabile dai Filomanzoniani e dai Filofiorentini perché
non tosco Fiorentina, soprattutto per le scelte lessicali e di reggenza preposizionale.

Lezione 96

03. Strategie linguistiche dell'impersonalità nella prosa del Mastro-don Gesualdo.


Il malavoglia sarebbe dovuto essere il primo romanzo del ciclo dei vinti che avrebbe dovuto raccontare le disgrazie connotando i
protagonisti su diversi livelli diastatici.
Del ciclo dei vinti videro la luce soltanto i primi due romanzi, i Malavoglia e Il mastro don Gesualdo.
La stesura del nuovo romanzo il mastro don gesualdo rappresenta per l’autore una regressione linguistica al livello della novella Nedda.
La volontà di di modificare il linguaggio per adattarlo al nuovo contesto diastatico socio-culturale borghese del protagonista, la voglia di
rinnovarsi si rivelò una insidia. La gestazione del romanzo fu lunghissima e sottopose il romanzo a continue revisioni. Il risultato non fu
dei migliori.
Nel romanzo L’impersonalità assume aspetti grammaticali, sparisce l’uso dell’indiretto libero che aveva contraddistinto i Malavoglia, il
discorso diretto è usato con parsimonia. L’impersonalità viene ottenuta attraverso il recupero della descrizione, che non viene solo
trasmessa attraverso l’uso dell’imperfetto, ma anche attraverso una tecnica espressiva e grammaticale assolutamente nuova rispetto a I
Malavoglia. si assiste a periodi e frasi nominali nei quali la principale manca del verbo reggente (o perché non ripetuto o perché non
esplicitato) ed in cui assumono un ruolo importante i verbi di percezione (sembrava, si udiva, si vedeva etc) espressi in modo
impersonale(con l’uso del si) o con soggetto inanimato. L’impersonalità viene raggiunta tramite l’anonimato del narratore, tramite la sua
indistinzione, il suo trasformarsi in un ‘uomo qualsiasi’ che però guarda e sente da una certa distanza il mondo rappresentato. Piuttosto
che l’impersonalità dell’opera d’arte Verga riesce qui a raggiungere l’impersonalità del narratore, il quale, lungi dal rappresentare una
persona in carne ed ossa, riveste il ruolo di una persona grammaticale,un osservatore, quel si dell’impersonalità.
04. Individuate alcune caratteristiche linguistico-stilistiche del seguente brano del Mastro-don Gesualdo.
Nel romanzo L’impersonalità assume aspetti grammaticali, sparisce l’uso dell’indiretto libero che aveva contraddistinto i Malavoglia, il
discorso diretto è usato con parsimonia. L’impersonalità viene ottenuta attraverso il recupero della descrizione, che non viene solo
trasmessa attraverso l’uso dell’imperfetto, ma anche attraverso una tecnica espressiva e grammaticale assolutamente nuova rispetto a I
Malavoglia. si assiste a periodi e frasi nominali nei quali la principale manca del verbo reggente (o perché non ripetuto o perché non
esplicitato) ed in cui assumono un ruolo importante i verbi di percezione (sembrava, si udiva, si vedeva etc) espressi in modo
impersonale(con l’uso del si) o con soggetto inanimato. L’impersonalità viene raggiunta tramite l’anonimato del narratore, tramite la sua
indistinzione, il suo trasformarsi in un ‘uomo qualsiasi’ che però guarda e sente da una certa distanza il mondo rappresentato. Piuttosto
che l’impersonalità dell’opera d’arte Verga riesce qui a raggiungere l’impersonalità del narratore, il quale, lungi dal rappresentare una
persona in carne ed ossa, riveste il ruolo di una persona grammaticale,un osservatore, quel si dell’impersonalità.
Nello specifico nella prima parte troviamo l’uso dell’imperfetto associato a frasi descrittive, ritroviamo poi l’impersonalità grammaticale
ottenuta attraverso il “si” di “diffondevasi” attraverso il verbo di percezione “giunse”. Il soggetto dei verbi è rappresentato da soggetti
inanimati che contribuiscono a dare l’effetto dell’impersonalità:”Il capannone di s. giovanni dava l’allarme””poi la campana fissa di s.
vito ;l’altra della chiesa madre” sono frasi nominali prive del verbo espresso nella principale sempre allo scopo di conferire
impersonalità all’opera. “Quella di sant’agata che parve addirittura cadere sugli abitanti” anche qui ritroviamo un verbo di percezione
con soggetto inanimato sempre come tecnica grammaticale per suggerire l’impersonalità. L’idea di un narratore osservatore implicito
assente nell’opera ma presente nella grammatica. Seguono una serie di descrizioni fotografiche e la ripetizione di verbi di percezioni
riferiti a soggetti inanimati.

05. Illustrate brevemente il contenuto di uno dei volumi a scelta (Daria Motta, La lingua fusa; Fulvio Leone, La lingua dei
Malavoglia rivisitata; Gabriella Alfieri,Giovanni Verga) o, a seconda dell'anno di corso, uno dei capitoli del volume di
Gabriella Alfieri indicati nel programma
Lingua fusa: L’Autrice ha indagato sulle scelte linguistiche e stilistico retoriche delle novelle di Vita dei campi, fornendo così il
primo studio sistematico sulla raccolta. Nel primo capitolo, una ricca introduzione all’analisi linguistica, l’Autrice, oltre a ripercorre
le motivazioni che hanno spinto gli scrittori del secondo Ottocento a cercare una lingua semplice e moderna, indaga le soluzioni
adottate per la resa dello stile popolare. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi dei tratti fonografemici e morfosintattici. Le scelte di
Verga relative alla grafia e alla fonetica sono conformi alla prassi scrittoria di fine Ottocento. ma è sul piano sintattico che Verga
riesce ad ottenere i maggiori effetti della sperimentazione dello stile popolare attraverso l’uso dei moduli del parlato: il ci
attualizzante, le dislocazioni a destra e a sinistra, il che polivalente, la frase foderata, le frasi scisse, il c’è presentativo. La sintassi è
probabilmente, insieme al lessico, il livello linguistico nel quale Verga ha conseguito le più grandi novità. Il terzo capitolo analizza
minuziosamente il lessico, indagando sui toscanismi, sicilianismi, colloquialismi e aulicismi che all’interno dei testi si intrecciano
creando un perfetto equilibrio.

06. Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dal Mastro-don Gesualdo:
"Era un correre a precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano acqua; ragazzi che si rincorrevano schiamazzando
in mezzo a quella confusione, come fosse una festa; curiosi che girandolavano a bocca aperta, strappando i brandelli di stoffa
che pendevano ancora dalle pareti, toccando gli intagli degli stipiti, vociando per udir l'eco degli stanzoni vuoti, levando il naso
in aria ad osservare le dorature degli stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao affumicati che sembravano sgranare gli
occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro. Un va e vieni che faceva ballare il pavimento".

Nel romanzo L’impersonalità assume aspetti grammaticali, sparisce l’uso dell’indiretto libero che aveva contraddistinto i Malavoglia, il
discorso diretto è usato con parsimonia. L’impersonalità viene ottenuta attraverso il recupero della descrizione, che non viene solo
trasmessa attraverso l’uso dell’imperfetto(L’imperfetto è adibito a segnalare l’iteratività o la continuità, una situazione di stasi
immutabile.), ma anche attraverso una tecnica espressiva e grammaticale assolutamente nuova rispetto a I Malavoglia. si assiste a
periodi e frasi nominali nei quali la principale manca del verbo reggente (o perché non ripetuto o perché non esplicitato) sebbene le
subordinate relative o implicite attestino il verbo alla forma dell’imperfetto (“portavano” “si rincorrevano” “girandolavano”) o del
gerundio (“toccando””vociando””strappando”) ed in cui assumono un ruolo importante i verbi di percezione (“sembravano”) espressi
in modo impersonale (attraverso l’uso del si o del gerundio) o con soggetto inanimato (tutti quei Trao affumicati che sembravano
sgranare gli occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro). L’impersonalità viene raggiunta tramite l’anonimato del narratore, tramite la
sua indistinzione, il suo trasformarsi in un ‘uomo qualsiasi’ che però guarda e sente da una certa distanza il mondo rappresentato.
Piuttosto che l’impersonalità dell’opera d’arte Verga riesce qui a raggiungere l’impersonalità del narratore, il quale, lungi dal
rappresentare una persona in carne ed ossa, riveste il ruolo di una persona grammaticale,un osservatore, rappresentato attraverso l’uso
ripetuto del si impersonale o del gerundio.
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