Riassunto Del Libro Storia Medievale Giovanni Vitolo

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Riassunto del libro storia medievale Giovanni Vitolo

Capitolo 1: il mondo ellenistico – romano e la diffusione del cristianesimo


La vicenda complessiva dell'impero romano ha una sorprendente somiglianza con quella di altri
grandi organismi politici del tempo. A crearli furono popoli proveniente dalle steppe euroasiatiche
e definiti dagli storici “indoeuropei”, per indicare appunto l'area in cui si stabilirono
definitivamente. Rozzi e culturalmente meno evoluti rispetto alle popolazioni già territorialmente
stabilizzate, a volte ne presero il posto, ma in genere si fusero con esse, dando vita a nuove civiltà
rurali e venendo a trovarsi a contatto immediato con popolazioni seminomadi. Partendo dal
mediterraneo e procedendo verso est, il primo di questi grandi organismi è la Persia,
comprendente all'incirca gli attuali Iraq e Iran nonché buona parte dell'Afghanistan e del Pakistan.
Conquistata da Alessandro Magno nel 331 ac, passò verso la metà del III secolo ac sotto il dominio
dei Parti, cavalieri – pastori nomadi di lingua indoeuropea. Trasformatisi in sedentari, essi diedero
vita a un potente impero che fu per secoli in lotta con quello romano per il dominio della Siria,
dell'Armenia e della Mesopotamia. La contesa divenne più aspra con l'ascesa al trono nel 224 dc
della dinastia dei Sasanidi (dal fondatore Sasan) ed ebbe fine solo all'inizio del VII secolo. Un altro
grande impero fu quello della Cina il quale, grazie a Shih Hwang – Ti conobbe un vasto impero
fortemente accentrato, in lotta sia contro le famiglie dell'aristocrazia terriera sia contro le razzie
degli Unni dell'attuale Mongolia, che premevano dal nord. Per difendere il paese dalle incursioni,
Shih Hwang – Ti fece costruire nel 215 ac la Grande Muraglia. Il limes segnava la separazione tra
due sistemi di vita e due diversi equilibri tra uomo e ambiente. Da un lato, il mondo delle foreste e
delle grandi valli fluviali dell'Europa Centrale e Settentrionale, dove i Germani, che pure avevano
superato il nomadismo e l'economia basata sulla caccia e sulla raccolta di frutti spontanei,
continuavano a spostarsi periodicamente da una radura all'altra, sotto la guida di capi militari e
inquadrati in strutture sociali assai semplici. Dall'altro lato un mondo imperniato sulle città e
abitato da popolazioni inquadrate in sistemi socio – culturali assai più complessi. Il mondo delle
città non era una creazione tipica dei romani, essi ebbero piuttosto il merito di estendere a tutta
l'aria mediterranea e anche a regioni che non ne facevano propriamente parte, come la Gallia
Settentrionale, la Britannia e la parte più interna delle Regioni Balcaniche, elementi caratteristici
della civiltà ellenistica, che erano stati assimilati conquistando tra II e I secolo ac i regni di
Macedonia, Egitto e Siria. Il periodo compreso tra il I e il II secolo dc vide non soltanto una grande
diffusione della cultura, ma anche la diffusione tra le classi meno abbienti della scrittura, in
precedenza patrimonio esclusivo delle persone di cultura, dei membri dei collegi sacerdotali e dei
funzionari dell'apparato pubblico. In questo periodo, inoltre, sotto la spinta di nuovi bisogni di
carattere spirituale entrò in crisi definitivamente la religione ufficiale di tipo politeistico, che già da
tempo si stava rivelando inadeguata a reggere il confronto sia con le nuove correnti filosofiche sia
con i nuovi culti a finalità salvifiche provenienti dall'Oriente. Essi venivano professati in apposite
associazioni e offrivano ai propri adepti disposti a seguire pratiche di espiazione e a produrre un
forte impegno morale, la redenzione dal male e dal dolore dell'esistenza, e quindi la salvezza
individuale (culto di cibele, religione del dio mitra, religione del dio sole di emesa, culto di iside e di
osiride). Peculiare nel mondo romano fu piuttosto l'aspra concorrenza che si fecero per lungo
tempo le varie religioni a carattere salvifico. All'inizio sembrò che dovessero trionfare il culto di
cibele e quello del dio mitra, che ebbero grandissima diffusione anche negli ambienti della corte
imperiale, arrivando, il secondo, al punto di diventare quasi la religione ufficiale dell'impero. Ma il
processo non giunse a compimento e il mitraismo fu soppiantato definitivamente dal cristianesimo
nel corso del IV secolo. Se ciò avvenne, non fu tanto per la scelta che a favore di quest'ultimo fece
Costantino, quanto piuttosto come ha osservato Giovanni Tabacco, per la difficoltà di conciliare
l'esuberanza dei riti e delle pratiche orgiastiche di quei culti con l'equilibrio intellettuale e morale
che caratterizzava la formazione culturale delle élites cittadine. Lo stesso cristianesimo, prima
diffuso all'interno delle comunità giudaiche sparse per il mondo e ai livelli sociali più bassi, divenne
maggioritario solo quando si fu liberato dai toni apocalittici e da ogni forma di potenziale
contestazione delle evidenti ingiustizie, la schiavitù innanzitutto, che caratterizzavano la società del
tempo. A conferirgli un carattere rassicurante per il ceto dirigente romano concorreva anche il tipo
di organizzazione che già nel corso del I secolo si diedero le comunità cristiane e che poggiava non
più su apostoli itineranti dotati di grandi carismi, ma su una stabile gerarchia sacerdotale, formata
da presbiteri (anziani) e vescovi (sorveglianti), coadiuvati da diaconi (assistenti), i quali si
occupavano soprattutto dell'assistenza ai poveri e della gestione dei beni della comunità. Il merito
di aver reso universale il messaggio cristiano, facendolo uscire dall'ambito della Palestina, spetta
soprattutto, anche se non esclusivamente, a Paolo di Tarso. Per oltre trent'anni egli fu il punto di
riferimento delle diverse comunità cristiane sparse per l'impero, visitandole direttamente o
facendo giungere loro esortazioni e ammaestramenti attraverso le sue “lettere”, che costituiscono
la prima sistemazione dottrinale del messaggio evangelico. La sua predicazione si svolse
soprattutto nelle città, il che non sorprende, considerato il carattere eminentemente urbano della
società romana. La conseguenza fu che le campagne restarono legate ai loro culti tradizionali. Di
questo i cristiani ebbero subito consapevolezza, coniando per coloro che rifiutavano il messaggio di
salvezza, il termine pagano, che vuol dire appunto “contadino”. Il cristianesimo dovette affrontare
la difficile prova delle persecuzioni, che risultano tanto più strane se si considera che l'impero
romano era in genere tollerante in materia di religione. In realtà la diffidenza verso i cristiani era di
natura politica e nasceva principalmente dal fatto di essere stati in origine assimilati agli ebrei, i
quali più volte si erano ribellati all'impero. Successivamente essa si fece sempre più forte e sfociò
in ostilità aperta man mano che apparivano sempre più evidenti i segni di una crisi di enormi
dimensioni. Tale fu quella che tra II e III secolo investì le fondamenta stesse della società romana e
dalla quale si cercò di uscire, accettando sia l'intervento dello stato in ogni settore della vita
economica e sociale sia il carattere sacrale del potere imperiale operazione, quest'ultima, che
risultava inaccettabile ai cristiani i quali rifiutavano qualsiasi forma di venerazione religiosa nei
riguardi degli imperatori. All'origine della crisi, più nota in occidente, c'erano da un lato, lo sviluppo
abnorme delle città, nelle quali si era venuta concentrando una quota di popolazione troppo alta
rispetto alle loro capacità produttive, dall'altro l'abbandono da parte dei contadini di terre che, per
essere state a lungo sfruttate, stavano diventando sempre meno produttive. Finché fu possibile agli
imperatori rifornire di grande le città dell'occidente acquistandolo in Egitto e nelle province
orientali, la situazione si mantenne in equilibrio. Il peso di queste spese per il bilancio statale
divenne insostenibile tra II e III secolo, quando fu necessario destinare alla difesa contro la
minaccia dei germani quote sempre più rilevanti delle entrate dello stato. La crescita abnorme
della spesa pubblica, come sempre, alimentò l'inflazione, dato che il disavanzo di bilancio veniva
coperto incrementando la coniazione di monete, e queste, a causa della scarsità di metallo
prezioso, diventavano sempre più leggere, e quindi svalutate, contribuendo così a far crescere
continuamente i prezzi. All'origine della scarsità di metallo prezioso c'era un fenomeno di vecchia
data, che proprio tra II e III secolo si manifestò in tutta la sua portata, vale a dire lo squilibrio della
bilancia commerciale tra occidente e oriente. L'occidente infatti comprava in oriente merci di
maggio valore rispetto a quelle che vi esportava e perciò andava progressivamente incontro ad un
impoverimento. I contraccolpi a livello sociale e politico non tardarono a manifestarsi. Carestie,
epidemie (nel 166 comparve la peste in occidente), ripresa in grande stile della pirateria e del
brigantaggio, fecero da sfondo a sanguinose guerre civili tra pretendenti al trono imperiale, che
misero seriamente in pericolo l'unità dell'impero, provocando la secessione di intere province. E
tutto ciò proprio mentre i germani minacciavano le regioni periferiche del mondo romano.
L'impero sembrava sul punto di sfaldarsi. Riuscì però a riprendersi soprattutto grazie a una serie di
imperatori di grande energia e di notevole spessore politico. Essi concepirono un grandioso
progetto di pace e di unità, mirando decisamente al rilancio dell'autorità imperiale in nome di
valori mistico – religiosi e all'introduzione di un rigido controllo statale su tutta la società. Il
personaggio chiave di questa vasta operazione politico – culturale fu Diocleziano, acclamato
imperatore dall'esercito il 20 novembre 284. Per mantenere inalterato il gettito delle imposte e pre
frenare l'abbandono delle campagne, i contadini furono legati in maniera definitiva alla terra, per
cui fu proibita loro ogni forma di mobilità. Lo stesso si fece con artigiani e commercianti e con
quanti contribuivano con la loro attività a garantire sopravvivenza delle città. Un decreto del 301,
che fissava prezzi e salari, completò infine quella grande opera di burocratizzazione dell'economia
che, se pur non valse a riscrivere in maniera duratura i mali profondi che affliggevano l'impero, ne
ritardò tuttavia il crollo definitivo, producendo addirittura qua e la timidi segnali di rifioritura
economica. Per rendere possibile un più efficace controllo del territorio e per evitare le devastanti
lotte per la successione al trono, Diocleziano attuò poi una riforma della costituzione, che portò
alla divisione dell'autorità imperiale tra due augusti e due cesari. Questi ultimi avrebbero dovuto
succedere ai primi, nominando a loro volta altri due cesari. Diocleziano, in quanto primo augusto,
accentuò sempre più il suo ruolo sacrale, atteggiandosi progressivamente a vera e proprio divinità
terrena. Nel contesto di questo disegno generale di pianificazione il cristianesimo, con il suo
intransigente monoteismo, e con la sua netta chiusura nei riguardi delle altre religioni che nel corso
del III secolo si contendevano le coscienze delle popolazioni del mondo romano, fu avvertito da
Diocleziano come un elemento di pericolo per la pace e l'unità interna. Perciò fu fatto oggetto di
una grande persecuzione a partire dal 303. Il suo successore, Costantino, che pure aveva
personalmente aderito alla religione del sole invincibile (la divinità degli eserciti, il cui culto si era
diffuso al tempo dell'imperatore Aureliano), ebbe invece l'intuizione che il cristianesimo non solo
non era affatto incompatibile con il dirigismo teocratico dell'imperatore, ma poteva addirittura
diventarne un elemento di forza. E la scelta di Costantino si rivelò tanto più felice se si considera
che l'adesione della chiesa all'impero fu veloce e piena. La chiesa si ritrovava con un assetto
organizzativo abbastanza labile e con una dottrina non elaborata in maniera definitiva. Il primo
problema fu risolto in modo abbastanza semplice attraverso la creazione di un ordinamento
ecclesiastico aderente ai quadri amministrativi dell'impero. Ogni comunità cristiana, che formava
una chiesa locale in comunione con la chiesa universale, era governata da un vescovo, proveniente
per lo più dalle famiglie dell'aristocrazia, il quale operava nell'ambito della diocesi,
tendenzialmente coincidente con il territorio del municipio. Successivamente fu attuato un
coordinamento tra i vescovi di una stessa provincia attraverso l'attribuzione di un ruolo di
preminenza al vescovo della chiesa metropolitica, della chiesa cioè formatasi nella metropoli della
provincia, a volte in seguito alla predicazione degli stessi apostoli e in questo caso si parla di chiese
di origine apostolica. Tra le prime chiese metropolitiche sono da ricordare Efeso, Tessalonica,
Corinto, Cartagine e Milano. I compiti dei metropoliti che in seguito si diranno “arcivescovi” erano
fondamentalmente tre:
- consacrare i vescovi eletti dal clero e dal popolo della diocesi
- esercitare la giurisdizione di appello sulle decisioni dei vescovi
- presiedere i sinodi provinciali, le riunioni cioè dei vescovi della provincia
Le sedi vescovili più importanti presero il nome di patriarcati e si trattava di Roma, Alessandria,
Antiochia e Gerusalemme, tutte di origine apostolica, alle quali si aggiunse Costantinopoli, la nuova
Roma, che Costantino proclamò nel 330 capitale dell'impero. Tra esse il primato sembrò all'inizio
spettare incontestabilmente a Roma, autoproclamatasi sede apostolica per eccellenza, sia perché
vi subì il martirio Pietro, vicario di Cristo, sia perché capitale dell'impero.
Nel momento però in cui la capitale veniva trasferita a Costantinopoli e l'occidente si avviava a
diventare l'appendice di un impero che si stava organizzando per difendere solo le sue province
orientali, anche il primato della sede romana era destinato ad essere considerato in maniera non
univoca in occidente mentre in oriente era considerato come semplice primato d'onore.
Il secondo e più spinoso problema che si trovò di fronte il cristianesimo che usciva dalle
persecuzioni di Diocleziano era la sistemazione in un vero e proprio corpus dottrinale. E fu proprio
l'elaborazione della dottrina cristiana il terreno più aspro di scontro all'interno della chiesa. La
polemica esplose agli inizi del IV secolo in seguito al diffondersi della dottrina del prete Ario di
Alessandria, il quale sosteneva che il figlio di Dio incarnatosi in Cristo non aveva lo stesso grado di
divinità del padre, ma era a lui subordinato. Alla fine si trovò una soluzione e per tanti aspetti
gravida di conseguenze per il futuro. Non essendo l'episcopato dotato di organi decisionali in grado
di importi alla chiesa universale, l'imperatore Costantino, che non era a questo momento
battezzato, fu indotto a riunire nel 325 a Nicea quello che viene considerato il primo concilio
ecumenico, cioè universale. In quella occasione la dottrina di Ario fu condannata all'unanimità, ma
ciò avvenne non tanto per le capacità di persuasione dei vescovi antiariani, quanto piuttosto per le
pressioni dell'imperatore. Questi voleva ad ogni costo salvaguardare la pace religiosa soprattutto in
Asia Minore, l'unica parte dell'impero in cui già in quel momento il cristianesimo aveva conquistato
la maggioranza della popolazione. Quello che sarebbe potuto apparire come un fatto episodico era
destinato invece a diventare l'inizio di un processo che vide procedere parallelamente da un lato la
formazione di una nuova ideologia imperiale che assegnava all'imperatore la suprema
responsabilità nella difesa dell'ortodossia, e dall'altro l'elaborazione definitiva di una dottrina, che
a questo punto può dirsi effettivamente cattolica, cioè dichiarata valida per la chiesa universale. È
da questo momento che si può legittimamente parlare di eresie, cioè di dottrine che si oppongono
a verità proposte come tali dalla chiesa. Ma l'arianesimo, sconfitto nell'ambito dell'impero, era
destinato a tornare prepotentemente alla ribalta e a giocare, soprattutto in occidente, un ruolo
politico fondamentale nei primi secoli del medioevo. Esso fu infatti recepito, attraverso missionari
orientali, dalle popolazioni germaniche, che ne fecero un elemento della propria identità culturale.
Venne anche coinvolta la figura di Maria. I nestoriani volevano chiamarla non “madre di dio”
(theotòkos), ma “madre di cristo” (christotòkos) per evitare ogni possibilità di confusione tra la
persona umana e la persona divina del cristo. Essi infatti erano convinti che le due persone erano
rimaste distinte, anche se si erano congiunte su un piano puramente morale. Un punto fermo nella
contesa, che tuttavia non valse a sanare le discordie, fu posto dal Concilio di Calcedonia del 451,
che dichiarò cristo vero dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. I più
violenti oppositori di questa soluzione furono i monofisiti di Alessandria d'Egitto, secondo i quali
l'umanità e la divinità di cristo si fondono in una sola natura. Contemporaneamente si andava
sperimentando una forma di vita cristiana che si presentava come distacco totale dalla società.
Essa sembrava destinata a restare ina una situazione di marginalità, ma si rivelò nei secoli seguenti
una delle forze più vive nel plasmare la società del medioevo. Il fenomeno del monachesimo non
era peculiare del monde ellenistico – romano essendo stato da tempo sperimentato da tempo in
altre società evolute nelle quali il desiderio di realizzare l'incontro dell'anima individuale con dio
aveva portato alcuni spiriti eletti a interrompere i rapporti normali con la società e intraprendere
una vita di acesi e di penitenza. Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo. Nella fase
iniziale, la sua caratteristica principale è una totale sfiducia verso ogni speculazione intellettuale
nonché da una grande rozzezza di costumi e dalla ricerca di una completa solitudine, per realizzare
la quale si trovano i più fantasiosi espedienti. Ad esempio, alcuni si stabilivano in tombe vuote di
necropoli abbandonate, in luoghi senza finestre o senza tetto, per patire la sofferenza della
continua esposizione alle intemperie, ma probabilmente i più fantasiosi furono i cosiddetti
dendritai, menzionati da scrittori greci, i quali si stabilivano in cima ad un albero, o gli stiliti, in cima
alle colonne. A questi esempi estremi, ben presto si affiancarono forme meno aspre di esperienza
monastico e, grazie al diffondersi del cenobitismo ad opera di Pacomio, fu promossa la creazione di
monasteri, sia maschili sia femminili, in cui l'ascesi era praticata in maniera moderata e tollerabile e
in cui tutto era regolato. Su questa linea, è da ricordare Basilio, vescovo di Cesarea, in Cappadocia,
nell'attuale Turchia. A partire dal 378, egli non fondò un vero e proprio ordine basiliano, ma si
limitò a promuovere la fondazione di monasteri, sia in luoghi appartati sia in città. A essi indirizzò le
sue regole, che non costituiscono un vero e proprio codice di leggi, bensì una serie di indicazioni e
di ammaestramenti per i cristiani che vivevano in comunità e che egli visitava frequentemente.
Benedetto da Norcia fu il fondatore e abate del monastero di Montecassino. Per esso scrivesse
intorno al 540 una regola, che era soltanto una delle tante esistenti e che egli stesso non
considerava né perfetta né definitiva, tanto è vero che consigliava di leggere anche altri testi
normativi e di edificazione, tra cui le regole di Basilio. Tale regola dovrebbe essere stata scritta tra il
530 e il 560 in una zona tra Lazio, Umbria e Campania, o comunque in una zona soggetta
all'influenza della chiesa di Roma. L'originalità consiste nella capacità di Benedetto di utilizzare
l'eredità del passato alla luce della sua esperienza diretta e quindi della sua conoscenza dell'animo
umano per cui tutte le norme sono improntate a grande moderazione e realismo, e ai monaci non
si chiede mai nulla di eccessivamente gravoso.
Capitolo 2: l'occidente romano – germanico
Il mito della razza pura: il primo contatto con i romani avvenne nel II secolo ac, quando i cimbri e i
teutoni, partendo dalla Danimarca, si spinsero fino in Spagna, in Gallia e in Italia, dove furono
sconfitti da Mario (113 – 101 ac). La conquista della Gallia da parte di Cesare rese definitivo il
contatto tra romani e germani, che si fronteggiavano dalle due rive del reno, destinato a segnare il
confine tra i due sistemi di vita fino al 406, fino al tempo cioè del balzo definitivo dei germani verso
le regioni del mediterraneo. Non è da credere però che, mentre il mondo romano attuava tutte le
sperimentazioni politiche, sociali e culturali, i germani restassero immobili nella loro barbarie.
Accadde invece che agli scontri e alle scorrerie si alternassero gli scambi commerciali e che il
contatto con la civiltà romana stimolasse il progresso dell'agricoltura e della lavorazione dei
metalli.
Ma per cogliere la portata di questa evoluzione, è opportuno prima delineare il mondo dei germani
quale ci appare dal “de bello gallico” di Cesare del 51 ac e dalla “germania” di Tacito del 98 dc. Nei
150 anni che separano i due testi la civiltà germanica aveva già subito un'evoluzione, ma non di
portata tale da alterarne i valori fondamentali e le caratteristiche di fondo riconducibili in sostanza
al rapporto assai mobile con l'ambiente e al primato delle virtù guerresche, per cui erano dediti
prevalentemente alla caccia e alla guerra. Allevatori di bestiame, praticavano anche l'agricoltura
ma con metodi assai primitivi che portavano all'impoverimento del terreno e quindi al non poter
essere più coltivato. Di qui i continui spostamenti alla ricerca di nuove terre. Spostamenti che
resero a un certo punto insufficienti i territori originari nonostante una densità di popolazione
inferiore rispetto a quella dell'impero romano. L'acquisizione di nuove terre non provocava però
tensioni e scontri all'interno della comunità, dato che non esisteva proprietà fondiaria e la
distribuzione delle terre veniva fatta ai clan e non ai singoli. A livello individuale, la proprietà più
ambita era il bestiame.
L'organizzazione della società ruotava tutta intorno alla guerra, dal momento che il popolo
germanico è per definizione un popolo di uomini in armi, ai quali aspettava in ultima istanza la
decisione sui problemi più importanti. L'unica gerarchia esistente era quella dei duces, capi militari
riconosciuti tali per prestigio guerriero, ma anche per la potenza magico – sacrale delle stirpi cui
appartenevano. Potenza magico – sacrale la quale faceva sì che il valore militare tendesse a
trasmettersi ereditariamente nelle stesse famiglie, i cui membri erano chiamati adalingi, vale a dire
nobili. Essi avevano in tempo di pace un ruolo di carattere arbitrale, solo in occasione di guerre i
loro poteri si rafforzavano, ma erano pur sempre soggetti al controllo di un consiglio di anziani e
all'approvazione dell'assemblea del popolo in armi. Nonostante il loro prestigio, essi non si
consideravano né erano considerati superiori agli altri uomini liberi, essendo fondamentalmente il
popolo germanico un popolo di uguali che praticava una sorta di democrazia diretta. L'unico
strumento per emergere era la capacità, fondata sul valore in guerra, di aggregare introno a sé un
certo numero di giovani guerrieri, gruppo che gli autori latini chiamavano comitatus. Il gruppo in
origine si scioglieva dopo ogni impresa, ma negli anni che separano Tacito da Cesare tende a
stabilizzarsi. All'origine di questa evoluzione c'era chiaramente l'influenza della civiltà romana,
tant'è che i germani stavano iniziando a conoscere questa civiltà sia attraverso gli scambi
commerciali sia attraverso l'ingaggio, sempre più frequente, di gruppi di guerrieri da parte
dell'autorità imperiale. La penetrazione dei germani occidentali nel territorio dell'impero romano si
faceva sempre più consistente. Già a partire dal I secolo il loro rapporto si rivelò indispensabile sia
per il reclutamento delle legioni da schierare a difesa dei confini sia per il popolamento delle
regioni periferiche rimaste spesso spopolate proprio in conseguenza delle continue incursioni dei
germani. Risultato: agli inizi del III secolo la presenza germanica all'interno dell'esercito era a
questo punto prevalente, avviandosi a lambirne anche i vertici attraverso l'ascesa di elementi
barbarici ai più alti gradi della gerarchia militare e poi di quella politica, senza però che questo
bastasse a contenere la sempre crescente pressione lungo i confini. Eppure nonostante la cristi
interna, di cui i germani erano un elemento aggravante e non la causa prima, il crollo non ci fu.
L'impero riuscì a superare il momento critico accogliendo nelle regioni lungo il confine del Reno
tribù di Franchi, Alamanni e Burgundi e respingendo lungo il Danubio gli assalti dei goti i quali,
sconfitti nel 269 dall'imperatore Claudio II, per circa un secolo non furono più un pericolo. Si tese
anzi a ridurne l'aggressività favorendone la conversione al cristianesimo ad opera del vescovo goto
Ulfila o Vulfila il quale, intorno al 341, tradusse in gotico ampi brani della bibbia, dando così per la
prima volta dignità letteraria a una lingua germanica. Ma quando sembrava che tra mondo romano
e mondo germanico fosse stato raggiunto un equilibrio, un evento esterno impresse
un'accelerazione improvvisa al corso della storia ovvero l'arrivo dalle steppe asiatiche degli unni.
 
Popolazione turco – mongola, travolsero nella loro spinta vero occidente prima gli alani, intorno al
370 e poi gli ostrogoti e i visigoti, i quali erano però legati all'impero da un trattato di alleanza e per
questo ottennero dall'autorità imperiale di poter passare il confine stanziandosi in Tracia,
nell'attuale Romania, dove si sarebbero mantenuti con i tributi delle popolazioni locali, dovendo
provvedere alla difesa di quella regione in qualità di federati. Al momento il pericolo sembrava
scongiurato perchè gli unni vedevano affievolirsi la loro spinta propulsiva man mano che si
allontanavano dalle loro regioni di origine, per inoltrarsi in terre non del tutto adatte alla vita
nomade. Ma la loro pressione e il terrore che essi suscitarono ebbero l'effetto indiretto di
provocare un grosso sommovimento tra le popolazioni germaniche che travolsero il mondo
romano, riducendo l'impero soltanto alla sua parte orientale. L'insediamento in Tracia dei visigoti si
era rivelato più difficoltoso del previsto a causa dell'ostilità della popolazione e delle azioni gravose
ai danni della città, a cui i nuovi venuti si dicevano costretti per le inadempienze dei funzionari
imperiali. Ne nacque una guerra aperta, che terminò il 9 agosto 378, con uno dei più grandi disastri
militari della storia romana ovvero la distruzione dell'esercito imperiale da parte della cavalleria
gotica presso Adrianopoli e la scomparsa sul campo dello stesso imperatore Valente. L'impressione
che l'evento suscitò nell'opinione pubblica del tempo fu enorme e a tutt'oggi alcuni studiosi
tendono a dare ad esso un valore emblematico, considerandolo l'inizio della fine dell'impero. Di li a
poco sembrò tuttavia che si potesse riprendere il controllo della situazione grazie al generale
Teodosio, il futuro imperatore, il quale riuscì a stipulare un nuovo accordo con i Visigoti, che
prevedeva il loro trasferimento nell'Illirico. Vi fu una progressiva separazione tra la parte orientale
e quella occidentale. Con Teodosio fu possibile restaurare negli anni 392 – 395 l'unità imperiale,
assai labile per buona parte del IV secolo per effetto della riforma istituzionale di Diocleziano, ma
alla sua scomparsa l'impero venne diviso, questa volta definitivamente, tra i due figli Onorio e
Arcadio, che ereditarono il primo l'occidente con capitale Milano e il secondo l'oriente con capitale
Costantinopoli. Essendo entrambi molto giovani (rispettivamente 12 e 18 anni) il padre impose ad
Onorio la tutela del generale vandalo Stilicone e mise Arcadio sotto la tutela del goto Rufino,
prefetto del pretorio. La scelta dei due tutori ovviamente non fu casuale, ma si inquadrava nella
politica di Teodosio di apertura verso le popolazioni germaniche sia attraverso il loro accoglimento
all'interno dell'impero come federati sia attraverso l'inserimento nell'esercito dei contingenti
armati da esse provenienti. Una politica di tale genere, comportando come conseguenza l'ingresso
dei germani nel senato, non mancò ovviamente di provocare tensioni all'interno dell'aristocrazia
senatoria ma l'operazione, in occidente almeno, diede qualche frutto e portò alla convergenza tra
famiglie senatorie e alti gradi della gerarchia militare. Il personaggio che sembrò incarnare questo
processo al più alto livello fu Stilicone. La sua posizione si faceva tuttavia sempre più delicata per
effetto di due fenomeni convergenti ovvero
- il crescere all'interno della corte l'opposizione verso gli elementi di origine barbarica
- i visigoti e gli altri germani orientali diventavano sempre più inquieti per la pressione che gli unni
avevano ripreso ad esercitare alle loro spalle
La situazione precipitò nel 406 ---> il confine del Reno, che Stilicone era stato costretto a sguarnire
per far fronte in Italia prima a un'incursione di bande di ostrogoti e altri germani guidati da
Radagaiso e poi alla rinnovata minaccia dei visigoti di Alarico, nella notte di San Silvestro fu
superato da vandali, alani e svevi diretti in Gallia, e da qui in Spagna, dove giunsero nel 409. Ad essi
si aggiunsero franchi e burgundi. Il prestigio di Stilicone ne fu scosso in maniera irrimediabile, per
cui, una volta abbandonato dallo stesso imperatore Onorio, finì vittima di una sollevazione delle
truppe di nazionalità romana, aizzate da un alto funzionario di corte del partito antigermanico. La
scomparsa del generale vandalo aprì le porte dell'Italia ai visigoti guidati da Alarico i quali
attraversarono l'intera penisola e il 24 agosto del 410 arrivarono a Roma dalla porta salaria,
sottoponendo la città per tre giorni a un saccheggio. In realtà, a segnare un punto di non ritorno fu
il crollo della frontiera del Reno. Alarico scomparve qualche mese dopo presso Cosenza e i visigoti
risalirono l'Italia e ottennero di potersi stanziare come federati in Aquitania, nella Gallia
meridionale, tra Tolosa e Bordeaux, contribuendo poi a sospingere sempre più verso il sud della
Spagna vandali e alani. Tutti questi popoli citati va detto che in tempi e modi diversi furono
comunque tutti riconosciuti da Onorio e dai suoi successori come federati dell'impero e quindi
posti a carico dei proprietari romani sulla base dell'istituto dell'”hospitalitas”, che prevedeva
l'obbligo per i proprietari di cedere un terzo delle loro terre ai germani. Apparentemente si trattava
della continuazione di una pratica già in atto dal I secolo ma in realtà la situazione era adesso
completamente diversa, soprattutto per il fatto che i nuovi federati non erano più soldati stanziati
lontano dalle loro sedi di origine ma vivevano con i loro beni e le loro famiglie sotto l'autorità di un
re e sulla base di proprie leggi. Di qui una libertà d'iniziativa che li rendeva praticamente autonomi.
E questo lo si vide con i vandali. Sconfitti ripetutamente in Spagna dai visigoti, nell'estate del 429
sotto la guida di Genserico passarono in Africa, regione granaio dell'impero. Sbarcarono a Tangeri,
si diressero verso Cartagine seminando terrore e imponendo un dominio che non si mitigò
neanche quando nel 435 furono considerati federati dell'impero, ma anzi si impadronirono della
Corsica, della Sardegna e delle Baleari e tenendo sotto continua minaccia l'Italia e la Sicilia. Nel 455
giunsero a saccheggiare Roma, anche se questo saccheggio, durato più dell'altro, per due
settimane, fu più che altro una mossa politica di Alarico, un gesto dimostrativo verso Onorio, con il
quale aveva tentato invano di giungere ad un accordo per lo stanziamento dei visigoti sul territorio
dell'impero. La residenza dell'imperatore, per ragioni di sicurezza, era stata spostata fin dal tempo
di Onorio da Milano a Ravenna, ma va detto che la sua autorità adesso si esercitava su un territorio
molto piccolo ovvero sull'Italia e sulle province con essa confinanti (Provenza, Rezia, Norico e
Dalmazia). La scomparsa di Stilicone aveva creato per un momento l'illusione che anche in Italia
potesse aversi un rigurgito di orgoglio nazionale e l'estromissione definitiva dei germani dai vertici
dello stato, e ciò anche grazie all'aiuto di Costantinopoli che faceva ascendere nel 425 al trono
d'occidente Valentiniano III sotto la tutela della madre Gallia Placidia, sorella dell'imperatore
Onorio, che prese ad esercitare una sorta di protettorato sull'Italia. Ma ben presto apparve chiaro
che l'apporto dell'elemento germanico era essenziale per la sopravvivenza di quello che restava
dell'impero d'occidente per cui si tornò a una politica di convergenza tra romani e barbari. Di essa
si fece interprete Ezio, un generale d'origine romana ma cresciuto tra gli unni, che riprese la
politica di Teodosio e Stilicone, per utilizzare questa volta i germani contro gli unni i quali sotto la
guida di Attila avevano invaso la Gallia e minacciavano l'Italia. Infatti Ezio riuscì nel 451 a batterli sui
campi catalunici, presso Troyes, alla testa di un esercito formato in gran parte da visigoti e
burgundi. Nel 452 Attila penetrò in Italia attraverso il Friuli, distruggendo Aquileia i cui abitanti
cercarono rifugio nelle isole della laguna, dando vita così al primo nucleo di quella che sarà poi
Venezia. La sua marcia si arrestò sul Mincio, dove gli andò incontro papa Leone I in qualità di
ambasciatore di Valentiniano III. La tradizione cristiana attribuisce lo scampato pericolo a un
miracolo operato dal pontefice. Probabilmente il ritiro di Attila nacque invece dal timore di un
attacco di Costantinopoli ai suoi immensi domini che diventano sempre più vulnerabili man mano
che crescevano d'estensione. Dopo la scomparsa di Attila, l'impero degli unni si sfaldò.
454 Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano, il quale a sua volta cadde l'anno dopo per mano di due
seguaci di Ezio. La loro scomparsa creò ai vertici dello stato una situazione sempre più confusa con
il succedersi veloce di imperatori privi potere effettivo. Un personaggio importante fu Odoacre il
quale, dopo aver deposto nel 476 l'ultimo imperatore ovvero il giovanissimo Romolo Augustolo
rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali dichiarando di voler governare quello che restava
dell'impero d'occidente in nome dell'imperatore d'oriente con il solo titolo di patrizio. Nello stesso
tempo assunse il titolo di re degli eruli, degli sciti e degli altri germani che avevano sostenuto il suo
colpo di stato. Re ostrogoto educato alla corte di Costantinopoli il quale nel 489, per incarico
dell'imperatore Zenone preoccupato per l'espansionismo di Odoacre in Dalmazia, Teodorico portò
in Italia il suo popolo. L'aristocrazia e l'episcopato cattolico si volsero subito dalla sua parte anche
perchè Teodorico mostrò subito di voler operare in pieno accordo sia con l'aristocrazia sia con la
chiesa cattolica, che prese sotto la sua protezione, pur essendo egli ariano al pari del suo popolo.
Con gli ostrogoti era la prima volta che si stanziava in Italia un intero popolo e che si operava un
trasferimento di terre di grandi dimensioni sempre in base al principio dell'ospitalità dai proprietari
romani ai guerrieri germanici. L'operazione però non fu traumatica perchè il declino demografico a
cui avevamo assistito (nel 452 Italia e Spagna furono colpite dalla peste) faceva aumentare la
disponibilità di terre. Inoltre non si instaurò la dominazione degli ostrogoti sulla popolazione
romana ma si realizzò la coesistenza di due comunità con distinti ordinamenti giuridici e unite
soltanto nella figura di Teodorico, re della sua gente e vertice dell'apparato politico –
amministrativo romano, in quanto titolare della carica di prefetto in Italia. I goti erano gli unici ad
avere il diritto – dovere di portare le armi, mentre i romani, rigorosamente esclusi dall'esercito,
formavano una comunità distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano. La
compresenza di due ordinamenti giuridici nell'ambito dello stesso organismo politico costituiva
una novità per l'Italia ma non per le altre regioni dell'impero perchè in esse la pratica dell'ospitalità
aveva comportato l'introduzione di quella che oggi i giuristi chiamano la personalità del diritto,
consistente nella possibilità per un gruppo etnico di vivere secondo le proprie leggi all'interno di un
territorio regolato dal leggi diverse (in questo caso quelle romane). Nuove o almeno singolari
erano invece la lucidità e la determinazione con le quali Teodorico perseguì il disegno di tenere
distinte le due comunità, richiamando in vita una vecchia legge romana del 370 che vietava i
matrimoni tra romani e barbari e sostenendo l'arianesimo un elemento essenziale dell'identità
culturale del suo popolo. Ma il sogno di Teodorico si infranse tuttavia contro le resistenze sia del
mondo germanico sia di quello romano. Su gran parte del primo era riuscito all'inizio a imporre una
specie di protettorato con accordi e alleanze matrimoniali, che gli avevano consentito di legare a sé
franchi, vandali, visigoti, burgundi e turingi ma la sua politica estera si scontrò con un analogo
progetto egemonico concepito dal re dei franchi, Clodoveo. Contemporaneamente si complicavano
i rapporti anche con il mondo romano e non tanto per l'espansionismo di Teodorico nel Balcani
arrivando a conquistare la Pannonia e stabilendo il suo protettorato sulla Dalmazia, quanto
piuttosto in seguito al ristabilirsi di una piena intesa tra papato e imperatore d'oriente in merito
all'applicazione delle decisioni del concilio di Calcedonia. Nacque un clima di diffidenza, che portò
Teodorico a vedere complotti ovunque. Nel 526 scomparve e nel 535 l'imperatore Giustiniano dava
inizio alla riconquista dell'Italia nell'ambito di un più vasto progetto di riconquista dell'intero
occidente. Inizialmente i franchi si formarono in un gruppo unitario da tanti piccoli aggregati nel IV
– V secolo. A partire dal 482 furono via via inglobati nel dominio di Clodoveo, re dei franchi salii e
iniziatore della dinastia merovingia, detta così dal nome del suo forse mitico fondatore Meroveo.
Nel 486 viene eliminata l'ultima presenza romana in Gallia, il regno di Siagro con capitale Soissons
e Clodoveo si volse con estrema decisione contro le altre popolazioni germaniche della Gallia,
ponendole sotto la propria tutela o scacciandole dai loro territori come avvenne con i visigoti ai
quali tolse l'Aquitania. Trovò un ostacolo soltanto nel re degli ostrogoti, Teodorico, il quale
intervenne a difesa dei visigoti e degli alamanni. Ciononostante alla sua scomparsa, nel 511,
Clodoveo controllava, ad esclusione della Provenza, tutta la Gallia romana e anche una fascia di
territori al di là del Reno. I suoi immediati successori inglobarono nei loro domini anche i territori
dei turingi (513), il regno dei burgundi (533) e la Provenza (536). Alla base di questi successi c'era il
dinamismo militare dei franchi ma anche la collaborazione con la colta e ricca aristocrazia gallo –
romana e con l'episcopato cattolico. Alla scomparsa di Clodoveo, però, il regno fu diviso in parti
uguali tra i figlie, come se fosse stato un bene privato. La suddivisione fu tra la Neustria, l'Austrasia,
l'Aquitania e la Borgogna. Questo sistema di successione portò a conflitti fratricidi, facendo
interrompere l'espansionismo franco, che sarà ripreso e solo nell'VIII secolo una volta ristabilita,
con Pipino il Breve, una direzione politica salda e unitaria.
Capitolo 3: l'oriente romano – bizantino e slavo
Mentre in occidente si veniva faticosamente ma in maniera abbastanza veloce delineando una
nuova realtà attraverso la fusione di elementi di civiltà germanica e di quella romano – cristiana, la
parte orientale dell'impero mostrava una sorprendente capacità di resistenza di fronte a pressioni
esterne e a tensioni interne. Inoltre in oriente l'aristocrazia non godeva di una schiacciante
superiorità sociale nei confronti del resto della popolazione e per giunta non formava una classe
rigidamente chiusa. L'11 maggio 330 Costantino inaugura la nuova capitale sul bosforo, dandole il
suo nome, in quanto concepita fondamentalmente come un monumento a sé stesso,
Costantinopoli che conobbe un vero e proprio boom già con il figlio, Costanzo II, configurandosi
inevitabilmente come concorrente di Roma. Questa del resto era in declino quale sede del potere
dato che dopo Massenzio, il quale vi risiedette stabilmente dal 306 al 312, gli imperatori
preferirono a causa prevalentemente dei loro impegni militari spostarsi da una città all'altra. Si
stabilirono poi definitivamente nel 404 al tempo di Onorio nella più sicura Ravenna. Mentre però le
altre città che erano state sedi provvisorie di governo (Treviri, oggi Trier in Germania, Sirminio nei
Balcani, Milano) per quanto abbellite non avevano acquisito dignità di capitale e non erano state
dotate di quelle strutture e di quei servizi che rendevano del tutto particolare la città di Roma.
Costantinopoli fu attrezzata ben presto a imitazione di Roma.
- istituzione del senato da parte di Costanzo II
- creazione dell'annona civica per la distribuzione del grano
- dotazione di un ippodromo corrispondente al circo massimo di Roma direttamente collegato al
palazzo imperiale per facilitarvi l'ingresso dell'imperatore che vi appariva a scadenze fisse secondo
un rituale che finì col rendere sempre più grande il distacco tra il sovrano e il popolo, trasferendo il
primo su un piano di sacralità e circondandolo di un alone di mistero.
La sacralizzazione del potere era il risultato anche dell'esaltazione del ruolo dell'imperatore quale
difensore della genuina dottrina cristiana e in quanto tale responsabile della salvezza del popolo
cristiano.
Tutto quindi spingeva verso una progressiva divaricazione tra occidente e oriente, e della
trasformazione di quest'ultimo in forza politica autonoma. Tappa fondamentale di questo processo
fu la divisione dell'impero tra Arcadio e Onorio alla scomparsa di Teodosio nel 395 anche se la
questione che fece esplodere tutto fu la questione barbarica perchè mentre in occidente ci si stava
orientando verso un pieno inserimento dei germani nell'esercito e nei quadri dello stato, in oriento
si affermò una netta posizione di chiusura nei loro confronti e si attuò una politica sistematica di
dirottamento verso occidente dei visigoti e degli altri germani orientali che diventavano sempre più
inquieti sotto la pressione degli unni.
Capitolo 4: l'Italia tra Bizantini e Longobardi
Giustiniano nel 535 aveva avviato la riconquista dell'Italia inviando un esercito al comando del
generale Belisario e Nareste. La prima fase della guerra si concluse nel 540 con la conquista di
Ravenna e la cacciata dei goti oltre il po. La guerra riprese nel 542 con un'offensiva dei goti che si
concluse con la loro sconfitta e l'uccisione del loro sovrano Totila nella battaglia di Gualdo Tadino
(552), dopo qualche mese venne sopraffatta la resistenza degli ultimi irriducibili al comando dei
quali vi era il successore di Totila, Teia sconfitto in battaglia alle falde del Vesuvio. Gli ultimi nuclei
di resistenza vennero scovati nel 555 sugli appennini. La riconquista bizantina fu accompagnata dal
tentativo di restaurare gli antichi rapporti sociali e di dare al territorio un nuovo assetto sulle basi
della prammatica sanzione che Giustiniano emanò nel 554 su richiesta di papa Virgilio. Gli atti
emanati da Teodorico furono considerati ancora validi mentre furono annullati quelli del re dei goti
Totila. Le chiese cattoliche ottennero buona parte dei territori confiscati. Nareste restò in Italia fino
al 568 anno in cui morì a Roma dopo essere stato richiamato a Costantinopoli dal nuovo
imperatore Giustino II. Nello stesso tempo si mise in moto un capillare apparato fiscale e si arrivò a
chiedere le tasse arretrate, si riducevano le spese pubbliche, si decurtavano i salari ai soldati e
diminuiva la distribuzione di viveri ai poveri. Tutti questi provvedimenti miravano a fornire
all'impero i mezzi per la sua politica espansionista ma ebbero l'effetto di far rimpiangere il passato
regime e di far crollare il morale delle truppe poste a difesa dell'Italia. Questo episodio creò le
premesse per il crollo bizantino in Italia a causa dell'invasione longobarda. I longobardi erano un
popolo germanico originario della scandinavia che dopo aver vagato in europa giunsero in Italia
attraverso il Friuli nel 568. I longobardi non avevano avuto mai contatti stretti con i romani e il loro
trasferimento in Italia avvenne senza un concordato con l'imperatore e senza il principio di
ospitalità. La loro dominazione nei confronti del popolo latino si pose come vero e proprio governo
superiore. I longobardi furono l'unico popolo che non si allontanò dagli usi tradizionali, erano privi
di re, che veniva eletto dai nobili all'interno del consiglio di guerra secondo il principio del primo
tra i pari. L'avanzata in Italia non proseguì in modo unitario ma le direttrici dell'avanzata si
delinearono in base all'iniziativa dei singoli duchi che erano a capo delle tribù. I bizantini riuscirono
a mantenere il controllo della Romagna, della pentapoli e di una striscia di terra che attraverso
Perugia collegava Ravenna con Roma, conservarono le isole ed il litorale tra Civitavecchia ed
Amalfi. L'incompletezza della conquista segnò l'inizio della divisione politica dell'Italia che durerà
fino al XIX secolo, questa divisione si formò anche a causa della complicità dei duchi che dal 574 al
584 rinunciarono a darsi un nuovo re. In questo periodo di anarchia militare molti proprietari
terrieri furono uccisi e le terre confiscate, la popolazione romana venne privata della capacità
politica. Per i romani fu impossibile fino alla fine del VII secolo potersi inserire all'interno delle
gerarchie di potere, successivamente, chi aveva accumulato abbastanza risorse e possedimenti
durante una lunga e lenta ripresa economica fu accettato nella casta a patto che assumesse i
costumi dei dominatori. Il funzionamento dei vescovadi venne sconvolto poiché venivano privati
del loro territorio e dei loro domini costringendo i vescovi a fuggire nei territori bizantini. I
longobardi però presero come punto di riferimento le città imperiali garantendo comunque una
continuazione con la precedente epoca. Le istituzioni burocratiche erano già fortemente degradate
e l'invasione longobarda aggravò ulteriormente questa situazione. Il percorso che avevano
intrapreso già gli altri popoli germanici di insediamento nel tessuto sociale e nel modello politico
del popolo latino venne seguito dai longobardi molto più lentamente e incontrando enormi
resistenze interne. Fu scelto come modello d'ispirazione quello romano rafforzando di
conseguenza il ruolo del re nella successiva ricerca dell'appoggio episcopale. Nel 584 Autari dopo
aver restaurato l'autorità regia si fece cedere dai duchi la metà delle loro terre per consentire alla
monarchia di procurarsi i mezzi necessari al proprio sostentamento. Per gestire i beni della corona
furono creati appositi funzionari, i Gastaldi, le cui competenze col tempo furono ampliate per
limitare il potere dei duchi. Agiluffo, succesore di Autari si pose per primo il problema di un
rapporto non conflittuale con la chiesa che era allora governata dal pontefice Gregorio Magno,
colui il quale assunse l'appellativo di servus servorum dei. Fino a Gregorio Magno il titolo di
vescovo di Roma era stato solo un titolo onorifico senza alcun contenuto effettivo, lui concepì il
disegno di rendere il papato autonomo anche perché la lontananza dal potere imperiale rendeva i
vescovi privi di un punto di riferimento, nello stesso tempo Gregorio Magno si preoccupò di
assicurare al cristianesimo occidentale un'impronta unitaria riordinando e diffondendo la liturgia
romana con il relativo canto detto appunto gregoriano. Promosse l'opera di evangelizzazione delle
popolazioni pagane e ariane operando instancabilmente per la conversione di visigoti e longobardi.
Non assunse mai atteggiamenti di intolleranza, raccomandando sempre ai missionari di procedere
gradualmente nel rispetto delle tradizioni locali. Riformò il patrimonio della chiesa riuscendo a
difendere Roma e la popolazione. L'erede al trono longobardo, Adaloaldo, venne battezzato nel
603 questo però non portò ad una conversione di massa a causa dell'attaccamento dei duchi ai
costumi tradizionali. Sul trono longobardo si alternavano quindi re cattolici e re ariani, fino al 712
quando salì al trono Liutprando, che completò la conversione al cristianesimo del suo popolo,
superando la divisione etnica tra longobardi e romani. Liutprando pensò che fosse giunto il
momento per completare la conquista dell'Italia arrivando fino alle porte di Roma, qui convinto da
papa Gregorio II tornò indietro restituendo il castello di sutri alla chiesa invece che all'autorità
bizantina nel 728. L'invasione longobarda non portò a modifiche sociali solo nei territori
conquistati, anche i territori sotto controllo bizantino subirono delle modifiche che allontanavano
sempre di più dal modello romano. All'origine delle trasformazioni c'era innanzitutto il problema
della difesa, dato che l'impero era impegnato ad oriente e non poteva garantire la presenza
militare in Italia. Ciò portò all'unificazione di cariche civili e militari e costrinse l'aristocrazia a
dedicarsi attivamente all'esercito sulla base delle proprie capacità economiche e al proprio
prestigio sociale. Le difficoltà di comunicazione con bisanzio portarono nel VII secolo, date le
fusioni tra il ceto aristocratico bizantino e le popolazioni latine, all'esplosione di sentimenti
nazionali che portarono anche a rivolte contro bisanzio, un fattore che favoriva il sorgere di questi
sentimenti era il largo potere economico e sociale che le gerarchie ecclesiastiche stavano
assumendo. La chiesa aveva infatti iniziato a sviluppare un vasto patrimoni terriero che cedeva in
affitto perpetuo alle famiglie locali piu in vista per sviluppare rapporti clientelari. Questo processo
portò Roma nell' VIII secolo sotto la protezione dei franchi dopo il subentro del dominio pontifico
al dominio bizantino. I duchi bizantini eserciteranno solo una funzione di supplenza rispetto al
papato fino a Pipino il Breve che venne designato da Stefano II patrizio dei romani legittimando
finalmente questa realtà.
In sostanza i fattori che accomunarono Ravenna e Roma furono:
• Prevalenza dell'autorità militare sui poteri civili
• Convergenza di elementi orientali e locali nel ceto dei proprietari fondiari
• Inquadramento dei proprietari fondiari in gerarchie
Capitolo 5 : il mondo arabo e il mediterraneo
Mentre in occidente i bizantini e i persiani si fronteggiavano in una guerra che sembrava dover
decidere le sorti dell'occidente in Arabia prendeva il sopravvento una civiltà che avrebbe reso la
propria nazione la più potente del mondo civilizzato allora conosciuto. Secondo la tesi di Pirenne
gli
arabi crearono in Europa una situazione completamente nuova mettendo fine all'unità del
mediterraneo e provocando in occidente una crisi del commercio, la scomparsa delle città e la
nascita di un'economia interamente agraria. Indubbiamente gli arabi portando il loro durissimo
attacco all'impero bizantino riducendone fortemente il raggio d'azione, crearono un vuoto politico
nel mediterraneo centro-orientale concedendo cosi una maggiore libertà alla chiesa di Roma. La
penisola arabica situata tra Asia e Africa era, come oggi, sostanzialmente un tavolato desertico
dove
solo Oman e Yemen godevano di precipitazioni. I letti dei fiumi che anticamente scorrevano in
Arabia erano usati come piste transdesertiche. Anticamente la parte centro settentrionale
dell'Arabia
era abitata da tribù di beduini nomadi che praticavano l'allevamento, il commercio carovaniero e la
razzia; erano presenti anche tribù di sedentari. Queste tribù erano indipendenti l'una dall'altra.
La parte meridionale dell'isola godette invece di un maggior livello di civiltà a causa del crocevia
commerciale che si riscontrava in quella zona. La maggioranza della popolazione, composta da
beduini era inquadrata in tribù, la tribù stessa era il quadro sociale di riferimento. All'interno della
tribù venivano prese tutte le decisioni di carattere collettivo, alla guida vi era un capo elettivo
assistito da un consiglio e da un giudice. Il quadro religioso era caratterizzato dalla prevalenza del
politeismo, gli arabi meridionali tendevano verso un culto animistico, mentre quelli del nord
adoravano divinità varie sottomesse ad una suprema, Allah. In questo contesto intorno al V secolo
la
città della Mecca divenne un'importante centro commerciale e religioso, in questa città nacque
Maometto tra il 569 e il 571. Nato da una famiglia benestante e rimasto orfano in tenera età fu
allevato da uno zio e sposò una ricca vedova migliorando così la sua posizione economica, questo
gli consentì di dedicarsi alla riflessione religiosa. Nel 610 quando aveva poco più di quarant'anni gli
apparve l'arcangelo Gabriele che gli annunciò di essere l'apostolo di Allah. All'inizio Maometto
esitò ma finalmente nel 613 dietro l'incoraggiamento della moglie diede inizio ad una predicazione
tra l'indifferenza dei Quaraishiti. Il suo messaggio all'inizio non metteva in discussione il politeismo
ma puntava al riconoscimento di Allah come unico vero dio ed a far atto di sottomissione alla sua
autorità, introduceva inoltre l'idea di giudizio finale e il dovere di esercitare la solidarietà verso il
prossimo e verso i poveri in particolare. Il pericolo che l'islam venisse assimilato al politeismo
indusse Maometto a rompere gli indugi e ad attaccare i culti idolatrici suscitando le ostilità del ceto
dirigente timoroso di perdere i propri proventi ricavati dai pellegrinaggi della Kaaba. Maometto
comunque continuò la sua opera di proselitismo definendo il rituale della preghiera che il credente
doveva recitare rivolto verso Gerusalemme. Nel 622 la posizione di Maometto divenne
insostenibile, infatti dopo aver ricevuto fedeltà incondizionata dalla tribù della madre fuggì dalla
mecca fino alla città della famiglia materna che cambiò il nome in Medina. Questa fuga per i
seguaci di Maometto rappresentò l'inizio di una nuova era. Nel 624 Maometto mutò il punto di
riferimento per la preghiera da Gerusalemme alla Mecca, contemporaneamente ne accentuò il
carattere esclusivistico dichiarando l'islam unica vera fede, istituendo anche il mese di digiuno
(ramadan). Il pensiero di Maometto che veniva precisato nel corso del tempo venne raccolto dopo
la sua morte (avvenuta nel 632), dopo circa vent'anni, nel libro sacro del Corano. La lingua usata fu
quella più comunemente usata dai poeti arabi. I principali pilastri della fede scritti nel corano sono i
seguenti:
• Doppia professione di fede
• La preghiera
• Il ramadan
• Pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita
• Elemosina legale (un decimo del reddito) alcuni sostengono anche l'esistenza di un sesto pilatro.
• La guerra santa
Ad integrazione del corano venne posta la Sunna cioè, la raccolta della tradizione
comportamentale
di Maometto in determinate occasioni che diventerà la base del diritto mussulmano. Il messaggio
di Maometto accoglieva aspetti non marginali della società e della cultura araba. La razzia, la
poligamia, la schiavitù, il pellegrinaggio e il culto della pietra nera. A differenza di quanto accadeva
nel passato Maometto riorganizzò la società eliminando il particolarismo e concentrando tutto
intorno ad una figura sia politica che religiosa. Quando Maometto arrivò a Medina si fece costruire
una casa che divenne luogo di aggregazione e di preghiera, qui Maometto iniziò ad attirare gran
parte delle genti cittadine. Nel frattempo i continui attacchi alle carovane provenienti da la
Mecca da parte dei mussulmani di Medina costituivano una seria minaccia per l'economia della
Mecca. I Quraishiti dopo fortune alterne con le armi si convertirono all'islam e aprirono a
Maometto le porte della città (gennaio 630) da allora crebbe di continuo il numero delle tribù
beduine che si
convertirono all'islam. Alla morte di Maometto ci fu un contrasto tra i suoi seguaci per designare
un
sostituto (califfo) che avrebbe dovuto reggere la comunità secondo lo spirito di Maometto. La
scelta
cadde su Abu Baku suocero ed uno dei primi seguaci del profeto, alcune tribù beduine non
riconoscendo la sua autorità abbandonarono completamente l'islam. Il califfo reagì con forza
ripristinando già nel 633 il suo dominio su tutta la penisola arabica lanciando addirittura le truppe
in
direzione dell'Iraq. La scomparsa del califfo nel 634 riaprì la questione della successione che fu
risolta per qualche decennio grazie al sistema elettorale. La vera rottura si ebbe quando la sede del
califfo venne spostata a Kufa, nel basso Iraq, facendo perdere alla Mecca e Medina il loro ruolo
politico. Il califfo Alì si mantenne al potere grazie alle armi dei suoi seguaci (sciiti) contrapposti alla
maggioranza dei mussulmani ortodossi, detti sunniti. Le lotte per la successione non frenarono lo
slancio espansionistico islamico che in poco più di vent'anni spazzò via l'impero persiano e amputò
all'impero bizantino la Siria e l'Africa del nord. Il governo di un territorio cosi vasto mostrò subito
l'inadeguatezza dell'ordinamento sociale dell'età pre - islamica. L'uguaglianza dei mussulmani
stabilita dal corano si dimostrò subito solo teorica, in quanto la tribù di Maometto aveva acquistato
un ruolo egemone. Dopo la morte di Maometto ci fu un risveglio dei clan famigliari e il sistema
tribale fu esaltato in guerre di conquista condotte da eserciti reclutati su basi tribali. I non arabi
convertiti vennero all'inizio dell'VIII secolo assunti nell'esercito e pagati con regolare salario,
formando comunità distinte rispetto alle popolazioni sottomesse, stabilendosi in accampamenti
provinciali. Per il governo dei territori conquistati fu necessario provvedere ad un apparato
amministrativo che fu in gran parte ereditato dalla precedente dominazione bizantina e persiana. A
capo di ogni provincia fu posto un governatore assistito da un corpo di guardie, da un giudice e da
un supervisore finanziario. Il califfato in questo contesto raccolse grande potere e si rafforzò come
se fosse una monarchia ereditaria. La stabilizzazione del potere coincise con una ripresa del
movimento espansionistico ed un rafforzamento dell'apparto statale. La capitale venne trasferita a
Damasco, in Siria, per esercitare maggiore pressione sull'impero bizantino rimasto l'avversario
principale e per soffocare i tentativi di rivolta che i clan allestivano nelle varie parti del regno.
L'espansione verso Costantinopoli fallì 677 quando fu distrutta la flotta araba da parte dei bizantini,
la nuova direttrice di espansione fu quella dell'Africa settentrionale, che l'arco di cinquant'anni fu
conquistata fino alla costa atlantica. Nel 711 gli arabi varcarono Gibilterra, conquistando la spagna
in soli cinque anni. Intanto i califfi lanciarono una nuova offensiva verso l'asia, raggiungendo, nel
710-714 il bacino dell'indo. Come in Spagna la conversione all'islam fu rapida, in asia però, si rivelò
difficile, la convivenza tra gli arabi ed i nuovi convertiti a causa di violente rivolte destinate ad
essere fatali per la dinastia omayyade. La situazione precipitò nel 747 a seguito di un'insurrezione
armata promossa dagli abbasidi, che si ritenevano successori di Maometto. Una volta preso il
potere spostarono il centro dell'impero dalla Siria all'Iraq fondando la nuova capitale Bagdhad.
Venne riorganizzato il potere sullo stampo delle monarchie assolutiste orientali e venne
riconfigurato il ruolo del califfo che andrà a rappresentare dio in terra. I califfi quindi si
allontanarono sempre di più dalla popolazione lasciando il potere effettivo nelle mani dei visir. Il
sistema tribale in uso nell'esercito venne abrogato e l'esercito stesso divenne uno strumento di
potere nelle mani dei capi militari. La lingua araba trovò in Baghdad il suo centro principale e la
cultura araba si sviluppò su campi nuovi quali la medicina, la filosofia, la fisica, l'astronomia, la
matematica e la geografia. A questa fioritura culturale si univa uno slancio economico. Il principale
settore produttivo era l'agricoltura. Uno stimolo assai forte al mondo agricolo giunse dalle città in
quanto in esse si ebbe un notevole incremento demografico. In questo contesto si venne a creare
una nuova classe dirigente, la borghesia mercantile. Lo stato islamico però mostrava delle
debolezze in quanto l'aumento della ricchezza aveva accentuato gli squilibri sociali. Lo sviluppo
delle città aveva irrimediabilmente danneggiato le campagne. Non furono però questi squilibri a
mettere in crisi l'impero abbaside ma piuttosto il sorgere di varie spinte autonomiste per le
ambizioni dei vari governatori locali. Agli inizi del X secolo le tensioni si fecero più acute, tentativi di
secessione si registrarono in Iraq, Iran e Afghanistan. La Spagna nel 756 era diventata un emirato
praticamente indipendente da Baghadad. Nel X secolo divenne un califfato talmente evoluto da
poter rivaleggiare con Baghdad. In questo periodo si ebbe anche una spinta espansionistica verso
nord e verso il Marocco. Grande slancio economico ebbe poi l'Egitto e Il Cairo divenne il maggior
centro commerciale dell'epoca. La Sicilia fece parte del mondo arabo per quasi tre secoli dal 831,
anno della caduta di Palermo, e nel 840 venne completata la conquista della Sicilia occidentale, i
mussulmani proseguendo verso oriente conquistarono Messina nell'842. L'insorgere di contrasti
tra arabi e berberi creò per qualche decennio una situazione di stallo, i bizantini non seppero però
approfittarsene e cosi alla ripresa delle ostilità si ebbe la conquista di Siracusa e poi del resto
dell'isola, le ultime fortezze bizantine cadranno tra il 962 e il 965. Costituitosi emirato indipendente
conobbe per circa un secolo un periodo di grande splendore e l'agricoltura raggiunse un livello
ottimo in ogni parte dell'isola. Anche il commercio raggiunse un livello di fioritura assai elevato.
Capitolo 6: economia e società nell'Alto Medioevo
A differenza di quanto accadeva nel mondo arabo e nel mondo bizantino lo scenario europeo che
si
delineò tra il VI e l'VIII secolo fu di involuzione culturale e sociale. Le popolazioni abbandonarono
le città per fonderne di nuove in luoghi giudicati più facilmente difendibili, oppure come accadde
nelle grandi città, vennero occupate solo le porzioni più difendibili. L'immagine che viene riportata
dalle poche fonti disponibili è di un completo degrado, di abbandono. Si venne ristrutturando
anche
la rete viaria che a causa del formarsi di nuovi luoghi di aggregazione sociale portò all'abbandono
dei villaggi costruiti sulle principali vie di comunicazione. Un elemento fondamentale per
l'economia altomedievale fu il bosco, che specie al nord dell'Europa a causa dell'agricoltura
praticata dai germani era molto presente. All'interno del bosco si praticava liberamente la caccia in
quanto la grande abbondanza di animali selvatici costituiva per la massa contadina una grande
risorsa alimentare. Nelle foreste inoltre veniva raccolto il legno il cui uso era esteso in una maniera
impressionante a causa della scarsità di pietre. I boschi di quercia era anche un ottimo pascolo per
gli animali come i maiali. Tra l'altro il bosco costituiva lo sfondo più frequente nella narrativa
popolare. Il calo demografico di questo periodo fu senz'altro da attribuire alle guerre ed alle
devastazioni che infuriarono in Europa. Una delle cause principali del calo della popolazione furono
i vari episodi epidemici che si ripeterono almeno una ventina di volte tra il VI e l'VIII secolo. In
Italia la crisi demografica poté essere sentita in tutta la sua durezza a differenza di altre regioni
dell'Europa meno densamente popolate. A causa del basso livello tecnologico e alla perdita di
coscienza agricola dell'età romana i villaggi si ridussero prevalentemente all'autoconsumo. Lo
schema agricolo dei villaggi risulta abbastanza semplice: Vicino al villaggio si trovava la zona più
intensamente coltivata, subito dopo un'ampia zona coltivata a cereali e all'esterno la zona
boschiva.
Le famiglie contadine in questo periodo conducevano un'esistenza al limite della sussistenza in
quanto le terre erano poco produttive e la disponibilità di concime animale molto scarsa. La
scarsità
di concime veniva compensata con tecniche alternative quali il rovescio, il debbio ecc. Il più
frequentemente utilizzato era il maggese, ovvero il riposo del terreno dopo ogni raccolto che
veniva
inserito in una rotazione biennale delle colture. Questo riposo forzato che doveva essere fatto
esercitare al terreno costringeva il contadino a non approfittare mai completamente del terreno
che
coltivava, di cui pressoché mai ne era proprietario. Questa usanza derivava dall'ultimo periodo
della
tarda antichità nel quale i proprietari terrieri iniziarono ad insediare i loro schiavi nelle terre
dotandoli di una casa. Lo schiavo doveva provvedere al suo mantenimento e corrispondere al
padrone una parte del raccolto e di beni in natura di solito nel periodo natalizio. Dopo qualche
decennio, con la perdita progressiva dell'autorità imperiale, i piccoli proprietari terrieri si rivolsero
ai grandi signori locali rinunciando alle loro terre e cedendole al signore, riprendendole poi in
affitto
dietro pagamento di un canone. Conseguenza di questo fenomeno fu l'articolazione tra terre date
in
concessione e terre amministrate direttamente dal signore tramite amministratori di fiducia. Il
colono sotto la protezione di un signore di solito oltre al canone pagava un corrispettivo in giornate
lavorative da prestare nel terreno sotto diretto controllo del signore. Questa economia prese il
nome
di economia curtense. Durate l'economia curtense il proprietario assumeva sempre di più il ruolo
di
un signore in quanto ai contadini era necessaria oltre che una dipendenza economica anche una
dipendenza "sociale"; il signore infatti aveva sui suoi dipendenti potere giurisdizionale e militare.
L'economia altomedievale viene detta economia naturale in quanto basata principalmente
sull'agricoltura e praticamente priva di rapporti commerciali, con una circolazione monetaria assai
ridotta. In Europa le monete erano fatte d'argento dato che le monete in oro venivano usate per gli
scambi con l'oriente, anche se nonostante l'impoverimento l'Europa era sempre in grado di
esportare qualcosa in oriente.
Capitolo 7: l'impero carolingio e le origini del feudalesimo
Alla morte di Clodoveo un progressivo indebolimento attraversò il regno dei Franchi e l'Europa vide
così il sorgere di quattro entità statali in lotta per l'egemonia: La Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e
la Borgogna. Nel corso del VII secolo la lotta per l'egemonia si restrinse alla sola Austrasia e
Neustria. Di questo contrasto non erano protagonisti i sovrani dei due regni, bensì i signori di
palazzo, detti maggiordomi, di entrambe le parti. Si imposero alla seconda metà del VII secolo i
Pipinidi dell'Austrasia, artefici delle fortune della famiglia fu Pipino II. Suo successore fu il figlio,
Carlo Martello il quale, ristabilì il potere franco in frisia, alemannia e turingia. Si occupò in seguito
dell'Aquitania sotto la pressione degli arabi, che sconfisse nel 732 divenendo noto come campione
della cristianità. La morte del re merovingio Teodorico IV lasciò il trono vacante permettendo a
Carlo Martello di comportarsi come un sovrano, divise il regno tra i due figli Carlomanno e Pipino il
breve i quali ripristinarono la monarchia merovingia elevando al trono il re fantasma Childerico III.
Nel frattempo seguivano con interesse l'attività missionaria intrapresa da Bonifacio, un monaco
aglosassone, in stretto accordo con papa Zaccaria. Nel 747 Carlomanno abdicò per ritirarsi in un
monastero lasciando campo libero al fratello Pipino il quale, dopo aver rinchiuso Childerico in un
convento si fece acclamare re facendosi poi ungere con olio santo da Bonifacio. L'approvazione del
papato rispetto al potere di Pipino gli conferì una connotazione sacra. Verrà consacrato
nuovamente insieme ai due figli Carlomanno e Carlo nel 754 dal pontefice Stefano II. La famiglia di
Pipino il breve si era circondata di clientele sia militari che politiche, riuscendo ad
armare anche una vasta schiera di cavalieri per la nuova tattica di combattimento ad urto.
La nuova macchina bellica franca diede il via all'espansionismo; il primo a farne le spese fu il re
longobardo. Dopo che Roma chiese aiuto a Pipino iniziò una spedizione militare nel 755 alla fine
della quale il nuovo re longobardo Desiderio, si vide costretto ad attuare una politica meno
bellicosa. Il nuovo corso della politica longobarda fu sancito dal matrimonio dei figli di Pipino con
le figlie di Desiderio. La pace durò per circa quindici anni durante i quali scomparvero Pipino e
Carlomanno, Carlo rimasto solo ed unico sovrano, ripudiò la moglie e la scacciò insieme alla
vedova di suo fratello. Desiderio mosse allora guerra contro i territori da poco consegnati al
papato,
il nuovo pontefice chiese l'aiuto franco e Carlo Magno, una volta sconfitto Desiderio e poi il figlio,
nel 774 cinse la corona di sovrano dei longobardi. Nel 776 nella penisola vennero immessi duchi e
vassalli franchi per assicurare al sovrano maggior controllo. Gli anni successivi alla conquista del
regno longobardo furono scossi da guerre; all'inizio la spedizione in Spagna, la rivolta dei sassoni,
la conquista della frisia e della Baviera e la seconda spedizione in Spagna. Nel 799 il pontefice
Leone III che era stato aggredito ed imprigionato durante una processione, venne liberato da due
messi franchi e portato da Carlo Magno a cui il papa chiese aiuto. Venne riaccompagnato a Roma
sotto scorta. Carlo lo seguì giungendo il 24 novembre 800. Visto che la nobiltà romana era ostile al
papa ed il pontefice era accusato di adulterio e spergiuro venne convocato un concilio, durante il
quale Leone III giurò la propria innocenza e venne riabilitato. Carlo Magno venne incoronato il 25
dicembre 800 imperatore dei romani. In oriente la promozione a imperatore di Carlo non fu presa
bene, esplose un vero e proprio conflitto che terminò solo quando, nell' 812, l'imperatore
bizantino riconobbe il titolo imperiale di Carlo in cambio della cessione dell'Istria e della Dalmazia e
la rinuncia a qualsiasi pretesa franca su Venezia. Carlo affidò vaste zone dei territori conquistati a
conti e duchi, mentre le zone di frontiera furono affidate ai marchesi i quali, erano responsabili
anche della loro difesa. Per tenere sotto controllo i duchi vennero insediati un gran numero di vassi
dominici ovvero funzionari fedeli direttamente al re. L'amministrazione dell'impero faceva capo al
palazzo, nella corte erano tre le figure di riferimento
• L'arcicappellano
• Il cancelliere
• I conti palatini
La corte inoltre era mobile, garantendo pertanto un collegamento con le realtà locali. Carlo Magno
cercò inoltre di dare omogeneità all'impero emanando i capitolari ovvero leggi formate da brevi
articoli emanate nel corso di assemblee annuali. I capitolari riguardavano principalmente diritto
pubblico e diritto ecclesiastico. Frequenti furono gli interventi legislativi in campo economico, sia
per migliorare l'apparato fiscale, sia per proteggere le popolazioni rurali ed i piccoli proprietari
fondiari che costituivano ancora la base del popolo e dell'esercito. Si tentò anche di riportare
ordine
nel settore monetario, vista la scarsità d'oro si diede spinta al conio di monete d'argento. La
moneta
circolante divenne allora il danaro, quotato 12 a 1 rispetto al soldo. Carlo si impegnò anche a
continuare l'opera di restaurazione ecclesiastica intrapresa da Bonifacio estendendola a tutto
l'impero. La chiesa franca elaborava la concezione di un impero operante in unità d'intenti con
l'autorità papale in quanto l'imperatore aveva la responsabilità della scelta dei vescovi.
L'imperatore
era consapevole che aver buoni vescovi significava stabilità nel governo in quanto la popolazione
era saldamente inquadrata dal potere ecclesiastico. Carlo riformò anche i monasteri che in questo
periodo erano decaduti a causa dell'affievolirsi della disciplina interna, l'imperatore, per arginare
questo fenomeno impose a tutti i monasteri la regola benedettina. Fu deciso anche di elevare il
livello culturale dei monaci attraverso l'istituzione di scuole presso le cattedrali e nei monasteri
maggiori. Espressione e strumento della rinata attività scolastica fu il recupero dei testi classici e il
loro diffondersi attraverso la scrittura carolingia che mise fine al particolarismo grafico. Il
gigantesco sistema politico messo in piedi da Carlo Magno andò in crisi dopo la sua morte, non
arrestando però lo sviluppo culturale che si era avviato, tanto più che l'opera degli uomini di chiesa
andò oltre l'ambito culturale e religioso contribuendo a mantenere in vita l'idea di stato come
fonte
di comando e dell'impero come garante di pace.
Capitolo 8: la crisi dell'ordinamento carolingio e gli sviluppi dei rapporti feudali
Per quanto riguarda il problema della successione, Carlo decise di attenersi al modello franco,
divise quindi l'impero tra i suoi tre figli (Carlo, Ludovico, pipino) rimandando ad un secondo
momento la decisione per il lascito del titolo imperiale. La morte prematura di Carlo e di pipino
lasciò Ludovico unico erede del padre. L'eredità venne raccolta nell'814, anno di morte di Carlo
Magno. Ludovico accentuò molto il carattere sacro del potere imperiale proponendo una più
stretta
collaborazione tra stato e chiesa. Una delle sue primarie preoccupazioni fu la successione,
problema
che risolse nell'817 con l'emanazione di una costituzione che proclamava l'indivisibilità dell'impero,
che veniva destinato al primogenito Lotario. Lotario venne subito associato al governo e venne
trasferito in Italia dove nell'824 impose la Constitutio Romana, ovvero impose al papa eletto di
giurare fedeltà all'imperatore prima di essere consacrato. Ludovico alla lunga non si mostrò in
grado
di tenere a bada i figli minori che insieme con Lotario si ribellarono. Per far fronte alla situazione
l'imperatore allargò la sua schiera di vassalli moltiplicando le concessioni di benefici. Questo
sistema però impoverì il patrimonio del fisco che costituiva la principale fonte di reddito per la
monarchia. La situazione precipitò alla morte di Ludovico per cui si giunse ad uno scontro frontale
tra Lotario e i fratelli ribelli che dopo averlo sconfitto, stipularono nell'842 a Strasburgo un patto
solenne alla presenza dei loro eserciti promettendosi aiuto reciproco. Lotario nell'843 fu costretto
ad
accettare il trattato di verdun che sancì la definitiva divisione dell'impero. A Carlo il calvo la parte
occidentale, a Ludovico il germanico la parte orientale ed a Lotario la parte centrale. Alla morte di
Lotario, che aveva conservato il titolo di imperatore, successe il figlio Ludovico II che fu a lungo
impegnato in Italia nella lotta contro i saraceni. Alla sua morte nell'876 Carlo il calvo conseguì il
dominio dell'Italia e la corona imperiale. Nell'884 la fine della discendenza di Carlo il calvo permise
al figlio di Ludovico il germanico, Carlo il grosso, di riunire sotto di se tutta l'eredità di Carlo
Magno. Fu ritrovata tuttavia un'unità molto effimera in quanto l'imperatore fu costretto ad
abdicare.
Ad oriente Arnolfo di Carinzia, in Francia divenne re Oddone e il regno d'Italia fu attribuito a
Berengario. La dissoluzione dell'impero venne avvertita anche all'interno degli ambienti
ecclesiastici dato che i vescovi iniziarono a considerarsi esenti dal dominio comitale, duchi e conti
d'altro canto avevano iniziato a circondarsi di vassalli anche se questo era vietato da un editto
capitolare. Per queste ragioni iniziarono a formarsi signorie locali. Questa nuova realtà europea del
IX e del X secolo è detta signoria bannale. La formazione dell'impero franco nel cuore dell'Europa
non mise fine alle continue incursioni da parte dei popoli seminomadi. Nell'area che andava dal
baltico al mediterraneo fecero irruzione i Magiari che si stanziarono in pannonia sul finire del IX
secolo. Questa stabilizzazione non mutò le loro abitudini predatorie, da qui infatti iniziarono varie
incursioni nell'Europa carolingia, in Fancia e in Italia. Davanti ai magiari le formazioni politiche
nate dalla dissoluzione dell'impero carolingio si rivelarono inadatte ed incapaci di garantire la
difesa. A farne le spese furono soprattutto i monasteri e le città prive di difese. A mettere fine alle
loro scorrerie contribuirono sia la riorganizzazione del regno di Germania sia l'esaurirsi della loro
spinta offensiva dopo la conversione al cristianesimo che venne sanzionata nel 1001 con la
concessione della corona al re magiaro Stefano I da parte di papa Silvestro II.
Contemporaneamente l'Europa cristiana era aggredita dai saraceni. Gli arabi dopo aver conquistato
la Sicilia esaurirono la loro spinta offensiva ma nonostante questo continuarono i loro attacchi
all'occidente sotto forma di razzie, obiettivi di queste erano le città e le abazie. Spesso l'unico modo
per fermarli era versare loro sostanziosi contributi in denaro mentre le iniziative armate ebbero
risultati alterni. All'inizio dell'anno mille però tutto il mondo cristiano passò al contrattacco,
nondimeno però, alcuni gruppi di pirati mussulmani rimasero in attività ancora per tutto il XII
secolo. Le regioni dell'Europa risparmiate da magiari e saraceni furono investite dai normanni che
dalla scandinavia partirono in direzioni diverse. La tattica bellica per quelli che si diressero in
Europa era simile a quella dei saraceni così, per tentare di farli diventare sedentari, Carlo il
semplice
diede al loro capo, Rollone, la Normandia come feudo. I normanni allora nell'arco di cinquant'anni
assicurarono al territorio un forte inquadramento politico attraverso rapporto vassallatico-benefici.
I sovrani dei regni nati dalla dissoluzione dell'impero carolingio tentarono di dare un assetto
difensivo ai loro territori ma il teatro bellico era cambiato, il nemico, almeno all'inizio non puntava
a conquiste stabili ma alla mera razzia, per cui colpiva di sorpresa per poi ritirarsi. Fu inevitabile
perciò coinvolgere nella difesa sempre di più le forze locali autorizzando la costruzione di castelli
ed altre opere difensive. Molto spesso i signori locali prendevano l'iniziativa e fortificavano i loro
castelli senza l'autorizzazione regia. Il signore locale che si era imposto per ragioni militari agli
uomini protetti dal suo castello si attribuiva anche incarichi di natura giuridica e legale. Non di rado
all'interno del castello sorgeva una cappella per l'assistenza religiosa, il castello si andava quindi
configurando come organismo politico completo. Il modo in cui veniva esercitato il potere in
questo
signorie sorte più o meno abusivamente viene espresso come allodalizzazione del potere in quanto
era gestito alla stregua di un bene privato. Il castello assunse due realtà diverse ovvero il castello
propriamente detto configurato come struttura abitata dal castellano in cui gli abitanti del villaggio
circostante vi si rifugiavano solo in caso di pericolo, ed il villaggio fortificato circondato da mura
all'interno delle quali il signore si faceva costruire una residenza fortificata. Inoltre si venne
ristrutturando nuovamente la rete viaria dato che la popolazione veniva contraendosi nei centri
fortificati. Si andò riorganizzando per lo stesso motivo il territorio amministrato dalla chiesa che
venne a coincidere con il territorio del castello. Il X secolo fu un secolo di ferro in quanto ci fu in
questo periodo un'estrema frantumazione del potere dato che le signorie locali si trovarono in
conflitto per stabilire chi avrebbe dovuto far valere la propria autorità sui contadini appartenenti a
corti diverse ma che trovavano protezione nelle fortificazioni di un altro signore. Il vassallaggio
aveva assunto ruoli completamente diversi in quanto da ricompensa che aveva un carattere di
impegno futuro il feudo aveva ora carattere decisivo. Anche la fedeltà assumeva ora una
commisurazione in base al feudo. Veniva rafforzata la tendenza a considerare in feudo un bene
ereditario anche attraverso la promulgazione di leggi apposite. Questa tendenza portò alla
formazione di una vasta rete politica in cui ognuno era vassallo di qualcuno e signore di
qualcun' altro fino al vertice della piramide che era rappresentata dal re. La dissoluzione
dell'impero
carolingio causò oltre alla crisi del potere politico anche la crisi di quello ecclesiastico. In non poche
diocesi i vescovi dedicarono più tempo all'esercizio dei loro poteri signorili piuttosto che all'attività
religiosa, inoltre offrivano in feudo proprietà della chiesa in cambio di servigi di natura militare.
Inoltre il potere religioso si trovò in contrasto con la natura laica del patrimonio in quanto i
proprietari delle chiese imponevano il chierico al vescovo che poteva opporsi solo in caso di
manifesta indegnità del candidato. Diventando praticamente indispensabile il sostegno delle
istituzioni ecclesiastiche nelle vite di imperatori e sovrani essi cominciarono ad imporre i loro
vescovi alla guida delle rispettive diocesi e di grandi monasteri. Al controllo dei laici non si
sottraevano nemmeno i vertici della cristianità in quanto con la constitutio romana il papa doveva
prestare giuramento di fedeltà all'autorità imperiale.
Capitolo 9: l'Italia tra poteri locali e potestà universali
Nel X secolo l'Italia si configurava in maniera particolare, su di essa trovavano scontro le
concezioni politiche universali e particolaristiche in quanto era sede dell'influenza di due imperi,
quello franco e quello bizantino. Il problema principale per queste lotte era la presenza del papato
che pur essendo presente nel Lazio ed Umbira rivendicava la supremazia universale ed un proprio
ambito politico. Il regno d'Italia era stato attribuito nell'887 a Berengario contro cui due anni dopo
si
levò Guido che lo sconfisse ottenendo cosi la corona di imperatore che passò alla morte di Guido al
figlio Lamberto. Per favorire Berengario intervenne il re di Germania Arnolfo il quale attraverso
papa Formoso fu riconosciuto re dai feudatari italiani e venne incoronato imperatore nel 894.
Arnolfo verrà colto da una paralisi subito dopo l'incoronazione lasciando così campo libero a
Lamberto che comunque scomparirà nel 898. Berengario cercò anche di porre un freno
all'invasione
ungara ma dopo essere stato sconfitto in battaglia la sua posizione si indebolì finché non gli si
contrappose Ludovico di provenza anch'egli incoronato imperatore. Berengario riuscì a sconfiggere
Ludovico nel 905 e nel 915 dopo aver cacciato i saraceni ed aver reso sicura Roma venne sconfitto
dal nuovo erede al trono Rodolfo di Borgogna. Rodolfo però tenne il trono solo per due anni dopo
infatti lo cedette ad Ugo di Provenza che lo tenne ininterrottamente fino al 946. La sua volontà di
dare contenuto effettivo al titolo di re d'Italia provocò i malumori della feudalità italiana che
attraverso il re di Germania Ottone I contrappose ad Ugo il marchese di Ivrea Berengario. Ugo fu
sconfitto e nel 950 scomparso Lotario, Berengario di Ivrea poté cingere la corona. L'anno dopo
iniziarono le prima difficoltà in quanto la vedova di Lotario (figlio di Ugo) Adelaide, chiese aiuto al
re di Germania il quale sposò Adelaide stessa e scese in Italia facendo atto di sottomissione alla
feudalità insieme a Berengario di Ivrea che conservò il regno in qualità di vassallo. Berengario però
approfittò della lontananza di Ottone per ritrovare indipendenza ed espandere i propri domini in
Italia centrale ai danni dei territori della chiesa. Il pontefice Giovanni XII chiese aiuto ad Ottone che
scese in Italia nuovamente facendo prigioniero Berengario e cingendo poi egli stesso la corona
regia
su quella imperiale. Con la deposizione di Carlo il grosso la chiesa vide il proprio ruolo all'interno
della cristianità indebolirsi, essendo anche sul piano interno in balia dell'aristocrazia romana che
divenne arbitra dell'elezione papale e si rese protagonista di usurpazioni nel territorio della chiesa.
Sul soglio pontificio si succedevano vari pontefici in sequenza sempre più rapida facendo perdere
sempre più dignità al ruolo del pontefice, Roma venne scossa da una rivolta contro Ugo di
Provenza che tentò di farsi incoronare imperatore da Giovanni XI. La rivolta venne promossa dal
fratello del pontefice, il quale governò su Roma fino al 955 quando salì al soglio pontificio Giovanni
XII appena sedicenne che poi incoronò imperatore Ottone I di Sassonia. Come per Carlo Magno la
corona imperiale rappresentava per Ottone il coronamento di una lunga attività politica condotta a
partire dal 936. Ottone operò per rendere la sua autorità effettiva in tutti e cinque i suoi ducati in
modo da sviluppare in Germania una coscienza nazionale. Ottenne anche un regolare appoggio dai
vescovi che coinvolse appieno nel governo di realtà territoriali. L'opera di riforma attuata in
Germania dalla chiesa tedesca venne supportata da Ottone il quale sceglieva personalmente i
vescovi. Questa manovra rese in Germania il fenomeno di decadenza dei costumi nell'ambito
ecclesiastico meno grave rispetto al resto dell'Europa. Veniva inoltre incoraggiata la ripresa degli
studi presso le grandi abbazie. Come apice di questa attività Ottone ricevette la corona imperiale
nel 962. L'impero ottoniano rispetto all'impero carolingio ha in comune l'ispirazione di romanità ed
il ruolo di protezione del papato e della cristianità. Ottone si attribuì il diritto di giudicare il
candidato eletto prima della consacrazione a pontefice per poter garantire la correttezza
dell'elezione (privilegium othonis) nel 962 in Italia successivamente trascorse sei anni nei quali si
dedicò alla conquista dei territori meridionali dopo aver fatto incoronare imperatore il figlio Ottone
II. Nel 968 subi una grave sconfitta a Bari e quindi decise di abbandonare la via delle armi per
intraprendere quella diplomatica. L'imperatore bizantino Giovanni Zimisce riconobbe ad Ottone il
titolo di imperatore e nel 972 acconsenti al matrimonio tra Ottone II e la figlia Teofane, che
avrebbe dovuto portare in dote le terre meridionali. Alla morte di Ottone I il passaggio di poteri al
figlio fu tutt'altro che facile in quanto sia la nobiltà germanica che la nobiltà italiana era poco
incline a vedere bene il re in stabile residenza in Italia. L'aristocrazia romana assassinò il pontefice
Bonifacio VII. Nel 980
Ottone II preparò una campagna per le terre meridionali ma venne sconfitto e poi morì
prematuramente lasciando come erede il figlio Ottone III. Uscito dalla tutela il suo primo atto di
governo fu la nomina a pontefice di Gregorio V e del suo successore Silvestro II. L'imperatore si
proponeva di collaborare a stretto contatto con il pontefice, questo entusiasmo si scontrò con lo
scontento dei feudatari i quali insorsero nel 999 capeggiati da Arduino d'Ivrea, scoppiò due anni
dopo anche un'altra rivolta, quella dei romani (1001). Ottone III morì nel 1002 senza lasciare eredi
diretti. Gli successe Enrico II che concentrò tutti i suoi sforzi sulla germania e sulle riforme per
impedire il degrado dei costumi nell'ambiente clericale. Arduino intanto si era fatto nominare re
d'Italia a Pavia nel 1002. Erico II nel 1004 scese in italia per ripristinare il potere regio, sconfisse
Arduino finché non lo costrinse al ritiro dopo dieci anni di lotte armate. Nel 1014 Enrico II fu
incoronato imperatore da papa Benedetto VIII proveniente dell'aristocrazia romana. A lui successe
Giovanni XIX sempre della stessa famiglia. Questo mostra quanto fosse difficile per gli imperatori di
Germania rendere effettivo il loro potere in Italia. Altra pecca dell'Italia era la mancata formazione
di una coscienza nazionale, la mancata formazione di questa coscienza è da ricercare
particolarmente nei soggetti politici che si creavano nelle maggiori città, specie quelle di residenza
dei vescovi i quali si erano dovuti sempre interfacciare con l'autorità cittadina anche nella parte
meridionale dell'Italia si poté assistere allo sviluppo di una coscienza urbana all'interno delle grandi
città.
Capitolo 10: splendore e declino di Bisanzio
Alla fine del VIII secolo l'impero bizantino risultava particolarmente ridimensionato a causa delle
continue invasioni da parte di arabi, magiari e bulgari. L'impero ebbe però la forza di contrattaccare
verso la metà del IX secolo recuperando parte dei territori perduti. Gli imperatori si adoperarono
per
favorire lo stanziamento dei soldati sul territorio (stratioti) e favorirono anche il formarsi di una
"piccola borghesia"di contadini che vivevano in comunità di villaggio costituendo così un
organismo amministrativo per il pagamento delle tasse. La fisionomia dell'impero intanto si andava
modificando in quanto l'impero era chiuso nelle sue frontiere essendo in seguito costretto ad
abbandonare le pretese di dominio universale, acquisendo poi caratteri più orientali. Il latino
venne
sostituito dal greco ed anche il titolo imperiale venne modificato in basileus. Le città della costa
comunque non abbandonarono il commercio ed il ricorso alle milizie locali per la difesa delle
stesse
anche se l'impero tendeva a concentrare il potere nelle mani dei funzionari pubblici. Questa
orientalizzazione dell'impero costituì la premessa per la comprensione dello scontro che si venne
creando contro il movimento iconoclasta. Il culto delle immagini era sempre stato malvisto dalle
provincie più orientali dell'impero, le quali erano le più influenzate dai culti islamici ed ebraici che
condannavano l'idolatria. Quando salì al trono Leone III il movimento raggiunse la corte. Egli con
un decreto del 726 proibì il culto delle immagini. Il papa Gregorio III nel 731 scomunicò
l'imperatore e i suoi sostenitori, questo decreto ebbe come risultato anche la riduzione del potere
dei monaci. Con l'avvento al trono di Costantino VI la situazione si fece più complicata, specie
quando a detenere il potere fu la madre Irene, che, sembrò intenzionata ad abbandonare la
precedente politica in quanto venne nominato patriarca di Costantinopoli un iconodulo. Tre anni
dopo il VII concilio di Nicea (787) condannò l'iconoclasmo come eresia. La reggenza di Irene
tuttavia provocò dei malumori in occidente in quanto non era riconosciuta dal papato e questo
provocò il considerare il trono d'oriente come vacante. Carlo Magno una volta incoronato
imperatore era desideroso di intraprendere relazioni diplomatiche con l'impero bizantino ma
dovette aspettare fino all'812 per vedere riconosciuto il suo titolo dall'imperatore Michele I. Con
Leone V si ebbe il ritorno al potere della corrente iconoclasta. La contesa verrà poi risolta da
Michele III nell'843 quando verrà riabilitata la liceità del culto delle immagini. Intanto il pericolo
arabo si era di molto ridotto, lo stabilizzarsi della situazione portò alla rinascita dei grandi poderi
fondiari senza tutelare gli interessi dei piccoli proprietari. Il problema verrà arginato alla fine del X
secolo con l'introduzione di leggi atte a favorire le piccole proprietà. Queste norme però
rallentarono soltanto il meccanismo di impoverimento dei cittadini di ceto basso e dei contadini
che tendevano a porsi sotto la protezione di un signore. Questi episodi però non possono essere
catalogati come una forma di feudalesimo bizantino in quanto lo stato risultava sempre presente a
differenza di quanto avveniva nelle campagne europee. In occidente si sviluppò un grande
rapporto tra potere imperiale e patriarcato in quanto l'imperatore era considerato il diretto
rappresentante di Dio in terra. La compenetrazione tra i due poteri avvenne sempre all'insegna
dell'egemonia imperiale. Al rafforzamento dell'autorità imperiale contribuirono anche i successi
militari della seconda metà del X secolo. Il controllo completo sull'area balcanica venne riportato
da Basilio II nel 1014.
La cristianizzazione delle popolazioni slave e delle popolazioni bulgare era sempre avvenuta in
contrasto con la chiesa di roma che tentava di ampliare la propria area di influenza attraverso i
missionari. Il contrasto esplose quando la chiesa bulgara tentò di mantenersi del tutto autonoma. Il
patriarcato era allora occupato da Fozio che era stato nominato dall'imperatore e non era
riconosciuto dal papa. Dopo un violento scambio di missive nell'867 Fozio scomunicò il pontefice.
La questione venne accantonata dopo la deposizione di Fozio decisa dal concilio di Costantinopoli
che decise inoltre di sottomettere la chiesa bulgara a quella di roma. Ad abbassare la tensione tra
la
chiesa di Roma e quella di Costantinopoli contribuì la crisi del papato del X secolo. La situzioane
precipitò nel 1049 quando il papa Leone IX rivendicò il primato della sede romana nella chiesa
universale. A Costantinopoli era patriarca Michele Cerulario, fiero oppositore del primato papale. Il
patriarca ordinò nel 1053 la chiusura di tutte le chiese di rito latino. L’imperatore Costantino X era
interessato a trovare un compromesso perciò fu inviata da Roma una delegazione che però fallì la
missione di mediazione il 15 luglio del 1054 quando entrambe le parti scomunicarono i rispettivi
vertici. Lo scisma non fu sentito in maniera traumatica specialmente perchè la chiesa di Roma e
quella bizantina andavano sempre di più diversificandosi già da tempo ed in maniera naturale.
L’elemento che più pesò fu l’orientamento fortemente monarchico che assunse il papato tra l’XI ed
il XII secolo per cui, i teologi bizantini sostennero che fosse la chiesa di Roma ad allontanarsi
dall’ortodossia dei primi concili ecumenici. I successi dell’impero avevano portato alla ripresa delle
attività commerciali e la moneta bizantina risultava forte nei mercati internazionali, le città erano
anche sede di un’intensa attività culturale ed artistica che vide in primo piano gli imperatori stessi.
L’opera culturale raggiunse il suo apice nell’XI secolo. Quando la civiltà bizantina aveva raggiunto il
suo massimo splendore si stagliavano all’orizzonte i segnali di un rapido declino: con la fine della
dinastia macedone esplosero vari scontri per il potere tra l’alta burocrazia e i proprietari fondiari,
sul fronte esterno era salito il livello di minaccia che rappresentavano i turchi che dopo aver
conquistato Baghdad si volsero all’occidente ed all’Egitto. Alla fine dell’XI secolo il pericolo
maggiore venne però dai normanni dell’Italia meridionale che cacciarono i bizantini dall’Italia ed
invasero l’Albania puntando alla conquista di Costantinopoli. L’imperatore Alessio Comneno chiese
aiuto a venezia per sconfiggere i normanni concedendo ai veneziani di poter commerciare con
tutte le città dell’impero senza dover pagare i dazi che gravavano invece sugli operatori locali. I
veneziani divennero in breve tempo padroni dell’economia bizantina. L’impero nel corso del XII
secolo si andava configurando come un’appendice di Venezia in quanto la pressione fiscale e la
svalutazione della moneta si fecero sempre più gravi.
Capitolo 11: incremento demografico e progressi dell'agricoltura nei secolo XI – XIII
All’inizio dell’anno mille la popolazione europea era di nuovo in aumento, ovunque era in atto una
messa a frutto maggiore delle terre agricole e le città riprendevano il loro ruolo di sedi per gli
scambi commerciali, vi era inoltre un aumento della durata media della vita. L’unico paese che
possiede un documento attestante l’aumento della popolazione risulta l’Inghilterra attraverso il
domesday book. Un altro fenomeno di grandi dimensioni che coinvolse l’Europa fu l’ampliamento
dello spazio coltivato. In questo periodo si ebbe il sorgere delle cosiddette villenuove, ovvero
villaggi di nuova fondazione creati per valorizzare zone disabitate. Nel corso del XII secolo vennero
fondati nuovi ordini monastici che desiderosi di riscoprire lo stile di vita monastico si stabilirono
spesso in zone scarsamente popolate; intorno a loro però si stabilivano molto spesso contadini
desiderosi di vivere secondo la saggia guida dei monaci creando così intorno ai monasteri dei veri e
propri insediamenti. Una delle opere di bonifica più massive è da ricercare nei paesi bassi, i coloni
con la costruzione di dighe e di canali di drenaggio riuscirono a bonificare quelle terre ed a
renderle
anche molto produttive dato l’aumento della popolazione in quella zona. In Spagna il
ripopolamento
fu strettamente legato alla riconquista dei territori da parte dei cristiani. In Europa centrale i vari
signori spinti sia dalla crescita demografica sia dal desiderio di ampliare i propri domini iniziarono
a far varcare i confini delle loro signorie dai coloni per espandersi nei territori che furono la culla
dei popoli emigrati nei secoli precedenti. Le genti di queste terre vennero convertite, furono
costruiti monasteri per sradicare ogni forma di paganesimo. L’origine della spinta coloniale è
certamente da ricercare nell’incremento demografico nelle terre già coltivate, i signori delle terre
degli emigranti infatti si trovavano costretti a patteggiare con le popolazioni locali le quali
riuscirono spesso a strappare ai loro signori diversi diritti. Le modifiche che incalzavano
nell’economia delle curtis modificarono le curtis stesse dove più dove meno, inoltre, a causa della
maggiore libertà di cui godevano i contadini si andarono delineando delle differenze nette. La
crescita demografica fu resa possibile grazie alle nuove tecniche agricole come l’uso dell’aratro
pesante che rese possibile arare più in profondità i terreni bonificati. Contribuì alla rinascita
agricola
anche il calo del prezzo del ferro causato dal maggior sfruttamento delle miniere. Il calo del prezzo
causò una maggiore costruzione di attrezzi agricoli. La ferratura dello zoccolo ed il nuovo sistema
di bardatura contribuirono ad un più largo uso del cavallo in campo agricolo anche se il cavallo
restava comunque un bene molto costoso. Venne introdotto il sistema di rotazione triennale che
riduceva la superficie improduttiva e rendeva le colture più varie fornendo anche il foraggio per il
mantenimento del cavallo. Il nuovo modello agricolo non si diffuse però i tutta Europa a causa
delle
diverse zone climatiche. Si delineò quindi un Europa del nord che utilizzava la rotazione triennale e
l’Europa mediterranea che utilizzava quella biennale e l’aratro leggero. L’agricoltura medievale
però non conseguì mai risultati brillanti a causa della scarsità di concime animale.

Capitolo 12: la ripresa del commercio e delle manifatture


Nonostante la ruralizzazione della popolazione non si era arrivati ad una interruzione dei traffici
poiché all’interno delle curtes e nei villaggi non era stato possibile produrre tutto ciò che era
necessario. Le popolazioni più attive erano quelle che si trovavano in punti di incontro tra aree
economiche diverse, c’è da aggiungere che in questo periodo gli ebrei svolsero un ruolo di
intermediari avendo un raggio d’azione intercontinentale. Gli scambi alto medievali comunque
riguardarono solamente cose poco ingombranti e principalmente beni di lusso. La situazione iniziò
a
cambiare nel X secolo a causa dell’aumento dei mercanti di professione e all’ampliarsi del
fenomeno delle fiere. In questa fase restarono comunque distinte due principali aree commerciali:
quella del nord Europa e quella del mediterraneo. Nell’area nordica sono individuabili un settore
atlantico ed un altro compreso tra il mar baltico e il mare del nord. Nel corso dei secoli XI-XII
crebbe il movimento all’interno delle aree e si attuò anche il collegamento tra l’area mediterranea
e l’area nordica. Questo successo fu determinato anche dalla pace mantenuta nei territori di
governanti locali. Nell’XI secolo si andarono delineando nuove posizioni di forza all’interno del
mondo della mercatura. I veneziani presero l’egemonia dei commerci garantendo anche il
collegamento tra Alessandria e Costantinopoli. Il collegamento con l’area mediterranea venne
perfezionandosi dalla seconda metà del XIII secolo con la creazione di nuove rotte marittime.
L’incremento della navigazione portò il mondo marittimo a progredire nell’arco di due-tre secoli. La
prima innovazione fu la bussola, seguita dalle carte nautiche e dalla costruzione di navi sempre più
grandi e manovrabili. Nonostante i progressi nel campo della navigazione i trasporti avvenivano
principalmente via terra e dato che per i mercanti era vantaggioso accorciare il percorso si venne
creando una fitta rete viaria e nei punti più battuti vennero addirittura create delle strutture per il
cambio dei cavalli. Le novità del commercio dell’anno mille sono costituite dal fatto che non più gli
articoli di lusso venivano importati e commerciati bensì qualsiasi tipo di merce veniva trasportata.
Contrasti scoppiarono per i dazi sull’esportazione del grano e per l’egemonia della produzione del
sale. Venivano importati ed esportati i materiali necessari al funzionamento dell’industria tessile.
Una merce erano anche gli schiavi, venduti e comprati in tutta Europa. Tutti i prodotti in circolo
avevano aree di produzione ben definite per rendere famosa la zona che produceva una
determinata merce. Artefice dell’integrazione tra aree diverse per specializzazione e produttività fu
senz’altro il mercante. Il mercante fu una figura molto importante in questo periodo, non si
trattava infatti di un avventuriero nonostante l’attività commerciale continuasse a comportare
parecchi rischi, anche se gli scambi in denaro erano largamente sostituiti dalle lettere di cambio
che riducevamo di molto l’uso della moneta. Ben presto vennero ridotti i rischi per la navigazione
attraverso l’istituzione di convogli gestiti dallo stato. Si vennero a formare anche società dette
“commenda” le quali erano una sorta di società per azioni medievali che però venivano costituite
in previsione di un solo viaggio. Successivamente si arrivò alle “societas maris” che venivano
costituite per un determinato periodo di tempo. Queste società col tempo acquisirono la funzione
di vere e proprie banche. Con lo
sviluppo dei commerci infatti fu necessario riformare il sistema monetario carolingio fatto di
monete d’argento, Federico II nel 1231 fece coniare l’augustale; le monete in oro risultarono
necessarie per poter essere accettate in ambito internazionale dopo la decadenza delle monete
arabe
e bizantine. Il commercio a livello locale e internazionale era basato oltre che sulle derrate
alimentari anche sui prodotti dell’artigianato e dell’industria tessile entrambi fortemente legati
all’ambiente urbano. Il settore di punta dell’industria medievale è rappresentato dall’industria
tessile
e dall’industria metallurgica, molto fiorente per la produzione di armi e attrezzi. Successivamente si
venne formando anche un settore nuovo rappresentato dalle cartiere, necessarie per la
produzione
della carta. Nel contempo si distinsero anche vari artigiani specializzati. In genere l’unità produttiva
di base era rappresentata dalla bottega di solito a gestione famigliare a cui si affiancavano degli
apprendisti o dei salariati. In questo contesto videro la nascita le corporazioni il cui obiettivo, era
quello di tutelare i propri membri e i loro interessi a tutti i livelli.

Capitolo 13: lo sviluppo dei centri urbani e le origini della borghesia


Le città furono a partire dall'XI secolo una componente fondamentale della storia europea, anche
se
conto. L'urbanizzazione in Europa non era avvenuta in maniera uniforme quindi nelle aree
marginali dell'ex impero romano le città scomparvero del tutto e nelle aree interne persero di
importanza o vennero abbandonate. La sopravvivenza di molti centri urbani dipese dalla presenza
del vescovo, che faceva mantenere al centro cittadino una certa importanza. Nell'Italia meridionale
la situazione era assai diversa; le città, pur risentendo della crisi demografica dei secoli precedenti
erano inserite in un contesto commerciale più ampio ed erano quindi popolate dai ceti artigiani e
produttivi. Diversa era invece la situazione nell'Italia centro-settentrionale dove le città come
Venezia, Pisa e Genova erano proiettate verso il futuro al livello politico e sociale. Diventeranno
queste le potenze marinare in Italia pronte anche a delle relazioni commerciali con l'oriente. In
questo contesto ebbero un ruolo importante i vescovi i quali sempre più spesso assumevano poteri
paragonabili a quelli dei funzionari pubblici specialmente a partire dal X secolo. La funzione
temporale delle curie vescovili contribuì al ritorno della nobiltà nelle città, che a sua volta contribuì
al ritorno di una componente produttiva e dei vassalli. Nel corso dei secoli X – XI le comunità
cittadine si resero conto del loro potere esautorando del tutto il vescovo. Comunque anche in
questa fase rimase evidente che il ceto dirigente era formato dalla classe mercantile. La rinascita
urbana coinvolse anche la Francia meridionale e la Germania, in queste regioni più che altro si
assistette alla fondazione di nuove città. I modi in cui questo avvenne furono fondamentalmente
due: O un signore fondava un centro fortificato nei pressi di una zona di mercato o un gruppo di
mercanti creava un proprio insediamento nei pressi di un castello o di un'abazia. Questi nuovi
insediamenti presero il nome di borghi. Le città del nord della Germania all'inizio del trecento
fondarono una lega mercantile denominata Lega Anseatica. Il reticolato urbano si presentava
sempre più largo mano a mano che ci si spostava verso est. In Inghilterra la dominazione romana
non aveva lasciato insediamenti di tipo urbano per cui si dovette aspettare il XIII secolo per
assistere ad opere di urbanizzazione. Le città intorno al trecento erano rappresentate da vari casi in
cui raggiungevano una popolazione di 100.000 abitanti, poi venivano le grandi città che si
aggiravano intorno ad una popolazione di 50.000 unità; più numerose erano le città medie tra 15 e
30mila abitanti. Una crescita cosi massiccia delle città non è imputabile solo all'aumento della
popolazione ma anche alla massiccia ondata migratoria proveniente dalle campagne. Tale ondata
era provocata dalle nuove opportunità che le città offrivano. La popolazione urbana assunse un
nuovo status giuridico in quanto non era soggetta ai vari signori feudali delle campagne, era anche
diverso il tipo di lavoro che i cittadini svolgevano rispetto al lavoro di campagna. Si veniva
delineando una società più ricca ed articolata nella quale le persone che si occupavano del lavoro
della terra e della preghiera erano la maggior parte della popolazione ma nella quale coloro che
erano impiegati nel credito e nel commercio venivano ad occupare un ruolo di crescente
importanza. Prese così vita la società tripartita, che durerà fino alla rivoluzione francese. Era
composta da oratores (ecclesiastici) bellatores (combattenti) laboratores (rustici). Le città
manifestarono una tendenza autononistica tra il XI e il XII secolo, in alcuni casi fu totale mentre in
altri l'autonomia fu solo amministrativa e non politica. Nella Francia del nord si assistette alla
nascita dei comuni per iniziativa dei cittadini sotto la guida di personaggi eminenti. I cittadini
prestavano giuramento di pace per mantenere la concordia nella città e per limitare gli arbitri dei
signori, poi si avviavano trattative con i signori per avere la concessione di una carta di comune nel
caso in cui le trattative non fossero andate a buon fine non si faceva di solito attendere molto una
rivolta armata. Il signore in alcuni casi concedeva la carta di comune a patto che la città
mantenesse dei funzionari a lui fedeli.
Capitolo 14: il rinnovamento della chiesa e la riforma religiosa
A seguito della crisi delle istituzioni politiche e religiose l'ordinamento ecclesiastico si era trovato
privo del potere politico e non riusciva a fermare le ingerenze dei laici all'interno delle nomine
pontefice e cardinalizie, non riusciva inoltre a sopperire al livello culturale dei monaci e chierici che
continuavano a sottrarre i beni della chiesa per trasmetterli ai propri vassalli od alle proprie
famiglie. Gli aspetti della crisi del X secolo erano collegati tra loro in quanto i metodi clientelari
con i quali venivano reclutati davano origine alla corruzione e all'ignoranza. Era molto comune
specie nell'Italia meridionale che i chierici vivessero in concubinato e che indirettamente
trasmettessero ai loro figli illegittimi delle proprietà ecclesiastiche. Il fatto che agli uomini di chiesa
venisse concessa un'importanza elevata comportava che le loro manchevolezze venissero
percepite
come più gravi; ma il fatto che la chiesa disponesse di un vario arsenale culturale diede il via ad un
massiccio movimento riformatore. I primi segni di cambiamento si ebbero nei monasteri, nei quali
era sempre stato attivo un movimento di riflessione teologico che portò già nel X secolo alla
sperimentazione di nuove forme di vita monastica. L'esperienza più fruttuosa fu quella del
monastero di Cluny in cui l'abate coordinava un certo numero di monasteri nella zona ed era
soggetto direttamente all'autorità papale senza passare dal vescovo, garantendo quindi all'abate
una
certa autonomia; vennero aboliti i lavori manuali per lasciare più spazio ai monaci per la preghiera
e le funzioni liturgiche. Un costume caratteristico della prima età cristiana tornò in voga nel X
secolo e nel mille, l'eremetismo, questo fenomeno diede vita alla fondazione addirittura di ordini
monastici basati sull'eremetismo, come i certosini. Alcuni di questi ordini poi si evolveranno negli
ordini mendicanti. Un'altra componente della riforma fu il ripristino delle comunità canonicali,
dimenticate dopo Ludovico Il Pio, nel X-XI secolo ci fu un cambio di tendenza, tra l'altro la
promozione della vita comune del clero era prova dell'adesione del vescovo al movimento
riformatore. Dall'XI secolo si poté parlare di un vero e proprio movimento canonicale. Le comunità
canonicali o canoniche regolari non sono da confondere con le comunità monastiche in quanto i
monaci non erano chierici. Prenderanno abitualmente i voti dal XII secolo. Il clero simoniaco e
concubinario era sempre più criticato sia dai laici sia da alcuni predicatori itineranti che
predicavano
di rifiutare i sacramenti da loro amministrati. Questi contestatori furono detti paratini ed andarono
incontro alla scomunica. I costumi corrotti vennero criticati anche dai movimenti popolari. Per
riformare totalmente la chiesa era necessario che il movimento di riforma avesse un coordinatore,
questo ruolo venne preso in un primo tempo dal potere politico, prima di passare nelle mani del
papato. Imperatori come Enrico III cercarono di ridurre il potere dei vescovi corrotti per poi volgere
l'attenzione nel 1046 alla chiesa di Roma che a causa del contrasto tra famiglie romane aveva in se
ben tre papi, Enrico III li depose tutti e fece eleggere il suo candidato che prese il nome di
Clemente
II. Il nuovo papa dichiarò decaduti gli ecclesiastici colpevoli di simonia. Nello stesso tempo tra gli
intellettuali riformatori si sviluppò il pensiero che per riformare completamente i costumi della
chiesa era necessario interrompere le ingerenze dei laici negli affari della chiesa. Il nuovo papa
Leone IX riunendo intorno a se i maggiori esponenti del mondo riformatore proclamò più volte una
condanna per la simonia. Una battuta d'arresto alla sua attività riformatrice fu causata dallo
scontro
con i normanni. Il pontefice nel 1053 mosse contro di loro guidando personalmente l'esercito,
venne
sconfitto e fu trattenuto come prigioniero per quasi un anno. Dopo la stipula di un'intesa con i
normanni il papato riconobbe le loro conquiste in cambio di un appoggio politico e militare. Il
potere pontificio comunque si andava via via separando dal potere imperiale e alla morte di Enrico
III nel 1056 si verificarono diverse defezioni dei vescovi che non volevano adeguarsi alle nuove
regole. Il gruppo riformatore alla morte di Enrico III si trovava con due posizioni prevalenti al suo
interno: il primo era più rigoroso e richiedeva una condanna più radicale della simonia compreso
l'annullamento di tutti gli atti effettuati dai simoniaci mentre l'altra, sosteneva che una soluzione
così rigorosa fosse impossibile da attuare per motivi sia politici sia pratici. La seconda tesi
sosteneva infatti che la chiesa non doveva separarsi dall'impero ma dovevano essere ridefiniti i
rispettivi ruoli. Intanto il papato approfittando della minore età di Enrico IV attuò nuove riforme di
carattere amministrativo e organizzativo. Il pontefice Niccolò II nominò il più forte capo normanno
vassallo della chiesa di Roma, convocò poi un concilio in laterano nel quale modificò il sistema di
elezione papale, fu rinnovato l'obbligo del celibato per il clero e fu proibito al clero di ricevere
chiese dai laici, anche a titolo gratuito. Nei due successivi concili vennero stabiliti dei
provvedimenti definitivi nei confronti dei vescovi simoniaci, i vescovi vennero dichiarati decaduti
ma le ordinazioni da loro fatte vennero ritenute valide. In futuro anche questi atti saranno
annullati.
Enrico IV nel 1066 uscito dalla giovinezza si accorse subito che con le nuove riforme stava venendo
escluso dal controllo delle sedi vescovili ma nel primo periodo del suo regno fu impegnato a sedare
una rivolta in Sassonia. Nel frattempo saliva al trono pontificio Gregorio VII grande punta dello
schieramento riformatore. Gregorio rivendicò il primato di Roma sul governo della santa romana
chiesa. Ne scaturì una spaccatura che fini col rimescolare le forze. Dalla parte dell'imperatore
vennero a trovarsi non solo i vescovi contrari alla riforma ma anche gli ecclesiastici contrari alla
concezione gregoriana del primato papale. A versare benzina sul fuoco contribui il testo papale
(dictatus papae) nel quale il pontefice si impossessava del diritto di estendere la propria
giurisdizione temporale attribuendosi la facoltà di deporre oltre che i vescovi anche l'imperatore.
Prendeva cosi corpo l'idea di una monarchia incentrata sul pontefice al quale avrebbero dovuto far
capo tutti i poteri, spirituali e temporali. Enrico IV era deciso a non accettare una concezione del
genere per questo scaturì un lungo conflitto chiamato lotta per le investiture. Si mosse per primo il
pontefice il quale attraverso il concilio emanò un decreto nel quale vietava ai laici di concedere
l'investitura di vescovadi e abazie. Enrico IV a sua volta convocò un'assemblea di nobili ed
ecclesiasti a lui fedeli che deposero e scomunicarono il pontefice. Il papa a sua volta depose e
scomunicò l'imperatore sciogliendo i fedeli dal giuramento di fedeltà. L'imperatore che aveva
appena domato un'insurrezione da parte dell'aristocrazia tedesca si rese subito conto di quanto
fosse
pericolosa la situazione. I nobili rivoltosi gli imposero di sottomettersi al giudizio del papa il quale si
diresse verso Canossa in attesa della scorta promessa dai principi ribelli tedeschi. Qui venne
raggiunto da Enrico IV che attese tre giorni e tre notti chiedendo perdono al pontefice che ottenne
nel 1077. L'imperatore potè cosi riprendere l'iniziativa ma i nobili tedeschi non desistettero e nello
stesso anno convocarono una nuova assemblea dove elessero re Rodolfo di Svevia che però non
riuscì ad imporsi. Enrico dopo aver sbaragliato gli oppositori si volse contro il papa che nel 1080 gli
rinnovò la scomunica. Enrico quindi convocò due concili: nel primo fece deporre il papa e nel
secondo fece eleggere pontefice Gilberto di Ravenna. Si diresse poi verso Roma dove giunse nel
1081 mettendo la città sotto assedio. Roma cadde nel 1084 e Giberto venne consacrato papa col
nome di Clemente III, dopo essere stato consacrato incoronò imperatore Enrico IV. Nel 1088 salì al
soglio pontificio Urbano II che a differenza di Gregorio VII si concentrò sulla costituzione di
canoniche regolari più che di monasteri, andando cosi ad assumere un orientamento episcopalista.
Questo orientamento diede i suoi frutti, infatti molti vescovi fedeli all'antipapa Clemente III lo
abbandonarono. Negli anni successivi il papa cercò di chiamare a raccolta tutte le forze possibili,
Urbano II acquisto quindi l'iniziativa isolando in maniera sempre più grave sia Clemente III che
Enrico IV. Il successore di Urbano, Pasquale II seguì una politica rigorista cercando ad un certo
punto, col consenso del nuovo imperatore Enrico V di far rinunciare la chiesa ai suoi beni terreni,
nel 1111 venne raggiunto un accordo in tal senso ma nel giro di pochi giorni a causa delle forti
opposizioni da ambo le parti un concilio sconfessò il papa che ormai in balia dell'imperatore fu
costretto ad incoronarlo e a concedergli la facoltà di consacrare i vescovi. L'anno successivo un
nuovo concilio annullò la concessione e nel 1116 scomunicò l'imperatore. Venne partorito perciò
un
concordato nato su una concezione che da tempo veniva discussa, ovvero che i vescovi fossero
nominati dal papa ma che l'imperatore avesse dovuto investire i vescovi delle varie autorità
politiche. Per cui venne stipulato nel 1122 tra l'imperatore Enrico V e il pontefice Callisto II il
concordato di Worms. Il concordato venne ratificato l'anno successivo dal primo concilio
ecumenico tenutosi in occidente, il concilio del Laterano, nel quale venne formalizzato il primato di
Roma all'interno della cristianità. Venne anche ribadita l'esclusione dei laici da ogni ingerenza nei
confronti del clero. Nel 1139 il concilio riservò capitoli specifici per l'elezione dei vescovi.
Tutto questo portò ad un potenziamento dell'apparato burocratico dell'amministrazione vaticana,
iniziarono a fluire rendite sia dai patrimoni fondiari che dalle tasse pagate dagli stati vassalli, oltre
che le rendite ottenute tramite l'obolo di san Pietro, ovvero pagate da quei sovrani che avevano
ottenuto la corona dal pontefice. La legazione divenne un'importante strumento di governo nello
stato pontificio, i legati inizialmente inviati temporaneamente presso un sovrano per un motivo
particolare in seguito sostituiti od affiancati con legati permanenti, il cui potere venne sempre più
ampliato fino a che i legati divennero veri e propri rappresentanti del papa a tutti gli effetti. Ben
presto la santa sede riuscì a diventare il punto di riferimento per tutta la politica europea che
portarono via via il papato alla ierocrazia.
Capitolo 15: rinascita culturale e nuove esperienze religiose
La crisi della dinastia carolingia che comunque aveva contribuito ad una rinascita culturale attuata
per elevare la cultura del clero, spostò il centro culturale dalla corte ai monasteri. La Germania
tentò
di continuare la tradizione ma nell'XI secolo i monasteri si erano aperti all'influenza francese. In
Italia meridionale il collegamento col mondo greco e con quello bizantino-arabo portava una vivace
attività culturale. In Italia settentrionale nello stesso periodo era in atto una rinascita del diritto
romano attraverso lo studio del corpus iuris civilis di Giustiniano. La Francia fu l'unica nazione in
cui la ripresa culturale riguardò tutti i settori. Il fenomeno di rinascita culturale venne accelerandosi
nel XII secolo, fino all'XI secolo infatti solo i grandi monasteri avevano svolto un ruolo culturale di
rilievo. A metà del XII secolo erano in piena fioritura i nuovi ordini religiosi che però contribuirono
solo in parte al progresso culturale in quanto il loro obiettivo era l'ascesi spirituale. Un ruolo
decisamente più importante spettò alle cattedrali che erano pienamente inserite nelle città allora
in
piena crescita. Le scuole nelle cattedrali erano gestite dai vescovi che conferivano ai maestri la
licenza per insegnare ma non rilasciavano alcun titolo riconosciuto. Nel XII secolo si assistè alla
nascita delle università che all'inizio si configurarono come una sorta di corporazione di studenti e
professori. Le università produssero programmi di studio, decisero i compensi da riservare ai
professori e le modalità per il sostegno degli esami ed il conseguimento della laurea. Le facoltà
erano quattro: arti, diritto, medicina e teologia. La facoltà di teologia però non era presente
ovunque
in quanto i vari papi cercarono di riservare il monopolio all'ateneo di Parigi. La nascita delle
università modificò radicalmente le condizioni di produzione dei libri, fino ad allora infatti erano
visti come beni di lusso. Il problema venne risolto dalle università che attraverso una commissione
approvava i testi che venivano forniti agli editori i quali si impegnavano a venderli a prezzi
accessibili. La lingua della cultura era sempre stata il latino che però la popolazione media non era
più in grado di comprendere. Tra i secoli XI e XII si asisstè alla diffusione di opere scritte in lingua
volgare nata dall'evoluzione del latino con le varie parlate locali. Grande prestigio in questo
periodo
lo acquistarono i notai che a causa del loro mestiere erano costretti a produrre atti in entrambe le
lingue. Altri protagonisti della vita cittadina erano i mercanti che avevano una
mentalitàdecisamente razionale. Con l'apertura a tutti delle scuole inoltre vi fu l'aumento delle
persone
alfabetizzate e l'immissione sul mercato di una nuova tipologia di opere dal costo assai basso. Nel
XII secolo si poté assistere ad una laicizzazione della cultura quando anche i laici erano diventati
fruitori di ospedali e confraternite. Si trattava di un fenomeno di massa, in questo periodo infatti vi
fu il proliferare di parecchie eresie. Per controllare questa stragrande formazione di ordini religiosi
la chiesa tentò di imporre loro la completa sottomissione ai vescovi. Grande clamore ebbe l'ordine
francescano che predicava uno stile di vita completamente nuovo molto differente rispetto a
quello
della chiesa dell'epoca. La chiesa comunque cercò di porre un freno agli ordini mendicanti in
quanto i francescani si erano diffusi ovunque in modo capillare.
Capitolo 16: rapporti feudali e processi di ricomposizione politico - territoriale
L'impero e l'Italia dei comuni. Il ritrovato dinamismo e fioritura culturale portò ben presto ad una
crescita demografica per la quale era necessario una grande opera di dissodamento. Per realizzarlo
era necessario superare il problema del particolarismo politico e del continuo stato di guerra. Una
prima risposta venne dato dalla fondazione del movimento della pace di dio per il quale i vescovi
organizzarono grandi assemblee nelle quali predicavano la protezione delle categorie più sensibili
puntando il dito contro i violatori della pace che di solito erano signori feudali proprietari di
castelli. Ben presto oltre a proteggere dalla guerra determinate categorie di persone ed i beni della
chiesa si arrivò a garantire una maggiore sicurezza proibendo qualsiasi attività bellica la domenica e
durante le feste religiose. L'intervento della chiesa per disciplinare il ceto dei cavalieri ovvero la
figura del combattente per l'ideale cristiano al servizio della chiesa, avvenne in un contesto di
divisione sociale tra oratores, bellatores e laboratores che raccoglieva diverse forzature. Però
effettivamente coloro che combattevano a cavallo si distinguevano nettamente da coloro che erano
disarmati (inermes), infatti i cavalieri stavano prendendo coscienza della propria particolare
condizione sociale e giuridica. Infatti i suoi membri godevano di vari privilegi: erano esenti dal
pagamento delle tasse per le terre possedute, erano sottratti alla giustizia dei signori e potevano
tramandare ereditariamente la loro condizione. Alla coesione di questo ceto contribuirono i nuovi
modelli di comportamento elaborati dagli ecclesiastici francesi i quali trasformarono l'investitura in
un rituale a carattere religioso. Nel corso del XII secolo il codice cavalleresco venne arricchito da
giovani cavalieri che predicavano una vita avventurosa e la ricerca di un generoso signore e di una
causa da servire. I cavalieri però erano sempre pronti ad affrontare qualsiasi impresa guerresca,
per questo si cercò di indirizzare la loro violenza al di fuori della cristianità. I vescovi comunque
ancora una volta sopperirono alla carenza di elementi politici che non erano in grado di mantenere
l'ordine nella società. Nell'XI secolo i rapporti feudo-vassallatici mutarono perdendo la loro
connotazione militare, trasformandosi in strumenti di governo e di coordinazione politica per il
controllo di aree più vaste. All'origine di questa trasformazione c'erano oltre al ritrovato
dinamismo della società anche il riconoscimento dell'ereditarietà del feudo e la nascita del diritto
feudale. Fu proprio il diritto feudale a creare il sistema feudale all'interno dello stato. Il feudo era
diventato un bene che una volta posseduto non poteva più essere sottratto a meno che il
feudatario non fosse stato riconosciuto colpevole di tradimento da un tribunale di suoi pari. Il
feudo veniva così assimilato all'allodio ovvero al bene di piena proprietà tanto più che i rapporti
con i signori nel corso del tempo si erano allentati. A causa della riscoperta del diritto romano e del
diritto canonico i giuristi arrivarono ad individuare lo stato come fonte del diritto rendendo quindi
illegale ogni forma di potere priva della legittimazione reale. Dato che la situazione feudale era
estremamente frammentata si ricorse all'espediente di donare al sovrano le proprie terre per
riceverle nuovamente in feudo legittimando in tal modo il potere del vassallo che parte sua
riceveva ben poco danno. Addirittura in Lombardia si trovavano dei feudatari esentati dal servizio
militare, il feudo quindi via via aveva perso anche il suo originario uso di clientela militare
diventando di fatto uno strumento usato da un sovrano per affermare la propria autorità su nuovi
territori e per consolidare il suo potere. Nel XII secolo quindi i giuristi delinearono una mappa che
dal vertice distribuiva poteri verso il basso fino ad arrivare ai ceti rurali. Il processo fu comunque
assai lento e differente a seconda dei paesi. In Italia le comunità cittadine non erano formate solo
da mercanti e artigiani ma anche dalla piccola e media nobiltà che non di rado possedeva diritti
giurisdizionali sui villaggi e le terre della campagna circostante. In città comunque le funzioni
pubbliche non erano amministrate tutte dal vescovo ma erano ripartite tra diversi organismi
politici: conte, vescovo, eventuali cattedrali o monasteri e la comunità cittadina che era sempre in
grado di far sentire la propria voce. Un quadro sociale così frammentato consentì comunque lo
sviluppo libero di forze sociali diverse ma non fu adeguato per disciplinare i contrasti che
inevitabilmente sorgevano. All'incremento naturale della popolazione poi si aggiungeva
l'immigrazione dei contadini e degli esponenti della nobiltà che si trasferivano in città per
incrementare il loro prestigio e la loro ricchezza. La lotta per le investiture fu il momento propizio
per lo sviluppo delle autonomie cittadine in quanto sia il papa che l'imperatore erano alla ricerca di
nuovi consensi da parte delle autorità locali in favore delle quali largheggiavano con i privilegi. A
Milano per esempio venne istituita nel 1097 una nuova magistratura detta collegiale che nel 1130
contava ben ventitré membri di cui 18 erano componenti dell'aristocrazia feudale ed a vario titolo
legati al vescovo, questo dimostra che gli esponenti dell'aristocrazia erano comunque il nucleo
forte della realtà comunale. I comuni consolari si svilupparono in diversi modi nelle varie città
italiane ma comunque nel periodo 1080-1120. L'iniziativa era sempre nelle mani del ceto
aristocratico tranne in alcuni casi in cui partecipò anche il ceto mercantile. Le famiglie consolari
infatti all'inizio non erano chiuse, come avverrà nel XII e XIII secolo quando ci fu una grossa
lievitazione del ceto dei mercanti. Gli organi di governo erano l'assemblea generale dei cittadini e il
collegio dei consoli a cui spettava il potere esecutivo. I consoli restavano in carica per brevi periodi
per evitare il proliferare di regimi personali. L'affermarsi del comune, che era si un'entità politica
nuova non avvenne in maniera rivoluzionaria in quanto i notabili già da tempo svolgevano funzioni
di governo per conto del vescovo. Per proiettare la propria influenza verso le campagne,
estendendo il controllo, il comune superò la barriera del particolarismo politico tipico dell'alto
medioevo, comunque, la politica di
sottomissione del contado si ebbe su finire del XII secolo. Facendo un passo indietro tornando a
parlare di Enrico V c'è da dire che anche lui non era riuscito ad assicurare alla sua dinastia la
successione al trono di Germania. Alla sua morte i principi di Germania ignorarono la sua decisione
di eleggere sovrano un membro della casa degli Hohenstaufen ed elessero Lotario di Supplinburgo,
alla morte di questi poi, invece di far salire al trono il genero elessero Corrado III. Si vennero così a
creare due schieramenti all'interno della nobiltà tedesca, i ghibellini e i guelfi. La situazione di
equilibrio creatasi tra di loro finì con l'indebolire ulteriormente il potere imperiale, già uscito
fortemente indebolito dallo scontro con il papato. La situazione iniziò a sbloccarsi nel 1152 quando
i principi elessero sovrano il duca di Svevia, Federico, che mostrò subito di voler ridare al potere
imperiale energia, indisse per l'anno seguente un'assemblea a Costanza alla quale parteciparono
anche i legati del pontefice Anastasio IV. In questa occasione Federico mostrò la volontà di far
collaborare alla pari il potere politico col potere spirituale ribadendo il suo diritto di elezione in
materia di vescovi. Nello stesso tempo assicurò di volere garantire la potenza ed il prestigio della
chiesa di Roma ricevendo la promessa di venire incoronato dal pontefice in persona imperatore di
Roma. A Costanza l'imperatore fu sommerso dalle richieste di città lombarde a causa della
minaccia dell'espansionismo dei milanesi. L'imperatore fu quindi costretto a volgere subito lo
sguardo all'Italia dove trovò una situazione decisamente diversa da quella tedesca a causa dello
sviluppo delle autonomia comunali che si arrogavano poteri di competenza del sovrano, anche al di
fuori del territorio urbano muovendo guerra anche ad altri sudditi dell'impero. Il programma di
Federico era articolato sui seguenti punti
•utilizzazione dei legami feudali sia in Germania che in Italia per disciplinare e coordinare
tutti i poteri signorili
•saldo governo delle terre direttamente dipendenti dalla corona
•rinnovato controllo sulla chiesa tedesca
•recupero degli juria regalia (diritti della corona)
Nel 1154 Federico era già in Lombardia dove indisse un'assemblea alla quale si presentarono gli
ambasciatori di Milano sperando di comprare con una grossa somma di denaro i loro diritti regi (la
città li esercitava da tempo) e la signoria su Como e lodi. Federico rifiutò l'offerta mettendo la città
al bando privandola di tutti i diritti. Non sentendosi in grado di imporre la propria volontà con la
forza si limitò a distruggere tortona nel 1155 dirigendosi poi verso Roma. Qui prima di cingere la
corona imperiale abbatté il regime comunale che contestava il potere temporale dei papi tornando
in
Germania nello stesso anno. Nel 1158 scese nuovamente in Italia alla testa di un grande esercito,
quindi convocò una seconda assemblea alla quale invitò quattro famosi giuristi con il compito di
indicare con precisione all'imperatore quali fossero i diritti regi. Stilarono una lista molto lunga che
fu inserita nella costituzione sulle regalie, c'è da dire che gran parte dei diritti che erano riservati
all'imperatore i comuni li esercitavano già da diverso tempo. L'imperatore si occupò anche dei
distretti pubblici dove rivendicò la dipendenza dal potere regio e ne proibì la divisione, per quanto
riguardava i beni allodiali nei quali era concesso l'esercizio delle signorie locali si stabilì che i
proprietari potevano continuare a detenerli a patto di ottenere il bene placido dell'imperatore
instaurando con lui un rapporto di tipo feudale. Federico inviò ovunque messi imperiali per
risquotere omaggi dalle città e dai signori locali, questo movimento per la restaurazione del potere
imperiale portò alla formazione di un vasto movimento di opposizione di cui facevano parte oltre
che numerosi comuni anche il papa Alessandro III. La reazione imperiale fu durissima in quanto il
papa fu costretto a fuggire in Francia e gli fu contrapposto l'antipapa Vittore IV. Milano fu assediata
e rasa al suolo nel 1162. Nel 1164 si assisté alla formazione della Lega Veronese e poco dopo a
quella Cremonese fino ad arrivare nel 1167 alla formazione della Lega Lombarda alla quale si
collegò Alessandro III, la città di Alessandria fu chiamata così in suo onore. Federico Barbarossa
concentrò i propri sforzi per conquistare Alessandria ma dovendo far fronte ai problemi interni
sorti
in Germania dovette abbandonare l'assedio però fu raggiunto nel 1176, durante il viaggio di
ritorno a Legnano dagli eserciti della Lega che lo sconfissero. Conscio dei progressi militari assai
scarsi
decise di puntare ad una soluzione diplomatica giungendo ad un accordo con il papa secondo cui
avrebbe abbandonato l'antipapa e restituito alla chiesa di Roma i territori e le regalie di cui si era
impadronito, Alessandro III si impegnò a sua volta a fare da mediatore con i comuni italiani con i
quali però si giunse solo ad una tregua di sei anni. Nel 1183 a Costanza fu possibile giungere ad un
trattato di pace che in sostanza era un compromesso. Se da un lato si salvaguardava il principio
secondo cui tutti i poteri pubblici derivavano dall'imperatore, dall'altro garantiva ai comuni le
regalie di cui godevano da tempo e il diritto di costruire fortezze ed associarsi in leghe. I comuni si
impegnarono a versare una tantum un'indennità più un tributo annuo, a corrispondere
all'imperatore
il fodro e a consentire il ricorso al tribunale imperiale contro le sentenze emanate da giudici
cittadini. I consoli eletti dal popolo dovevano ricevere ogni cinque anni una formale investitura da
parte dell'imperatore. Le concessioni fatte a Costanza che erano destinate solo ai comuni della
Lega
Lombarda furono ben presto acquisite da tutti i comuni, che vennero così inseriti nell'impero come
organismi politico-amministrativi pienamente legittimi. I comuni ne approfittarono durante la lunga
crisi dell'autorità imperiale a seguito della morte del Barbarossa e del figlio Enrico VI per
consolidare le loro istituzioni ed avviare una sottomissione del contado (1197). Il vescovo fu
estromesso da qualsiasi potere politico, le città furono dotate di edifici pubblici, di solito costruiti
lontano dalla cattedrale, e di uno statuto. Per la sottomissione del contado si resero necessari
diverso strumenti, i detentori di fortezze dovettero riconoscersi vassalli del comune e risiedere un
periodo dell'anno in città mentre con i signori più potenti il comune stipulava patti di alleanza sotto
forma di ingaggi militari del signore stesso. Un altro strumento fu la fondazione dei borghi franchi
ovvero insediamenti fortificati i cui abitanti godevano di particolari facilitazioni fiscali ed aiuti di
vario genere. La novità più significativa di questa nuova fase fu la sostituzione del governo
consolare con un governo del podestà. La volontà della nobiltà di restare un gruppo chiuso iniziò a
produrre successivamente un contrasto tra la nobiltà stessa ed il popolo. Per rendere superiore a
queste due categorie il governo della città venne appunto designato il podestà. Molto presto tra le
due categorie riesplose la violenza specie dalla parte della nobiltà che aveva iniziato a riunirsi in
clan pronti a prendere le armi alla prima occasione, i clan a loro volta si univano in confederazioni
dette "Societates Militum" che a volte formavano nei gruppi contrapposti di guelfi e ghibellini. I
guelfi davano il loro sostegno al partito filopapale, mentre i ghibellini erano sostenitori di un più
saldo legame col potere imperiale. Dalla parte del popolo la situazione non era meno complicata
visto che era tenuto insieme unicamente dalla necessità della lotta contro la nobiltà e bastava che
la tensione calasse perché esplodessero subito lotte intestine in quanto il ceto era molto
eterogeneo. Comunque tutte queste categorie diedero vita ad un'associazione chiamata Societas
Populi. La situazione era quindi una divisione della giurisdizione e la formazione di diversi centri di
potere. Il complicarsi della vita politica portò poi al fenomeno del fuoriuscitismo ovvero
l'espulsione dalla città della parte perdente che non di rado formava un comune legandosi a
comuni rivali della città d'origine con la cui collaborazione a volte riuscivano a tornare al potere.
Nei comuni dove prese il sopravvento il popolo si formò una sorta di sistema bicamerale in quanto
il popolo non sciolse la societas populi. Il potere militare del podestà venne affidato alla figura del
capitano del popolo. I governi popolari però non tutelando le classi inferiori, le spinsero all'alleanza
con la nobiltà. Ebbero inoltre atteggiamenti punitivi verso la vecchia classe dirigente del cui
apporto avevano quasi sempre bisogno. Espressione della politica antinobiliare del fine duecento
furono le
leggi antimagnatizie nelle quali si vietava ai grandi esponenti dell'antica aristocrazia di accedere
alle
cariche più importanti. Nonostante tutto i governi popolari furono quelli che consentirono la
maggiore partecipazione e democrazia nella vita politica del medioevo. L'affrancamento dei servi
della gleba che in passato veniva visto come un grande segno di evoluzione sociale fu solo un'abile
manovra fiscale in quanto i servi essendo considerati proprietà dei loro signori non pagavano
alcuna
imposta. A questo c'è da aggiungere la crescente pressione fiscale che il comune attuava nei
confronti del contado affiancata dallo sfruttamento della classe borghese.
Capitolo 17: la diffusione dei rapporti feudali. L'Inghilterra, il mediterraneo e le crociate
I rapporti feudo-vassallatici ebbero la loro massima diffusione nei secoli XI-XII grazie ai cavalieri
normanni che avevano esportato il sistema feudale in luoghi dove non era stato applicato
precedentemente. I normanni poterono mantenere il territorio in maniera più salda rispetto ai
franchi
in quanto al sistema feudale avevano aggiunto la tradizione militare vichinga e la loro fedeltà.
L'espansione territoriale normanna comunque non si concentrò sull'Inghilterra invece che sulla
Francia. I vichinghi già nel IX secolo avevano compiuto delle incursioni in Inghilterra senza riuscire a
stabilire all'interno delle forme di dominazione. Nei primi decenni dopo l'anno mille Canuto II creò
un vasto impero comprendente l'Inghilterra che però si dissolse nel 1035. Solo con l'ascesa di
William il conquistatore che sbarcò con un massiccio numero di cavalieri, importando cosi i
costumi franchi in Inghilterra venne alla luce un regno unitario. I nuovi dominatori cercarono di
rendere ben accetta alla popolazione la nuova classe dirigente, infatti lasciarono intatta la divisione
del regno in contee affidate ad amministratori capaci detti sceriffi. I cavalieri normanni vennero
ricompensati con feudi e successivamente sottomessi al sovrano con obblighi ben definiti ai quali
era possibile sottrarsi attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva. Venne istituita la camera
dello scacchiere in cui due volte l'anno si riunivano gli sceriffi con quanto avevano raccolto.
William fece anche redigere il domesday book ovvero il catasto del regno. La monarchia inglese
crebbe verso la fine del XII secolo quando salì al trono Enrico II, con lui i domini della corona in
francia si ampliarono a dismisura. Enrico operò una costante pressione sulla monarchia francese.
Tentò anche di sottomettere la chiesa al suo controllo emanando nel 1164-1166 le costituzioni di
Clarendon, ma l'arcivescovo di Canterbury fece naufragare il progetto. Mentre William portava a
termine la conquista dell'Inghilterra un gruppo di cavalieri normanni erano impegnati da qualche
decennio nella conquista e nel consolidamento dell'Italia meridionale. I normanni al loro arrivo in
Italia si misero al servizio dei signori dei diversi ducati approfittando del particolarismo politico che
allora imperversava. Durante la loro permanenza in Italia vari capi normanni emersero ma quello
che fu l'artefice delle loro più grandi fortune fu Roberto il Guiscardo che dopo la sconfitta del
pontefice Leone IX nel 1053, ottenne perfezionando l'intesa tra chiesa e normanni e dopo aver
giurato fedeltà al nuovo pontefice, il titolo di Duca di Puglia. Guiscardo forte dell'investitura papale
parti alla conquista della Sicilia mussulmana che una volta conquistata cedette al fratello minore.
Dopo aver sottomesso tutto il mezzogiorno si lanciò alla conquista di Costantinopoli che però fallì a
causa di una rivolta di baroni pugliesi. Alla morte del Guiscardo, Ruggero II, si impose come
padrone della Sicilia pur scontrandosi con il papa Onorio II. Nel 1130 ottenne dall'antipapa
Anacleto II la corona di re di Sicilia. Il regno di Sicilia venne organizzato con un efficiente apparato
amministrativo, ereditato dalla precedente amministrazione araba. I sovrani normanni erano anche
al vertice di una piramide feudale, in questa piramide erano inseriti a livelli diversi i discendenti dei
vari conquistatori normanni. Il regno di Sicilia fu quindi l'espressione di stato feudale. I normanni
dell'Italia meridionale furono protagonisti di uno degli eventi più significativi del medioevo: le
crociate. L'origine di questo fenomeno si può richiamare al discorso di Urbano II che esortava
coloro che erano stati coinvolti nelle lotte fratricide durante la lotta per le investiture ad espiare i
loro peccati con un pellegrinaggio in terra santa. Nella seconda metà dell'XI secolo l'Europa era
pervasa oltre che da una grande crescita, anche da sentimenti di ottimismo e di inquietudine
religiosa. Si moltiplicarono i pellegrinaggi e le mete stesse dei pellegrinaggi non erano più quelle
tradizionali. Gli arabi del resto avevano sempre garantito ai cristiani libertà religiosa ed autonomie
che i mussulmani in Europa non sognavano nemmeno. La componente religiosa era molto
importante in quanto i cavalieri che si diressero verso la terra santa erano spinti da un grande
sentimento religioso oltre che dallo spirito di avventura. Nel 1096 a seguito della cosi detta crociata
dei poveri, papa Urbano II, per far cessare il fanatismo e le partenze indiscriminate si appellò alla
cristianità per la conquista della terra santa. A questo appello rispose il fior fiore della feudalità,
specialmente francese. I vari contingenti si concentrarono a Costantinopoli, dove l'imperatore
Alessio Comneno giudicando pericolosa la concentrazione di tale forza militare intorno alla città
fornì loro viveri ed armi in cambio della promessa di restituzione delle terre appartenute all'impero
bizantino ed il riconoscimento di un'eventuale superiore autorità nata dalla vittoria dei franchi.
L'esercito si mosse nel 1097 tra varie difficoltà anche di natura interna, nonostante tutto nel 1099
si
giunse alla conquista di Gerusalemme cui seguì il massacro della popolazione ebraica e
mussulmana. La presa di Gerusalemme fu una vittoria tattica inaudita dato che le truppe crociate si
assottigliarono ad ogni presa di centri importanti anche perché i capi dei contingenti, desiderosi di
ritagliarsi un dominio personale si fermavano lasciando agli altri il compito di proseguire. Essi
erano territorialmente vassalli del regno di Gerusalemme, che venne affidato, a Goffredo di
Buglione che in segno di umiltà assunse il titolo di Avvocato del Santo Sepolcro. A lui successe
l'anno seguente il fratello Baldovino che assunse il titolo di Re. Egli cercò di consolidare il suo
regno con la conquista della costa e la stretta dei legami con quei cavalieri che avevano rinunciato
a
fare ritorno a casa a cui il sovrano aveva affidato de feudi. A questi si aggiungevano quelli che in
via temporanea giungevano in terra santa ed erano invogliati a rimanervi con la promessa di feudi.
Il sistema feudale non valse però a interrompere le faide interne alla nuova classe dominante. In
tali
condizioni si rivelò prezioso l'aiuto degli ordini monastico-militari i cui membri oltre ai tradizionali
voti di castità, povertà ed obbedienza si impegnavano a combattere gli infedeli ed a difendere i
pellegrini e gli oppressi. Inoltre le città marinare insediarono delle vere e proprie colonie costiere
facendo proliferare il commercio con il regno di Gerusalemme. La situazione cambiò agli inizi del
XII secolo grazie all'emiro di Mosul e Aleppo il quale esercitò una forte pressione sui crociati che si
dimostravano particolarmente impreparati, nel 1144 infatti cadde Edessa, dopo questo evento
Bernardo di chiaravalle organizzò una nuova crociata mobilitando i più potenti sovrani
dell'occidente: l'imperatore tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII ed il re di Sicilia
Ruggero II. Questi sovrani però perseguivano obiettivi diversi causando il completo fallimento
dell'iniziativa. La riscossa completa la ebbero i mussulmani con Salah-al-din il quale rendendosi
completamente indipendente da Baghdad creò un proprio sultanato. Nel 1187 sconfisse i franchi
ad Hattin e tre mesi dopo conquistò Gerusalemme provocando una mobilitazione grandissima in
occidente. Questa volta scesero in campo Federico Barbarossa, Riccardo cuor di leone e Filippo
Augusto di Francia. Questi erano i protagonisti della scena politica europea. I risultati furono
nuovamente assai scarsi, Federico Barbarossa perse addirittura la vita durante l'attraversamento di
un fiume nel 1190. La terza crociata si concluse nel 1192 con risultati assai scarsi conquistati solo
da Riccardo cuor di leone. Già da un anno era sul trono imperiale Enrico VI che era sposato con
Costanza d'Altavilla, ultima erede del re di Sicilia morto nel 1189. Il figlio illegittimo di Ruggero II
gli contestò il possesso del regno normanno ma ciò non impedì all'imperatore di impadronirsene.
Intravedendo i suoi progetti di espansione alcuni stati mussulmani insieme ai regni di cipro e
Gerusalemme gli omaggiarono tributi, ma i suoi ambiziosi progetti cessarono con la sua morte
avvenuta nel 1197. Visto che la morte dell'imperatore impediva ai cristiani in terra santa di
riconquistare una posizione di preminenza il pontefice Innocenzo III si fece promotore di una
grande crociata che si diede il duplice obiettivo di riconquistare Gerusalemme e di riportare la
chiesa orientale sotto la chiesa di Roma. Inoltre la posizione di Venezia all'interno del regno
bizantino si stava facendo più invadente fino a volersi trasformare addirittura in una egemonia di
tipo politico oltre che di tipo commerciale. L'occasione venne quando i crociati radunatosi nel 1202
a Venezia ottennero dal doge il trasporto gratuito in terra santa a patto che le truppe crociate si
fermassero a Zara per aiutare i veneziani a riprenderne il controllo. Conquistata zara i capi crociati
furono convinti dal doge a puntare direttamente alla conquista di Costantinopoli tanto più che il
pretendente al trono, Alessio aveva promesso lauti compensi, partecipazione alla crociata e
l'unificazione delle due chiese. I crociati presero Costantinopoli nel 1203 mettendo Alessio sul
trono che tuttavia non fu in grado di placare l'ostilità della popolazione e l'avversità nei confronti
della chiesa di Roma. I crociati quindi assunsero direttamente il controllo saccheggiando
Costantinopoli nel 1204, fondando l'impero latino d'oriente spartendosi vari feudi. L'impero latino
d'oriente si dimostrò subito una costruzione politica assai debole in quanto i sentimenti
antioccidentali e antiromani finirono col diventare sempre più forti e finirono col far naufragare le
speranze di Innocenzo III di riunificare la chiesa. Inoltre i genovesi erano desiderosi di ripristinare la
situazione come era precedentemente alla quarta crociata e l'occasione avvenne nel 1264 quando
Genova strinse un patto con Michele Paleologo che nello stesso anno salì al trono dando il via alla
dinastia dei paleologi. Le frontiere però erano sempre pressate dai nemici come turchi e serbi.
Innocenzo III non si era rassegnato all'idea di unificare la chiesa e quindi poco prima di morire
bandì la quinta crociata. La quinta crociata partì nel 1217 guidata dal re d'Ungheria, si concluse nel
1221 dopo una serie di inutili operazioni belliche sul delta del Nilo. L'ultimo sovrano ad essere un
fautore delle crociate fu Luigi IX di Francia che guidò la sesta e la settima crociata. La prima iniziò
nel 1248 e finì nel 1254 con la cattura del re e dell'esercito, la seconda finì nel 1270 ancora prima di
partire a causa della peste che uccise lo stesso sovrano. Con la morte di Luigi IX muore anche l'idea
di crociata in quanto la crociata condotta da Federico II pur avendo riportato Gerusalemme in
mano cristiana l'aveva privata delle proprie difese per un accordo col sultano locale.
Capitolo 18: la ripresa della lotta tra papato ed impero e le monarchie dell'Europa occidentale
La seconda metà del XII secolo vide una decisa evoluzione del papato in senso monarchico. Il ruolo
politico del papato era stato esaltato anche dalle varie dispute tra comuni e impero nelle quali, in
più
di una occasione il papato ebbe funzioni di mediatore. Il pontefice Innocenzo III si dichiarò vicario
di Cristo e definì la monarchia come la luna che brilla di luce riflessa dal sole, in questo caso il sole
era rappresentato dal papato. Il primo intervento riguardò il regno di Sicilia che la chiesa
considerava un suo feudo già da molto tempo. Il papato ebbe anche sotto la sua tutela Federico II a
cui conferì la corona regia nel 1208, nello stesso tempo approfittava del trono imperiale vacante
per
rafforzare le proprie posizioni. La chiesa fu anche arbitra della lotta per la successione al trono
imperiale. La scelta infine cadde su Ottone di Brunswick che riconobbe i diritti della chiesa e venne
incoronato imperatore nel 1209. Dato che Ottone si dimostrò meno docile del previsto e che puntò
ad impadronirsi del regno di Sicilia, Innocenzo III lo scomunicò bollandolo come traditore ed il re di
Francia Filippo Augusto promosse una coalizione contro di lui. Gli altri stati europei prestarono a
Innocenzo III l'omaggio feudale. Tra la quarta e la quinta crociata il pontefice ne aveva indetta una
molto particolare in quanto riguardava i "Cattivi Cristiani". L'attenzione del papa si concentrò
particolarmente sui catari eretici presenti nel sud della Francia che destavano la preoccupazione
della chiesa. Erano anche presenti nella città di Albi che faceva parte della contea di Tolosa, che
godeva di grande autonomia al punto che la monarchia francese aveva autorità solo nominale. Il
fatto che i catari trovassero protezione alla corte di Tolosa, spinse Innocenzo III a mettere in moto
un grande meccanismo politico, fornendo ai re francesi la possibilità di recuperare i propri domini.
Nel 1208 a causa dell'assassinio di una legato papale venne bandita una crociata contro i catari e
contro Raimondo di Tolosa, considerato loro protettore. La crociata ebbe subito grande rinomanza
in quanto i partecipanti erano da una parte speranzosi di guadagnare gli stessi vantaggi spirituali
che
erano garantiti alle crociate in terra santa in più, speravano di fare un grosso bottino in quanto la
regione di Tolosa era in pieno sviluppo economico. Ci furono saccheggi e massacri per tutta la
regione. Con questo intervento armato il papato aveva creato un precedente, impadronendosi del
diritto di indicare volta per volta quali fossero i nemici della cristianità che presto verranno indicati
nei nemici politici del papato, aveva anche mutato il significato di crociata, trasformando quello
che
era un fenomeno religioso in un'arma politica nelle mani del papato. Nel 1215 con il IV concilio
lateranense fu definita una strategia globale per la lotta contro le eresie e furono prese importanti
decisioni riguardanti l'organizzazione della vita religiosa. Nel 1216 Innocenzo III morì lasciando la
chiesa all'apice del suo splendore temporale e del suo prestigio. Filippo Augusto re di Francia, era
fortemente impegnato a rilanciare l'immagine della monarchia allora fortemente indebolita dalla
perdita cospicua di territori in favore di Enrico II d'Inghilterra. Filippo Augusto fomentò varie rivolte
di nobili nei territori del sovrano avversario incoraggiando allo stesso tempo contrasti all'interno
della famiglia reale Inglese. Con la morte di Riccardo cuor di leone e quella dell'imperatore Enrico
IV restarono arbitri della situazione politica Innocenzo III e Filippo Augusto. Nel 1202 nacque un
conflitto tra Giovanni senza terra, sovrano inglese e Filippo Augusto. In questo scontro il sovrano
francese riacquistò buona parte dei territori francesi ma dovette fermarsi quando il re inglese
dichiarò il suo regno feudo della chiesa. Il conflitto fu rimandato di un anno in quanto il papa
promosse una campagna contro Ottone di Brunswick della quale Filippo Augusto divenne il perno,
cogliendo l'occasione nel 1214 per sconfiggere l'esercito anglogermanico, triplicando i suoi domini
rispetto a quelli ereditati dal padre. Morì nel 1223. la sua opera fu continuata dal figlio, Luigi VIII il
quale estese ulteriormente i domini della corona francese e mostrò grande pietà religiosa ed abilità
di governo, consolidando la monarchia e facendole guadagnare moltissima fiducia. In Inghilterra
Giovanni doveva rendere conto all'opinione pubblica ed all'alta nobiltà dei suoi fallimenti, la
politica inglese era stata improntata sulla potenza nel continente che non aveva prodotto alcun
risultato. Inoltre risultava sgradito il fatto che il sovrano avesse dichiarato il regno feudo della
chiesa. Nel 1215 la rivolta fu aperta ed il re fu obbligato ad emanare la magna charta che Enrico III
confermò definitivamente nel 1217. Con essa il sovrano si impegnava a rispettare i diritti dei nobili,
degli ecclesiastici e di tutti i liberi, le concessioni operate in passato in favore di Londra, il diritto dei
liberi di farsi giudicare da un tribunale di loro pari. Fu vietato inoltre di imporre nuove tasse senza
l'approvazione del consiglio comune del regno, inoltre venne istituito un consiglio di 25 baroni che
dovevano assistere il sovrano negli affari di governo. L'emanazione della magna charta aggravò la
posizione di Giovanni senza terra che fu scomunicato da Innocenzo IV. La sua morte, avvenuta nel
1226 cambiò improvvisamente il quadro politico dando coscienza del nascere di un primo
sentimento nazionale inglese. Intanto Federico II era stato incoronato re di Germania il 9 dicembre
1212 ed aveva rinunciato ai diritti del concordato di Verona. Federico II con un' astuta mossa portò
il figlio in Germania incoronandolo re dei romani e designandolo de facto come successore al trono
imperiale. L'ereditarietà della carica di imperatore era un'usanza che si era andata consolidando.
Queste manovre politiche furono possibili grazie al pacato appoggio pontifico di Onorio III, dallo
stesso papa ottenne di mantenere l'unione delle due corone e nel 1220 venne incoronato
imperatore. Federico II decise di stabilirsi nel meridione dell'Italia dove trovò una situazione molto
differente da quando era tornato in Germania, a causa della permanenza del regno di Sicilia nelle
mani dei comandanti militari. Nello stesso anno convocò un'assemblea a Capua nella quale si
decise di abbattere i castelli costruiti abusivamente e di annullare le più avanzate autonomie locali.
Naturalmente incontrò la resistenza dei baroni ma con una astuta mossa mise i feudatari minori
contro quelli più potenti disfacendosi poi anche di loro al momento opportuno. Un altro problema
era rappresentato dai saraceni che in Sicilia erano diventati padroni di vaste zone all'interno
dell'isola. Federico con una serie di campagne li sconfisse e li deportò in Puglia facendoli vivere
secondo le loro tradizioni ed usanze potendo contare così sulla loro estrema fedeltà.
Contemporaneamente per risollevare l'economia del regno costruì porti, facilitò gli scambi e rese
sicura la rete viaria, volendo inoltre potenziare l'apparato burocratico nel 1224 fondo a Napoli la
prima università statale del mondo occidentale. Per ripristinare il potere regio anche in Italia
settentrionale convocò un'assemblea a Cremona nel 1226. Intanto le città lombarde che si erano
sviluppate in comuni, temendo l'iniziativa imperiale ricostituirono l'antica lega lombarda e si
appellarono al papa che intanto stava perdendo la pazienza per i continui rinvii della
partecipazione alla crociata. Federico non sentendosi forte militarmente annullò l'assemblea e
tornò al sud. Nel 1227 con la morte di Onorio II giunse al soglio pontificio Gregorio IX che impose
subito a Federico la partenza per la terrasanta. Federico resosi conto di non poter più rimandare la
partenza convocò a brindisi crociati e pellegrini, ma nell'estate del 1227 scoppiò un'epidemia che
fece molte vittime. Ne fu colpito anche l'imperatore che dovette tornare indietro per curarsi, ma il
papa non credendo alla sua malattia lo scomunicò. Tuttavia appena guarito Federico riprese i
preparativi per la crociata e nel giugno del 1228 partì nonostante la scomunica. Visto che parlava
perfettamente l'arabo l'imperatore stabilì subito ottime relazioni col sultano con il quale fece un
trattato per la restituzione di Gerusalemme. Gregorio IX irato per i buoni rapporti che Federico
intratteneva con gli infedeli bandì una crociata contro di lui. L'imperatore al suo ritorno dovette
quindi fronteggiare l'esercito crociato più una rivolta di baroni pugliesi fino al raggiungimento di un
compromesso nel 1230 a Ceprano, dove venne stipulata la pace. L'imperatore rinunciò ai diritti
sull'elezione dei vescovi e riconobbe al clero meridionale l'immunità e l'esenzione dal pagamento
delle imposte. Dopo aver ingoiato questo boccone amaro l'imperatore poté concentrarsi sul
consolidamento del proprio regno e nel 1231 emanò le costituzioni di Melfi nelle quali diede al
regno un ordinamento giuridico simile a quello romano ed a quello normanno. Dotò il regno di una
grande rete difensiva composta anche di fortezze che si preoccupò di mantenere sempre in
perfetta
efficienza. La sua politica in Germania fu un po diversa in quanto li si preoccupava più che altro a
conquistarsi i favori dei principi. Emanò comunque nel 1235 la costituzione di pace imperiale.
L'ultimo soggiorno di Federico in Germania fu in occasione della ribellione del figlio la cui eredità
venne trasferita al fratello Corrado. Nel 1237 ritenne di essere militarmente in grado di affrontare
la
lega lombarda. Nel 1238 sconfisse l'esercito della lega ma impose condizione di pace
eccessivamente dure che sortirono l'effetto contrario, incoraggiando le città alla resistenza. Il papa
Gregorio IX ostile alla politica di Federico si sarebbe alla lunga, certamente unito alle città della
lega. Il pontefice infatti si adoperò per riunire i potenziali nemici di Federico in una coalizione.
Intanto l'imperatore era stato colpito da una nuova scomunica. Gli ultimi anni di vita di Federico
furono terribili, fu dichiarato decaduto dal soglio imperiale e contro di lui si scagliarono gli eserciti
di tutta Europa che per un po Federico fu in grado di
contenere. Federico mori nel 1250 facendo scomparire con lui una delle personalità più forti del
medioevo. La dinastia sveva si susseguì al dominio del regno e dell'impero per un altro decennio
ma
il papa, ostinato ad eliminare gli svevi dalla scena politica scagliò contro di loro Carlo D'Angiò che
nel 1266 sconfisse Manfredi. A differenza del declino che la morte di Federico aveva portato in
Germania, nel regno di Sicilia la sua morte ed il cambio di dinastia portò una nuova opera di
consolidamento dello stato. Si deve ora parlare della Reconquista spagnola, che non fu come si
credeva un'indomita marcia verso sud. Il primo focolaio di resistenza ai mussulmani viene
individuato nelle Asturie agli inizi del VIII secolo. Si trattava di regioni montagnose in cui i califfi
compivano soltanto incursioni militari. Un maggiore attivismo degli stati cristiani è documentato
fra il IX ed il X secolo anche se solo raramente si ebbero vere e proprie campagne militari in quanto
il più delle volte si trattava di incursioni a scopo di razzia o per proteggere gli uomini impegnati nel
ripopolamento dei territori. Per questo vennero costruiti castelli e altre opere di fortificazione. Fra
il X e l'XI secolo il movimento assunse maggior vigore a seguito della crisi del califfato di Cordova.
Nel 1031 la reconquista assunse il duplice scopo di conquista militare e di colonizzazione,
assumendo poi nel corso dell'XI secolo il carattere quasi di una crociata. I regnanti cristiani non
mancavano di fare appello alla crociata quando si trovavano in difficoltà ma dimostravano di non
volere sterminare od obbligare al trasferimento la popolazione mussulmana, in quanto era
interessati sopratutto ad una sottomissione politica ed all'ottenimento di tributi annuali. Nelle
regioni dove erano più numerosi infatti, conservavano le loro leggi ed il diritto di professare
liberamente la propria religiose anche se per ovvi motivi di sicurezza nelle grandi città furono
imposte restrizioni alla loro permanenza. Questo clima di tolleranza deluse profondamente i
cavalieri venuti dall'estero. Agli inizi del XI secolo la situazione politica in Spagna era più o meno
suddivisa cosi: Regno di Leon, Contea del Portogallo, Regno di Navarra, Regno di Castiglia e Regno
di Aragona. Il movimento espansivo riprese verso la fine del XII secolo e nel 1212 l'avanzata
cristiana risultava incontenibile. Verso la metà del XIII secolo la reconquista poteva dirsi completa
in quanto ai mussulmani era rimasti solo i territori di Granada. Lungo il confine le incursioni che
avevano caratterizzato la parte iniziale della reconquista non cessarono mai. Fu operato un
processo di colonizzazione dei territori conquistati ad opera principalmente della grande nobiltà,
che dopo l'incessante guerra contro i mori si poneva l'obiettivo di consolidare i propri territori.
Capitolo 19: le origini della Russia e dell'Impero Mongolo
Tra l'VIII ed il IX secolo i pirati-mercanti provenienti dalla scandinavia detti variaghi o vichinghi, si
mossero lungo le due principali vie commerciali. Le popolazioni slave chiamarono Rus questi
stranieri. Verso la metà del IX secoo i Rus iniziarono ad imporsi sulla popolazione locale, fondando
il principato di Kiev ed aggregando a loro tribù di slavi dell'est. Il principato strinse fiorenti accordi
commerciali con l'impero bizantino, questi prolifici rapporti uniti al lavoro dei missionari bizantini
portarono il principe Vladimir I di Kiev alla conversione al cristianesimo che approfittò di questo
avvenimento per unire intorno a se le tribù sotto un dio comune. Il successo di questo conversione
fu grandissimo per i missionari bizantini. Dalla metà dell'XI secolo il principato di Kiev entrò in una
fase di decadenza a causa del declino delle vie di comunicazione che causarono una diminuzione
significativa del commercio, questo fu in parte dovuto anche ai continui attacchi protratti dalle
tribù stanziate tra il mar nero ed il mar Caspio. Un altro fattore di debolezza era rappresentato
dalle lotte dinastiche. L'invasione dei mongoli era destinata a travolgere vecchie e nuove
formazioni politiche. I mongoli in origine non erano altro che un gruppo di tribù nomadi che grazie
all'abilità politica di Gengis Khan secondo la tradizione, si sarebbero fuse fino a formare una
nazione stretta in un unico sovrano e soggetta ad una sola legge. Questo ricorda l'opera di
maometto con gli arabi, ma la velocità con cui i mongoli riuscirono ad aggregarsi fu sorprendente.
Gengis Khan si comportò in maniera molto duttile nei confronti delle popolazioni assoggettate,
quelle che si sottomisero spontaneamente non subirono danni ma trassero profondi vantaggi
economici. Quelle che opposero resistenza vennero distrutte o decimate. Dopo che fu passata la
furia distruttiva dell'orda si iniziarono a notare i primi sintomi del superamento dello stile di vita
nomade, imponendo ai territori conquistati una prima forma di rudimentale amministrazione.
Venne persino fondata una capitale nei pressi dell'attuale Ulan Bator. Nello stesso anno si
consolidò il ruolo politico e militare delle figure che erano vicine a Gengis Khan, per quanto la
società si fosse via via gerarchizzata restò sempre molto presente una sorta di carattere egualitario.
La morte di Gengis Khan non fece placare lo slancio espansivo dei mongoli che completarono la
conquista della cina, della corea e della Persia arrivando fino a Cracovia e Breslavia. L'avanzata in
Europa cessò nel 1242 ma continuò verso sud - ovest anche se nel 1260 si ritirarono sconfitti dai
turchi. L'espansionismo si arrestò a causa delle rivalità sempre più accese tra i discendenti di
Gengis Khan che fomentarono anche tendenze separatiste. Si formarono così quattro imperi:
l'impero degli ilkhan, il khanato di chagatay, l'impero del gran khan e l'orda d'oro. Il maggiore degli
imperi era quello del gran khan che raggiunse il suo massimo splendore sotto Kublai che tentò
anche di assoggettare il Giappone. Grazie ai costumi ed agli stili di vita cinesi che erano molto più
raffinati di quelli mongoli, i costumi mongoli iniziarono a migliorare. Il papa Innocenzo IV inviò dei
missionari al Gran Khan dopo aver sentito di una sua possibile conversione al cristianesimo, queste
missioni non diedero però alcun frutto poiché i mongoli stavano avvicinandosi sempre di più ai
cinesi. Oltre ai missionari, i mercanti si misero nuovamente ad attraversare la via della seta. Marco
Polo restò ben 17 anni alla corte del Gran Khan guadagnandosi la sua fiducia e la sua amicizia.
L'ultimo impero nato dalla divisione delle conquiste di Gengis Khan fu l'orda d'oro, i cui abitanti e
governanti si convertirono all'islam intrattenendo stretti rapporti con l'Egitto e l'Asia minore.
Questa particolarità religiosa portò ad un piccolo livello di tensione tra l'orda d'oro e le popolazioni
cristiane che restarono vassalli dei mongoli ma che nel loro territorio godevano di piena autonomia
religiosa. Il protettorato mongolo non influì nemmeno sulla politica interna dei principi russi che
continuarono le loro lotte interne per l'egemonia. Nel 1380 la popolazione russa si schierò contro i
tartari ma il loro successo fu vanificato quando i tartari furono in grado di riprendere l'offensiva,
riuscendo nel 1382 a saccheggiare mosca. Occorre nominare altre due formazioni politiche
presenti nel territorio russo: il grande regno polacco Lituano ed il principato di Novogorod.
Capitolo 20: l'Europa tra crisi e trasformazione
Agli inizi del trecento in tutta Europa si poté assistere al rallentamento della produzione di tutti i
settori, al rallentamento della fondazione di nuovi insediamenti e all'insorgere di frequenti carestie
di cui fecero le spese gli strati più poveri della popolazione. Le nuove tecniche agricole non erano
state sufficienti per portare ad un consistente aumento della popolazione che dopo essere
cresciuta
era arrivata al punto di rottura. Le carestie che comunque avevano interessato l'Europa anche in
passato, nel XIV secolo avevano assunto una particolare drammaticità in quanto erano molto
frequenti. Il fattore climatico fu molto importante in quanto in questo periodo il clima si trasformò
diventando più freddo e piovoso, che combinato con le frequenti crisi di sussistenza contribuì al
crescere ed al diffondersi delle epidemie. A tutto questo è da aggiungere la comparsa della peste
nera nel 1348 i cui effetti furono disastrosi. Ovunque si abbattesse la peste provocava spaventosi
vuoti di popolazione che non era possibile colmare facilmente poiché la peste si stabilì in Europa in
forma endemica. Come se non bastasse tutto questo nel corso del trecento si abbatte sull'Europa
un
nuovo flagello: la guerra. Il primo esempio della nuova condotta bellica fu usato in Italia
meridionale nel 1282 con la guerra del vespro che durò ben novant'anni. La guerra fu condotta in
una maniera molto accanita e furono utilizzate molte milizie composte da mercenari chiamate
anche
compagnie di ventura. Le truppe mercenarie erano un prodotto della società feudale, ma
rappresentavano anche un decisivo superamento degli eserciti feudali poco consistenti e difficili da
gestire. Un modello alternativo a quello feudale era rappresentato dagli eserciti comunali che
diedero ottima prova sul campo nelle lotte contro Barbarossa e Federico II. Questo tipo di esercito
attraversò una crisi quando la partecipazione democratica all'interno dei comuni venne
progressivamente ridotta. La richiesta di servizi militari e la disponibilità di bande armate
capeggiate da nobili portò ad una esplosione del fenomeno. Questo fatto portò delle conseguenze
per la popolazione: Gli stati furono costretti ad aumentare le spese militari per accaparrarsi i
condottieri migliori, di conseguenza venne aumentata la pressione fiscale sulla popolazione ma
nonostante questo gli stati nel corso del tre-quattrocento si trovarono in una condizione di
perpetua
precarietà economica e dell'affannosa continua ricerca del soldo per il pagamento dei soldati. Le
milizie del resto non facevano molta differenza tra popolazioni amiche e quelle dei territori
nemiche
abbandonandosi spesso a saccheggi e razzie di ogni genere. Le compagnie che operavano in Italia
erano straniere ma presto ad esse si affiancarono compagnie italiane che nel corso del
quattrocento
diedero origine a delle vere e proprie imprese economiche. In questo periodo ebbero un ruolo
importante anche le rivolte che infuriavano in Francia, Inghilterra ed in altre zone dell'Europa
sostanzialmente per lo stesso motivo; la precaria condizione di vita delle classi più povere e la
prepotenza delle classi nobili. Nell'Italia meridionale si diffuse il fenomeno del brigantaggio. Un
particolare che caratterizzò l'Italia, causato dalla massiccia urbanizzazione dei secoli precedenti, fu
l'inquietudine dei lavoratori tessili. Questa inquietudine era causata dalla mancanza di tutela
sindacale per i lavoratori che invece era contemplata per i loro datori di lavoro che si riunivano in
corporazioni di arti e mestieri. La crisi del settore tessile era causata anche dalla costante
sovrapproduzione che si verificava nel corso del trecento, inoltre le rivolte dei salariati non
portavano mai ad un cambiamento della loro condizione dato che il potere veniva sempre ripreso
dai nobili e dai mercanti che nel migliore dei casi concedevano ai rivoltosi solo diritti limitati.
Comunque la crisi delle piazze italiane ed europee coincise con la ripresa ed il miglioramento delle
condizioni di vita. Lo stesso declino demografico non si manifestò ovunque con la stessa violenza,
per questo alcune città si trovarono con un peso politico superiore rispetto al passato. Un altro
problema del tre - quattrocento è rappresentato dalla scarsità di moneta circolante che obbligò le
autorità a reagire con provvedimenti volti a impedire l'esportazione dell'oro e dell'argento ed a
rimettere in circolazione la moneta imponendo l'uso del contante nelle transizioni commerciali e
nel pagamento delle lettere di cambio. Il problema della scarsità di metallo prezioso in Italia ed in
Europa verrà risolta solo nel 1500 con l'arrivo dell'oro delle Americhe.
Capitolo 21: il consolidamento delle istituzioni monarchiche in Europa
Nel corso del due-trecento si assisté ad un superamento dell'ideologia imperiale iniziando a
riconoscere i pieni poteri ai re all'interno dei rispettivi regni. Questa corrente incontrava però
grandi
ostacoli quali l'opposizione del papato, che vedeva messo in discussione il suo ruolo di regolatore
supremo della vita politica della cristianità occidentale e dall'inasprirsi dei conflitti che facevano
sentire la necessità di un'autorità superiore. Il problema del ruolo di impero e papato si venne
chiarendo agli inizi del trecento grazie ad un rapido susseguirsi di eventi. Il primo ebbe come
protagonista Filippo il bello, re di Francia ed il papa Bonifacio VIII. Il papa aspramente contestato
per la sua reticenza in ambito riformatore, dal 1300 in poi portò a compimento una serie di
iniziative per ripristinare il vuoto centrale del papato. In quell'anno indisse il giubileo. I rapporti tra
il pontefice e il re di Francia furono all'inizio molto tesi in quanto Filippo aveva imposto delle tasse
al clero senza l'autorizzazione della santa sede. Il tutto venne risolto con un compromesso,
autorizzando Filippo a imporre tasse al clero in caso di grave necessità; l'invio di Carlo di Valois a
Firenze in veste di paciere doveva servire come coronamento dell'accordo ma a seguito
dell'imprigionamento del vescovo di Saisset da parte di Filippo, il conflitto riesplose. Il pontefice
revocò la concessione fatta al sovrano, e di fronte alla sua caparbietà emanò nel 1302 la bolla
"unam sanctam" con la quale riaffermava la sottomissione al pontefice di ogni creatura umana e di
conseguenza di ogni autorità politica. Filippo il bello da parte sua non aveva nessuno intenzione di
sottomettersi all'autorità pontificia e per questo fece tradurre il pontefice davanti ad un tribunale
francese per giudicarlo. Il papa venne raggiunto da un manipolo di francesi nel suo palazzo di
Anagni ma la popolazione insorse e con l'aiuto dei rinforzi giunti da Roma il papa venne liberato
(1303). Nessuna conseguenza ci fu per Filippo ma anzi con la morte di Bonifacio e il trasferimento
della sede papale ad Avignone da parte di Clemente V si trovò a poter esercitare un'influenza
diretta
sul papato. Il Germania dopo la morte di Federico II il particolarismo si era accentuato. Enrico VII
divenuto re di Germania cercò di far coincidere di nuovo con questo titolo quello imperiale ma fallì
e dovette ritirarsi a vita privata. Il suo successore Ludovico il bavaro non curandosi della scomunica
infertagli da Giovanni XXII scese a Roma e si fece incoronare Imperatore nel 1328 da Sciarra
Colonna, rappresentante del popolo romano. I principi tedeschi nel 1338 stabilirono che il titolo di
imperatore andava attribuito al re di Germania incoronato ad Aquisgrana. Il nuovo imperatore
Carlo
IV con la bolla d'oro del 1356 diede sanzione definitiva della volontà dei principi tedeschi,
decidendo inoltre su chi fossero gli elettori del re. Con questo atto rinunciava alle pretese di potere
universale andandosi a configurare come uno stato decisamente germanico. In Inghilterra era in
cantiere il consolidamento del potere monarchico e una riorganizzazione dello stato. Dopo la
concessione della magna charta da parte di Giovanni senzaterra, Enrico III cercò via via di privare il
popolo delle concessioni. Il risultato fu una rivolta che portò a concessioni maggiori e ad un
rafforzamento delle istituzioni sancite dalla magna charta. Si formò quindi il parlamento articolato
nelle camere di Lord e Comuni. La contemporanea opera di consolidamento statale in corso sia in
Francia che Inghilterra si scontrava con la paradossale condizione della monarchia inglese rispetto
a
quella francese. Il re francese del resto era impossibilitato ad esercitare i propri diritti di signore su
un vassallo tanto potente (il re inglese risultava vassallo del re francese). Nacque un conflitto tra i
due regni destinato a protrarsi dal 1294 al 1475. Agli eventi svoltisi dal 1337 al 1453 si suole dare il
nome di Guerra dei cent'anni. Il conflitto iniziò per la discussa successione al trono di Francia alla
morte di Carlo IV. Edoardo III pretendente al trono sbarcò in fiandra dove era in corso una rivolta
nel 1337 e si proclamò re di Francia. La prima fase della guerra vide una netta prevalenza degli
inglesi con cui i francesi giunsero alla pace nel 1360. Edoardo rinunciava ai suoi diritti sulla corona
francese in cambio della cessione di un terzo dei territori francesi. Le ostilità ripresero nel 1369
vedendo questa volta la vittoria delle truppe francesi. Gli inglesi furono cosi costretti ad
abbandonare la maggior parte dei territori acquisiti. Dal 1380 sia la dinastia francese sia quella
inglese vennero scosse da violente tensioni e lotte dinastiche che portarono all'alleanza tra Enrico
V
e il duca di Borgogna contro il re di Francia. Il sovrano inglese sbarcò in Normandia e vinse nel 1415
le truppe nemiche puntando direttamente su Parigi. Carlo VI caduto in mano ai nemici fu costretto
ad accettare il trattato di Troyes nel quale diseredava il figlio trasferendo il diritto di successione ad
Enrico V al quale dava in moglie la figlia. Un fatto inatteso segnò la riscossa francese, Giovanna
D'Arco si fece affidare da Carlo VII un esercito col quale iniziò una marcia di liberazione della
Francia. Giovanna venne però catturata, processata per eresia e condannata al rogo nel 1431.
Scomparsa Giovanna non si arrestò la riscossa francese anche grazie alla defezione del nuovo conte
di Borgogna. Nel 1453 le operazioni sostanzialmente cessarono, gli inglesi rimanevano padroni solo
della piazzaforte di Caleis. Durante il lungo conflitto che vide opposte Francia ed Inghilterra
vennero affinate nuove tecniche militari, come l'utilizzo dell'arco lungo e la possibilità di usare i
cavalieri come fanteria pesante. Venne ridimensionata insieme con la cavalleria il ruolo della
feudalità e venne smentita la credenza sull'inettitudine militare delle masse contadine. Entrambe
le
monarchie inoltre desinarono sempre una maggiore quantità di denaro all'ingaggio di fanti, spesso
stranieri. In questo frangente la fanteria svizzera svolse un ruolo rivoluzionario dato che per
sopperire all'inferiorità rispetto alla cavalleria avevano sviluppato una sorta di falange che
permetteva di muovere come strumento offensivo anche senza la cavalleria. L'avvento del cannone
portò poi ad un indebolimento dei ceti baronali che non erano più in grado di ribellarsi. Le
fortificazioni però non persero di valore che vennero restaurate in funzione delle nuove tecniche
militari. Come conseguenza di tutto questo la nobiltà dovette rassegnarsi a militare nell'esercito
regio visto che solo i sovrani ormai potevano permettersi il mantenimento di un esercito stabile. In
Francia grazie al sentimento nazionale che si era formato nel corso della guerra Carlo VII potè
intraprendere riforme amministrative e finanziarie per consolidare l'attività regia. Il figlio Luigi XI
intraprese una politica antifeudale che portò sotto la diretta amministrazione regia moltissimi
terreni. La situazione in Inghilterra era molto diversa, l'aristocrazia era diventata arbitra del potere
perciò esplose una guerra civile (guerra delle due rose 1455-1485) che portò sul trono Riccardo IV
a
cui successe il figlio Edoardo V che fu poi soppresso dallo zio Riccardo la cui monarchia venne
stroncata da Enrico Tudor. Il nuovo sovrano assecondando il bisogno di pace del popolo intraprese
l'opera di restaurare l'autorità regia. In spagna la situazione non era migliore: il movimento della
reconquista aveva portato alla fondazione dei regni di Portogallo, Castiglia ed Aragona tutti
sconvolti da terribili crisi. Il primo a superarle fu il Portogallo il cui sovrano rafforzò la monarchia
e diede impulso alle attività marinare. In Castiglia si sentiva ancora il forte peso della nobiltà che
venne però controbilanciato dall'unione delle città in fratellanze. Il regno d'aragona presentava
ancora un'economia agricola ma era interessato al commercio nel mediterraneo acquistando nel
quattrocento il controllo di Sicilia e Sardegna, fondando così un vero e proprio impero economico e
marittimo. Ferdinando ed Isabella di Castiglia puntavano a far nascere un sentimento di stato
spagnolo attraverso l'unificazione anche attraverso la riconquista di Granada che era rimasta
l'unica
roccaforte mussulmana in Europa (1492). Nello stesso anno Colombo scoprì l'America e già l'anno
successivo scoppiarono conflitti per stabilire le aree di influenza nel nuovo mondo tra Spagna e
Portogallo.
Capitolo 22: potere e società nel mezzogiorno Angioino-Aragonense
Con la battaglia di Benevento del 1266 la dinastia sveva era stata spazzata via a favore della
dinastia angioina. Carlo d'Angiò si proponeva due obiettivi
•rendere effettivo il vincolo feudale che subordinava alla chiesa di Roma la monarchia
meridionale
•procurarsi un valido sostegno politico-militare per coordinare le forze guelfe in Italia.
Carlo d'Angiò mirava a stabilire una egemonia sull'Europa che faceva perno sulla Sicilia fino ad
arrivare alla conquista di Costantinopoli. All'indomani della battaglia di Benevento sorsero i primi
dissapori con il papa a causa del saccheggio della città. A ciò si aggiunsero le lamentele che
giungevano a Roma per i soprusi dei funzionari regi e l'eccessiva pressione fiscale. Per il primo
punto il re corse ai ripari ma non fu in grado di attuare concessioni sul lato fiscale. La rivolta
esplose in occasione della discesa in Italia di Corradino di Svevia ma a seguito della sua sconfitta la
repressione fu durissima. A causa della rivolta venne operata una profonda restaurazione della
feudalità nel regno con un massiccio inserimento di cavalieri francesi. Anche se il sovrano fece di
tutto per rendere ben accetta alla popolazione la nuova classe dirigente il malcontento non venne
placato. In questo clima non sorprende che i moti rivoluzionari scoppiati a Palermo nel 1282
raccolsero vasti consensi. Re Carlo che aveva già avviato i suoi piani di conquista verso oriente e la
popolazione aveva notato come a differenza di quanto accadeva per il regno d'aragona le
conquiste
di Carlo avevano natura prettamente militare. I siciliani, usciti vincitori dalla rivolta avevano offerto
la corona di Sicilia a Pietro III. Il pontefice però considerando gli aragonesi come usurpatori bandì
contro di loro una crociata che fu affidata al re di Francia Filippo l'ardito. La crociata portò
all'allargamento del teatro di guerra in cui venne coinvolta la catalogna. Il pontefice Bonifacio VIII
creò le condizioni per giungere nel 1295 al trattato di anagni secondo il quale il nuovo re d'aragona
riconobbe il ritorno in Sicilia degli angioini. I siciliani si ribellarono nuovamente ma la pressione
diplomatica del pontefice portò nel 1302 al trattato di caltabellotta in base al quale Federico III fu
riconosciuto re col titolo di re di trinacria e l'intesa che alla sua morte il regno sarebbe tornato agli
angioini. Alla morte di Federico III l'isola restò però sotto la dinastia aragonese fino al 1372 quando
Giovanna I d'Angiò riconobbe la situazione come definitiva. Al seguito dello scoppio della rivolta
del vespro, Carlo d'Angiò fu sul punto di perdere il suo regno oltre che aver dovuto rinunciare alle
sue mire espansionistiche nel mediterraneo. Nel 1284 il figlio del re ingaggiò uno scontro navale al
largo di napoli contro una flotta siculo-aragonese dove fu sconfitto e fatto prigioniero. Il ritorno del
re valse però a superare il momento critico. La ripresa della dinastia angioina fu molto rapida ma
possibile grazie anche al deciso appoggio papale ed anche del sostegno degli uomini d'affari
toscani
che in cambio ottennero facilitazioni doganali oltre a feudi e cariche. Comunque l'avvento della
dinastia angioina coincise con una grande accelerazione dell'economia meridionale e
dell'emergere
di napoli come piazza economica di prim'ordine. A questo si aggiunse una ritrovata nascita
culturale, seguita da un'innovazione edilistica ed urbanistica. L'epoca d'oro di Napoli coincise con il
regno di Roberto il saggio. La conquista del meridione da parte degli Angiò portò ad una
stabilizzazione della situazione politica in tutta la penisola poiché portò allo sviluppo delle
autonomie comunali che al nord si erano già sviluppate nei secoli precedenti. All'interno di questo
comuni furono frequenti le lotte di classe, motivo dei conflitti furono principalmente le ripartizioni
del carico fiscale sulla base della valutazione del patrimonio. Spesso i nobili per rivendicare una
superiorità sul popolo si rifiutavano di pagare le imposte che tra l'altro crescevano via via che il
bisogno finanziario del comune cresceva. Un altro argomento di discussione era la ripartizione
delle
cariche elettive che i nobili cercavano sempre di monopolizzare. Nonostante le discordanze il ruolo
dei comuni nello stato angioino crebbe sempre di più. Con l'avvento al trono di Giovanna I nel 1343
si aprì per la casa d'Angiò un periodo di crisi in quanto il re d'Ungheria avanzando pretese sul trono
del regno di Sicilia invase il regno nel 1348 puntando su Napoli. Gli ungheresi si ritirarono nel 1352
consentendo alla regina di avviare una grande opera di restaurazione. La crisi dinastica tuttavia era
ben lontana da una soluzione, Giovanna I non aveva eredi diretti e questo portò il nipote Carlo III
ad invadere Napoli, Carlo III era esaltato come padrone d'Italia ma morì assassinato nel 1386 dopo
aver tentato di cingere la corona d'Ungheria. Il figlio Ladislao si concentrò sui domini italiani allora
sconvolti dalla guerra civile. A lui successe Giovanna II che adottò come figlio e successore il re
d'aragona Alfonso V. La Sicilia non tornò in mano agli angioini ma rimise sotto un ramo collaterale
della dinastia aragonese che si trovò in una posizione di debolezza nei confronti della nobiltà
siciliana visto il costante impegno militare in cui erano impiegati. La monarchia risultava essere in
completa balia del baronaggio. Con l'avvento di Pietro IV il regno venne riunificato dopo uno
scontro con dei baroni ribelli e fu dotato di un parlamento, venne cosi instaurato un collegamento
tra monarchia e poteri locali. La Sicilia ormai ridotta ad un viceregno nonostante la sua economia
fosse in rapida ripresa rimase definitivamente legata agli aragonesi che restarono sul trono. La
Sicilia pervenne al Alfonso il magnanimo e tramite il pagamento di una ingente somma di denaro
fu
conquistato il regno di Napoli. Per il regno di Napoli si combatté nuovamente dal 1435 quando
Giovanna ed il figlio adottivo Luigi morirono. Alfonso fu sconfitto e fatto prigioniero dal conte di
Milano Filippo Maria Visconti con in quale però strinse un'alleanza grazie alla quale riprese la
conquista del regno, finché nel 1442 conquistò Napoli. La ricostituzione del regno di sicilia
contribuì al nuovo disegno di politica economica di Alfonso che avviò tra l'altro un'opera di
rinnovamento e razionalizzazione delle strutture politiche potendo avere di rimando un rapido
controllo delle sue risorse.
Capitolo 23: chiusure oligarchiche e consolidamento delle istituzioni in Italia centro-
settentrionale
Le istituzioni comunali si caratterizzarono per la loro perenne instabilità. La causa era la dinamica
sociale nuova che portava anche all'ascesa di famiglie nuove ed al tentativo da parte di categorie
sociali, fino ad allora ai margini della società, di allargare i propri spazi "democratici". I comuni dal
canto loro si mostrarono incapaci di dotarsi di saldi ordinamenti sociali. Le instabilità appaiono in
via di superamento nel corso del '300 quando le istituzioni comunali presero una piega in senso
signorile. Il passaggio da signoria a comune non avvenne bruscamente, i primi esempi di signorie si
possono trovare in Italia settentrionale, il primo a Ferrara, per poi espandersi fino alla signoria dei
Medici a Firenze. Le vie verso il governo signorile si erano aperte anche dove il popolo aveva
raggiunto il potere. Rimaneva però sempre pilotato dall'aristocrazia e dal popolo grasso. In Italia la
formazione delle signorie coincise con una serie di tentativi espansionistici che contribuirono a
semplificare il quadro politico italiano attraverso la formazione di organismi politici più vasti.
L'espansionismo del resto era parte integrante della politica signorile poiché i signori giungevano al
potere attraverso una rete di contatti anche esterna al comune. In Italia centro-settentrionale
intorno
al tre-quattrocento si formò la tendenza ad operare formazioni politiche di carattere regionale,
significativo fu il caso di Firenze che nel 1421 controllava quasi tutto il territorio dell'attuale
toscana e buona parte del litorale. In questo clima di crescente espansione territoriale anche lo
stato
della chiesa mirava a costituirsi dei saldi domini. Il punto di partenza fu l'antico patrimonium petri
ovvero i territori di bisanzio che i re franchi avevano donato ai pontefici nel corso del VIII secolo.
Questi domini però non avevano mai costituito una coerente dominazione politico-territoriale a
causa del proliferare di diversi centri di potere e dei diritti che gli imperatori rivendicavano sulle
loro terre. La situazione si andò risolvendo quando all'inizio del duecento con la crisi imperiale gli
imperatori abbandonarono ogni pretesa sulle terre papali. Si cercò di trasformare il dominio papale
in governo effettivo dividendo il territorio in sette provincie ognuna amministrata da un rettore che
deteneva diversa autonomia. Con il trasferimento del papato ad Avignone però le cose per Roma
peggiorarono in quanto fu in balia della signoria locale. Dopo la breve esperienza a Roma di Cola di
Rienzo, il potere pontificio venne ripristinato in maniera magistrale dal legato pontificio Egidio di
Albornoz che emanò tra l'altro le cosidette costituzioni egidiane che diedero allo stato pontificio
una
configurazione destinata a durare fino al 1816. I modelli di organizzazione politica erano
sostanzialmente tre: Quello dei visconti, quello fiorentino e quello veneziano. I visconti avevano
inglobato nel loro dominio un numero elevato di comuni ma omogeneizzare il tutto fu ritenuto
impossibile per cui i comuni vennero lasciati in vita come amministrazioni territoriali dello stato.
Nello stesso tempo fecero largo uso delle istituzioni feudo-vassallatiche per inquadrare nello stato
le
vecchie signorie locali. Lo stato visconteo prese le sembianze di uno stato moderno in quanto gli
interventi del duca negli ambiti di competenza locale si facevano sempre più frequenti. A Firenze la
situazione era diversa, si diede infatti maggior autonomia alle comunità rurali per tentare di
sganciare il contado dall'influenza di grandi città come Pisa, Arezzo e Pistoia. I ceti urbani
protestarono perciò Firenze abbandonò questa strada rinunciando a dare al suo stato un
ordinamento
più moderno per venire a capo delle resistenze dei suoi centri urbani. Venezia adottò una via di
mezzo, l'amministrazione locale venne lasciata nelle mani dei centri urbani non perdendo però
occasione per ridimensionare il suo potere occupandosi continuamente in questioni di competenza
dei consigli municipali. Il risultato fu la costruzione di una stato omogeneo in grado di resistere più
agilmente ai momenti di difficoltà.
Capitolo 24: al di là dei confini dell'impero e le altre realtà politiche del continente euro-asiatico
Nel corso del tre-quattrocento l'impero andava configurandosi sempre più come uno stato identico
agli altri. Il regno di Tamerlano segnò la conclusione delle ondate di popoli invasori. La caduta di
Costantinopoli concluse l'esperienza dell'impero bizantino e aprì le porte dell'Europa all'islam. La
massa informe di stati che sembrava l'Europa nel corso del medioevo assunse via via sempre più
forma nell'avvicinarsi dell'età moderna. In scandinavia una volta esauritasi la fase delle scorrerie
normanne si erano formati i regni di Danimarca, Svezia e Norvegia dove il consolidamento del
potere monarchico andava di pari passo con l'evangelizzazione operata dai missionari tedeschi.
Anche la società si evolveva prendendo come modello quella dell'Europa centrale. Con il
proliferare degli scambi commerciali si giunse alla formazione di una aristocrazia mercantile. La
Boemia si costituì al tempo di Ottone I come ducato sotto la sovranità del re di Germania. Nel 1085
i duchi ottennero il titolo di re e quando il trono passò ai conti di Lussemburgo, Praga conobbe un
periodo di splendore. Sotto Carlo IV si assisté alla formazione del sentimento nazionale ceco.
Questo sentimento si manifestò sotto forma di insofferenza nei confronti della presenza germanica
ai vertici della chiesa e nelle attività produttive. I cavalieri teutonici si trasferirono in Europa
quando la fine degli stati crociati era segnata, impegnandosi nell'evangelizzazione e colonizzazione
dei territori oltre l'Elba. I membri dell'ordine teutonico si dividevano in quattro categorie
• i cavalieri provenienti dalla nobiltà
• i preti
• i serventi
• i confratelli
La cellula base era il convento, normalmente collocato in un castello. Il capitolo provinciale
prussiano si configurò subito come uno stato indipendente. La loro opera colonizzatrice giunse fino
all'Estonia. I metodi assai brutali nei confronti delle popolazioni assoggettate rese il loro dominio
sempre più mal sopportato. La Polonia era nata dall'aggregazione di vari stati tra l'Oder e la Vistola
raggiungendo al tempo di Boleslao il prode, anche una discreta estensione territoriale. Alla fine
dell'XI secolo però la Polonia si divise nuovamente, la restaurazione regia venne riavviata agli inizi
del trecento con Casimiro il grande. Con la conversione al cattolicesimo della Lituania si formò un
grande stato politico lituano che infranse tra l'altro la potenza dei cavalieri teutonici. Il principato di
mosca era nato come entità politica e dopo essersi ripreso dalla sconfitta dei tartari cercò di
portare
il suo predominio nella zona dell'alto volga. Il modello religioso moscovita era legato a quello
bizantino, per cui le cariche politiche erano molto vicino a quelle ecclesiastiche. Con tamerlano
l'impero dell'orda d'oro portò a compimento le sue ultime campagne per l'espansione. I turchi
impossibilitati ad espandersi verso est ripiegarono verso ovest conquistando gran parte della
Turchia
e arrivando nel 1452 a conquistare Costantinopoli, ultima roccaforte caduta sotto Maometto II. I
turchi poterono così dilagare in Grecia e nei Balcani. Non essendo capaci di assorbire la cultura dei
popoli assoggettati gli stessi mantennero le proprie tradizioni e la propria cultura. Il potere politico
e
religioso era concentrato nelle mani del sultano. L'esercito turco si costituì come macchina bellica
di eccezionale potenza.
Capitolo 25: la chiesa tra crisi istituzionale e dissenso religioso
Nel 1309 a seguito del conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il bello la sede papale era stata spostata
da Roma ad Avignone. La nuova sede papale subì la pesante influenza della corte francese, tutti i
papi del periodo avignonese furono di origine francese, come la maggior parte dei cardinali
nominati. La tranquillità di Avignone contribuì allo sviluppo dell'organizzazione della curia, il
nascere del nuovo apparato burocratico-amministrativo consentì ai pontefici di accentrare in loro il
controllo della chiesa , anche la nomina di vescovi e abati maggiori dei monasteri divenne esclusiva
competenza papale. Questo nuovo sistema si era reso necessario per sottrarre la chiesa dalle
ingerenze delle comunità locali. D'altro canto anche i vescovi restarono scontenti poiché si
vedevano privati dei loro benefici derivanti dalla loro condizione. Dato che il papato si occupava
anche di materie in ambito giurisdizionale, i tribunali curiali iniziarono a produrre documenti di
ogni genere. Vennero regolamentati diversi uffici come la cancelleria o la camera apostolica che si
occupava della gestione delle finanze. Tutto questo si pose quindi come coronamento di secoli di
sviluppo della monarchia papale che comunque nel periodo avignonese subì una forte
accelerazione. Dato che la chiesa aveva quasi abbandonato il suo ruolo di guida spirituale per
acquistarne uno prettamente temporale, iniziò ad attirarsi l'inimicizia di molti illustri personaggi del
tempo. La reazione papale fu dura, anche i disobbedienti, non strettamente correlati alla dottrina
furono dichiarati eretici, come nel caso dei ghibellini italiani. Già nel concilio di Lione del 1274 si
era cercato di limitare la fondazione di nuovi ordini religiosi, specialmente se si trattava di ordini
mendicanti. Venne imposto agli ordini nati dopo il 1215 di non accettare nuovi membri,
imponendo
altresì ai restanti membri di trasferirsi presso ordini già approvati dalla santa sede. Gli apostolici
non accettarono l'imposizione e vennero perseguitati come eretici. Il nuovo leader degli apostolici,
Dolcino, dotato di una profonda preparazione biblica elaborò una concezione più complessa della
salvezza, che prevedeva la distruzione della chiesa carnale di Bonifacio VIII. Per sfuggire alle
persecuzioni Dolcino e i suoi seguaci si rifugiarono in Valsesia dove le sue file si ingrossarono per
l'affluire di nuovi seguaci dall'Italia centro-settentrionale. La lotta operata dai dolciniani ha indotto
a
vederla come la prima lotta di classe anche se i dolciniani non avevano idea di questo ma miravano
soltanto alla costituzione di una chiesa più uguale e giusta. Nel 1357 tuttavia un esercito promosso
da Clemente V distrusse gli ultimi nuclei di resistenza dolciniana. In Europa un altro uomo era
destinato ad attirarsi l'ira del pontefice, Giovanni Wyclif che tradusse la bibbia in inglese e criticò la
mondanizzazione della chiesa predicando un ritorno alla povertà alla quale si univa anche la critica
ad elementi fondamentali della dottrina, come la scomunica o le decime. I suoi discepoli detti
lollardi diffusero la dottrina anche se il suo pensiero fu condannato come eretico. Nonostante tutto
il
movimento si esaurì nel corso del quattrocento. Altro eretico fu Giovanni Hus che riprese le teorie
di Wyclif ribadendo la critica al mondanismo e alla piega monarchica. Hus fu condannato al rogo
come eretico nel 1415. Nel frattempo erano maturati i tempi per un ritorno della chiesa a Roma, la
tranquillità di Avignone però trattenne i pontefici per ancora qualche tempo. Il ritorno definitivo
del
papato a Roma si ebbe nel 1377 con Gregorio XI che si fece precedere da bande armate e da un
suo
legato. Contribuirono ad accelerare il ritorno del papato a Roma furono anche le incursioni nel
territorio provenzale perpetrate da truppe sbandate che erano impegnate nella guerra dei
cent'anni. Il
papato attraversò un periodo scismatico a partire dal 1379 anno in cui venne eletto l'antipapa
Clemente VII che si pose in antagonismo nei riguardi di Urbano VI. Lo scisma non si risolse così
presto come si era creduto inizialmente, il riconoscimento della curia divenne per i regnanti
europei
un argomento di lotta politica. In questo clima il prestigio della dignità sacerdotale si abbassò
ulteriormente, donando nuova linfa alla lotta contro la corruzione della chiesa. Per sbloccare la
situazione venne convocato un concilio universale a Pisa nel 1409 dove vennero deposti entrambi i
pontefici, Gregorio XII e Benedetto XIII e dove venne eletto Alessandro V. Tuttavia il concilio non
fu riconosciuto e ai due pontefici se ne aggiunse un terzo. Anche se il concilio di Pisa non era stato
organizzato al meglio rimase convinzione che fosse proprio il concilio lo strumento necessario per
risolvere il problema. Promotori di questa iniziativa furono Giovanni XXIII, successore di
Alessandro V e l'imperatore di Germania Sigismondo. Il concilio venne riunito a costanza nel 1414,
vi parteciparono numerosi canonisti e principi. Nel 1415 si giunse al decreto Haec Sancta secondo il
quale il concilio universale derivava il suo potere direttamente da dio avendo autorità anche sul
pontefice. Venne successivamente deposto il pontefice pisano e poi Benedetto XIII. Gregorio XII si
dimise spontaneamente. Dopo un conclave di brevissima durata venne eletto Martino V. Venne
anche decretato che il concilio universale dovesse essere convocato ogni dieci anni e Martino pur
mostrando il suo scarso entusiasmo convocò un concilio a Pisa nel 1423 per affrontare i temi della
riforma della chiesa. I lavori si chiusero di nuovo con un nulla di fatto. Dopo sette anni dal 1431 fu
convocato un secondo concilio a Basilea che stabilì di ridimensionare i poteri del papato e di ridare
alle diocesi locali la loro autonomia. Il papa, contrario a tali riforme bloccò il concilio per trasferirlo
in Italia ma i conciliarsi più radicali non obbedirono e processarono Eugenio IV dichiarandolo
decaduto. Venne designato come successore Felice V. La successione ebbe però vita breve e nel
1449 venne nuovamente riconosciuta l'autorità del pontefice romano Niccolò V. L'esperienza del
concilio di Basilea aveva insegnato ai principi che la strada migliore per il rafforzamento dei loro
poteri era di stabilire dei trattati con il papato per delimitare chiaramente le rispettive sfere di
influenza. In cambio del riconoscimento della superiore autorità papale si chiedeva la possibilità di
tassare i beni ecclesiastici, il controllo delle cariche più importanti e la competenza dei tribunali
civili in materia ecclesiastica. In Francia si sviluppò in questo periodo una chiesa nazionale detta
gallicana. Superata la crisi dei concilio, il papato si concentrò sul recupero del terreno perduto;
anzitutto il pontefice Pio II stabilì che l'autorità suprema della cristianità restava il papato e non il
concilio, contemporaneamente si sviluppava l'apparato burocratico e cresceva il prestigio del
collegio cardinalizio. Un altro problema era rappresentato dal recupero del governo effettivo sullo
stato della chiesa che venne recuperato in maniera efficace facendo uso del nepotismo. Lo
sviluppo
di un efficiente sistema fiscale diede inoltre al papato una ingente disposizione finanziaria, dando
vita al fenomeno del mecenatismo ed a una opera di restaurazione edile di Roma. I rinnovati
impegni di governo dei pontefici avevano come conseguenza quella di distoglierli dalla cura delle
anime, l'amministrazione dei culti però continuò in maniera sorprendente in quanto anche in
assenza dei vertici ecclesiastici le istituzione base come le parrocchie continuavano incredibilmente
a funzionare. Variegato si prestava anche il mondo dei chierici che risultava comunque attiva sulla
sacralità basale. Un movimento molto attivo sopratutto nelle popolazioni urbane era rappresentato
dall'associazionismo laico e dal monachesimo. Il fenomeno del monachesimo subi
un'accelerazione
nel corso del quattrocento quando sia gli ordini mendicanti, sia i vecchi rami dell'ordine
benedettino
diedero attuazione al tanto atteso rinnovamento che agitava il mondo cristiano. Fu allora che prese
piede il così detto movimento dell'osservanza, nato per richiamare i monaci e i chierici al rispetto
completo delle norme.
Capitolo 26: alla ricerca di un difficile equilibrio e la politica e cultura nell'Italia del quattrocento
La caduta di Costantinopoli non valse a far adottare misure concrete per scongiurare una ulteriore
espansione dei turchi in Europa, i regni europei infatti erano alle prese con gravi problemi interni
dopo le crisi e le lotte dinastiche del tre-quattrocento. Gli stati italiani apparivano esausti dopo i
ripetuti ed inutili tentativi di imporre la propria egemonia sulla penisola. A causa di questi tentativi
Milano, Venezia e Firenze consolidarono i loro organismi politici e si delinearono su base regionale.
Occorre tornare a parlare del ducato di Milano, dove Filippo Maria Visconti era rimasto solo nel
1412 alla guida del ducato, aveva avviato il recupero dei territori perduti. Filippo Maria Visconti
non si limitò al ripristino del suo territorio ma lanciò i suoi condottieri alla conquista di nuovi
domini. Si formarono quindi diverse reti di alleanze formate da città spaventate per la continua
espansione viscontea, città come Siena e Firenze ed in seguito anche il papa ed il duca di Savoia
strinsero alleanza. Da questo clima distensione scaturì una guerra che durò più di vent'anni (1423-
1447), fu ricca di colpi di scena, intrecciandosi anche con le lotte dinastiche degli stati coinvolti. Per
tenere sotto controllo i comandanti dei contingenti mercenari i principi iniziarono a concedere a
questi personaggi feudi e benefici. Un primo stop alla guerra ci fu nel 1433 con la pace di Ferrara
secondo la quale Venezia poteva tenere i territori conquistati. Il conflitto riesplose già l'anno
successivo ed il ducato di Milano conservò l'iniziativa. Il conflitto andò complicandosi a causa del
coinvolgimento del meridione dove era già in corso una lotta tra gli Angiò e gli Arragona per la
successione a Giovanna II. A Firenze gli insuccessi militari contro il duca di Milano avevano
screditato il potere oligarchico creando le condizioni per l'avvento del potere dei Medici, nella
persona di Cosimo De Medici che diede nuovo slancio all'alleanza con Venezia in funzione
antiviscontea. Un'altra effimera pace venne firmata a Cremona nel 1441 ma nuovamente il
conflitto
si riaccese l'anno successivo, questa volta le parti furono sconvolte dalla morte del Duca di Milano
avvenuta nel 1447. Ne rivendicarono l'eredità molto personaggi in vista dell'epoca ma le famiglie
nobili milanesi proclamarono nello stesso anno la repubblica Ambrosiana. Dopo più di vent'anni di
guerra il Ducato di Milano era in preda al marasma più completo, Firenze non aveva ottenuto
vantaggi territoriali dalla guerra pur avendo investito ingenti somme, mentre Venezia era diventata
l'unica potenza esistente in Italia, temuta addirittura dai propri alleati. Quando Venezia dimostrò la
volontà di espandere i propri domini nel lodigiano coloro che si sentivano minacciati, ancora una
volta si coalizzarono contro l'aggressore. I Milanesi sconfissero i Veneziani presso Caravaggio nel
1448 e nel 1450 Francesco Sforza venne nominato Duca. Venezia non si diede per vinta e riprese
l'offensiva contro Milano dopo aver stretto un'alleanza con il Ducato di Savoia e il re di Napoli,
portando avanti la guerra per altri tre anni. Il clima fu nuovamente scombussolato dalla caduta di
Costantinopoli e dal successivo appello del papa contro i turchi. Venezia mise fine alla guerra per
concentrarsi sui suoi domini orientali che sarebbero stati quelli più interessati dall'avanzata turca.
Si
giunse quindi alla pace di lodi, firmata nel 1454 che sancì la definitiva ascesa di Francesco Sforza
come Duca di Milano ed il riconoscimento delle conquiste venete in Lombardia. Per rendere più
stabile la pace Milano, Venezia e Firenze diedero vita alla Lega Italica che venne estesa l'anno
seguente al papa, al re di Napoli e a Borso D'Este. La Lega aveva lo scopo di impedire qualsiasi tipo
di tentativo espansionistico ai danni degli stati aderenti. L'accordo aveva durata di venticinque anni
e contemplava anche la formazione di un esercito comune la difesa che però non venne mai
realizzato. Delineando un quadro degli stati italiani dopo la pace di Lodi troviamo Venezia,
concentrata sulla difensiva dei propri interessi commerciali e dei suoi possedimenti
orientali. Venezia perse nel 1470 l'isola di Eubea ma acquistò Cipro dall'ultima regina. Il rapporto
con i turchi risultò sempre estremamente precario all'interno di un accordo che prevedeva per i
veneziani libertà di commercio in cambio del pagamento di tasse doganali non troppo gravose.
A Milano Francesco Sforza non era più pressato dai veneziani, potendo cosi iniziare ad impegnarsi
affondo per ottenere consensi per la sua dinastia e rafforzare il proprio potere. Operava
attivamente
al livello diplomatico per creare un asse con Firenze e Napoli da porre a difesa degli equilibri
italiani, favorì all'interno del suo dominio la ripresa dell'attività agricola e manifatturiera. Con
l'avvento al potere del figlio Galeazzo Maria iniziarono le prime difficoltà che culminarono con il
suo assassinio nel 1476. Il potere dopo un breve conflitto dinastico venne reclamato da Ludovico il
Moro. Tra Milano e Venezia stava il Marchesato di Mantova retta dai Gonzaga che dopo aver esteso
i propri domini verso il lago di Garda dovette faticare non poco per mantenersi in equilibrio nel
difficile clima politico italiano. In una situazione simile si trovavano gli Estensi di Ferrara, Modena e
Reggio, da tempo soggetti alla pressione veneziana che ottenne vaste conquiste grazie alla pace di
Bagnolo stipulata nel 1484 a seguito di un conflitto esploso per contrastare la politica nepotista di
Sisto IV. Si trova inoltre nel settentrione il principato di Trento, i Marchesati di di Saluzzo,
Monferrato e Ceva e la Contea di Asti, tutti retti da dinastie di origine feudale. Il Ducato di Savoia
gravitava nell'orbita della Francia almeno fino al 1478 quando ne divenne un effettivo dominio.
La Repubblica di Genova si presentava molto debole dato che aveva evitato di assumere impegni
militari seri per concentrarsi sulla sua politica commerciale non rifiutandosi in alcun periodo di
essere dominata da francesi, milanesi o dal pontefice. Altre città ad aver mantenuto ordinamenti
comunali furono Siena, Lucca e Bologna, quest'ultima però alla fine cadde come dominio dello
stato pontificio. Roma o meglio lo stato pontificio vide riconosciuta la propria sovranità in buona
parte della Romagna alla quale comunque fu lasciata molta autonomia a varie realtà comunali.
Nella politica italiana della metà del quattrocento Firenze grazie ai suoi governanti esercitò il suo
dominio su un'area paragonabile alla metà del territorio complessivo di Venezia. Il merito fu della
politica estera attuata dai Medici. La politica estera medicea venne caratterizzata da un costante
opportunismo per frenare i vari pericoli espansionistici da Venezia, da Milano e dal Regno di
Napoli. L'inizio del potere Mediceo fu caratterizzato dal quasi nullo riconoscimento formale al loro
potere che si reggeva in piedi grazie alla solidità economica della famiglia. I Medici puntarono
quindi alla "manomissione" delle entità comunali già esistenti non avendo la forza per abolirle
totalmente. Proprio per questa mancanza di legittimità non mancarono famiglie che considerando i
giochi ancora aperti non mancavano di organizzare congiure. L'origine della calda situazione
fiorentina era da ricercare nella politica nepotistica di Sisto IV che pretendeva dai Medici il denaro
per riscattare Imola e darla in signoria al nipote. Al rifiuto dei Medici il pontefice si rivolse la
famiglia dei Pazzi che accettarono di versare la somma richiesta ed organizzarono una congiura con
la collaborazione di Girolamo Riario che vedeva dei Medici un ostacolo alla sua espansione in
Romagna. La congiura fu fissata per il 26 aprile 1478. il risultato fu l'assassinio di Giuliano De
Medici e il ferimento di Lorenzo, la reazione popolare portò all'uccisione di molti dei Pazzi e dello
stesso arcivescovo Salvati. La reazione papale non si fece attendere, Lorenzo De Medici venne
scomunicato e Firenze venne dichiarata interdetta. Il papa inoltre dopo aver portato dalla sua parte
il
Re di Napoli e Siena sconfisse Firenze presso poggio imperiale. Lorenzo allora si recò a colloquio
con il Re di Napoli col quale strinse alleanza lasciando quindi solo il papa, che non poté far altro
che venire a patti, firmando un accordo nel 1480 che prevedeva il ritorno allo status quo e
l'annullamento dell'interdetto su Firenze. L'alleanza con Milano e Napoli resse assai bene specie
durante la rivolta dei baroni nel meridione, alla quale aderirono personaggi di altissimo livello.
Innocenzo VIII nonostante la pazienza di Re Ferrante di trovare una soluzione diplomatica, non
esitò a ricorrere alle armi chiedendo anche l'aiuto di Venezia. La diplomazia di Lorenzo il
Magnifico era in piena attività per bloccare il dilagare del conflitto giungendo quindi alla pace nel
1486 nella quale il Re si impegnava a pagare un contributo regolare alla chiesa in segno di
vassallaggio, a perdonare i baroni ribelli e ad accettare l'invio di un legato pontificio che avrebbe
dovuto occuparsi dei rapporti con i feudatari. Re Ferrante però ottenuto l'obiettivo di dividere il
fronte avversario punì tutti i personaggi in vista che parteciparono alla rivolta facendoli arrestare e
giustiziare dopo un sommario processo. Con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 si chiuse
per l'italia un periodo dove era possibile risolvere rapidamente i vari conflitti. Con l'avvento al
potere di Lorenzo il Magnifico l'Italia aveva raggiunto il massimo del suo elevamento culturale
iniziato verso la fine del trecento da uomini letterati come Coluccio Salutatio Leonardo Bruni che
prendendo esempio da Francesco Petrarca di diedero grande fervore per recuperare le opere di
scrittori classici. Il loro scopo era quello di superare la mentalità medievale e riaccostarsi alle opere
classiche per comprenderne il vero significato. Proprio in questo periodo, il medioevo venne
considerato come un periodo negativo nel suo complesso poicé conobbe una decadenza in tutti i
campi del sapere. L'ideale della nuova cultura umanistica si proponeva di riprendere il colloquio
con gli autori antichi per farne nuovi modelli di formazione di imitazione. Questo periodo vide
anche la nascita della filologia ovvero del metodo critico nell'esame dei testi antichi e di ogni forma
di espressione e di pensiero che divenne in seguito una componente essenziale del pensiero
umanistico. La nuova disciplina filologica permise di dimostrare la falsità della donazione di
Costantino a papa Silvestro. Un episodio che accelerò il recupero della cultura classica fu senz'altro
la conquista di Costantinopoli che provocò il trasferimento di diversi ecclesiasti e dotti bizantini.
L'umanesimo però aveva un'ambiguità di fondo dato che l'esaltazione della cultura classica
implicava anche il'esaltazione del mondo pagano il che rendeva problematico il rapporto con la
cristianità che i più tendevano ad eludere. Vi furono poi casi di filosofi che pubblicarono opere
nelle
quali il cristianesimo veniva integrato perfettamente nella filosofia platonica. La nuova corrente di
pensiero ebbe i suoi punti di forza in alcuni centri ed in alcuni gruppi di intellettuali: Firenze, che
ne fu la culla e Roma che fu l'unico centro in grado di tenere il passo con Firenze, per poi superarlo
all'inizio del cinquecento. Anche la corte angioina di Napoli divenne un importante centro
umanistico. Anche a Milano Ludovico il modo attuò una buona politica per quanto concerne il
mecenatismo. Le corti europee ed italiane però non videro solo la grande produzione artistico -
letteraria ma anche quella musicale. Il quattrocento vide la nascita del professionismo facendo di
conseguenza diventare richiesti i musicisti di fama. Il quattrocento vede la netta egemonia della
musica fiamminga specialmente nel campo della musica sacra. L'epoca d'oro per la musica italiana
sarà il cinquecento che vedrà finalmente l'imporsi di artisti italiani. Nello stesso periodo si andava
configurando una nuova figura nelle corti italiane ed europee, l'ambasciatore. Di ambasciatori ne
erano sempre esistiti fin dall'antichità ma si trattava di inviati occasionali. L'intensità delle relazione
che si svilupparono nel corso del quattrocento portò al prolungamento delle missioni diplomatiche
trasformando il semplice inviato in un ambasciatore che dimorava stabilmente nella corte
ospitante.
Un ambasciatore doveva scrivere almeno una volta ogni due-tre giorni che affidava poi a corrieri
incaricati della consegna. Al servizio degli ambasciatori vennero create anche le "poste" ovvero
stazioni per il cambio dei cavalli organizzate da osti e mercanti per velocizzare le operazioni di
consegna della corrispondenza. Contemporaneamente veniva operata una centralizzazione degli
organi statali specialmente per il settore fiscale e legislativo-giudiziario. Gli interventi in campo
fiscale erano dettati dalla necessità di far accrescere le entrate statali le cui risorse erano assorbite
dal potenziamento dell'apparato burocratico, altre erano assorbite dal settore militare. Ora infatti
si
puntava all'arruolamento di eserciti stabili, dipendenti direttamente dal principe. Questa opera
riformatrice non permise tuttavia ai piccoli stati italiani di poter competere con le maggiori
monarchie europee che potevano contare sul sentimento nazionale e sulla assoluta fedeltà del
popolo verso il potere regio. Questa grande differenza apparirà evidente nel 1494 quando Carlo
VIII
di Francia scenderà in Italia. Le guerre d'Italia porteranno come conseguenza la dispersione in
Europa di letterati ed artisti che diffonderanno l'arte e la cultura italiana in Europa comunicando ad
un pubblico più ampio un secolo e mezzo di studi e ricerche.

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