TESI La Riabilitazione Del Paziente Con Scompenso Cardiaco
TESI La Riabilitazione Del Paziente Con Scompenso Cardiaco
TESI La Riabilitazione Del Paziente Con Scompenso Cardiaco
TESI DI LAUREA DI
Federica Evola RELATORE
MATRICOLA
Dott. Domenico Di Raimondo
0626794
1
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I:
LO SCOMPENSO CARDIACO
1.1 DEFINIZIONE 4
1.2 PATOGENESI 10
1.3 EZIOLOGIA 12
1.4 EPIDEMIOLOGIA 13
1.3 LA DIAGNOSI E TEST DIAGNOSTICI 16
1.4 IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO 19
CAPITOLO II:
LA RIABILITAZIONE NEI PAZIANTI CON
SCOMPENSO CARDIACO
CONCLUSIONE 38
BIBLIOGRAFIA 39
INTRODUZIONE
1
Il secondo capitolo infatti verterà nello specifico sulla
riabilitazione cardiovascolare in soggetti con scompenso
cardiaco, ci si focalizzerà in particolare sulle fasi dell’intervento
riabilitativo, facendo particolare attenzione alla valutazione
funzionale svolta dal terapista, all’elaborazione del programma
più adatto, alle necessità che il paziente espone, agli obiettivi e
quindi si discuterà riguardo le modalità di training a cui il
paziente può sottoporsi con piena partecipazione.
Sono numerose le evidenze cliniche e sperimentali che hanno ormai
dimostrato i benefici del training fisico, documentando come gli
effetti dell’attività fisica in questi pazienti agisce con un incremento
della capacità lavorativa in assenza di conseguenze dannose sulla
funzione ventricolare e sull’emodinamica centrale. In aggiunta,
numerosi studi hanno confermato l’efficacia e la non pericolosità
dell’attività fisica in pazienti clinicamente stabili. Gli effetti sul
sistema neurovegetativo, la minor suscettibilità alle aritmie
ventricolari e la possibilità di condizionare la progressione della
malattia hanno portato ad una riduzione del rischio di morbilità e
mortalità.
2
ossigeno. Entrambi i parametri tendono ad aumentare nell’esercizio
fisico, tuttavia l’aumento della frequenza cardiaca durante esercizio,
rappresenta il principale e talora unico meccanismo di aumento della
portata cardiaca nei pazienti con SCC. Tuttavia, la frequenza
cardiaca al massimo dello sforzo è spesso ridotta, poiché nonostante
i pazienti con SCC presentano una maggiore concentrazione ematica
di noradrenalina e adrenalina rispetto ai soggetti normali, sia a riposo
che durante sforzo, il cuore dei pazienti con SCC è meno sensibile
alle catecolamine. Da non dimenticare inoltre che spesso la
frequenza può essere influenzata da farmaci ad azione antagonista
sul sistema neuro-ormonale. La gittata sistolica, analogamente al
soggetto normale, aumenta nelle fasi iniziali dello sforzo, per poi
rimanere stabile o ridursi lievemente nelle fasi successive. Tuttavia,
nei pazienti affetti da SCC la gittata sistolica è già ridotta a riposo, e
aumenta in misura molto modesta durante sforzo. In pazienti con
SCC in classe NYHA III, la gittata sistolica durante sforzo può
rimanere addirittura immutata rispetto al basale.
Anche le modificazioni a livello polmonare sono fondamentali, in
quanto l’emodinamica polmonare ha un ruolo importante nella
genesi dei sintomi: si assiste ad un aumento dei valori pressori
polmonari in relazione alla modesta, o addirittura mancata, riduzione
delle resistenze vascolari durante sforzo rispetto ai valori a riposo.
L’incremento delle pressioni polmonari è rapido ed evidente sin
dalle prime fasi dello sforzo. Mentre il profilo emodinamico a riposo
è debolmente correlato con la capacità funzionale nei pazienti con
SCC, la risposta emodinamica durante sforzo, e in particolare
l’incremento della portata cardiaca, mostra una correlazione
significativa con il VO2picco.
3
CAPITOLO I
LO SCOMPENSO CARDIACO
4
La prima classificazione che verrà trattata riguarda la
differenziazione tra scompenso cardiaco sistolico e scompenso
cardiaco diastolico.
La compromissione della funzione contrattile del miocardio
ventricolare è la causa più frequente di scompenso cardiaco e prende
il nome di scompenso sistolico. Esso è caratterizzato da un primum
movens che è rappresentato dalla ridotta funzione sistolica, con
ridotta frazione d’eiezione e portata cardiaca, cui segue un
inadeguato svuotamento ventricolare, dilatazione e aumento della
pressione telediastolica ventricolare.
In diversi casi, però, i sintomi di scompenso possono essere presenti
in pazienti con normale funzione sistolica e dipendono invece da
un’alterata funzione diastolica, dovuta a una ridotta distensibilità
miocardica. Il deficit di rilasciamento ventricolare causa
un’eccessiva elevazione della pressione diastolica e segni di
congestione a monte (edema polmonare), in presenza di una normale
funzione sistolica a riposo (normale FE). Oggi queste forme vengono
definite come Heart Failure with Preserved Ejection Fraction
(HFPEF). Questa difficoltà di rilasciamento in fase di diastole, se
importante, può compromettere il riempimento diastolico
ventricolare, causando un aumento delle pressioni endocavitarie
telediastoliche e, quindi, nel circolo venoso a monte e, nei casi più
gravi, può compromettere anche la gittata sistolica.
Tuttavia le due forme non devono essere considerate come due entità
fisiopatologiche distinte giacché lo scompenso cardiaco diastolico è
spesso diagnosticato sulla base di segni e sintomi di scompenso con
FEVS a riposo conservata (normale FEVS). La forma diastolica è
comunque più comune negli anziani, piuttosto che ne giovani.
In ogni caso infatti gli effetti sono i medesimi: l’aumento della
pressione venosa a monte e/o dalla riduzione della gittata sistolica a
valle della camera insufficiente.
Altra classificazione suddivide lo scompenso cardiaco acuto e lo
scompenso cardiaco cronico. Mentre il termine scompenso cardiaco
cronico indica uno stato di insufficienza cardiaca, più o meno
5
compensata e sintomatica, stabile nel tempo, il termine scompenso
cardiaco acuto indica invece la comparsa improvvisa o in breve
tempo di sintomi e/o segni di insufficienza cardiaca importanti.
Questo può essere causato da patologie che impongono
improvvisamente al cuore un carico di lavoro eccessivo, come, per
esempio, una grave crisi ipertensiva, la rottura di un lembo valvolare
per endocardite o anche un improvviso ostacolo al riempimento
cardiaco (come nel tamponamento cardiaco o per un’ostruzione
dell’ostio mitralico).
Quadri clinici specifici, particolarmente gravi, di scompenso
cardiaco acuto sono l’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno.
Infine, altra importante classificazione, differenzia lo scompenso
cardiaco destro da quello sinistro. Ciò perché, alcune patologie
possono prevalentemente o esclusivamente interessare solo una delle
sezioni del cuore. In caso di compromissione delle sezioni sinistre
(atrio e/o ventricolo) l’aumento della pressione venosa, la
congestione e l’edema si verificano nel circolo polmonare
(scompenso cardiaco sinistro); se, viceversa, esso è dovuto alla
compromissione del ventricolo e/o dell’atrio destro, gli stessi
processi patologici hanno luogo nella circolazione venosa sistemica
(scompenso cardiaco destro). Anche segni e sintomi possono essere
diversi in quanto: nello scompenso cardiaco sinistro prevarranno i
sintomi di dispnea e i segni di stasi polmonare all’auscultazione
toracica, mentre nello scompenso cardiaco destro prevarranno i
segni di una significativa congestione venosa periferica (turgore
delle giugulari, edemi periferici, epatomegalia). La forma più
comune è sicuramente quella sinistra ciò perché le malattie cardiache
che più spesso sono causa di insufficienza cardiaca (la cardiopatia
ischemica, l’ipertensione arteriosa e i vizi valvolari importanti)
coinvolgono esclusivamente o prevalentemente le sezioni sinistre
del cuore.
6
ventricolare sinistra (FE). Lo scompenso cardiaco interessa
un’ampia gamma di pazienti, da quelli con FE normale, tipicamente
maggiore o uguale al 50%, e scompenso cardiaco con FE preservata,
a quelli con FE ridotta, ossia con FE inferiore al 40%, e scompenso
cardiaco con FE ridotta (Tabella 1.1).
7
sottovalutano la stanchezza e il respiro affannoso come semplici
segni dell'età che avanza.
A causa dell'incapacità del cuore di pompare il sangue efficacemente
e di fornire ossigeno a organi come reni e cervello, i soggetti affetti
da scompenso cardiaco possono presentare una serie di sintomi,
come:
o Dispnea
o Mancanza di energia, sensazione di stanchezza
o Difficoltà a dormire di notte a causa dei problemi di respirazione
o Tosse con espettorato "schiumoso"
o Addome gonfio o dolente, perdita di appetito
o Aumento della minzione notturna
o Confusione, deterioramento della memoria
I segni tipici dello scompenso cardiaco sono:
Aumento della pressione venosa centrale
Rumore stasi polmonare
Edemi declivi
Versamenti
Pelle fredda, cianotica, sudata e pallida
Aumento della frequenza cardiaca
Secondo la New York Heart Association (NYHA) lo scompenso
cardiaco può essere classificato in base al grado di limitazione
dell'attività fisica, cioè in base alla sua gravità. In particolare
vengono individuate quattro classi. La definizione delle classi è
basata sui sintomi che si manifestano durante l'esercizio dell'attività
(tabella 1.2).
8
Tabella 1.2 Classificazione funzionale dei pazienti cardiopatici della New York
Heart Association (NYHA)
Classe I Pazienti senza limitazioni dell’attività fisica. L’attività fisica abituale non causa
sintomi
Classe III Grave limitazione dell’attività fisica. Il paziente è asintomatico a riposo, ma un’attività
fisica anche inferiore a quella abituale causa sintomi
Classe IV Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fisica senza avere disturbi. Il paziente può
presentare sintomi di scompenso cardiaco anche a riposo. I disturbi aumentano se
viene intrapresa una qualsiasi attività fisica
9
Anche l’attività muscolare è un parametro da attenzionare, i sintomi
relativi all’attività muscolare, secondari all’ipoperfusione dei
muscoli, sono piuttosto frequenti, ma spesso sfumati e aspecifici, e
consistono nella facile comparsa di astenia durante attività fisica.
1.2.1 PATOGENESI
10
Principali meccanismi neuroendocrini di compenso nello scompenso
cardiaco, innescati dalla riduzione della gittata sistolica e dalla
conseguente stimolazione di chemocettori e meccanocettori localizzati nel
miocardio, nell’aorta e nel bulbo carotideo (Fonte: “Medicina Interna
Sistematica” C.Rugarli)
11
batmotropa positiva, con conseguente vasocostrizione periferica
artero-venosa.
I diversi meccanismi compensatori provocano un aumento della
volemia e aumentano le pressioni di riempimento delle camere
cardiache, la frequenza cardiaca e la massa del cuore, in modo da
mantenere la funzione di pompa del cuore e di favorire una
ridistribuzione del sangue. Tuttavia, nonostante questi meccanismi
compensatori, la capacità del cuore di contrarsi e di rilasciarsi può
ridursi progressivamente con ulteriore aggravamento dello
scompenso cardiaco. Si instaura alla fine un circolo vizioso, che
contribuisce a peggiorare ulteriormente la prestazione ventricolare.
1.2.2 EPIDEMIOLOGIA
1.2.3 EZIOLOGIA
13
Prima di analizzare nel dettaglio le categorie sopraccitate, è bene
precisare che, spesso, lo scompenso cardiaco è frutto di un insieme
di fattori scatenanti; è molto raro, infatti, che sia una circostanza
soltanto a pregiudicare il buon funzionamento dell'organo cardiaco.
Le alterazioni meccaniche includono: l’ipertensione, la stenosi
valvolare, l’insufficienza valvolare, shunt cardiaci, pericardite,
tamponamento cardiaco, aneurisma ventricolare.
Le malattie del miocardio comprendono: cardiomiopatie,
miocardite, infarto del miocardio, alterazioni del tessuto muscolare
di origine metabolica
(Es. ipotiroidismo, ipertiroidismo e diabete), oppure assunzione di
alcuni farmaci, ad esempio chemioterapici.
Le disfunzioni elettrofisiologiche che possono indurre scompenso
cardiaco sono: asistolia, fibrillazione ventricolare, tachicardia
ventricolare, fibrillazione atriale.
L’eziologia dello scompenso cardiaco varia all’interno delle varie
regioni del mondo e tra di esse. Non vi è accordo rispetto a un singolo
sistema di classificazione delle cause dello scompenso cardiaco, con
frequente sovrapposizione delle varie categorie (Tabella 1.3).
14
Tabella 1.3 – Eziologie dello scompenso cardiaco
15
l’edema polmonare. Lo SCC è spesso contraddistinto da
riacutizzazioni e costituisce la forma più diffusa di questa sindrome.
Le fasi di instabilità si realizzano in seguito a diversi fattori
precipitanti, quali ischemia miocardica (Sindrome coronarica acuta),
miocardite acuta, valvulopatia acuta, come la rottura delle corde
tendinee, aritmie (Tachicardia ventricolare o Fibrillazione atriale),
embolia polmonare con tipico scompenso del ventricolo sinistro,
tamponamento cardiaco, tamponamento cardiaco (Alcool, FANS),
polmonite, infezioni da virus, eccessi alimentari o assimilazione di
dosi elevate di sodio, mancato rispetto della terapia.
1.3 DIAGNOSI
16
o Congestione polmonare (dispnea da sforzo/riposo, edema
polmonare)
o Congestione venosa sistemica (epato-splenomegalia, turgore
giugulari, edemi arti inferiori)
o Ridotta portata cardiaca:
o Ipoafflusso muscolare (astenia, ridotta tolleranza esercizio fisico)
o Ipoafflusso renale
o Ipoafflusso cerebrale
o Ipoafflusso cutaneo (cute pallida e fredda)
17
Sfortunatamente questi sintomi vengono riportati frequentemente
nella pratica ambulatoriale e non compaiono esclusivamente in caso
di scompenso, ma possono essere dovuti ad altre patologie.
L'accuratezza diagnostica dei singoli sintomi è molto bassa. È anche
opportuno ricordare che nei soggetti anziani (che, per altro,
costituiscono la larga maggioranza dei pazienti con scompenso) i
sintomi correlati allo sforzo possono non comparire per
l’autolimitazione delle attività: il paziente si stanca, limita quindi le
sue attività, non avverte più i sintomi e considera poi normale e
abituale questa attività ridotta. Un altro motivo per non riferire i
sintomi è attribuirli semplicemente alla vecchiaia, considerandoli,
ancora una volta, normali. Può anche essere utile ricordare che le
donne tendono meno facilmente, rispetto agli uomini, a riconoscere
come tali i sintomi di scompenso. Per meglio indagare questi aspetti
può essere utile chiedere al paziente quali attività era solito svolgere
o, comunque, desidererebbe compiere, ma che ora non sono più̀
agevoli a causa della “mancanza di fiato” o della debolezza.
L'esame obiettivo tende ad evidenziare gli elementi indicativi di
malattia cardiaca, a ricercarne la causa e a valutare la presenza di
patologie non cardiache che possano giustificare i sintomi riferiti dal
paziente. I principali segni indicativi di cardiopatia, da ricercare sono
sempre, i seguenti: tachicardia, elevata pressione giugulare,
alterazione del battito apicale, galoppo, soffi patologici, sibili/rantoli
polmonari, edemi declivi, congestione viscerale
Anche in questo caso, questi elementi obiettivi non sono presenti
esclusivamente in caso di scompenso cardiaco.
In fase di diagnosi iniziale si procede con l’analisi della
concentrazione plasmatica dei peptidi natriuretici (PN), se elevati si
richiedono ulteriori indagini. Si procede con elettrocardiogramma
(ECG), non è specifico per questo tipo di diagnosi ma poiché le
anormalità segnalate dall’ECG forniscono informazioni
sull’eziologia (per esempio infarto del miocardio) e sono di ausilio
nell’individuazione di una terapia, effettuare tale esame è parte della
routine diagnostica dello scompenso cardiaco.
18
Si procede infine con ecocardiografia, che risulta essere il test di
maggior utilità per stabilire la diagnosi di scompenso cardiaco. Tale
esame fornisce informazioni immediate sul volume, sulla funzione
sistolica e diastolica ventricolare, ispessimento della parete,
funzionamento delle valvole e ipertensione polmonare; si tratta di
informazioni cruciali non solo per stabilire la diagnosi ma anche per
determinare il trattamento più adeguato.
Altri test diagnostici utilizzati sono la radiografia del torace,
l’ecocardiografia transtoracica, l’ecocardiografia transesofagea,
l’ecocardiografia da stress, la risonanza magnetica cardiaca, la
Tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT), la scintigrafia
ventricolare, la tomografia ad emissione di positroni (PET),
l’angiografia coronarica, tomografia cardiaca computerizzata (TC).
19
riportano risultati migliori rispetto agli ACEI nella riduzione
dell’ospedalizzazione per peggioramento dello scompenso cardiaco,
antagonisti del recettore dell'angiotensina II (ARB). L’efficacia dei
farmaci e delle loro combinazioni è determinata soprattutto dal tipo
di scompenso e dalla sintomatologia che lo accompagna, ad
esempio: nel caso di scompenso cardiaco preservato, relativamente
ai sintomi, laddove sia presente congestione, si raccomanda
l’assunzione di diuretici.
Qui di seguito, vengono elencati i principali farmaci utilizzati in caso
di scompenso cardiaco, sia in caso della forma che della forma acuta,
con gli effetti che questi provocano nell’organismo (tabella 1.5).
Tabella 1.5 Princi Tabella 1.5 Principali presidi farmacologici nella terapia dello scompenso cardiaco
Cronico
ACE-inibitori e antagonisti Inibizione degli effetti
recettoriali dell’angiotensina II dell’angiotensina II
β-bloccanti Riduzione del postcarico
Effetti antiadrenergici
Miglioramento della risposta
adrenergica
Effetto “antiaritmico”
20
Acuto
Diuretici dell’ansa Aumento dell’escrezione di Na+ e
liquidi
Riduzione del precarico
21
CAPITOLO II
INTRODUZIONE ALLA RIABILITAZIONE
CARDIOVASCOLARE:
22
- valutazione del rischio cardiovascolare globale;
- identificazione di obiettivi specifici per la riduzione di ciascun
fattore di rischio;
- formulazione di un piano di trattamento individuale che includa: a)
interventi terapeutici ottimizzati finalizzati alla riduzione del rischio;
b) programmi educazionali strutturati dedicati e finalizzati ad un
effettivo cambiamento dello stile di vita (abolizione del fumo, dieta
appropriata, controllo del peso, dell’ansia e della depressione); c)
prescrizione di un programma di attività fisica finalizzato a ridurre
le disabilità conseguenti alla cardiopatia, migliorare la capacità
funzionale e favorire il reinserimento sociale e lavorativo;
- interventi di mantenimento allo scopo di consolidare i risultati
ottenuti e favorire l’aderenza a lungo termine, garantendo la
continuità assistenziale.
Queste componenti si integrano nel progetto riabilitativo individuale
che identifica gli obiettivi da raggiungere nel singolo paziente con
gli strumenti a disposizione e nell’intervallo di tempo in cui si
prevede di poter effettuare l’intervento. Questo approccio, effettuato
secondo la logica del disease management, appare particolarmente
innovativo perché permette la misurazione dell’efficacia
dell’intervento sulla base di indicatori definiti a priori.
La realizzazione del progetto riabilitativo prevede la presenza di
un’équipe muldisciplinare, formata solitamente da: medico
(cardiologo), coordinatrice infermieristica, infermiere, operatore
socio-sanitaro, fisioterapista, psicologo, dietista, logopedista.
Gli obiettivi dell’intervento sono nel breve termine e comprendono:
il perseguimento della stabilità clinica, miglioramento della
tolleranza allo sforzo, dei sintomi di angina e di scompenso,
miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare, migliore
qualità di vita, maggiore autonomia funzionale con riduzione della
dipendenza e della disabilità, ancora, ridurre il rischio di successivi
eventi cardiovascolari, ritardare la progressione del processo
aterosclerotico e della cardiopatia sottostante e il deterioramento
clinico, ridurre morbilità e mortalità.
23
Qualunque programma di RC prevede: innanzitutto la stratificazione
prognostica del rischio attraverso valutazione clinica ed indagini
strumentali adeguate che consentono di identificare gli obiettivi
specifici per ognuno dei fattori che influenzano il rischio
cardiovascolare; in secondo luogo, si passa all’elaborazione di un
piano di trattamento individuale (PRI), che includa: cambiamento
dello stile di vita, prescrizione di attività fisica ed intervento di
mantenimento a lungo termine con lo scopo di consolidare i risultati
ottenuti; in terzo luogo, la valutazione degli aspetti psicologici,
sociali e lavorativi del paziente per la realizzazione di interventi il
più possibile specifici e mirati.
Queste componenti non sono oggetto di variazione, ciò che cambia
da caso a caso è l’attività fisica che viene svolta. Il training fisico in
particolare deve essere calibrato e personalizzato in base alle
condizioni fisiche del paziente e alle conseguenze della malattia.
I livelli dell’intervento riabilitativo viene classificato dall’OMS in
tre categorie in base alla difficoltà dell’intervento stesso:
24
interventi anche nell’ambito della comunità (attraverso palestre, club
coronarici, ecc.).
25
2.2. IL PAZIANTE SCOMPENSATO: LA VALUTAZIONE DEL
FISIOTERAPISTA
26
del paziente e gli ausili da utilizzare (es.: deambulatore, bastone, pep
mask, ossigeno terapia etc.)
27
dalle terminazioni nervose simpatiche del cuore, con conseguente
aumento della stimolazione dei recettori β-adrenergici del
miocardio. Il grado di stimolazione nervosa dei recettori β-
adrenergici cardiaci rappresenta il meccanismo fisiologico più
importante alla base della riserva di contrattilità del cuore.
Nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica, tuttavia, è
molto frequente la manifestazione di un forte disagio nell’effettuare
l’esercizio fisico che può portare il paziente a rifiutarsi
completamente di partecipare alla riabilitazione, con conseguenti
effetti negativi generalizzati sulla funzione cardiocircolatoria, sulla
tendenza dei muscoli scheletrici all’atrofia.
Il paziente presenta infatti una ridotta capacità ad eseguire attività
fisica aerobica con precoce insorgenza di astenia. La capacità di
compiere un esercizio infatti dipende fisiologicamente da un
incremento della gittata cardiaca adeguato al livello di esercizio e
dalla capacità dei muscoli di utilizzare l’O2 fornito dal sangue.
L’intolleranza all’esercizio nei pazienti con scompenso cardiaco ha
una eziologia multifattoriale: anomalie periferiche piuttosto che
cardiache sembrano essere i principali determinanti della limitazione
funzionale, queste riguardano il flusso ematico, la funzione
endoteliale, i muscoli, la distribuzione della gittata cardiaca, gli
ergoriflessi.
È dunque fondamentale che l’operatore guidi in modo adeguato il
paziente nel training fisico in quanto questo, interrompendo il circolo
vizioso appena descritto, consente un adattamento funzionale e
strutturale degli apparati, con conseguente miglioramento
emodinamico, ventilatorio e metabolico.
I criteri necessari per iniziare il training sono:
Stabilità emodinamica da almeno 3 settimane
Capacità di parlare senza dispnea (frequenza respiratoria <30 atti
respiratori/min)
Frequenza cardiaca a riposo <110 b/m’
Percezione inferiore a “moderata fatica” durante esercizio (scala di
Borg).
28
Il ruolo del Fisioterapista occupa un posto di centrale importanza,
per agire sui sintomi dello scompenso, prevenendo così i danni legati
all’inattività fisica, portando ad un miglioramento della qualità di
vita del soggetto; contemporaneamente fornendo il giusto supporto
psicologico per affrontare i propri timori.
La tipologia di esercizio fisico da proporre al paziente varia a
seconda degli aspetti fisiologici e fisiopatologici dell’attività e degli
effetti acuti o cronici che si possono ottenere. Verranno quindi
differenziate attività di tipo dinamico che richiedono un impegno
cardiocircolatorio costante (attività aerobiche prolungate) o
intermittente; oppure attività statiche, o ancora di potenza (tabella
2.1).
29
Fonte: Giada F. et al. 2007, p. 23.
30
2.3 IL TRAINING FISICO
31
2.2 Esempi di Esercizi Callistenici
32
Fonte: Associazione AISC
33
essere presa come parametro di riferimento per la prescrizione del
training fisico, anche se la sua applicabilità è poi condizionata dallo
stato clinico del paziente scompensato, dall’uso di farmaci beta-
bloccanti o dalla presenza di aritmie.
Questa fase si realizza attraverso due modalità, precedentemente
introdotte:
Endurance training o continuos training: ovvero un lavoro
moderato, prolungato nel tempo, senza periodi di riposo,
come la cyclette, il cammino, la corsa e gli esercizi a corpo libero
effettuai senza intervalli. È considerato come la forma di esercizio
che permette il massimo dell’incremento della capacità aerobica
Interval training: alternanza di periodi di lavoro con intensità
prestabilita a periodi di riposo o di lavoro leggero, più adatto a chi
ha difficoltà nell’adattamento allo sforzo.
La durata sarà di 20’-30’.
34
Anche la deambulazione, se eseguita con criterio, può essere una
valida modalità di allenamento: mantenendo la frequenza cardiaca a
20 battiti al minuto al di sopra di quella di base. Si comincia con 5-
10 minuti di marcia al giorno e poi la durata dell'esercizio può essere
aumentata gradualmente fino a 30 minuti al giorno. Durante questa
progressione, sarà possibile osservare la propria tolleranza allo
sforzo.
35
L’allenamento aerobico è infatti da sempre considerato
l’allenamento migliore per i soggetti con scompenso cardiaco, in
quanto permette il miglioramento della capacità aerobica e del
VO2max, parametro di fondamentale importanza in questa tipologia
di soggetti essendo associato al rischio di mortalità cardiovascolare.
Al tal proposito nel 2016 sono stati analizzati 17 studi con l’obiettivo
di definire i motivi per cui l’allenamento aerobico è in grado di
migliorare la capacità aerobica stessa. Da quest'analisi emerge che la
spesa energetica totale (determinata da intensità, durata e frequenza
delle sedute e dalla lunghezza del programma) sembrerebbe
risulti essere il fattore determinante per il miglioramento della
capacità aerobica. A tal proposito, alcuni studi affermano come è
possibile aumentando quindi l’intensità possano essere aumentati
anche gli effetti; altri studi invece mostrano come l’incremento
combinato della frequenza e della durata delle sessioni di
allenamento risultino essere più efficaci nel migliorare la capacità
aerobica, rispetto all’aumento dell’intensità. Quest’ultima
affermazione più accettabile tenendo in considerazione il fattore
aderenza, ovvero la propensione dei soggetti ad aderire alla pratica
riabilitativa. Infatti, intensità di allenamento troppo elevate
influiscono negativamente sull’aderenza, mentre programmi più
lunghi nel tempo, con obiettivi chiari e raggiungibili, sembrerebbero
la facilitino.
Tuttavia gli studi più recenti tendono a considerare maggiormente
l’importanza dell’esercizio di forza, considerato “sicuro” in soggetti
con scompenso cardiaco, comportando miglioramenti non solo della
forza muscolare, ma anche della capacità aerobica (anche se in forma
minore rispetto all’allenamento aerobico); portando una variazione
di richiesta di ossigeno molto elevata durante l’attività fisica,
indurrebbe un miglioramento della portata cardiaca e dell’estrazione
di ossigeno da parte della muscolatura periferica, quindi si ha sì un
miglioramento della capillarizzazione, ma si ha soprattutto un
miglioramento dello scambio arterovenoso tra ossigeno e anidride
carbonica. Una review del 2017 ha analizzato 10 studi con
36
l’obiettivo di verificare la sicurezza e i benefici dell’allenamento di
forza in soggetti con scompenso cardiaco. Dall’analisi emerge come
l’esercizio di forza, eseguito con movimenti lenti e controllati,
determini i benefici migliori per questa capacità funzionale,
comportando un significativo aumento nel trasporto e nell’utilizzo
di ossigeno nei muscoli allenati, grazie a una migliore
redistribuzione del sangue e ad una più efficace funzionalità delle
fibre muscolari e quindi un miglioramento del metabolismo aerobico
delle fibre muscolari stesse. Questo risultato sancisce un risvolto
molto importante, fornendo una forma di allenamento alternativo nei
soggetti con ridotta tolleranza all’esercizio aerobico, specialmente se
anziani. In quanto consente stimoli di allenamento più intensi sui
muscoli periferici, senza portare un ulteriore stress sul cuore, rispetto
all’utilizzo di un protocollo di training continuato (CT).
Inoltre, questa modalità di allenamento risulta fondamentale per
preservare e incrementare la massa muscolare, soprattutto nello
scompenso cardiaco avanzato e nello scompensato cardiaco nel
soggetto anziano, in cui una condizione di sarcopenia porta ad un
incremento del rischio di caduta del 10%, del rischio di
ospedalizzazione, mortalità e autonomia, con una riduzione del 30%
della capacità di svolgere efficacemente le attività quotidiane.
Concludendo, si rinforza il concetto che la pratica di esercizio fisico
in soggetti con scompenso cardiaco è determinante per il decorso
della patologia e per il miglioramento della qualità di vita.
L'allenamento aerobico ad intensità moderata, duraturo nel tempo
comporta benefici probabilmente migliori, soprattutto nei soggetti
ad alto rischio di abbandono. In alternativa, l'allenamento alla forza
può essere utilizzato nei soggetti con ridotta tolleranza allo sforzo
fisico.
37
CONCLUSIONI
38
Bibliografia
39
Brian P. Griffin, Eric J. Topol, Insufficienza Cardiaca con
Disfunzione Sistolica, in Malattie del Cuore, Filadelfia, Lippincott
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