Il documento riassume il Capitolo 1 del libro di storia medievale di Giovanni Vitolo. Descrive il mondo ellenistico-romano e la diffusione del cristianesimo. Spiega come l'impero romano assimilò elementi della civiltà ellenistica e come il cristianesimo iniziò a diffondersi, affrontando persecuzioni, prima di diventare la religione dominante nel IV secolo.
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Il documento riassume il Capitolo 1 del libro di storia medievale di Giovanni Vitolo. Descrive il mondo ellenistico-romano e la diffusione del cristianesimo. Spiega come l'impero romano assimilò elementi della civiltà ellenistica e come il cristianesimo iniziò a diffondersi, affrontando persecuzioni, prima di diventare la religione dominante nel IV secolo.
Descrizione originale:
Titolo originale
Riassunto del libro storia medievale Giovanni Vitolo
Il documento riassume il Capitolo 1 del libro di storia medievale di Giovanni Vitolo. Descrive il mondo ellenistico-romano e la diffusione del cristianesimo. Spiega come l'impero romano assimilò elementi della civiltà ellenistica e come il cristianesimo iniziò a diffondersi, affrontando persecuzioni, prima di diventare la religione dominante nel IV secolo.
Il documento riassume il Capitolo 1 del libro di storia medievale di Giovanni Vitolo. Descrive il mondo ellenistico-romano e la diffusione del cristianesimo. Spiega come l'impero romano assimilò elementi della civiltà ellenistica e come il cristianesimo iniziò a diffondersi, affrontando persecuzioni, prima di diventare la religione dominante nel IV secolo.
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Riassunto del libro storia medievale Giovanni Vitolo
Capitolo 1: il mondo ellenistico – romano e la diffusione del cristianesimo
La vicenda complessiva dell'impero romano ha una sorprendente somiglianza con quella di altri grandi organismi politici del tempo. A crearli furono popoli proveniente dalle steppe euroasiatiche e definiti dagli storici “indoeuropei”, per indicare appunto l'area in cui si stabilirono definitivamente. Rozzi e culturalmente meno evoluti rispetto alle popolazioni già territorialmente stabilizzate, a volte ne presero il posto, ma in genere si fusero con esse, dando vita a nuove civiltà rurali e venendo a trovarsi a contatto immediato con popolazioni seminomadi. Partendo dal mediterraneo e procedendo verso est, il primo di questi grandi organismi è la Persia, comprendente all'incirca gli attuali Iraq e Iran nonché buona parte dell'Afghanistan e del Pakistan. Conquistata da Alessandro Magno nel 331 ac, passò verso la metà del III secolo ac sotto il dominio dei Parti, cavalieri – pastori nomadi di lingua indoeuropea. Trasformatisi in sedentari, essi diedero vita a un potente impero che fu per secoli in lotta con quello romano per il dominio della Siria, dell'Armenia e della Mesopotamia. La contesa divenne più aspra con l'ascesa al trono nel 224 dc della dinastia dei Sasanidi (dal fondatore Sasan) ed ebbe fine solo all'inizio del VII secolo. Un altro grande impero fu quello della Cina il quale, grazie a Shih Hwang – Ti conobbe un vasto impero fortemente accentrato, in lotta sia contro le famiglie dell'aristocrazia terriera sia contro le razzie degli Unni dell'attuale Mongolia, che premevano dal nord. Per difendere il paese dalle incursioni, Shih Hwang – Ti fece costruire nel 215 ac la Grande Muraglia. Il limes segnava la separazione tra due sistemi di vita e due diversi equilibri tra uomo e ambiente. Da un lato, il mondo delle foreste e delle grandi valli fluviali dell'Europa Centrale e Settentrionale, dove i Germani, che pure avevano superato il nomadismo e l'economia basata sulla caccia e sulla raccolta di frutti spontanei, continuavano a spostarsi periodicamente da una radura all'altra, sotto la guida di capi militari e inquadrati in strutture sociali assai semplici. Dall'altro lato un mondo imperniato sulle città e abitato da popolazioni inquadrate in sistemi socio – culturali assai più complessi. Il mondo delle città non era una creazione tipica dei romani, essi ebbero piuttosto il merito di estendere a tutta l'aria mediterranea e anche a regioni che non ne facevano propriamente parte, come la Gallia Settentrionale, la Britannia e la parte più interna delle Regioni Balcaniche, elementi caratteristici della civiltà ellenistica, che erano stati assimilati conquistando tra II e I secolo ac i regni di Macedonia, Egitto e Siria. Il periodo compreso tra il I e il II secolo dc vide non soltanto una grande diffusione della cultura, ma anche la diffusione tra le classi meno abbienti della scrittura, in precedenza patrimonio esclusivo delle persone di cultura, dei membri dei collegi sacerdotali e dei funzionari dell'apparato pubblico. In questo periodo, inoltre, sotto la spinta di nuovi bisogni di carattere spirituale entrò in crisi definitivamente la religione ufficiale di tipo politeistico, che già da tempo si stava rivelando inadeguata a reggere il confronto sia con le nuove correnti filosofiche sia con i nuovi culti a finalità salvifiche provenienti dall'Oriente. Essi venivano professati in apposite associazioni e offrivano ai propri adepti disposti a seguire pratiche di espiazione e a produrre un forte impegno morale, la redenzione dal male e dal dolore dell'esistenza, e quindi la salvezza individuale (culto di cibele, religione del dio mitra, religione del dio sole di emesa, culto di iside e di osiride). Peculiare nel mondo romano fu piuttosto l'aspra concorrenza che si fecero per lungo tempo le varie religioni a carattere salvifico. All'inizio sembrò che dovessero trionfare il culto di cibele e quello del dio mitra, che ebbero grandissima diffusione anche negli ambienti della corte imperiale, arrivando, il secondo, al punto di diventare quasi la religione ufficiale dell'impero. Ma il processo non giunse a compimento e il mitraismo fu soppiantato definitivamente dal cristianesimo nel corso del IV secolo. Se ciò avvenne, non fu tanto per la scelta che a favore di quest'ultimo fece Costantino, quanto piuttosto come ha osservato Giovanni Tabacco, per la difficoltà di conciliare l'esuberanza dei riti e delle pratiche orgiastiche di quei culti con l'equilibrio intellettuale e morale che caratterizzava la formazione culturale delle élites cittadine. Lo stesso cristianesimo, prima diffuso all'interno delle comunità giudaiche sparse per il mondo e ai livelli sociali più bassi, divenne maggioritario solo quando si fu liberato dai toni apocalittici e da ogni forma di potenziale contestazione delle evidenti ingiustizie, la schiavitù innanzitutto, che caratterizzavano la società del tempo. A conferirgli un carattere rassicurante per il ceto dirigente romano concorreva anche il tipo di organizzazione che già nel corso del I secolo si diedero le comunità cristiane e che poggiava non più su apostoli itineranti dotati di grandi carismi, ma su una stabile gerarchia sacerdotale, formata da presbiteri (anziani) e vescovi (sorveglianti), coadiuvati da diaconi (assistenti), i quali si occupavano soprattutto dell'assistenza ai poveri e della gestione dei beni della comunità. Il merito di aver reso universale il messaggio cristiano, facendolo uscire dall'ambito della Palestina, spetta soprattutto, anche se non esclusivamente, a Paolo di Tarso. Per oltre trent'anni egli fu il punto di riferimento delle diverse comunità cristiane sparse per l'impero, visitandole direttamente o facendo giungere loro esortazioni e ammaestramenti attraverso le sue “lettere”, che costituiscono la prima sistemazione dottrinale del messaggio evangelico. La sua predicazione si svolse soprattutto nelle città, il che non sorprende, considerato il carattere eminentemente urbano della società romana. La conseguenza fu che le campagne restarono legate ai loro culti tradizionali. Di questo i cristiani ebbero subito consapevolezza, coniando per coloro che rifiutavano il messaggio di salvezza, il termine pagano, che vuol dire appunto “contadino”. Il cristianesimo dovette affrontare la difficile prova delle persecuzioni, che risultano tanto più strane se si considera che l'impero romano era in genere tollerante in materia di religione. In realtà la diffidenza verso i cristiani era di natura politica e nasceva principalmente dal fatto di essere stati in origine assimilati agli ebrei, i quali più volte si erano ribellati all'impero. Successivamente essa si fece sempre più forte e sfociò in ostilità aperta man mano che apparivano sempre più evidenti i segni di una crisi di enormi dimensioni. Tale fu quella che tra II e III secolo investì le fondamenta stesse della società romana e dalla quale si cercò di uscire, accettando sia l'intervento dello stato in ogni settore della vita economica e sociale sia il carattere sacrale del potere imperiale operazione, quest'ultima, che risultava inaccettabile ai cristiani i quali rifiutavano qualsiasi forma di venerazione religiosa nei riguardi degli imperatori. All'origine della crisi, più nota in occidente, c'erano da un lato, lo sviluppo abnorme delle città, nelle quali si era venuta concentrando una quota di popolazione troppo alta rispetto alle loro capacità produttive, dall'altro l'abbandono da parte dei contadini di terre che, per essere state a lungo sfruttate, stavano diventando sempre meno produttive. Finché fu possibile agli imperatori rifornire di grande le città dell'occidente acquistandolo in Egitto e nelle province orientali, la situazione si mantenne in equilibrio. Il peso di queste spese per il bilancio statale divenne insostenibile tra II e III secolo, quando fu necessario destinare alla difesa contro la minaccia dei germani quote sempre più rilevanti delle entrate dello stato. La crescita abnorme della spesa pubblica, come sempre, alimentò l'inflazione, dato che il disavanzo di bilancio veniva coperto incrementando la coniazione di monete, e queste, a causa della scarsità di metallo prezioso, diventavano sempre più leggere, e quindi svalutate, contribuendo così a far crescere continuamente i prezzi. All'origine della scarsità di metallo prezioso c'era un fenomeno di vecchia data, che proprio tra II e III secolo si manifestò in tutta la sua portata, vale a dire lo squilibrio della bilancia commerciale tra occidente e oriente. L'occidente infatti comprava in oriente merci di maggio valore rispetto a quelle che vi esportava e perciò andava progressivamente incontro ad un impoverimento. I contraccolpi a livello sociale e politico non tardarono a manifestarsi. Carestie, epidemie (nel 166 comparve la peste in occidente), ripresa in grande stile della pirateria e del brigantaggio, fecero da sfondo a sanguinose guerre civili tra pretendenti al trono imperiale, che misero seriamente in pericolo l'unità dell'impero, provocando la secessione di intere province. E tutto ciò proprio mentre i germani minacciavano le regioni periferiche del mondo romano. L'impero sembrava sul punto di sfaldarsi. Riuscì però a riprendersi soprattutto grazie a una serie di imperatori di grande energia e di notevole spessore politico. Essi concepirono un grandioso progetto di pace e di unità, mirando decisamente al rilancio dell'autorità imperiale in nome di valori mistico – religiosi e all'introduzione di un rigido controllo statale su tutta la società. Il personaggio chiave di questa vasta operazione politico – culturale fu Diocleziano, acclamato imperatore dall'esercito il 20 novembre 284. Per mantenere inalterato il gettito delle imposte e pre frenare l'abbandono delle campagne, i contadini furono legati in maniera definitiva alla terra, per cui fu proibita loro ogni forma di mobilità. Lo stesso si fece con artigiani e commercianti e con quanti contribuivano con la loro attività a garantire sopravvivenza delle città. Un decreto del 301, che fissava prezzi e salari, completò infine quella grande opera di burocratizzazione dell'economia che, se pur non valse a riscrivere in maniera duratura i mali profondi che affliggevano l'impero, ne ritardò tuttavia il crollo definitivo, producendo addirittura qua e la timidi segnali di rifioritura economica. Per rendere possibile un più efficace controllo del territorio e per evitare le devastanti lotte per la successione al trono, Diocleziano attuò poi una riforma della costituzione, che portò alla divisione dell'autorità imperiale tra due augusti e due cesari. Questi ultimi avrebbero dovuto succedere ai primi, nominando a loro volta altri due cesari. Diocleziano, in quanto primo augusto, accentuò sempre più il suo ruolo sacrale, atteggiandosi progressivamente a vera e proprio divinità terrena. Nel contesto di questo disegno generale di pianificazione il cristianesimo, con il suo intransigente monoteismo, e con la sua netta chiusura nei riguardi delle altre religioni che nel corso del III secolo si contendevano le coscienze delle popolazioni del mondo romano, fu avvertito da Diocleziano come un elemento di pericolo per la pace e l'unità interna. Perciò fu fatto oggetto di una grande persecuzione a partire dal 303. Il suo successore, Costantino, che pure aveva personalmente aderito alla religione del sole invincibile (la divinità degli eserciti, il cui culto si era diffuso al tempo dell'imperatore Aureliano), ebbe invece l'intuizione che il cristianesimo non solo non era affatto incompatibile con il dirigismo teocratico dell'imperatore, ma poteva addirittura diventarne un elemento di forza. E la scelta di Costantino si rivelò tanto più felice se si considera che l'adesione della chiesa all'impero fu veloce e piena. La chiesa si ritrovava con un assetto organizzativo abbastanza labile e con una dottrina non elaborata in maniera definitiva. Il primo problema fu risolto in modo abbastanza semplice attraverso la creazione di un ordinamento ecclesiastico aderente ai quadri amministrativi dell'impero. Ogni comunità cristiana, che formava una chiesa locale in comunione con la chiesa universale, era governata da un vescovo, proveniente per lo più dalle famiglie dell'aristocrazia, il quale operava nell'ambito della diocesi, tendenzialmente coincidente con il territorio del municipio. Successivamente fu attuato un coordinamento tra i vescovi di una stessa provincia attraverso l'attribuzione di un ruolo di preminenza al vescovo della chiesa metropolitica, della chiesa cioè formatasi nella metropoli della provincia, a volte in seguito alla predicazione degli stessi apostoli e in questo caso si parla di chiese di origine apostolica. Tra le prime chiese metropolitiche sono da ricordare Efeso, Tessalonica, Corinto, Cartagine e Milano. I compiti dei metropoliti che in seguito si diranno “arcivescovi” erano fondamentalmente tre: - consacrare i vescovi eletti dal clero e dal popolo della diocesi - esercitare la giurisdizione di appello sulle decisioni dei vescovi - presiedere i sinodi provinciali, le riunioni cioè dei vescovi della provincia Le sedi vescovili più importanti presero il nome di patriarcati e si trattava di Roma, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, tutte di origine apostolica, alle quali si aggiunse Costantinopoli, la nuova Roma, che Costantino proclamò nel 330 capitale dell'impero. Tra esse il primato sembrò all'inizio spettare incontestabilmente a Roma, autoproclamatasi sede apostolica per eccellenza, sia perché vi subì il martirio Pietro, vicario di Cristo, sia perché capitale dell'impero. Nel momento però in cui la capitale veniva trasferita a Costantinopoli e l'occidente si avviava a diventare l'appendice di un impero che si stava organizzando per difendere solo le sue province orientali, anche il primato della sede romana era destinato ad essere considerato in maniera non univoca in occidente mentre in oriente era considerato come semplice primato d'onore. Il secondo e più spinoso problema che si trovò di fronte il cristianesimo che usciva dalle persecuzioni di Diocleziano era la sistemazione in un vero e proprio corpus dottrinale. E fu proprio l'elaborazione della dottrina cristiana il terreno più aspro di scontro all'interno della chiesa. La polemica esplose agli inizi del IV secolo in seguito al diffondersi della dottrina del prete Ario di Alessandria, il quale sosteneva che il figlio di Dio incarnatosi in Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del padre, ma era a lui subordinato. Alla fine si trovò una soluzione e per tanti aspetti gravida di conseguenze per il futuro. Non essendo l'episcopato dotato di organi decisionali in grado di importi alla chiesa universale, l'imperatore Costantino, che non era a questo momento battezzato, fu indotto a riunire nel 325 a Nicea quello che viene considerato il primo concilio ecumenico, cioè universale. In quella occasione la dottrina di Ario fu condannata all'unanimità, ma ciò avvenne non tanto per le capacità di persuasione dei vescovi antiariani, quanto piuttosto per le pressioni dell'imperatore. Questi voleva ad ogni costo salvaguardare la pace religiosa soprattutto in Asia Minore, l'unica parte dell'impero in cui già in quel momento il cristianesimo aveva conquistato la maggioranza della popolazione. Quello che sarebbe potuto apparire come un fatto episodico era destinato invece a diventare l'inizio di un processo che vide procedere parallelamente da un lato la formazione di una nuova ideologia imperiale che assegnava all'imperatore la suprema responsabilità nella difesa dell'ortodossia, e dall'altro l'elaborazione definitiva di una dottrina, che a questo punto può dirsi effettivamente cattolica, cioè dichiarata valida per la chiesa universale. È da questo momento che si può legittimamente parlare di eresie, cioè di dottrine che si oppongono a verità proposte come tali dalla chiesa. Ma l'arianesimo, sconfitto nell'ambito dell'impero, era destinato a tornare prepotentemente alla ribalta e a giocare, soprattutto in occidente, un ruolo politico fondamentale nei primi secoli del medioevo. Esso fu infatti recepito, attraverso missionari orientali, dalle popolazioni germaniche, che ne fecero un elemento della propria identità culturale. Venne anche coinvolta la figura di Maria. I nestoriani volevano chiamarla non “madre di dio” (theotòkos), ma “madre di cristo” (christotòkos) per evitare ogni possibilità di confusione tra la persona umana e la persona divina del cristo. Essi infatti erano convinti che le due persone erano rimaste distinte, anche se si erano congiunte su un piano puramente morale. Un punto fermo nella contesa, che tuttavia non valse a sanare le discordie, fu posto dal Concilio di Calcedonia del 451, che dichiarò cristo vero dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. I più violenti oppositori di questa soluzione furono i monofisiti di Alessandria d'Egitto, secondo i quali l'umanità e la divinità di cristo si fondono in una sola natura. Contemporaneamente si andava sperimentando una forma di vita cristiana che si presentava come distacco totale dalla società. Essa sembrava destinata a restare ina una situazione di marginalità, ma si rivelò nei secoli seguenti una delle forze più vive nel plasmare la società del medioevo. Il fenomeno del monachesimo non era peculiare del monde ellenistico – romano essendo stato da tempo sperimentato da tempo in altre società evolute nelle quali il desiderio di realizzare l'incontro dell'anima individuale con dio aveva portato alcuni spiriti eletti a interrompere i rapporti normali con la società e intraprendere una vita di acesi e di penitenza. Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo. Nella fase iniziale, la sua caratteristica principale è una totale sfiducia verso ogni speculazione intellettuale nonché da una grande rozzezza di costumi e dalla ricerca di una completa solitudine, per realizzare la quale si trovano i più fantasiosi espedienti. Ad esempio, alcuni si stabilivano in tombe vuote di necropoli abbandonate, in luoghi senza finestre o senza tetto, per patire la sofferenza della continua esposizione alle intemperie, ma probabilmente i più fantasiosi furono i cosiddetti dendritai, menzionati da scrittori greci, i quali si stabilivano in cima ad un albero, o gli stiliti, in cima alle colonne. A questi esempi estremi, ben presto si affiancarono forme meno aspre di esperienza monastico e, grazie al diffondersi del cenobitismo ad opera di Pacomio, fu promossa la creazione di monasteri, sia maschili sia femminili, in cui l'ascesi era praticata in maniera moderata e tollerabile e in cui tutto era regolato. Su questa linea, è da ricordare Basilio, vescovo di Cesarea, in Cappadocia, nell'attuale Turchia. A partire dal 378, egli non fondò un vero e proprio ordine basiliano, ma si limitò a promuovere la fondazione di monasteri, sia in luoghi appartati sia in città. A essi indirizzò le sue regole, che non costituiscono un vero e proprio codice di leggi, bensì una serie di indicazioni e di ammaestramenti per i cristiani che vivevano in comunità e che egli visitava frequentemente. Benedetto da Norcia fu il fondatore e abate del monastero di Montecassino. Per esso scrivesse intorno al 540 una regola, che era soltanto una delle tante esistenti e che egli stesso non considerava né perfetta né definitiva, tanto è vero che consigliava di leggere anche altri testi normativi e di edificazione, tra cui le regole di Basilio. Tale regola dovrebbe essere stata scritta tra il 530 e il 560 in una zona tra Lazio, Umbria e Campania, o comunque in una zona soggetta all'influenza della chiesa di Roma. L'originalità consiste nella capacità di Benedetto di utilizzare l'eredità del passato alla luce della sua esperienza diretta e quindi della sua conoscenza dell'animo umano per cui tutte le norme sono improntate a grande moderazione e realismo, e ai monaci non si chiede mai nulla di eccessivamente gravoso. Capitolo 2: l'occidente romano – germanico Il mito della razza pura: il primo contatto con i romani avvenne nel II secolo ac, quando i cimbri e i teutoni, partendo dalla Danimarca, si spinsero fino in Spagna, in Gallia e in Italia, dove furono sconfitti da Mario (113 – 101 ac). La conquista della Gallia da parte di Cesare rese definitivo il contatto tra romani e germani, che si fronteggiavano dalle due rive del reno, destinato a segnare il confine tra i due sistemi di vita fino al 406, fino al tempo cioè del balzo definitivo dei germani verso le regioni del mediterraneo. Non è da credere però che, mentre il mondo romano attuava tutte le sperimentazioni politiche, sociali e culturali, i germani restassero immobili nella loro barbarie. Accadde invece che agli scontri e alle scorrerie si alternassero gli scambi commerciali e che il contatto con la civiltà romana stimolasse il progresso dell'agricoltura e della lavorazione dei metalli. Ma per cogliere la portata di questa evoluzione, è opportuno prima delineare il mondo dei germani quale ci appare dal “de bello gallico” di Cesare del 51 ac e dalla “germania” di Tacito del 98 dc. Nei 150 anni che separano i due testi la civiltà germanica aveva già subito un'evoluzione, ma non di portata tale da alterarne i valori fondamentali e le caratteristiche di fondo riconducibili in sostanza al rapporto assai mobile con l'ambiente e al primato delle virtù guerresche, per cui erano dediti prevalentemente alla caccia e alla guerra. Allevatori di bestiame, praticavano anche l'agricoltura ma con metodi assai primitivi che portavano all'impoverimento del terreno e quindi al non poter essere più coltivato. Di qui i continui spostamenti alla ricerca di nuove terre. Spostamenti che resero a un certo punto insufficienti i territori originari nonostante una densità di popolazione inferiore rispetto a quella dell'impero romano. L'acquisizione di nuove terre non provocava però tensioni e scontri all'interno della comunità, dato che non esisteva proprietà fondiaria e la distribuzione delle terre veniva fatta ai clan e non ai singoli. A livello individuale, la proprietà più ambita era il bestiame. L'organizzazione della società ruotava tutta intorno alla guerra, dal momento che il popolo germanico è per definizione un popolo di uomini in armi, ai quali aspettava in ultima istanza la decisione sui problemi più importanti. L'unica gerarchia esistente era quella dei duces, capi militari riconosciuti tali per prestigio guerriero, ma anche per la potenza magico – sacrale delle stirpi cui appartenevano. Potenza magico – sacrale la quale faceva sì che il valore militare tendesse a trasmettersi ereditariamente nelle stesse famiglie, i cui membri erano chiamati adalingi, vale a dire nobili. Essi avevano in tempo di pace un ruolo di carattere arbitrale, solo in occasione di guerre i loro poteri si rafforzavano, ma erano pur sempre soggetti al controllo di un consiglio di anziani e all'approvazione dell'assemblea del popolo in armi. Nonostante il loro prestigio, essi non si consideravano né erano considerati superiori agli altri uomini liberi, essendo fondamentalmente il popolo germanico un popolo di uguali che praticava una sorta di democrazia diretta. L'unico strumento per emergere era la capacità, fondata sul valore in guerra, di aggregare introno a sé un certo numero di giovani guerrieri, gruppo che gli autori latini chiamavano comitatus. Il gruppo in origine si scioglieva dopo ogni impresa, ma negli anni che separano Tacito da Cesare tende a stabilizzarsi. All'origine di questa evoluzione c'era chiaramente l'influenza della civiltà romana, tant'è che i germani stavano iniziando a conoscere questa civiltà sia attraverso gli scambi commerciali sia attraverso l'ingaggio, sempre più frequente, di gruppi di guerrieri da parte dell'autorità imperiale. La penetrazione dei germani occidentali nel territorio dell'impero romano si faceva sempre più consistente. Già a partire dal I secolo il loro rapporto si rivelò indispensabile sia per il reclutamento delle legioni da schierare a difesa dei confini sia per il popolamento delle regioni periferiche rimaste spesso spopolate proprio in conseguenza delle continue incursioni dei germani. Risultato: agli inizi del III secolo la presenza germanica all'interno dell'esercito era a questo punto prevalente, avviandosi a lambirne anche i vertici attraverso l'ascesa di elementi barbarici ai più alti gradi della gerarchia militare e poi di quella politica, senza però che questo bastasse a contenere la sempre crescente pressione lungo i confini. Eppure nonostante la cristi interna, di cui i germani erano un elemento aggravante e non la causa prima, il crollo non ci fu. L'impero riuscì a superare il momento critico accogliendo nelle regioni lungo il confine del Reno tribù di Franchi, Alamanni e Burgundi e respingendo lungo il Danubio gli assalti dei goti i quali, sconfitti nel 269 dall'imperatore Claudio II, per circa un secolo non furono più un pericolo. Si tese anzi a ridurne l'aggressività favorendone la conversione al cristianesimo ad opera del vescovo goto Ulfila o Vulfila il quale, intorno al 341, tradusse in gotico ampi brani della bibbia, dando così per la prima volta dignità letteraria a una lingua germanica. Ma quando sembrava che tra mondo romano e mondo germanico fosse stato raggiunto un equilibrio, un evento esterno impresse un'accelerazione improvvisa al corso della storia ovvero l'arrivo dalle steppe asiatiche degli unni.
Popolazione turco – mongola, travolsero nella loro spinta vero occidente prima gli alani, intorno al 370 e poi gli ostrogoti e i visigoti, i quali erano però legati all'impero da un trattato di alleanza e per questo ottennero dall'autorità imperiale di poter passare il confine stanziandosi in Tracia, nell'attuale Romania, dove si sarebbero mantenuti con i tributi delle popolazioni locali, dovendo provvedere alla difesa di quella regione in qualità di federati. Al momento il pericolo sembrava scongiurato perchè gli unni vedevano affievolirsi la loro spinta propulsiva man mano che si allontanavano dalle loro regioni di origine, per inoltrarsi in terre non del tutto adatte alla vita nomade. Ma la loro pressione e il terrore che essi suscitarono ebbero l'effetto indiretto di provocare un grosso sommovimento tra le popolazioni germaniche che travolsero il mondo romano, riducendo l'impero soltanto alla sua parte orientale. L'insediamento in Tracia dei visigoti si era rivelato più difficoltoso del previsto a causa dell'ostilità della popolazione e delle azioni gravose ai danni della città, a cui i nuovi venuti si dicevano costretti per le inadempienze dei funzionari imperiali. Ne nacque una guerra aperta, che terminò il 9 agosto 378, con uno dei più grandi disastri militari della storia romana ovvero la distruzione dell'esercito imperiale da parte della cavalleria gotica presso Adrianopoli e la scomparsa sul campo dello stesso imperatore Valente. L'impressione che l'evento suscitò nell'opinione pubblica del tempo fu enorme e a tutt'oggi alcuni studiosi tendono a dare ad esso un valore emblematico, considerandolo l'inizio della fine dell'impero. Di li a poco sembrò tuttavia che si potesse riprendere il controllo della situazione grazie al generale Teodosio, il futuro imperatore, il quale riuscì a stipulare un nuovo accordo con i Visigoti, che prevedeva il loro trasferimento nell'Illirico. Vi fu una progressiva separazione tra la parte orientale e quella occidentale. Con Teodosio fu possibile restaurare negli anni 392 – 395 l'unità imperiale, assai labile per buona parte del IV secolo per effetto della riforma istituzionale di Diocleziano, ma alla sua scomparsa l'impero venne diviso, questa volta definitivamente, tra i due figli Onorio e Arcadio, che ereditarono il primo l'occidente con capitale Milano e il secondo l'oriente con capitale Costantinopoli. Essendo entrambi molto giovani (rispettivamente 12 e 18 anni) il padre impose ad Onorio la tutela del generale vandalo Stilicone e mise Arcadio sotto la tutela del goto Rufino, prefetto del pretorio. La scelta dei due tutori ovviamente non fu casuale, ma si inquadrava nella politica di Teodosio di apertura verso le popolazioni germaniche sia attraverso il loro accoglimento all'interno dell'impero come federati sia attraverso l'inserimento nell'esercito dei contingenti armati da esse provenienti. Una politica di tale genere, comportando come conseguenza l'ingresso dei germani nel senato, non mancò ovviamente di provocare tensioni all'interno dell'aristocrazia senatoria ma l'operazione, in occidente almeno, diede qualche frutto e portò alla convergenza tra famiglie senatorie e alti gradi della gerarchia militare. Il personaggio che sembrò incarnare questo processo al più alto livello fu Stilicone. La sua posizione si faceva tuttavia sempre più delicata per effetto di due fenomeni convergenti ovvero - il crescere all'interno della corte l'opposizione verso gli elementi di origine barbarica - i visigoti e gli altri germani orientali diventavano sempre più inquieti per la pressione che gli unni avevano ripreso ad esercitare alle loro spalle La situazione precipitò nel 406 ---> il confine del Reno, che Stilicone era stato costretto a sguarnire per far fronte in Italia prima a un'incursione di bande di ostrogoti e altri germani guidati da Radagaiso e poi alla rinnovata minaccia dei visigoti di Alarico, nella notte di San Silvestro fu superato da vandali, alani e svevi diretti in Gallia, e da qui in Spagna, dove giunsero nel 409. Ad essi si aggiunsero franchi e burgundi. Il prestigio di Stilicone ne fu scosso in maniera irrimediabile, per cui, una volta abbandonato dallo stesso imperatore Onorio, finì vittima di una sollevazione delle truppe di nazionalità romana, aizzate da un alto funzionario di corte del partito antigermanico. La scomparsa del generale vandalo aprì le porte dell'Italia ai visigoti guidati da Alarico i quali attraversarono l'intera penisola e il 24 agosto del 410 arrivarono a Roma dalla porta salaria, sottoponendo la città per tre giorni a un saccheggio. In realtà, a segnare un punto di non ritorno fu il crollo della frontiera del Reno. Alarico scomparve qualche mese dopo presso Cosenza e i visigoti risalirono l'Italia e ottennero di potersi stanziare come federati in Aquitania, nella Gallia meridionale, tra Tolosa e Bordeaux, contribuendo poi a sospingere sempre più verso il sud della Spagna vandali e alani. Tutti questi popoli citati va detto che in tempi e modi diversi furono comunque tutti riconosciuti da Onorio e dai suoi successori come federati dell'impero e quindi posti a carico dei proprietari romani sulla base dell'istituto dell'”hospitalitas”, che prevedeva l'obbligo per i proprietari di cedere un terzo delle loro terre ai germani. Apparentemente si trattava della continuazione di una pratica già in atto dal I secolo ma in realtà la situazione era adesso completamente diversa, soprattutto per il fatto che i nuovi federati non erano più soldati stanziati lontano dalle loro sedi di origine ma vivevano con i loro beni e le loro famiglie sotto l'autorità di un re e sulla base di proprie leggi. Di qui una libertà d'iniziativa che li rendeva praticamente autonomi. E questo lo si vide con i vandali. Sconfitti ripetutamente in Spagna dai visigoti, nell'estate del 429 sotto la guida di Genserico passarono in Africa, regione granaio dell'impero. Sbarcarono a Tangeri, si diressero verso Cartagine seminando terrore e imponendo un dominio che non si mitigò neanche quando nel 435 furono considerati federati dell'impero, ma anzi si impadronirono della Corsica, della Sardegna e delle Baleari e tenendo sotto continua minaccia l'Italia e la Sicilia. Nel 455 giunsero a saccheggiare Roma, anche se questo saccheggio, durato più dell'altro, per due settimane, fu più che altro una mossa politica di Alarico, un gesto dimostrativo verso Onorio, con il quale aveva tentato invano di giungere ad un accordo per lo stanziamento dei visigoti sul territorio dell'impero. La residenza dell'imperatore, per ragioni di sicurezza, era stata spostata fin dal tempo di Onorio da Milano a Ravenna, ma va detto che la sua autorità adesso si esercitava su un territorio molto piccolo ovvero sull'Italia e sulle province con essa confinanti (Provenza, Rezia, Norico e Dalmazia). La scomparsa di Stilicone aveva creato per un momento l'illusione che anche in Italia potesse aversi un rigurgito di orgoglio nazionale e l'estromissione definitiva dei germani dai vertici dello stato, e ciò anche grazie all'aiuto di Costantinopoli che faceva ascendere nel 425 al trono d'occidente Valentiniano III sotto la tutela della madre Gallia Placidia, sorella dell'imperatore Onorio, che prese ad esercitare una sorta di protettorato sull'Italia. Ma ben presto apparve chiaro che l'apporto dell'elemento germanico era essenziale per la sopravvivenza di quello che restava dell'impero d'occidente per cui si tornò a una politica di convergenza tra romani e barbari. Di essa si fece interprete Ezio, un generale d'origine romana ma cresciuto tra gli unni, che riprese la politica di Teodosio e Stilicone, per utilizzare questa volta i germani contro gli unni i quali sotto la guida di Attila avevano invaso la Gallia e minacciavano l'Italia. Infatti Ezio riuscì nel 451 a batterli sui campi catalunici, presso Troyes, alla testa di un esercito formato in gran parte da visigoti e burgundi. Nel 452 Attila penetrò in Italia attraverso il Friuli, distruggendo Aquileia i cui abitanti cercarono rifugio nelle isole della laguna, dando vita così al primo nucleo di quella che sarà poi Venezia. La sua marcia si arrestò sul Mincio, dove gli andò incontro papa Leone I in qualità di ambasciatore di Valentiniano III. La tradizione cristiana attribuisce lo scampato pericolo a un miracolo operato dal pontefice. Probabilmente il ritiro di Attila nacque invece dal timore di un attacco di Costantinopoli ai suoi immensi domini che diventano sempre più vulnerabili man mano che crescevano d'estensione. Dopo la scomparsa di Attila, l'impero degli unni si sfaldò. 454 Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano, il quale a sua volta cadde l'anno dopo per mano di due seguaci di Ezio. La loro scomparsa creò ai vertici dello stato una situazione sempre più confusa con il succedersi veloce di imperatori privi potere effettivo. Un personaggio importante fu Odoacre il quale, dopo aver deposto nel 476 l'ultimo imperatore ovvero il giovanissimo Romolo Augustolo rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali dichiarando di voler governare quello che restava dell'impero d'occidente in nome dell'imperatore d'oriente con il solo titolo di patrizio. Nello stesso tempo assunse il titolo di re degli eruli, degli sciti e degli altri germani che avevano sostenuto il suo colpo di stato. Re ostrogoto educato alla corte di Costantinopoli il quale nel 489, per incarico dell'imperatore Zenone preoccupato per l'espansionismo di Odoacre in Dalmazia, Teodorico portò in Italia il suo popolo. L'aristocrazia e l'episcopato cattolico si volsero subito dalla sua parte anche perchè Teodorico mostrò subito di voler operare in pieno accordo sia con l'aristocrazia sia con la chiesa cattolica, che prese sotto la sua protezione, pur essendo egli ariano al pari del suo popolo. Con gli ostrogoti era la prima volta che si stanziava in Italia un intero popolo e che si operava un trasferimento di terre di grandi dimensioni sempre in base al principio dell'ospitalità dai proprietari romani ai guerrieri germanici. L'operazione però non fu traumatica perchè il declino demografico a cui avevamo assistito (nel 452 Italia e Spagna furono colpite dalla peste) faceva aumentare la disponibilità di terre. Inoltre non si instaurò la dominazione degli ostrogoti sulla popolazione romana ma si realizzò la coesistenza di due comunità con distinti ordinamenti giuridici e unite soltanto nella figura di Teodorico, re della sua gente e vertice dell'apparato politico – amministrativo romano, in quanto titolare della carica di prefetto in Italia. I goti erano gli unici ad avere il diritto – dovere di portare le armi, mentre i romani, rigorosamente esclusi dall'esercito, formavano una comunità distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano. La compresenza di due ordinamenti giuridici nell'ambito dello stesso organismo politico costituiva una novità per l'Italia ma non per le altre regioni dell'impero perchè in esse la pratica dell'ospitalità aveva comportato l'introduzione di quella che oggi i giuristi chiamano la personalità del diritto, consistente nella possibilità per un gruppo etnico di vivere secondo le proprie leggi all'interno di un territorio regolato dal leggi diverse (in questo caso quelle romane). Nuove o almeno singolari erano invece la lucidità e la determinazione con le quali Teodorico perseguì il disegno di tenere distinte le due comunità, richiamando in vita una vecchia legge romana del 370 che vietava i matrimoni tra romani e barbari e sostenendo l'arianesimo un elemento essenziale dell'identità culturale del suo popolo. Ma il sogno di Teodorico si infranse tuttavia contro le resistenze sia del mondo germanico sia di quello romano. Su gran parte del primo era riuscito all'inizio a imporre una specie di protettorato con accordi e alleanze matrimoniali, che gli avevano consentito di legare a sé franchi, vandali, visigoti, burgundi e turingi ma la sua politica estera si scontrò con un analogo progetto egemonico concepito dal re dei franchi, Clodoveo. Contemporaneamente si complicavano i rapporti anche con il mondo romano e non tanto per l'espansionismo di Teodorico nel Balcani arrivando a conquistare la Pannonia e stabilendo il suo protettorato sulla Dalmazia, quanto piuttosto in seguito al ristabilirsi di una piena intesa tra papato e imperatore d'oriente in merito all'applicazione delle decisioni del concilio di Calcedonia. Nacque un clima di diffidenza, che portò Teodorico a vedere complotti ovunque. Nel 526 scomparve e nel 535 l'imperatore Giustiniano dava inizio alla riconquista dell'Italia nell'ambito di un più vasto progetto di riconquista dell'intero occidente. Inizialmente i franchi si formarono in un gruppo unitario da tanti piccoli aggregati nel IV – V secolo. A partire dal 482 furono via via inglobati nel dominio di Clodoveo, re dei franchi salii e iniziatore della dinastia merovingia, detta così dal nome del suo forse mitico fondatore Meroveo. Nel 486 viene eliminata l'ultima presenza romana in Gallia, il regno di Siagro con capitale Soissons e Clodoveo si volse con estrema decisione contro le altre popolazioni germaniche della Gallia, ponendole sotto la propria tutela o scacciandole dai loro territori come avvenne con i visigoti ai quali tolse l'Aquitania. Trovò un ostacolo soltanto nel re degli ostrogoti, Teodorico, il quale intervenne a difesa dei visigoti e degli alamanni. Ciononostante alla sua scomparsa, nel 511, Clodoveo controllava, ad esclusione della Provenza, tutta la Gallia romana e anche una fascia di territori al di là del Reno. I suoi immediati successori inglobarono nei loro domini anche i territori dei turingi (513), il regno dei burgundi (533) e la Provenza (536). Alla base di questi successi c'era il dinamismo militare dei franchi ma anche la collaborazione con la colta e ricca aristocrazia gallo – romana e con l'episcopato cattolico. Alla scomparsa di Clodoveo, però, il regno fu diviso in parti uguali tra i figlie, come se fosse stato un bene privato. La suddivisione fu tra la Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Questo sistema di successione portò a conflitti fratricidi, facendo interrompere l'espansionismo franco, che sarà ripreso e solo nell'VIII secolo una volta ristabilita, con Pipino il Breve, una direzione politica salda e unitaria. Capitolo 3: l'oriente romano – bizantino e slavo Mentre in occidente si veniva faticosamente ma in maniera abbastanza veloce delineando una nuova realtà attraverso la fusione di elementi di civiltà germanica e di quella romano – cristiana, la parte orientale dell'impero mostrava una sorprendente capacità di resistenza di fronte a pressioni esterne e a tensioni interne. Inoltre in oriente l'aristocrazia non godeva di una schiacciante superiorità sociale nei confronti del resto della popolazione e per giunta non formava una classe rigidamente chiusa. L'11 maggio 330 Costantino inaugura la nuova capitale sul bosforo, dandole il suo nome, in quanto concepita fondamentalmente come un monumento a sé stesso, Costantinopoli che conobbe un vero e proprio boom già con il figlio, Costanzo II, configurandosi inevitabilmente come concorrente di Roma. Questa del resto era in declino quale sede del potere dato che dopo Massenzio, il quale vi risiedette stabilmente dal 306 al 312, gli imperatori preferirono a causa prevalentemente dei loro impegni militari spostarsi da una città all'altra. Si stabilirono poi definitivamente nel 404 al tempo di Onorio nella più sicura Ravenna. Mentre però le altre città che erano state sedi provvisorie di governo (Treviri, oggi Trier in Germania, Sirminio nei Balcani, Milano) per quanto abbellite non avevano acquisito dignità di capitale e non erano state dotate di quelle strutture e di quei servizi che rendevano del tutto particolare la città di Roma. Costantinopoli fu attrezzata ben presto a imitazione di Roma. - istituzione del senato da parte di Costanzo II - creazione dell'annona civica per la distribuzione del grano - dotazione di un ippodromo corrispondente al circo massimo di Roma direttamente collegato al palazzo imperiale per facilitarvi l'ingresso dell'imperatore che vi appariva a scadenze fisse secondo un rituale che finì col rendere sempre più grande il distacco tra il sovrano e il popolo, trasferendo il primo su un piano di sacralità e circondandolo di un alone di mistero. La sacralizzazione del potere era il risultato anche dell'esaltazione del ruolo dell'imperatore quale difensore della genuina dottrina cristiana e in quanto tale responsabile della salvezza del popolo cristiano. Tutto quindi spingeva verso una progressiva divaricazione tra occidente e oriente, e della trasformazione di quest'ultimo in forza politica autonoma. Tappa fondamentale di questo processo fu la divisione dell'impero tra Arcadio e Onorio alla scomparsa di Teodosio nel 395 anche se la questione che fece esplodere tutto fu la questione barbarica perchè mentre in occidente ci si stava orientando verso un pieno inserimento dei germani nell'esercito e nei quadri dello stato, in oriento si affermò una netta posizione di chiusura nei loro confronti e si attuò una politica sistematica di dirottamento verso occidente dei visigoti e degli altri germani orientali che diventavano sempre più inquieti sotto la pressione degli unni. Capitolo 4: l'Italia tra Bizantini e Longobardi Giustiniano nel 535 aveva avviato la riconquista dell'Italia inviando un esercito al comando del generale Belisario e Nareste. La prima fase della guerra si concluse nel 540 con la conquista di Ravenna e la cacciata dei goti oltre il po. La guerra riprese nel 542 con un'offensiva dei goti che si concluse con la loro sconfitta e l'uccisione del loro sovrano Totila nella battaglia di Gualdo Tadino (552), dopo qualche mese venne sopraffatta la resistenza degli ultimi irriducibili al comando dei quali vi era il successore di Totila, Teia sconfitto in battaglia alle falde del Vesuvio. Gli ultimi nuclei di resistenza vennero scovati nel 555 sugli appennini. La riconquista bizantina fu accompagnata dal tentativo di restaurare gli antichi rapporti sociali e di dare al territorio un nuovo assetto sulle basi della prammatica sanzione che Giustiniano emanò nel 554 su richiesta di papa Virgilio. Gli atti emanati da Teodorico furono considerati ancora validi mentre furono annullati quelli del re dei goti Totila. Le chiese cattoliche ottennero buona parte dei territori confiscati. Nareste restò in Italia fino al 568 anno in cui morì a Roma dopo essere stato richiamato a Costantinopoli dal nuovo imperatore Giustino II. Nello stesso tempo si mise in moto un capillare apparato fiscale e si arrivò a chiedere le tasse arretrate, si riducevano le spese pubbliche, si decurtavano i salari ai soldati e diminuiva la distribuzione di viveri ai poveri. Tutti questi provvedimenti miravano a fornire all'impero i mezzi per la sua politica espansionista ma ebbero l'effetto di far rimpiangere il passato regime e di far crollare il morale delle truppe poste a difesa dell'Italia. Questo episodio creò le premesse per il crollo bizantino in Italia a causa dell'invasione longobarda. I longobardi erano un popolo germanico originario della scandinavia che dopo aver vagato in europa giunsero in Italia attraverso il Friuli nel 568. I longobardi non avevano avuto mai contatti stretti con i romani e il loro trasferimento in Italia avvenne senza un concordato con l'imperatore e senza il principio di ospitalità. La loro dominazione nei confronti del popolo latino si pose come vero e proprio governo superiore. I longobardi furono l'unico popolo che non si allontanò dagli usi tradizionali, erano privi di re, che veniva eletto dai nobili all'interno del consiglio di guerra secondo il principio del primo tra i pari. L'avanzata in Italia non proseguì in modo unitario ma le direttrici dell'avanzata si delinearono in base all'iniziativa dei singoli duchi che erano a capo delle tribù. I bizantini riuscirono a mantenere il controllo della Romagna, della pentapoli e di una striscia di terra che attraverso Perugia collegava Ravenna con Roma, conservarono le isole ed il litorale tra Civitavecchia ed Amalfi. L'incompletezza della conquista segnò l'inizio della divisione politica dell'Italia che durerà fino al XIX secolo, questa divisione si formò anche a causa della complicità dei duchi che dal 574 al 584 rinunciarono a darsi un nuovo re. In questo periodo di anarchia militare molti proprietari terrieri furono uccisi e le terre confiscate, la popolazione romana venne privata della capacità politica. Per i romani fu impossibile fino alla fine del VII secolo potersi inserire all'interno delle gerarchie di potere, successivamente, chi aveva accumulato abbastanza risorse e possedimenti durante una lunga e lenta ripresa economica fu accettato nella casta a patto che assumesse i costumi dei dominatori. Il funzionamento dei vescovadi venne sconvolto poiché venivano privati del loro territorio e dei loro domini costringendo i vescovi a fuggire nei territori bizantini. I longobardi però presero come punto di riferimento le città imperiali garantendo comunque una continuazione con la precedente epoca. Le istituzioni burocratiche erano già fortemente degradate e l'invasione longobarda aggravò ulteriormente questa situazione. Il percorso che avevano intrapreso già gli altri popoli germanici di insediamento nel tessuto sociale e nel modello politico del popolo latino venne seguito dai longobardi molto più lentamente e incontrando enormi resistenze interne. Fu scelto come modello d'ispirazione quello romano rafforzando di conseguenza il ruolo del re nella successiva ricerca dell'appoggio episcopale. Nel 584 Autari dopo aver restaurato l'autorità regia si fece cedere dai duchi la metà delle loro terre per consentire alla monarchia di procurarsi i mezzi necessari al proprio sostentamento. Per gestire i beni della corona furono creati appositi funzionari, i Gastaldi, le cui competenze col tempo furono ampliate per limitare il potere dei duchi. Agiluffo, succesore di Autari si pose per primo il problema di un rapporto non conflittuale con la chiesa che era allora governata dal pontefice Gregorio Magno, colui il quale assunse l'appellativo di servus servorum dei. Fino a Gregorio Magno il titolo di vescovo di Roma era stato solo un titolo onorifico senza alcun contenuto effettivo, lui concepì il disegno di rendere il papato autonomo anche perché la lontananza dal potere imperiale rendeva i vescovi privi di un punto di riferimento, nello stesso tempo Gregorio Magno si preoccupò di assicurare al cristianesimo occidentale un'impronta unitaria riordinando e diffondendo la liturgia romana con il relativo canto detto appunto gregoriano. Promosse l'opera di evangelizzazione delle popolazioni pagane e ariane operando instancabilmente per la conversione di visigoti e longobardi. Non assunse mai atteggiamenti di intolleranza, raccomandando sempre ai missionari di procedere gradualmente nel rispetto delle tradizioni locali. Riformò il patrimonio della chiesa riuscendo a difendere Roma e la popolazione. L'erede al trono longobardo, Adaloaldo, venne battezzato nel 603 questo però non portò ad una conversione di massa a causa dell'attaccamento dei duchi ai costumi tradizionali. Sul trono longobardo si alternavano quindi re cattolici e re ariani, fino al 712 quando salì al trono Liutprando, che completò la conversione al cristianesimo del suo popolo, superando la divisione etnica tra longobardi e romani. Liutprando pensò che fosse giunto il momento per completare la conquista dell'Italia arrivando fino alle porte di Roma, qui convinto da papa Gregorio II tornò indietro restituendo il castello di sutri alla chiesa invece che all'autorità bizantina nel 728. L'invasione longobarda non portò a modifiche sociali solo nei territori conquistati, anche i territori sotto controllo bizantino subirono delle modifiche che allontanavano sempre di più dal modello romano. All'origine delle trasformazioni c'era innanzitutto il problema della difesa, dato che l'impero era impegnato ad oriente e non poteva garantire la presenza militare in Italia. Ciò portò all'unificazione di cariche civili e militari e costrinse l'aristocrazia a dedicarsi attivamente all'esercito sulla base delle proprie capacità economiche e al proprio prestigio sociale. Le difficoltà di comunicazione con bisanzio portarono nel VII secolo, date le fusioni tra il ceto aristocratico bizantino e le popolazioni latine, all'esplosione di sentimenti nazionali che portarono anche a rivolte contro bisanzio, un fattore che favoriva il sorgere di questi sentimenti era il largo potere economico e sociale che le gerarchie ecclesiastiche stavano assumendo. La chiesa aveva infatti iniziato a sviluppare un vasto patrimoni terriero che cedeva in affitto perpetuo alle famiglie locali piu in vista per sviluppare rapporti clientelari. Questo processo portò Roma nell' VIII secolo sotto la protezione dei franchi dopo il subentro del dominio pontifico al dominio bizantino. I duchi bizantini eserciteranno solo una funzione di supplenza rispetto al papato fino a Pipino il Breve che venne designato da Stefano II patrizio dei romani legittimando finalmente questa realtà. In sostanza i fattori che accomunarono Ravenna e Roma furono: • Prevalenza dell'autorità militare sui poteri civili • Convergenza di elementi orientali e locali nel ceto dei proprietari fondiari • Inquadramento dei proprietari fondiari in gerarchie Capitolo 5 : il mondo arabo e il mediterraneo Mentre in occidente i bizantini e i persiani si fronteggiavano in una guerra che sembrava dover decidere le sorti dell'occidente in Arabia prendeva il sopravvento una civiltà che avrebbe reso la propria nazione la più potente del mondo civilizzato allora conosciuto. Secondo la tesi di Pirenne gli arabi crearono in Europa una situazione completamente nuova mettendo fine all'unità del mediterraneo e provocando in occidente una crisi del commercio, la scomparsa delle città e la nascita di un'economia interamente agraria. Indubbiamente gli arabi portando il loro durissimo attacco all'impero bizantino riducendone fortemente il raggio d'azione, crearono un vuoto politico nel mediterraneo centro-orientale concedendo cosi una maggiore libertà alla chiesa di Roma. La penisola arabica situata tra Asia e Africa era, come oggi, sostanzialmente un tavolato desertico dove solo Oman e Yemen godevano di precipitazioni. I letti dei fiumi che anticamente scorrevano in Arabia erano usati come piste transdesertiche. Anticamente la parte centro settentrionale dell'Arabia era abitata da tribù di beduini nomadi che praticavano l'allevamento, il commercio carovaniero e la razzia; erano presenti anche tribù di sedentari. Queste tribù erano indipendenti l'una dall'altra. La parte meridionale dell'isola godette invece di un maggior livello di civiltà a causa del crocevia commerciale che si riscontrava in quella zona. La maggioranza della popolazione, composta da beduini era inquadrata in tribù, la tribù stessa era il quadro sociale di riferimento. All'interno della tribù venivano prese tutte le decisioni di carattere collettivo, alla guida vi era un capo elettivo assistito da un consiglio e da un giudice. Il quadro religioso era caratterizzato dalla prevalenza del politeismo, gli arabi meridionali tendevano verso un culto animistico, mentre quelli del nord adoravano divinità varie sottomesse ad una suprema, Allah. In questo contesto intorno al V secolo la città della Mecca divenne un'importante centro commerciale e religioso, in questa città nacque Maometto tra il 569 e il 571. Nato da una famiglia benestante e rimasto orfano in tenera età fu allevato da uno zio e sposò una ricca vedova migliorando così la sua posizione economica, questo gli consentì di dedicarsi alla riflessione religiosa. Nel 610 quando aveva poco più di quarant'anni gli apparve l'arcangelo Gabriele che gli annunciò di essere l'apostolo di Allah. All'inizio Maometto esitò ma finalmente nel 613 dietro l'incoraggiamento della moglie diede inizio ad una predicazione tra l'indifferenza dei Quaraishiti. Il suo messaggio all'inizio non metteva in discussione il politeismo ma puntava al riconoscimento di Allah come unico vero dio ed a far atto di sottomissione alla sua autorità, introduceva inoltre l'idea di giudizio finale e il dovere di esercitare la solidarietà verso il prossimo e verso i poveri in particolare. Il pericolo che l'islam venisse assimilato al politeismo indusse Maometto a rompere gli indugi e ad attaccare i culti idolatrici suscitando le ostilità del ceto dirigente timoroso di perdere i propri proventi ricavati dai pellegrinaggi della Kaaba. Maometto comunque continuò la sua opera di proselitismo definendo il rituale della preghiera che il credente doveva recitare rivolto verso Gerusalemme. Nel 622 la posizione di Maometto divenne insostenibile, infatti dopo aver ricevuto fedeltà incondizionata dalla tribù della madre fuggì dalla mecca fino alla città della famiglia materna che cambiò il nome in Medina. Questa fuga per i seguaci di Maometto rappresentò l'inizio di una nuova era. Nel 624 Maometto mutò il punto di riferimento per la preghiera da Gerusalemme alla Mecca, contemporaneamente ne accentuò il carattere esclusivistico dichiarando l'islam unica vera fede, istituendo anche il mese di digiuno (ramadan). Il pensiero di Maometto che veniva precisato nel corso del tempo venne raccolto dopo la sua morte (avvenuta nel 632), dopo circa vent'anni, nel libro sacro del Corano. La lingua usata fu quella più comunemente usata dai poeti arabi. I principali pilastri della fede scritti nel corano sono i seguenti: • Doppia professione di fede • La preghiera • Il ramadan • Pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita • Elemosina legale (un decimo del reddito) alcuni sostengono anche l'esistenza di un sesto pilatro. • La guerra santa Ad integrazione del corano venne posta la Sunna cioè, la raccolta della tradizione comportamentale di Maometto in determinate occasioni che diventerà la base del diritto mussulmano. Il messaggio di Maometto accoglieva aspetti non marginali della società e della cultura araba. La razzia, la poligamia, la schiavitù, il pellegrinaggio e il culto della pietra nera. A differenza di quanto accadeva nel passato Maometto riorganizzò la società eliminando il particolarismo e concentrando tutto intorno ad una figura sia politica che religiosa. Quando Maometto arrivò a Medina si fece costruire una casa che divenne luogo di aggregazione e di preghiera, qui Maometto iniziò ad attirare gran parte delle genti cittadine. Nel frattempo i continui attacchi alle carovane provenienti da la Mecca da parte dei mussulmani di Medina costituivano una seria minaccia per l'economia della Mecca. I Quraishiti dopo fortune alterne con le armi si convertirono all'islam e aprirono a Maometto le porte della città (gennaio 630) da allora crebbe di continuo il numero delle tribù beduine che si convertirono all'islam. Alla morte di Maometto ci fu un contrasto tra i suoi seguaci per designare un sostituto (califfo) che avrebbe dovuto reggere la comunità secondo lo spirito di Maometto. La scelta cadde su Abu Baku suocero ed uno dei primi seguaci del profeto, alcune tribù beduine non riconoscendo la sua autorità abbandonarono completamente l'islam. Il califfo reagì con forza ripristinando già nel 633 il suo dominio su tutta la penisola arabica lanciando addirittura le truppe in direzione dell'Iraq. La scomparsa del califfo nel 634 riaprì la questione della successione che fu risolta per qualche decennio grazie al sistema elettorale. La vera rottura si ebbe quando la sede del califfo venne spostata a Kufa, nel basso Iraq, facendo perdere alla Mecca e Medina il loro ruolo politico. Il califfo Alì si mantenne al potere grazie alle armi dei suoi seguaci (sciiti) contrapposti alla maggioranza dei mussulmani ortodossi, detti sunniti. Le lotte per la successione non frenarono lo slancio espansionistico islamico che in poco più di vent'anni spazzò via l'impero persiano e amputò all'impero bizantino la Siria e l'Africa del nord. Il governo di un territorio cosi vasto mostrò subito l'inadeguatezza dell'ordinamento sociale dell'età pre - islamica. L'uguaglianza dei mussulmani stabilita dal corano si dimostrò subito solo teorica, in quanto la tribù di Maometto aveva acquistato un ruolo egemone. Dopo la morte di Maometto ci fu un risveglio dei clan famigliari e il sistema tribale fu esaltato in guerre di conquista condotte da eserciti reclutati su basi tribali. I non arabi convertiti vennero all'inizio dell'VIII secolo assunti nell'esercito e pagati con regolare salario, formando comunità distinte rispetto alle popolazioni sottomesse, stabilendosi in accampamenti provinciali. Per il governo dei territori conquistati fu necessario provvedere ad un apparato amministrativo che fu in gran parte ereditato dalla precedente dominazione bizantina e persiana. A capo di ogni provincia fu posto un governatore assistito da un corpo di guardie, da un giudice e da un supervisore finanziario. Il califfato in questo contesto raccolse grande potere e si rafforzò come se fosse una monarchia ereditaria. La stabilizzazione del potere coincise con una ripresa del movimento espansionistico ed un rafforzamento dell'apparto statale. La capitale venne trasferita a Damasco, in Siria, per esercitare maggiore pressione sull'impero bizantino rimasto l'avversario principale e per soffocare i tentativi di rivolta che i clan allestivano nelle varie parti del regno. L'espansione verso Costantinopoli fallì 677 quando fu distrutta la flotta araba da parte dei bizantini, la nuova direttrice di espansione fu quella dell'Africa settentrionale, che l'arco di cinquant'anni fu conquistata fino alla costa atlantica. Nel 711 gli arabi varcarono Gibilterra, conquistando la spagna in soli cinque anni. Intanto i califfi lanciarono una nuova offensiva verso l'asia, raggiungendo, nel 710-714 il bacino dell'indo. Come in Spagna la conversione all'islam fu rapida, in asia però, si rivelò difficile, la convivenza tra gli arabi ed i nuovi convertiti a causa di violente rivolte destinate ad essere fatali per la dinastia omayyade. La situazione precipitò nel 747 a seguito di un'insurrezione armata promossa dagli abbasidi, che si ritenevano successori di Maometto. Una volta preso il potere spostarono il centro dell'impero dalla Siria all'Iraq fondando la nuova capitale Bagdhad. Venne riorganizzato il potere sullo stampo delle monarchie assolutiste orientali e venne riconfigurato il ruolo del califfo che andrà a rappresentare dio in terra. I califfi quindi si allontanarono sempre di più dalla popolazione lasciando il potere effettivo nelle mani dei visir. Il sistema tribale in uso nell'esercito venne abrogato e l'esercito stesso divenne uno strumento di potere nelle mani dei capi militari. La lingua araba trovò in Baghdad il suo centro principale e la cultura araba si sviluppò su campi nuovi quali la medicina, la filosofia, la fisica, l'astronomia, la matematica e la geografia. A questa fioritura culturale si univa uno slancio economico. Il principale settore produttivo era l'agricoltura. Uno stimolo assai forte al mondo agricolo giunse dalle città in quanto in esse si ebbe un notevole incremento demografico. In questo contesto si venne a creare una nuova classe dirigente, la borghesia mercantile. Lo stato islamico però mostrava delle debolezze in quanto l'aumento della ricchezza aveva accentuato gli squilibri sociali. Lo sviluppo delle città aveva irrimediabilmente danneggiato le campagne. Non furono però questi squilibri a mettere in crisi l'impero abbaside ma piuttosto il sorgere di varie spinte autonomiste per le ambizioni dei vari governatori locali. Agli inizi del X secolo le tensioni si fecero più acute, tentativi di secessione si registrarono in Iraq, Iran e Afghanistan. La Spagna nel 756 era diventata un emirato praticamente indipendente da Baghadad. Nel X secolo divenne un califfato talmente evoluto da poter rivaleggiare con Baghdad. In questo periodo si ebbe anche una spinta espansionistica verso nord e verso il Marocco. Grande slancio economico ebbe poi l'Egitto e Il Cairo divenne il maggior centro commerciale dell'epoca. La Sicilia fece parte del mondo arabo per quasi tre secoli dal 831, anno della caduta di Palermo, e nel 840 venne completata la conquista della Sicilia occidentale, i mussulmani proseguendo verso oriente conquistarono Messina nell'842. L'insorgere di contrasti tra arabi e berberi creò per qualche decennio una situazione di stallo, i bizantini non seppero però approfittarsene e cosi alla ripresa delle ostilità si ebbe la conquista di Siracusa e poi del resto dell'isola, le ultime fortezze bizantine cadranno tra il 962 e il 965. Costituitosi emirato indipendente conobbe per circa un secolo un periodo di grande splendore e l'agricoltura raggiunse un livello ottimo in ogni parte dell'isola. Anche il commercio raggiunse un livello di fioritura assai elevato. Capitolo 6: economia e società nell'Alto Medioevo A differenza di quanto accadeva nel mondo arabo e nel mondo bizantino lo scenario europeo che si delineò tra il VI e l'VIII secolo fu di involuzione culturale e sociale. Le popolazioni abbandonarono le città per fonderne di nuove in luoghi giudicati più facilmente difendibili, oppure come accadde nelle grandi città, vennero occupate solo le porzioni più difendibili. L'immagine che viene riportata dalle poche fonti disponibili è di un completo degrado, di abbandono. Si venne ristrutturando anche la rete viaria che a causa del formarsi di nuovi luoghi di aggregazione sociale portò all'abbandono dei villaggi costruiti sulle principali vie di comunicazione. Un elemento fondamentale per l'economia altomedievale fu il bosco, che specie al nord dell'Europa a causa dell'agricoltura praticata dai germani era molto presente. All'interno del bosco si praticava liberamente la caccia in quanto la grande abbondanza di animali selvatici costituiva per la massa contadina una grande risorsa alimentare. Nelle foreste inoltre veniva raccolto il legno il cui uso era esteso in una maniera impressionante a causa della scarsità di pietre. I boschi di quercia era anche un ottimo pascolo per gli animali come i maiali. Tra l'altro il bosco costituiva lo sfondo più frequente nella narrativa popolare. Il calo demografico di questo periodo fu senz'altro da attribuire alle guerre ed alle devastazioni che infuriarono in Europa. Una delle cause principali del calo della popolazione furono i vari episodi epidemici che si ripeterono almeno una ventina di volte tra il VI e l'VIII secolo. In Italia la crisi demografica poté essere sentita in tutta la sua durezza a differenza di altre regioni dell'Europa meno densamente popolate. A causa del basso livello tecnologico e alla perdita di coscienza agricola dell'età romana i villaggi si ridussero prevalentemente all'autoconsumo. Lo schema agricolo dei villaggi risulta abbastanza semplice: Vicino al villaggio si trovava la zona più intensamente coltivata, subito dopo un'ampia zona coltivata a cereali e all'esterno la zona boschiva. Le famiglie contadine in questo periodo conducevano un'esistenza al limite della sussistenza in quanto le terre erano poco produttive e la disponibilità di concime animale molto scarsa. La scarsità di concime veniva compensata con tecniche alternative quali il rovescio, il debbio ecc. Il più frequentemente utilizzato era il maggese, ovvero il riposo del terreno dopo ogni raccolto che veniva inserito in una rotazione biennale delle colture. Questo riposo forzato che doveva essere fatto esercitare al terreno costringeva il contadino a non approfittare mai completamente del terreno che coltivava, di cui pressoché mai ne era proprietario. Questa usanza derivava dall'ultimo periodo della tarda antichità nel quale i proprietari terrieri iniziarono ad insediare i loro schiavi nelle terre dotandoli di una casa. Lo schiavo doveva provvedere al suo mantenimento e corrispondere al padrone una parte del raccolto e di beni in natura di solito nel periodo natalizio. Dopo qualche decennio, con la perdita progressiva dell'autorità imperiale, i piccoli proprietari terrieri si rivolsero ai grandi signori locali rinunciando alle loro terre e cedendole al signore, riprendendole poi in affitto dietro pagamento di un canone. Conseguenza di questo fenomeno fu l'articolazione tra terre date in concessione e terre amministrate direttamente dal signore tramite amministratori di fiducia. Il colono sotto la protezione di un signore di solito oltre al canone pagava un corrispettivo in giornate lavorative da prestare nel terreno sotto diretto controllo del signore. Questa economia prese il nome di economia curtense. Durate l'economia curtense il proprietario assumeva sempre di più il ruolo di un signore in quanto ai contadini era necessaria oltre che una dipendenza economica anche una dipendenza "sociale"; il signore infatti aveva sui suoi dipendenti potere giurisdizionale e militare. L'economia altomedievale viene detta economia naturale in quanto basata principalmente sull'agricoltura e praticamente priva di rapporti commerciali, con una circolazione monetaria assai ridotta. In Europa le monete erano fatte d'argento dato che le monete in oro venivano usate per gli scambi con l'oriente, anche se nonostante l'impoverimento l'Europa era sempre in grado di esportare qualcosa in oriente. Capitolo 7: l'impero carolingio e le origini del feudalesimo Alla morte di Clodoveo un progressivo indebolimento attraversò il regno dei Franchi e l'Europa vide così il sorgere di quattro entità statali in lotta per l'egemonia: La Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Nel corso del VII secolo la lotta per l'egemonia si restrinse alla sola Austrasia e Neustria. Di questo contrasto non erano protagonisti i sovrani dei due regni, bensì i signori di palazzo, detti maggiordomi, di entrambe le parti. Si imposero alla seconda metà del VII secolo i Pipinidi dell'Austrasia, artefici delle fortune della famiglia fu Pipino II. Suo successore fu il figlio, Carlo Martello il quale, ristabilì il potere franco in frisia, alemannia e turingia. Si occupò in seguito dell'Aquitania sotto la pressione degli arabi, che sconfisse nel 732 divenendo noto come campione della cristianità. La morte del re merovingio Teodorico IV lasciò il trono vacante permettendo a Carlo Martello di comportarsi come un sovrano, divise il regno tra i due figli Carlomanno e Pipino il breve i quali ripristinarono la monarchia merovingia elevando al trono il re fantasma Childerico III. Nel frattempo seguivano con interesse l'attività missionaria intrapresa da Bonifacio, un monaco aglosassone, in stretto accordo con papa Zaccaria. Nel 747 Carlomanno abdicò per ritirarsi in un monastero lasciando campo libero al fratello Pipino il quale, dopo aver rinchiuso Childerico in un convento si fece acclamare re facendosi poi ungere con olio santo da Bonifacio. L'approvazione del papato rispetto al potere di Pipino gli conferì una connotazione sacra. Verrà consacrato nuovamente insieme ai due figli Carlomanno e Carlo nel 754 dal pontefice Stefano II. La famiglia di Pipino il breve si era circondata di clientele sia militari che politiche, riuscendo ad armare anche una vasta schiera di cavalieri per la nuova tattica di combattimento ad urto. La nuova macchina bellica franca diede il via all'espansionismo; il primo a farne le spese fu il re longobardo. Dopo che Roma chiese aiuto a Pipino iniziò una spedizione militare nel 755 alla fine della quale il nuovo re longobardo Desiderio, si vide costretto ad attuare una politica meno bellicosa. Il nuovo corso della politica longobarda fu sancito dal matrimonio dei figli di Pipino con le figlie di Desiderio. La pace durò per circa quindici anni durante i quali scomparvero Pipino e Carlomanno, Carlo rimasto solo ed unico sovrano, ripudiò la moglie e la scacciò insieme alla vedova di suo fratello. Desiderio mosse allora guerra contro i territori da poco consegnati al papato, il nuovo pontefice chiese l'aiuto franco e Carlo Magno, una volta sconfitto Desiderio e poi il figlio, nel 774 cinse la corona di sovrano dei longobardi. Nel 776 nella penisola vennero immessi duchi e vassalli franchi per assicurare al sovrano maggior controllo. Gli anni successivi alla conquista del regno longobardo furono scossi da guerre; all'inizio la spedizione in Spagna, la rivolta dei sassoni, la conquista della frisia e della Baviera e la seconda spedizione in Spagna. Nel 799 il pontefice Leone III che era stato aggredito ed imprigionato durante una processione, venne liberato da due messi franchi e portato da Carlo Magno a cui il papa chiese aiuto. Venne riaccompagnato a Roma sotto scorta. Carlo lo seguì giungendo il 24 novembre 800. Visto che la nobiltà romana era ostile al papa ed il pontefice era accusato di adulterio e spergiuro venne convocato un concilio, durante il quale Leone III giurò la propria innocenza e venne riabilitato. Carlo Magno venne incoronato il 25 dicembre 800 imperatore dei romani. In oriente la promozione a imperatore di Carlo non fu presa bene, esplose un vero e proprio conflitto che terminò solo quando, nell' 812, l'imperatore bizantino riconobbe il titolo imperiale di Carlo in cambio della cessione dell'Istria e della Dalmazia e la rinuncia a qualsiasi pretesa franca su Venezia. Carlo affidò vaste zone dei territori conquistati a conti e duchi, mentre le zone di frontiera furono affidate ai marchesi i quali, erano responsabili anche della loro difesa. Per tenere sotto controllo i duchi vennero insediati un gran numero di vassi dominici ovvero funzionari fedeli direttamente al re. L'amministrazione dell'impero faceva capo al palazzo, nella corte erano tre le figure di riferimento • L'arcicappellano • Il cancelliere • I conti palatini La corte inoltre era mobile, garantendo pertanto un collegamento con le realtà locali. Carlo Magno cercò inoltre di dare omogeneità all'impero emanando i capitolari ovvero leggi formate da brevi articoli emanate nel corso di assemblee annuali. I capitolari riguardavano principalmente diritto pubblico e diritto ecclesiastico. Frequenti furono gli interventi legislativi in campo economico, sia per migliorare l'apparato fiscale, sia per proteggere le popolazioni rurali ed i piccoli proprietari fondiari che costituivano ancora la base del popolo e dell'esercito. Si tentò anche di riportare ordine nel settore monetario, vista la scarsità d'oro si diede spinta al conio di monete d'argento. La moneta circolante divenne allora il danaro, quotato 12 a 1 rispetto al soldo. Carlo si impegnò anche a continuare l'opera di restaurazione ecclesiastica intrapresa da Bonifacio estendendola a tutto l'impero. La chiesa franca elaborava la concezione di un impero operante in unità d'intenti con l'autorità papale in quanto l'imperatore aveva la responsabilità della scelta dei vescovi. L'imperatore era consapevole che aver buoni vescovi significava stabilità nel governo in quanto la popolazione era saldamente inquadrata dal potere ecclesiastico. Carlo riformò anche i monasteri che in questo periodo erano decaduti a causa dell'affievolirsi della disciplina interna, l'imperatore, per arginare questo fenomeno impose a tutti i monasteri la regola benedettina. Fu deciso anche di elevare il livello culturale dei monaci attraverso l'istituzione di scuole presso le cattedrali e nei monasteri maggiori. Espressione e strumento della rinata attività scolastica fu il recupero dei testi classici e il loro diffondersi attraverso la scrittura carolingia che mise fine al particolarismo grafico. Il gigantesco sistema politico messo in piedi da Carlo Magno andò in crisi dopo la sua morte, non arrestando però lo sviluppo culturale che si era avviato, tanto più che l'opera degli uomini di chiesa andò oltre l'ambito culturale e religioso contribuendo a mantenere in vita l'idea di stato come fonte di comando e dell'impero come garante di pace. Capitolo 8: la crisi dell'ordinamento carolingio e gli sviluppi dei rapporti feudali Per quanto riguarda il problema della successione, Carlo decise di attenersi al modello franco, divise quindi l'impero tra i suoi tre figli (Carlo, Ludovico, pipino) rimandando ad un secondo momento la decisione per il lascito del titolo imperiale. La morte prematura di Carlo e di pipino lasciò Ludovico unico erede del padre. L'eredità venne raccolta nell'814, anno di morte di Carlo Magno. Ludovico accentuò molto il carattere sacro del potere imperiale proponendo una più stretta collaborazione tra stato e chiesa. Una delle sue primarie preoccupazioni fu la successione, problema che risolse nell'817 con l'emanazione di una costituzione che proclamava l'indivisibilità dell'impero, che veniva destinato al primogenito Lotario. Lotario venne subito associato al governo e venne trasferito in Italia dove nell'824 impose la Constitutio Romana, ovvero impose al papa eletto di giurare fedeltà all'imperatore prima di essere consacrato. Ludovico alla lunga non si mostrò in grado di tenere a bada i figli minori che insieme con Lotario si ribellarono. Per far fronte alla situazione l'imperatore allargò la sua schiera di vassalli moltiplicando le concessioni di benefici. Questo sistema però impoverì il patrimonio del fisco che costituiva la principale fonte di reddito per la monarchia. La situazione precipitò alla morte di Ludovico per cui si giunse ad uno scontro frontale tra Lotario e i fratelli ribelli che dopo averlo sconfitto, stipularono nell'842 a Strasburgo un patto solenne alla presenza dei loro eserciti promettendosi aiuto reciproco. Lotario nell'843 fu costretto ad accettare il trattato di verdun che sancì la definitiva divisione dell'impero. A Carlo il calvo la parte occidentale, a Ludovico il germanico la parte orientale ed a Lotario la parte centrale. Alla morte di Lotario, che aveva conservato il titolo di imperatore, successe il figlio Ludovico II che fu a lungo impegnato in Italia nella lotta contro i saraceni. Alla sua morte nell'876 Carlo il calvo conseguì il dominio dell'Italia e la corona imperiale. Nell'884 la fine della discendenza di Carlo il calvo permise al figlio di Ludovico il germanico, Carlo il grosso, di riunire sotto di se tutta l'eredità di Carlo Magno. Fu ritrovata tuttavia un'unità molto effimera in quanto l'imperatore fu costretto ad abdicare. Ad oriente Arnolfo di Carinzia, in Francia divenne re Oddone e il regno d'Italia fu attribuito a Berengario. La dissoluzione dell'impero venne avvertita anche all'interno degli ambienti ecclesiastici dato che i vescovi iniziarono a considerarsi esenti dal dominio comitale, duchi e conti d'altro canto avevano iniziato a circondarsi di vassalli anche se questo era vietato da un editto capitolare. Per queste ragioni iniziarono a formarsi signorie locali. Questa nuova realtà europea del IX e del X secolo è detta signoria bannale. La formazione dell'impero franco nel cuore dell'Europa non mise fine alle continue incursioni da parte dei popoli seminomadi. Nell'area che andava dal baltico al mediterraneo fecero irruzione i Magiari che si stanziarono in pannonia sul finire del IX secolo. Questa stabilizzazione non mutò le loro abitudini predatorie, da qui infatti iniziarono varie incursioni nell'Europa carolingia, in Fancia e in Italia. Davanti ai magiari le formazioni politiche nate dalla dissoluzione dell'impero carolingio si rivelarono inadatte ed incapaci di garantire la difesa. A farne le spese furono soprattutto i monasteri e le città prive di difese. A mettere fine alle loro scorrerie contribuirono sia la riorganizzazione del regno di Germania sia l'esaurirsi della loro spinta offensiva dopo la conversione al cristianesimo che venne sanzionata nel 1001 con la concessione della corona al re magiaro Stefano I da parte di papa Silvestro II. Contemporaneamente l'Europa cristiana era aggredita dai saraceni. Gli arabi dopo aver conquistato la Sicilia esaurirono la loro spinta offensiva ma nonostante questo continuarono i loro attacchi all'occidente sotto forma di razzie, obiettivi di queste erano le città e le abazie. Spesso l'unico modo per fermarli era versare loro sostanziosi contributi in denaro mentre le iniziative armate ebbero risultati alterni. All'inizio dell'anno mille però tutto il mondo cristiano passò al contrattacco, nondimeno però, alcuni gruppi di pirati mussulmani rimasero in attività ancora per tutto il XII secolo. Le regioni dell'Europa risparmiate da magiari e saraceni furono investite dai normanni che dalla scandinavia partirono in direzioni diverse. La tattica bellica per quelli che si diressero in Europa era simile a quella dei saraceni così, per tentare di farli diventare sedentari, Carlo il semplice diede al loro capo, Rollone, la Normandia come feudo. I normanni allora nell'arco di cinquant'anni assicurarono al territorio un forte inquadramento politico attraverso rapporto vassallatico-benefici. I sovrani dei regni nati dalla dissoluzione dell'impero carolingio tentarono di dare un assetto difensivo ai loro territori ma il teatro bellico era cambiato, il nemico, almeno all'inizio non puntava a conquiste stabili ma alla mera razzia, per cui colpiva di sorpresa per poi ritirarsi. Fu inevitabile perciò coinvolgere nella difesa sempre di più le forze locali autorizzando la costruzione di castelli ed altre opere difensive. Molto spesso i signori locali prendevano l'iniziativa e fortificavano i loro castelli senza l'autorizzazione regia. Il signore locale che si era imposto per ragioni militari agli uomini protetti dal suo castello si attribuiva anche incarichi di natura giuridica e legale. Non di rado all'interno del castello sorgeva una cappella per l'assistenza religiosa, il castello si andava quindi configurando come organismo politico completo. Il modo in cui veniva esercitato il potere in questo signorie sorte più o meno abusivamente viene espresso come allodalizzazione del potere in quanto era gestito alla stregua di un bene privato. Il castello assunse due realtà diverse ovvero il castello propriamente detto configurato come struttura abitata dal castellano in cui gli abitanti del villaggio circostante vi si rifugiavano solo in caso di pericolo, ed il villaggio fortificato circondato da mura all'interno delle quali il signore si faceva costruire una residenza fortificata. Inoltre si venne ristrutturando nuovamente la rete viaria dato che la popolazione veniva contraendosi nei centri fortificati. Si andò riorganizzando per lo stesso motivo il territorio amministrato dalla chiesa che venne a coincidere con il territorio del castello. Il X secolo fu un secolo di ferro in quanto ci fu in questo periodo un'estrema frantumazione del potere dato che le signorie locali si trovarono in conflitto per stabilire chi avrebbe dovuto far valere la propria autorità sui contadini appartenenti a corti diverse ma che trovavano protezione nelle fortificazioni di un altro signore. Il vassallaggio aveva assunto ruoli completamente diversi in quanto da ricompensa che aveva un carattere di impegno futuro il feudo aveva ora carattere decisivo. Anche la fedeltà assumeva ora una commisurazione in base al feudo. Veniva rafforzata la tendenza a considerare in feudo un bene ereditario anche attraverso la promulgazione di leggi apposite. Questa tendenza portò alla formazione di una vasta rete politica in cui ognuno era vassallo di qualcuno e signore di qualcun' altro fino al vertice della piramide che era rappresentata dal re. La dissoluzione dell'impero carolingio causò oltre alla crisi del potere politico anche la crisi di quello ecclesiastico. In non poche diocesi i vescovi dedicarono più tempo all'esercizio dei loro poteri signorili piuttosto che all'attività religiosa, inoltre offrivano in feudo proprietà della chiesa in cambio di servigi di natura militare. Inoltre il potere religioso si trovò in contrasto con la natura laica del patrimonio in quanto i proprietari delle chiese imponevano il chierico al vescovo che poteva opporsi solo in caso di manifesta indegnità del candidato. Diventando praticamente indispensabile il sostegno delle istituzioni ecclesiastiche nelle vite di imperatori e sovrani essi cominciarono ad imporre i loro vescovi alla guida delle rispettive diocesi e di grandi monasteri. Al controllo dei laici non si sottraevano nemmeno i vertici della cristianità in quanto con la constitutio romana il papa doveva prestare giuramento di fedeltà all'autorità imperiale. Capitolo 9: l'Italia tra poteri locali e potestà universali Nel X secolo l'Italia si configurava in maniera particolare, su di essa trovavano scontro le concezioni politiche universali e particolaristiche in quanto era sede dell'influenza di due imperi, quello franco e quello bizantino. Il problema principale per queste lotte era la presenza del papato che pur essendo presente nel Lazio ed Umbira rivendicava la supremazia universale ed un proprio ambito politico. Il regno d'Italia era stato attribuito nell'887 a Berengario contro cui due anni dopo si levò Guido che lo sconfisse ottenendo cosi la corona di imperatore che passò alla morte di Guido al figlio Lamberto. Per favorire Berengario intervenne il re di Germania Arnolfo il quale attraverso papa Formoso fu riconosciuto re dai feudatari italiani e venne incoronato imperatore nel 894. Arnolfo verrà colto da una paralisi subito dopo l'incoronazione lasciando così campo libero a Lamberto che comunque scomparirà nel 898. Berengario cercò anche di porre un freno all'invasione ungara ma dopo essere stato sconfitto in battaglia la sua posizione si indebolì finché non gli si contrappose Ludovico di provenza anch'egli incoronato imperatore. Berengario riuscì a sconfiggere Ludovico nel 905 e nel 915 dopo aver cacciato i saraceni ed aver reso sicura Roma venne sconfitto dal nuovo erede al trono Rodolfo di Borgogna. Rodolfo però tenne il trono solo per due anni dopo infatti lo cedette ad Ugo di Provenza che lo tenne ininterrottamente fino al 946. La sua volontà di dare contenuto effettivo al titolo di re d'Italia provocò i malumori della feudalità italiana che attraverso il re di Germania Ottone I contrappose ad Ugo il marchese di Ivrea Berengario. Ugo fu sconfitto e nel 950 scomparso Lotario, Berengario di Ivrea poté cingere la corona. L'anno dopo iniziarono le prima difficoltà in quanto la vedova di Lotario (figlio di Ugo) Adelaide, chiese aiuto al re di Germania il quale sposò Adelaide stessa e scese in Italia facendo atto di sottomissione alla feudalità insieme a Berengario di Ivrea che conservò il regno in qualità di vassallo. Berengario però approfittò della lontananza di Ottone per ritrovare indipendenza ed espandere i propri domini in Italia centrale ai danni dei territori della chiesa. Il pontefice Giovanni XII chiese aiuto ad Ottone che scese in Italia nuovamente facendo prigioniero Berengario e cingendo poi egli stesso la corona regia su quella imperiale. Con la deposizione di Carlo il grosso la chiesa vide il proprio ruolo all'interno della cristianità indebolirsi, essendo anche sul piano interno in balia dell'aristocrazia romana che divenne arbitra dell'elezione papale e si rese protagonista di usurpazioni nel territorio della chiesa. Sul soglio pontificio si succedevano vari pontefici in sequenza sempre più rapida facendo perdere sempre più dignità al ruolo del pontefice, Roma venne scossa da una rivolta contro Ugo di Provenza che tentò di farsi incoronare imperatore da Giovanni XI. La rivolta venne promossa dal fratello del pontefice, il quale governò su Roma fino al 955 quando salì al soglio pontificio Giovanni XII appena sedicenne che poi incoronò imperatore Ottone I di Sassonia. Come per Carlo Magno la corona imperiale rappresentava per Ottone il coronamento di una lunga attività politica condotta a partire dal 936. Ottone operò per rendere la sua autorità effettiva in tutti e cinque i suoi ducati in modo da sviluppare in Germania una coscienza nazionale. Ottenne anche un regolare appoggio dai vescovi che coinvolse appieno nel governo di realtà territoriali. L'opera di riforma attuata in Germania dalla chiesa tedesca venne supportata da Ottone il quale sceglieva personalmente i vescovi. Questa manovra rese in Germania il fenomeno di decadenza dei costumi nell'ambito ecclesiastico meno grave rispetto al resto dell'Europa. Veniva inoltre incoraggiata la ripresa degli studi presso le grandi abbazie. Come apice di questa attività Ottone ricevette la corona imperiale nel 962. L'impero ottoniano rispetto all'impero carolingio ha in comune l'ispirazione di romanità ed il ruolo di protezione del papato e della cristianità. Ottone si attribuì il diritto di giudicare il candidato eletto prima della consacrazione a pontefice per poter garantire la correttezza dell'elezione (privilegium othonis) nel 962 in Italia successivamente trascorse sei anni nei quali si dedicò alla conquista dei territori meridionali dopo aver fatto incoronare imperatore il figlio Ottone II. Nel 968 subi una grave sconfitta a Bari e quindi decise di abbandonare la via delle armi per intraprendere quella diplomatica. L'imperatore bizantino Giovanni Zimisce riconobbe ad Ottone il titolo di imperatore e nel 972 acconsenti al matrimonio tra Ottone II e la figlia Teofane, che avrebbe dovuto portare in dote le terre meridionali. Alla morte di Ottone I il passaggio di poteri al figlio fu tutt'altro che facile in quanto sia la nobiltà germanica che la nobiltà italiana era poco incline a vedere bene il re in stabile residenza in Italia. L'aristocrazia romana assassinò il pontefice Bonifacio VII. Nel 980 Ottone II preparò una campagna per le terre meridionali ma venne sconfitto e poi morì prematuramente lasciando come erede il figlio Ottone III. Uscito dalla tutela il suo primo atto di governo fu la nomina a pontefice di Gregorio V e del suo successore Silvestro II. L'imperatore si proponeva di collaborare a stretto contatto con il pontefice, questo entusiasmo si scontrò con lo scontento dei feudatari i quali insorsero nel 999 capeggiati da Arduino d'Ivrea, scoppiò due anni dopo anche un'altra rivolta, quella dei romani (1001). Ottone III morì nel 1002 senza lasciare eredi diretti. Gli successe Enrico II che concentrò tutti i suoi sforzi sulla germania e sulle riforme per impedire il degrado dei costumi nell'ambiente clericale. Arduino intanto si era fatto nominare re d'Italia a Pavia nel 1002. Erico II nel 1004 scese in italia per ripristinare il potere regio, sconfisse Arduino finché non lo costrinse al ritiro dopo dieci anni di lotte armate. Nel 1014 Enrico II fu incoronato imperatore da papa Benedetto VIII proveniente dell'aristocrazia romana. A lui successe Giovanni XIX sempre della stessa famiglia. Questo mostra quanto fosse difficile per gli imperatori di Germania rendere effettivo il loro potere in Italia. Altra pecca dell'Italia era la mancata formazione di una coscienza nazionale, la mancata formazione di questa coscienza è da ricercare particolarmente nei soggetti politici che si creavano nelle maggiori città, specie quelle di residenza dei vescovi i quali si erano dovuti sempre interfacciare con l'autorità cittadina anche nella parte meridionale dell'Italia si poté assistere allo sviluppo di una coscienza urbana all'interno delle grandi città. Capitolo 10: splendore e declino di Bisanzio Alla fine del VIII secolo l'impero bizantino risultava particolarmente ridimensionato a causa delle continue invasioni da parte di arabi, magiari e bulgari. L'impero ebbe però la forza di contrattaccare verso la metà del IX secolo recuperando parte dei territori perduti. Gli imperatori si adoperarono per favorire lo stanziamento dei soldati sul territorio (stratioti) e favorirono anche il formarsi di una "piccola borghesia"di contadini che vivevano in comunità di villaggio costituendo così un organismo amministrativo per il pagamento delle tasse. La fisionomia dell'impero intanto si andava modificando in quanto l'impero era chiuso nelle sue frontiere essendo in seguito costretto ad abbandonare le pretese di dominio universale, acquisendo poi caratteri più orientali. Il latino venne sostituito dal greco ed anche il titolo imperiale venne modificato in basileus. Le città della costa comunque non abbandonarono il commercio ed il ricorso alle milizie locali per la difesa delle stesse anche se l'impero tendeva a concentrare il potere nelle mani dei funzionari pubblici. Questa orientalizzazione dell'impero costituì la premessa per la comprensione dello scontro che si venne creando contro il movimento iconoclasta. Il culto delle immagini era sempre stato malvisto dalle provincie più orientali dell'impero, le quali erano le più influenzate dai culti islamici ed ebraici che condannavano l'idolatria. Quando salì al trono Leone III il movimento raggiunse la corte. Egli con un decreto del 726 proibì il culto delle immagini. Il papa Gregorio III nel 731 scomunicò l'imperatore e i suoi sostenitori, questo decreto ebbe come risultato anche la riduzione del potere dei monaci. Con l'avvento al trono di Costantino VI la situazione si fece più complicata, specie quando a detenere il potere fu la madre Irene, che, sembrò intenzionata ad abbandonare la precedente politica in quanto venne nominato patriarca di Costantinopoli un iconodulo. Tre anni dopo il VII concilio di Nicea (787) condannò l'iconoclasmo come eresia. La reggenza di Irene tuttavia provocò dei malumori in occidente in quanto non era riconosciuta dal papato e questo provocò il considerare il trono d'oriente come vacante. Carlo Magno una volta incoronato imperatore era desideroso di intraprendere relazioni diplomatiche con l'impero bizantino ma dovette aspettare fino all'812 per vedere riconosciuto il suo titolo dall'imperatore Michele I. Con Leone V si ebbe il ritorno al potere della corrente iconoclasta. La contesa verrà poi risolta da Michele III nell'843 quando verrà riabilitata la liceità del culto delle immagini. Intanto il pericolo arabo si era di molto ridotto, lo stabilizzarsi della situazione portò alla rinascita dei grandi poderi fondiari senza tutelare gli interessi dei piccoli proprietari. Il problema verrà arginato alla fine del X secolo con l'introduzione di leggi atte a favorire le piccole proprietà. Queste norme però rallentarono soltanto il meccanismo di impoverimento dei cittadini di ceto basso e dei contadini che tendevano a porsi sotto la protezione di un signore. Questi episodi però non possono essere catalogati come una forma di feudalesimo bizantino in quanto lo stato risultava sempre presente a differenza di quanto avveniva nelle campagne europee. In occidente si sviluppò un grande rapporto tra potere imperiale e patriarcato in quanto l'imperatore era considerato il diretto rappresentante di Dio in terra. La compenetrazione tra i due poteri avvenne sempre all'insegna dell'egemonia imperiale. Al rafforzamento dell'autorità imperiale contribuirono anche i successi militari della seconda metà del X secolo. Il controllo completo sull'area balcanica venne riportato da Basilio II nel 1014. La cristianizzazione delle popolazioni slave e delle popolazioni bulgare era sempre avvenuta in contrasto con la chiesa di roma che tentava di ampliare la propria area di influenza attraverso i missionari. Il contrasto esplose quando la chiesa bulgara tentò di mantenersi del tutto autonoma. Il patriarcato era allora occupato da Fozio che era stato nominato dall'imperatore e non era riconosciuto dal papa. Dopo un violento scambio di missive nell'867 Fozio scomunicò il pontefice. La questione venne accantonata dopo la deposizione di Fozio decisa dal concilio di Costantinopoli che decise inoltre di sottomettere la chiesa bulgara a quella di roma. Ad abbassare la tensione tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli contribuì la crisi del papato del X secolo. La situzioane precipitò nel 1049 quando il papa Leone IX rivendicò il primato della sede romana nella chiesa universale. A Costantinopoli era patriarca Michele Cerulario, fiero oppositore del primato papale. Il patriarca ordinò nel 1053 la chiusura di tutte le chiese di rito latino. L’imperatore Costantino X era interessato a trovare un compromesso perciò fu inviata da Roma una delegazione che però fallì la missione di mediazione il 15 luglio del 1054 quando entrambe le parti scomunicarono i rispettivi vertici. Lo scisma non fu sentito in maniera traumatica specialmente perchè la chiesa di Roma e quella bizantina andavano sempre di più diversificandosi già da tempo ed in maniera naturale. L’elemento che più pesò fu l’orientamento fortemente monarchico che assunse il papato tra l’XI ed il XII secolo per cui, i teologi bizantini sostennero che fosse la chiesa di Roma ad allontanarsi dall’ortodossia dei primi concili ecumenici. I successi dell’impero avevano portato alla ripresa delle attività commerciali e la moneta bizantina risultava forte nei mercati internazionali, le città erano anche sede di un’intensa attività culturale ed artistica che vide in primo piano gli imperatori stessi. L’opera culturale raggiunse il suo apice nell’XI secolo. Quando la civiltà bizantina aveva raggiunto il suo massimo splendore si stagliavano all’orizzonte i segnali di un rapido declino: con la fine della dinastia macedone esplosero vari scontri per il potere tra l’alta burocrazia e i proprietari fondiari, sul fronte esterno era salito il livello di minaccia che rappresentavano i turchi che dopo aver conquistato Baghdad si volsero all’occidente ed all’Egitto. Alla fine dell’XI secolo il pericolo maggiore venne però dai normanni dell’Italia meridionale che cacciarono i bizantini dall’Italia ed invasero l’Albania puntando alla conquista di Costantinopoli. L’imperatore Alessio Comneno chiese aiuto a venezia per sconfiggere i normanni concedendo ai veneziani di poter commerciare con tutte le città dell’impero senza dover pagare i dazi che gravavano invece sugli operatori locali. I veneziani divennero in breve tempo padroni dell’economia bizantina. L’impero nel corso del XII secolo si andava configurando come un’appendice di Venezia in quanto la pressione fiscale e la svalutazione della moneta si fecero sempre più gravi. Capitolo 11: incremento demografico e progressi dell'agricoltura nei secolo XI – XIII All’inizio dell’anno mille la popolazione europea era di nuovo in aumento, ovunque era in atto una messa a frutto maggiore delle terre agricole e le città riprendevano il loro ruolo di sedi per gli scambi commerciali, vi era inoltre un aumento della durata media della vita. L’unico paese che possiede un documento attestante l’aumento della popolazione risulta l’Inghilterra attraverso il domesday book. Un altro fenomeno di grandi dimensioni che coinvolse l’Europa fu l’ampliamento dello spazio coltivato. In questo periodo si ebbe il sorgere delle cosiddette villenuove, ovvero villaggi di nuova fondazione creati per valorizzare zone disabitate. Nel corso del XII secolo vennero fondati nuovi ordini monastici che desiderosi di riscoprire lo stile di vita monastico si stabilirono spesso in zone scarsamente popolate; intorno a loro però si stabilivano molto spesso contadini desiderosi di vivere secondo la saggia guida dei monaci creando così intorno ai monasteri dei veri e propri insediamenti. Una delle opere di bonifica più massive è da ricercare nei paesi bassi, i coloni con la costruzione di dighe e di canali di drenaggio riuscirono a bonificare quelle terre ed a renderle anche molto produttive dato l’aumento della popolazione in quella zona. In Spagna il ripopolamento fu strettamente legato alla riconquista dei territori da parte dei cristiani. In Europa centrale i vari signori spinti sia dalla crescita demografica sia dal desiderio di ampliare i propri domini iniziarono a far varcare i confini delle loro signorie dai coloni per espandersi nei territori che furono la culla dei popoli emigrati nei secoli precedenti. Le genti di queste terre vennero convertite, furono costruiti monasteri per sradicare ogni forma di paganesimo. L’origine della spinta coloniale è certamente da ricercare nell’incremento demografico nelle terre già coltivate, i signori delle terre degli emigranti infatti si trovavano costretti a patteggiare con le popolazioni locali le quali riuscirono spesso a strappare ai loro signori diversi diritti. Le modifiche che incalzavano nell’economia delle curtis modificarono le curtis stesse dove più dove meno, inoltre, a causa della maggiore libertà di cui godevano i contadini si andarono delineando delle differenze nette. La crescita demografica fu resa possibile grazie alle nuove tecniche agricole come l’uso dell’aratro pesante che rese possibile arare più in profondità i terreni bonificati. Contribuì alla rinascita agricola anche il calo del prezzo del ferro causato dal maggior sfruttamento delle miniere. Il calo del prezzo causò una maggiore costruzione di attrezzi agricoli. La ferratura dello zoccolo ed il nuovo sistema di bardatura contribuirono ad un più largo uso del cavallo in campo agricolo anche se il cavallo restava comunque un bene molto costoso. Venne introdotto il sistema di rotazione triennale che riduceva la superficie improduttiva e rendeva le colture più varie fornendo anche il foraggio per il mantenimento del cavallo. Il nuovo modello agricolo non si diffuse però i tutta Europa a causa delle diverse zone climatiche. Si delineò quindi un Europa del nord che utilizzava la rotazione triennale e l’Europa mediterranea che utilizzava quella biennale e l’aratro leggero. L’agricoltura medievale però non conseguì mai risultati brillanti a causa della scarsità di concime animale.
Capitolo 12: la ripresa del commercio e delle manifatture
Nonostante la ruralizzazione della popolazione non si era arrivati ad una interruzione dei traffici poiché all’interno delle curtes e nei villaggi non era stato possibile produrre tutto ciò che era necessario. Le popolazioni più attive erano quelle che si trovavano in punti di incontro tra aree economiche diverse, c’è da aggiungere che in questo periodo gli ebrei svolsero un ruolo di intermediari avendo un raggio d’azione intercontinentale. Gli scambi alto medievali comunque riguardarono solamente cose poco ingombranti e principalmente beni di lusso. La situazione iniziò a cambiare nel X secolo a causa dell’aumento dei mercanti di professione e all’ampliarsi del fenomeno delle fiere. In questa fase restarono comunque distinte due principali aree commerciali: quella del nord Europa e quella del mediterraneo. Nell’area nordica sono individuabili un settore atlantico ed un altro compreso tra il mar baltico e il mare del nord. Nel corso dei secoli XI-XII crebbe il movimento all’interno delle aree e si attuò anche il collegamento tra l’area mediterranea e l’area nordica. Questo successo fu determinato anche dalla pace mantenuta nei territori di governanti locali. Nell’XI secolo si andarono delineando nuove posizioni di forza all’interno del mondo della mercatura. I veneziani presero l’egemonia dei commerci garantendo anche il collegamento tra Alessandria e Costantinopoli. Il collegamento con l’area mediterranea venne perfezionandosi dalla seconda metà del XIII secolo con la creazione di nuove rotte marittime. L’incremento della navigazione portò il mondo marittimo a progredire nell’arco di due-tre secoli. La prima innovazione fu la bussola, seguita dalle carte nautiche e dalla costruzione di navi sempre più grandi e manovrabili. Nonostante i progressi nel campo della navigazione i trasporti avvenivano principalmente via terra e dato che per i mercanti era vantaggioso accorciare il percorso si venne creando una fitta rete viaria e nei punti più battuti vennero addirittura create delle strutture per il cambio dei cavalli. Le novità del commercio dell’anno mille sono costituite dal fatto che non più gli articoli di lusso venivano importati e commerciati bensì qualsiasi tipo di merce veniva trasportata. Contrasti scoppiarono per i dazi sull’esportazione del grano e per l’egemonia della produzione del sale. Venivano importati ed esportati i materiali necessari al funzionamento dell’industria tessile. Una merce erano anche gli schiavi, venduti e comprati in tutta Europa. Tutti i prodotti in circolo avevano aree di produzione ben definite per rendere famosa la zona che produceva una determinata merce. Artefice dell’integrazione tra aree diverse per specializzazione e produttività fu senz’altro il mercante. Il mercante fu una figura molto importante in questo periodo, non si trattava infatti di un avventuriero nonostante l’attività commerciale continuasse a comportare parecchi rischi, anche se gli scambi in denaro erano largamente sostituiti dalle lettere di cambio che riducevamo di molto l’uso della moneta. Ben presto vennero ridotti i rischi per la navigazione attraverso l’istituzione di convogli gestiti dallo stato. Si vennero a formare anche società dette “commenda” le quali erano una sorta di società per azioni medievali che però venivano costituite in previsione di un solo viaggio. Successivamente si arrivò alle “societas maris” che venivano costituite per un determinato periodo di tempo. Queste società col tempo acquisirono la funzione di vere e proprie banche. Con lo sviluppo dei commerci infatti fu necessario riformare il sistema monetario carolingio fatto di monete d’argento, Federico II nel 1231 fece coniare l’augustale; le monete in oro risultarono necessarie per poter essere accettate in ambito internazionale dopo la decadenza delle monete arabe e bizantine. Il commercio a livello locale e internazionale era basato oltre che sulle derrate alimentari anche sui prodotti dell’artigianato e dell’industria tessile entrambi fortemente legati all’ambiente urbano. Il settore di punta dell’industria medievale è rappresentato dall’industria tessile e dall’industria metallurgica, molto fiorente per la produzione di armi e attrezzi. Successivamente si venne formando anche un settore nuovo rappresentato dalle cartiere, necessarie per la produzione della carta. Nel contempo si distinsero anche vari artigiani specializzati. In genere l’unità produttiva di base era rappresentata dalla bottega di solito a gestione famigliare a cui si affiancavano degli apprendisti o dei salariati. In questo contesto videro la nascita le corporazioni il cui obiettivo, era quello di tutelare i propri membri e i loro interessi a tutti i livelli.
Capitolo 13: lo sviluppo dei centri urbani e le origini della borghesia
Le città furono a partire dall'XI secolo una componente fondamentale della storia europea, anche se conto. L'urbanizzazione in Europa non era avvenuta in maniera uniforme quindi nelle aree marginali dell'ex impero romano le città scomparvero del tutto e nelle aree interne persero di importanza o vennero abbandonate. La sopravvivenza di molti centri urbani dipese dalla presenza del vescovo, che faceva mantenere al centro cittadino una certa importanza. Nell'Italia meridionale la situazione era assai diversa; le città, pur risentendo della crisi demografica dei secoli precedenti erano inserite in un contesto commerciale più ampio ed erano quindi popolate dai ceti artigiani e produttivi. Diversa era invece la situazione nell'Italia centro-settentrionale dove le città come Venezia, Pisa e Genova erano proiettate verso il futuro al livello politico e sociale. Diventeranno queste le potenze marinare in Italia pronte anche a delle relazioni commerciali con l'oriente. In questo contesto ebbero un ruolo importante i vescovi i quali sempre più spesso assumevano poteri paragonabili a quelli dei funzionari pubblici specialmente a partire dal X secolo. La funzione temporale delle curie vescovili contribuì al ritorno della nobiltà nelle città, che a sua volta contribuì al ritorno di una componente produttiva e dei vassalli. Nel corso dei secoli X – XI le comunità cittadine si resero conto del loro potere esautorando del tutto il vescovo. Comunque anche in questa fase rimase evidente che il ceto dirigente era formato dalla classe mercantile. La rinascita urbana coinvolse anche la Francia meridionale e la Germania, in queste regioni più che altro si assistette alla fondazione di nuove città. I modi in cui questo avvenne furono fondamentalmente due: O un signore fondava un centro fortificato nei pressi di una zona di mercato o un gruppo di mercanti creava un proprio insediamento nei pressi di un castello o di un'abazia. Questi nuovi insediamenti presero il nome di borghi. Le città del nord della Germania all'inizio del trecento fondarono una lega mercantile denominata Lega Anseatica. Il reticolato urbano si presentava sempre più largo mano a mano che ci si spostava verso est. In Inghilterra la dominazione romana non aveva lasciato insediamenti di tipo urbano per cui si dovette aspettare il XIII secolo per assistere ad opere di urbanizzazione. Le città intorno al trecento erano rappresentate da vari casi in cui raggiungevano una popolazione di 100.000 abitanti, poi venivano le grandi città che si aggiravano intorno ad una popolazione di 50.000 unità; più numerose erano le città medie tra 15 e 30mila abitanti. Una crescita cosi massiccia delle città non è imputabile solo all'aumento della popolazione ma anche alla massiccia ondata migratoria proveniente dalle campagne. Tale ondata era provocata dalle nuove opportunità che le città offrivano. La popolazione urbana assunse un nuovo status giuridico in quanto non era soggetta ai vari signori feudali delle campagne, era anche diverso il tipo di lavoro che i cittadini svolgevano rispetto al lavoro di campagna. Si veniva delineando una società più ricca ed articolata nella quale le persone che si occupavano del lavoro della terra e della preghiera erano la maggior parte della popolazione ma nella quale coloro che erano impiegati nel credito e nel commercio venivano ad occupare un ruolo di crescente importanza. Prese così vita la società tripartita, che durerà fino alla rivoluzione francese. Era composta da oratores (ecclesiastici) bellatores (combattenti) laboratores (rustici). Le città manifestarono una tendenza autononistica tra il XI e il XII secolo, in alcuni casi fu totale mentre in altri l'autonomia fu solo amministrativa e non politica. Nella Francia del nord si assistette alla nascita dei comuni per iniziativa dei cittadini sotto la guida di personaggi eminenti. I cittadini prestavano giuramento di pace per mantenere la concordia nella città e per limitare gli arbitri dei signori, poi si avviavano trattative con i signori per avere la concessione di una carta di comune nel caso in cui le trattative non fossero andate a buon fine non si faceva di solito attendere molto una rivolta armata. Il signore in alcuni casi concedeva la carta di comune a patto che la città mantenesse dei funzionari a lui fedeli. Capitolo 14: il rinnovamento della chiesa e la riforma religiosa A seguito della crisi delle istituzioni politiche e religiose l'ordinamento ecclesiastico si era trovato privo del potere politico e non riusciva a fermare le ingerenze dei laici all'interno delle nomine pontefice e cardinalizie, non riusciva inoltre a sopperire al livello culturale dei monaci e chierici che continuavano a sottrarre i beni della chiesa per trasmetterli ai propri vassalli od alle proprie famiglie. Gli aspetti della crisi del X secolo erano collegati tra loro in quanto i metodi clientelari con i quali venivano reclutati davano origine alla corruzione e all'ignoranza. Era molto comune specie nell'Italia meridionale che i chierici vivessero in concubinato e che indirettamente trasmettessero ai loro figli illegittimi delle proprietà ecclesiastiche. Il fatto che agli uomini di chiesa venisse concessa un'importanza elevata comportava che le loro manchevolezze venissero percepite come più gravi; ma il fatto che la chiesa disponesse di un vario arsenale culturale diede il via ad un massiccio movimento riformatore. I primi segni di cambiamento si ebbero nei monasteri, nei quali era sempre stato attivo un movimento di riflessione teologico che portò già nel X secolo alla sperimentazione di nuove forme di vita monastica. L'esperienza più fruttuosa fu quella del monastero di Cluny in cui l'abate coordinava un certo numero di monasteri nella zona ed era soggetto direttamente all'autorità papale senza passare dal vescovo, garantendo quindi all'abate una certa autonomia; vennero aboliti i lavori manuali per lasciare più spazio ai monaci per la preghiera e le funzioni liturgiche. Un costume caratteristico della prima età cristiana tornò in voga nel X secolo e nel mille, l'eremetismo, questo fenomeno diede vita alla fondazione addirittura di ordini monastici basati sull'eremetismo, come i certosini. Alcuni di questi ordini poi si evolveranno negli ordini mendicanti. Un'altra componente della riforma fu il ripristino delle comunità canonicali, dimenticate dopo Ludovico Il Pio, nel X-XI secolo ci fu un cambio di tendenza, tra l'altro la promozione della vita comune del clero era prova dell'adesione del vescovo al movimento riformatore. Dall'XI secolo si poté parlare di un vero e proprio movimento canonicale. Le comunità canonicali o canoniche regolari non sono da confondere con le comunità monastiche in quanto i monaci non erano chierici. Prenderanno abitualmente i voti dal XII secolo. Il clero simoniaco e concubinario era sempre più criticato sia dai laici sia da alcuni predicatori itineranti che predicavano di rifiutare i sacramenti da loro amministrati. Questi contestatori furono detti paratini ed andarono incontro alla scomunica. I costumi corrotti vennero criticati anche dai movimenti popolari. Per riformare totalmente la chiesa era necessario che il movimento di riforma avesse un coordinatore, questo ruolo venne preso in un primo tempo dal potere politico, prima di passare nelle mani del papato. Imperatori come Enrico III cercarono di ridurre il potere dei vescovi corrotti per poi volgere l'attenzione nel 1046 alla chiesa di Roma che a causa del contrasto tra famiglie romane aveva in se ben tre papi, Enrico III li depose tutti e fece eleggere il suo candidato che prese il nome di Clemente II. Il nuovo papa dichiarò decaduti gli ecclesiastici colpevoli di simonia. Nello stesso tempo tra gli intellettuali riformatori si sviluppò il pensiero che per riformare completamente i costumi della chiesa era necessario interrompere le ingerenze dei laici negli affari della chiesa. Il nuovo papa Leone IX riunendo intorno a se i maggiori esponenti del mondo riformatore proclamò più volte una condanna per la simonia. Una battuta d'arresto alla sua attività riformatrice fu causata dallo scontro con i normanni. Il pontefice nel 1053 mosse contro di loro guidando personalmente l'esercito, venne sconfitto e fu trattenuto come prigioniero per quasi un anno. Dopo la stipula di un'intesa con i normanni il papato riconobbe le loro conquiste in cambio di un appoggio politico e militare. Il potere pontificio comunque si andava via via separando dal potere imperiale e alla morte di Enrico III nel 1056 si verificarono diverse defezioni dei vescovi che non volevano adeguarsi alle nuove regole. Il gruppo riformatore alla morte di Enrico III si trovava con due posizioni prevalenti al suo interno: il primo era più rigoroso e richiedeva una condanna più radicale della simonia compreso l'annullamento di tutti gli atti effettuati dai simoniaci mentre l'altra, sosteneva che una soluzione così rigorosa fosse impossibile da attuare per motivi sia politici sia pratici. La seconda tesi sosteneva infatti che la chiesa non doveva separarsi dall'impero ma dovevano essere ridefiniti i rispettivi ruoli. Intanto il papato approfittando della minore età di Enrico IV attuò nuove riforme di carattere amministrativo e organizzativo. Il pontefice Niccolò II nominò il più forte capo normanno vassallo della chiesa di Roma, convocò poi un concilio in laterano nel quale modificò il sistema di elezione papale, fu rinnovato l'obbligo del celibato per il clero e fu proibito al clero di ricevere chiese dai laici, anche a titolo gratuito. Nei due successivi concili vennero stabiliti dei provvedimenti definitivi nei confronti dei vescovi simoniaci, i vescovi vennero dichiarati decaduti ma le ordinazioni da loro fatte vennero ritenute valide. In futuro anche questi atti saranno annullati. Enrico IV nel 1066 uscito dalla giovinezza si accorse subito che con le nuove riforme stava venendo escluso dal controllo delle sedi vescovili ma nel primo periodo del suo regno fu impegnato a sedare una rivolta in Sassonia. Nel frattempo saliva al trono pontificio Gregorio VII grande punta dello schieramento riformatore. Gregorio rivendicò il primato di Roma sul governo della santa romana chiesa. Ne scaturì una spaccatura che fini col rimescolare le forze. Dalla parte dell'imperatore vennero a trovarsi non solo i vescovi contrari alla riforma ma anche gli ecclesiastici contrari alla concezione gregoriana del primato papale. A versare benzina sul fuoco contribui il testo papale (dictatus papae) nel quale il pontefice si impossessava del diritto di estendere la propria giurisdizione temporale attribuendosi la facoltà di deporre oltre che i vescovi anche l'imperatore. Prendeva cosi corpo l'idea di una monarchia incentrata sul pontefice al quale avrebbero dovuto far capo tutti i poteri, spirituali e temporali. Enrico IV era deciso a non accettare una concezione del genere per questo scaturì un lungo conflitto chiamato lotta per le investiture. Si mosse per primo il pontefice il quale attraverso il concilio emanò un decreto nel quale vietava ai laici di concedere l'investitura di vescovadi e abazie. Enrico IV a sua volta convocò un'assemblea di nobili ed ecclesiasti a lui fedeli che deposero e scomunicarono il pontefice. Il papa a sua volta depose e scomunicò l'imperatore sciogliendo i fedeli dal giuramento di fedeltà. L'imperatore che aveva appena domato un'insurrezione da parte dell'aristocrazia tedesca si rese subito conto di quanto fosse pericolosa la situazione. I nobili rivoltosi gli imposero di sottomettersi al giudizio del papa il quale si diresse verso Canossa in attesa della scorta promessa dai principi ribelli tedeschi. Qui venne raggiunto da Enrico IV che attese tre giorni e tre notti chiedendo perdono al pontefice che ottenne nel 1077. L'imperatore potè cosi riprendere l'iniziativa ma i nobili tedeschi non desistettero e nello stesso anno convocarono una nuova assemblea dove elessero re Rodolfo di Svevia che però non riuscì ad imporsi. Enrico dopo aver sbaragliato gli oppositori si volse contro il papa che nel 1080 gli rinnovò la scomunica. Enrico quindi convocò due concili: nel primo fece deporre il papa e nel secondo fece eleggere pontefice Gilberto di Ravenna. Si diresse poi verso Roma dove giunse nel 1081 mettendo la città sotto assedio. Roma cadde nel 1084 e Giberto venne consacrato papa col nome di Clemente III, dopo essere stato consacrato incoronò imperatore Enrico IV. Nel 1088 salì al soglio pontificio Urbano II che a differenza di Gregorio VII si concentrò sulla costituzione di canoniche regolari più che di monasteri, andando cosi ad assumere un orientamento episcopalista. Questo orientamento diede i suoi frutti, infatti molti vescovi fedeli all'antipapa Clemente III lo abbandonarono. Negli anni successivi il papa cercò di chiamare a raccolta tutte le forze possibili, Urbano II acquisto quindi l'iniziativa isolando in maniera sempre più grave sia Clemente III che Enrico IV. Il successore di Urbano, Pasquale II seguì una politica rigorista cercando ad un certo punto, col consenso del nuovo imperatore Enrico V di far rinunciare la chiesa ai suoi beni terreni, nel 1111 venne raggiunto un accordo in tal senso ma nel giro di pochi giorni a causa delle forti opposizioni da ambo le parti un concilio sconfessò il papa che ormai in balia dell'imperatore fu costretto ad incoronarlo e a concedergli la facoltà di consacrare i vescovi. L'anno successivo un nuovo concilio annullò la concessione e nel 1116 scomunicò l'imperatore. Venne partorito perciò un concordato nato su una concezione che da tempo veniva discussa, ovvero che i vescovi fossero nominati dal papa ma che l'imperatore avesse dovuto investire i vescovi delle varie autorità politiche. Per cui venne stipulato nel 1122 tra l'imperatore Enrico V e il pontefice Callisto II il concordato di Worms. Il concordato venne ratificato l'anno successivo dal primo concilio ecumenico tenutosi in occidente, il concilio del Laterano, nel quale venne formalizzato il primato di Roma all'interno della cristianità. Venne anche ribadita l'esclusione dei laici da ogni ingerenza nei confronti del clero. Nel 1139 il concilio riservò capitoli specifici per l'elezione dei vescovi. Tutto questo portò ad un potenziamento dell'apparato burocratico dell'amministrazione vaticana, iniziarono a fluire rendite sia dai patrimoni fondiari che dalle tasse pagate dagli stati vassalli, oltre che le rendite ottenute tramite l'obolo di san Pietro, ovvero pagate da quei sovrani che avevano ottenuto la corona dal pontefice. La legazione divenne un'importante strumento di governo nello stato pontificio, i legati inizialmente inviati temporaneamente presso un sovrano per un motivo particolare in seguito sostituiti od affiancati con legati permanenti, il cui potere venne sempre più ampliato fino a che i legati divennero veri e propri rappresentanti del papa a tutti gli effetti. Ben presto la santa sede riuscì a diventare il punto di riferimento per tutta la politica europea che portarono via via il papato alla ierocrazia. Capitolo 15: rinascita culturale e nuove esperienze religiose La crisi della dinastia carolingia che comunque aveva contribuito ad una rinascita culturale attuata per elevare la cultura del clero, spostò il centro culturale dalla corte ai monasteri. La Germania tentò di continuare la tradizione ma nell'XI secolo i monasteri si erano aperti all'influenza francese. In Italia meridionale il collegamento col mondo greco e con quello bizantino-arabo portava una vivace attività culturale. In Italia settentrionale nello stesso periodo era in atto una rinascita del diritto romano attraverso lo studio del corpus iuris civilis di Giustiniano. La Francia fu l'unica nazione in cui la ripresa culturale riguardò tutti i settori. Il fenomeno di rinascita culturale venne accelerandosi nel XII secolo, fino all'XI secolo infatti solo i grandi monasteri avevano svolto un ruolo culturale di rilievo. A metà del XII secolo erano in piena fioritura i nuovi ordini religiosi che però contribuirono solo in parte al progresso culturale in quanto il loro obiettivo era l'ascesi spirituale. Un ruolo decisamente più importante spettò alle cattedrali che erano pienamente inserite nelle città allora in piena crescita. Le scuole nelle cattedrali erano gestite dai vescovi che conferivano ai maestri la licenza per insegnare ma non rilasciavano alcun titolo riconosciuto. Nel XII secolo si assistè alla nascita delle università che all'inizio si configurarono come una sorta di corporazione di studenti e professori. Le università produssero programmi di studio, decisero i compensi da riservare ai professori e le modalità per il sostegno degli esami ed il conseguimento della laurea. Le facoltà erano quattro: arti, diritto, medicina e teologia. La facoltà di teologia però non era presente ovunque in quanto i vari papi cercarono di riservare il monopolio all'ateneo di Parigi. La nascita delle università modificò radicalmente le condizioni di produzione dei libri, fino ad allora infatti erano visti come beni di lusso. Il problema venne risolto dalle università che attraverso una commissione approvava i testi che venivano forniti agli editori i quali si impegnavano a venderli a prezzi accessibili. La lingua della cultura era sempre stata il latino che però la popolazione media non era più in grado di comprendere. Tra i secoli XI e XII si asisstè alla diffusione di opere scritte in lingua volgare nata dall'evoluzione del latino con le varie parlate locali. Grande prestigio in questo periodo lo acquistarono i notai che a causa del loro mestiere erano costretti a produrre atti in entrambe le lingue. Altri protagonisti della vita cittadina erano i mercanti che avevano una mentalitàdecisamente razionale. Con l'apertura a tutti delle scuole inoltre vi fu l'aumento delle persone alfabetizzate e l'immissione sul mercato di una nuova tipologia di opere dal costo assai basso. Nel XII secolo si poté assistere ad una laicizzazione della cultura quando anche i laici erano diventati fruitori di ospedali e confraternite. Si trattava di un fenomeno di massa, in questo periodo infatti vi fu il proliferare di parecchie eresie. Per controllare questa stragrande formazione di ordini religiosi la chiesa tentò di imporre loro la completa sottomissione ai vescovi. Grande clamore ebbe l'ordine francescano che predicava uno stile di vita completamente nuovo molto differente rispetto a quello della chiesa dell'epoca. La chiesa comunque cercò di porre un freno agli ordini mendicanti in quanto i francescani si erano diffusi ovunque in modo capillare. Capitolo 16: rapporti feudali e processi di ricomposizione politico - territoriale L'impero e l'Italia dei comuni. Il ritrovato dinamismo e fioritura culturale portò ben presto ad una crescita demografica per la quale era necessario una grande opera di dissodamento. Per realizzarlo era necessario superare il problema del particolarismo politico e del continuo stato di guerra. Una prima risposta venne dato dalla fondazione del movimento della pace di dio per il quale i vescovi organizzarono grandi assemblee nelle quali predicavano la protezione delle categorie più sensibili puntando il dito contro i violatori della pace che di solito erano signori feudali proprietari di castelli. Ben presto oltre a proteggere dalla guerra determinate categorie di persone ed i beni della chiesa si arrivò a garantire una maggiore sicurezza proibendo qualsiasi attività bellica la domenica e durante le feste religiose. L'intervento della chiesa per disciplinare il ceto dei cavalieri ovvero la figura del combattente per l'ideale cristiano al servizio della chiesa, avvenne in un contesto di divisione sociale tra oratores, bellatores e laboratores che raccoglieva diverse forzature. Però effettivamente coloro che combattevano a cavallo si distinguevano nettamente da coloro che erano disarmati (inermes), infatti i cavalieri stavano prendendo coscienza della propria particolare condizione sociale e giuridica. Infatti i suoi membri godevano di vari privilegi: erano esenti dal pagamento delle tasse per le terre possedute, erano sottratti alla giustizia dei signori e potevano tramandare ereditariamente la loro condizione. Alla coesione di questo ceto contribuirono i nuovi modelli di comportamento elaborati dagli ecclesiastici francesi i quali trasformarono l'investitura in un rituale a carattere religioso. Nel corso del XII secolo il codice cavalleresco venne arricchito da giovani cavalieri che predicavano una vita avventurosa e la ricerca di un generoso signore e di una causa da servire. I cavalieri però erano sempre pronti ad affrontare qualsiasi impresa guerresca, per questo si cercò di indirizzare la loro violenza al di fuori della cristianità. I vescovi comunque ancora una volta sopperirono alla carenza di elementi politici che non erano in grado di mantenere l'ordine nella società. Nell'XI secolo i rapporti feudo-vassallatici mutarono perdendo la loro connotazione militare, trasformandosi in strumenti di governo e di coordinazione politica per il controllo di aree più vaste. All'origine di questa trasformazione c'erano oltre al ritrovato dinamismo della società anche il riconoscimento dell'ereditarietà del feudo e la nascita del diritto feudale. Fu proprio il diritto feudale a creare il sistema feudale all'interno dello stato. Il feudo era diventato un bene che una volta posseduto non poteva più essere sottratto a meno che il feudatario non fosse stato riconosciuto colpevole di tradimento da un tribunale di suoi pari. Il feudo veniva così assimilato all'allodio ovvero al bene di piena proprietà tanto più che i rapporti con i signori nel corso del tempo si erano allentati. A causa della riscoperta del diritto romano e del diritto canonico i giuristi arrivarono ad individuare lo stato come fonte del diritto rendendo quindi illegale ogni forma di potere priva della legittimazione reale. Dato che la situazione feudale era estremamente frammentata si ricorse all'espediente di donare al sovrano le proprie terre per riceverle nuovamente in feudo legittimando in tal modo il potere del vassallo che parte sua riceveva ben poco danno. Addirittura in Lombardia si trovavano dei feudatari esentati dal servizio militare, il feudo quindi via via aveva perso anche il suo originario uso di clientela militare diventando di fatto uno strumento usato da un sovrano per affermare la propria autorità su nuovi territori e per consolidare il suo potere. Nel XII secolo quindi i giuristi delinearono una mappa che dal vertice distribuiva poteri verso il basso fino ad arrivare ai ceti rurali. Il processo fu comunque assai lento e differente a seconda dei paesi. In Italia le comunità cittadine non erano formate solo da mercanti e artigiani ma anche dalla piccola e media nobiltà che non di rado possedeva diritti giurisdizionali sui villaggi e le terre della campagna circostante. In città comunque le funzioni pubbliche non erano amministrate tutte dal vescovo ma erano ripartite tra diversi organismi politici: conte, vescovo, eventuali cattedrali o monasteri e la comunità cittadina che era sempre in grado di far sentire la propria voce. Un quadro sociale così frammentato consentì comunque lo sviluppo libero di forze sociali diverse ma non fu adeguato per disciplinare i contrasti che inevitabilmente sorgevano. All'incremento naturale della popolazione poi si aggiungeva l'immigrazione dei contadini e degli esponenti della nobiltà che si trasferivano in città per incrementare il loro prestigio e la loro ricchezza. La lotta per le investiture fu il momento propizio per lo sviluppo delle autonomie cittadine in quanto sia il papa che l'imperatore erano alla ricerca di nuovi consensi da parte delle autorità locali in favore delle quali largheggiavano con i privilegi. A Milano per esempio venne istituita nel 1097 una nuova magistratura detta collegiale che nel 1130 contava ben ventitré membri di cui 18 erano componenti dell'aristocrazia feudale ed a vario titolo legati al vescovo, questo dimostra che gli esponenti dell'aristocrazia erano comunque il nucleo forte della realtà comunale. I comuni consolari si svilupparono in diversi modi nelle varie città italiane ma comunque nel periodo 1080-1120. L'iniziativa era sempre nelle mani del ceto aristocratico tranne in alcuni casi in cui partecipò anche il ceto mercantile. Le famiglie consolari infatti all'inizio non erano chiuse, come avverrà nel XII e XIII secolo quando ci fu una grossa lievitazione del ceto dei mercanti. Gli organi di governo erano l'assemblea generale dei cittadini e il collegio dei consoli a cui spettava il potere esecutivo. I consoli restavano in carica per brevi periodi per evitare il proliferare di regimi personali. L'affermarsi del comune, che era si un'entità politica nuova non avvenne in maniera rivoluzionaria in quanto i notabili già da tempo svolgevano funzioni di governo per conto del vescovo. Per proiettare la propria influenza verso le campagne, estendendo il controllo, il comune superò la barriera del particolarismo politico tipico dell'alto medioevo, comunque, la politica di sottomissione del contado si ebbe su finire del XII secolo. Facendo un passo indietro tornando a parlare di Enrico V c'è da dire che anche lui non era riuscito ad assicurare alla sua dinastia la successione al trono di Germania. Alla sua morte i principi di Germania ignorarono la sua decisione di eleggere sovrano un membro della casa degli Hohenstaufen ed elessero Lotario di Supplinburgo, alla morte di questi poi, invece di far salire al trono il genero elessero Corrado III. Si vennero così a creare due schieramenti all'interno della nobiltà tedesca, i ghibellini e i guelfi. La situazione di equilibrio creatasi tra di loro finì con l'indebolire ulteriormente il potere imperiale, già uscito fortemente indebolito dallo scontro con il papato. La situazione iniziò a sbloccarsi nel 1152 quando i principi elessero sovrano il duca di Svevia, Federico, che mostrò subito di voler ridare al potere imperiale energia, indisse per l'anno seguente un'assemblea a Costanza alla quale parteciparono anche i legati del pontefice Anastasio IV. In questa occasione Federico mostrò la volontà di far collaborare alla pari il potere politico col potere spirituale ribadendo il suo diritto di elezione in materia di vescovi. Nello stesso tempo assicurò di volere garantire la potenza ed il prestigio della chiesa di Roma ricevendo la promessa di venire incoronato dal pontefice in persona imperatore di Roma. A Costanza l'imperatore fu sommerso dalle richieste di città lombarde a causa della minaccia dell'espansionismo dei milanesi. L'imperatore fu quindi costretto a volgere subito lo sguardo all'Italia dove trovò una situazione decisamente diversa da quella tedesca a causa dello sviluppo delle autonomia comunali che si arrogavano poteri di competenza del sovrano, anche al di fuori del territorio urbano muovendo guerra anche ad altri sudditi dell'impero. Il programma di Federico era articolato sui seguenti punti •utilizzazione dei legami feudali sia in Germania che in Italia per disciplinare e coordinare tutti i poteri signorili •saldo governo delle terre direttamente dipendenti dalla corona •rinnovato controllo sulla chiesa tedesca •recupero degli juria regalia (diritti della corona) Nel 1154 Federico era già in Lombardia dove indisse un'assemblea alla quale si presentarono gli ambasciatori di Milano sperando di comprare con una grossa somma di denaro i loro diritti regi (la città li esercitava da tempo) e la signoria su Como e lodi. Federico rifiutò l'offerta mettendo la città al bando privandola di tutti i diritti. Non sentendosi in grado di imporre la propria volontà con la forza si limitò a distruggere tortona nel 1155 dirigendosi poi verso Roma. Qui prima di cingere la corona imperiale abbatté il regime comunale che contestava il potere temporale dei papi tornando in Germania nello stesso anno. Nel 1158 scese nuovamente in Italia alla testa di un grande esercito, quindi convocò una seconda assemblea alla quale invitò quattro famosi giuristi con il compito di indicare con precisione all'imperatore quali fossero i diritti regi. Stilarono una lista molto lunga che fu inserita nella costituzione sulle regalie, c'è da dire che gran parte dei diritti che erano riservati all'imperatore i comuni li esercitavano già da diverso tempo. L'imperatore si occupò anche dei distretti pubblici dove rivendicò la dipendenza dal potere regio e ne proibì la divisione, per quanto riguardava i beni allodiali nei quali era concesso l'esercizio delle signorie locali si stabilì che i proprietari potevano continuare a detenerli a patto di ottenere il bene placido dell'imperatore instaurando con lui un rapporto di tipo feudale. Federico inviò ovunque messi imperiali per risquotere omaggi dalle città e dai signori locali, questo movimento per la restaurazione del potere imperiale portò alla formazione di un vasto movimento di opposizione di cui facevano parte oltre che numerosi comuni anche il papa Alessandro III. La reazione imperiale fu durissima in quanto il papa fu costretto a fuggire in Francia e gli fu contrapposto l'antipapa Vittore IV. Milano fu assediata e rasa al suolo nel 1162. Nel 1164 si assisté alla formazione della Lega Veronese e poco dopo a quella Cremonese fino ad arrivare nel 1167 alla formazione della Lega Lombarda alla quale si collegò Alessandro III, la città di Alessandria fu chiamata così in suo onore. Federico Barbarossa concentrò i propri sforzi per conquistare Alessandria ma dovendo far fronte ai problemi interni sorti in Germania dovette abbandonare l'assedio però fu raggiunto nel 1176, durante il viaggio di ritorno a Legnano dagli eserciti della Lega che lo sconfissero. Conscio dei progressi militari assai scarsi decise di puntare ad una soluzione diplomatica giungendo ad un accordo con il papa secondo cui avrebbe abbandonato l'antipapa e restituito alla chiesa di Roma i territori e le regalie di cui si era impadronito, Alessandro III si impegnò a sua volta a fare da mediatore con i comuni italiani con i quali però si giunse solo ad una tregua di sei anni. Nel 1183 a Costanza fu possibile giungere ad un trattato di pace che in sostanza era un compromesso. Se da un lato si salvaguardava il principio secondo cui tutti i poteri pubblici derivavano dall'imperatore, dall'altro garantiva ai comuni le regalie di cui godevano da tempo e il diritto di costruire fortezze ed associarsi in leghe. I comuni si impegnarono a versare una tantum un'indennità più un tributo annuo, a corrispondere all'imperatore il fodro e a consentire il ricorso al tribunale imperiale contro le sentenze emanate da giudici cittadini. I consoli eletti dal popolo dovevano ricevere ogni cinque anni una formale investitura da parte dell'imperatore. Le concessioni fatte a Costanza che erano destinate solo ai comuni della Lega Lombarda furono ben presto acquisite da tutti i comuni, che vennero così inseriti nell'impero come organismi politico-amministrativi pienamente legittimi. I comuni ne approfittarono durante la lunga crisi dell'autorità imperiale a seguito della morte del Barbarossa e del figlio Enrico VI per consolidare le loro istituzioni ed avviare una sottomissione del contado (1197). Il vescovo fu estromesso da qualsiasi potere politico, le città furono dotate di edifici pubblici, di solito costruiti lontano dalla cattedrale, e di uno statuto. Per la sottomissione del contado si resero necessari diverso strumenti, i detentori di fortezze dovettero riconoscersi vassalli del comune e risiedere un periodo dell'anno in città mentre con i signori più potenti il comune stipulava patti di alleanza sotto forma di ingaggi militari del signore stesso. Un altro strumento fu la fondazione dei borghi franchi ovvero insediamenti fortificati i cui abitanti godevano di particolari facilitazioni fiscali ed aiuti di vario genere. La novità più significativa di questa nuova fase fu la sostituzione del governo consolare con un governo del podestà. La volontà della nobiltà di restare un gruppo chiuso iniziò a produrre successivamente un contrasto tra la nobiltà stessa ed il popolo. Per rendere superiore a queste due categorie il governo della città venne appunto designato il podestà. Molto presto tra le due categorie riesplose la violenza specie dalla parte della nobiltà che aveva iniziato a riunirsi in clan pronti a prendere le armi alla prima occasione, i clan a loro volta si univano in confederazioni dette "Societates Militum" che a volte formavano nei gruppi contrapposti di guelfi e ghibellini. I guelfi davano il loro sostegno al partito filopapale, mentre i ghibellini erano sostenitori di un più saldo legame col potere imperiale. Dalla parte del popolo la situazione non era meno complicata visto che era tenuto insieme unicamente dalla necessità della lotta contro la nobiltà e bastava che la tensione calasse perché esplodessero subito lotte intestine in quanto il ceto era molto eterogeneo. Comunque tutte queste categorie diedero vita ad un'associazione chiamata Societas Populi. La situazione era quindi una divisione della giurisdizione e la formazione di diversi centri di potere. Il complicarsi della vita politica portò poi al fenomeno del fuoriuscitismo ovvero l'espulsione dalla città della parte perdente che non di rado formava un comune legandosi a comuni rivali della città d'origine con la cui collaborazione a volte riuscivano a tornare al potere. Nei comuni dove prese il sopravvento il popolo si formò una sorta di sistema bicamerale in quanto il popolo non sciolse la societas populi. Il potere militare del podestà venne affidato alla figura del capitano del popolo. I governi popolari però non tutelando le classi inferiori, le spinsero all'alleanza con la nobiltà. Ebbero inoltre atteggiamenti punitivi verso la vecchia classe dirigente del cui apporto avevano quasi sempre bisogno. Espressione della politica antinobiliare del fine duecento furono le leggi antimagnatizie nelle quali si vietava ai grandi esponenti dell'antica aristocrazia di accedere alle cariche più importanti. Nonostante tutto i governi popolari furono quelli che consentirono la maggiore partecipazione e democrazia nella vita politica del medioevo. L'affrancamento dei servi della gleba che in passato veniva visto come un grande segno di evoluzione sociale fu solo un'abile manovra fiscale in quanto i servi essendo considerati proprietà dei loro signori non pagavano alcuna imposta. A questo c'è da aggiungere la crescente pressione fiscale che il comune attuava nei confronti del contado affiancata dallo sfruttamento della classe borghese. Capitolo 17: la diffusione dei rapporti feudali. L'Inghilterra, il mediterraneo e le crociate I rapporti feudo-vassallatici ebbero la loro massima diffusione nei secoli XI-XII grazie ai cavalieri normanni che avevano esportato il sistema feudale in luoghi dove non era stato applicato precedentemente. I normanni poterono mantenere il territorio in maniera più salda rispetto ai franchi in quanto al sistema feudale avevano aggiunto la tradizione militare vichinga e la loro fedeltà. L'espansione territoriale normanna comunque non si concentrò sull'Inghilterra invece che sulla Francia. I vichinghi già nel IX secolo avevano compiuto delle incursioni in Inghilterra senza riuscire a stabilire all'interno delle forme di dominazione. Nei primi decenni dopo l'anno mille Canuto II creò un vasto impero comprendente l'Inghilterra che però si dissolse nel 1035. Solo con l'ascesa di William il conquistatore che sbarcò con un massiccio numero di cavalieri, importando cosi i costumi franchi in Inghilterra venne alla luce un regno unitario. I nuovi dominatori cercarono di rendere ben accetta alla popolazione la nuova classe dirigente, infatti lasciarono intatta la divisione del regno in contee affidate ad amministratori capaci detti sceriffi. I cavalieri normanni vennero ricompensati con feudi e successivamente sottomessi al sovrano con obblighi ben definiti ai quali era possibile sottrarsi attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva. Venne istituita la camera dello scacchiere in cui due volte l'anno si riunivano gli sceriffi con quanto avevano raccolto. William fece anche redigere il domesday book ovvero il catasto del regno. La monarchia inglese crebbe verso la fine del XII secolo quando salì al trono Enrico II, con lui i domini della corona in francia si ampliarono a dismisura. Enrico operò una costante pressione sulla monarchia francese. Tentò anche di sottomettere la chiesa al suo controllo emanando nel 1164-1166 le costituzioni di Clarendon, ma l'arcivescovo di Canterbury fece naufragare il progetto. Mentre William portava a termine la conquista dell'Inghilterra un gruppo di cavalieri normanni erano impegnati da qualche decennio nella conquista e nel consolidamento dell'Italia meridionale. I normanni al loro arrivo in Italia si misero al servizio dei signori dei diversi ducati approfittando del particolarismo politico che allora imperversava. Durante la loro permanenza in Italia vari capi normanni emersero ma quello che fu l'artefice delle loro più grandi fortune fu Roberto il Guiscardo che dopo la sconfitta del pontefice Leone IX nel 1053, ottenne perfezionando l'intesa tra chiesa e normanni e dopo aver giurato fedeltà al nuovo pontefice, il titolo di Duca di Puglia. Guiscardo forte dell'investitura papale parti alla conquista della Sicilia mussulmana che una volta conquistata cedette al fratello minore. Dopo aver sottomesso tutto il mezzogiorno si lanciò alla conquista di Costantinopoli che però fallì a causa di una rivolta di baroni pugliesi. Alla morte del Guiscardo, Ruggero II, si impose come padrone della Sicilia pur scontrandosi con il papa Onorio II. Nel 1130 ottenne dall'antipapa Anacleto II la corona di re di Sicilia. Il regno di Sicilia venne organizzato con un efficiente apparato amministrativo, ereditato dalla precedente amministrazione araba. I sovrani normanni erano anche al vertice di una piramide feudale, in questa piramide erano inseriti a livelli diversi i discendenti dei vari conquistatori normanni. Il regno di Sicilia fu quindi l'espressione di stato feudale. I normanni dell'Italia meridionale furono protagonisti di uno degli eventi più significativi del medioevo: le crociate. L'origine di questo fenomeno si può richiamare al discorso di Urbano II che esortava coloro che erano stati coinvolti nelle lotte fratricide durante la lotta per le investiture ad espiare i loro peccati con un pellegrinaggio in terra santa. Nella seconda metà dell'XI secolo l'Europa era pervasa oltre che da una grande crescita, anche da sentimenti di ottimismo e di inquietudine religiosa. Si moltiplicarono i pellegrinaggi e le mete stesse dei pellegrinaggi non erano più quelle tradizionali. Gli arabi del resto avevano sempre garantito ai cristiani libertà religiosa ed autonomie che i mussulmani in Europa non sognavano nemmeno. La componente religiosa era molto importante in quanto i cavalieri che si diressero verso la terra santa erano spinti da un grande sentimento religioso oltre che dallo spirito di avventura. Nel 1096 a seguito della cosi detta crociata dei poveri, papa Urbano II, per far cessare il fanatismo e le partenze indiscriminate si appellò alla cristianità per la conquista della terra santa. A questo appello rispose il fior fiore della feudalità, specialmente francese. I vari contingenti si concentrarono a Costantinopoli, dove l'imperatore Alessio Comneno giudicando pericolosa la concentrazione di tale forza militare intorno alla città fornì loro viveri ed armi in cambio della promessa di restituzione delle terre appartenute all'impero bizantino ed il riconoscimento di un'eventuale superiore autorità nata dalla vittoria dei franchi. L'esercito si mosse nel 1097 tra varie difficoltà anche di natura interna, nonostante tutto nel 1099 si giunse alla conquista di Gerusalemme cui seguì il massacro della popolazione ebraica e mussulmana. La presa di Gerusalemme fu una vittoria tattica inaudita dato che le truppe crociate si assottigliarono ad ogni presa di centri importanti anche perché i capi dei contingenti, desiderosi di ritagliarsi un dominio personale si fermavano lasciando agli altri il compito di proseguire. Essi erano territorialmente vassalli del regno di Gerusalemme, che venne affidato, a Goffredo di Buglione che in segno di umiltà assunse il titolo di Avvocato del Santo Sepolcro. A lui successe l'anno seguente il fratello Baldovino che assunse il titolo di Re. Egli cercò di consolidare il suo regno con la conquista della costa e la stretta dei legami con quei cavalieri che avevano rinunciato a fare ritorno a casa a cui il sovrano aveva affidato de feudi. A questi si aggiungevano quelli che in via temporanea giungevano in terra santa ed erano invogliati a rimanervi con la promessa di feudi. Il sistema feudale non valse però a interrompere le faide interne alla nuova classe dominante. In tali condizioni si rivelò prezioso l'aiuto degli ordini monastico-militari i cui membri oltre ai tradizionali voti di castità, povertà ed obbedienza si impegnavano a combattere gli infedeli ed a difendere i pellegrini e gli oppressi. Inoltre le città marinare insediarono delle vere e proprie colonie costiere facendo proliferare il commercio con il regno di Gerusalemme. La situazione cambiò agli inizi del XII secolo grazie all'emiro di Mosul e Aleppo il quale esercitò una forte pressione sui crociati che si dimostravano particolarmente impreparati, nel 1144 infatti cadde Edessa, dopo questo evento Bernardo di chiaravalle organizzò una nuova crociata mobilitando i più potenti sovrani dell'occidente: l'imperatore tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII ed il re di Sicilia Ruggero II. Questi sovrani però perseguivano obiettivi diversi causando il completo fallimento dell'iniziativa. La riscossa completa la ebbero i mussulmani con Salah-al-din il quale rendendosi completamente indipendente da Baghdad creò un proprio sultanato. Nel 1187 sconfisse i franchi ad Hattin e tre mesi dopo conquistò Gerusalemme provocando una mobilitazione grandissima in occidente. Questa volta scesero in campo Federico Barbarossa, Riccardo cuor di leone e Filippo Augusto di Francia. Questi erano i protagonisti della scena politica europea. I risultati furono nuovamente assai scarsi, Federico Barbarossa perse addirittura la vita durante l'attraversamento di un fiume nel 1190. La terza crociata si concluse nel 1192 con risultati assai scarsi conquistati solo da Riccardo cuor di leone. Già da un anno era sul trono imperiale Enrico VI che era sposato con Costanza d'Altavilla, ultima erede del re di Sicilia morto nel 1189. Il figlio illegittimo di Ruggero II gli contestò il possesso del regno normanno ma ciò non impedì all'imperatore di impadronirsene. Intravedendo i suoi progetti di espansione alcuni stati mussulmani insieme ai regni di cipro e Gerusalemme gli omaggiarono tributi, ma i suoi ambiziosi progetti cessarono con la sua morte avvenuta nel 1197. Visto che la morte dell'imperatore impediva ai cristiani in terra santa di riconquistare una posizione di preminenza il pontefice Innocenzo III si fece promotore di una grande crociata che si diede il duplice obiettivo di riconquistare Gerusalemme e di riportare la chiesa orientale sotto la chiesa di Roma. Inoltre la posizione di Venezia all'interno del regno bizantino si stava facendo più invadente fino a volersi trasformare addirittura in una egemonia di tipo politico oltre che di tipo commerciale. L'occasione venne quando i crociati radunatosi nel 1202 a Venezia ottennero dal doge il trasporto gratuito in terra santa a patto che le truppe crociate si fermassero a Zara per aiutare i veneziani a riprenderne il controllo. Conquistata zara i capi crociati furono convinti dal doge a puntare direttamente alla conquista di Costantinopoli tanto più che il pretendente al trono, Alessio aveva promesso lauti compensi, partecipazione alla crociata e l'unificazione delle due chiese. I crociati presero Costantinopoli nel 1203 mettendo Alessio sul trono che tuttavia non fu in grado di placare l'ostilità della popolazione e l'avversità nei confronti della chiesa di Roma. I crociati quindi assunsero direttamente il controllo saccheggiando Costantinopoli nel 1204, fondando l'impero latino d'oriente spartendosi vari feudi. L'impero latino d'oriente si dimostrò subito una costruzione politica assai debole in quanto i sentimenti antioccidentali e antiromani finirono col diventare sempre più forti e finirono col far naufragare le speranze di Innocenzo III di riunificare la chiesa. Inoltre i genovesi erano desiderosi di ripristinare la situazione come era precedentemente alla quarta crociata e l'occasione avvenne nel 1264 quando Genova strinse un patto con Michele Paleologo che nello stesso anno salì al trono dando il via alla dinastia dei paleologi. Le frontiere però erano sempre pressate dai nemici come turchi e serbi. Innocenzo III non si era rassegnato all'idea di unificare la chiesa e quindi poco prima di morire bandì la quinta crociata. La quinta crociata partì nel 1217 guidata dal re d'Ungheria, si concluse nel 1221 dopo una serie di inutili operazioni belliche sul delta del Nilo. L'ultimo sovrano ad essere un fautore delle crociate fu Luigi IX di Francia che guidò la sesta e la settima crociata. La prima iniziò nel 1248 e finì nel 1254 con la cattura del re e dell'esercito, la seconda finì nel 1270 ancora prima di partire a causa della peste che uccise lo stesso sovrano. Con la morte di Luigi IX muore anche l'idea di crociata in quanto la crociata condotta da Federico II pur avendo riportato Gerusalemme in mano cristiana l'aveva privata delle proprie difese per un accordo col sultano locale. Capitolo 18: la ripresa della lotta tra papato ed impero e le monarchie dell'Europa occidentale La seconda metà del XII secolo vide una decisa evoluzione del papato in senso monarchico. Il ruolo politico del papato era stato esaltato anche dalle varie dispute tra comuni e impero nelle quali, in più di una occasione il papato ebbe funzioni di mediatore. Il pontefice Innocenzo III si dichiarò vicario di Cristo e definì la monarchia come la luna che brilla di luce riflessa dal sole, in questo caso il sole era rappresentato dal papato. Il primo intervento riguardò il regno di Sicilia che la chiesa considerava un suo feudo già da molto tempo. Il papato ebbe anche sotto la sua tutela Federico II a cui conferì la corona regia nel 1208, nello stesso tempo approfittava del trono imperiale vacante per rafforzare le proprie posizioni. La chiesa fu anche arbitra della lotta per la successione al trono imperiale. La scelta infine cadde su Ottone di Brunswick che riconobbe i diritti della chiesa e venne incoronato imperatore nel 1209. Dato che Ottone si dimostrò meno docile del previsto e che puntò ad impadronirsi del regno di Sicilia, Innocenzo III lo scomunicò bollandolo come traditore ed il re di Francia Filippo Augusto promosse una coalizione contro di lui. Gli altri stati europei prestarono a Innocenzo III l'omaggio feudale. Tra la quarta e la quinta crociata il pontefice ne aveva indetta una molto particolare in quanto riguardava i "Cattivi Cristiani". L'attenzione del papa si concentrò particolarmente sui catari eretici presenti nel sud della Francia che destavano la preoccupazione della chiesa. Erano anche presenti nella città di Albi che faceva parte della contea di Tolosa, che godeva di grande autonomia al punto che la monarchia francese aveva autorità solo nominale. Il fatto che i catari trovassero protezione alla corte di Tolosa, spinse Innocenzo III a mettere in moto un grande meccanismo politico, fornendo ai re francesi la possibilità di recuperare i propri domini. Nel 1208 a causa dell'assassinio di una legato papale venne bandita una crociata contro i catari e contro Raimondo di Tolosa, considerato loro protettore. La crociata ebbe subito grande rinomanza in quanto i partecipanti erano da una parte speranzosi di guadagnare gli stessi vantaggi spirituali che erano garantiti alle crociate in terra santa in più, speravano di fare un grosso bottino in quanto la regione di Tolosa era in pieno sviluppo economico. Ci furono saccheggi e massacri per tutta la regione. Con questo intervento armato il papato aveva creato un precedente, impadronendosi del diritto di indicare volta per volta quali fossero i nemici della cristianità che presto verranno indicati nei nemici politici del papato, aveva anche mutato il significato di crociata, trasformando quello che era un fenomeno religioso in un'arma politica nelle mani del papato. Nel 1215 con il IV concilio lateranense fu definita una strategia globale per la lotta contro le eresie e furono prese importanti decisioni riguardanti l'organizzazione della vita religiosa. Nel 1216 Innocenzo III morì lasciando la chiesa all'apice del suo splendore temporale e del suo prestigio. Filippo Augusto re di Francia, era fortemente impegnato a rilanciare l'immagine della monarchia allora fortemente indebolita dalla perdita cospicua di territori in favore di Enrico II d'Inghilterra. Filippo Augusto fomentò varie rivolte di nobili nei territori del sovrano avversario incoraggiando allo stesso tempo contrasti all'interno della famiglia reale Inglese. Con la morte di Riccardo cuor di leone e quella dell'imperatore Enrico IV restarono arbitri della situazione politica Innocenzo III e Filippo Augusto. Nel 1202 nacque un conflitto tra Giovanni senza terra, sovrano inglese e Filippo Augusto. In questo scontro il sovrano francese riacquistò buona parte dei territori francesi ma dovette fermarsi quando il re inglese dichiarò il suo regno feudo della chiesa. Il conflitto fu rimandato di un anno in quanto il papa promosse una campagna contro Ottone di Brunswick della quale Filippo Augusto divenne il perno, cogliendo l'occasione nel 1214 per sconfiggere l'esercito anglogermanico, triplicando i suoi domini rispetto a quelli ereditati dal padre. Morì nel 1223. la sua opera fu continuata dal figlio, Luigi VIII il quale estese ulteriormente i domini della corona francese e mostrò grande pietà religiosa ed abilità di governo, consolidando la monarchia e facendole guadagnare moltissima fiducia. In Inghilterra Giovanni doveva rendere conto all'opinione pubblica ed all'alta nobiltà dei suoi fallimenti, la politica inglese era stata improntata sulla potenza nel continente che non aveva prodotto alcun risultato. Inoltre risultava sgradito il fatto che il sovrano avesse dichiarato il regno feudo della chiesa. Nel 1215 la rivolta fu aperta ed il re fu obbligato ad emanare la magna charta che Enrico III confermò definitivamente nel 1217. Con essa il sovrano si impegnava a rispettare i diritti dei nobili, degli ecclesiastici e di tutti i liberi, le concessioni operate in passato in favore di Londra, il diritto dei liberi di farsi giudicare da un tribunale di loro pari. Fu vietato inoltre di imporre nuove tasse senza l'approvazione del consiglio comune del regno, inoltre venne istituito un consiglio di 25 baroni che dovevano assistere il sovrano negli affari di governo. L'emanazione della magna charta aggravò la posizione di Giovanni senza terra che fu scomunicato da Innocenzo IV. La sua morte, avvenuta nel 1226 cambiò improvvisamente il quadro politico dando coscienza del nascere di un primo sentimento nazionale inglese. Intanto Federico II era stato incoronato re di Germania il 9 dicembre 1212 ed aveva rinunciato ai diritti del concordato di Verona. Federico II con un' astuta mossa portò il figlio in Germania incoronandolo re dei romani e designandolo de facto come successore al trono imperiale. L'ereditarietà della carica di imperatore era un'usanza che si era andata consolidando. Queste manovre politiche furono possibili grazie al pacato appoggio pontifico di Onorio III, dallo stesso papa ottenne di mantenere l'unione delle due corone e nel 1220 venne incoronato imperatore. Federico II decise di stabilirsi nel meridione dell'Italia dove trovò una situazione molto differente da quando era tornato in Germania, a causa della permanenza del regno di Sicilia nelle mani dei comandanti militari. Nello stesso anno convocò un'assemblea a Capua nella quale si decise di abbattere i castelli costruiti abusivamente e di annullare le più avanzate autonomie locali. Naturalmente incontrò la resistenza dei baroni ma con una astuta mossa mise i feudatari minori contro quelli più potenti disfacendosi poi anche di loro al momento opportuno. Un altro problema era rappresentato dai saraceni che in Sicilia erano diventati padroni di vaste zone all'interno dell'isola. Federico con una serie di campagne li sconfisse e li deportò in Puglia facendoli vivere secondo le loro tradizioni ed usanze potendo contare così sulla loro estrema fedeltà. Contemporaneamente per risollevare l'economia del regno costruì porti, facilitò gli scambi e rese sicura la rete viaria, volendo inoltre potenziare l'apparato burocratico nel 1224 fondo a Napoli la prima università statale del mondo occidentale. Per ripristinare il potere regio anche in Italia settentrionale convocò un'assemblea a Cremona nel 1226. Intanto le città lombarde che si erano sviluppate in comuni, temendo l'iniziativa imperiale ricostituirono l'antica lega lombarda e si appellarono al papa che intanto stava perdendo la pazienza per i continui rinvii della partecipazione alla crociata. Federico non sentendosi forte militarmente annullò l'assemblea e tornò al sud. Nel 1227 con la morte di Onorio II giunse al soglio pontificio Gregorio IX che impose subito a Federico la partenza per la terrasanta. Federico resosi conto di non poter più rimandare la partenza convocò a brindisi crociati e pellegrini, ma nell'estate del 1227 scoppiò un'epidemia che fece molte vittime. Ne fu colpito anche l'imperatore che dovette tornare indietro per curarsi, ma il papa non credendo alla sua malattia lo scomunicò. Tuttavia appena guarito Federico riprese i preparativi per la crociata e nel giugno del 1228 partì nonostante la scomunica. Visto che parlava perfettamente l'arabo l'imperatore stabilì subito ottime relazioni col sultano con il quale fece un trattato per la restituzione di Gerusalemme. Gregorio IX irato per i buoni rapporti che Federico intratteneva con gli infedeli bandì una crociata contro di lui. L'imperatore al suo ritorno dovette quindi fronteggiare l'esercito crociato più una rivolta di baroni pugliesi fino al raggiungimento di un compromesso nel 1230 a Ceprano, dove venne stipulata la pace. L'imperatore rinunciò ai diritti sull'elezione dei vescovi e riconobbe al clero meridionale l'immunità e l'esenzione dal pagamento delle imposte. Dopo aver ingoiato questo boccone amaro l'imperatore poté concentrarsi sul consolidamento del proprio regno e nel 1231 emanò le costituzioni di Melfi nelle quali diede al regno un ordinamento giuridico simile a quello romano ed a quello normanno. Dotò il regno di una grande rete difensiva composta anche di fortezze che si preoccupò di mantenere sempre in perfetta efficienza. La sua politica in Germania fu un po diversa in quanto li si preoccupava più che altro a conquistarsi i favori dei principi. Emanò comunque nel 1235 la costituzione di pace imperiale. L'ultimo soggiorno di Federico in Germania fu in occasione della ribellione del figlio la cui eredità venne trasferita al fratello Corrado. Nel 1237 ritenne di essere militarmente in grado di affrontare la lega lombarda. Nel 1238 sconfisse l'esercito della lega ma impose condizione di pace eccessivamente dure che sortirono l'effetto contrario, incoraggiando le città alla resistenza. Il papa Gregorio IX ostile alla politica di Federico si sarebbe alla lunga, certamente unito alle città della lega. Il pontefice infatti si adoperò per riunire i potenziali nemici di Federico in una coalizione. Intanto l'imperatore era stato colpito da una nuova scomunica. Gli ultimi anni di vita di Federico furono terribili, fu dichiarato decaduto dal soglio imperiale e contro di lui si scagliarono gli eserciti di tutta Europa che per un po Federico fu in grado di contenere. Federico mori nel 1250 facendo scomparire con lui una delle personalità più forti del medioevo. La dinastia sveva si susseguì al dominio del regno e dell'impero per un altro decennio ma il papa, ostinato ad eliminare gli svevi dalla scena politica scagliò contro di loro Carlo D'Angiò che nel 1266 sconfisse Manfredi. A differenza del declino che la morte di Federico aveva portato in Germania, nel regno di Sicilia la sua morte ed il cambio di dinastia portò una nuova opera di consolidamento dello stato. Si deve ora parlare della Reconquista spagnola, che non fu come si credeva un'indomita marcia verso sud. Il primo focolaio di resistenza ai mussulmani viene individuato nelle Asturie agli inizi del VIII secolo. Si trattava di regioni montagnose in cui i califfi compivano soltanto incursioni militari. Un maggiore attivismo degli stati cristiani è documentato fra il IX ed il X secolo anche se solo raramente si ebbero vere e proprie campagne militari in quanto il più delle volte si trattava di incursioni a scopo di razzia o per proteggere gli uomini impegnati nel ripopolamento dei territori. Per questo vennero costruiti castelli e altre opere di fortificazione. Fra il X e l'XI secolo il movimento assunse maggior vigore a seguito della crisi del califfato di Cordova. Nel 1031 la reconquista assunse il duplice scopo di conquista militare e di colonizzazione, assumendo poi nel corso dell'XI secolo il carattere quasi di una crociata. I regnanti cristiani non mancavano di fare appello alla crociata quando si trovavano in difficoltà ma dimostravano di non volere sterminare od obbligare al trasferimento la popolazione mussulmana, in quanto era interessati sopratutto ad una sottomissione politica ed all'ottenimento di tributi annuali. Nelle regioni dove erano più numerosi infatti, conservavano le loro leggi ed il diritto di professare liberamente la propria religiose anche se per ovvi motivi di sicurezza nelle grandi città furono imposte restrizioni alla loro permanenza. Questo clima di tolleranza deluse profondamente i cavalieri venuti dall'estero. Agli inizi del XI secolo la situazione politica in Spagna era più o meno suddivisa cosi: Regno di Leon, Contea del Portogallo, Regno di Navarra, Regno di Castiglia e Regno di Aragona. Il movimento espansivo riprese verso la fine del XII secolo e nel 1212 l'avanzata cristiana risultava incontenibile. Verso la metà del XIII secolo la reconquista poteva dirsi completa in quanto ai mussulmani era rimasti solo i territori di Granada. Lungo il confine le incursioni che avevano caratterizzato la parte iniziale della reconquista non cessarono mai. Fu operato un processo di colonizzazione dei territori conquistati ad opera principalmente della grande nobiltà, che dopo l'incessante guerra contro i mori si poneva l'obiettivo di consolidare i propri territori. Capitolo 19: le origini della Russia e dell'Impero Mongolo Tra l'VIII ed il IX secolo i pirati-mercanti provenienti dalla scandinavia detti variaghi o vichinghi, si mossero lungo le due principali vie commerciali. Le popolazioni slave chiamarono Rus questi stranieri. Verso la metà del IX secoo i Rus iniziarono ad imporsi sulla popolazione locale, fondando il principato di Kiev ed aggregando a loro tribù di slavi dell'est. Il principato strinse fiorenti accordi commerciali con l'impero bizantino, questi prolifici rapporti uniti al lavoro dei missionari bizantini portarono il principe Vladimir I di Kiev alla conversione al cristianesimo che approfittò di questo avvenimento per unire intorno a se le tribù sotto un dio comune. Il successo di questo conversione fu grandissimo per i missionari bizantini. Dalla metà dell'XI secolo il principato di Kiev entrò in una fase di decadenza a causa del declino delle vie di comunicazione che causarono una diminuzione significativa del commercio, questo fu in parte dovuto anche ai continui attacchi protratti dalle tribù stanziate tra il mar nero ed il mar Caspio. Un altro fattore di debolezza era rappresentato dalle lotte dinastiche. L'invasione dei mongoli era destinata a travolgere vecchie e nuove formazioni politiche. I mongoli in origine non erano altro che un gruppo di tribù nomadi che grazie all'abilità politica di Gengis Khan secondo la tradizione, si sarebbero fuse fino a formare una nazione stretta in un unico sovrano e soggetta ad una sola legge. Questo ricorda l'opera di maometto con gli arabi, ma la velocità con cui i mongoli riuscirono ad aggregarsi fu sorprendente. Gengis Khan si comportò in maniera molto duttile nei confronti delle popolazioni assoggettate, quelle che si sottomisero spontaneamente non subirono danni ma trassero profondi vantaggi economici. Quelle che opposero resistenza vennero distrutte o decimate. Dopo che fu passata la furia distruttiva dell'orda si iniziarono a notare i primi sintomi del superamento dello stile di vita nomade, imponendo ai territori conquistati una prima forma di rudimentale amministrazione. Venne persino fondata una capitale nei pressi dell'attuale Ulan Bator. Nello stesso anno si consolidò il ruolo politico e militare delle figure che erano vicine a Gengis Khan, per quanto la società si fosse via via gerarchizzata restò sempre molto presente una sorta di carattere egualitario. La morte di Gengis Khan non fece placare lo slancio espansivo dei mongoli che completarono la conquista della cina, della corea e della Persia arrivando fino a Cracovia e Breslavia. L'avanzata in Europa cessò nel 1242 ma continuò verso sud - ovest anche se nel 1260 si ritirarono sconfitti dai turchi. L'espansionismo si arrestò a causa delle rivalità sempre più accese tra i discendenti di Gengis Khan che fomentarono anche tendenze separatiste. Si formarono così quattro imperi: l'impero degli ilkhan, il khanato di chagatay, l'impero del gran khan e l'orda d'oro. Il maggiore degli imperi era quello del gran khan che raggiunse il suo massimo splendore sotto Kublai che tentò anche di assoggettare il Giappone. Grazie ai costumi ed agli stili di vita cinesi che erano molto più raffinati di quelli mongoli, i costumi mongoli iniziarono a migliorare. Il papa Innocenzo IV inviò dei missionari al Gran Khan dopo aver sentito di una sua possibile conversione al cristianesimo, queste missioni non diedero però alcun frutto poiché i mongoli stavano avvicinandosi sempre di più ai cinesi. Oltre ai missionari, i mercanti si misero nuovamente ad attraversare la via della seta. Marco Polo restò ben 17 anni alla corte del Gran Khan guadagnandosi la sua fiducia e la sua amicizia. L'ultimo impero nato dalla divisione delle conquiste di Gengis Khan fu l'orda d'oro, i cui abitanti e governanti si convertirono all'islam intrattenendo stretti rapporti con l'Egitto e l'Asia minore. Questa particolarità religiosa portò ad un piccolo livello di tensione tra l'orda d'oro e le popolazioni cristiane che restarono vassalli dei mongoli ma che nel loro territorio godevano di piena autonomia religiosa. Il protettorato mongolo non influì nemmeno sulla politica interna dei principi russi che continuarono le loro lotte interne per l'egemonia. Nel 1380 la popolazione russa si schierò contro i tartari ma il loro successo fu vanificato quando i tartari furono in grado di riprendere l'offensiva, riuscendo nel 1382 a saccheggiare mosca. Occorre nominare altre due formazioni politiche presenti nel territorio russo: il grande regno polacco Lituano ed il principato di Novogorod. Capitolo 20: l'Europa tra crisi e trasformazione Agli inizi del trecento in tutta Europa si poté assistere al rallentamento della produzione di tutti i settori, al rallentamento della fondazione di nuovi insediamenti e all'insorgere di frequenti carestie di cui fecero le spese gli strati più poveri della popolazione. Le nuove tecniche agricole non erano state sufficienti per portare ad un consistente aumento della popolazione che dopo essere cresciuta era arrivata al punto di rottura. Le carestie che comunque avevano interessato l'Europa anche in passato, nel XIV secolo avevano assunto una particolare drammaticità in quanto erano molto frequenti. Il fattore climatico fu molto importante in quanto in questo periodo il clima si trasformò diventando più freddo e piovoso, che combinato con le frequenti crisi di sussistenza contribuì al crescere ed al diffondersi delle epidemie. A tutto questo è da aggiungere la comparsa della peste nera nel 1348 i cui effetti furono disastrosi. Ovunque si abbattesse la peste provocava spaventosi vuoti di popolazione che non era possibile colmare facilmente poiché la peste si stabilì in Europa in forma endemica. Come se non bastasse tutto questo nel corso del trecento si abbatte sull'Europa un nuovo flagello: la guerra. Il primo esempio della nuova condotta bellica fu usato in Italia meridionale nel 1282 con la guerra del vespro che durò ben novant'anni. La guerra fu condotta in una maniera molto accanita e furono utilizzate molte milizie composte da mercenari chiamate anche compagnie di ventura. Le truppe mercenarie erano un prodotto della società feudale, ma rappresentavano anche un decisivo superamento degli eserciti feudali poco consistenti e difficili da gestire. Un modello alternativo a quello feudale era rappresentato dagli eserciti comunali che diedero ottima prova sul campo nelle lotte contro Barbarossa e Federico II. Questo tipo di esercito attraversò una crisi quando la partecipazione democratica all'interno dei comuni venne progressivamente ridotta. La richiesta di servizi militari e la disponibilità di bande armate capeggiate da nobili portò ad una esplosione del fenomeno. Questo fatto portò delle conseguenze per la popolazione: Gli stati furono costretti ad aumentare le spese militari per accaparrarsi i condottieri migliori, di conseguenza venne aumentata la pressione fiscale sulla popolazione ma nonostante questo gli stati nel corso del tre-quattrocento si trovarono in una condizione di perpetua precarietà economica e dell'affannosa continua ricerca del soldo per il pagamento dei soldati. Le milizie del resto non facevano molta differenza tra popolazioni amiche e quelle dei territori nemiche abbandonandosi spesso a saccheggi e razzie di ogni genere. Le compagnie che operavano in Italia erano straniere ma presto ad esse si affiancarono compagnie italiane che nel corso del quattrocento diedero origine a delle vere e proprie imprese economiche. In questo periodo ebbero un ruolo importante anche le rivolte che infuriavano in Francia, Inghilterra ed in altre zone dell'Europa sostanzialmente per lo stesso motivo; la precaria condizione di vita delle classi più povere e la prepotenza delle classi nobili. Nell'Italia meridionale si diffuse il fenomeno del brigantaggio. Un particolare che caratterizzò l'Italia, causato dalla massiccia urbanizzazione dei secoli precedenti, fu l'inquietudine dei lavoratori tessili. Questa inquietudine era causata dalla mancanza di tutela sindacale per i lavoratori che invece era contemplata per i loro datori di lavoro che si riunivano in corporazioni di arti e mestieri. La crisi del settore tessile era causata anche dalla costante sovrapproduzione che si verificava nel corso del trecento, inoltre le rivolte dei salariati non portavano mai ad un cambiamento della loro condizione dato che il potere veniva sempre ripreso dai nobili e dai mercanti che nel migliore dei casi concedevano ai rivoltosi solo diritti limitati. Comunque la crisi delle piazze italiane ed europee coincise con la ripresa ed il miglioramento delle condizioni di vita. Lo stesso declino demografico non si manifestò ovunque con la stessa violenza, per questo alcune città si trovarono con un peso politico superiore rispetto al passato. Un altro problema del tre - quattrocento è rappresentato dalla scarsità di moneta circolante che obbligò le autorità a reagire con provvedimenti volti a impedire l'esportazione dell'oro e dell'argento ed a rimettere in circolazione la moneta imponendo l'uso del contante nelle transizioni commerciali e nel pagamento delle lettere di cambio. Il problema della scarsità di metallo prezioso in Italia ed in Europa verrà risolta solo nel 1500 con l'arrivo dell'oro delle Americhe. Capitolo 21: il consolidamento delle istituzioni monarchiche in Europa Nel corso del due-trecento si assisté ad un superamento dell'ideologia imperiale iniziando a riconoscere i pieni poteri ai re all'interno dei rispettivi regni. Questa corrente incontrava però grandi ostacoli quali l'opposizione del papato, che vedeva messo in discussione il suo ruolo di regolatore supremo della vita politica della cristianità occidentale e dall'inasprirsi dei conflitti che facevano sentire la necessità di un'autorità superiore. Il problema del ruolo di impero e papato si venne chiarendo agli inizi del trecento grazie ad un rapido susseguirsi di eventi. Il primo ebbe come protagonista Filippo il bello, re di Francia ed il papa Bonifacio VIII. Il papa aspramente contestato per la sua reticenza in ambito riformatore, dal 1300 in poi portò a compimento una serie di iniziative per ripristinare il vuoto centrale del papato. In quell'anno indisse il giubileo. I rapporti tra il pontefice e il re di Francia furono all'inizio molto tesi in quanto Filippo aveva imposto delle tasse al clero senza l'autorizzazione della santa sede. Il tutto venne risolto con un compromesso, autorizzando Filippo a imporre tasse al clero in caso di grave necessità; l'invio di Carlo di Valois a Firenze in veste di paciere doveva servire come coronamento dell'accordo ma a seguito dell'imprigionamento del vescovo di Saisset da parte di Filippo, il conflitto riesplose. Il pontefice revocò la concessione fatta al sovrano, e di fronte alla sua caparbietà emanò nel 1302 la bolla "unam sanctam" con la quale riaffermava la sottomissione al pontefice di ogni creatura umana e di conseguenza di ogni autorità politica. Filippo il bello da parte sua non aveva nessuno intenzione di sottomettersi all'autorità pontificia e per questo fece tradurre il pontefice davanti ad un tribunale francese per giudicarlo. Il papa venne raggiunto da un manipolo di francesi nel suo palazzo di Anagni ma la popolazione insorse e con l'aiuto dei rinforzi giunti da Roma il papa venne liberato (1303). Nessuna conseguenza ci fu per Filippo ma anzi con la morte di Bonifacio e il trasferimento della sede papale ad Avignone da parte di Clemente V si trovò a poter esercitare un'influenza diretta sul papato. Il Germania dopo la morte di Federico II il particolarismo si era accentuato. Enrico VII divenuto re di Germania cercò di far coincidere di nuovo con questo titolo quello imperiale ma fallì e dovette ritirarsi a vita privata. Il suo successore Ludovico il bavaro non curandosi della scomunica infertagli da Giovanni XXII scese a Roma e si fece incoronare Imperatore nel 1328 da Sciarra Colonna, rappresentante del popolo romano. I principi tedeschi nel 1338 stabilirono che il titolo di imperatore andava attribuito al re di Germania incoronato ad Aquisgrana. Il nuovo imperatore Carlo IV con la bolla d'oro del 1356 diede sanzione definitiva della volontà dei principi tedeschi, decidendo inoltre su chi fossero gli elettori del re. Con questo atto rinunciava alle pretese di potere universale andandosi a configurare come uno stato decisamente germanico. In Inghilterra era in cantiere il consolidamento del potere monarchico e una riorganizzazione dello stato. Dopo la concessione della magna charta da parte di Giovanni senzaterra, Enrico III cercò via via di privare il popolo delle concessioni. Il risultato fu una rivolta che portò a concessioni maggiori e ad un rafforzamento delle istituzioni sancite dalla magna charta. Si formò quindi il parlamento articolato nelle camere di Lord e Comuni. La contemporanea opera di consolidamento statale in corso sia in Francia che Inghilterra si scontrava con la paradossale condizione della monarchia inglese rispetto a quella francese. Il re francese del resto era impossibilitato ad esercitare i propri diritti di signore su un vassallo tanto potente (il re inglese risultava vassallo del re francese). Nacque un conflitto tra i due regni destinato a protrarsi dal 1294 al 1475. Agli eventi svoltisi dal 1337 al 1453 si suole dare il nome di Guerra dei cent'anni. Il conflitto iniziò per la discussa successione al trono di Francia alla morte di Carlo IV. Edoardo III pretendente al trono sbarcò in fiandra dove era in corso una rivolta nel 1337 e si proclamò re di Francia. La prima fase della guerra vide una netta prevalenza degli inglesi con cui i francesi giunsero alla pace nel 1360. Edoardo rinunciava ai suoi diritti sulla corona francese in cambio della cessione di un terzo dei territori francesi. Le ostilità ripresero nel 1369 vedendo questa volta la vittoria delle truppe francesi. Gli inglesi furono cosi costretti ad abbandonare la maggior parte dei territori acquisiti. Dal 1380 sia la dinastia francese sia quella inglese vennero scosse da violente tensioni e lotte dinastiche che portarono all'alleanza tra Enrico V e il duca di Borgogna contro il re di Francia. Il sovrano inglese sbarcò in Normandia e vinse nel 1415 le truppe nemiche puntando direttamente su Parigi. Carlo VI caduto in mano ai nemici fu costretto ad accettare il trattato di Troyes nel quale diseredava il figlio trasferendo il diritto di successione ad Enrico V al quale dava in moglie la figlia. Un fatto inatteso segnò la riscossa francese, Giovanna D'Arco si fece affidare da Carlo VII un esercito col quale iniziò una marcia di liberazione della Francia. Giovanna venne però catturata, processata per eresia e condannata al rogo nel 1431. Scomparsa Giovanna non si arrestò la riscossa francese anche grazie alla defezione del nuovo conte di Borgogna. Nel 1453 le operazioni sostanzialmente cessarono, gli inglesi rimanevano padroni solo della piazzaforte di Caleis. Durante il lungo conflitto che vide opposte Francia ed Inghilterra vennero affinate nuove tecniche militari, come l'utilizzo dell'arco lungo e la possibilità di usare i cavalieri come fanteria pesante. Venne ridimensionata insieme con la cavalleria il ruolo della feudalità e venne smentita la credenza sull'inettitudine militare delle masse contadine. Entrambe le monarchie inoltre desinarono sempre una maggiore quantità di denaro all'ingaggio di fanti, spesso stranieri. In questo frangente la fanteria svizzera svolse un ruolo rivoluzionario dato che per sopperire all'inferiorità rispetto alla cavalleria avevano sviluppato una sorta di falange che permetteva di muovere come strumento offensivo anche senza la cavalleria. L'avvento del cannone portò poi ad un indebolimento dei ceti baronali che non erano più in grado di ribellarsi. Le fortificazioni però non persero di valore che vennero restaurate in funzione delle nuove tecniche militari. Come conseguenza di tutto questo la nobiltà dovette rassegnarsi a militare nell'esercito regio visto che solo i sovrani ormai potevano permettersi il mantenimento di un esercito stabile. In Francia grazie al sentimento nazionale che si era formato nel corso della guerra Carlo VII potè intraprendere riforme amministrative e finanziarie per consolidare l'attività regia. Il figlio Luigi XI intraprese una politica antifeudale che portò sotto la diretta amministrazione regia moltissimi terreni. La situazione in Inghilterra era molto diversa, l'aristocrazia era diventata arbitra del potere perciò esplose una guerra civile (guerra delle due rose 1455-1485) che portò sul trono Riccardo IV a cui successe il figlio Edoardo V che fu poi soppresso dallo zio Riccardo la cui monarchia venne stroncata da Enrico Tudor. Il nuovo sovrano assecondando il bisogno di pace del popolo intraprese l'opera di restaurare l'autorità regia. In spagna la situazione non era migliore: il movimento della reconquista aveva portato alla fondazione dei regni di Portogallo, Castiglia ed Aragona tutti sconvolti da terribili crisi. Il primo a superarle fu il Portogallo il cui sovrano rafforzò la monarchia e diede impulso alle attività marinare. In Castiglia si sentiva ancora il forte peso della nobiltà che venne però controbilanciato dall'unione delle città in fratellanze. Il regno d'aragona presentava ancora un'economia agricola ma era interessato al commercio nel mediterraneo acquistando nel quattrocento il controllo di Sicilia e Sardegna, fondando così un vero e proprio impero economico e marittimo. Ferdinando ed Isabella di Castiglia puntavano a far nascere un sentimento di stato spagnolo attraverso l'unificazione anche attraverso la riconquista di Granada che era rimasta l'unica roccaforte mussulmana in Europa (1492). Nello stesso anno Colombo scoprì l'America e già l'anno successivo scoppiarono conflitti per stabilire le aree di influenza nel nuovo mondo tra Spagna e Portogallo. Capitolo 22: potere e società nel mezzogiorno Angioino-Aragonense Con la battaglia di Benevento del 1266 la dinastia sveva era stata spazzata via a favore della dinastia angioina. Carlo d'Angiò si proponeva due obiettivi •rendere effettivo il vincolo feudale che subordinava alla chiesa di Roma la monarchia meridionale •procurarsi un valido sostegno politico-militare per coordinare le forze guelfe in Italia. Carlo d'Angiò mirava a stabilire una egemonia sull'Europa che faceva perno sulla Sicilia fino ad arrivare alla conquista di Costantinopoli. All'indomani della battaglia di Benevento sorsero i primi dissapori con il papa a causa del saccheggio della città. A ciò si aggiunsero le lamentele che giungevano a Roma per i soprusi dei funzionari regi e l'eccessiva pressione fiscale. Per il primo punto il re corse ai ripari ma non fu in grado di attuare concessioni sul lato fiscale. La rivolta esplose in occasione della discesa in Italia di Corradino di Svevia ma a seguito della sua sconfitta la repressione fu durissima. A causa della rivolta venne operata una profonda restaurazione della feudalità nel regno con un massiccio inserimento di cavalieri francesi. Anche se il sovrano fece di tutto per rendere ben accetta alla popolazione la nuova classe dirigente il malcontento non venne placato. In questo clima non sorprende che i moti rivoluzionari scoppiati a Palermo nel 1282 raccolsero vasti consensi. Re Carlo che aveva già avviato i suoi piani di conquista verso oriente e la popolazione aveva notato come a differenza di quanto accadeva per il regno d'aragona le conquiste di Carlo avevano natura prettamente militare. I siciliani, usciti vincitori dalla rivolta avevano offerto la corona di Sicilia a Pietro III. Il pontefice però considerando gli aragonesi come usurpatori bandì contro di loro una crociata che fu affidata al re di Francia Filippo l'ardito. La crociata portò all'allargamento del teatro di guerra in cui venne coinvolta la catalogna. Il pontefice Bonifacio VIII creò le condizioni per giungere nel 1295 al trattato di anagni secondo il quale il nuovo re d'aragona riconobbe il ritorno in Sicilia degli angioini. I siciliani si ribellarono nuovamente ma la pressione diplomatica del pontefice portò nel 1302 al trattato di caltabellotta in base al quale Federico III fu riconosciuto re col titolo di re di trinacria e l'intesa che alla sua morte il regno sarebbe tornato agli angioini. Alla morte di Federico III l'isola restò però sotto la dinastia aragonese fino al 1372 quando Giovanna I d'Angiò riconobbe la situazione come definitiva. Al seguito dello scoppio della rivolta del vespro, Carlo d'Angiò fu sul punto di perdere il suo regno oltre che aver dovuto rinunciare alle sue mire espansionistiche nel mediterraneo. Nel 1284 il figlio del re ingaggiò uno scontro navale al largo di napoli contro una flotta siculo-aragonese dove fu sconfitto e fatto prigioniero. Il ritorno del re valse però a superare il momento critico. La ripresa della dinastia angioina fu molto rapida ma possibile grazie anche al deciso appoggio papale ed anche del sostegno degli uomini d'affari toscani che in cambio ottennero facilitazioni doganali oltre a feudi e cariche. Comunque l'avvento della dinastia angioina coincise con una grande accelerazione dell'economia meridionale e dell'emergere di napoli come piazza economica di prim'ordine. A questo si aggiunse una ritrovata nascita culturale, seguita da un'innovazione edilistica ed urbanistica. L'epoca d'oro di Napoli coincise con il regno di Roberto il saggio. La conquista del meridione da parte degli Angiò portò ad una stabilizzazione della situazione politica in tutta la penisola poiché portò allo sviluppo delle autonomie comunali che al nord si erano già sviluppate nei secoli precedenti. All'interno di questo comuni furono frequenti le lotte di classe, motivo dei conflitti furono principalmente le ripartizioni del carico fiscale sulla base della valutazione del patrimonio. Spesso i nobili per rivendicare una superiorità sul popolo si rifiutavano di pagare le imposte che tra l'altro crescevano via via che il bisogno finanziario del comune cresceva. Un altro argomento di discussione era la ripartizione delle cariche elettive che i nobili cercavano sempre di monopolizzare. Nonostante le discordanze il ruolo dei comuni nello stato angioino crebbe sempre di più. Con l'avvento al trono di Giovanna I nel 1343 si aprì per la casa d'Angiò un periodo di crisi in quanto il re d'Ungheria avanzando pretese sul trono del regno di Sicilia invase il regno nel 1348 puntando su Napoli. Gli ungheresi si ritirarono nel 1352 consentendo alla regina di avviare una grande opera di restaurazione. La crisi dinastica tuttavia era ben lontana da una soluzione, Giovanna I non aveva eredi diretti e questo portò il nipote Carlo III ad invadere Napoli, Carlo III era esaltato come padrone d'Italia ma morì assassinato nel 1386 dopo aver tentato di cingere la corona d'Ungheria. Il figlio Ladislao si concentrò sui domini italiani allora sconvolti dalla guerra civile. A lui successe Giovanna II che adottò come figlio e successore il re d'aragona Alfonso V. La Sicilia non tornò in mano agli angioini ma rimise sotto un ramo collaterale della dinastia aragonese che si trovò in una posizione di debolezza nei confronti della nobiltà siciliana visto il costante impegno militare in cui erano impiegati. La monarchia risultava essere in completa balia del baronaggio. Con l'avvento di Pietro IV il regno venne riunificato dopo uno scontro con dei baroni ribelli e fu dotato di un parlamento, venne cosi instaurato un collegamento tra monarchia e poteri locali. La Sicilia ormai ridotta ad un viceregno nonostante la sua economia fosse in rapida ripresa rimase definitivamente legata agli aragonesi che restarono sul trono. La Sicilia pervenne al Alfonso il magnanimo e tramite il pagamento di una ingente somma di denaro fu conquistato il regno di Napoli. Per il regno di Napoli si combatté nuovamente dal 1435 quando Giovanna ed il figlio adottivo Luigi morirono. Alfonso fu sconfitto e fatto prigioniero dal conte di Milano Filippo Maria Visconti con in quale però strinse un'alleanza grazie alla quale riprese la conquista del regno, finché nel 1442 conquistò Napoli. La ricostituzione del regno di sicilia contribuì al nuovo disegno di politica economica di Alfonso che avviò tra l'altro un'opera di rinnovamento e razionalizzazione delle strutture politiche potendo avere di rimando un rapido controllo delle sue risorse. Capitolo 23: chiusure oligarchiche e consolidamento delle istituzioni in Italia centro- settentrionale Le istituzioni comunali si caratterizzarono per la loro perenne instabilità. La causa era la dinamica sociale nuova che portava anche all'ascesa di famiglie nuove ed al tentativo da parte di categorie sociali, fino ad allora ai margini della società, di allargare i propri spazi "democratici". I comuni dal canto loro si mostrarono incapaci di dotarsi di saldi ordinamenti sociali. Le instabilità appaiono in via di superamento nel corso del '300 quando le istituzioni comunali presero una piega in senso signorile. Il passaggio da signoria a comune non avvenne bruscamente, i primi esempi di signorie si possono trovare in Italia settentrionale, il primo a Ferrara, per poi espandersi fino alla signoria dei Medici a Firenze. Le vie verso il governo signorile si erano aperte anche dove il popolo aveva raggiunto il potere. Rimaneva però sempre pilotato dall'aristocrazia e dal popolo grasso. In Italia la formazione delle signorie coincise con una serie di tentativi espansionistici che contribuirono a semplificare il quadro politico italiano attraverso la formazione di organismi politici più vasti. L'espansionismo del resto era parte integrante della politica signorile poiché i signori giungevano al potere attraverso una rete di contatti anche esterna al comune. In Italia centro-settentrionale intorno al tre-quattrocento si formò la tendenza ad operare formazioni politiche di carattere regionale, significativo fu il caso di Firenze che nel 1421 controllava quasi tutto il territorio dell'attuale toscana e buona parte del litorale. In questo clima di crescente espansione territoriale anche lo stato della chiesa mirava a costituirsi dei saldi domini. Il punto di partenza fu l'antico patrimonium petri ovvero i territori di bisanzio che i re franchi avevano donato ai pontefici nel corso del VIII secolo. Questi domini però non avevano mai costituito una coerente dominazione politico-territoriale a causa del proliferare di diversi centri di potere e dei diritti che gli imperatori rivendicavano sulle loro terre. La situazione si andò risolvendo quando all'inizio del duecento con la crisi imperiale gli imperatori abbandonarono ogni pretesa sulle terre papali. Si cercò di trasformare il dominio papale in governo effettivo dividendo il territorio in sette provincie ognuna amministrata da un rettore che deteneva diversa autonomia. Con il trasferimento del papato ad Avignone però le cose per Roma peggiorarono in quanto fu in balia della signoria locale. Dopo la breve esperienza a Roma di Cola di Rienzo, il potere pontificio venne ripristinato in maniera magistrale dal legato pontificio Egidio di Albornoz che emanò tra l'altro le cosidette costituzioni egidiane che diedero allo stato pontificio una configurazione destinata a durare fino al 1816. I modelli di organizzazione politica erano sostanzialmente tre: Quello dei visconti, quello fiorentino e quello veneziano. I visconti avevano inglobato nel loro dominio un numero elevato di comuni ma omogeneizzare il tutto fu ritenuto impossibile per cui i comuni vennero lasciati in vita come amministrazioni territoriali dello stato. Nello stesso tempo fecero largo uso delle istituzioni feudo-vassallatiche per inquadrare nello stato le vecchie signorie locali. Lo stato visconteo prese le sembianze di uno stato moderno in quanto gli interventi del duca negli ambiti di competenza locale si facevano sempre più frequenti. A Firenze la situazione era diversa, si diede infatti maggior autonomia alle comunità rurali per tentare di sganciare il contado dall'influenza di grandi città come Pisa, Arezzo e Pistoia. I ceti urbani protestarono perciò Firenze abbandonò questa strada rinunciando a dare al suo stato un ordinamento più moderno per venire a capo delle resistenze dei suoi centri urbani. Venezia adottò una via di mezzo, l'amministrazione locale venne lasciata nelle mani dei centri urbani non perdendo però occasione per ridimensionare il suo potere occupandosi continuamente in questioni di competenza dei consigli municipali. Il risultato fu la costruzione di una stato omogeneo in grado di resistere più agilmente ai momenti di difficoltà. Capitolo 24: al di là dei confini dell'impero e le altre realtà politiche del continente euro-asiatico Nel corso del tre-quattrocento l'impero andava configurandosi sempre più come uno stato identico agli altri. Il regno di Tamerlano segnò la conclusione delle ondate di popoli invasori. La caduta di Costantinopoli concluse l'esperienza dell'impero bizantino e aprì le porte dell'Europa all'islam. La massa informe di stati che sembrava l'Europa nel corso del medioevo assunse via via sempre più forma nell'avvicinarsi dell'età moderna. In scandinavia una volta esauritasi la fase delle scorrerie normanne si erano formati i regni di Danimarca, Svezia e Norvegia dove il consolidamento del potere monarchico andava di pari passo con l'evangelizzazione operata dai missionari tedeschi. Anche la società si evolveva prendendo come modello quella dell'Europa centrale. Con il proliferare degli scambi commerciali si giunse alla formazione di una aristocrazia mercantile. La Boemia si costituì al tempo di Ottone I come ducato sotto la sovranità del re di Germania. Nel 1085 i duchi ottennero il titolo di re e quando il trono passò ai conti di Lussemburgo, Praga conobbe un periodo di splendore. Sotto Carlo IV si assisté alla formazione del sentimento nazionale ceco. Questo sentimento si manifestò sotto forma di insofferenza nei confronti della presenza germanica ai vertici della chiesa e nelle attività produttive. I cavalieri teutonici si trasferirono in Europa quando la fine degli stati crociati era segnata, impegnandosi nell'evangelizzazione e colonizzazione dei territori oltre l'Elba. I membri dell'ordine teutonico si dividevano in quattro categorie • i cavalieri provenienti dalla nobiltà • i preti • i serventi • i confratelli La cellula base era il convento, normalmente collocato in un castello. Il capitolo provinciale prussiano si configurò subito come uno stato indipendente. La loro opera colonizzatrice giunse fino all'Estonia. I metodi assai brutali nei confronti delle popolazioni assoggettate rese il loro dominio sempre più mal sopportato. La Polonia era nata dall'aggregazione di vari stati tra l'Oder e la Vistola raggiungendo al tempo di Boleslao il prode, anche una discreta estensione territoriale. Alla fine dell'XI secolo però la Polonia si divise nuovamente, la restaurazione regia venne riavviata agli inizi del trecento con Casimiro il grande. Con la conversione al cattolicesimo della Lituania si formò un grande stato politico lituano che infranse tra l'altro la potenza dei cavalieri teutonici. Il principato di mosca era nato come entità politica e dopo essersi ripreso dalla sconfitta dei tartari cercò di portare il suo predominio nella zona dell'alto volga. Il modello religioso moscovita era legato a quello bizantino, per cui le cariche politiche erano molto vicino a quelle ecclesiastiche. Con tamerlano l'impero dell'orda d'oro portò a compimento le sue ultime campagne per l'espansione. I turchi impossibilitati ad espandersi verso est ripiegarono verso ovest conquistando gran parte della Turchia e arrivando nel 1452 a conquistare Costantinopoli, ultima roccaforte caduta sotto Maometto II. I turchi poterono così dilagare in Grecia e nei Balcani. Non essendo capaci di assorbire la cultura dei popoli assoggettati gli stessi mantennero le proprie tradizioni e la propria cultura. Il potere politico e religioso era concentrato nelle mani del sultano. L'esercito turco si costituì come macchina bellica di eccezionale potenza. Capitolo 25: la chiesa tra crisi istituzionale e dissenso religioso Nel 1309 a seguito del conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il bello la sede papale era stata spostata da Roma ad Avignone. La nuova sede papale subì la pesante influenza della corte francese, tutti i papi del periodo avignonese furono di origine francese, come la maggior parte dei cardinali nominati. La tranquillità di Avignone contribuì allo sviluppo dell'organizzazione della curia, il nascere del nuovo apparato burocratico-amministrativo consentì ai pontefici di accentrare in loro il controllo della chiesa , anche la nomina di vescovi e abati maggiori dei monasteri divenne esclusiva competenza papale. Questo nuovo sistema si era reso necessario per sottrarre la chiesa dalle ingerenze delle comunità locali. D'altro canto anche i vescovi restarono scontenti poiché si vedevano privati dei loro benefici derivanti dalla loro condizione. Dato che il papato si occupava anche di materie in ambito giurisdizionale, i tribunali curiali iniziarono a produrre documenti di ogni genere. Vennero regolamentati diversi uffici come la cancelleria o la camera apostolica che si occupava della gestione delle finanze. Tutto questo si pose quindi come coronamento di secoli di sviluppo della monarchia papale che comunque nel periodo avignonese subì una forte accelerazione. Dato che la chiesa aveva quasi abbandonato il suo ruolo di guida spirituale per acquistarne uno prettamente temporale, iniziò ad attirarsi l'inimicizia di molti illustri personaggi del tempo. La reazione papale fu dura, anche i disobbedienti, non strettamente correlati alla dottrina furono dichiarati eretici, come nel caso dei ghibellini italiani. Già nel concilio di Lione del 1274 si era cercato di limitare la fondazione di nuovi ordini religiosi, specialmente se si trattava di ordini mendicanti. Venne imposto agli ordini nati dopo il 1215 di non accettare nuovi membri, imponendo altresì ai restanti membri di trasferirsi presso ordini già approvati dalla santa sede. Gli apostolici non accettarono l'imposizione e vennero perseguitati come eretici. Il nuovo leader degli apostolici, Dolcino, dotato di una profonda preparazione biblica elaborò una concezione più complessa della salvezza, che prevedeva la distruzione della chiesa carnale di Bonifacio VIII. Per sfuggire alle persecuzioni Dolcino e i suoi seguaci si rifugiarono in Valsesia dove le sue file si ingrossarono per l'affluire di nuovi seguaci dall'Italia centro-settentrionale. La lotta operata dai dolciniani ha indotto a vederla come la prima lotta di classe anche se i dolciniani non avevano idea di questo ma miravano soltanto alla costituzione di una chiesa più uguale e giusta. Nel 1357 tuttavia un esercito promosso da Clemente V distrusse gli ultimi nuclei di resistenza dolciniana. In Europa un altro uomo era destinato ad attirarsi l'ira del pontefice, Giovanni Wyclif che tradusse la bibbia in inglese e criticò la mondanizzazione della chiesa predicando un ritorno alla povertà alla quale si univa anche la critica ad elementi fondamentali della dottrina, come la scomunica o le decime. I suoi discepoli detti lollardi diffusero la dottrina anche se il suo pensiero fu condannato come eretico. Nonostante tutto il movimento si esaurì nel corso del quattrocento. Altro eretico fu Giovanni Hus che riprese le teorie di Wyclif ribadendo la critica al mondanismo e alla piega monarchica. Hus fu condannato al rogo come eretico nel 1415. Nel frattempo erano maturati i tempi per un ritorno della chiesa a Roma, la tranquillità di Avignone però trattenne i pontefici per ancora qualche tempo. Il ritorno definitivo del papato a Roma si ebbe nel 1377 con Gregorio XI che si fece precedere da bande armate e da un suo legato. Contribuirono ad accelerare il ritorno del papato a Roma furono anche le incursioni nel territorio provenzale perpetrate da truppe sbandate che erano impegnate nella guerra dei cent'anni. Il papato attraversò un periodo scismatico a partire dal 1379 anno in cui venne eletto l'antipapa Clemente VII che si pose in antagonismo nei riguardi di Urbano VI. Lo scisma non si risolse così presto come si era creduto inizialmente, il riconoscimento della curia divenne per i regnanti europei un argomento di lotta politica. In questo clima il prestigio della dignità sacerdotale si abbassò ulteriormente, donando nuova linfa alla lotta contro la corruzione della chiesa. Per sbloccare la situazione venne convocato un concilio universale a Pisa nel 1409 dove vennero deposti entrambi i pontefici, Gregorio XII e Benedetto XIII e dove venne eletto Alessandro V. Tuttavia il concilio non fu riconosciuto e ai due pontefici se ne aggiunse un terzo. Anche se il concilio di Pisa non era stato organizzato al meglio rimase convinzione che fosse proprio il concilio lo strumento necessario per risolvere il problema. Promotori di questa iniziativa furono Giovanni XXIII, successore di Alessandro V e l'imperatore di Germania Sigismondo. Il concilio venne riunito a costanza nel 1414, vi parteciparono numerosi canonisti e principi. Nel 1415 si giunse al decreto Haec Sancta secondo il quale il concilio universale derivava il suo potere direttamente da dio avendo autorità anche sul pontefice. Venne successivamente deposto il pontefice pisano e poi Benedetto XIII. Gregorio XII si dimise spontaneamente. Dopo un conclave di brevissima durata venne eletto Martino V. Venne anche decretato che il concilio universale dovesse essere convocato ogni dieci anni e Martino pur mostrando il suo scarso entusiasmo convocò un concilio a Pisa nel 1423 per affrontare i temi della riforma della chiesa. I lavori si chiusero di nuovo con un nulla di fatto. Dopo sette anni dal 1431 fu convocato un secondo concilio a Basilea che stabilì di ridimensionare i poteri del papato e di ridare alle diocesi locali la loro autonomia. Il papa, contrario a tali riforme bloccò il concilio per trasferirlo in Italia ma i conciliarsi più radicali non obbedirono e processarono Eugenio IV dichiarandolo decaduto. Venne designato come successore Felice V. La successione ebbe però vita breve e nel 1449 venne nuovamente riconosciuta l'autorità del pontefice romano Niccolò V. L'esperienza del concilio di Basilea aveva insegnato ai principi che la strada migliore per il rafforzamento dei loro poteri era di stabilire dei trattati con il papato per delimitare chiaramente le rispettive sfere di influenza. In cambio del riconoscimento della superiore autorità papale si chiedeva la possibilità di tassare i beni ecclesiastici, il controllo delle cariche più importanti e la competenza dei tribunali civili in materia ecclesiastica. In Francia si sviluppò in questo periodo una chiesa nazionale detta gallicana. Superata la crisi dei concilio, il papato si concentrò sul recupero del terreno perduto; anzitutto il pontefice Pio II stabilì che l'autorità suprema della cristianità restava il papato e non il concilio, contemporaneamente si sviluppava l'apparato burocratico e cresceva il prestigio del collegio cardinalizio. Un altro problema era rappresentato dal recupero del governo effettivo sullo stato della chiesa che venne recuperato in maniera efficace facendo uso del nepotismo. Lo sviluppo di un efficiente sistema fiscale diede inoltre al papato una ingente disposizione finanziaria, dando vita al fenomeno del mecenatismo ed a una opera di restaurazione edile di Roma. I rinnovati impegni di governo dei pontefici avevano come conseguenza quella di distoglierli dalla cura delle anime, l'amministrazione dei culti però continuò in maniera sorprendente in quanto anche in assenza dei vertici ecclesiastici le istituzione base come le parrocchie continuavano incredibilmente a funzionare. Variegato si prestava anche il mondo dei chierici che risultava comunque attiva sulla sacralità basale. Un movimento molto attivo sopratutto nelle popolazioni urbane era rappresentato dall'associazionismo laico e dal monachesimo. Il fenomeno del monachesimo subi un'accelerazione nel corso del quattrocento quando sia gli ordini mendicanti, sia i vecchi rami dell'ordine benedettino diedero attuazione al tanto atteso rinnovamento che agitava il mondo cristiano. Fu allora che prese piede il così detto movimento dell'osservanza, nato per richiamare i monaci e i chierici al rispetto completo delle norme. Capitolo 26: alla ricerca di un difficile equilibrio e la politica e cultura nell'Italia del quattrocento La caduta di Costantinopoli non valse a far adottare misure concrete per scongiurare una ulteriore espansione dei turchi in Europa, i regni europei infatti erano alle prese con gravi problemi interni dopo le crisi e le lotte dinastiche del tre-quattrocento. Gli stati italiani apparivano esausti dopo i ripetuti ed inutili tentativi di imporre la propria egemonia sulla penisola. A causa di questi tentativi Milano, Venezia e Firenze consolidarono i loro organismi politici e si delinearono su base regionale. Occorre tornare a parlare del ducato di Milano, dove Filippo Maria Visconti era rimasto solo nel 1412 alla guida del ducato, aveva avviato il recupero dei territori perduti. Filippo Maria Visconti non si limitò al ripristino del suo territorio ma lanciò i suoi condottieri alla conquista di nuovi domini. Si formarono quindi diverse reti di alleanze formate da città spaventate per la continua espansione viscontea, città come Siena e Firenze ed in seguito anche il papa ed il duca di Savoia strinsero alleanza. Da questo clima distensione scaturì una guerra che durò più di vent'anni (1423- 1447), fu ricca di colpi di scena, intrecciandosi anche con le lotte dinastiche degli stati coinvolti. Per tenere sotto controllo i comandanti dei contingenti mercenari i principi iniziarono a concedere a questi personaggi feudi e benefici. Un primo stop alla guerra ci fu nel 1433 con la pace di Ferrara secondo la quale Venezia poteva tenere i territori conquistati. Il conflitto riesplose già l'anno successivo ed il ducato di Milano conservò l'iniziativa. Il conflitto andò complicandosi a causa del coinvolgimento del meridione dove era già in corso una lotta tra gli Angiò e gli Arragona per la successione a Giovanna II. A Firenze gli insuccessi militari contro il duca di Milano avevano screditato il potere oligarchico creando le condizioni per l'avvento del potere dei Medici, nella persona di Cosimo De Medici che diede nuovo slancio all'alleanza con Venezia in funzione antiviscontea. Un'altra effimera pace venne firmata a Cremona nel 1441 ma nuovamente il conflitto si riaccese l'anno successivo, questa volta le parti furono sconvolte dalla morte del Duca di Milano avvenuta nel 1447. Ne rivendicarono l'eredità molto personaggi in vista dell'epoca ma le famiglie nobili milanesi proclamarono nello stesso anno la repubblica Ambrosiana. Dopo più di vent'anni di guerra il Ducato di Milano era in preda al marasma più completo, Firenze non aveva ottenuto vantaggi territoriali dalla guerra pur avendo investito ingenti somme, mentre Venezia era diventata l'unica potenza esistente in Italia, temuta addirittura dai propri alleati. Quando Venezia dimostrò la volontà di espandere i propri domini nel lodigiano coloro che si sentivano minacciati, ancora una volta si coalizzarono contro l'aggressore. I Milanesi sconfissero i Veneziani presso Caravaggio nel 1448 e nel 1450 Francesco Sforza venne nominato Duca. Venezia non si diede per vinta e riprese l'offensiva contro Milano dopo aver stretto un'alleanza con il Ducato di Savoia e il re di Napoli, portando avanti la guerra per altri tre anni. Il clima fu nuovamente scombussolato dalla caduta di Costantinopoli e dal successivo appello del papa contro i turchi. Venezia mise fine alla guerra per concentrarsi sui suoi domini orientali che sarebbero stati quelli più interessati dall'avanzata turca. Si giunse quindi alla pace di lodi, firmata nel 1454 che sancì la definitiva ascesa di Francesco Sforza come Duca di Milano ed il riconoscimento delle conquiste venete in Lombardia. Per rendere più stabile la pace Milano, Venezia e Firenze diedero vita alla Lega Italica che venne estesa l'anno seguente al papa, al re di Napoli e a Borso D'Este. La Lega aveva lo scopo di impedire qualsiasi tipo di tentativo espansionistico ai danni degli stati aderenti. L'accordo aveva durata di venticinque anni e contemplava anche la formazione di un esercito comune la difesa che però non venne mai realizzato. Delineando un quadro degli stati italiani dopo la pace di Lodi troviamo Venezia, concentrata sulla difensiva dei propri interessi commerciali e dei suoi possedimenti orientali. Venezia perse nel 1470 l'isola di Eubea ma acquistò Cipro dall'ultima regina. Il rapporto con i turchi risultò sempre estremamente precario all'interno di un accordo che prevedeva per i veneziani libertà di commercio in cambio del pagamento di tasse doganali non troppo gravose. A Milano Francesco Sforza non era più pressato dai veneziani, potendo cosi iniziare ad impegnarsi affondo per ottenere consensi per la sua dinastia e rafforzare il proprio potere. Operava attivamente al livello diplomatico per creare un asse con Firenze e Napoli da porre a difesa degli equilibri italiani, favorì all'interno del suo dominio la ripresa dell'attività agricola e manifatturiera. Con l'avvento al potere del figlio Galeazzo Maria iniziarono le prime difficoltà che culminarono con il suo assassinio nel 1476. Il potere dopo un breve conflitto dinastico venne reclamato da Ludovico il Moro. Tra Milano e Venezia stava il Marchesato di Mantova retta dai Gonzaga che dopo aver esteso i propri domini verso il lago di Garda dovette faticare non poco per mantenersi in equilibrio nel difficile clima politico italiano. In una situazione simile si trovavano gli Estensi di Ferrara, Modena e Reggio, da tempo soggetti alla pressione veneziana che ottenne vaste conquiste grazie alla pace di Bagnolo stipulata nel 1484 a seguito di un conflitto esploso per contrastare la politica nepotista di Sisto IV. Si trova inoltre nel settentrione il principato di Trento, i Marchesati di di Saluzzo, Monferrato e Ceva e la Contea di Asti, tutti retti da dinastie di origine feudale. Il Ducato di Savoia gravitava nell'orbita della Francia almeno fino al 1478 quando ne divenne un effettivo dominio. La Repubblica di Genova si presentava molto debole dato che aveva evitato di assumere impegni militari seri per concentrarsi sulla sua politica commerciale non rifiutandosi in alcun periodo di essere dominata da francesi, milanesi o dal pontefice. Altre città ad aver mantenuto ordinamenti comunali furono Siena, Lucca e Bologna, quest'ultima però alla fine cadde come dominio dello stato pontificio. Roma o meglio lo stato pontificio vide riconosciuta la propria sovranità in buona parte della Romagna alla quale comunque fu lasciata molta autonomia a varie realtà comunali. Nella politica italiana della metà del quattrocento Firenze grazie ai suoi governanti esercitò il suo dominio su un'area paragonabile alla metà del territorio complessivo di Venezia. Il merito fu della politica estera attuata dai Medici. La politica estera medicea venne caratterizzata da un costante opportunismo per frenare i vari pericoli espansionistici da Venezia, da Milano e dal Regno di Napoli. L'inizio del potere Mediceo fu caratterizzato dal quasi nullo riconoscimento formale al loro potere che si reggeva in piedi grazie alla solidità economica della famiglia. I Medici puntarono quindi alla "manomissione" delle entità comunali già esistenti non avendo la forza per abolirle totalmente. Proprio per questa mancanza di legittimità non mancarono famiglie che considerando i giochi ancora aperti non mancavano di organizzare congiure. L'origine della calda situazione fiorentina era da ricercare nella politica nepotistica di Sisto IV che pretendeva dai Medici il denaro per riscattare Imola e darla in signoria al nipote. Al rifiuto dei Medici il pontefice si rivolse la famiglia dei Pazzi che accettarono di versare la somma richiesta ed organizzarono una congiura con la collaborazione di Girolamo Riario che vedeva dei Medici un ostacolo alla sua espansione in Romagna. La congiura fu fissata per il 26 aprile 1478. il risultato fu l'assassinio di Giuliano De Medici e il ferimento di Lorenzo, la reazione popolare portò all'uccisione di molti dei Pazzi e dello stesso arcivescovo Salvati. La reazione papale non si fece attendere, Lorenzo De Medici venne scomunicato e Firenze venne dichiarata interdetta. Il papa inoltre dopo aver portato dalla sua parte il Re di Napoli e Siena sconfisse Firenze presso poggio imperiale. Lorenzo allora si recò a colloquio con il Re di Napoli col quale strinse alleanza lasciando quindi solo il papa, che non poté far altro che venire a patti, firmando un accordo nel 1480 che prevedeva il ritorno allo status quo e l'annullamento dell'interdetto su Firenze. L'alleanza con Milano e Napoli resse assai bene specie durante la rivolta dei baroni nel meridione, alla quale aderirono personaggi di altissimo livello. Innocenzo VIII nonostante la pazienza di Re Ferrante di trovare una soluzione diplomatica, non esitò a ricorrere alle armi chiedendo anche l'aiuto di Venezia. La diplomazia di Lorenzo il Magnifico era in piena attività per bloccare il dilagare del conflitto giungendo quindi alla pace nel 1486 nella quale il Re si impegnava a pagare un contributo regolare alla chiesa in segno di vassallaggio, a perdonare i baroni ribelli e ad accettare l'invio di un legato pontificio che avrebbe dovuto occuparsi dei rapporti con i feudatari. Re Ferrante però ottenuto l'obiettivo di dividere il fronte avversario punì tutti i personaggi in vista che parteciparono alla rivolta facendoli arrestare e giustiziare dopo un sommario processo. Con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 si chiuse per l'italia un periodo dove era possibile risolvere rapidamente i vari conflitti. Con l'avvento al potere di Lorenzo il Magnifico l'Italia aveva raggiunto il massimo del suo elevamento culturale iniziato verso la fine del trecento da uomini letterati come Coluccio Salutatio Leonardo Bruni che prendendo esempio da Francesco Petrarca di diedero grande fervore per recuperare le opere di scrittori classici. Il loro scopo era quello di superare la mentalità medievale e riaccostarsi alle opere classiche per comprenderne il vero significato. Proprio in questo periodo, il medioevo venne considerato come un periodo negativo nel suo complesso poicé conobbe una decadenza in tutti i campi del sapere. L'ideale della nuova cultura umanistica si proponeva di riprendere il colloquio con gli autori antichi per farne nuovi modelli di formazione di imitazione. Questo periodo vide anche la nascita della filologia ovvero del metodo critico nell'esame dei testi antichi e di ogni forma di espressione e di pensiero che divenne in seguito una componente essenziale del pensiero umanistico. La nuova disciplina filologica permise di dimostrare la falsità della donazione di Costantino a papa Silvestro. Un episodio che accelerò il recupero della cultura classica fu senz'altro la conquista di Costantinopoli che provocò il trasferimento di diversi ecclesiasti e dotti bizantini. L'umanesimo però aveva un'ambiguità di fondo dato che l'esaltazione della cultura classica implicava anche il'esaltazione del mondo pagano il che rendeva problematico il rapporto con la cristianità che i più tendevano ad eludere. Vi furono poi casi di filosofi che pubblicarono opere nelle quali il cristianesimo veniva integrato perfettamente nella filosofia platonica. La nuova corrente di pensiero ebbe i suoi punti di forza in alcuni centri ed in alcuni gruppi di intellettuali: Firenze, che ne fu la culla e Roma che fu l'unico centro in grado di tenere il passo con Firenze, per poi superarlo all'inizio del cinquecento. Anche la corte angioina di Napoli divenne un importante centro umanistico. Anche a Milano Ludovico il modo attuò una buona politica per quanto concerne il mecenatismo. Le corti europee ed italiane però non videro solo la grande produzione artistico - letteraria ma anche quella musicale. Il quattrocento vide la nascita del professionismo facendo di conseguenza diventare richiesti i musicisti di fama. Il quattrocento vede la netta egemonia della musica fiamminga specialmente nel campo della musica sacra. L'epoca d'oro per la musica italiana sarà il cinquecento che vedrà finalmente l'imporsi di artisti italiani. Nello stesso periodo si andava configurando una nuova figura nelle corti italiane ed europee, l'ambasciatore. Di ambasciatori ne erano sempre esistiti fin dall'antichità ma si trattava di inviati occasionali. L'intensità delle relazione che si svilupparono nel corso del quattrocento portò al prolungamento delle missioni diplomatiche trasformando il semplice inviato in un ambasciatore che dimorava stabilmente nella corte ospitante. Un ambasciatore doveva scrivere almeno una volta ogni due-tre giorni che affidava poi a corrieri incaricati della consegna. Al servizio degli ambasciatori vennero create anche le "poste" ovvero stazioni per il cambio dei cavalli organizzate da osti e mercanti per velocizzare le operazioni di consegna della corrispondenza. Contemporaneamente veniva operata una centralizzazione degli organi statali specialmente per il settore fiscale e legislativo-giudiziario. Gli interventi in campo fiscale erano dettati dalla necessità di far accrescere le entrate statali le cui risorse erano assorbite dal potenziamento dell'apparato burocratico, altre erano assorbite dal settore militare. Ora infatti si puntava all'arruolamento di eserciti stabili, dipendenti direttamente dal principe. Questa opera riformatrice non permise tuttavia ai piccoli stati italiani di poter competere con le maggiori monarchie europee che potevano contare sul sentimento nazionale e sulla assoluta fedeltà del popolo verso il potere regio. Questa grande differenza apparirà evidente nel 1494 quando Carlo VIII di Francia scenderà in Italia. Le guerre d'Italia porteranno come conseguenza la dispersione in Europa di letterati ed artisti che diffonderanno l'arte e la cultura italiana in Europa comunicando ad un pubblico più ampio un secolo e mezzo di studi e ricerche.