Walter Burkert - Da Omero Ai Magi - La Tradizione Orientale Nella Cultura Greca-Marsilio (1999)

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Walter Burkert

Da Omero ai Magi
La tradizioneorientale
nella,culturagreca
a cura di Claudia Antonetti

Marsilio
© 1999 BY MARSILIO EDITORI® S.P.A. IN VENEZIA

ISBN 88-317-7158-2
INDICE

DA OMERO AI MAGI

3 Tratti orientalizzanti in Omero


35 Cosmogonie greche e orientali:
temi comuni e scelte contrastanti
59 L'Orfismo riscoperto
87 L'avvento dei Magi
113 Fonti e Bibliografia
123 Indice dei nomi e dei temi

VII
PREMESSA

Questo testo nasce da un evento di rilievo nella storia del-


la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di
Venezia: il ciclo di lezioni tenuto nell'aprile del 1996 da Walter
Burkert quale professore a contratto di storia greca. Nel corso,
che volle intitolare Near Eastern Influence on Greek Culture, egli
fece il punto sul tema complesso del debito della civiltà greca nei
confronti dell'antico Oriente, utilizzando quattro temi-chiave:
tratti orientalizzanti in Omero; cosmogonie greche e cosmogonie
orientali; i Magi, elementi iranici nella filosofia pre-socratica;
l'Orfismo riscoperto. L'occasione si trasformò, com'era prevedi-
bile, in un momento di dibattito interdisciplinare per tutta la Fa-
coltà e attirò a Venezia colleghi di altre sedi universitarie. Lucio
Milano ed io sollecitammo perciò il prof. Burkert a pubblicare
queste lezioni veneziane, poiché il loro argomento è centrale nelle
ricerche storiche del nostro Dipartimento. Egli rispose con gene-
rosità, acconsentendo anche a dare loro la veste di una pubblica-
zione di Dipartimento. L'interesse di questo agile testo consiste,
fra gli altri, proprio nello sforzo operato dall'autore per riassume-
re, semplificare e riconsiderare problematiche essenziali della ci-
viltà greca che da sempre sono al centro della sua vita di studioso:
anche per questo gliene siamo riconoscenti.

luglio 1998 CLAUDIA ANTONETTI

IX
DA OMERO AI MAGI
Questo libro trae origine da quattro conferenze tenute all'Universi-
tà degli Studi di Venezia nell'aprile del 1996. Ho cercato di conservare
l'articolazione autonoma di ciascuna conferenza e di resistere alla tenta-
zione di aggiungere una massa di riferimenti alle controversie speciali-
stiche, seppellendo tutto sotto una bibliografia gigantesca. Ho cercato
di presentare un'introduzione leggibile, non un thesaurus.

I miei ringraziamenti vanno al Dipartimento di Scienze dell'Anti-


chità e del Vicino Oriente dell'Università degli Studi di Venezia, a Lu-
cio Milano e specialmente a Claudia Antonetti per la sua ospitalità e per
la sua iniziativa e perseveranza nella realizzazione della pubblicazione.
Per la traduzione sono riconoscente a Marco Dorati (1 e II lezione) e a
Roberta Sevieri (111 e 1v lezione); mi assumo invece la responsabilità de-
gli errori.
I.

TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Il tema «Omero e l'Oriente» non è nuovo. Almeno fin dai


tempi di Hugo Grotius, «Omero e l'Antico Testamento» aveva
costituito un soggetto di interesse costante, anche a causa della
secolare controversia relativa alla priorità dei Greci o degli Ebrei,
di Mosè o di Omero. Già allora si era notato che Isaia presenta
una bella similitudine «omerica» con il leone (31, 4), e che
Yahweh giura sul Cielo e la Terra (Deuteronomio 4, 26), proprio
come fa Era in Omero 1 • Il parallelo tra il sacrificio di Ifigenia
e quello della figlia di Iefta (Giudici 11, 29-40) fu messo in evi-
denza persino nell'opera lirica. Gli storici avevano inoltre ri-
chiamato l'attenzione su Fenici ed Egiziani, che campeggiano
nell'Odissea.
La rottura giunse al principio del XIX secolo, con gli inizi dello
storicismo 2 • Le guerre napoleoniche avevano provocato un'onda-
ta di nazionalismo in seno al Romanticismo, specialmente in Ger-
mania. Da quel momento in poi si ritenne che la cultura dovesse
essere cultura nazionale; Omero, definito il «genio originario» già
da Wood nel 17693 , as~urse al rango di genio originario della cul-
tura ellenica. Proprio allora la scoperta della famiglia delle lingue
indoeuropee tracciò la grande linea di separazione rispetto ai Se-
1 Cfr. Burkert, 1991.
2
Bemal, 1987; Burkert, 1991 e 1992.
' R. Wood, An essayon the originaigenius and writings o/Homer, London 1769.

3
DA OMERO AI MAGI

miti, gli Ebrei dell'Antico Testamento 4 • Omero, considerato il ve-


ro inizio della cultura, divenne il vessillo di un'alleanza germani-
co-greco-protestante - in linea con l'orientamento dell'Humani-
stisches Gymnasium -.
La conseguenza fu che il progresso più importante negli studi
dell'antichità fu scarsamente notato sia nell'ambito degli studi el-
lenici sia all'interno del Gymnasium: la riscoperta dell'antico
Oriente infatti, con la decifrazione dei geroglifici e della scrittura
cuneiforme, ha aggiunto alla nostra memoria culturale circa due-
mila anni di storia documentata. Parallelamente alla scoperta del-
la letteratura egiziana e cuneiforme procedettero i grandi scavi ar-
cheologici in Egitto e in Iraq (1842-1855). Nel 1872 suscitarono
scalpore le nuove informazioni riguardanti una storia babilonese
del diluvio - le tavolette x/xi del Gilgamesh -; più o meno nello
stesso periodo furono tradotti i testi egiziani relativi alla battaglia
di Qadesh, nello stile di una vera e propria aristeia omerica, con
tanto di carri di battaglia e intervento divino nel corso del com-
battimento5, e inoltre quei testi risalenti al 1200 a.C. circa, riguar-
danti i «Popoli del mare», che comprendevano Achei, Dardani,
Filistei e Teucri 6 • Nel 1884 fu avviata l'edizione del Gilgamesh e
fu pubblicata la Catabasi di Ishtar. Nel 1901 apparve un'edizione
tedesca del Gilgamesh 7 •
Però Gilgamesh fece la sua èomparsa come Izdubar, il suo
amico Enkidu come Eabani - si vedano il Lessico di Roscher e il
saggio di Usener sul «mito» del diluvio 8 -. Gli esperti di scrittu-
ra cuneiforme sanno come ciò sia potuto accadere; per i classici-
sti, che sono in una posizione marginale rispetto al cuneiforme,
questo fatto non poteva ispirare una particolare fiducia. Infatti
l'antico Oriente è rimasto qualcosa di esotico quasi fino ai giorni
nostri.

4
Cfr. L. Poliakov, Le mythe arien, Paris 1971.
5
Cfr. n. 40.
6 ANET, pp. 262-263.
7 Si veda Burkert, 1991, pp. 158 s.
8 A.Jeremias, in RML, voi. II, 1890-1897, pp. 773-823; H. Usener, DieSintfluthsa-
gen, Bonn 1899, pp. 6-13.

4
TRAITI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Conseguentemente, gli studi su «Omero e l'Oriente» sonori-


masti un campo di ricerca marginale. William Ewart Gladstone
(1809-1898), meglio noto come primo ministro britannico, richia-
mò l'attenzione sui testi egiziani riguardanti i Popoli del mare e
sulle scoperte in scrittura cuneiforme: fu il primo a paragonare
Oceano e Teti nell'Iliadedi Omero ad Apsiì e Tiamat dell'inizio
del poema epico babilonese della creazione, - detto l' Enuma elish
dalle prime due parole «Quando sopra» - 9 , ma i classicisti espres-
sero con indignazione il loro rifiuto. Alcuni orientalisti sopravva-
lutarono in modo eccessivo l'importanza del Gilgameshper la let-
teratura mondiale - Peter Jensen, Hugo Winckler, Adolf Jere-
mias - e ciò ebbe un effetto controproducente. Pochi lessero il li-
bro di Cari Fries (1910), che interpretava l'Odissea come un
dramma rituale - il titolo, derivato dal sumerico, significherebbe
«inizio dell'anno», «nuovo anno»-. Più sensati furono Hermann
Wirth (1921), e Arthur Ungnad. Ma i loro libri non ebbero alcun
successo; il libro di Ungnad non trovò neppure un editore e fu
pubblicato a sue spese nel 192310•
Non si deve tuttavia dimenticare che alcune notevoli osserva-
zioni riguardo i rapporti tra Omero e l'Oriente provengono da
questi studi dell'inizio del secolo, come ad esempio il confronto
tra il viaggio di Gilgamesh in cerca di Utnapishtim con alcuni
motivi dell'Odissea,o l'apparizione del fantasma di Enkidu a Gil-
gamesh con quello della psyché di Patroclo che si presenta in so-
gno ad Achille (IliadeXXIII 54-107), un parallelo che persino uno
scettico come G.S. Kirk ha trovato «pressoché irresistibile» 11 •
Un nuovo impulso giunse dalle scoperte compiute nel nostro
secolo: l'ittita fu reso accessibile da Friedrich Hrozny a partire
dal 1915, l'ugaritico dai semitisti a partire dal 1930-3112 • Ciò avvi-
cinò notevolmente l'antico Oriente al Mediterraneo greco: l'ittita

9
W.E. Gladstone, HomericSynchronism, London 1876. Si veda anche l'appendice
di Landmarks o/HomericStudy, London 1890. Cfr. n. 47; cap. n, n. 61.
10
C. Fries, Das Zagmuk/est auf Scheria, 1910; H. Wirth, Homer und Baby/on, 1921;
A. Ungnad, Gilgamesch Epos und Odyssee; si veda Burkert, 1991, pp. 162-165.
11
G.S. Kirk, Myth, Berkeley 1970, p. 108. Cfr. Burkert, 1993, p. 88 con n. 1.
12
Cfr. Burkert, 1991, pp. 165-166.

5
DA OMERO AI MAGI

è, dopo tutto, una lingua indoeuropea. E dopo poco apparvero i


paralleli con Esiodo: nel 1930 Walter Porzig scrisse su illuyankas
e Tifone, nel 1935 Forrer fornì le prime informazioni a proposito
di Kumarbi 13• Fra i classicisti fu tuttavia solo F ranz Dornseiff a
reagire a questo ampliamento di orizzonte, assumendo egli stesso
un ruolo «marginale» nella filologia classica. «Quando verrà uffi-
cialmente messa da parte l'immagine del provinciale isolamento
dei popoli intorno al 1000-650?», egli scrisse nel 193514•
Il cambiamento giunse dopo il 1945, con la pubblicazione dei
testi ittiti Dominio del cielo (1946) e Ullikummi (nome di un mo-
stro mitologico) (1952)15 • La loro affinità con Esiodo era innega-
bile. Allo stesso tempo, nel 1952-53, fu decifrata la Lineare B, i
documenti greci di Micene, Pilo e Cnosso. Questo fatto produsse
un entusiasmo senza precedenti per l'età del bronzo, ad esempio
in T.B.L. Webster e D.L. Page; a Cyrus Gordon si deve lo slogan
di «koiné dell'età del bronzo» 16• In un secondo momento, con gli
studi di A. Heubeck e di altri studiosi, l'attenzione si focalizzò
nuovamente sulle fasi immediatamente successive all'età· del
bronzo 17• La ricerca si è sviluppata lungo queste linee nel trattare
il II e il I millennio a.C. ed è tuttora lontana dall'essere conclusa 18 •

In ciò che seguirà, la letteratura mesopotamica avrà un ruolo


rilevante. Questo percorso, che sembra portare lontano dalla
Grecia, richiede una giustificazione: in primo luogo, la letteratura

13 W. Porzig, Illuyankas und Typhon, in «KAF», 1, 3, 1930, pp. 359-378; E.O. For-
rer, Eine Geschichte des Gotterkonigtums aus dem Hatti-Reiche, in Mélanges Cumont,
1936, pp. 687-713.
14
F. Domseiff, Kleine Schri/ten, voi. 1, Leipzig 1952, p. 30: «Wann wird die Vor-
stellung von der provinzialen Abgeschlossenheit der Volker um 1000-650 amtlich aufge-
geben werden?».
u H.G. Gueterbock, Kumarbi. Mythen vom chu"itischen Kronos, Ziirich 1946; H.
Otten, Mythen vom Gotte Kumarbi, Neue Fragmente, Berlin 1950; H.G. Gueterbock,
The Song o/ Ullikummi, New Haven 1952.
16 T.B.L. Webster, Homer and Eastern poetry, in «Minos», 4, 1956, pp. 104-116;

From Mycenae to Homer, London 1958; D.L. Page, History and the Homeric Iliad, Ber-
keley 1969; C.H. Gordon, Homerand Bible, in «HebrUCA», 26, 1955, pp. 43-108.
17 Heubeck, 1955.
18 Burkert, 1992, pp. 88-127; Rollinger, 1996; Morris, 1997; West, 1997.

6
TRAITI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

cuneiforme rappresenta il più esteso corpusnell'ambito delle let-


terature dell'antico Oriente, molto più ricca di quella ittita, per
non parlare di quella ugaritica; la letteratura micenea è finora ine-
sistente. La letteratura cuneiforme è notevole non solo per varietà
e per complessità, ma anche per l'elevato livello qualitativo di al-
cune opere come Atrahasis, Gilgameshed Eniima elish. Fu tra-
smessa per secoli, anzi millenni, attraverso la tradizione delle
scuole di scribi, le «case delle tavolette». In secondo luogo, Meso-
potamici - cioè Assiri - e Greci furono in contatto diretto a parti-
re dall'800 a.C. circa. I Greci, in particolare gli Eubei, stabilirono
stazioni commerciali nella Siria settentrionale - quella meglio co-
nosciuta è Al Mina, presso la foce del fiume Oronte - alla fine del
IX secolo; ciò avvenne dopo che i conquistatori assiri avevano già
raggiunto il Mediterraneo sotto la guida di Assurnasirpal 19 • Intor-
no al 738 a.C. un documento cuneiforme proveniente dalla Siria
menziona per la prima volta le scorrerie degli Ioni sulle coste del-
la Siria - il popolo che viene dalla «terra Iaunaia» 20 -. All'incirca
in questo periodo, dei Greci - commercianti, mercenari o brigan-
ti - entrarono in possesso di alcuni splendidi esemplari di arma-
ture equestri, che erano appartenute ad Hazael, re di Damasco al-
la fine del IX secolo. I pezzi furono dedicati dai Greci nel santua-
rio di Apollo a Eretria e nell'Heraion di Samo nel corso dell'v111
secolo 21 • Poco dopo il 700 a.C. ci fu una battaglia marittima tra
Ioni e Assiri nelle vicinanze di Tarso in Cilicia22 • Cipro, abitata in
parte da Greci fin dall'età del bronzo, fu conquistata dagli Assiri
all'incirca in quel periodo; il re Esarhaddon vi lasciò una stele in
caratteri cuneiformi 23 • Ciò non significa negare l'esistenza di rap-
porti nel corso dell'età del bronzo: quelli di epoca assira sono tut-

19
Burkert, 1992, pp. 9-14.
20 H.W. Saggs, in «Iraq», 25, 1963, pp. 76-78; Burkert, 1992, p. 12.
21
H. Kyrieleis, W. Rollig,Ein altorientalischerP/erdeschmuckaus dem Heraion von
Samos, in «MDAI(A)», 103, 1988, pp. 37-75; Burkert, 1992, p. 16 e fig.2.
22 A. Momigliano, Su una battagliatra Assiri e Greà, in «Athenaeum», 12, 1934,

pp. 412-416 = Quinto contributo alla storia degli studi classià e del mondo antico, Roma
1974, pp. 409-413.
23 R Borger, Die lnschri/tenAsarhaddons,Konigs von Assyrien, Graz 1956.

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DA OMERO Al MAGI

tavia molto meglio documentati, e furono probabilmente anche


più intensi.
L'archeologia conferma contatti ininterrotti dei Greci con la
Siria settentrionale e la Cilicia, con i «tardi Ittiti», o meglio Luvi,
Aramei, Fenici, a partire almeno dal IX secolo; l'importanza del-
l'Egitto aumentò qualche tempo dopo. Questo fu anche il tempo
in cui giunse in Grecia il più importante prodotto d'importazione
orientale: l'alfabeto. Le testimonianze fino ad oggi disponibili in-
dicano la prima metà dell'v111secolo (800-750 a.C.) come epoca
probabile per l' avvenimento 24. In linea di principio, la scrittura
cuneiforme risultava superata da secoli rispetto al sistema molto
più pratico della scrittura alfabetica; tuttavia, quanto a possibilità
di sopravvivenza, le tavolette di argilla superano di gran lunga i
rotoli di pergamena o di papiro e le tavolette lignee, vale a dire i
materiali impiegati per la scrittura alfabetica: su questi .supporti,
dall'Eufrate fino all'Anatolia e alla Palestina, quasi nulla si è con-
servato. Tanto più importante è il fatto che il nome di Gilgamesh
appaia ancora in un libro in lingua aramaica proveniente da Qum-
ran25:è probabile che siano esistite rielaborazioni in lingua ara-
maica di testi letterari cuneiformi. Ma, a parte le tavolette cunei-
formi, nulla ci è trasmesso. Resta uno iato che non può essere col-
mato completamente.

Per certi aspetti, l'epica greca è una fioritura del tutto autono-
ma. Il sistema formulare che Milman Parry ha scoperto e di cui ha
spiegato la funzione indispensabile all'interno della tradizione
orale, è legato alla lingua greca. Da questo punto di vista Omero è
diventato un esempio classico di tradizione orale 26. L'epica orien-
tale, viceversa, almeno in Mesopotamia, è basata su una tradizio-

24
Burkert, 1992, pp. 25-33; R. Woodard, Greek Writing/rom Knossos to Homer,
Oxford 1997. L'iscrizione greca(?) più antica finora nota proviene da Gabii: A.M. Bietti
Sestieri, LA necropolilazialedi Osteriadell'Osa, Roma 1992, pp. 209-212.
2' Burkert, 1992, pp. 32 s. e n. 32.
26 The Making o/ Homeric Verse. The CollectedPaperso/ Mi/man Parry,a cura di A.

Parry, Oxford 1971. Per i problemi omerici, si veda Zweihundert Jahre Homer-For-
schung,a cura diJ. Latacz, Stuttgart 1991 (Colloquium Rauricum 2).

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TRATII ORIENTALIZZANTI IN OMERO

ne consolidata di scrittura e di scuole di scribi che copre un arco


di più di duemila anni. Nell'ambito di questa tradizione, le tavo-
lette vengono copiate e ricopiate in continuazione, e talvolta an-
che tradotte all'interno del sistema cuneiforme. Ci si dovrebbe
dunque aspettare di incontrare principi stilistici assai differenti in
Oriente e in Occidente. Se tuttavia si ha cura di considerare en-
trambi i versanti, si resta colpiti piuttosto dalle somiglianze. Dia-
mo dunque un resoconto rapido di queste somiglianze nell'ambi-
to dello stile epico 27 • Le più importanti sono state segnalate molto
tempo fa; già Cecil Maurice Bowra, nel suo HeroicPoetry (1952),
fa ampio riferimento al Gilgamesh.
In entrambi i casi, «epica» significa poesia narrativa che,
quanto alla forma, impiega un verso lungo che si ripete indefinita-
mente senza divisione strofica. Quanto al contenuto, il racconto
riguarda dèi e grandi uomini del passato, che spesso interagisco-
no tra di loro. Principali caratteristiche stilistiche sono gli epiteti
fissi, i versi formulari, la ripetizione dei versi, le scene tipiche.
Gli epiteti sono sempre apparsi come una caratteristica pecu-
liare dello stile omerico. «Zeus adunatore di nembi», «Odisseo
costante», «Odisseo ricco d'astuzie» ci sono familiari. Ma anche
nell'epica accadica e ugaritica i personaggi principali hanno i loro
epiteti caratteristici 28 • Il dio più importante, Enlil, appare spesso
come «Enlil l'eroe», l'eroe del diluvio è «Utnapishtim il lontano»,
i malvagi Sette dell'epopea di Erra sono «i campioni senza pari».
Analogamente, l'epica ugaritica presenta formule fisse come «la
vergine Anat» o «Danel il Refaita». Si avvicina ancor di più al-
l'uso omerico qualificare un combattente come «riconoscibile in
battaglia». Risulta meno chiaro perché la «Signora degli dèi» sia
«abile nel grido», ma era poco chiaro persino ai Greci stessi per-
ché tanto Calipso quanto Circe fossero «dee terribili dalla parola
umana», òELVTl0Eòç aÙòTJEO'O'a. Sia quel che sia, non si può fare
poesia epica senza epiteti: la Terra è la «vasta terra» e un dio del
cielo può essere chiamato «padre degli dèi e degli uomini». Gli

27 Cfr. Burkert, 1992, pp. 114-120; West, 1997, pp. 164-275.


28
Burkert, 1992, pp. 115 s.; West, 1997, pp. 220 s.

9
DA OMERO AI MAGI

epiteti sono decorativi nella misura in cui non sono essenziali per
il contesto immediato dato dalla situazione e non sono modellati
in funzione di essa. Ma essi sono, tra l'altro, estremamente utili
per riempire il verso o fare un emistichio.
Tra i versi formulari ciò che maggiormente colpisce è la com-
plessa introduzione del discorso diretto. L'ampio uso del discor-
so diretto e la rappresentazione di intere scene in forma di dialo-
go sono in effetti una peculiarità del genere. In accadico la formu-
la introduttiva, tradotta letteralmente, è: «aprì la bocca e parlò,
a... disse (la parola)» 29. Il semplice significato di «parlare» è
espresso con tre sinonimi - proprio come la ben nota formula
omerica «parlò, disse parole fugaci», q>WVT)<Jaç ErtEa rt'tEQOEvta
rtQOO'T]uba-. È forse ancora più notevole che nel Gilgameshi
personaggi, riflettendo su una nuova situazione, «parlino al pro-
. prio cuore»: «consultandosi con il proprio cuore parlò, si consi-
gliò con se stessa» - cui segue il discorso diretto 30 • In modo simile
gli eroi omerici parlano al loro «animoso 0uµoç» o al loro «cuo-
re». Durante i viaggi di Gilgamesh il nuovo giorno è sempre in-
trodotto con la stessa formula: «non appena il chiarore dell'alba
risplendette» 31 , che ricorda il famoso verso omerico «e quando fi-
glia di luce brillò l'Aurora dita di rosa ...». È naturale che una nar-
razione proceda giorno per giorno, ma l'impiego di formule ste-
reotipe per l'alba e il tramonto, il riposo e l'azione, è una tecnica
specifica impiegata tanto nel Gilgameshquanto in Omero.
Tra le ripetizioni che coprono un'intera sequenza di versi, una
caratteristica che colpisce è l'esatta corrispondenza tra comando
ed esecuzione, tra discorso e ripetizione del discorso. Gli scribi
mesopotamici, stanchi di scrivere, usavano occasionalmente un
segno di ripetizione che gli scribi omerici non si permettevano.
Tra le scene tipiche l'assemblea degli dèi ha un posto d'ono-
re32.In accadico esiste un'espressione fissa (pu~hur ilani);l' espres-
sione è la stessa in ugaritico; una scena corrispondente è elabora-
29 Burkert, 1992, p. 116; West, 1997, pp. 196-198.
30 Gilgameshx 1, 11 s.; Burkert, 1992, p. 116.
31 Burkert, 1992, p. 116; West, 1997, p. 175.
32 Burkert, 1992, p. 117; West, 1997, pp. 177-180.

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TRATII ORIENTALIZZANTI IN OMERO

ta per esteso nell'Ullikummi ittita. L'assemblea degli dèi non è as-


sente neppure nell'Antico Testamento33 • Che nell'assemblea degli
dèi si decida spesso di inviare un messaggero è naturale, ma vale
la pena notarlo.
Il paragone costituisce un artificio tecnico ampiamente diffu-
so nell'epica accadica e nella poesia affine; un posto di rilievo
hanno i leoni: non è necessario fornire qui i dettagli 34 • Ciò che
sembra più degno di nota è che nel Gilgamesh,il testo più ampio
e di tono più elevato, vengono sperimentate tecniche narrative
più complesse come accade, in particolare, nell'Odissea.Nell'un-
dicesima tavoletta del Gilgamesh,la storia del grande diluvio -
una parte remota ma particolarmente avvincente del racconto -
viene incorporata attraverso il discorso diretto del protagonista
principale, Utnapishtim «il lontano», che come Odisseo racconta
le sue affascinanti avventure. La duplice azione all'inizio del Gil-
gamesh,destinata a fare incontrare Enkidu e Gilgamesh, è espo-
sta in modo tale che la narrazione segue dapprima le avventure di
Enkidu e la sua trasformazione in essere civilizzato, e in seguito
racconta i preparativi di Gilgamesh all'incontro attraverso il di-
scorso diretto che la prostituta rivolge a Enkidu". Così, anche la
tecnica narrativa del poeta dell'Odisseanon è del tutto isolata:
l'Odisseaincorpora la maggior parte dei viaggi di Odisseo in un
discorso in prima persona rivolto ai Feaci, e crea un doppio intrec-
cio per fare incontrare Odisseo e Telemaco. Anche la somiglianza
tra l'esordio del Gilgameshe quello dell'Odisseaha colpito molti
lettori: si richiama l'attenzione sull'eroe che vagò a lungo e vide
molte cose, mentre il suo nome è intenzionalmente taciuto 36 •
Quasi prefigurando l'Iliade, è presente nel Gilgameshanche
un certo ethos della «caducità» degli esseri umani. Il tema princi-
pale del poema è, secondo le sue parole, il «destino dell'umani-
tà», shimiituawiliitim,vale a dire la morte in contrasto con la vita
degli dèi, che solo Utnapishtim riesce a conquistare. Prima del
33
Giobbe 1, 6; Salmi 82, 1; 89, 8.
34 Burkert, 1992, p. 117; West, 1997, pp. 218 s.
" GilgameshI 5, 23 - 6, 24, soltanto nella versione posteriore, ninivita.
36
Burkert, 1992, p. 117; West, 1997, pp. 403 s.

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DA OMERO AI MAGI

suo combattimento con Humbaba, Gilgamesh trae l'eroica con-


clusione: «gli dèi siedono eternamente accanto a Shamash, il dio
sole; ma per gli uomini i giorni sono contati. .. ma tu, qui, temi la
morte? ... io andrò avanti per primo ... se dovessi cadere, lascerò ai
posteri il mio nome» 37 • Proprio perché all'uomo è negata l'eterni-
tà, dunque, tutto ciò che gli resta è di ottenere la fama rischiando
la vita, fama che sopravvive alla morte; «gloria imperitura»,
KÀÉoçèi<j>0t-rov, in contrasto con gli «uomini mortali»: questi so-
no i concetti esposti in greco nell'Iliade. «O amico, se noi ora,
fuggendo a questa battaglia, dovessimo vivere sempre senza vec-
chiezza né morte, io certo allora non lotterei fra i campioni; ... ma
di continuo ci stanno intorno Chere di morte innumerevoli ... an-
diamo: o noi daremo gloria a qualcuno, o a noi quello». Così
Omero 38 • Questa comprensione dei limiti della condizione uma-
na, tuttavia, non induce a un comportamento timoroso di fronte
agli dèi. Ben lungi da tutto ciò, possono verificarsi manifestazioni
di aggressività. Enkidu scaglia la coscia del toro celeste contro
Ishtar e grida: «Se ti prendessi, ecco cosa ti farei!». «Mi vendiche-
rei certo di te, se ne avessi la forza!», grida Achille ad Apollo che
lo ha ingannato 39 •
Si potrebbero fare raffronti più serrati a proposito delle scene
di battaglia. Solo alcune indicazioni: una vera aristeia del re Ram-
ses II è sviluppata nel poema egiziano incentrato sulla battaglia di
Qadesh: l'eroe si trova isolato in mezzo ai nemici, prega il dio suo
padre, il dio gli presta subito ascolto, l'eroe riprende l'attacco e
uccide di slancio tutti i nemici 40 •
Un testo comparabile si trova incorporato negli Annali di
Sennacherib; si riferisce alla battaglia di Halule del 691 a.C. Vie-
ne descritto in dettaglio come il re indossi l'armatura, salga sul
carro e con l'aiuto del dio cominci ad abbattere i nemici. Queste
le parole finali: «i miei destrieri impennanti, legati per la mia cor-
sa, si immergevano in correnti di sangue come in un fiume; le
37
Gilgamesh111 6, 141-148; Burkert, 1992, pp. 117 s.
38
Iliade xn 322-328.
39 GilgameshVI 162-163; Iliade XXII 20; Burkert, 1992, p. 118.
40 Lichtheim, 1980, voi. 11, pp. 57-72.

12
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

ruote del mio carro, che abbatte il male e l'ingiustizia, erano lorde
e insanguinate» - si notino gli epiteti ornanti -; si noti anche che
il re assiro, proprio come l'egiziano Ramses, viene rappresentato
mentre combatte sul suo carro di battaglia, un'invenzione dell'età
del bronzo. A tornarci in mente è, inevitabilmente, l'Iliade:«così
sotto Achille magnanimo i cavalli unghie solide calpestavano in-
sieme cadaveri e scudi: l'asse di sangue era tutto insozzato e le
ringhiere del carro, che colpivano schizzi da sotto gli zoccoli dei
cavalli e dai cerchioni. ..»41 • Considerando la datazione del testo
assiro, si potrebbe persino pensare che qualche cantore greco sia
arrivato in Siria insieme ai mercenari e abbia composto questo
canto, il quale piacque tanto al re da essere incorporato negli an-
nali ufficiali, dove contrasta stranamente con i normali elenchi
aridi e tediosi di campagne e saccheggi. Ma lo stile di combatti-
mento eroico era comune nelle civiltà vicine che apprezzavano
tutte il carro da battaglia. Non si dovrebbe dimenticare nemmeno
il «Canto di Deborah e Barak» della Bibbia:esso contiene, tra i
tanti racconti avvincenti, anche una «battaglia sul fiume» degna
di nota 42 •
Alcune ulteriori corrispondenze più specifiche tra Oriente e
Occidente, per quanto impressionanti, sono rimaste un mistero.
È il caso del «discorso dell'albero e della pietra», che appare a
Ugarit, in Geremia, in Omero e in Esiodo. L'espressione sembra
da ricollegare, nell'Antico Testamento e nell'Odissea,a un mito
relativo all'origine dell'uomo dalla pietra o dall'albero, mentre il
suo riferimento appare meno perspicuo a Ugarit, come anche nel-
l'Iliade e in Esiodo. Presenta nondimeno analogie persino nelle
espressioni proverbiali 43 •
Sorprende meno che l'idea della prosperità di una terra sotto
il dominio di un buon re, attestata in Mesopotamia, appaia anche
in Omero ed Esiodo: la terra produce le messi, gli alberi danno i
frutti, gli animali prosperano e «il popolo prospera sotto di lui»;
41 Luckenbill, 1927, voi. n, parr. 252-254; Iliade xx 498-501; Burkert, 1992, pp.
118 s.; West, 1997, pp. 375 s.
42 Giudici5, 1-34; Burkert, 1992, p. 119.
43
Cfr. Burkert, 1992, p. 119.

13
DA OMERO Al MAGI

si confronti quanto dice di se stesso Assurbanipal nel proprio rac-


conto: «da quando gli dèi. .. benignamente mi fecero sedere sul
trono di mio padre, il mio genitore Adad liberò i suoi torrenti di
pioggia, Ea aprì le sue sorgenti, le spighe crebbero fino a cinque
braccia di altezza... i prodotti furono rigogliosi nei campi ... gli al-
beri fecero crescere abbondanti i loro frutti, il bestiame generò
con successo. Durante il mio regno ci fu abbondanza, durante i
miei anni i beni sovrabbondarono» 44 •

La scoperta di motivi e tracce stilistiche comuni potrebbe as-


somigliare all'uso di etimologie «ad assonanza»: sono interessanti,
sorprendenti, suggestive, ma raramente probanti. Gli stessi moti-
vi e temi si possono trovare più o meno dappertutto in contesti
comparabili. Sopravvengono tuttavia in questo caso strutture più
complesse, per le quali è più difficile che si verifichi una pura
coincidenza: un'idea cosmologica fondamentale, un sistema di di-
vinità, un'intera scena nell'arrangiamento di caratteri e motivi,
una catastrofe dell'umanità secondo i decreti degli dèi. Sembra
che Omero sia prossimo alla traduzione dall'accadico. Ma una
volta stabiliti .anche in un singolo caso il legame storico e l'effetti-
va trasmissione, l'argine è rotto e ulteriori connessioni, compresi i
prestiti linguistici, divengono più attendibili, anche se, da soli,
questi non sono sufficienti a sostenere l'onere della prova.
Ci sono alcuni passi nell'Iliade, che appartengono tutti allo
scenario divino, nei quali sono sorprendentemente strette le cor-
rispondenze con passi fondamentali dei più importanti poemi
epici accadici, l'Atrahasise il Gilgamesh.Per iniziare, ripetiamo
l'osservazione già fatta dal Gladstone, riguardante la sezione del-
1'Iliade che gli antichi designavano come «Inganno a Zeus», ~LÒç
à1tai:11.Le sue peculiarità sono state spesso oggetto di commento
negli studi omerici; Albrecht Dihle ne ha elencato le particolarità
linguistiche e tratto la conclusione che questa sezione dell'Iliade

44 Odissea XIX 107-114; Esiodo, Opere 225-247; M. Streck, Assurbanipal und die
letzten assyrischen Konige bis zum Untergang Niniveh's, Leipzig 1916, voi. II, pp. 6 s.;
Burkert, 1992, p. 119.

14
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

non poteva più appartenere alla fase della tradizione orale, ma era
stata composta per iscritto 45 • Sia come sia, ci troviamo di fronte a
un testo linguisticamente isolato e insolito per il suo contenuto. Il
testo deve avere una preistoria particolare; è, in un certo senso,
piuttosto «moderno».
Una peculiarità del contenuto che fu notata già da Platone, e
fu forse, prima di lui, notata e utilizzata dai Presocratici 46 : è l'uni-
co passo in tutto il corpus omerico in cui, del tutto inaspettata-
mente, affiora un tema cosmogonico. La dea Era, che trama per
ingannare Zeus, dice di voler andare da Oceano, «principio degli
dei», 0e&v yévecnç, e da Tethys, la «madre»; Oceano è chiama-
to anche «origine di tutti», yévecnç '1:ClV"tECJCJL, poco dopo. Era
spiega che Oceano e Tethys, la coppia primordiale, si sono aste-
nuti dai loro diritti coniugali per lungo tempo, separazione che
è risultato di «contesa», ve(1eea47 • La yéveaLç degli dèi si è con-
clusa. Suona davvero come un'anticipazione della cosmogonia
del Ne'L1eoçdi Empedocle. Senza dubbio, all'interno della nar-
razione dell'Ilùide,questa storia è un'invenzione di Era, nient'al-
tro che un'evidente menzogna; ma i motivi utilizzati non sono in-
ventati, e si irraggiano oltre quei discorsi. Proprio la climax di
questo canto omerico - l'unione di Zeus ed Era sulla cima del
monte Ida in una nuvola d'oro, da cui piovono gocce lucenti -
mostra le divinità in una dimensione naturalistica, cosmica, che
normalmente sembra assente dall'antropomorfismo omerico. La
suddivisione del cosmo in tre parti nel discorso di Poseidone po-
co oltre, dopo il risveglio di Zeus 48 , è il terzo motivo che coinvol-
ge gli dèi all'interno del problema dell'origine e della funzione del
cosmo.
Aristotele, seguendo Platone, trovò in questa cosmogonia
omerica dell'Oceano il vero e proprio inizio della filosofia natura-
le, possibile fonte di ispirazione anche per Talete, che egli consi-

4
' A. Dihle, Homer-Probleme, Opladen 1970, pp. 83-92.
46
Burkert, 1992, p. 91 con n. 10; West, 1997, pp. 147 s.
41 IliadeXIV 201 = 302; 246.
48
Si veda n. 66.

15
DA OMERO AI MAGI

dera il primo filosofo 49 • La ricerca moderna ha richiamato l'atten-


zione sugli antecedenti della cosmologia di Talete, che pone l' ac-
qua come principio, tra gli Egiziani, i Fenici e, non da ultimo, nel
poema babilonese della creazione, l'Eniima elish' 0 • Questo testo
inizia così: «Quando sopra» il cielo non esisteva ancora e neppu-
re, di sotto, la terra, c'era Apsiì, l'oceano di acqua dolce, «il pri-
mo, il padre», e con lui Tiamat, il mare d'acqua salata, «colei che
partorì tutti loro». Essi «mescolavano le loro acque». Tutto ciò
ebbe fine quando Ea fece addormentare Apsiì e lo uccise, e Tia-
mat fu sconfitta da Marduk in un drammatico combattimento.
Marduk stabilì allora il cosmo nel suo stato attuale.
Le invenzioni occasionali di Era corrispondono dunque stret-
tamente all'inizio dell'Eniima elish. Apsiì e Tiamat equivalgono a
Oceano e Tethys come coppia genitrice originaria. Tethys tutta-
via non è assolutamente una figura attiva nella mitologia greca. In
contrasto con la divinità marina Teti, Sé·nç - con la quale fu tal-
volta confusa nella stessa antichità-, essa non godeva di culti uffi-
ciali, e nessuno era in grado di dire molto di più su di lei. Essa
sembra esistere solo in virtù del passo omerico; come abbia rag-
giunto la posizione prestigiosa di «madre» di tutti resta un miste-
ro. E ora entrano finalmente in gioco le «assonanze dei nomi». Ti-
amat è la forma scritta normale nel testo dell'Eniima elish per in-
dicare la madre che «generò tutti loro». La parola accadica che si
nasconde dietro a questo nome è comunque tiamtu o tamtu, il
termine corrente per «mare». Il nome può essere scritto secon-
do questa ortografia, più vicina alla pronuncia; ma nell' Eniima
elish troviamo anche la forma ortografica taw(a)tu. Se si parte da
Tawtu, Tri0uç rappresenta una trascrizione esatta' 1 • La differen-
te resa delle dentali, t e th, può disturbare il purista, ma Sofilo
scrisse 0E0ì~:5 2 che, nella normale ortografia greca, sareb-
be stato reso con Tri0uç. In effetti, l'Eniima elish fu conosciu-
to da Eudemo, l'allievo di Aristotele, in traduzione; qui troviamo
49 Aristotele, Metafisica983 b 27.
,o Holscher, 1968; Eniima elish 1 1-5.
1
' Burkert, 1992, p. 93. Si veda tuttavia West, 1997, p. 147 n. 20.
'2 G. Bakir, Sophilos,Mainz 1981, p. 64 fig. 3; SEG xxxv, 1985, 37.

16
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Tiamat trascritto come Tau0É 53 , che è ancora più vicino alla for-
ma ricostruita Tawtu. Il fatto che la vocale lunga a si modifichi in
e nel dialetto ionico anche in parole prese in prestito trova paral-
leli in Kubaba che diviene Ku(3~f3TI, Baal che diviene Bi)À.oçe i
Mada noti come M11boL.La tesi che proprio nel cuore dell'Iliade
si trovi l'influsso di un testo classico accadico può essere seguita
fin nella resa del nome mitico.
È importante notare che in questo caso non può trattarsi di un
prestito avvenuto nel corso dell'età del bronzo. Abbiamo piuttosto
a che fare, per usare le parole di Martin West, con un elemento
«neo-orientale». Quattrocento anni di trasmissione orale in Grecia
avrebbero prodotto distorsioni più forti attraverso il processo di as-
similazione; e non è affatto chiaro se all'Eniimaelishpossa essere as-
segnata una datazione così antica 54 • Ciò procede di pari passo con
le osservazioni di Albrecht Dihle, sull'altro versante, a proposito del
carattere «giovane» di questa sezione omerica.
Una volta stabilita la presenza di un backgroundorientalizzan-
te per l'«Inganno a Zeus», ne conseguono ulteriori considerazio-
ni. Afrodite ha per vari aspetti tratti semitici", ma il «cinto vario-
pinto», KE<noç, che essa presta a Era come incanto d'amore
sembra particolarmente orientale 56 • Il catalogo delle donne prece-
dentemente amate da Zeus - considerato non autentico dai com-
mentatori antichi - trova una controparte nell'elenco degli aman-
ti di Ishtar recitato da Gilgamesh 57 • Il famoso giuramento degli
dèi che Era deve pronunciare, e che termina con la formula «per
l'acqua di Stige» è di fatto un giuramento cosmico: veng_onochia-
mati a testimoni il cielo, la terra e le acque degli inferi. E precisa-
mente una formula cosmica di questo tipo che conclude l' enume-
razione dei testimoni divini nel testo dell'unico trattato aramaico

H Eudemo, fr. 150 Wehrli = Damascio, Problemi e soluzioni sui primi principi 1, 1,
p. 322 Ruelle.
4
' Cfr. Dalley, 1989, pp. 229 s.
" Cfr. C. Bonnet, Astarté. Dossier documentaire et perspectives historiques, Roma
1996.
6
' Burkert, 1992, p. 202 n. 18.
7
' Gilgamesh VI 53-57; Iliade XIV 315-328.

17
DA OMERO AI MAGI

dell'VIn secolo soprawissuto: «Cielo e terra, abisso e fonti, gior-


no e notte»' 8 •
Se Zeus, il dio del tempo atmosferico, si unisce alla moglie
sulla cima della montagna annuvolata, si deve notare che il dio
del tempo atmosferico sui draghi della tempesta insieme alla mo-
glie che si toglie il velo costituisce un motivo frequentemente raf-
figurato sui sigilli orientali, e il matrimonio di cielo e terra rappre-
senta un tema mitico esplicitamente sviluppato nella letteratura
accadica' 9 •
I Titani costituiscono un problema più specifico. Dei cinque
passi omerici che menzionano queste divinità più antiche, tenute
prigioniere nel mondo infero, tre appartengono al contesto del-
1'«Inganno a Zeus»; anche gli altri due si trovano all'interno di
scene divine, trattandosi di dichiarazioni di Zeus, il padre degli
dèi 60 • A partire dalla scoperta del Kumarbi è stato riconosciuto
che la concezione di antiche divinità decadute riconnette la mito-
logia greca agli Ittiti, ai Fenici e ai Babilonesi. Ma i dettagli, al-
l'interno di questa documentazione, risultano meno chiari, in
ambito tanto greco quanto orientale. Nella tradizione greca la
concezione dei Titani come gruppo collettivo non si concilia fa-
cilmente con la figura assai particolare di Crono; sull'altro ver-
sante troviamo manifestamente, oltre a Kumarbi ittita-hurrita, al-
tri «dèi antichi», sempre menzionati collettivamente al plurale; il
dio del tempo atmosferico, corrispondente a Zeus, li confinò ne-
gli inferi 61 • Le corrispondenti divinità in Mesopotamia sono gli
«dèi incatenati» o «sconfitti», iliini kamuti. Anche costoro sono
stati banditi sotto terra dal dio o dagli dèi vittoriosi. Nell' Enii-
ma elish essi sono stati i sostenitori di Tiamat; in altri testi essi
sono i malvagi Sette che sono stati incatenati dal dio del cielo.
Si noti che nella tradizione orfica i Titani, figli del Cielo e della

58 Iliade xv 36-38; Odisseav 184-186; Burkert, 1992, pp. 93 s. e 1996, p. 171. Si ve-
da l'iscrizione da Sfire in ANET, p. 659.
59 Burkert, 1992, p. 94.
60 Ibid.; Iliade XIV 274,279; xv 225; v 848; VIII 478 s.
61
Burkert, 1992, p. 94. Si veda anche F. Solmsen, The two Near EasternSourceso/
Hesiod, in «Hermes», 117, 1989, pp. 413-422.

18
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Terra ma «incatenati» nel mondo infero, sono precisamente sette


di numero 62 •
I malvagi Sette appartengono soprattutto al mondo dell' esor-
cismo e della magia profilattica. Ciò conduce a un'altra possibile
connessione: nella magia profilattica sono spesso fabbricate figu-
rine, con intenti talvolta amichevoli, ma per lo più ostili, che ven-
gono poi distrutte. Il materiale più comune è l'argilla, in accadico
{i{u. Questa parola giunse tra i Greci come 'tL1:avoç,gesso63 • Gli
autori greci posteriori hanno chiamato in causa precisamente
questo termine per dare un'etimologia al nome dei Titani: quan-
do i Titani attaccarono Dioniso bambino, si dipinsero il viso con
il gesso, di qui il loro nome. All'interno del sistema linguistico
greco, tuttavia, questa etimologia non può sussistere, per il fatto
che lo iota di Tt'téivEç/Tt'tftvEçè lungo, mentre quello di 'tt'tavoç
è breve. La parola semitica che sta alla fonte tuttavia ha una i lun-
ga, cosicché con l'ipotesi di un prestito linguistico l'antica etimo-
logia diviene nuovamente plausibile. In più, sarebbe possibile
una connessione rituale: i Titani portano il nome di popolo {i{u
perché i Magi orientali erano soliti fabbricare figurine di argilla -
{alme {i{ in accadico - per rappresentare gli «dèi sconfitti», utiliz-
zati nella magia profilattica o come testimoni nei giuramenti.
Mancano tuttavia materiali specifici per una verifica di questa au-
dace ipotesi: altre possibilità restano aperte.
Il rapporto della ~LÒç à1ta.'tri con la letteratura accadica di-
viene più stretto grazie al testo di un poema epico accadico pub-
blicato solo nel 1969 - fino a quel momento, questo poema era
noto solo per pochi frammenti, non particolarmente significati-
vi64-: la storia di Atrahasis, «superiore per saggezza» - un nome
parlante in accadico-, o piuttosto una «Storia dell'umanità». La
prima versione in tre libri è datata ai tempi di Ammisaduqa, po-
che generazioni dopo Hammurabi, nel XVII secolo a.C. Diversi
62
OF 114; Burkert, 1992, p. 94. Cfr. ibid., pp. 105-114 su una possibile connessio-
ne dei malvagi Sette con l'epos dei Sette contro Tebe.
63
Burkert, 1992, pp. 38 e 95.
64 ANET, pp. 99 s. Per il testo dell'Atrahasissi vedano le edizioni Lambert-Millard,
1969 e Dalley, 1989, pp. 1-38.

19
DA OMERO AI MAGI

esemplari antico-babilonesi sono soprawissuti in forma fram-


mentaria; la biblioteca di Assurbanipal ne conteneva inoltre altre
versioni, in forme leggermente variate. Un frammento di un'altra
redazione è stato trovato a Ugarit. Abbiamo pertanto a che fare
con un testo che è stato in circolazione e ha goduto di larga fortu-
na per oltre un millennio, un testo di concezione sorprendente-
mente originale.
Incomincia, come dice il verso iniziale, con la paradossale situa-
zione primordiale «quando gli dèi erano nella condizione degli uo-
mini», e ancora non esistevano esseri umani. Gli dèi dovevano svol-
gere quindi tutti i lavori da soli; ciò condusse alla ribellione degli dèi
più giovani e inferiori contro i più vecchi, in particolare contro
Enlil, il dio dominatore. Fortunatamente Enki, il dio astuto, venne
in aiuto degli dèi minacciati, e insieme alla dea madre creò dei ro-
bot, gli.uomini, affinché agissero per conto loro: saranno loro a do-
vere sopportare il peso del lavoro. Ma ben presto, «dopo 600 (e?)
600 anni», queste creature, troppo numerose, divennero un peso
per la terra e una noia per gli dèi, che cercarono di distruggerle. Fe-
cero tre tentativi, a intervalli, secondo uno schema stereotipo, di
1200 anni, pare, provocando dapprima un'epidemia, poi una care-
stia e infine il grande diluvio. L'astuto dio degli abissi, Enki - insie-
me ad Atrahasis, l'uomo «superiore per saggezza»- tuttavia, vani-
ficò questi tentativi. Mise gli dèi gli uni contro gli altri, e fece infi-
ne costruire ad Atrahasis l'arca. La sezione finale del testo, come
ora si può vedere, costituisce una versione più antica parallela alla
celebre tavoletta XI dell'epopea di Gilgamesh,la ben nota storia del
diluvio, che ha a sua volta influenzato la storia di Noè nel primo li-
bro di Mosè. Il testo dell'Atrahasi:S, tuttavia, ben lungi dall'essere un
esempio di religiosità vetero-testamentaria, è improntato a un otti-
mismo singolarmente umano, se non lievemente cinico: che sia a fa-
vore o contro gli dèi, questa umanità, nel mezzo del duro lavoro e
dei tormenti che deve affrontare, è indistruttibile. «Come è potuto
l'uomo soprawivere alla distruzione?», si chiede costernato alla fi-
ne il grande dio Enlil 65 - e non c'è dubbio che sia soprawissuto-.

65 Atrahasis III 6, 10, p. 34 Dalley.

20
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

All'inizio del testo dell'Atrahasisviene introdotto il pantheon


babilonese in una forma sistematica: «Anu, loro padre, era il re; lo-
ro consigliere era il guerriero Enlil; loro ministro era Ninurta; loro
ispettore era Ennugi». Questi versi sono stati copiati nel Gilgamesh,
ma non i seguenti: «afferrarono per il collo l'urna del sorteggio, get-
tarono le sorti; gli dèi compirono la spartizione: Anu salì in cie-
lo». Un secondo dio - c'è qui una lacuna nel testo- «prese la terra,
per i suoi sudditi»; e «i cardini e la barra del mare furono dati a
Enki dalla lunga vista». Nella lacuna era sicuramente nominato
Enlil, il più attivo degli dèi: abbiamo così la consueta triade di Anu,
Enlil ed Enki, il dio del cielo, il dio del tempo atmosferico, il dio
dell'acqua. Il testo dell'Atrahaszsritorna ripetutamente sulla divisio-
ne del cosmo nelle tre parti assegnate ai vari dèi, in particolare
quando Enlil tenta di bloccare il mondo degli uomini inviando una
carestia. Una versione differente, la tavoletta x, presenta Anu e
Adad - dio del cielo e dio del tempo atmosferico - per il cielo, Sin
e Nergal- dio della luna e dio dell'oltretomba - per la terra: il mon-
do sotterraneo è incluso nel concetto di «terra» 66 • Il regno di Enki,
Signore delle Profondità, è fissato non nelle acque salate del mare,
ma in quelle potabili, sia sotterranee che sorgive - elementi che co-
stituiscono anche il dominio proprio di Poseidone in Grecia-.
Nell'Iliadesi trovano quei versi famosi e spesso citati nei quali
il mondo viene diviso in tre parti tra le competenti divinità omeri-
che. A parlare è Poseidone: «quando tirammo le sorti, Ade ebbe
l'ombra nebbiosa, e Zeus si prese il cielo fra le nuvole e l'etere;
comuni a tutti la terra e l'alto Olimpo rimane» 67 •
Lo schema differisce da quello dell'Atrahasisin quanto viene
dichiarato che la terra, separata dall'ambito sotterraneo, costitui-
sce un dominio comune, insieme alla montagna degli dèi: Posei-
done sta insistendo sul suo diritto di assumere un ruolo attivo
nella piana di Troia. Ma la struttura di base dei due testi resta sor-
prendentemente simile. Ci sono tre distinte zone del cosmo: il

66
Atrahasis I 7-17; 11 5, 16-19 e 30-33, pp. 80-83; tavola x, pp. 116-119 Lambert·
Millard.
67 Iliade xv 190-193; Burkert, 1992, pp. 89 s.; West, 1997, pp. 109-111.

21
DA OMERO AI MAGI

cielo, le profondità della terra e le acque, e queste tre zone sono


assegnate alle tre divinità supreme del pantheon - tutte maschili
-. E in entrambi i casi si afferma che la divisione ha avuto luogo
per mezzo di un sorteggio. Questa non è la pratica normale tra gli
dèi greci: secondo Esiodo, Zeus detronizzò il proprio predecesso-
re - che era anche suo padre - con la forza, e dopo la vittoria gli
altri dèi gli chiesero di diventare loro re 68 • Questo passo, se osser-
vato più da vicino, è unico nel mito greco anche da un altro punto
di vista: in altri passi dell'epica antica, quando vengono enumera-
te le parti del cosmo, si ha o la triade cielo-terra-oltretomba, o
quella cielo-mare-terra, o anche una combinazione di quattro ele-
menti, cielo-terra-mare-oltretomba, ma non cielo-mare-oltretom-
ba, assegnati ai tre fratelli. Inoltre, la triade dei figli di Crono e i
loro regni non svolgono alcun altro ruolo in Omero, né essa af-
fonda le sue radici in qualche culto greco. Viceversa, il passo cor-
rispondente dell'Atrahasisè fondamentale per lo sviluppo narra-
tivo dell'epopea e ad esso viene costantemente fatto riferimento.
Difficilmente si può trovare in Omero un altro passo tanto
prossimo alla traduzione di un poema epico accadico. Di fatto,
non si tratta di una traduzione pura, ma di una rielaborazione,
nella quale però si intrawede ancora la struttura estranea. Tanto
più è significativo che il passo si trovi, all'interno della struttura
complessiva dell'Iliade,in quel contesto molto particolare che è la
L\wç àrta'tri.
Una volta toccato l'Atrahasis,non possiamo fare a meno di os-
servare un'altra connessione che si spinge oltre l'Iliade.Il concet-
to fondamentale del poema epico antico-babilonese, l'Atrahasis,è
moderno in maniera quasi inquietante: gli esseri umani si molti-
plicano, la terra si sente oppressa dalla loro massa, la soluzione
può essere solo una catastrofe che annienti l'umanità. Ma l'uomo
sopravvive ai tentativi di distruzione e così, alla fine, viene trovato
l'unico metodo efficace, il controllo delle nascite. L'unico mezzo
suggerito, tuttavia, l'istituzione di sacerdotesse cui non è permes-
so di concepire figli, appare a mala pena soddisfacente.
68 Esiodo, Teogonia 883-885.

22
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Le sofferenze della terra sono espresse in versi che si ripetono


al principio di ogni nuova fase dell'epopea: «non erano ancora
passati milleduecento anni, quando la terra si estese e i popoli si
moltiplicarono. La terra mugghiava come un toro. Gli dèi erano
disturbati da questo rumore. Enlil udì il loro tumulto e si rivolse
ai grandi dèi: "il rumore degli uomini è diventato troppo intenso
per me, io sono privato del sonno dal loro tumulto ... "»69 • A ciò
segue la preparazione delle catastrofi: l'epidemia, la carestia, il di-
luvio.
Tutto ciò non può che richiamare alla memoria un passo del-
l'epica greca, un testo estremamente importante, che costituiva
l'inizio del Ciclo troiano, e che racconta le cause ultime della
guerra troiana. Si tratta dell'apertura dei Canti Ciprii,un poema
epico ben noto ancora in epoca classica, ma successivamente ca-
duto nell'oblio e andato perduto; già Erodoto dubitava che Ome-
ro ne fosse l'autore, cosa che invece Pindaro accettava ancora. I
versi iniziali sono conservati in un frammento, anche se in forma
corrotta; vengono citati per spiegare la «decisione di Zeus» men-
zionata proprio all'inizio dell'Iliade;cominciano nello stile di una
fiaba 7°:

Vi era un tempo, quando innumerevoli popoli si muovevano sulla


faccia della terra ...
(lacuna:opprimevano?) la superficie della terra dall'ampio petto.
Zeus se ne avvide e fu preso da pietà, e nel profondo del suo cuore
decise di alleviare la terra, che tutti nutre, dall'umanità,
suscitando il grande conflitto della guerra troiana.

Negli stessi scoli si trova anche un racconto in prosa 71 :

La terra, oppressa dalla moltitudine degli uomini, poiché non c'era


alcuna pietà negli uomini, pregò Zeus di alleggerirla dal peso. Zeus dap-
prima suscitò la guerra tebana, grazie alla quale ne annientò molti, ma

69
AtrahasisI 352-359 = 11 1-8.
7
° Canti Ciprii,EpicorumGraecorumFragmentafr. 1 Davies = fr. 1 Bernabé.
71 Scoli all'IliadeI 5; Davies pp. 34-36; Bernabé pp. 43 s. adp.

23
DA OMERO AI MAGI

poi si servì dd consiglio di Momos, circostanza che Omero chiama la


«decisione di Zeus», poiché avrebbe potuto distruggerli tutti con fulmi-
ni o diluvi, ma Momos lo impedì, e gli suggerì piuttosto due misure:
unire Teti in matrimonio a un uomo, e generare una figlia bella.

Nascono così Achille ed Elena, e con essi il seme della guerra


troiana.
I due testi non possono essere posti in rapporto immediato.
Nei versi citati, Zeus reagisce direttamente alle condizioni della
terra, «vedendo» e provando pietà per le sue condizioni; nel rac-
conto in prosa, la Terra stessa non è un muto oggetto di pietà, ma
un interlocutore. Nel riassunto dei Canti Ciprii in Proclo, Zeus
discute successivamente le misure da prendere con Temi 72 • Nella
versione alternativa è presentata una singolare discussione con
Momos. Si tratta chiaramente di due versioni concorrenti. Una
terza emerge dalla parte conclusiva del Catalogoesiodeo 73 • Qui
Zeus prende da solo la propria decisione, che gli altri «non com-
prendevano ancora perfettamente». La sua mira è mettere fine al-
la confusione tra sfera umana e divina, e in questo modo conclu-
dere l'età degli eroi. «Cercava di distruggere la maggior parte del-
l'umanità» attraverso la catastrofe della guerra. Certamente il te-
sto del Catalogoin questa sezione è tanto lacunoso da non risulta-
re del tutto comprensibile; quel che è chiaro, tuttavia, è che la ca-
tastrofe è legata ad Elena. Secondo le Opere di Esiodo (163-5),
furono sia la guerra tebana sia quella troiana a segnare la fine del-
1'età degli eroi.
Abbiamo pertanto di fronte a noi varianti dell'idea fondamen-
tale di una catastrofe dell'umanità determinata da una decisione del
dio dominatore. Sia i Canti Cipriisia il Catalogo,anche se non pre-
cisamente databili, devono appartenere al periodo arcaico, mentre
difficilmente si può fissare un'epoca per la fonte dello scolio all'Ilia-
de. Tuttavia, è proprio questa versione a presentare una particola-
re affinità con il testo dell'Atrahasis.Progetti di varie catastrofi, an-

72 Frocio, Davies p. 31; Bernabé p. 38.


n Fr. 204, 95 ss. Merkelbach-West; West, 1997, pp. 480-482.

24
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

che se non attuati, vengono qui considerati in maniera sistematica:


è il diluvio ad apparire la misura più radicale. Ciò che sembra stra-
no è il ruolo di Momos, personificazione del «biasimo»; egli appa-
re qui solo in qualità di consigliere di Zeus - un dispendioso espe-
diente poetico volto solo a respingere un paio di suggerimenti -.
Oppure il suo ruolo è «biasimare» l'umanità? Ancora più curioso
è il fatto che all'inizio dell' Enuma elish,Apsiì, «il primo, il padre»,
afflitto dal rumore degli dèi più giovani, che lo privano del sonno,
progetta di ucciderli tutti e, nel far questo, ha al suo fianco un con-
sigliere, Mummu, «che dà consiglio ad Apsiì». Momos e Mummu
sono la stessa cosa 74? In tal caso, il testo greco presenterebbe una
contaminazione di motivi provenienti dall'Atrahasise dall' Enuma
elish, come sembra accadere anche nel contesto dell'«Inganno a
Zeus». Tutto ciò non consente tuttavia di dare una collocazione si-
cura di questo testo all'interno della cornice della letteratura greca.
Nel caso di Tifone-Tifeo, per fare un altro esempio, è un testo in
prosa conservato nella Bibliotecadi Apollodoro a fornire il paralle-
lo più impressionante con il mito ittita di Illuyankas, il drago: è pos-
sibile che provenga da una fonte ellenistica n.
Per quel che riguarda i Canti Ciprii,l'Atrahasismostra in ogni
caso che il motivo dell'oppressione della terra a causa della massa
degli uomini e il piano del dio supremo, del dio del tempo atmosfe-
rico, di distruggere l'umanità in conseguenza di ciò, sono estrema-
mente antichi. Questo fatto dissuade dal ritrovare nell'inizio dei
Canti Ciprii semplicemente una qualche «invenzione post-
omerica»76.Inoltre, un riferimento all'Oriente viene anche dal ver-
sante greco: il singolare titolo CantiCipriipuò essere inteso solo co-
me riferimento all'isola di Cipro, per quanto si possa essere scetti-
ci a proposito della notizia tarda che fa di Stasino di Cipro l'autore
del poema. Che il contenuto fondamentale dei Canti Cipriifosse
noto intorno al 650 a.C. è provato dall'olpe Chigi che rappresenta

74
Burkcrt, 1992, p. 103.
n Apollodoro 1 6, 3.
76
W. Kullmann, Ein vorhomerischcsMotiv im Iliaspro6mium,in «Philologus», 99,
1955, pp. 167-192 avevainsistito sul carattere pre-omerico del motivo, senza conoscere
l'Atrahasis.

25
DA OMERO AI MAGI

il famoso «giudizio di Paride» 77 , anche a prescindere dal discusso


riferimento a questa storia nel ventiquattresimo libro dell'Iliade78 •
Ci troviamo ricondotti a un'epoca in cui Cipro, anche se ricca e po-
tente, si trovava formalmente sotto il dominio assiro. L'atmosfera
della Cipro di quest'epoca sembra essere un misto di lusso orienta-
le e di stile di vita «omerico». I funerali sono sontuosi come quello
di Patroclo; nelle tombe si trovano raffinati arredi orientali; davan-
ti all'ingresso venivano sacrificati e interrati cavalli insieme ai carri;
è stata persino ritrovata una «spada con borchie d'argento», secon-
do la formula omerica 79 • Tutto ciò non spiega perché fu proprio il
tema «omerico» della guerra troiana a colpire l'immaginazione dei
Ciprioti, fino a condurre alla produzione di un epos Canti Ciprii;
ma è un dato di fatto, evidenziato dal titolo corrente. In ogni caso,
non meno chiare delle connessioni di Cipro con Omero in que-
st'epoca sono quelle con la Siria e la Mesopotamia; stele commemo-
rative dei re assiri furono erette nelle città di Cipro 80 •

Per ritornare all'Iliade,senza dubbio l' «apparato degli dèi»


che accompagna la sequenza degli eventi ivi narrati è un elemento
caratteristico di questo poema. Ma i paralleli orientali riguardano
proprio le scene che coinvolgono gli dèi. È vero che il duplice
scenario per le azioni degli dèi e degli uomini, usato così magi-
stralmente dal compositore dell'Iliade,non compare in forma al-
trettanto sistematica nell'epica mesopotamica. Tuttavia, l'Atraha-
sis e il Gilgameshpresentano ripetutamente gli dèi in interazione
con le imprese e le sofferenze degli uomini, come anche i re, nei
loro combattimenti, vengono fatti vincere a contatto diretto con
gli dèi loro protettori. Un elemento standard nell'epica mesopo-
tamica81,ittita e ugaritica è l'assemblea degli dèi, che si trova per-

77
LIMC s.v. Alexandros nr. 5 = s.v. Aphrodite nr. 1423 = s.v. Athena nr. 405.
78
Iliade XXIV 29.
79 V. Karageorghis, Salamis. Recent Discoveriesin Cyprus, New York 1969, p. 70
tav. 25.
80 Si veda n. 23.
81
Nel Gilgamesh,l'assemblea degli dèi che decidono sulla morte di Enkidu è pre-
servata finora solo in ittita.

26
TRAITI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

sino nella Bibbia82 • Si può sottolineare la differenza che l' assem-


blea divina orientale è piuttosto una sorta di senato, mentre Ome-
ro presenta piuttosto una famiglia, non priva delle catastrofi nor-
mali delle famiglie, la rissa dei parenti e i bambini picchiati. Col-
pisce però la somiglianza.
Nel Gilgameshc'è un famoso incontro tra la divinità e l'uomo:
dopo che Gilgamesh ha ucciso Humbaba e si è ripulito dalla
sporcizia della battaglia, Ishtar «alzò gli occhi e vide la bellezza di
Gilgamesh». «Concedimi la tua abbondanza!» dice, e gli offre be-
ni favolosi. Ma Gilgamesh la respinge sprezzante, recitando il ca-
talogo degli uomini che lei aveva un tempo «amato» per poi di-
struggerli o trasformarli. «Se tu mi amassi, [mi tratteresti] come
gli altri». Allora,

Ishtar, udito ciò,


cadde in preda a un'ira amara; salì nell'alto dei cieli;
davanti ad Anu andò, a suo padre;
davanti ad Antu sua madre, [le sue lacrime scorrevano]:
«Padre mio! Gilgamesh mi ha coperta di insulti!
Gilgamesh ha raccontato il mio comportamento abominevole,
le mie azioni immonde e abominevoli».
Anu aprì la bocca e parlò,
disse alla gloriosa Ishtar:
«Certo tu hai provocato [il re di Uruk],
e così Gilgamesh ha raccontato il tuo comportamento abominevole,
le tue azioni immonde e abominevoli» 83 •

Si confronti tutto ciò con una scena dell'Iliade:Afrodite è sta-


ta ferita da Diomede mentre cercava di proteggere il figlio Enea;
il suo sangue scorre. «E lei se ne andò sbigottita, sentiva terribile
strazio». Con l'aiuto di Iris e Ares raggiunge l'Olimpo, «ma ella
cadde ai ginocchi di sua madre, Dione; e questa strinse la figlia
sua, l'accarezzò con la mano, le disse parola, parlò così: "Chi t'ha
fatto questo, creatura mia, fra i Celesti?"». Afrodite risponde: «Il

82
Supra,nn. 32-33.
83 GilgameshVI 1-91.

27
DA OMERO AI MAGI

figlio di Tideo mi colpì, il violento Diomede». La madre la con-


forta con esempi mitici, mentre sua sorella Atena, meno gentile,
fa un commento sprezzante; ma il padre, Zeus, sorride: «e chiamò
la dorata Afrodite, e le disse: "Creatura mia, non a te furono date
le cose di guerra, ma tu seguita l'opera amabile delle nozze ... "».
Detto in altre parole: «è in parte anche colpa tua» 84 •
Le due scene sono parallele per struttura, forma narrativa ed
ethos in misura sorprendente. Una dea, ingiuriata da un mortale,
sale in cielo per lamentarsi con il padre e la madre, e si guadagna
un mite rimprovero da parte del padre. Si potrebbe naturalmente
parlare di una situazione universale che appartiene al mondo in-
fantile. Ma le corrispondenze sono troppo strette. La scena infatti
si ripete con alcune varianti durante la battaglia degli dèi, più ol-
tre nell'Iliade:Artemide, colpita da Era, siede piangendo sulle gi-
nocchia del padre Zeus. Egli la stringe a sé e le chiede ridendo:
«Chi ti ha fatto questo, creatura mia?». Ed essa risponde: «la spo-
sa tua mi ha colpito» 85 • La scena del canto dedicato alle gesta di
Diomede è più semplice, nella misura in cui entrambi i genitori si
offrono come rifugio, mentre Era, la matrigna, è inesistente, e il
padre assume un atteggiamento di superiorità lievemente distan-
ziata, giustamente come nel Gilgamesh.
Ma c'è di più: i personaggi coinvolti nelle due scene sono, di fat-
to, identici: il dio del cielo, sua moglie, e la loro figlia, la dea del-
1'amore. Afrodite rappresenta, in senso generale, l'equivalente di
Ishtar; essa si è offerta a un mortale, Anchise, padre di Enea, e que-
sti ha dovuto subire uno strano destino come conseguenza del suo
contatto con la dea 86 -un altro esempio di ciò che viene rimprove-
rato a Ishtar da Gilgamesh -. È possibile che il nome stesso di Afro-
dite sia una forma greca del semitico occidentale Ashtorith,e Astar-
te a sua volta equivale ad Ishtar 87 • E in virtù di un parallelismo an-

84
Iliadev 330-431; Burkert, 1992, pp. 96-98; West, 1997, pp. 361 s.
85 Iliade XXI 505-513.
86 RE, voi. I, p. 2107; RML, voi. I, p. 338.
87 L'identità si è mantenuta nel nome del pianeta Venere: Venus = Aphrodite =

Ishtar. Si vedano Bonnet, Astarté, cit., e V. Pirenne-Delforge, L'Aphrodite grecque, Liège


1994.

28
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

cora più specifico, in questo passo Afrodite ha una madre, Dione,


che apparentemente vive sull'Olimpo come moglie di Zeus; per un
momento Era sembra dimenticata. Dione compare sull'Olimpo, so-
lamente qui, nel contesto della scena di Diomede e in nessun altro
passo 88 • Il contrasto con il racconto esiodeo della nascita di Afrodi-
te dal mare, dopo la castrazione di Urano, ha creato sconcerto fin
dall'antichità. Una Dione è presente nel culto a Dodona; è anche at-
testata una dea micenea Diwija. In ogni caso, alla madre di Afrodi-
te viene dato qui un nome che in greco risulta di una trasparenza
cristallina, non essendo altro che la forma femminile di Zeus. Que-
sto fatto rappresenta un caso unico nella famiglia degli dèi omeri-
ci, dove le coppie normali possiedono complessi nomi personali. È
proprio questo dettaglio, tuttavia, a trovare corrispondenza nel te-
sto accadico: Antu, madre di Ishtar, è la forma femminile di Anu,
«cielo». Questa coppia divina, il Signor Cielo e la Signora Cielo, è
saldamente attestata nel culto e nella mitologia mesopotamica. Una
dipendenza di Omero dal Gilgamesh appare persino a livello lingui-
stico, quando, rielaborando un'awincente scena divina, forma il
nome Dione come un calco diAntu. Si può considerare tutto ciò co-
me una controparte del rapporto Tethys/Tawtu, anche se più a li-
vello di struttura narrativa e di personaggi divini che di mitologia
cosmica.
Non bisogna tuttavia, di fronte a queste affinità, perdere di
vista le differenze. L'incontro di Ishtar e Gilgamesh è saldamente
ancorato alla struttura del Gilgamesh: esso costituisce il legame
narrativo tra l'episodio di Humbaba e la successiva impresa del-
l'eroe, la vittoria contro il toro del cielo. La gloriosa Ishtar, per
vendicarsi, scatena il toro del cielo, fornendo a Gilgamesh ed
Enkidu l'opportunità di sconfiggerlo e istituire in questo modo il
sacrificio. Lo sfondo rituale risulta chiaro fin nel dettaglio. Il ri-
fiuto di Ishtar da parte di Gilgamesh corrisponde al tabù dei cac-
ciatori: è l'astensione sessuale ad assicurare una caccia coronata
dal successo. Il rifiuto amoroso provoca l'apparizione del toro.
Anche le trasformazioni degli amanti di Ishtar riportate nel cata-
88
Burkert, 1992, p. 98 con n. 8.

29
DA OMERO AI MAGI

logo recitato da Gilgamesh hanno un significato mitico in una


funzione speciale: si tratta di miti di fon dazione culturale; fu in
questo modo che il cavallo venne addomesticato 89 • In Omero è
rimasta la struttura di una scena di genere, tanto più accurata-
mente tratteggiata, in quanto è, nel suo complesso, priva di fun-
zione. Ha il suo fascino e i suoi pregi estetici all'interno della cor-
nice dell'Iliadema, se confrontata con l'epica accadica, non ha lo
stesso peso né in funzione dello svolgimento della narrazione né
in rapporto allo sfondo rituale. Si può paragonare il modo in cui
alcuni demoni accadici sono stati trasformati in fantastici mostri,
più divertenti che spaventosi: Lamashtu trasformato nella Gor-
gone9().

Anche nell'Odisseasi può individuare un parallelo notevole


con il Gilgamesh.Il poema descrive, in un punto, una scena di
preghiera che ha creato imbarazzo tra gli storici delle religioni:
quando Penelope apprende del viaggio rischioso intrapreso da
Telemaco e del complotto dei pretendenti per ucciderlo, scoppia
dapprima in lacrime e in lamenti; poi, riacquistata la calma, si lava
e indossa vesti pulite, sale al piano superiore della casa insieme al-
le sue ancelle, mette dei chicchi d'orzo in un canestro, prega Ate-
na perché Telemaco ritorni incolume, terminando con un grido
inarticolato (ÒÀoÀuy~)91 • Sia il canestro con i chicchi d'orzo che il
grido fanno propriamente parte del sacrificio cruento; il loro uso
in questa scena non trova paralleli in altri passi. Gli studiosi par-
lano o di un «sacrificio abbreviato», o di un' «offerta non cruen-
ta» altrimenti sconosciuta, o di un'invenzione del poeta, se non di
incompetenza del «redattore». Ma si guardi il Gilgamesh:quando
Gilgamesh sta per lasciare la città insieme a Enkidu per combat-
tere Humbaba, sua madre «Ninsun entrò nella sua stanza, prese ...
(un'erba speciale), indossò una veste che si addicesse al suo cor-
po, indossò gioielli per abbellire il suo petto ... versò da una coppa

89
GilgameshVI 53-57.
90
Burkert, 1992, pp. 82-87.
91 OdisseaIV 759-767.

30
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

acqua sulla terra e sulla polvere. Salì le scale, andò al piano supe-
riore, salì sul tetto, offrì incenso a Shamash, il dio Sole, portò l' of-
ferta e levò le braccia a Shamash». Essa prega in questo modo,
triste e addolorata, perché il figlio ritorni incolume 92 • La situazio-
ne, una madre che prega per il figlio che deve affrontare dei peri-
coli, non è inusuale. Tuttavia, la scena dell'Odissea costituisce
quasi una traduzione del Gilgameshche rende comprensibili le
sue particolarità. La scena dell'Odissea è in effetti più vicina al te-
sto del Gilgameshdi quanto non lo sia la scena della preghiera di
Achille nell'Iliade, che ad essa potrebbe essere paragonata 93 • Se
questo rituale costituisce nell'Odissea qualcosa di singolare, hel
passo del Gilgameshnon troviamo nulla di strano: bruciare incen-
so sul tetto della casa è una ben nota pratica semitica, particolar-
mente appropriata quando ci si rivolge al dio Sole. Non conoscia-
mo altri casi in Grecia di preghiera rituale al piano superiore della
casa, destinato alle donne. Si ha l'impressione che il poeta, sapen-
do che bruciare incenso era fuori luogo nel mondo eroico, vi ab-
bia sostituto i normali mezzi femminili del sacrificio, vale a dire le
(i chicchi d'orzo) e la ÒÀ.oÀuyiJ(il grido). Un rituale
o'ÙÀ.O'.)(U'taL
religioso, usato come efficace motivo all'interno della narrazione
epica, trova antecedenti nella tradizione orientale.

Si deve menzionare un ulteriore possibile riflesso dell'Atraha-


sis nell'Iliade:uno degli episodi più drammatici, proprio all'inizio
del poema babilonese, è l'attacco degli dèi inferiori contro Enlil,
il loro capo. Stanchi di compiere il faticoso lavoro di erigere argi-
ni, essi bruciano i loro strumenti e si riuniscono, di notte, di fron-
te alla «casa» - il tempio - di Enlil, per dare vita a una rivolta.
Enlil, comprensibilmente preoccupato, si affretta a inviare un
messaggero ad Anu in cielo e ad Enki nelle profondità delle ac-
que. Entrambi rispondono alla sua chiamata e danno i loro consi-
gli: il risultato è la creazione dei robot umani. 94 Nel primo libro

92
Gilgamesh1112, 1-2; Burkert, 1992, pp. 99 s.
93
Iliade XVI 220-252.
94 Atrahasis 127-102. Cfr. n. 65.

31
DA OMERO AI MAGI

dell'Iliade,Teti racconta una storia che non compare più altrove:


come «gli altri dèi dell'Olimpo volessero incatenare Zeus», ma
non viene fornita alcuna motivazione per la rivolta di palazzo. In
questa circostanza Teti agì come messaggera e fece uscire dalle
profondità del mare il potente Briareo-Egeone, che sedette al
fianco di Zeus e con il suo aspetto feroce tenne in rispetto gli altri
dèi 95 • La corrispondenza con l'Atrahasis non è particolarmente
puntuale: non mancano altri casi di storie di dispute nel regno de-
gli dèi. Se tuttavia i rapporti fra epos orientale e greco risultano
altrimenti fondati, siamo autorizzati a prendere in considerazione
il modello orientale anche in questo caso. Ancora una volta tro-
viamo un elemento che nell'Atrahasisera stato parte integrante
della storia principale, ma nell'Iliadeviene utilizzato come motivo
occasionale, un'improvvisazione isolata, senza antecedenti e con-
seguenze. È caratteristico che anche questo appaia in un racconto
sugli dèi.
Ulteriori linee di connessione conducono dall'astuto Atraha-
sis al mito di Prometeo 96 • Ma si tratta di corrispondenze meno
specifiche, se osservate sullo sfondo della figura assai comune del
trickster.

È qui necessario un quadro d'insieme in prospettiva cronolo-


gica. La documentazione orientale offre un materiale che presen-
ta un rapporto così stretto con la poesia epica greca, che non do-
vrebbe essere trascurato nell'interpretazione omerica. Questa
considerazione deve porre dei limiti alle valutazioni relative a una
tradizione eroica puramente indoeuropea o strettamente mice-
nea. Gli influssi più evidenti sono nelle scene del pantheon divi-
no. È certo che si devono tenere presenti contatti molteplici, sia
sul piano delle relazioni umane, sia sul piano degli sviluppi stori-
co-sociali. Ma considerando il fatto che abbiamo a che fare con
sfere di civiltà comunque connesse tra loro, da un punto di vista
9' Iliade 1 396-406; Burkert, 1992, pp. 104-106; West, 1997, p. 52.
96
J. Duchemin, Prométhée. Histoire du mythe de ses originesorienta/esà ses incar-
nations modernes,Paris 1974; S. West, PrometheusOrientalized,in «MH», 51, 1994, pp.
129-149.

32
TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

tanto geografico quanto cronologico, insistere sull'idea di svilup-


pi del tutto autonomi e di coincidenze puramente casuali signifi-
cherebbe aggirare il problema.
All'interno di Omero, a livello stilistico, possiamo difficilmen-
te stabilire un ordine cronologico e individuare gli elementi «più
recenti» e aggiuntivi, contrapposti alla più antica tradizione epi-
ca. Tuttavia se troviamo le concezioni orientali inserite nel conte-
sto dell' «Inganno a Zeus» o all'inizio dei Canti Ciprii,niente rac-
comanda una datazione alta. Per lo stile delle scene di battaglia,
d'altra parte, possiamo risalire fino all'età del bronzo, coi carri di
battaglia e col racconto di Ramses n. Si deve tenere presente che
ciò che di fatto era eredità dell'età del bronzo poteva anche essere
rivitalizzato successivamente da nuovi stimoli. È probabilmente
indicativo che oltre all'antica parola greca normale per «leone»,
ÀÉwv(di origine straniera), sia stata adottata in alcune similitudi-
ni omeriche un'altra parola di ascendenza chiaramente semitico-
palestinese, ì.i.ç97 • Il periodo «orientalizzante» dell'VIn-vu secolo
non è trascurabile. È da notare che anche le rappresentazioni
di divinità nella pittura vascolare cominciano circa nel 700 a.C. e
sono motivate da modelli orientali.
La creazione della prima «biblioteca» greca - la trascrizione
dell'Iliadesu 24 (?) rotoli di pergamena- e quella della grande bi-
blioteca di Assurbanipal, che regnò a Ninive dal 668 al 627, po-
trebbero avere avuto luogo più o meno nello stesso periodo. An-
che questi fatti potrebbero non essere una coincidenza casuale.
Fino a quell'epoca l'Oriente semitico aveva ancora la funzione di
guida dal punto di vista culturale.
Un'osservazione ulteriore deve far riflettere: entrambi i passi
che trovano un'eco così notevole nell'«lnganno a Zeus» -Apsiì e
Tiamat che mescolano le loro acque, e le tre divinità che si sparti-
scono l'universo per mezzo di un sorteggio - si trovano nella se-
zione iniziale dell'Enuma elish e dell'Atrahasis,testi mitologici
particolarmente noti e utilizzati con frequenza, usati specialmente

97 Burkert, 1992, p. 39 con n. 30.

33
DA OMERO Al MAGI

nell'insegnamento scolastico98 • Nella scuola elementare e secon-


daria, la sezione iniziale di un testo acquista una particolare rile-
vanza. Molti si ricorderanno, dai loro giorni di scuola, di .,AvòQU
µot EVVEJtE o di arma virumque cano, ma non molto di più di
Omero e Virgilio. Un Greco desideroso di imparare scrittura e
letteratura potrebbe essersi confrontato precisamente con queste
sezioni iniziali dei «classici» della letteratura orientale, diretta-
mente o, probabilmente, indirettamente, attraverso traduzioni
aramaiche - anche se poi il suo studio non fosse andato molto al
di là -. Una tradizione scolastica, anche se a un livello elementare,
è implicita nell'importazione dell'alfabeto in Grecia 99 •
Si devono considerare diversi canali di trasmissione: rituale,
iconografico, letterario; questi canali non si escludono affatto l'un
l'altro, ma possono essersi vicendevolmente sovrapposti e raffor-
zati in vario modo. Si deve concludere, ad ogni modo, che l'Iliade
di Omero, almeno in uno stadio probabilmente «tardo», porta i
segni di un impatto orientalizzante.
Martin West ha scritto: «le affinità con la poesia del Vicino
Oriente ... richiamano a gran voce l'attenzione degli omeristi» 100 , e
recentemente ha prodotto un vero thesaurus di rapporti fra lette-
ratura orientale e poesia greca 101• Sarebbe veramente strano se gli
studiosi dell'antichità classica continuassero a ignorare i paralleli
più prossimi e gli antecedenti della poesia greca che sta loro tanto
a cuore.

98 E. Reiner, Die Akkadische Literatur, in AltorientalischeLiteraturen, a cura di W.


Rollig, Wiesbaden 1978, p. 157.
99 Burkert, 1992, pp. 28-30.
100 «JHS», 108, 1988, p. 169: «Affinities with Near Eastern poetry ... now clamour

for attention from Homerists ...».


101
West, 1997.

34
2.

COSMOGONIE GRECHE.E ORIENTALI:


TEMI COMUNI E SCELTE CONTRASTANTI

La tesi o il sospetto che la filosofia greca non fosse un'inven-


zione originale dei Greci, ma fosse stata modellata su prototipi
orientali più antichi, non è moderna: essa risale direttamente al-
1'opera Sullafilosofia (fleQÌ </)tloao</)iaç) di Aristotele e ai suoi
allievi, che trattarono della bdrbarosphilosophfa;essi presero in
considerazione, naturalmente, gli Egiziani, i Caldei, i µa.yoL(ma-
gi) iranici compreso Zarathustra, i guru indiani e anche gli Ebrei 1 •
Damascio, l'ultimo capo dell'Accademia neoplatonica di Atene,
nel suo libro sui principi primi presenta delle interpretazioni del-
le cosmogonie dei Babilonesi e dei Fenici, attingendo al libro di
Eudemo, il celebre allievo di Aristotele, che conteneva, tra le altre
informazioni, anche un'accurata parafrasi dei primi versi del-
l'Eniima elish babilonese e notizie sui Fenici2. In quell'epoca Cri-
stiani ed Ebrei avevano da lungo tempo fatta propria la tesi relati-
va alla bdrbarosphilosophfa:essi insistevano sul fatto che Mosè
fosse vissuto molti secoli prima di Platone 3 • Affermarono pertan-
to che Platone aveva ripreso da Israele tutti gli elementi fonda-
mentali della sua filosofia: «che altro è Platone, se non un Mosè

1 Aristotele, fle(}Ì </JtÀouoq>Ùlçfr. 6 Rose; fr. 35 = Diogene Laerzio, 1 1 = Sozione,


fr. 36 Wehrli.
2 Damascio, Problemi e soluzioni sui primi principi 123-125, I, pp. 316-324 Ruelle,

che cita fr. 150 Wehrli. Cfr. cap. 1 n. 53.


} Taziano, 31; Clemente Alessandrino, Stroma/a I 101 ss. e v 89 ss.

35
DA OMERO AI MAGI

che parla in attico?» scrisse Numenio 4 • Del tutto priva d'impor-


tanza, in queste antiche discussioni, è la direzione geografica dei
prestiti culturali: nessuna traccia di un conflitto tra est e ovest, o
tra nord e sud.
Gli studi di storia della filosofia sviluppatisi nel corso del XIX
secolo hanno riproposto la questione, con esiti diversi. La visione
che si è imposta è quella avanzata da Eduard Zeller nel suo ma-
gnifico lavoro sullo sviluppo storico della filosofia greca. Nell'in-
troduzione, pubblicata per la prima volta nel 1856, egli presenta
un esame critico delle precedenti opinioni relative ai precursori
della filosofia greca - Cinesi, Indiani e altri -, terminando con un
giudizio negativo'. La posizione e le argomentazioni di Zeller so-
no state spesso riproposte, fino alla metà di questo secolo. In base
ad esse potremmo accettare l'idea che l'origine della filosofia gre-
ca sia del tutto autonoma e genuinamente greca.
Di conseguenza, è passato spesso inosservato il cambiamento
radicale che si è verificato dopo il saggio di Zeller: il ritrovamento
di nuovi testi letterari orientali, dapprima egiziani e mesopotami-
ci, in seguito ittiti e ugaritici. Fino ad allora, dell'antichità pregre-
ca non si conosceva molto di più dell'Antico Testamento, e i filo-
logi potevano dimostrare con facilità che questo non era stato co-
nosciuto dai Greci prima dell'età ellenistica. Ma i nuovi testi del-
l'antico Oriente hanno rinnovato la questione. In ogni caso, al-
l'inizio della nostra letteratura non si pongono più i libri di Mosè
e i canti di Omero, ma piuttosto i testi delle piramidi e i miti su-
merici. Il problema dèl contesto in cui si sviluppò la filosofia gre-
ca tra il VI e il IV secolo a.C. parte oggi da presupposti del tutto
diversi. Come s'è detto nel capitolo relativo a Omero 6 , solo l'out-
sider Gladstone, nel 1890, fece un parallelo tra Apsu e Tiamat
nell'Enuma elish, e Oceano e Tethys nell'Iliade. Solo nel 1941
Francis MacDonald Cornford, in una conferenza a Cambridge,

4 Numenio, fr. 8 Des Places. Cfr. Aristobulo ap. Clemente Aless., StromataI 150, 1.
' E. Zeller, Die Philosophieder Griechenin ihrer geschichtlichenEntwicklung7 , vol.
I, Berlin 1923, pp. 21-52, ripreso in E. Zeller - R. Mondolfo, La filosofia dei Greci3,vol. I,
1, Firenze 1959, pp. 35-63, con nota addizionale di Mondolfo pp. 63-99.
6 Cfr. cap. I n. 9.

36
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

presentò un prudente confronto tra Esiodo e l'Eniima elish. Il te-


sto fu pubblicato nel 19507 • In quel periodo erano apparsi i primi
testi ittiti, che aiutarono a superare la barriera nei confronti del
mondo «semitico». Sulla scia dell'ittita, anche l'ugaritico fu preso
in considerazione con interesse. Uvo Holscher ha delineato le
nuove prospettive con il suo affascinante scritto su Anassimandro
e l'inizio della filosofia8 ; Hans Schwabl, nell'articolo Welt-
schopfung («Creazione del mondo») per la Pauly-Wissowa, ha
proseguito su questa strada; i commenti di Martin West a Esiodo
sono densi di riflessioni e informazioni valide, per non dimentica-
re il libro, sobrio ed istruttivo, di W alcot 9 •
Il dischiudersi di nuovi orizzonti coincise con un cambiamen-
to del concetto di filosofia: l'ontologia razionale sulle orme di Ari-
stotele e della Scolastica perse di interesse tra i moderni. Aristote-
le e persino Platone poterono essere visti come gli antesignani di
errori basilari in relazione all'origine e al fondamento della filoso-
fia. Ci fu un vivo interesse per i Presocratici, specialmente Eracli-
to e Parmenide, da Karl Reinhardt attraverso Heidegger fino a
Gadamer 10, che si combinava con un intenso interesse per il mito.
Si prenda in considerazione il titolo del libro di Olof Gigon del
1945, Der Ursprungder griechischenPhilosophievon Hesiod bis
Parmenides(L'origine della filosofia grecada Esiodo a Parmeni-
de)11: Esiodo è annoverato fra i filosofi delle «origini», che sem-
brano terminare con Parmenide. Nello stesso anno, comunque,
erano stati pubblicati i testi ittiti relativi a Kumarbi 12 - che non
piacevano affatto a Olof Gigon -. Essi, tuttavia, esistevano.
La situazione è tornata tranquilla nei decenni successivi, ma
una nuova, virulenta discussione è iniziata in tempi recenti; negli

7 Cornford, 1950.
8
Holscher, 1968.
9
Schwabl, 1962; West, 1966; Walcot, 1966.
10
K. Reinhardt, Parmenidesund die Geschichteder griechischenPhilosophie,Bonn
1916; M. Heiclegger, Der Spruch des Anaximandros,Holzwege, Frankfurt 1950, pp. 296-
343; Um die Begri/fsweltder Vorsokrattker,a cura di H.G. Gadamer, Darmstadt 1968.
11
O. Gigon, Der Ursprungder griechischenPhilosophievon Hesiod bis Parmenides,
Base! 1945.
12
Cfr. cap. In. 15; infra, n. 63.

37
DA OMERO AI MAGI

Stati Uniti, Atena nera di Martin Bernal ha provocato un certo


sommovimento, segno della crescente insicurezza del nostro
mondo bianco occidentale 13 • Bernal accusa l'Occidente, e special-
mente la tradizione tedesca, di ignorare, per un pregiudizio raz-
ziale, il sud-est semitico, e rintraccia le origini della maggior parte
delle conquiste culturali nell'Egitto dell'età del bronzo. Le riper-
cussioni sulle presunte radici greche della nostra civiltà sono
drammatiche. Vengono scagliati attacchi contro i «morti uomini
bianchi», dei quali i Greci sono i più vecchi e più di tutti dovreb-
bero essere morti. Siamo ancora debitori ai Greci di un decisivo
progresso, e in che senso? «Filosofia» e «scienza» sembrano tro-
varsi al centro di una possibile risposta in senso affermativo; ma
cosa significa esattamente «filosofia»?
Per quanto riguarda la storia della filosofia, trovo che ci siano
due fatti incontrovertibili: in primo luogo, la filosofia fino ai gior-
ni nostri è definita dalla tradizione diretta e dal confronto diretto
con i testi greci, che da quasi 2500 anni vengono studiati; in se-
condo luogo, le prime civiltà letterate progredite non sorsero in
Europa, ma nella mezzaluna fertile che parte dall'Iraq per giunge-
re, attraverso Siria e Palestina, fino all'Egitto, includendo Iran e
Anatolia; questi popoli non necessariamente furono meno avan-
zati dei Greci dal punto di vista intellettuale.
La filosofia è fondata sulle opere di Platone e Aristotele, che
furono studiate attraverso l'antichità, trasmesse a Persiani e Arabi
in traduzione, attraverso i quali raggiunsero l'Europa medievale,
per essere poi seguite dagli originali greci. Questi testi, in varie
edizioni e traduzioni, fanno tuttora parte di qualsiasi biblioteca fi-
losofica. Whitehead, l'autore dei Principia mathematica insieme a
Bertrand Russell, notava che la filosofia non consisteva in altro
che in «qualche commento a Platone» 14 • Platone, dal canto suo,
non costituì un inizio nuovo in senso assoluto: lesse e criticò
Eraclito, Parmenide, Anassagora, Empedocle, Protagora e gli altri

13 Bernal, 1987. Anche se le tesi di Bernal fossero giustificate, gli Egiziani non sa-
rebbero «neri».
14 A.N. Whitehead, Processand Reality, New York 1941, p. 63.

38
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

sofisti - oggi noi parliamo di Presocratici, ma dovremmo piuttosto


dire Preplatonici -; Aristotele, a sua volta, lesse e criticò Platone e
tutto il resto. Da allora la filosofia è stata un dialogo critico con i te-
sti fondamentali; nessuno è stato in grado di reinventare la filosofia,
poiché essa esisteva già. Anche se la filosofia non ha un'identità ri-
gorosamente definita, la domanda specifica «cos'è la filosofia» è in-
dissolubilmente legata ai suoi fondamenti greci.
E questo è l'altro aspetto: non esiste alcuna tradizione parago-
nabile di libri, testi, traduzioni, che risalga oltre Anassimandro,
Eraclito, Parmenide. Per quanto possiamo vedere, non esistono
affatto traduzioni dirette prima dell'età ellenistica. Non c'è nep-
pure un libro d'età classica che possa essere definito una tradu-
zione da una lingua orientale - laddove la letteratura latina iniziò
con traduzioni dal greco-. Senza dubbio la scrittura greca come
tale, insieme al rotolo e alla tavoletta scrittoria, giunse in Grecia
dalla Siria nell'VIn secolo 15, ma i primi libri greci che possiamo
annoverare sono di poesia: Omero, Esiodo, forse gli oracoli; e la
poesia è legata più di ogni altra cosa alla lingua nella quale è nata.
Solo quando, nella seconda metà del VI secolo, la civiltà greca eb-
be raggiunto il suo particolare livello e cominciò ad essere accet-
tata come modello in tutto il mondo mediterraneo, apparvero
quei libri che noi consideriamo l'inizio della filosofia greca: Anas-
simandro, Senofane, Eraclito.
In Oriente esisteva già una letteratura altamente sviluppata,
che può essere studiata nei dettagli. È facile vedere che ciò che
noi consideriamo la prima filosofia greca deve molto alle tradizio-
ni precedenti in un duplice senso: il mito cosmogonico, o «storie
di creazioni», come potremmo anche chiamarle, e la letteratura
sapienziale. Entrambi questi generi appaiono, non casualmente,
nelle due opere di Esiodo: la Teogonia con il Catalogo,e le Opere.
Queste due opere sembrano prossime alla data in cui i Greci
adottarono per la prima volta il sistema di scrittura alfabetico.
Inoltre, una massa crescente di nozioni matematiche e astronomi-
che sembra accumularsi nella Grecia arcaica parallelamente alla

15
Cap. I n. 24.

39
DA OMERO AI MAGI

cosiddetta scienza babilonese. Si prenda il cosiddetto teorema di


Pitagora, o il sistema planetario 16 • I Greci non partirono dal nulla.

Prima di addentrarsi nei dettagli, conviene prendere in consi-


derazione il problema del contesto e dei mezzi di diffusione della
filosofia, compreso il problema del rapporto tra oralità e scrittu-
ra. Come si è già detto, da 2400 anni la filosofia esiste nella forma
di libro filosofico. Platone criticava la scrittura, ma egli stesso fu il
primo prolifico scrittore di prosa che ebbe un singolare successo.
I testi di filosofia sono sempre venuti e tuttora vengono alla luce
in circoli di discussione, in «scuole filosofiche». Platone diede
l'esempio con la sua Accademia; istituzioni simili esistettero, con
alterna fortuna, fino alla fine dell'antichità e furono resuscitate
nelle università e nelle accademie d'Europa. Siamo molto meno
informati sulla situazione precedente a Platone. Ci viene detto
che il libro di Anassimandro fu il primo libro in prosa mai pub-
blicato17- in quale contesto-? Ci viene detto che Eraclito dedicò
il suo libro nel tempio di Artemide a Efeso 18- cosa significa -?
Sappiamo che manuali tecnici di astronomia e geografia comin-
ciarono a circolare nel VI secolo; a Talete era attribuita la paterni-
tà di una Nautiké Astronomia 19 , Scilace di Carianda scrisse una
periegesi2°, Ecateo scrisse di geografia e disegnò una mappa della
terra, seguendo Anassimandro 21. Inoltre, troviamo ora manuali
genealogici scritti in prosa da Ecateo di Mileto, Acusilao di Argo,
Ferecide di Atene 22. Tanto i manuali astronomico-geografici
quanto quelli genealogici sono, per così dire, modernizzazioni dei
poemi di Esiodo, la Teogonia con il Catalogo e le Opere, che si

16 B.L. Van der Waerden, ScienceAwakening, New York 1961; Burkert, 1972, pp.
299-301 e pp. 428-430.
17
Anassimandro, A 7 Diels-Kranz.
18 Eraclito, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio IX 6.
19 Talete, B 1-2 Diels-Kranz.
20 GeographiMinores I 15-96. Cfr. K. von Fritz, Die GriechischeGeschichtsschrei-

bung, voi. I, Berlin 1967, pp. 52-54.


21 Ecateo, FGrHist 1 T 12 = Anassimandro, A 6 Diels-Kranz.
22 Si vedano lè testimonianze e i frammenti relativi a questi autori in FGrHist

2 e 3.

40
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

concludevano con nozioni di astronomia. Anche in Acusilao la


teogonia precedeva la genealogia. Conosciamo un altro libro, ri-
salente più o meno allo stesso periodo, diciamo intorno al 500
a.C., che inizia con la creazione del mondo e prosegue con lo svi-
luppo delle tribù che costituiscono il popolo: Bereshit, il primo li-
bro dell'Antico Testamento.
Questo per quanto riguarda i libri; è difficile trovare una do-
cumentazione attendibile per «scuole filosofiche» anteriori a Pla-
tone, anche se la dossografia ha in seguito costruito delle «succes-
sioni», ow.ooxaLTroviamo affermazioni contrastanti riguardo
alla setta dei Pitagorici 23 , ma anche a proposito dei rapporti per-
sonali tra Parmenide e Zenone. Parmenide adottò Zenone, viene
detto 24 • Questo è un modello assai antico e diffuso di trasmissione
del sapere, specialmente di un sapere segreto, all'interno di una
famiglia, sia essa di artigiani, veggenti o poeti2'. «L'uomo che sa
istruirà l'uomo che sa», come suona una formula cuneiforme. I
medici di Cos erano tutti Asclepiadi. Degli Eraclitei sono menzio-
nati poi nel v secolo, ma non siamo in grado di decidere se essi
lessero e imitarono Eraclito solo occasionalmente, o se avessero
un'organizzazione di qualche genere.
Nel mondo orientale, comunque, esistevano altre istituzioni
per la trasmissione del sapere: i templi, che erano unità economi-
camente indipendenti in grado di sostenersi autonomamente e
che mantenevano una classe di sacerdoti; ad essi erano di norma
connesse le scuole di scrittura, le «case delle tavolette», bft (uppi.
Dal momento che i vecchi e complessi sistemi di scrittura, che
continuarono ad essere utilizzati lungo tutto il corso del I millen-
nio a.C., richiedevano una formazione professionale che durava
anni, le «case delle tavolette» costituivano il fondamento dell' au-
tocoscienza degli «uomini che sanno», gli esperti. Un uomo sag-
gio è anche un «signore delle tavolette». Si noti che ogni scuola
di scrittura necessita di testi adatti agli esercizi; e quale può esse-

n Burkert, 1972,pp.114-118.
24 Zenone, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio, IX 25.
n Burkert, 1992, pp. 41-46.

41
DA OMERO AI MAGI

re il contenuto di un libro di esercizi? Detti e semplici narrazio-


ni, vale a dire letteratura sapienziale e mitologia. Questo è per-
tanto uno degli ambiti sociali della letteratura di cui ci stiamo oc-
cupando. Ciò non vuol dire dimenticare che la mitologia era pre-
sente negli inni e in altri testi rituali per celebrare i rispettivi dèi:
l'Eniima elish si colloca nell'ambito della festa del nuovo anno -
con diverse redazioni a seconda dei diversi luoghi -; la letteratu-
ra sapienziale si rivolge tendenzialmente ai sovrani e cerca di
trarre profitto dalla loro autorità, si tratti di Salomone o di un al-
tro monarca.
La situazione dei Greci, se paragonata a questa, è caratterizza-
ta da una triplice carenza: raramente esistono templi che costitui-
scano unità economicamente indipendenti in grado di mantenere
un clero, non esistono le prestigiose «case delle tavolette», e an-
che i re sono usciti presto di scena. La scrittura alfabetica è così
facile da imparare e da utilizzare che dalla scuola elementare non
poteva uscire una classe privilegiata; furono i sofisti a inventare
l'insegnamento superiore come nuova forma di distinzione di
classe. Se teniamo a mente tutto ciò, troviamo che queste condi-
zioni devono essere state un fattore decisivo per trasformare in
progresso una carenza iniziale: la cultura e il sapere si separarono
da istituzioni e gerarchie dominanti, dalla «casa delle tavolette»,
dal tempio e dalla monarchia; divennero mobili, proprietà dei
singoli individui. I Semiti occidentali, da Tarso e Tiro fino a Ge-
rusalemme, avrebbero avuto la stessa possibilità, dal momento
che utilizzavano una forma quasi identica di scrittura alfabetica,
ma furono disturbati, ostacolati e arrestati da quelle rovinose in-
vasioni di Assiri e Babilonesi che la storia registra. I Greci, che
occupavano la posizione più orientale tra gli occidentali, si trova-
rono prossimi a questi awenimenti, ma non ne furono quasi toc-
cati. Gli Ebrei, nel centro della bufera, riuscirono a preservare la
loro identità, ma solo grazie alla scelta forzata di fare della scrittu-
ra la loro più alta autorità, invece di usarla come strumento deci-
sivo di libertà spirituale. Tanto basti per la situazione generale.
Diamo innanzi tutto un'occhiata alla letteratura sapienziale,
ampiamente sviluppata in lingua egiziana, sumerica, accadica,

42
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

hurrita 26 e, non da ultimo, nella Bibbia ebraica: si guardino i detti


di Salomone, i Proverbi,che sono di fatto una collezione di colle-
zioni. Vi si possono paragonare, tra i testi greci, alcune parti di
Esiodo e le tradizioni relative ai Sette Sapienti, che si collocano in
un'epoca intorno al 600 a.C.; se queste erano tuttora, almeno in
parte, orali, la tradizione fu continuata da testi scritti che soprav-
vivono all'interno del Corpusippocratico - gli Aforismi-, in De-
mocrito, in Isocrate ecc., fino a una collezione molto più recente
e altamente originale, i "detti" (ì..oyLa)di Gesù 27 ,
La letteratura sapienziale utilizza detti di varia forma per sta-
bilire regole generali, si tratti di esortazioni, affermazioni o anche
brevi storie; anche le favole, di animali o di piante, appartengono
a questo genere 28 • Esistono forme letterarie altamente elaborate,
ad esempio dialoghi, sia in Egitto e in Mesopotamia sia nel libro
di Giobbe. Talvolta si evoca una situazione che prevede l'ingresso
in scena di un re: «L'insegnamento di Amenemhet I per il figlio
Sesostris 1» 29 o, in sumerico, «Gli insegnamenti di Shuruppak al
figlio Ziusudra» - è lo Ziusudra che doveva poi sopravvivere al
diluvio-. Nell'Antico Testamento troviamo i «Proverbi di Salo-
mone, figlio di Davide, re di Israele», e anche i «Detti di Lemuel,
re di Massa, che sua madre gli insegnò» (Proverbi31); si confron-
tino gli «Ammonimenti di Esiodo al fratello Perse», come le Ope-
re sono state intitolate dai moderni, o i «Consigli di Chirone ad
Achille», XEi.Qwvoç'iJto0f)x:aL30 • Un racconto più avvincente è
stato inserito all'interno del testo in aramaico di Ahiqar, che fu
conosciuto anche dai Greci31 • Ahiqar è calunniato dal nipote e in-
carcerato dal re; una volta che la sua innocenza è stata provata ed

26
Cfr. Uehlinger, 1997. La letteratura sapienziale hurrita venna alla luce con il Can-
to di liberazione,NEU, 1996.
27 Superstiti in una versione gnostica del Vangelodi Tommaso, Nag Hammadi 11 2.
28
Si notino le favole apparse nel Canto di liberazionehurrita.
29 Lichtheim, 1980, voi. I, p. 135.
30
W. Schmid, Geschichteder griechischenLiteratur,voi. 1, Miinchen 1929, pp. 287 s.
31 Cfr. «TUAT», m, 2, 1991, pp. 320-347; Democrito, B 299 Diels-Kranz (spurio?)=
Clemente Aless., Stroma/a I 69; Teofrasto in Diogene Laerzio v 50, lista di libri nr. 273,
p. 40 Fortenbaugh. La storia di Ahiqar è rielaborata nella Vita di Esopo. Cfr. Burkert,
1992, pp. 32 s. con n. 30; Holzberg, 1992; M.J. Luzzato, Greciae Vicino Oriente: tracce

43
DA OMERO AI MAGI

egli è stato rilasciato, ha la possibilità di trasmettere la propria


saggezza al nipote malvagio a bastonate: un colpo, un consiglio.
Raramente i detti sapienziali si presentano in un ordine o in
un sistema anche solo approssimativo. Se è presente un ragiona-
mento causale, non si va più in là di un passo; non è filosofia eti-
ca. Si possono invece trovare raffinati artifici letterari, come gli
acrostici 32 ; ci sono complesse antitesi e metafore sorprendenti, e
anche indovinelli. «La donna perfetta è la corona del marito, ma
quella che lo disonora è come carie nelle sue ossa» (Proverbi12,
4); molto più semplice Esiodo: «non v'è cosa migliore che sposare
una buona moglie; niente di peggio di una cattiva» (Opere702).
Nella letteratura sapienziale si trovano anche evidenti conqui-
ste intellettuali che vanno al di là delle cose spicciole; abbiamo un
uso ricercato del linguaggio, ricco di analogie e antitesi; c'è l'af-
fermazione, tutt'altro che scontata, che è utile possedere la sa-
pienza, che vale la pena di apprenderla dai saggi - un ottimismo
del Àoyoç, si potrebbe dire -. Si postula anche la generalizzazio-
ne: il consiglio di un uomo saggio è valido sempre e ovunque, al
di là del momento specifico - anche se il consiglio può essere:
«conosci il momento», KaLQÒVyv&0t -.
L'ottimismo del Àoyoç ha i suoi limiti, può sfiorare il confine
del cinismo: «la maggior parte degli uomini è malvagia», anche
questo è un detto dei Sette Sapienti33 • Ed è realmente vero che «la
sapienza vale più dell'oro» (Proverbi23, 14)? La pietà paga? Il li-
bro di Giobbe si affanna per confermarlo; la cosiddetta teodicea
babilonese suona: «coloro che trascurano il dio percorrono la
strada della prosperità, mentre coloro che pregano la dea sono
poveri e privati dei loro beni» 34 •
L'ottimismo del Àoyoç è anche incline a trasmettere una for-
ma di moralità fondata sulla ragione contro le passioni, una mora-

della «Storiadi Ahiqar», in «Quaderni di storia», 18, 1992, pp. 5-84; Ancora sulla «Storia
di Ahiqar», ibid., 39, 1994, pp. 253-277.
32 Proverbi31, 10. Si veda la «teodicea babilonese» in Larnbert, 1960, p. 95.

H Biante, 10, 3, 6, 1 Diels-Kranz. «L'uomo è moneta», dice Aristodamo in Alceo,


fr. 360 Voigt.
34
Lambert, 1960, p. 95.

44
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

lità che esalta la razionalità, la moderazione, l'autocontrollo insie-


me alla giustizia e alla pietà, e che ammonisce contro l'impulsivi-
tà, l'ubriachezza, la dissolutezza sessuale. «Meglio il pane col cuo-
re beato che le ricchezze con le vessazioni», dicono gli Egiziani'';
«la misura è la miglior cosa», predicano i Sette Sapienti36 • Un ver-
so omerico che produsse un'impressione durevole sui lettori greci
è l'ammonimento di Odisseo al pretendente Anfinomo: «così è la
mente degli uomini sopra la terra, come l'ispira di giorno in gior-
no il padre degli dèi e degli uomini»; un testo accadico parla della
condizione degli uomini: «la loro mente cambia come il giorno e
la notte: quando languiscono, diventano come cadaveri, quando
sono sazi competono con i loro dèi» 37 • Un proverbio riferito al
mondo animale divenne celebre con l' Archiloco del papiro di Co-
lonia: «la cagna frettolosa diede alla luce cuccioli ciechi»; lo stes-
so proverbio appare in un testo proveniente da Mari, mille anni
prima di Archiloco 38 •
L'etica della misura viene a dominare i contorni della cosmo-
logia: le due forme di pre-filosofia che stiamo considerando, sa-
pienza e cosmogonia, entrano in contatto. «Il Signore ha fondato
la terra con la sapienza, ha consolidato i cieli con l'intelligenza»;
la Sapienza in persona proclama: «quando egli fissava i cieli, io
ero là, quando tracciava un cerchio sull'abisso, quando conden-
sava le nubi in alto ... quando stabiliva al mare i suoi limiti ... allo-
ra io ero al suo fianco ogni giorno» (Proverbi 8, 27-30). Per gli
Egiziani Maat, l'Ordine, marcia al fianco del dio Sole39 , per i Ba-
bilonesi è Misharu, sempre l'Ordine, allo stesso posto e con la
stessa funzione. «Helios non oltrepasserà le sue misure», scrisse
Eraclito, «o le Erinni aiutanti di giustizia sapranno ritrovarlo» 40 •

" Si vedano le Istruzioni di Amenemope in Lichtheim, 1980, voi. 11, p. 152.


li, Clcobulo 10, 3, 1, 1 Diels-Kranz.
17 Odissea XVIII 136 s.; Lambcrt, 1960, pp. 40-43, con il commento; Burkcrt, 1992,

p. 118.
18 Archiloco, fr. 196 a West; W.H. Moran, in «Hscr», 82, 1978, pp. 17-19; Burkcrt,
1992, pp. 122 s.
19
I. Assmann, Ma'at. Gerechtigkeit und Unstcrblichknt im alten Àgypten, Miin-
chen 1990.
40
Eraclito, B 94 Diels-Kranz; si veda cap. 111 n. 59.

45
DA OMERO AI MAGI

Secondo Anassimandro le cose che sono, t'à Èovt'a, «pagano


l'una all'altra giusta pena ed ammenda della loro ingiustizia se-
condo la disposizione del tempo» 41 • Il filosofo sta probabilmente
pensando all'ordinamento di giorno e anno che in effetti com-
prende difetto per eccesso e viceversa. Il paradigma dell'ordine
cosmico è una forma di giustizia, sia che Maat o Misharu accom-
pagnino il sole, sia che le Erinni puniscano ogni trasgressione. La
Giustizia tiene le chiavi del giorno e della notte, secondo la for-
mulazione di Parmenide 42 ; «questo ordinamento del mondo ...
sempre era ed è e sarà: fuoco sempre vivo, che in misure si ac-
cende e in misure si spegne»; questo è Eraclito 43 , che è evidente-
mente approdato a una nuova dimensione, ma sempre partendo
dalla stessa base di giustizia, di misura per misura, all'interno
dell'ordine cosmico.
Anche la peculiarità della sapienza di Eraclito risulta più chia-
ra se vista sullo sfondo della letteratura sapienziale tradizionale.
L'inizio dei Proverbidi Salomone suona, lievemente semplificato:
«Proverbi di Salomone figlio di Davide ... per dare l'accortezza
agli inesperti, ... ascolti l'uomo saggio e aumenterà il sapere» 44 • Si
confronti l'inizio del libro di Eraclito: «Aoyoç di Eraclito figlio di
Blosone. Questo ì...oyoç,che sempre è, gli uomini sono incapaci di
comprenderlo, e prima di sentirlo e una volta che l'abbiano senti-
to; ché mentre le cose tutte avvengono secondo questo Àoyoç, ad
inesperti rassomigliano ...» 45 • Suona come una parodia della nor-
male ed ingenua promessa di sapienza che essa vuole insegnare a
coloro che non sanno e migliorare coloro che sanno. No, dice
Eraclito, gli uomini dimostrano di non comprendere, anche se le
cose accadono sotto il loro naso. Con questo, l'affermazione che
la Sapienza era presente quando furono stabiliti i limiti del mare è
superata. Tutto ciò si sviluppa tuttavia dall'approccio tradiziona-
le e lo presuppone.

41 Anassimandro, B 1 Diels-Kranz.
42
Parmenide, B 1, 11-14 Diels-Kranz.
4i Eraclito, B 30 Diels-Kranz.
44 Proverbi1, 1-5.
45 Eraclito, B 1 Diels-Kranz.

46
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

Siamo già entrati nel campo della cosmogonia e abbiamo tro-


vato alcuni elementi di continuità, ma anche imprevedibili folgo-
razioni, improvvisi cambiamenti di sistema all'interno di un' evo-
luzione continua.
Esistono numerose varianti nei racconti relativi all'inizio del
mondo. Il paradigma, per così dire, è costituito dal testo babilo-
nese Eniima elish, più volte menzionato, il poema della creazione
che veniva recitato durante la festa babilonese del nuovo anno 46 •
In Egitto non troviamo un unico testo paradigmatico ma diversi
gruppi di testi, pienamente sviluppati o piuttosto di carattere al-
lusivo, che di norma riflettono la posizione di un particolare san-
tuario: la cosmogonia di Eliopoli, di Menfi, di Ermopoli ecc. 47 • In
ambito ittita abbiamo il Kumarbi, particolarmente vicino a Esio-
do, come s'è già detto 48 • Con questo non si deve dimenticare l'ini-
zio della Bibbia, che presenta la cosmogonia addirittura in due di-
versi racconti 49 •
La cosmogonia ha un carattere altamente speculativo, come è
sempre stato rilevato. Ma la forma esteriore della narrazione è in-
genua, una just so story, oggetto di disprezzo per gli antropolo-
gP0. «All'inizio c'era ... poi venne ... e poi ...» - e così via. Dapprima
non esisteva il mondo, poi apparvero il Cielo e la Terra, e gli dèi,
e gli uomini, e i loro rapporti furono regolati. Anche in Grecia i
cosiddetti primi filosofi non disdegnavano questo genere di sto-
rie: «tutte le cose erano unite», inizia Anassagora, «e quando era-
no unite, non v'era nulla di visibile, poiché la nebbia e un alone
brillante avvolgevano tutto ...» 51 • Come assomiglia al «e la terra
era informe e deserta e le tenebre ricoprivano gli abissi» (Genesi
1, 2) ! Nel concetto di «principio», un principio da cui tutto deve

46
Cfr. l'elenco delle fonti alla fine del volume.
47
Si veda Naissance.
48 Supra, n. 12.
49 Genesi 1 e 2, 4 s. col nuovo titolo Toledoth, «nascite».

,o Il terminejust so story è derivato da una collezione per bambini di Rudyard Ki-


pling, ]ust so stories /or little children, London 1902. Fu adottato come termine critico da
E.E. Evans-Pritchard, Theories o/ Primitive Religion, Oxford 1965, p. 42, riferendosi a
Totem e Tabù di S. Freud.
,i Anassagora, B 1 Diels-Kranz.

47
DA OMERO Al MAGI

sorgere, si deve vedere una conquista speculativa. Il linguaggio


arcaico tipico di norma non possiede una parola per «mondo» ed
è solito enumerare gli elementi costitutivi fondamentali, soprat-
tutto cielo e terra: «in principio il Signore creò il cielo e la terra».
Ulteriori cònquiste speculative sono l'inversione e l'antitesi.
Se si inizia a raccontare la storia del «principio» del tutto, si deve
in primo luogo cancellare dalla propria mente il «tutto», il nostro
mondo, popoli e animali, case e alberi, montagne e mare, cielo e
terra. In questo modo, il tipico inizio di un mito cosmogonico è
rappresentato da una sottrazione: c'è un solenne e riecheggiante
«non ancora». L'Enuma elish inizia così: «Quando di sopra non
era ancora nominato il cielo, di sotto la terra ferma non aveva an-
cora un nome... (quando nessuno) aveva ancora creato i pascoli
né scoperto i canneti. .. quando ancora gli dèi non erano manife-
sti, né i nomi pronunciati, né i destini decretati ...»52 • Un testo
proveniente dalle piramidi egiziane dice: «quando il cielo non era
stato ancora costruito, quando la terra non esisteva ancora, quan-
do niente era stato ancora costruito»'}. Cosa c'era?: «tenebre che
coprivano l'abisso», ci dice la Bibbia54 , una voragine spalancata,
secondo Esiodo, il chaos''; la Notte, afferma la teogonia di Or-
feo56;l'Infinito, sembra che abbia scritto Anassimandro. «Tutte le
cose erano unite», leggiamo in Anassagora 57. La risposta più fre-
quente è: in principio era l'acqua. Ciò non si limita solo al mondo
antico, ma è attestato anche in America 58 • L'acqua è il principio, si
dice che abbia affermato T alete 59 , ma molto prima di lui gli Egizia-
ni avevano sviluppato cosmogonie dell'acqua con diverse varianti60 ,
e anche l' Enuma elish ha l'acqua dolce e l'acqua salata, Apsù, il

52
Enuma elish I 1-8.
H Naissance,p. 46 (testo delle piramidi 1040 a-d; cfr. 1466 6-d).
54 Genesi 1, 2.
" Esiodo, Teogonia116. Il senso di xaoç era discusso già nell'antichità.
56
P. Derv. col. 14; Aristotele, Metafisica1071 b 27; Eudemo, fr. 150 Wehrli. Cfr.
cap. Ili n. 65.
57 Anassagora, B 1 Diels-Kranz.
58 D. Tedlock, PopolVuh. The MayanBook o/the Dawn o/Li/e, New York 1985, p. 64.
59
Talete, A 12 Diels-Kranz = Aristotele, Metafisica983 b 20.
60
Si veda Holscher, 1968.

48
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

genitore, e Tiamat, che partorì tutti, come progenitori di ogni co-


sa. Ciò ritorna, piuttosto sorprendentemente, nel cuore dell' Ilia-
de, con Oceano e Tethys, «origine di tutti» 61.
L'unità è destinata a dissolversi: dal principio unico deve usci-
re la differenziazione. Ogni racconto cosmogonico procede ne-
cessariamente su queste linee. L'idea più grandiosa è che il cielo
fu staccato dalla terra nella seconda fase della creazione, che il
mondo, in quanto cielo e terra, iniziò ad esistere grazie a una se-
parazione. Anche questa idea non è una peculiarità del mondo
antico, ma si è riscontrata anche ai nostri tempi in Africa, Poline-
sia e Giappone 62. Gli Ittiti ed Esiodo conoscono il mito violento
di una castrazione del Cielo come separazione della coppia pri-
mordiale63. Gli Egiziani presentano uno sviluppo più pacifico, in
quanto Shu, Aria, si limita a sollevare la dea del Cielo - in questo
caso femminile-Nut, dalla Terra, Geb64 • Secondo Anassimandro
una sfera di fuoco crebbe intorno al centro, che era costituito, pa-
re, da una massa di fango; la sfera esplose poi in pezzi, i quali for-
marono delle ruote che, attraverso aperture, portavano fiamme
tutt'intorno alla terra, formando le stelle, la luna e il sole6'. Anche
questo costituisce una separazione tra terra e cielo.
Per lo sviluppo ulteriore esistono due possibilità, due modelli
narrativi: l'uno si può chiamare biomorfico, l'altro tecnomorfico.
Il modello biomorfico introduce coppie di sesso differente, fe-
condazione e nascita; quello tecnomorfico presenta un creatore
nelle vesti di un abile artigiano. Il modello biomorfico porta alla
nascita di successive generazioni, con la possibile lotta tra i Vec-
chi e i Nuovi, un «mito di successione», quale si trova nell' Enuma
elish,nella versione ittita, in Esiodo 66 • Si è tentati di definire greco
il modello biomorfico e biblico quello tecnomorfico. Senza club-

61 Cap. In. 47.


62
W. Staudacher, Die Trennung von Himmel und Erde, Tiibingen 1942 [1968].
6 l Kumarbi: ANET, p. 120, Hoffner-Beckman, p. 40. Cfr. West, 1966, pp. 20-22 l'
pp. 211-213. Si veda anche Ullikummi: ANET, p. 125, Hoffner-Beckman, p. 59.
64 Naissance, p. 47 par. 9.
6
~ Anassimandro, A 10 Diels-Kranz. Cfr. anche Leucippo, A 1, 32 Diels-Kranz.
66
Steiner, 1959.

49
DA OMERO AI MAGI

bio Esiodo ha adottato pienamente la versione biomorfica, men-


tre la Genesi è il libro della creazione: «e Dio fece ...» e ricavò Eva
da una costola. Le testimonianze sono tuttavia più complesse, e si
trovano ~ignificative combinazioni di entrambi i modelli, come
nell'Eniima elish, o anche nella teogonia orfica, nella forma in cui
è nota attraverso il papiro di Derveni 67 • Questi testi introducono
alcune generazioni di dèi, ma alla fine presentano il dio principale
che pianifica la creazione. La creazione è in effetti più razionale e
dà all'autore l'opportunità di descrivere dettagliatamente gli og-
getti. Ascoltiamo l'Eniima elish: quando Marduk ebbe abbattuto
Tiamat, la madre primordiale, il mostro del mare, «il Signore ri-
posò e osservò il suo corpo, divise la forma mostruosa e creò me-
raviglie. La tagliò in due, come un pesce da essiccare, e pose una
metà in alto, «come tetto per il cielo» - anche qui abbiamo la di-
visione tra cielo e terra -,

e quanto alle stelle, stabilì le costellazioni ... fece apparire la falce della
luna, le affidò la notte ... «esci ogni mese, senza tregua, con la corona, al-
l'inizio del mese; quando ti leverai splendendo sopra il paese, brillerai
con le corna per sei giorni; al settimo giorno dimezza la corona: il quin-
dicesimo giorno sarà sempre il punto intermedio, la metà di ciascun me-
se; quando Shamash, il sole, guarda verso di te dall'orizzonte, perdi gra-
dualmente la tua visibilità e comincia a decrescere ...» 68 •

Tutto ciò non è particolarmente emozionante, ma è molto


preciso. L'Antico Testamento è molto più sbrigativo: Elohim dis-
se: «"ci siano luci nel firmamento del cielo per distinguere il gior-
no dalla notte ... " ed Elohim fece le due grandi luci, la luce mag-
giore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte,
e le stelle»69 • Esiodo è ancora meno preciso: «Theia generò He-
lios grande e Selene luminosa, e Eos che su tutti i mortali risplen-
de, giacendo con Hyperion in amore» 70 • Nessuno affermerebbe

67
Cfr. cap. III n. 72.
68
Enuma elish rv-v, pp. 254 s. Dalley.
69 Genesi 1, 14.
70 Esiodo, Teogonia371-382.

50
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

che Esiodo è più razionale degli orientali; si limita a fornire dei


nomi ai concetti di «divino» - 0e(a - e di «camminare sopra»,
'ì:1tEQL<.0v;ma fare di 'AcrtQaioç il padre delle stelle non è altro
che una tautologia; ed Esiodo è assolutamente asistematico nel
separare la Stella del Mattino dalle altre.
Il concetto di «creatore del mondo» è decisamente respinto
da Eraclito: «questo ordine del mondo ... nessun dio o uomo l'ha
creato»: egli sembra sviluppare il modello biomorfico in uno fito-
morfico, nel quale il principio della crescita si accorda a leggi in-
terne come nel caso delle piante; la parola greca per una «cresci-
ta» di questo genere è cpucnç,che fu in seguito tradotta in latino
con natura. Il celebre detto «la natura ama nascondersi», cj>ucnç
KQUJt'tE0'0atcj>tÀEt, a mio parere trae origine da una precisa os-
servazione: se si scava la terra per vedere la crescita del germe si
distrugge la pianta 71 • <l>ucrtçdivenne lo slogan della prima filoso-
fia greca, la «filosofia naturale presocratica», anche se si affermò
soltanto due generazioni dopo Eraclito. Se riflettiamo più attenta-
mente, tuttavia, vediamo che quasi nessuno tra i successori di
Eraclito può fare a meno del concetto di creatore. Parmenide in-
troduce un demone femminile che «governa tutte le cose»,
Jtav-cal('U~EQVO.L, e crea potenze divine come Eros 72 ; Anassagora
assegna una funzione simile a Nouç, «mente», il principio che era
all'origine di ogni differenziazione; in Empedocle «Amore» co-
struisce organi e organismi nella propria officina; fu solo Demo-
crito a cercare di escludere vouç, «mente», dalla formazione del
macrocosmo e del microcosmo 73 ; la reazione giunse con Platone e
Aristotele: il Timeo di Platone stabilì definitivamente il termine
«creatore», briµtouQyoç, nella filosofia greca.
Fin qui non c'è alcuna ragione di separare le cosmogonie miti-
che dei Greci - Orfeo, Omero o Esiodo - dai loro equivalenti
orientali. È evidente che appartengono alla stessa famiglia; ed è
non meno evidente che i cosiddetti Presocratici stiano seguendo

71 Eraclito, B 30 e B 123 Diels-Kranz.


72
Parmenide, B 12-13 Diels-Kranz.
73 Democrito, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio, IX 35.

51
DA OMERO AI MAGI

le loro orme. Limitiamoci a ricordare che ci sono anche altri cam-


pi più razionali dove la dipendenza dei Greci dalla Mesopotamia
è di una chiarezza non comune: la matematica e l'astronomia. I
nostri nomi dei pianeti - Mercurio, Venere, Marte, Giove - tra-
ducono indirettamente i termini accadici, attraverso i nomi greci,
che a loro volta traducevano direttamente Nabu, Ishtar, Nergal e
Marduk. Essi sono stati tradotti al più tardi all'epoca di Platone,
forse anche qualche decennio prima 74. La divisione del cerchio in
360 gradi, con le suddivisioni di 60 gradi primi e 60 gradi secondi
- sulle quali a tutt'oggi gli scolari si affaticano - costituisce l' ere-
dità babilonese più diretta nel campo dell'astronomia e della geo-
metria: essa fu adottata forse solo dopo Alessandro 75 •
Le conseguenze che si traggono da quanto s'è detto possono
sembrare sorprendenti: in primo luogo, i rapporti tra speculazio-
ne greca e «orientale» non si limitano ad un unico stretto corri-
doio che, intorno al 700 a.C., dalla Cilicia degli Ittiti e la Siria dei
Fenici conduce ad Esiodo; ci furono contatti continui, con esiti
diversi - si confrontino le teogonie dell'Iliade,di Esiodo e di Or-
feo, ognuna delle quali ha specifici punti di contatto con testi ac-
cadici, ittiti e fenici -; si aggiungano la cosmogonia dell'acqua di
Talete e le ruote di Anassimandro disposte secondo l'ordine ira-
nico76.In secondo luogo, non è il caso di affermare che gli orien-
tali rappresentino il pre-razionale, il livello mitico da cui i Greci
hanno preso le mosse per dare inizio all'illuminismo; la dipenden-
za dei Greci è evidente soprattutto nel campo dell'astronomia,
dove i Babilonesi svilupparono metodi di calcolo assolutamente
razionali77, mentre nelle cosmogonie il mito continuò a dominare
anche tra i Greci.
È diventato un luogo comune che siano stati i Greci a com-
piere l'intero cammino dal µu0oç al À.oyoç.In tempi più recenti

74Burkert, 1972, pp. 299-301.


n Sicuramente attestata in lpsicle, ed. V. de Falco, M. Krause, O. Neugebauer,
Gèittingen 1966, pp. 36-47; probabilmente usata già da Eudosso.
76Burkert, 1963. Si veda cap. IV n. 41.
77 O. Neugebauer, A History o/ Ancient Mathematical Astronomy, voi. I, Berlin
1975.

52
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

è stato osservato che anche gli orientali, ad esempio i dotti assiri,


erano già su questa strada. Alasdair Livingstone ha pubblicato
nel 1986 un libro sugli scritti di mistica e mitologia dei sapienti
assiri e babilonesi che contiene alcuni testi importanti. Limitia-
moci a dare un'occhiata a uno di questi testi, provienente dalla
casa di una famiglia di sacerdoti-Magi di Assur (650 a.C. circa).
Il testo afferma l'esistenza di tre terre e di tre cieli. Cito: «Egli
(scii. il dio) pose le anime degli uomini sulla Terra Superiore, al
centro; sulla Terra Intermedia fece sedere suo padre Ea, al cen-
tro» - Ea, vale a dire, le acque sotterranee -; «nella Terra Infe-
riore rinchiuse i 600 dèi dei morti (Annunaki), al centro». Que-
sto discorso presuppone tre piani nel nostro mondo, la terra su
cui viviamo, con l'acqua al di sotto, proprio come in Talete, e an-
cora più in profondità, al livello infimo, il mondo infero con gli
dèi che gli competono. Anche il cielo, in corrispondenza, ha tre
livelli: il piano superiore appartiene al dio del Cielo stesso, Anu,
insieme a trecento dèi celesti; il Cielo Intermedio, fatto di pietra
lucente - forse ambra - costituisce il trono di Enlil, il dio che go-
verna; il piano inferiore, fatto di diaspro, è il luogo delle costella-
zioni: «vi tracciò sopra le costellazioni degli dèi» 78 •
Un testo di questo genere sembra costruito per fare coesistere
la tradizione mitica con le speculazioni sulla natura del cosmo nel
quale viviamo. Il racconto mantiene tuttora la forma di un mito
cosmogonico: il dio fece questo e questo e questo, e così è. Il ri-
sultato è l'esistenza di un cosmo che potrebbe essere raffigurato
meglio con un disegno che con una narrazione. Secondo Living-
stone, questi testi «cercano di porre in un più preciso accordo la
teologia esistente con la realtà del mondo della natura». Più o me-
no la stessa cosa è stata detta di Ferecide di Siro, il supposto con-
temporaneo di Anassimandro, da Hermann Schibli, il suo ultimo
editore: «Ferecide, in breve, voleva fornire una versione alternati-
va alla Teogonia; egli probabilmente credeva che la sua versione
riuscisse a spiegare l'origine del mondo e gli dèi del mito in un

78 Livingstone, 1986. Cfr. Burkert, 1994.

53
DA OMERO AI MAGI

modo più conseguente e accurato» 79 • Il dotto assiro intorno al


650 e lo scrittore greco intorno al 540 sembrano compiere tentati-
vi del tutto paralleli.
Con loro, siamo molto vicini ai Presocratici. Ferecide parlava
ancora di dèi, pur modificandone i nomi per renderli più significa-
tivi: Zaç, che allude a «vita», invece di Zeus, Xg6voç, «tempo», in-
vece di Kg6voç 80 • Anassimandro e Anassimene, per quanto possia-
mo vedere, non introdussero più nomi di dèi, ma si attennero a una
designazione neutra del «divino», 0ELOV.Il sistema di Anassiman-
dro, tuttavia, richiama anche i tre cieli del testo assiro, dal momen-
to che egli, in particolare, parlava di «cieli», oùgavoi., un plurale as-
solutamente atipico in greco; esso fu in parte frainteso dalla dosso-
grafia81. Il contributo originale di Anassimandro consistette nel
combinare i tre cieli con tre categorie di corpi celesti: stelle, luna e
sole - e in questo fu influenzato, con ogni probabilità, dalla tradi-
zione iranica -. Egli ha in effetti scoperto «il Àoyoç delle misure e
delle distanze» dei corpi celesti, secondo la formulazione di Eude-
mo, il discepolo di Aristotele 82 • Anassimene pose le stelle a una di-
stanza maggiore del sole, e disse che sono fissate a un cielo di cristal-
lo, «come disegni», ~wygaq>~µat'a. Ciò suona quasi come una tra-
duzione del testo assiro: Enlil «tracciò» o «disegnò» le costellazio-
ni sul cielo di diaspro 83. Un altro testo accadico di contenuto astro-
nomico, l'Enuma Anu Enlil («Quando Anu ed Enlil»), presenta la
stessa idea con un colorito più teologico: sul cielo «gli dèi traccia-
rono le stelle a loro somiglianza»; Peter Kingsley ha richiamato l' at-
tenzione sul fatto che la stessa espressione ricorre nell' Epinomide
platonico: le costellazioni sono «immagini divine, come simulacri,
costruiti dagli dèi stessi» 84 •
Il testo assiro, con i suoi tre cieli e il trono di Enlil posto al

79
Livingstone, 1986, p. 10. Cfr. Schibli, 1990, p. 133.
80
La tradizione è confusa: cfr. Schibli, 1990, p. 17 e pp. 27 -29.
81 Burkert, 1963, p. 103.
82
Eudemo, fr. 146 Wehrli; Burkert, 1972, pp. 308-310.
8
} Si veda Kingsley, 1992.
84 Platone, Epinomide 983 a s.: 0e&v EtKovaç wç àyciì..µa-ra, 0e&v aù-r&v

ÈQyacraµÉvoov;Kingsley, 1995, p. 203.

54
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

centro di essi, ha anche qualcosa a che fare con la visione di Eze-


chiele di Y ahweh sul trono, fissato su un carro di struttura com-
plessa, dotato di ruote che vanno avanti e indietro. Il trono è di
ambra, come ad Assur 85 • Il testo di Ezechiele è databile al 593-92,
proprio a metà tra i Magi assiri e Anassimandro. Non dimenti-
chiamo che, secondo la tradizione, Anassimandro scrisse proprio
all'epoca in cui Sardi fu conquistata dai Persiani 86 , mentre Gige
aveva tenuto regolari contatti con Ninive più di un secolo prima,
e il fratello di Alceo, un mercenario, era andato nella Babilonia di
Nabucodonosor 87 •

Qual è dunque la novità dei Presocratici? Cosa ha introdotto


la «filosofia» rispetto alla speculazione mitica e r::..i:::1onale?
I Pre-
socratici conoscevano naturalmente e utilizzavano le tradizioni
più antiche, se non altro come impalcatura 88 • Senza dubbio que-
sta impalcatura preesistente costituiva un aiuto notevole per la
costruzione, ma è possibile anche che molte strane distorsioni sia-
no dovute ad essa.
In nessun altro luogo, inoltre, sorse la filosofia nella forma in
cui sorse in Grecia. Fu solo il particolare talento dei Greci a gio-
care il ruolo principale, o piuttosto una diversa situazione sociale,
priva di re, sacerdoti potenti e «case delle tavolette»? Anche nel
campo della matematica i Greci svilupparono una forma di dimo-
strazione deduttiva del tutto nuova 89 • Limitiamoci a dare un'oc-
chiata a Parmenide, con il quale entra in scena una forma speciale
di dimostrazione e di argomentazione consapevole. Il suo celebre
paradosso, la tesi che l'essere è, il non-essere non è, e che pertan-
to non può esserci né il cominciare né il cessare di esistere, né la
nascita né la morte, può essere in certa misura considerato origi-
81 Ezechiele 6. Cfr. West, 1971, pp. 88 s. e Kingsley, 1992.
86
Anassimandro, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio, 11 2 = ApolloJoro, FGrHist
244 F 29.
87 Cfr. W. Burkert, «Konigs-E//en» hei Alkaio.l",in «MH», 53, 1996, pp. 69-72.
88
Burkert, 1963, pp. 131 s.
89
B.L. Van der Waerden, Science Awakentnl!,, cir.; ulteriori specificazioni in H.].
Waschkies, An/iinge der Arithmetik im Alten Orienl und her den Grrechen, Amsterdam
1989, in particolare pp. 302-326.

55
DA OMERO Al MAGI

nato proprio dalla lingua e dal sistema verbale dei Greci: la lingua
greca presenta un'accentuata contrapposizione degli aspetti ver-
bali, quello durativo, espresso ad esempio da Èo- (è), e quello
puntuale, espresso ad esempio da q>u-o da yev- (diviene). Eì, yàQ
Èyev-r', oÙK ÈITTLV («Se venuto all'esistenza, non è»), scrisse Par-
menide90,come se facesse un esercizio di grammatica greca. Ma il
fatto davvero strano e sorprendente è che con questa formula e
quel che ne consegue, Parmenide coglieva un principio che domi-
na, fino ad oggi, la nostra visione del mondo fisico, il principio
della conservazione della dualità di massa ed energia, come viene
espresso oggi. Nulla può crearsi solo dal nulla, e nulla può sem-
plicemente distruggersi - di qui tutti i nostri problemi di quei ri-
fiuti che non possono essere distrutti -.
Si possono tuttavia trovare alcuni antecedenti nel più antico lin-
guaggio mitico delle cosmogonie, anche al di fuori della lingua gre-
ca. Nell' Enuma elish, ad esempio, il dio Anshar viene così apostro-
fato: «il tuo cuore è grande, tu, che stabilisci i destini; qualunque
cosa è creata o distrutta, esiste con te»; gli dèi dicono a Marduk: «di
distruggere e costruire comanda: siano compiuti» 91 • Troviamo dun-
que già in accadico che i tre concetti di «divenire» o «creare»
(banu), «distruggere» (hulluqu), e «esserci» (bashu), si combinano
in un sistema; «tutto» si connette a quel modello - «nascere e mo-
rire, essere e non essere», y(yveo0a( -re1eaì,ÒÀ.À.uo0at,elva( -re1eaì,
oùx(,per usare la terminologia di Parmenide-.
Però l' Enuma elish presuppone che il dio possa solo «ordina-
re la distruzione», e sarà così; no, reagisce Parmenide, non può
fare questo - e la nostra concezione di scienza concorda con Par-
menide -. La più antica speculazione cosmogonica, trasformata
nella lingua greca, ha trovato con Parmenide la legge del vero es-
sere. Tutto ciò viene ora stabilito con un'argomentazione raziona-
le. Inoltre Platone ha introdotto i fondamenti della matematica
nella dimostrazione, il concetto di a priori - e ancor oggi cerchia-
mo di comprendere e di dominare la cosiddetta natura con il ra-

90
Parmenide, B 8, 20 Diels-Kranz.
91 Enuma clish 11 65, p. 241 Dalley; IV, 22, p. 250 Dalley.

56
COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

gionamento razionale, anzi matematico -. Parmenide sottolinea


allo stesso tempo che il linguaggio è diretto verso l' «essere», il che
significa anche: verso la verità in un senso assoluto, al di là di ogni
interesse personale, sociale o politico 92 • L'idea di verità assoluta è,
specialmente oggi, gravemente a rischio, per lo meno nel campo
delle scienze sociali e delle Geisteswissenscha/ten. Si deve sperare
che l'eredità greca non vada perduta.
Non c'è ragione di isolare i Greci dagli altri, ma noi continuia-
mo a fare filosofia e persino a pensare secondo le linee tracciate
dai Greci. Non penso che sia «eurocentrico» insistere, con Par-
menide, sul fatto che il pensare e il parlare debbano essere con-
formi all'«essere». È un altro problema invece stabilire se il prin-
cipio fisico della conservazione formulato per primo da Parmeni-
de debba essere visto come un evento all'interno della «teoria
evolutiva della conoscenza»"\ La sapienza fa progresso puntuale;
i confini della filosofia restano aperti.

2
'' Non si può Jiscutere qui la problematica del concetto di «essere»: si veda Ch.
Kahn, The verh Be in A11c1cnlGrcck, Dordrccht 1973; U. Hèilschcr, Dcr S11111 1•011 «.\cm»
111 ,l,·raltcrcn grià·hischc11Philowphic, Sitzungsbcr • Hcidelberg 1976, p. 3.
1
'' K. Lorcnz, Dic Rù,-J.-11·i1t•
des Spicgcls. Vcnuch cincr Natur/'..<'.l<hichl<'.lc.1mc11-
_1di/1chcnErkenncn.1,Mi.inchl'llI973.

57
3.

L'ORFISMO RISCOPERTO

Non esiste nessun altro ambito degli studi classici, e della sto-
ria delle religioni in particolare, in cui la situazione sia tanto cam-
biata negli ultimi decenni come nel caso dell'Orfismo. C'è stata
una tale serie di nuove scoperte che qualunque trattazione scrit-
ta prima, diciamo, del 1980 è superata. W.K.C. Guthrie scriveva
nel suo libro Orpheus nel 1935 (1x): «Su questo argomento non è
apparsa nessuna testimonianza notevole, né è probabile che ap-
paia» 1 • Siamo felici che si sia sbagliato.
Orfeo è un cantore mitico che ammaliava gli animali e che di-
scese nell'Ade per ritrovare la moglie Euridice. L'Orfismo è una
corrente religiosa che considera Orfeo come profeta e i libri di
Orfeo come testi sacri. L'Orfismo era diventato un campo di bat-
taglia, per così dire, tra razionalisti e mistici fin dall'inizio del XIX
secolo. Sullo sfondo stava la questione di quanto «classica» fosse
in realtà la Grecia classica. Quando, tra il Romanticismo e le cor-
renti filosofiche hegeliane, sorse la Geistesgeschichte e venne isti-
tuita la Storia delle religioni, Orfeo uscì dalla sfera dell'opera liri-
ca, dove era stato di casa fino a Gluck, e divenne la parola chiave
nei vari tentativi di trovare una forma di religione greca superiore
o più profonda in contrapposizione agli dèi omerici, che non po-
tevano essere presi sul serio da nessuno. Ci fu, in primo luogo, il

2
1
W.K.C. Guthrie. Orpheus and Grt'l'k Relr?,ron • voi. IX, London 1952.

59
DA OMERO Al MAGI

voluminoso lavoro di Friedrich Creuzer, che preparò la strada ad


una nuova valutazione del fenomeno dionisiaco; ci fu l'eruditissi-
mo contrattacco di Lobeck (Aglaophamus,1829), dopo che Gott-
fried Hermann aveva già dimostrato che gli Inni orfici e le Argo-
nautiche orfiche erano componimenti assai tardi e sicuramente
non potevano provenire da un poeta che la tradizione aveva po-
sto prima di Omero. Hermann aveva inoltre pubblicato una pri-
ma raccolta di Orphica nel 1805. La linea «mistica» fu riassunta
da Bachofen nel suo lavoro sulle dottrine orfiche dell'immortalità
(Die Unsterblichkeitslehreder Orphischen Theologie, 1867); il de-
bito di Nietzsche nei confronti di Creuzer e Bachofen fu grande.
La trattazione più influente fu poi in Psyche di Erwin Rohde
(1884). C'erano già stati i primi ritrovamenti di laminette auree,
definite «orfiche» fin dall'inizio; a rimanerne affascinati furono
soprattutto Albrecht Dieterich in Germania e Jane Harrison in
Inghilterra. Otto Kem, allievo di Hermann Diels, scrisse nel 1888
la sua dissertazione, datando la Teogonia orfica al VI secolo a.C.
L'importanza maggiore attribuita all'Orfismo si trova poi nei libri
di Vittorio Macchioro (1920/1930) 2 • Il movimento di reazione fu
iniziato da Wilamowitz, cui ripugnava l'approccio di Kern. Wila-
mowitz scrisse alcune pagine demolitrici; Ivan Linforth seguì la ten-
denza a sminuire l'importanza del fenomeno 1 • Martin Nilsson cer-
cò di assumere una cauta posizione intermedia 4 • La disposizione
più critica fu riassunta in un brillante capitolo di I Greci e l' irrazio-
nale di Dodds ( 1951). Uno scetticismo ultrawilamowitziano trovò
voce nel libro dottissimo di Giinter Zuntz, Persephone,del 1971. La
sua posizione fu clamorosamente confutata dall'edizione della lami-
netta aurea di Ipponio tre anni dopo, nel 1974. Una posizione cri-
tica è tuttora proposta nelle pubblicazioni di Luc Brisson.

2 V. Ma~chioro, Zagreus Studi sull'Orfismo, Bari 1920; Zagreus. Studi intorno al-
l'Orfismo, Firenze 1930.
1 Wilamowitz, 1932, voi. 11, pp. 192-204; I.M. Linforth. The Arts o/ Orphcus, Ber-

keley 1941.
4
Bibliografia fino al 1922: OF. pp. 345-350; fino al 1950: Nilsson, 1952, pp. 628 s.;
si veda anche Riedweg, 1996. Una nuova edizic,nc di Orphimrum Fragmc11taè prevista
da A. Bernabé.

60
L'ORFISMO RISCOPERTO

I nuovi ritrovamenti formano quattro gruppi, di importanza


diseguale; nessuno di essi tuttavia può essere trascurato. Si riferi-
scono principalmente al VI-N secolo a.e., cioè all'epoca classica,
non alla tarda antichità e nemmeno all'Ellenismo. Vengono elen-
cati di seguito i quattro gruppi.
1) Il papiro di Derveni, rinvenuto nel 1962, pubblicato illegal-
mente e in forma incompleta solo nel 1982; si attende tuttora
l'edizione definitiva. Si tratta di un rotolo di papiro del rv secolo
a.C., contenente un libro probabilmente della fine del v secolo,
che costituisce principalmente un commento presocratico alla
Teogonia di Orfeo 5 •
2) Laminette auree rinvenute nelle tombe, contenenti testi relati-
vi all'aldilà. La più antica, proveniente da Vibo Valentia-lpponio,
è datata al 400 circa; la più recente, da Creta, alla fine del II secolo
a.C., se si trascura una tarda tavoletta dell'epoca imperiale. Si ri-
conosce oggi che appartengono all'ambito dei «misteri bacchici».
3) Strane laminette d'osso con graffiti, provenienti da Olbia sulla
costa del Ponto, pubblicate nel 1978, datate al v secolo a.e.; il lo-
ro scopo e il loro impiego è enigmatico. Su una di esse tuttavia si
può leggere OP<l>IKOI («Orfici»).
4) Pitture vascolari da Taranto, IV secolo a.e. Raffigurazioni va-
scolari apule di Orfeo erano note da lungo tempo. Ma una parti-
colare anfora, che si trova oggi a Basilea, mostra Orfeo di fronte a
un defunto eroizzato che tiene in mano un rotolo di papiro: la più
diretta rappresentazione di «letteratura orfica» nell'aldilà attesta-
ta iconograficamente.
I ritrovamenti non sono ancora finiti. Una laminetta prove-
niente dalla Sicilia, simile a quella di lpponio, fu pubblicata nel
1993; un'altra, da Fere in Tessaglia, fu resa accessibile solo nel
19976 • Parecchie laminette menç significative da Aigion in Acaia
stanno emergendo7; ci sono informazioni su un'altra laminetta,

5 Si vedano nn. 58-62.


6
J.Frel,Una nuova laminella «orfica», in «Eircne». 30, 1994, pp. 183-84; Tsantsa-
noglou, 1997, p. 114 n. 38.
7 SEG XLI, 1991, 401.

61
DA OMERO AI MAGI

fuorviante, da Lesbo 8 • La pubblicazione definitiva del papiro di


Derveni potrebbe apportare ancora dei progressi. Vasi apuli con-
tinuano a venire alla luce, soprattutto grazie al commercio clan-
destino. Possiamo tuttavia tentare di ricavare una panoramica
provvisoria della situazione, dei risultati raggiunti e dei problemi
che tuttora rimangono o che stanno sorgendo. Mi concentrerò su
due gruppi: le laminette auree e il testo di Derveni. Essi fornisco-
no due diverse prospettive del fenomeno: la pratica dei misteri,
da un lato, e la riflessione filosofica sotto forma di commento let-
terario, dall'altro.
Per quanto riguarda le laminette auree, le nuove scoperte più
importanti sono i testi provenienti da lpponio, 1974, i due testi da
Pelinna9, 1987, e uno da Fere in Tessaglia, conosciuto attraverso
una tesi scritta a Salonicco e una citazione di Tsantsanoglou 10• Il lo-
ro contesto storico-sociale è stato oggi accertato al di là di ogni dub-
bio, anche se grazie ai soli testi di lpponio e di Pelinna.
Il testo di lpponio dice, rivolgendosi al defunto:
stai percorrendo una strada che anche altri, iniziati e baccanti, stanno
percorrendo, la strada sacra, in gloria:
ol>òv EQXEUL,éiv tE Kai aÀ.À.OL
µucrtal Kai ~CllCXOLLEQÙVcrrdxoum KÀ.EEVVOL

Il testo di Pelinna dice:


dì a Persefone che Bacchio stesso ti ha liberato,
11
EtnELV<l>EQCJEcpovaL
cr' Otl BaK:XLOça'Ùtòç ÈÀ.UCJEV •

Le parole chiave sono µum:aL («iniziati»), ~UK'X,OL («baccan-


ti») e BaK'X,LOçÈÀ.UCJEV(«Bacco ti ha liberato»). Per quanto ri-
guarda il testo di lpponio, ci si poteva ancora domandare se
~UK'X,OLsignificasse «iniziati di Dioniso» o soltanto «estatici» in
8
ArchaeologicalReports, 1988-1989, p. 9~
9
Edizione complessiva: Pugliese Carratelli. 1993. Cfr .. in generale, Borgeaud
1991; Bottini, 1992; Graf, 1993; Giangiulio, 1994; Dettori. 199!1.Riedweg 1998.
1
°
11
Cfr. n. 6.
Pugliese Carratelli, I 993, pp. 20-31 e pp. 62-64.

62
L'ORFISMO RISCOPERTO

senso più generale; la formula nel testo di Pelinna non lascia al-
cun dubbio. BaKXLOçricorre una dozzina di volte proprio nelle
Baccantidi Euripide, accanto a Atovucroç, BaKXoç, BaKXEuç. Ci
sono altre testimonianze a proposito di Awvucroç Aucrwç, «Dio-
niso che libera»; ÀUO'LOL 'tEÀE'taL,«riti che liberano», sono men-
zionati da Platone nel notissimo passo della Repubblica(366 a-b)
sugli Orfici. Nell'ultimo verso dei testi di Pelinna si legge
TEAEA con riferimento ai «beati sotto la terra». Così, l'afferma-
zione che abbiamo a che fare con documenti di «misteri bacchi-
ci», 'tEÀEi:al~aKXLK:aL, con lo scopo di garantire la beatitudine
dopo la morte, trova pieno riscontro nelle parole dei testi. Grazie
alla testimonianza della laminetta di lpponio, questi misteri si
possono far risalire almeno al v secolo a.C.

Lo Zuntz, nel suo dottissimo studio, ha suddiviso le laminette


auree in due gruppi, testi A e B. Il testo di lpponio appartiene al
gruppo B, i testi di Pelinna hanno strette connessioni col grup-
po A. È così dimostrato che entrambi i gruppi, malgrado le loro
differenze, provengono da un ambiente simile, un ambiente «bac-
chico». Non abbiamo niente di comparabile da Eleusi o da alcun
altro luogo di culto misterico.
La realtà presente dietro a questi testi può essere ricostruita
con un alto grado di probabilità: chiaramente non esisteva una
chiesa bacchica o orfica con un dogma o un credo per sancire i te-
sti, ma sacerdoti purificatori itineranti, K:a0aQ'tat, iniziatori,
'tEÀEO"taL, che fornivano ai clienti i rituali e le formule adeguate
secondo le richieste. Il documento chiave per la loro organizza-
zione è un papiro egiziano, che risale al regno di Tolomeo Filopa-
tore, cioè al 210 a.C. circa, relativo a «quelli che fanno le inizia-
12
zioni a Dioniso», oi 'tEÀOUV'tEç 'tWLALOVUO'WL ; essi sono orga-

nizzati in «famiglie», con tradizioni che si trasmettono dal «pa-


dre» al «figlio» 1\ si presume inoltre che custodiscano uno LEQoç
Àoyoç, un insieme di racconti mitici e formule rituali che dovreb-

12
Burkert, 1991, p. 48.
11
Cfr. cap. 11 n. 25.

63
DA OMERO Al MAGI

Gero essere comunicate solo agli iniziati. Non c'è da stupirsi che i
'tEÀEO"taLvaganti coprissero le distanze tra la Tessaglia e Lesbo
da un lato e tra l'Italia e la Sicilia dall'altro, senza lasciare da parte
Creta. Può essere degno di nota il fatto che nessun documento di
questo genere sia stato finora ritrovato in Attica: qui dominava
Eleusi, e i suoi misteri non utilizzavano testi di tale carattere. È
sorprendente trovare delle laminette auree nelle tombe di Aigion
in Acaia, 1v/In secolo a.C., ma esse non dicono molto: hanno solo
la parola MYITA:I: in aggiunta al nome 14•
La più viva descrizione di tali purificatori è presentata da Pla-
tone, nel passo già menzionato della Repubblica:«Mendicanti e
indovini, convergendo alle porte dei ricchi, li convincono di aver
ricevuto dagli dèi il potere di rimettere le colpe, ricorrendo a feste
e a piacevolezze del genere, nel caso che loro stessi o i loro ante-
nati si fossero resi responsabili di azioni ingiuste... Presentano
una quantità di libri di Museo e Orfeo - poeti che a loro detta di-
scendono direttamente dalla Luna e dalle Muse -, seguendo i
quali compiono i riti. Con· ciò riescono a convincere privati citta-
dini e intere città, che ci sono remissioni e purificazioni dei pecca-
ti, grazie a certi sacrifici e a divertenti giochetti, sia per i vivi che
per i morti. Queste sono le cosiddette iniziazioni che fanno scam-
pare dai mali dell'aldilà. Se invece qualcuno non vi partecipa,
l'aspetta una sorte terribile» 15 • Anche l'autore di Derveni fa allu-
sione al praticante, «colui che fa professione delle cose sacre»
(col. 20[16]), o'tÉXvriv n:oLOuµEvoç 'tÙ LEQU.
I testi delle laminette non appaiono nella letteratura classica.
Sono una letteratura underground.Esistono però indizi e testimo-
nianze certamente compatibili con questi documenti. Aristofane,
nelle Rane, descrive la festosa processione dei µucrtaL negli inferi:
la festa mistica prosegue nell'aldilà. Aristofanè si riferisce ad Eleu-
si, come l'acclamazione di "IaKXoç prova 16 , ma l'idea generale del-
la prosecuzione della celebrazione estatica dopo la morte è identi-

14
Cfr. n. 7.
15
Repubblica364 b-366 a; cfr. 366 a-6.
16
Graf, 1974, pp. 40-50.

64
L'ORFISMO RISCOPERTO

ca a ciò che suggerisce il verso del testo di Ipponio riguardo alla


condizione degli iniziati e dei ~<llCXOL nell'aldilà. Sofocle, nell'An-
tigone ( 1118-1122) fa di Dioniso il signore dell'Italia e il demone di
Eleusi allo stesso tempo, usando il nome "IaKXoç: i misteri bacchi-
ci di Ipponio e i misteri eleusini possono essere visti perfettamente
in parallelo. Un componimento di Posidippo, un poeta del 111seco-
lo a.C., esprime il seguente desiderio: «possa io raggiungere nella
mia vecchiaia la mistica strada verso Radamanto», Y11QUL µucnucòv
17
olµov no,:ì, 'Pabaµav0uv iKotµriv, vale a dire l'Elisio • Posidippo
menziona dunque la fine della «via sacra» non designata esplicita-
mente nel testo di Ipponio; anche per Posidippo questa è una stra-
da «mistica». Fu trovata a Pella in Macedonia una laminetta aurea
con l'iscrizione: 110IBI~II1110~ MYITH~ («Posidippo inizia-
to»). Si discute se questo Posidippo sia lo stesso poeta che era in
rapporto con la corte macedone, o piuttosto il suo avo 18 • Resta-
no i testi di Pindaro. Un frammento che si riferisce evidentemente
ali'aldilà dice: «essi sono tutti beati prendendo parte alle inizia-
zioni che liberano dagli affanni» (131 a), ÒÀ.~totè)' éirtavi:Eç ataat
ÀUCJLJtovwv 'tEÀEi:àv.Il testo di Pelinna è una specie di commento
a Pindaro, nonostante la distanza cronologica di circa 150 anni:
«Bacchio ti ha liberato». Un altro frammento di Pindaro esalta lo
stato beato dell'iniziato ai misteri: «conosce la fine della vita, cono-
sce l'inizio dato da Zeus», olbE µÈv ~tou i:EÀEui:av,olbEv bÈ
btocrè)o,:ov Ò.QXUV (fr. 137). Anche per questo testo le laminette di
Pelinna forniscono un commento illuminante: «Ora sei morto e ora
sei nato tre volte beato, in questo giorno», v-uv E0avEç Kai vuv
ÈyÉvou, i:QtO'OÀ.~LE, 'flµai:t i:wtbE.
I testi delle laminette auree non sono tuttavia soltanto variazio-
ni di uno stesso LEQOç À.oyoç.Essi presentano idee, situazioni e pro-
spettive diverse. Il gruppo B, come Zuntz lo ha chiamato, è incen-

17 Supplementum He!lenisticum 705, 22. A. Griffith, in Stage Directions. Essays in


Ancient Drama in Honour o/ E.W. Handley, London 1995, pp. 135 s., rinvia a Terenzio
(i.e. Menandro), Adelphoe 575-577, che sembra essere una parodia della descrizione del-
la vita nel!'oltretomba.
18 SEG XLII, 1992, 619. Si veda M.W. Dickie, in <<ZPE», 109, 1995, pp. 81-86;
L. Rossi, in «ZPE», 112, 1996, pp. 59-65.

65
DA OMERO Al MAGI

trato su un'affascinante topografia dell'Ade, descritta in perfetti


esametri, con un «bianco cipresso», una fonte da evitare, e un «La-
go di Mnemosyne» 19 da raggiungere, con i guardiani del Lago e
un'importante parola d'ordine: «lo sono figlio della Terra e del Cie-
lo stellato», che apre la «via gloriosa». In contrasto con queste chia-
re e nitide relazioni, i testi provenienti da Turi e da Pelinna hanno
formule extra metrum che sono intenzionalmente enigmatiche, e so-
no rimaste oscure malgrado un secolo di interpretazioni: «Capret-
to io caddi nel latte», o «toro tu cadesti nel latte, ariete tu ti getta-
sti nel latte» 20 • C'è accordo nel ritenere che queste debbano essere
formule rituali. Non aumenterò il numero dei tentativi fatti per in-
dovinare cosa questo significhi; ci manca la rivelazione iniziatica.
Nessuno dei testi finora noti è preciso a proposito della desti-
nazione finale dei morti. «Vengo supplice alla pura Persefone,
che mi mandi benignamente alle dimore dei puri», dicono alcune
tavolette di Turi2'; anche per Pindaro Persefone prende la deci-
sione (fr. 133); «Tu regnerai con gli eroi», dice il testo di Petelia 22;
ciò è compatibile sia con Esiodo e Pindaro sia con Posidippo.
Esiodo, nelle Opere, introduce le «Isole dei beati», µaKClQWV
vfjoot, come dimora degli eroi dopo la morte; una versione, as-
sente dai manoscritti ma presente in un papiro e in testimoni in-
diretti, fa di Crono, liberato finalmente da Zeus, il re delle Isole
dei beati. Questo è accettato da Pindaro che, nella Seconda Olim-
pica (70), introduce gli uomini perfetti, tre volte provati nella tra-
smigrazione, in viaggio verso «la torre di Crono», la dimora dei
beati. Posidippo pensa all'Elisio di Radamanto; probabilmente
Elisio e «Isole dei beati» erano già identificate in quest'epoca.
«Volgiti verso destra, ai prati sacri e ai boschetti (a.ÀoEa) di Per-

19
Ritenuto pitagorico da Sassi, I 989, p. 255, che rinvia a Filolao, A 30 Diels-Kranz;
Giamblico, Vita Pitagorica165; Diodoro, x 5, I = Scuola Pitagorica, D 1 Diels-Kranz;
Diogene Laerzio, vm 4 = Pitagora, A 8 Diels-Kranz. Cfr. Zuntz, 1971, pp. 380 s. Per
l'inizio della laminetta di lpponio, la lezione MVl)µO<ruVl)ç -robe0gi:ov (West; hLQ6vPu-
gliese Carratelli; HPION laminetta) sembra confermata da Aristofane, Rane 134.
20 Pugliese Carratelli, 1993, p. 54; p. 60 e pp. 62-63.
21
Ibid., p. 50. Cfr. p. 52.
22 Ibid., p. 32.

66
L'ORFISMO RISCOPERTO

sefone», dice uno dei testi di Turi 2i. Non è chiaro se dall'aldiquà
l'anima prosegua verso l'Elisio o le Isole, oppure se resti nei prati
e nei boschetti. In contrasto con questo, le tavolette provenienti
da Turi parlano inequivocabilmente del «divenire dio» 24; ciò può
avere un equivalente in Empedocle, ma non deve essere introdot-
to in tutti i testi.
Un problema, spesso dibattuto in una direzione o nell'altra, è
se la metempsicosi sia presente in questi testi, ed eventualmente
in quale misura lo sia; essi non sono espliciti riguardo a questa
idea, a differenza di Pindaro e Platone. Platone combina la me-
tempsicosi con le iniziazioni misteriche nelle Leggi (870 d):

si aggiunge anche il discorso di chi nella religione dei misteri si è occu-


pato specificatamente di tali argomenti. Ed eccolo tale discorso che ha
completamente persuaso molte e molte persone: per crimini di tale por-
tata ci aspetta un giudizio nell'Ade, e poi, quando si ritorna su questa
terra, si deve scontare la pena secondo la legge di natura, che impone a
ciascuno di subire quello che ha fatto, sì che per lo stesso destino gli
toccherà terminare la nuova vita per mano di altri.

Le laminette sono meno espressive. Alcune, di Turi, parlano


della pena, rtOLVT). Se, nel gruppo B, la fonte da evitare è contrap-
posta al Lago della Memoria, Mvriµoo"uvri, questa dovrebbe es-
sere la Fonte della dimenticanza, AiJ0ri, e se il testo di lpponio, e
il testo parallelo della Sicilia, aggiungono «là le anime dei mor-
ti, scendendo, si rinfrescano», di conseguenza esse procederan-
no dalla dimenticanza verso una nuova vita, come appunto in Pla-
tone2'.
Il testo del Timpone Grande di Turi (A 1) ha questi splendidi
versi:

Volai via dal cerchio della grave terribile sofferenza,


giunsi alla desiderata corona,

21
Pugliese Carratelli, 1993. p. 60.
24
Ibid., pp. 54 e 60.
2~ /bid., p. 20; Platone, Repubblica621 a.

67
DA OMERO Al MAGI

mi immersi sotto al seno della regina ctonia


ÈKò' Èn:tav lCUKÀ.O'U~agun:ev0Éoç àgyaÀÉOLO,
iµegtou ò' Èn:ÉBavcne<)>civoun:ooi Kagn:aÀLµoi<JL
ÒE<J1toi.vaç
{)' un:ò KOÀn:OV
EÒ'UVxeovi.aç BaoLÀEi.aç.

Poesia splendida, sì, ma non è del tutto chiaro se è un'allego-


ria oppure se si riferisce a una realtà rituale. La frase «volai via dal
cerchio» può difficilmente essere interpretata in altro modo che
come liberazione dalla continua ruota della trasmigrazione. C'è
un verso, nei testi orfici più tardi, sulla speranza «di uscire dal
cerchio e tirare un sospiro dal male» oppure - una variante te-
stuale - «rinfrescarsi dal male», àvarrvevcraL o àva'!Jv~aL, noto
forse già a Platone, che parla di 1CU1CÒ)Vàva'!J'U~Lç 26; àva'!J'U~Lç
ricorda il '!JU)(OV'taLdelle laminette: un rinfrescamento prematu-
ro, contrastato dalla àva'!J'U~Lçfinale.

Riassumendo: non si può ragionevolmente dubitare del fatto


che abbiamo a che fare con documenti di misteri bacchici. Sono pe-
rò «orfici»? In che senso? Questo è un problema che è rimasto
aperto, e i detrattori dell'Orfismo possono insistere sul fatto che fi-
no a oggi non c'è ancora una prova certa del fatto che alla doman-
da si possa dare una risposta affermativa. Orfeo non è menzionato
in nessuno di questi testi. È soprattutto in un passo di Erodoto - un
passo controverso a causa della tradizione testuale duplice-, e in al-
cune testimonianze posteriori, che BalC)(LlCa e '0Qq>L1Ca sono asso-
ciati27.Si può supporre che le istruzioni riguardo alla via attraver-
so l'Ade debbano provenire da chi ha visto lo scenario, e non c'è
nulla che possa suggerire Eracle o l'Ulisse omerico per questa fun-
zione; resta Orfeo. Ma il suo nome non compare. La trasmigrazio-
ne, se è presente, può essere tanto pitagorica quanto orfica. Eppu-
re la sfumatura bacchica difficilmente può essere pitagorica; questo
ancora lascerebbe preferire l'opzione orfica.
Qui diviene importante il testo proveniente da Fere:

26 OF 229-230; Platone, Leggi 713 e.


27 Erodoto, 11 81. Cfr. Burkert, 1972, pp. 127 s.

68
L'ORFISMO RISCOPERTO

ITMBOAA. AN~PIKE
IlAI~00iPl:ON. AN~PIKEilA
1~00iPl:ON. BPIMQ. BPIMQ. Ell:10<1>
IEPON AEIMQNA. AilOINOl:
rAP O MiITHl: 28 .
Questo è differente da tutti gli altri testi, e tuttavia è in armonia
con loro. Si è sempre detto che la dichiarazione fatta ai guardiani
del lago è una sorta di parola d'ordine. Troviamo qui il termine va-
lido per questo, O"Uµ~oÀa -lo stesso termine è apparso anche sul-
la nuova laminetta di Sicilia-. Il senso del termine è confermato dal
suo impiego: le parole seguenti ricorrono due volte, come se fosse-
ro pronunciate dall'aspirante e ripetute dal posto di guardia come
conferma. Si trova un parallelo in una iscrizione di Olbia, del 300
a.C. circa, che si riferisce a un gruppo misterico «del nord»,
BoQELKol0taai:-rat: BIOL BIOL AIIOAAQN AIIOAAQN
HAIOL HAIOL KOLMOL KOLMOL <l>QL<l>QL(«Vita-Vita,
Apollo-Apollo, Sole-Sole, Ordine-Ordine, Luce-Luce») 29 • Il «sacro
prato» è un'immagine molto antica e diffusa, ben nota già dall'Odis-
sea; il fatto che sia proclamato «sacro» ricorda la «via sacra» nel te-
sto di Ipponio. La dichiarazione èin:otvoçoµvcrtT]çcorrisponde al-
la dichiarazione del defunto nei testi di Turi, provenienti dal Tim-
pone Piccolo, «ho espiato la pena per fatti ingiusti», n:otv1ìvò'
àvtan:Éi:Et<J(a)3°. La parola µ1JcrtT]ç
conferma: abbiamo a che fare
con i misteri bacchici, come suggerito dalla voce enigmatica:
-01JQ(JOV.
Il restante AN~PIKEIIAI~O0YPLON evidentemente è un
altro enigma, destinato a persistere. Si individua 01JQ<JOV,
e all'ini-
zio sembrano apparire «uomo» e «fanciullo», àvòQl 1ealn:atòoç,

28
Tsantsanoglou, 1997, p. 114 n. 38. Cfr. n. 10. Nel testo si individuano alcune pa-
role: cruµ~oÀa («segnale; parola d'ordine») alla I. l; àvbQi («uomo») e ,rmboç («fanciul-
lo») due volte alle li. 1-2 e 2-3; si leggono poi -0VQCJOV
(«tirso») e, due volte, il nome divi-
no ~QLµw (Brimo) alla I. 3. Segue quella che pare un'esortazione a entrare nello IBQÒV
Ànµwva («prato sacro»). Alla fine si legge chiaramente a,rmvoç oµVCJTT]ç («l'iniziato è
senza pena»).
29
Dubois, 1996, nr. 96.
111
Pugliese Carratelli, 1993, pp. 50 e 52.

69
DA OMERO AI MAGI

una combinazione che è in buon accordo con qualunque scenario


iniziatico. Un n:aiç è importante nei misteri del Cabiria di TebeH.
Ma ho l'impressione che ci sia di più: la sequenza dei suoni sugge-
risce chiaramente 'HQLK:Ért:atoç, e questo è un nome caratteristico,
sebbene enigmatico, della Teogoniadi Orfeo. Questa teogonia è di
data incerta; la più antica testimonianza per 'HQLK:Ért:atoç,oppure
'IQLK:Ért:atoç, è il cosiddetto papiro di Gurob, uno strano testo ri-
tuale del 111 secolo a.C. }z. È molto interessante, e difficilmente ca-
suale, che anche BQtµw, n:otvit e cruµ~oÀa ricorrano in questo te-
sto. Il testo di Fere è dunque vicino a questo documento egiziano,
che è sempre stato definito «orfico». La conseguenza è che il testo
di Fere non solo è bacchico ma anche orfico; e dal momento che
non c'è ragione di isolarlo dagli altri documenti, anche questi do-
vrebbero essere considerati orfici.
Questo ci porta all'altro gruppo di testimonianze, le placche os-
see di Olbia, note dal 1978B. Si è aggiunta un'importante lettura di
Juri Vinogradov, pubblicata nel 1991 }4 • Il contesto di questi graffi-
ti è ancora del tutto oscuro. Placche del genere erano utilizzate an-
che per altre annotazioni. La datazione, prima metà del v secolo, è
basata sulla forma delle lettere. Non ci resta da vedere che il conte-
nuto: si trova parecchie volte ~ION, che possiamo considerare con
fiducia un'abbreviazione per Dioniso - abbreviazioni di nomi ricor-
rono con frequenza nei vasi di Olbia-. Troviamo inoltre, sull'esem-
plare con OP<l>IKOI, BIOI E>ANATOI BIOI («Orfici, Vita
Morte Vita»), seguito da AAHE>EIA («Verità»); un altro ha
EIPHNH TTOAEMOI, AAHE>EIA 'PEY~OI («Pace Guerra,
Verità Menzogna»), oltre a ~ION; un terzo ha una volta di più
~ION e AAHE>EIA, e poi IQMA- 'PYXH («Corpo Anima»);
IQMA è la nuova lezione, fornita da Vinogradov nel 1991.
Siamo in presenza senza dubbio di «Orfismo» a Olbia nel v
secolo, e molto probabilmente di «Orfici» - fatto che confuta de-

11
Nilsson. 1967, tav. 48, 1.
12
OF 31; Orfeo, B 23 Diels-Kranz.
11
Rusajeva, 1978, pp. 87-104; West, 1983, pp. 17-20; Zhmud', 1992; Dettori, 1996.
14 J.G. Vinogradov, Zur sachlichenund geschichtlichenDcutung der Orphiker-Bliitt-

chcn uon Olbia, in Borgeaud, 1991, pp. 77-86.

70
1,'ORPISMO RISCOPERTO

finitivamente la conclusione di Wilamowitz del 1931, che c'erano


'OQq>Ucama non 'OQq>LKOL -. Con ogni probabilità essi sono
connessi con Dioniso. Ciò che più contal ci sono indizi di una
speculazione di genere piu elevato riguardo all'anima e al tema
della vita e della morte. BIOl: 0ANATOl: BIOl:, «Vita - Mor-
te - Vita» è altamente suggestivo: la formula dei testi di Pelinna,
«ora sei morto e ora sei nato tre volte beato, in questo giorno», è
quasi un commento a queste parole; non meno suggestivo è Pinda-
ro quando proclama che l'iniziato ai misteri «conosce la fine della
vita, conosce l'inizio dato da Zeus» (fr. 137 Maehler). Pindaro è
pressoché contemporaneo dei graffiti di Olbia.
Inoltre, appare una forma di pensiero basata sugli opposti,
tracce di dualismo che hanno fatto pensare subito ad Eraclito. t
particolarmente impressionante l'insistenza sulla «verità» con-
trapposta alla «menzogna». Il rapporto con Eraclito non è però
di semplice dipendenza. Abbiamo le frasi minacciose di Eraclito
contro i µùyoL che vagano di notte, i Bacchi, le Baccanti, gli ini-
ziati, VlJK'tL3tOÀOLçµayoLç, ~OICXOLç, À~VaLç,µucrtaLç, perché SO·
no iniziati a convenzionali misteri umani lontani dal sacro; dun-
que «la giustizia condannerà gli artefici e testin1oni di menzo-
gne», ~LKll KatuÀ~'!Jt::taL '!JEUOÉwvtÉK'tovuç K<lÌ µciQtUQaç1'.
Sembra che Eraclito di Efeso polemizzi contro i misteri bacchici
del tipo che troviamo a Olbia, la colonia di Mileto.
Il contesto dionisiaco è confermato dal fatto che il più antico
resoconto relativo ai misteri (tEÀEtaO bacchici è ambientato pro-
prio ad ()lbia, praticamente all'epoca di queste placche ossee. Un
capitolo di Erodoto (Iv 78-80) narra la storia del re Scilc: Scilc de-
siderava essere iniziato ai misteri di Dioniso Bacchico, ~LovucrwL
BUKXELUJL tEÀt::crOijvcu.La madrepatria di C)lbia è Mileto, dove i
misteri di Dioniso Bacchico sono pure attestati da una famosa
iscrizione del III secolo a.C. 11'. Ciò che più conta, la più antica at-
testazione per il grido bacchico Er AI proviene da C)lbia, da
un'iscrizione su uno specchio rinvenuto in una tomba del VI se-

11
Eradi10, B 14 Dids Kranz; B 28 Di,·ls Kn111z. CJr. rnp. IV 11. l 'J.
1
'' i:. Sokolowski, /,(//\ 1<1crà·1 di' l'lh1c· Mm,·uri·,l'aris 1'!5'5, IH. 48.

71
DA OMERO AI MAGI

colon: ~HMQNALLA AHNAIO ETAI KAI AHNAIOL


~HMOKAO EIAI - suggerirei che «Lenaios, figlio di Demo-
klos» sia il figlio di Demonassa, e porti il nome del nonno, Le-
naios }8 -. Evidentemente per questi defunti il grido bacchico ave-
va un significato speciale: sono presentati come ~E~UXXEuµévo1,,
per usare il termine di un'iscrizione del v secolo di Cuma, che as-
sicura il privilegio degli iniziati defunti: «Non è lecito che giaccia-
no qui se non sono bacchici», où 0éµ1,çÈvtoù0a 1CEt08a1, (E)Ì.µÈ
9
"tÒV ~E~UXXEUµévov}• Per dirlo ancora con le parole di Pindaro:
«essi sono tutti beati prendendo parte alle iniziazioni che liberano
dagli affanni».
Per riassumere: abbiamo testimonianze incontrovertibili per
'OQcj>ucàKai Ba1C)::LKa, misteri orfico-bacchici rivolti soprattutto
a una condizione di beatitudine dopo la morte. Le testimonianze
cominciano con la tomba di Olbia, diventano esplicite nella pri-
ma metà del v secolo con le laminette di Olbia e l'iscrizione di
Cuma, sono pienamente chiarite dal testo di lpponio del 400 cir-
ca, seguito da tutte le laminette auree del IV e III secolo; si aggiun-
gono l'iscrizione di Mileto e il papiro di Gurob 40 • Abbiamo anche
testi paralleli nella letteratura classica, da Eraclito attraverso Pin-
daro a Erodoto, fino a Posidippo. Questi misteri sono paralleli al-
le istituzioni eleusine, ma non sono organizzati attorno a un cen-
tro; sono fatti circolare, come sembra, da 'tEÀEm:aL(«iniziatori»)
itineranti. Perciò essi differiscono tra sé per formule e aspetto
esteriore e probabilmente nella pratica rituale. Permane tuttavia
una chiara affinità fra le testimonianze che impedisce di costituire
gruppi totalmente separati al loro interno.

Ora è il momento di considerare la pittura vascolare apula,


che è rappresentata da un vasto insieme di reperti. È chiaramen-

i7 Edita da Rusajeva, 1978; Dubois, 1996, nr. 92.


JH El' Al si trova anche graffito su un frammento di skyphos da Berezan, VI secolo
a.C., SEG XXXII, 1982, 779; Dettori, 1996, p. 302.
2
i 9 L.H. Jeffery, The Locai Scripts o/ Archalc Greece , Oxford 1990, p. 240 nr. 12;
Burkert, 1991, p. 33.
40
Supra,nn. 21 e 24.

72
L'ORFISMO RISCOPERTO

te una particolarità della pittura vascolare dell'Italia meridionale


del IV secolo combinare l'iconografia dionisiaca con il culto dei
morti in un modo sistematico e coerente: molti di quei vasi furo-
no creati espressamente per le tombe, come i crateri a volute, ad
esempio, e le cosiddette anfore a cilindro; altri hanno fori sul
fondo ed erano dunque inutilizzabili nella vita quotidiana 41 • Ci
sono due gruppi di iconografia standard in questo contesto: sce-
ne presso la tomba e scene bacchiche. La prima categoria è carat-
terizzata dal monumento funebre che costituisce il centro della
scena, una stele o una aedicula.Su entrambi i lati appaiono figure
di giovani, con i maschi generalmente nudi, che portano doni al-
la tomba; essi sono evidentemente viventi che rendono omaggio
al defunto. Si possono notare tre particolarità sorprendenti: que-
ste persone non esprimono dolore o cordoglio; appaiono a cop-
pie, maschi e femmine in egual numero, spesso interessati gli uni
agli altri; i doni che portano comprendono regolarmente caratte-
ristici oggetti dionisiaci, uva, timpani, foglie d'edera - talvolta
grandi foglie d'edera sono dipinte senza una concreta connessio-
ne con la scena -; talvolta appaiono tirsi e anche satiri. Anche i
defunti rappresentati nelle aediculaepresentano attributi dioni-
siaci: il tirso, il kdntharos,la cesta con le foglie d'edera. Aggiunte
sorprendenti sono i bacili d'acqua, sia presso la tomba che all'in-
terno dell' aedicula,insieme a recipienti per le abluzioni che pos-
sono essere utilizzati per il «bagno>>,vale a dire per versare acqua
sulla testa e sulle spalle. Nell'altra categoria, le scene bacchiche,
troviamo due sottotipi che possono essere chiamati komos e sy-
stasis:o un gruppo marcia verso la festa dionisiaca, accompagna-
to da satiri, con recipienti pieni di vino, torce, tirsi ecc., oppure
un fanciullo e una fanciulla stanno di fronte, uno seduto e uno in
piedi, non di rado accompagnati da satiri, sempre con tirsi. Si può
suggerire che questa scena alluda ai rituali iniziatici: il «sedersi» sen-
za dubbio ne rappresenta una fase, prima che !'iniziando si alzi per
41
Opere di riferimento sono A.D. Trendall, The Red-/igured Vases o/ Lucania,
Campania and Sicily, Oxford 1967; A.D. Trendall, A. Cambitoglou, The Red-Figured
Vases o/ Apulia, 3 voli., Oxford 1978-1982. Per l'Orfismo, si vedano Schmidt, 1975;
Schmidt-Trendall-Cambitoglou, 1976.

73
DA OMERO Al MAGI

prendere parte al tiaso festivo. Bacili e recipienti per l'acqua riman-


dano alle purificazioni precedenti. In altre parole, queste pitture
apule sembrano illustrare non tanto le normali attività dionisiache,
simposio e komos, ma sembrano rimandare ai 'tEÀ.E'taL che hanno a
che fare con la beatitudine ultraterrena.
Un vaso apparso sul mercato nel 1992 e pervenuto a Toledo
negli Stati Uniti presenta una scena unica 42 : Dioniso è giunto nel-
l'Ade e stringe la mano al dio degli inferi, "ALòaç, come dice
l'iscrizione. Dioniso è accompagnato da menadi con timpano e
torce e un giovane satiro si mette a giocare con Cerbero. Anche
Ermete, guida dell'oltretomba, è presente. Troviamo qui la con-
nessione di Dioniso con l'aldilà in una forma mitica, che confer-
ma l'impressione che abbiamo ricavato dal culto dionisiaco pres-
so le tombe e dalle altre scene bacchiche: non esiste terrore del-
1'aldilà per Dioniso. Non è chiaro se questa raffigurazione di Dio-
niso rappresenti un particolare mito. Si raccontava a Lerna che
Dioniso si recò nell'oltretomba per prendere Semele4 \ ma Seme-
le non appare in questa pittura. Ritorna alla mente un passo di
Orazio che menziona la catabasi di Dioniso, mentre Cerbero gli
lecca i piedi 44 • Orazio però menziona un Dioniso che porta le cor-
na, le quali non appaiono nella pittura vascolare: le tradizioni
bacchiche non sono uniformi.
Molto più popolare, nella pittura tarentina, è la catabasi di
Orfeo. Ci sono numerose varianti, note da lungo tempo, di un
grande quadro dell'oltretomba. Orfeo suona la lira nel palazzo di
Ade e Persefone, alla presenza di tutti gli abitanti degli inferi:
Tantalo, Sisifo, le Danaidi, le Erinni, Cerbero, i figli di Medea e
anche Eracle. Può darsi che in origine ci sia una pittura murale di
T aranto 45 • Un'allusione ai misteri sembra contenuta in un gruppo
che è chiamato «la famiglia beata», persone in una condizione di
beatitudine senza un'identità mitologica. Più interessanti per il
42
S.I. Johnston, T.J.McNiven, Dionv.ws and the Underworld in Toledo, in «MH»,
53, 1996, pp. 25-36.
41 Pausania, 11 37, 5.
44
Orazio, Carmi II 19, 29-32.
45
Schmidt, 1975. taw. 10-13; Bianchi, 1976, figg. 69-71.

74
L'ORFISMO RISCOPERTO

nostro contesto sono le rappresentazioni di Orfeo tra i Traci, do-


ve bacili d'acqua e supporti per incenso costituiscono una strana
presenza tra i barbari 4". Non si può fare a meno di parlare di una
«purificazione orfica».
Più esplicito è il vaso, che si trova ora a Basilea, pubblicato da
Margot Schmidt nel 197547 • Orfeo sta suonando la lira non all'in-
gresso del palazzo di Ade, ma presso un'aedicula normale, dove
siede un vecchio d'aspetto nobile; un dettaglio unico: tiene un ro-
tolo di papiro in mano. Tutto ciò combina Orfeo, la beatitudine
nell'aldilà e il libro in un modo che non può essere una pura coin-
cidenza. Il messaggio deve essere: è il canto di Orfeo, contenuto
nel libro, che garantisce una quieta felicità per i defunti. Esistono
confuse testimonianze riguardo ad Orfeo in Italia meridionale 48 •
Se il rotolo orfico nella mano del defunto contenga una guida per
l'aldilà del genere della laminetta di Ipponio, o la Teogonia di Or-
feo, o qualcosa di simile al papiro di Derveni, o al papiro Gurob,
non possiamo dirlo. Invano tenteremmo di identificare il suo con-
tenuto tra gli Orphicorum Fragmentasuperstiti.
Non discuterò il gruppo di terracotta di Orfeo e le Sirene, che
giunse, senza dubbio provenendo da una tomba apula, al Paul
Getty Museum a Malibu nel 197649 • Si possono interpretare Or-
feo e le Sirene nel senso di una ascesa celeste, come io ho indicato
altrove: uno degli scoli a Virgilio afferma che la cetra di Orfeo ha
sette corde corrispondenti alle sfere celesti, e che «le anime non
possono ascendere verso il cielo senza la cetra», et negantur ani-
mae sine citharapasse ascendere50 •
Un'ultima, unica raffigurazione di questo corpus51 : un'erma

46
Schmidt, 1975, tavv. 1-6.
47 Schmidt, 1975, tavv. 7-8; Schmidt-Trendall-Cambitoglou, 1976, pp. 7-8 e 33-35;
tav. 11.
48
Burkert, 1972, p. 130.
49
The P.]. Getty Museum. Handbook o/ the Collection, Malibu 1986, p. 33; A. Bot-
tini, P.G. Guzzo, Orfeo e le sirene al Getty Museum, in «Ostraka», 2, 1993, p. 52.
io J.J.
Savage, in «TAPhA», 56, 1925, p. 236; W. Burkert, Orphism and BacchicMys-
teries: New Evidence and Old Problems o/ Interpretation, The Center for Hermeneutical
Studies, Colloquy 28, Berkeley 1977, p. 31.
ii Schmidt, 1974, pp. 120 s. e tav. 14; British Museum F 270.

75
DA OMERO Al MAGI

segna il centro della rappresentazione, una frontiera; a destra si


trova un giovane, una lira in mano, che tiene Cerbero al guinza-
glio, mentre un altro giovane con il suo vecchio servitore si awici-
na da sinistra. La sezione superiore presenta un satiro, Ermete e
Afrodite. Il suonatore di lira deve essere certamente Orfeo - ci
sono altre rappresentazioni apule di Orfeo senza berretto frigio -;
l'interpretazione diviene allora chiara: al limite dell'Ade, marcato
dall'erma, Orfeo, con la sua lira, domina il terrore dell'oltretom-
ba, soggiogando Cerbero.
Manteniamo una posizione di prudenza: una religione unita-
ria orfico-italica dell'aldilà non è documentabile attraverso l'ico-
nografia apula. Le raffigurazioni non sono sostituti dei testi di
Orfeo che devono essere circolati ali'epoca in Italia, ma che risul-
tano per noi perduti. La presenza di Orfeo caratterizza solo un
piccolo settore dell'ambiente dionisiaco illustrato nei vasi apuli;
non è da ritenere che tutto il simbolismo funerario, e addirittura
il credo funerario, di carattere bacchico o dionisiaco, debbano es-
sere allo stesso tempo «orfici». In questa prospettiva l'orfismo ap-
pare piuttosto come un movimento elitario all'interno di una tra-
dizione di culto bacchico più vasta; il legame con i libri rimarreb-
be in ogni caso privilegio della classe superiore.

Attualmente sappiamo per certo che Dioniso non era un «dio


nuovo», ma una delle antiche divinità greche, collegata a Zeus già
nell'età del bronzo 52 , venerata con continuità specialmente nel
territorio degli Ioni, Atene compresa. Non possiamo essere sicuri
che i misteri, con il loro orientamento in direzione della beatitu-
dine nell'aldilà, fossero realmente un nuovo sviluppo databile -
diciamo - al VI secolo, anche se è allettante vedere la correlazione
con ciò che è stato chiamato «la scoperta dell'individualità» in
questa epoca.
Se siamo in cerca di qualunque influsso possa aver operato in
questo periodo, salvo l'evoluzione interna della società greca, una
direzione verso cui guardare è chiaramente l'Egitto. La preoccu-
52
Il testo decisivo, da Chanià, è stato pubblicato in «Kadmos», 31, 1992, pp. 75-81.

76
L'ORFISMO RISCOPERTO

pazione per una condizione di beatitudine dopo la morte aveva


dominato la civiltà egiziana per millenni. Fin dal Regno Nuovo
era stato Osiride la divinità fondamentale per la via attraverso
l'aldilà. Più precisamente, la scena nei testi del tipo di Ipponio,
coi guardiani al lago, l'anima assetata, le formule da dire loro,
hanno sempre richiamato alla memoria una scena del Libro dei
Morti. Ci sono l'albero, l'acqua, i guardiani, e la preghiera dell' as-
setato, che sono comuni. Persino Zuntz è disposto ad accettare
questa connessione 53 • Da notare che i testi egiziani erano regolar-
mente accompagnati da raffigurazioni; doveva quindi essere più
facile per i Greci in Egitto comprendere di che cosa si trattasse.
Ma Osiride, il dio dei morti in Egitto, fu identificato con Dioniso
già nel V1 secolo, il che doveva sospingere anche Dioniso nella
sfera dei morti, se non aveva questa funzione fin dalle origini54 • Si
noti che anche il famoso «carro navale» di Dioniso è di derivazio-
ne egizia55 • I dettagli del contatto culturale, che deve aver avuto
luogo già nella prima metà del V1 secolo, ci sfuggono tuttora e
non appaiono nella nostra documentazione.
Ma ci sono anche alcune indicazioni che puntano piuttosto in
direzione del versante iranico. Ciò condurrebbe alla seconda me-
tà del VI secolo, dopo l'impatto causato dalla conquista della Io-
nia da parte di Ciro nel 547 a.C. Da notare i µciyoLche appaiono
tra i Bacchi nel testo di Eraclito (B 14 Diels-Kranz)' 6 • L'idea della
«ascesa al cielo» sembra essere iranica; ma questa non è promi-
nente nelle laminette auree, anche se l'aggiunta di 'Acr-cÉQLOç
(Asterios) ovoµci µoL in una di esse 57 mostra una tendenza verso
l'immortalità astrale. L'indizio più puntuale deriva dalle tavolette
di Olbia: l'insistenza sull'antitesi verità- menzogna, AAH0EIA
- 'VEY'L\O~, rimanda alla fondamentale opposizione tra asha e
drug nella tradizione zoroastriana, che risuona anche dalle iscri-

51
Zuntz, 1971, pp. 370-376; E. Homung, Das Totenbuch der Àgypter, Ziirich 1979,
pp. 128-130. Si veda anche Maass - Lindemann e Maass, 1994.
H Erodoto, n 42, 2; 144, 2. Si veda Casadio, 1996.
55
Boardman, 1980, pp. 137 s. con figg. 162-3; Casadio, 1996, pp. 220-273.
56
Si veda cap. IV n. 19.
57
Pugliese Carratelli, 1993, p. 36.

77
DA OMERO Al MAGI

zioni di Dario. Se terminiamo con una sorta di miscuglio sincreti-


stico, ciò non è per nulla sorprendente. MayoL itineranti e
'tEÌ..oùvi:Eç 'tWL ~LOV'\JOWL («iniziati ai misteri di Dioniso») pote-
vano ben incontrarsi prendendo elementi gli uni dagli altri. Si ri-
cordi come, molto più tardi, Simon Mago desiderava prendere
parte al potere effettivo di San Pietro (Atti 8, 9-24).

Il papiro di Derveni è l'unico testo papiraceo mai rinvenuto in


Grecia, in forma carbonizzata, in una tomba macedone del IV se-
colo a.C.; non è ancora stato edito in modo definitivo, a trentacin-
que anni dalla sua scoperta. Una pubblicazione incompleta, non
autorizzata ma necessaria, data già al 1982 (nella rivista «Zeit-
schrift fiir Papyrologie und Epigraphik»). Nel 1993 si è tenuta a
Princeton una conferenza sul papiro di Derveni, organizzata da
André Laks e Glenn Most, alla presenza di Konstantinos Tsantsa-
noglou, professore dell'Università di Salonicco a cui compete
l'edizione finale. Egli ha indicato nuove lezioni del papiro, spe-
cialmente i frammenti delle prime colonne 58 •
Io accetto una datazione al 330 circa per la combustione del
rotolo e una datazione al 420-400 per la composizione del testo.
Le nuove colonne sono estremamente frammentarie - erano quel-
le situate sulla parte più esterna del rotolo -; la loro interpretazio-
ne spesso non va oltre il livello di un tentativo. Sappiamo ora che
Eraclito è citato per nome nella colonna 4 (nuova numerazione),
con due frasi già note in precedenza 59 • Ma il commento dell'auto-
re a Eraclito e lo scopo della sua citazione sono piuttosto oscuri.
Ciò che è emerso in modo definitivo è che la designazione del
testo come «commento presocratico alla Teogonia di Orfeo» 60
non corrisponde al testo nella sua interezza; il commento inizia
solo alla colonna 7 (nuova numerazione). Un titolo TIEQL 'tEÀE'tWV

58
Laks-Most, 1997, con traduzione inglese di tutto il testo e bibliografia completa
di M. Funghi, e l'articolo di Tsantsanoglou, 1997.
59
Eraclito, B 3 e B 94 Diels-Kranz; D. Sider in Laks-Most, 1997, pp. 129-148;
Tsantsanoglou, 1997, pp. 96 s.
1
<~ W. Burkert, Orpheus und dic Vorsokra!tker. Bemcrkungen zum Dcrveni-Papyrus
und zur pythagoreiIChen Zahlenlehrc, in «A&A», 14, 1963, pp. 93-114.

78
· L'ORFISMO RISCOPERTO

(Sui misteri) sarebbe ragionevole; io ho proposto Stesimbroto di


Taso come autore, sulla base di prove molto esili61 • Un'acquisizio-
ne definitiva è la dimostrazione, grazie agli studi di Albert Hen-
richs e Dirk Obbink, che il nostro testo è citato nel TIEQL
eùae(3e(aç (Sulla pietà religiosa)di Filodemo, attraverso Filocoro
e Apollodoro, come pare. Il testo di Filodemo ha: Kàv i:olç
"iµvoLç òÈ 'Og<j>eùç nagà <l>LÀOX<>QWL ff)v Kai dTJµrii:ga ,:iJv
aù-tiJv 'EITTtaL(«negli Inni Orfeo - in Filocoro - dice che Terra e
Demetra sono equivalenti ad Estia»), in corrispondenza evidente
con la colonna 22(18) del testo di Derveni: ÈITTL òÈ Kal Èv ,:olç
"iµvoLç ELQ11µÉvov («ed è detto anche negli Inni che ...») 02 • Si po-
trebbe intendere che il testo di Derveni sia davvero di Filocoro;
ma allora la datazione della tomba di Derveni, e della combustio-
ne del rotolo, dovrebbe essere cambiata. Sembra meno difficile
pensare che Filocoro abbia citato il nostro autore. In ogni caso è
provato che il testo di Derveni non è esotico e marginale, ma fa
parte della normale letteratura classica e poteva essere letto do-
vunque, Atene inclusa.
Non entrerò nelle affascinanti movenze presocratiche dell'au-
tore di Derveni. Evidentemente dipende da Anassagora e Dioge-
ne di Apollonia, ma anche da Eraclito e forse Leucippo. Non svi-
lupperò neppure la teoria dell'allegoria, dell'aì.vt~ELV,che l'auto-
re utilizza per modificare la grottesca mitologia orfica in una vi-
sione presocratica del mondo. Al centro dell'attenzione ci sarà la
testimonianza che il testo fornisce a proposito della Teogonia di
Orfeo. Questa teogonia, ampiamente citata, viene così fatta risali-
re fino alla prima parte del v, se non al VI secolo. Nel 1966 io ave-
vo confrontato il proemio di Parmenide, il viaggio attraverso la
porta del giorno e della notte, con l'ingresso di Zeus nella caverna
della notte secondo gli Orphicorum Fragmental,l:questo episodio

"1 W. BP!kert, Der Autor von Dervem. Ste.umhrotoJ nEQÌ TEÀHtÌ>V;,, in «ZPE», 62,
)986, pp. l-5.
62
A. Henrichs, in «CronErc». 5, 1975, p. 18; D. Obbink, A Quotation o/ the Derve-
ni Papyrus in Phi/odemus' On Piety. in «CronErc». 24, I 994. pp. 111-35.
63
W. Burkert, DaJ Proomium des Parmenide.i und die KatahaJÙ de.1 Pvthaioras, in
«Phrones1s». 14, 1967. pp. 1-30.

79
DA OMERO AI MAGI

è ora esplicitan ente attestat0 P•.:rla Teogonia di Orfeo {coli. 10-


1

13 [6-9]) e potrei .b~ essere :Jr.teriore a Parmenide. Troviamo an-


che il verso notevole su leus che «divenne l'unico», airtòç o'
èiQa µouvoç ÈyEv-to {col. 16[12], 6), che awalora la lezione
µouvoyEvÉç di Parmenide {B 8, 4 Diels-Kranz). Un'altra corri-
spondenza concerne il dio creatore che dà atto alla creazione me-
diante il suo pensiero, µrp:(ooa'to in Parmenide {B 13 Diels-
Kranz), µ11cra1:onel testo di Derveni {col. 23(19], 4). Sono incline
a concludere che Parmenide conoscesse la Teogonia di Orfeo, il
che significherebbe accettare una datazione al VI secolo. Non è
comunque il testo che Proclo leggeva e commentava, che ha tra-
mandato la maggioranza dei testi raccolti da Kem in Orphicorum
Fragmenta.In più di un caso possiamo confrontare la teogonia di
Derveni con la Teogonia rapsodica posteriore.
Ritengo che l'autore di Derveni stia normalmente seguendo il
testo poetico che ha di fronte agli occhi, sebbene possa tralasciare
gruppi di versi - la ricostruzione presentata da Martin West
exempli gratia64 , che presuppone che quasi tutti i versi siano pre-
senti nel commento frammentario che abbiamo, sarebbe dunque
lontana dall'originale-.
Dopo l'invito alla segretezza, con un verso famoso citato an-
che da Platone: «Io canterò per quelli che sanno; chiudete le por-
te, non iniziati» {col. 7[3]) 65 , la teogonia inizia con la Notte come
prima potenza del cosmo, il che è in accordo con le testimonianze
di Aristotele ed Eudemo. Urano, che fu il primo re, è introdotto
com·e figlio della Notte: OÙQavòç Eù<j>Qovi.oriç,oç 1tQW1:tITToç
~aO'tÀElJO'EV {col. 14[10], 6); questo è in contrasto con Esiodo,
dove Urano è figlio della Terra, e solo Zeus diviene «re». Poi Or-
feo segue la Teogonia di Esiodo: «da lui, di nuovo, Crono, e poi
Zeus il consigliere», tre re in sequenza, ÈKi:ou OTJ KQovoç a'Òttç,
È1tEL1:a OÈ µrii:téi:a ZEuç {col. 15(11], 6). Crono commette una
«grande azione» contro Urano, e gli sottrae la sovranità {col.
14[10], 5). Senza dubbio la storia della castrazione è presente co-

64
West, 1983, pp. 114 s.
65
OF 334~ 13 =Platone.Simposio 218 b.

80
L'ORFISMO RISCOPERTO

me in Esiodo, sebbene forse non con tutti i suoi dettagli; manca


ad esempio la nascita di Afrodite. A tempo debito a Crono succe-
deva Zeus. Zeus udì oracoli dal padre (13[9], 1) e si recò
all'èibu'tov («inaccessibile penetrale») della Notte, che gli diede
«tutti gli oracoli che in seguito avrebbe mandato a compimento»,
«in modo da stabilire il suo regno sull'alto Olimpo» (col. 11[7],
10; 12[8], 2).
La conseguenza del fatto che Zeus abbia udito gli oracoli è
sorprendente: «Ingoiò il fallo (del re) che aveva per primo eiacu-
lato la brillantezza del cielo», <~acnÀftoç> aì.boioy K'a'tÉ3tLVEV,
oç aÌ.0ÉQa ex0oQE 3tQW'toç(col. 13[9], 4). La traduzione e inter-
pretazione di questo passo è però divenuta controversa in due
punti, concernenti aÌ.ÒOLOVe EX00QE (EK'00QEin ortografia nor-
male). Non c'è dubbio che l'autore del nostro testo intenda
aì.boiov come fallo; egli si diffonde sul senso cosmogonico del-
1'espressione, riferendola al sole come fonte della generazione
(col. 13[9]). Ma nell'uso epico aì.boiov è un aggettivo,
«rispettabile», e Martin West ha proposto una combinazione di ver-
si che restituirebbe questo senso: «egli ingoiò il famoso daimon, il
rispettabile», Kai òaiµova 1CUbQÒV I aì.òoiov Ka'tÉ3tLVEV 66
• La

proposta ha avuto un memorabile successo presso gli interpreti,


perché elimina il parallelo ittita di cui parleremo subito. Ma urta
col testo del commentatore in duplice modo: non solo questi
chiaramente parla del «fallo» solare, ma cita l'altro verso sul «fa-
moso daimon» due volte, in una forma che non lascia dubbi sulla
sintassi: «Zeus prese il regno e il famoso daimon», ÙQXflVÈv
XELQEcrcr' EÀa~EvKai òai.µova 1CUÒQOV 0
'. Non posso credere che
l'autore, che non era uno sciocco, abbia potuto giocare un simile
scherzo al suo pubblico, che aveva la possibilità di leggere il testo
nella sua interezza, e spezzare un sintagma semplice e tradizionale
per parlare del fallo del re. Possiamo inoltre leggere in Diogene
Laerzio, nel proemio (1, 5), che Orfeo «attribuì agli dèi atti ripu-
gnanti che anche alcuni uomini commettono ma raramente con

66
West, I 98,. pp. 85 s.; cfr. 114: ~eguito da Laks-Most, 1997, pp. 15 , .
.; Col. 8[-11. 'i. 7. IO; col. 9[51. Hl.

81
DA OMERO AI MAGI

l'organo della voce», un'allusione a un «innominabile» contatto


oro-genitale. Ingoiare un fallo è proprio l'esplicitazione di questo.
L'autore di Derveni non era solo nelle sue fantasie. È dunque da
respingere la combinazione del West. Ai8ÉQa EX80QEfu inter-
pretato senz'altro come «balzò nell'etere», con una funzione inso-
lita ma possibile dell'accusativo. Ma il testo lacunoso di col.
14[10],1. .. ÈX8<>Qf1L -ròv ÀaµJtQO-ra-rovTE Kaì. ÀE'UKo-ra-rov,che
evidentemente riprende questo verso, mostra che si tratta di un
accusativo normale, cosa che induce ad accettare anche qui un si-
gnificato fallico. E>QWO'KWV KVwòaÀa, «procreando mostri», con
costruzione transitiva, è attestato nel v secolo, in una tragedia di
Eschilo (fr. 15 Radt). Ma che fallo sarebbe stato ingoiato? Comin-
cia la nostra fantasia. La possibilità più attraente è che si tratti del
fallo di Urano castrato; Urano avrebbe creato la brillantezza del
cielo eiaculando, ai8ÉQa EX80QEJtQWToç,e poi questo fallo, in-
goiato da Zeus che è il pneuma universale, divenne il sole.
Zeus che ingoia il fallo di Urano non può essere separato dal
celebre testo ittita relativo alla «sovranità in cielo», pubblicato nel
194668 • Qui a Kumarbi viene fatto fare proprio questo, in relazio-
ne ad Anu, il dio Cielo: egli morde ed ingoia il fallo del re; di con-
seguenza, Kumarbi diviene gravido del Dio delle Tempeste e di
due fiumi nel contempo; così si compie il «mito della successio-
ne», che in qualche forma raggiunse Esiodo e fu assimilato e tra-
sformato da quest'ultimo. C'è ingoiamento anche in Esiodo:
Zeus, corrispondente al Dio delle Tempeste, ingoia MT)-rLç,la
Prudenza, per tenerla nel suo ventre 09 • Nella Teogonia di Orfeo
troviamo adesso una versione più vicina a quella antica anatoli-
ca, alla mitologia ittito-hurrita, un motivo pre-esiodeo. Anche la
conseguenza di questo atto, per Zeus, è molto simile a quella
di Kumarbi: egli contiene ora ogni cosa in sé, fiumi e fonti in-
clusi, e ne produce un mondo variegato, ma ordinato dal suo
pensiero. Questo è il più esteso e più interessante passo citato
(col. 16[12], 3):

6
~ Cfr. cap. 1 n. 15; 11 n. 63.
1,s Esiodo. Teogonù1 886-900.

82
,L'ORFISMO RISCOPERTO

...dei genitali del re primogenito; da lui in aggiunta sorsero tutti gli


immortali, gli dèi beati e le dee, e i fiumi e le amabili sorgenti, e tutte le
altre cose che erano nate allora: lui stesso divenne l'unico .
...JtQW'toyovou ~acrtÀÉwç atòoi.ou· toù b' èiQa :1tavtEç
<Ì0ClVU'tOl JtQOCJÉq>UVµaKUQEç 0EOL~ùÈ 0ÉatVUL
Kai JtOtaµqi Kai KQTJVUl ÈJtfJQU'tOl,aÀÀa tE JtClV'ta
ocrcra tot' ~V yEyawt(a)· aùtòç b' èiQa µoùvoç ÈyEvto.

Abbiamo il corrispondente passo della Teogonia rapsodica


più tarda; possiamo dunque confrontare la forma precedente e
seguente della Teogonia di Orfeo (OF 21 a; cfr. 167). Qui Zeus
ingoia Phanes, il re primogenito,

e tutto questo svelando, di nuovo alla luce gioconda dal cuore sacra
portò, compiendo cose stupende.

Parte dei versi già conosciuti dal testo di Derveni ritornano


leggermente modificati (OF 167):

i fiumi, il mare infinito, e tutte le altre cose, tutti gli immortali, gli dèi fe-
lici e le dee, quante cose erano nate e quante lo sarebbero dopo
Kai Jtotaµoi Kai :1tovtoç <ÌJtELQttoç, aÀÀa tE navta,
JtClV'tEçt' à0aVa'tOL µaKUQEç 0EOL~òÈ 0ÉatVUL,
ocrcra t' EflV' yEyawta Kai UCJtEQOV()JtJt()(J' ȵEÀÀEV...

L'immagine di uno Zeus «da cui tutte le altre creature era-


no cresciute» risulta strana. Questa idea sembra essere anco-
ra una volta in relazione con l'Egitto. A partire dall'epoca della
XXVI dinastia è caratteristico dell'Egitto l'uso di combinare vari
dèi in una figura complessiva ìo. Il testo del papiro di Derveni è
praticamente la verbalizzazione di tali disegni egiziani: «tutti gli
altri dèi erano cresciuti da lui - esso era diventato l'unico-». Nel-
la teologia egiziana, il dio che «crea se stesso» è l'unico e tutto.
Emergerebbe così uno sfondo «sincretistico» dell'Orfismo ritro-
vato.
7
" der Agvpter. Berlin 19H. pp. ~ IO l' l25
A. Erman. Ore Rclr?,111n

83
DA OMERO Al MAGI

Proseguiamo con la Teogonia d'Orfeo: allo Zeus universale si


riferisce il cosiddetto Inno a Zeus, al quale anche Platone 71 fa rife-
rimento, che celebra Zeus come primo e come ultimo, il princi-
pio, il mezzo e la fine, il re e il signore di ognuno e di ogni cosa:

Zeus fu il primo, Zeus l'ultimo, dal fulmine splendente,


Zeus è il principio, Zeus è il mezzo, da Zeus tutto fu formato,
Zeus re, Zeus primo autore di ogni cosa ...
ZEùç JtQWtoçyÉVEtO,ZEùç ucnatoç àgytKÉQauvoç.
ZEùç CXQX'll' ZEùç µÉcrcra,~toç ()' ÈKJtavta tÉtUKtal.
ZEùç ~acrtÀEÙç,ZEùç àgxòç (lJt(lVtWV ...
(col.17 [ 13]; 19[ 15]).

Per questo passo abbiamo addirittura due versioni posteriori


l'una citata nel Trattato sul cosmo per Alessandro, di incerta attri-
buzione aristotelica (401 a 25 = OF 21 a), l'altra in Porfirio (OF
168). Delle due, la versione pseudo-aristotelica è certamente la
più antica; se essa debba essere identificata con la teogonia di
Derveni, resta dubbio; non c'è traccia dei versi addizionali di
questa citazione nel papiro. Forse dobbiamo accettare tre stadi
successivi della teogonia orfica.
Nella continuazione del testo di Derveni, dopo un passo pole-
mico inserito dall'autore, Zeus sembra essere attivo producendo
per prima cosa gli dèi e poi creando il mondo. Appaiono l'attività
sessuale del dio (col. 21 [17]), e con ogni probabilità la nascita di
Afrodite; poi Zeus prosegue la creazione «pensando», µricra'to.
Crea Oceano, il confine tra Cielo e Terra, ed Acheloo, archetipo
dei fiumi. Seguono la luna, le stelle e altri corpi celesti, compre-
sa la via lattea. È importante e interessante che si trovino così in
Orfeo sia teogonia-cosmogonia in senso proprio, con atti sessuali,
che creazione attraverso la riflessione mentale. Si sarebbe potuto
pensare che si trattasse di due gradi diversi nella Geistesgeschichte
- ma di fatto già il babilonese Enuma elish presenta entrambe le
forme nella stessa sequenza: generazione e combattimento all'ini-

71
Platone, Leggi 715 e= Of 21.

84
L'ORFISMO RISCOPERTO

zio, e l'ammirevole meditazione del dio Marduk nella seconda


parte 72 -.
L'ultima colonna conservata sembra introdurre un nuovo te-
ma, Zeus che violenta la propria madre, Rea-Demetra, molto pro-
babilmente per generare Persefone. Ciò condurrebbe ulterior-
mente al Dioniso ctonio, figlio di Zeus e Persefone. Il destino di
Dioniso ctonio fu trattato, nelle ricostruzioni dei filologi e degli
storici della religione, come il vero centro della dottrina orfica -
una ricostruzione motivata, senza dubbio, per la teologia cristia-
na, per il dogma del salvatore sacrificato -. Ma il testo di Derveni
si arresta prima di questo. Il libro, o in ogni caso la copia bruciata
a Derveni, si è fermato proprio qui. Si può tuttora constatare che
il famoso - e unico - testo di Olimpiodoro sulla morte di Dioniso
ctonio è in accordo col testo di Derveni in quel dettaglio che in-
troduce come primo re Urano, e non Phanes, come la versione
rapsodica. Scrive Olimpiodoro: «Presso Orfeo si parla di quattro
regni: per primo, il regno di Urano, cui succedette Crono, ta-
gliandogli i genitali; dopo Crono divenne re Zeus, gettando il pa-
dre nel Tartaro; in seguito succedette a Zeus Dioniso» 73 ; seguono
l'ascesa al trono del bambino Dioniso, la sua caduta, la morte, la
lacerazione ad opera dei Titani. È possibile che la teogonia citata
dall'autore di Derveni e da lui commentata in modo incompleto
contenesse questi awenimenti; uno scetticismo radicale riguardo
a questo mito rimane d'altro canto possibile, come mostra la re-
cente tesi di Luc Brisson, che ridurrebbe il testo di Olimpiodoro
a una speculazione molto tarda 74 • È tuttavia degno di considera-
zione che l'antropogonia babilonese presenti l'uomo creato dal
sangue di un dio ribelle 75; la somiglianza dei miti non è così stret-
ta da poter verificare la reciproca dipendenza, ma attenua la pro-
spettiva di una datazione bassa.

Né le speculazioni presocratiche dell'autore di Derveni né la


2
' C.fr.cap. II n. 67.
;i OF 220 = Olimpiodoro, Commento al Fedone l, 3, pp. 41 s. \'<'estnink.
74
Brisson, 1995.
;~ E11iimaelish VI 1-34. Cfr. Atrahasis, 213-217; 228-230; Burkert, 1992, pp. 126 s.

85
DA OMERO AI MAGI

documentazione diretta dei misteri bacchici contenuta nelle lami-


nette auree raggiungono la dimensione religiosa dei testi platonici
che hanno formato l'ideale moderno dell'Orfismo: l'anima nella
prigione del corpo, crwµa - crfiµa e q>QOlJQO.,la trasmigrazione,
la giusta retribuzione 76 • Le testimonianze delle laminette sono
meno esplicite e meno speculative, ma sono compatibili con Pla-
tone, e senza dubbio molto più vicine alla realtà quotidiana. Ve-
diamo un complesso multidimensionale formato da aspetti par-
ziali, con un'ottica troppo semplice, da una parte, e una forse
troppo elevata, filosofica, dall'altra. Troviamo una pratica rituale
e una speculazione di livelli diversi, su uno sfondo multiculturale,
a cui l'Asia Minore, l'Egitto e il mondo iranico hanno dato il loro
contributo. È forse proprio questa molteplicità e l'oscurità che ne
consegue, malgrado tutte le scoperte piena di sospetti e di attese,
a garantire il fascino durevole dell'Orfismo.

;,, Platone. Cratrlo400 e= OF 8: Fedro 62 b = Of 7: Leggi 870 d (non in Ofl.

86
4.

L'AVVENTO DEI MAGI

Il problema delle relazioni culturali e religiose fra la Persia e


la Grecia richiede un'introduzione generale e una specifica. L'in-
teresse per i Magi nella sfera filosofica e religiosa risale almeno ad
Aristotele e ai suoi allievi, che si erano interessati alla bdrbaros
philosophia1• A partire dal XIX secolo gli storici moderni, che ap-
plicavano il metodo «critico» pur essendo ancora sotto l'influsso
del classicismo, si mostravano piuttosto scettici nei confronti del-
la sapienza orientale in generale e dei Magi in particolare, mo-
strando come un'impressionante quantità di falsificazioni avesse
impedito una visione chiara e corretta: Pseudo-Berosso, Pseudo-
Manetone, Pseudo-Zoroastro, tutto, come sembra, attribuibile al-
la «decadenza» del tardo ellenismo.
Un ripensamento è consigliabile: anche nel periodo classico i
Greci non furono mai isolati. Ma mentre il cosiddetto Oriente erari-
masto alle porte della Grecia arcaica fino al 547 a.C., l'impero ache-
menide coprì improvvisamente quasi un terzo del mondo greco, di
fatto il terzo più progredito dal punto di vista economico e intellet-
tuale. La dominazione persiana si mantenne per due secoli2.

1 Cfr. cap. II n. 1. Un libro Mayuc6ç, Aristotele, fr. 32-36 Rose, fu attribuito ad au-
tori diversi. Si veda Suda s.v. Antisthenes = Aristotele, fr. H Rose. Cfr. anche Infra nn. 8,
13; pp. 108 s. I moderni sembrano talvolta presumere che un libro «magico» non possa
essere genuino e dunque non abbia valore storico.
2
Resoconti recenti: Briant, 1996; Wiesehofer, 1996.

87
DA OMERO AI MAGI

Ogni Greco non solo sapeva cos'era un satrapo, ma il termine


~acrLÀEuçera usato come nome proprio dello Shah di Persia, il re
dei re. Quali sono i risultati culturali di questa coesistenza prolun-
gata? Inesistenti, dichiarano i classicisti.Esistono piuttosto prove si-
gnificative dell'influsso inverso, quello greco sull'impero persiano:
artisti greci furono chiamati a scolpire i rilievi di Persepoli, come è
documentato non solo dallo stile di questi rilievi, ma anche da testi
che nominano «Ioni»; il ~acrLÀ.euç introdusse una monetazione au-
rea sul modello lidio-greco almeno nella parte occidentale dell'im-
pero, i famosi òaQELKOL con le insegne dell'arciere. Avvenne dun-
que già allora, come scrisse Orazio molto più tardi in altre circostan-
ze, che GraeciacaptaJerum victoremcepitet artes intuHt... - o alme-
no Ionia capta-? L'influsso opposto, dal vertice del potere verso la
base della popolazione, non può essere mancato.
È vero che, dal 547 a.C., i Greci avevano raggiunto un livello
culturale pressoché unico, che tutti i popoli del Mediterraneo e
anche al di là del Mediterraneo cominciarono a imitare. La scul-
tura di tipo greco, la ceramica a figure nere, poi rosse, ma anche
la mitologia che si riscontra nell'iconografia si trovano dappertut-
to. Questo significa che i Greci erano immuni da influssi esterni?
Credo di no. Possiamo piuttosto sospettare che una selezione ten-
denziosa ebbe luogo dopo la grande guerra: dopo il 479 «l'Asia»
era divenuta il maggior antagonista della Grecia; la consapevolez-
za della separazione si sostituì a una comunanza culturale che era
stata dominante per tanti secoli.
I Greci vedevano le relazioni con l'Oriente in modo unilatera-
le e spesso idiosincratico. Per una visione complessiva, si deve an-
dare al di là della letteratura greca. Come in tutte le circostanze
dell'influsso del Vicino Oriente sulla cultura greca non possiamo
basarci solo su autori greci, benché essi non siano mai trascurabi-
li; dobbiamo iniziare dalle fonti autentiche non greche e usarle
con attenzione e cautela. La documentazione purtroppo è scarsa.
Siamo vittime degli accidenti della tradizione specialmente sul
fronte orientale.
Il mondo iranico infatti presenta una situazione particolar-
mente complicata e difficile. Entrano in gioco non solo linguaggi

88
L'AVVENTO DEI MAGI

non greci, ma sistemi di m·emoria e di conservazione culturale del


tutto diversi da quelli greci. Risulta necessaria una collaborazione
interdisciplinare, difficile da effettuare. Sono rari i documenti e le
testimonianze di sicura datazione alta, proprio perché esiste una
tradizione di religione iranica ancora viva, il Mazdeismo o Zoroa-
strismo, con scritture sacre antiche - documenti certamente au-
tentici, ma nondimeno problematici per l'analisi storica -.
Veramente il primo confronto degli europei moderni con
questi testi originali ha prodotto un effetto curioso. Dalle fonti
greche era derivata un'immagine idealizzata di Zc.oQO<l<nQflç,
come uno dei più antichi saggi orientali; italianizzato, è divenuto
quel Sarastro che tutti conosciamo dal Flauto Magico di Mozart,
quello che con voce di basso profondo enuncia i princìpi di
un'umanità illuminata: «chi di tal ver gioir non sa, non ha dell'
uom la dignità» (Wen so/che Lehren nicht er/reu'n, verdienet ni-
cht, ein Mensch zu sein ...) (Atto II, Scena 11). Quando il Flauto
Magico fu messo in scena, nel 1791, erano trascorsi esattamente
vent'anni dall'arrivo del vero Zarathustra nel mondo occidenta-
le: nel 1771 Anquetil-Duperron aveva portato un codice del-
l'Avesta e altri testi iranici da Bombay a Parigi, con l'intenzione
di leggere e tradurre quei testi3. Gli intellettuali che lessero la
prima traduzione ne furono inorriditi. «Che assurdità!», procla-
mava Voltaire. Ecco l'effetto dell'originale: scompare Sarastro il
sapiente e sorge un barbaro balbuziente da un mondo scono-
sciuto e strano. Ancora oggi i conoscitori di Sarastro dell'opera
settecentesca sono infinitamente più numerosi degli specialisti
dell'Avesta.
C'è bisogno qui di una introduzione specialistica, riguardante
i problemi specifici della tradizione letteraria e spirituale iranica e
zoroastriana. La documentazione scritta diretta dell'enorme im-
pero achemenide è incredibilmente ridotta. L'amministrazione
achemenide passò definitivamente dalle tavolette di argilla ai ro-
toli di pergamena, usando scrittura e lingua aramaiche; esisteva

} A.H. Anquetil-Duperron, Zend-Avesta. Ouvrage de Zoroastre, Paris 1771. Cfr. R.


Schwab, Vie d'Anquetil-Dupe"on, Paris 1934.

89
DA OMERO AI MAGI

una biblioteca di rotoli a Persepoli, che fu incendiata da Alessan-


dro. Ma anche senza questo atto di vandalismo greco i rotoli
avrebbero avuto poche possibilità di sopravvivenza dopo la cadu-
ta dell'impero. Stando così le cose, noi abbiamo, oltre ai resoconti
greci ed ebraici sull'impero achemenide, solo tavolette cuneifor-
mi accadiche ed elamite; le tavolette elamite sono del tipo della
Lineare B, brevi documenti finanziari; i testi accadici normalmen-
te provengono dai templi ancora esistenti, da preti e scribi inte-
ressati più ai loro affari privati che a quelli dell'impero persiano -
o seleucide, più tardi -. Restano i pochi testi in cuneiforme per-
siano, un tipo di scrittura inventato per ordine di Dario, che non
ebbe grande successo; era infatti un anacronismo, un dinosauro
senza vitalità. Fu prodotto tuttavia quel grandioso ed eccezionale
documento del «luogo degli dèi», Bagastana - Behistun - Bisu-
tun, il resoconto ufficiale in tre lingue del re Dario, iscritto su una
parete rocciosa 4 •
Esiste inoltre la tradizione della religione iranica, lo Zoroastri-
smo o Mazdeismo. Questo ci riporta all'Avesta: non dobbiamo
dimenticare che stiamo trattando di una religione che esiste anco-
ra oggi, praticata soprattutto dai Parsi a Bombay, ma anche in
Iran. Essa ebbe il suo momento di massimo fulgore all'epoca del-
la dinastia sassanide, dal 111 al VII secolo dopo Cristo. Da allora è
stata sottoposta a una forte pressione da parte dell'Islam. Il testo
sacro è appunto l'Avesta - una parola che significa «fondamento»
-. L'Avesta è tramandata per mezzo di una scrittura speciale deri-
vata dall'aramaico, inventata espressamente per ricordare il testo
sacro nei suoi dettagli fonetici; essa esprime una lingua antico-ira-
nica che è parallela ma non identica a quella che si legge nel cu-
neiforme persiano di Dario; per esempio, la radice arta, «ordine»
- si confronti Arta-xerxes, Arta-banos, e il greco UQt'Loç-, divie-
ne Asha in avestico. Nel linguaggio dell'Avesta si possono distin-
guere chiaramente due strati linguistici: uno vecchio, gathico, e
uno più recente, avestico recente. Le Gatha - la parola significa

4 Una traduzione moderna è accessibile in Erodoto, Le Storie, voi. III, comm. D.


Asheri, Milano 1990, pp. 367-381.

90
L'AVVENTO DEI MAGI

approssimativamente «canti» - sono le composizioni originali di


Zarathustra o, rovesciando la prospettiva, lo Zarathustra che noi
possiamo conoscere è il compositore delle Gatha. L'Avesta tut-
ta insieme si compone di diversi libri, gli inni - Yasht-, una gran-
de liturgia - Yasna -, una «legge contro gli spiriti maligni» - Vi-
devdat - e alcuni testi frammentari, fra i quali è importante lo
Hadoxt Nask, che descrive la sorte dell'anima dopo la morte.
Il problema principale consiste nella cronologia, e sembra in-
solubile. Si può dire che non esistono dati attendibili né per
quanto riguarda la composizione né per la definitiva redazione
scritta di alcuno di questi testi. Tutte le testimonianze relative alla
datazione di Zarathustra, che vanno dal 6000 al 600 a.e., sono
prive di valore storico; sono speculazioni, associazioni tendenzio-
se e inattendibili per lo storico modemo 5 • Rimane il fatto che le
Gatha, per quanto riguarda il carattere linguistico, sono molto vi-
cine ai Veda indiani: la lingua iranica e quella indiana non dove-
vano essersi separate da molto tempo quando i testi furono com-
posti. Queste considerazioni spingono qualche indoeuropeista a
collocare Zarathustra attorno al 1000 a.e., quindi ·abbastanza
presto; anche Mary Boyce ha sostenuto questa datazione alta,
mentre Gherardo Gnoli propende di nuovo per la datazione più
bassa 6 • Per quanto riguarda l'Avesta stessa, la si assegna comune-
mente all'epoca achemenide, senza piena fiducia. Il rapporto dei
sovrani achemenidi con la religione di Zarathustra è controverso
e molto difficile da spiegare. Se noi accettiamo - cosa che ritengo
probabile - che Ahura Mazda, «il saggio Signore della vita», no-
me del dio supremo, sia un'invenzione dello Zarathustra delle
Gatha, ne consegue che Dario, acclamando Ahura Mazda il dio
che gli ha dato il regno, rimanga legato a Zarathustra. Inoltre ci
sono dediche di Artaserse II a Mithra e Anahita, due divinità che
occupano un posto importante negli inni avestici. Il nome di Za-
rathustra - in greco ZwQOClcrtQTlç o ZaQai:aç - e la nozione del

~ Cfr. Kingsley, 1990.


6 M. Boye, A History o/ Zoroastrianism, voi. 1, Leiden 1975; G. Gnoli, Zoroaster's
Time and Homeland, Napoli 1980; Gnoli, 1994, pp. 472 s.

91
DA OMERO Al MAGI

suo sistema dualistico, con lo «spirito del male» Angra Mainyu


opposto ad Ahura Mazda, appaiono nelle fonti greche a partire
dal IV secolo a.C.; Zo>Qocim:Ql}çnon si trova in Erodoto, ma è
presente nell'opera perduta di Xanto di Lidia 7 e nell'Alcibiade
platonico; la prima testimonianza significativa del dualismo è in
Teopompo, poi in Aristotele e Aristosseno 8 • Siamo quindi invitati
a considerare l'Avesta come più o meno contemporanea alla Gre-
cia tardo-arcaica e classica. La redazione scritta può essere avve-
nuta molto più tardi; tuttavia non esiste nemmeno un'indicazione
chiara per la data alla quale, in epoca sassanide, fu prodotta la
versione definitiva dell'Avesta nella sua peculiare scrittura. Il
Mazdeismo era divenuto religione di stato dei Sassanidi nel terzo
secolo; la codificazione può scendere fino al 400.
Non è sopravvissuta nessun'altra produzione letteraria del-
l'epoca sassanide, benché si trattasse di un'epoca e di un regno in
cui la scrittura era praticata e in cui si trovavano persino scuole fi-
losofiche trapiantate dalla Grecia. Solo dopo la catastrofe araba,
nel IX secolo, furono prodotti numerosi libri dagli Zoroastriani
superstiti, che si rivolgevano al passato glorioso, tentando di con-
servarne la memoria. Per citarne solo un paio: Bundahishn, sul-
1'origine del mondo, e il libro di Ardai Viraz, la storia di un viag-
gio in paradiso e all'inferno. Traduzioni preliminari di molti di
questi libri furono già pubblicate nella serie SacredBooks o/ the
East, edita da Max Miiller nel secolo scorso, ma non sono sempre
affidabili. Questi libri sono scritti in pahlavi, un dialetto medio-
persiano, trasmesso in un complicato sistema di scrittura tardo-
aramaica. Sono pochi gli specialisti, e non sempre si trovano d' ac-
cordo. Tuttavia questi scritti del IX secolo sono molto più ricchi e
variegati di contenuto di quanto non sia l'Avesta liturgica, e gli
studiosi di religione iranica hanno preso ripetutamente spunto da
essi per recuperare antiche tradizioni iraniche, anche non zoroa-
7 FGrHist 765 F 32. Cfr. Kingsley, 1995.
8 Platone, Alcibiade 122 a; Teopompo, FGrHist 115 F 65 = Plutarco, Iside e Osiride
46; Aristotele, fr. 33 e 34 Rose; Aristosseno, fr. 13 (Zaratas); anche Dinone, FGrHist 650
F 5; Eudemo, fr. 342 Lasserre. Magik6s (Antistene?), cfr. n. 1; Giustino, I 1, 9 forse deri-
va da Ctesia. Cfr. Kingsley, 1995. Si noti la forma Zathraustesin Diodoro, I 94, 2.

92
L'AVVENTO DEI MAGI

striane o pre-zoroastriane. Il più insigne fra questi studiosi fu Geo


Widengren di Uppsala 9 • Così, dalle fonti tarde si arriva non a ce-
sti, ma a dottrine e motivi di alta datazione, che è possibile con-
frontare con testi greci arcaici e classici. Questo è affascinante,
ma non bisogna dimenticare che si tratta di un salto di più di mil-
le anni, scanditi da molte rivoluzioni sociali e spirituali: basti pen-
sare ad Alessandro Magno, al Cristianesimo, al Manicheismo e a
Maometto.

Sulla base di questo quadro assai complicato, vorrei trattare


prima la voce iranica più famosa presso i Greci: µayoç (magush),
mago. Poi saranno discussi possibili influssi iranici in tre ambiti:
l'immortalità celeste, la cosmologia dei piani celesti sovrapposti e
il dualismo dei princìpi. Alla fine si tornerà al nuovo documento
che è apparso, una colonna del papiro di De;.veni che menziona i
Magi. Non mi occuperò espressamente della speculazione sul
tempo o su un dio Tempo-il cosiddetto Zurvanismo 10 -, né della
dottrina delle quattro età del mondo 11 , né della divisione geogra-
fica della terra in sette parti 12• Per questi temi la discussione di-
pende quasi esclusivamente dai testi del IX secolo d.C.

La parola µayoç è chiaramente di derivazione iranica. Il suo


uso in greco è quindi una prova inconfutabile di un influsso irani-
co. Tuttavia la parola occorre in greco con un duplice significato,
e la sua stessa attestazione in iranico non è priva di problemi. Ri-
flessioni sulla duplicità di significato si trovano già in un libro,

9
Si veda Widengren, 1965 e 1983.
10
R.C. Zaehner, Zurvan. A Zoroastrian Dilemma, Oxford 1955; Widengren, 1965,
pp. 283-295; West, 1971, pp. 30-33.
11
R. Reitzenstein, H.H. Schaeder, Studien zum antiken Synkretismus, Leipzig 1926,
pp. 38-68. Secondo Heubeck, 1955 questo è un caso chiaro dell'influsso orientale in
Grecia; l'origine orientale è infatti probabile, ma i testi iranici sono secondari. Cfr. Bur-
kert, 1983. Si veda anche Widengren, 1983, pp. 151-154.
12 Su cui cfr. A. Goetze, Persische Weisheit in griechischem Gewande, in «Zeit-

schrift fiir lndologie und Iranistik», 2, 1923, pp. 60-98 e pp. 167-177;}. Duchesne-Guil-
lemin, in «HThR», 49, 1965, pp. 115-122; 1966, p. 427.

93
DA OMERO AI MAGI

Mayucoç, attribuito ad Aristotele 13: gli autentici µciyoL, dice il te-


sto, sono sacerdoti con una specifica teologia e un rituale proprio,
in contrapposizione alla YOTJ'tE'U'tLKTJ µayeta («magia incantatri-
ce»), la magia nel senso comune del termine con effetti meraviglio-
si. In effetti i µciyoLappaiono spesso in Erodoto come una classe di
sacerdoti Medi, officianti della religione persiana insieme al re; si
racconta anche che Temistocle, nel suo esilio, fu introdotto alle dot-
trine dei µciyoL14 • Questo corrisponde al senso autentico della pa-
rola µCJ.yoçsecondo il testo aristotelico. D'altra parte, i µciyoL in
quanto ciarlatani sono menzionati non più tardi di Erodoto nel trat-
tato ippocratico Sul morbo sacro,dove sono associati ai loro simili:
«uomini quali ci sono ora, Magi e purificatori e mendicanti e va-
gabondi», èiv0Qwn:oLOLOLKaÌ. vuv ELO'L, µciyoL 'tE KaÌ. Ka0aQ'tUÌ.
15
Kaì. àyuQ'tUL Kaì. ÙÀ.a~oveç • I µciyoL sono nominati per primi,
come i più importanti o i più conosciuti fra quanti vengono qui
indicati. Menzioni simili si trovano in Sofocle 16 ed Euripide 17• La
«Magia» è uno dei temi portanti anche dell'Elenadi Gorgia 18•
L'attestazione più antica si trova in Eraclito (B 14 Diels-
Kranz), ma la parola è stata espunta come interpolata da molti
editori 19 • Normalmente non si osserva che esiste tuttavia una te-
stimonianza anteriore, anzi basilare, che dimostra persino come e
quando la parola sia venuta alla conoscenza dei Greci. Nella iscri-

n Aristotele, fr. 36 Rose = Diogene Laerzio 1 6-8. Si veda n. 1 e in generale Graf,


1994, pp. 31-45.
14
Plutarco, Temistocle29, 16. Questa testimonianza è indipendente da Erodoto e
può essere anteriore.
1
' Ippocrate, Sul morbo sacroV1 354 Littré.
16
Sofocle, Edipo re 387, in connessione con ày(,Q'tT]ç.
17 Euripide, Oreste 1496, dove parla il Frigio: cj>aQµciKmç ~ µciywv i:Éxvmç («per ar-
ti magiche o per artifici di magi»). Cfr. Platone, Politico280 d: i:iJv µayElJ'tLKTJV (,:ÉXVTJV)
i:iJv 31:EQLi:à àì..el;tcj>ciQµaKa
(«l'arte magica relativa alla preparazione di antidoti»).
18
Gorgia, B 11, 10 Diels-Kranz. Cfr. Gorgia, B 14 Diels-Kranz.
19
Gorgia, B 14 Diels-Kranz = fr. 87 Marcovich, pp. 465-467, seguendo Reinhardt
nella espunzione di µciym. È vero che la combinazione VlJK'tlJtOÀOLç µciymç è unica e
oscura per noi, ma questo ne garantisce piuttosto l'autenticità. Si suppone una presenza
di µciym a Efeso almeno nel 356 a.C., stando a Plutarco, Alessandro3, 7. Cfr. Cicerone,
Sulla natura degli dèi 11 69; Sulla divinazione 1 47. Molti studi hanno cercato di mostrare
contatti più stretti tra la filosofia di "Eraclito e l'Iran, specialmente nel ruolo del fuoco e
dell'ordine divino; sono possibilità, non prove. Si veda West, 1971, pp. 111-202.

94
L'AVVENTO DEI MAGI

zione di Behistun il re Dario, investito da Ahura Mazda, fa questa


dichiarazione: «C'era un uomo di nome Gaumata, un mago, che
mentì e disse: "Io sono Bardia"» 20 • Ogni volta che ricorre il nome
di Gaumata in questo testo, è aggiunto l'appellativo «il mago»,
come per renderlo indimenticabile. In questo documento la paro-
la µciyoç è conservata in antico persiano, è trascritta in accadico
(magushu) e in elamico (makuis); evidentemente si trattava di un
termine importante che non trovava un'equivalenza stretta nelle
altre lingue, ma che traeva la sua valenza negativa da tutta la sto-
ria di Dario. Ma c'è di più: l'iscrizione dice che Dario inviò «iscri-
zioni simili» in tutte le sue terre, per farle recitare pubblicamente.
In altre parole: il testo di Behistun era letto in ogni città dell'Asia
Minore e nelle isole adiacenti - Samo fu presa dal satrapo persia-
no in questi anni - ai sudditi del ~a.O'IÀEuç, entro il 520 a.C. circa.
Gli Ioni avrebbero ricordato la parola µciyoç da allora in poi. E
insieme al senso di soggezione e reverenza che si andava diffon-
dendo intorno al Gran Re, la designazione del suo avversario de-
ve aver prodotto anche uno strano effetto di fascinazione: che
razza di uomo è mai questo, che il Re odia così tanto? Questo fa
del testo di Behistun il documento cruciale per µciyoç in greco. E
non appena un uomo fosse apparso e avesse dichiarato: «Io sono
un µciyoç», sarebbe stato subito al centro dell'attenzione.
Bisogna notare che ci troviamo ancora in un'epoca della quale
non abbiamo testimonianze dirette greche; Eraclito stesso scrisse
più di venti anni dopo, e mancano ancora ottant'anni per arrivare
a Sofocle, Erodoto e Ippocrate. Tuttavia, sarebbe opportuno es-
sere cauti nel cambiare il testo di Eraclito, unico nel suo contesto,
su uno sfondo scarsamente illuminato.
Il problema d'altra parte, in ambito iranico, è che il termine
mago è praticamente assente nell'Avesta 21 • Una documentazione
autentica sui Magi come funzionari religiosi esiste però nelle tavo-
lette elamite di Persepoli dell'epoca di Dario 22 • Molto più ricco e

20
Iscrizione di Behistun (cfr. n. 3) par. 11. Cfr. parr. 13; 14; 16; 52; 68.
21
Una ricorrenza marginale: Yasna65, 7.
22
Koch. 1992, pp. 279 s.

95
DA OMERO AI MAGI

variegato è il corpus di testi greci e latini sui µayot, raccolti da Bi-


dez-Cumont nei volumi Les Mages Hellénisés 23 • Dalla zona margi-
nale fra ellenismo e iranismo, cioè dalla Cappadocia, proviene
un'iscrizione bilingue, greco-aramaica, di un uomo che fu µayoç
1
per Mithra, ȵayeuaa M(0Qf1L- m gjs l mitrh, che appartiene
forse al I secolo d.C. 24 • Tiridate re di Armenia, che veniva a Roma
per fare omaggio a Nerone, fu qualificato magus dagli occidenta-
li25.Ancora più tardi, nella religione di stato sassanide, i sacerdoti
principali dello Zoroastrismo sono di nuovo chiamati µayot. Per
la situazione interna dell'impero achemenide, la relazione fra re,
Zoroastrismo e µayot resta assai controversa.
Fra gli influssi iranici che si possono rintracciare nella spiri-
tualità della Grecia classica, un'idea che ha dominato le nostre
tradizioni religiose per molto tempo forse detiene la posizione
principale: l'idea di una dimora celeste dei defunti, di «salire al
cielo» dopo la morte. La situazione però è meno chiara di quanto
desidereremmo; nella discussione prevalgono spesso i dogmi, le
costruzioni, o i dubbi e lo scetticismo. Nondimeno si possono fa-
re tre affermazioni difficilmente contestabili:
1) L'idea di «salire al cielo dopo la morte» non appartiene alle con-
cezioni comuni delle civiltà vicino-orientali e mediterranee, allaMe-
sopotamia, Siria, Palestina e Grecia quali noi conosciamo dall'ini-
zio del I millennio. Troviamo dominante dappertutto il concetto di
. una «terra del non-ritorno» - un termine sumerico - o una «casa di
Ade», che è un'orribile landa sotterranea, una plaga desolata e fred-
da, fatta di paludi e fango, senza luce, lontana dagli dèi. «Sediamo-
ci a piangere» è il messaggio finale dell'epopea di Gilgamesh 26 ; lari-
cerca dell'immortalità è fallita: non c'è alcuna speranza.
2) L'idea che i pii ascenderanno al cielo a riposare presso la divi-
nità per tutto il tempo a venire è basilare nella religione di Zara-
thustra sin dai più antichi documenti.
. 23 Bidez-Cumont, 1938.
24 KAI, nr. 265.
n Plinio, Storia Naturalexxx 16 s. Cfr. Tacito, Annali xv 29. È una tesi già vecchia
che i Magi di Matteo 2 siano un calco basato su questo omaggio dei Magi all'imperatore.
26 GilgameshXII 6, 5 s., p. 123 Dalley.

96
L'AVVENTO DEI MAGI

3) L'idea di una psyché o pneuma che sale al cielo dopo la morte


si va diffondendo lentamente in Grecia a partire dalla metà del v
secolo a.C.
La prima di queste affermazioni non richiede di essere docu-
mentata in modo specifico. Per quanto riguarda la seconda, il te-
sto classico della dottrina mazdaica della sorte delle anime dopo
la morte è l'Hadoxt Nask, un testo in lingua avestica. L'anima del
defunto, nel corso della terza notte successiva alla morte, incontra
la sua stessa «religione», daena, nella forma di una bella ragazza,
che lo guida in tre fasi successive, attraverso «pensieri buoni»,
«parole buone», «azioni buone», fino alle «luci che non hanno
inizio», alla presenza di Ahura Mazda. Questo passo è nuova-
mente elaborato nel Bundahishn e soprattutto nel libro di Ardai
Viraz, gli scritti pahlavi. Lì viene specificato che le tre fasi portano
rispettivamente verso le stelle, la luna, il sole e le luci che non
hanno inizio, in quest'ordine. Già le Gatha menzionano le «dimo-
re della beatitudine, piene di luce», che sono create per i «saggi».
Quando il dio concede l'immortalità 27 , il passaggio è dal bene al
meglio, dal corporeo allo spirituale, fino al luogo in cui il dio sog-
giorna, che garantisce «salvezza e immortalità nel suo regno» 28 • «La
casa della lode, in cui il dio entrò per primo, è promessa a te» 29 •
Ci potrebbero essere persino elementi pre-zoroastriani in
questo messaggio: l'immortale, *amrta-, è una parola e un concet-
to indoeuropeo, forse legato, prima di Zarathustra, alla cerimonia
della droga somalhaoma che Zarathustra rifiuta; nei Veda esiste
un paradiso celeste. Zarathustra insegna una decisa polarità fra
«corporeo» e «spirituale», ast-vant e manah-vant, già nelle Gatha.
Qualunque sia la datazione di Zarathustra e delle sue Gatha, è co-
munque molto anteriore a Platone. Gli specialisti del mondo elle-
nico sono fieri di dimostrare che tale dualismo fra corporeo e spi-
rituale è sconosciuto sia a Omero sia all'epoca arcaica. Ed è pro-
prio la corporeità arcaica ad essere attraente per un ellenismo

27 Yasna31,7;21.
28
Yasna43,3;35, 11.
29
Yasna 51, 15.

97
DA OMERO AI MAGI

classico-neopagano. Forse la spiritualità fu introdotta dall'est ira-


nico?
La diffusione graduale della concezione di un soggiorno cele-
ste di un'anima-pneuma nel corso del v secolo è stata studiata ri-
petutamente30; talvolta è stata considerata come una rivoluzione
pitagorica, che potrebbe contemplare un'origine iranica. Tuttavia
le testimonianze greche sono ancora piuttosto scarse nel v secolo.
Ci sono due frammenti di Epicarmo 31e diversi passi di Euripide,
di cui alcuni appartengono ancora agli anni venti del secolo, dal-
1'Eretteo e dalle Supplici.Nell'Eretteo l'idea è espressa insieme al
catasterismo: le figlie del re divengono la costellazione delle Iadi,
«al loro spirito ho assegnato l'etere come dimora», dice Atena, EÌ.ç
32. Si dissolve la persona
è)' aì.0éQ' airtc'òv rcvEuµ' ÈyÒ>1e~-cci>1.1etaa
dei morti, lo spirito va all'etere, il corpo alla terra, rtVE'OµaµÈv
rtQÒçaì.0éQa (Supplici532). L'epigramma per i caduti di Potidea,
del 432, dà espressione ufficiale a questa idea: «L'etere ha ricevu-
to le anime, la terra i corpi», AI0EP MEN <l>ITX.Al:
Y'IlE~E~ TO l:OMAT A ~E X0ON 33. Ci troviamo in pros-
simità di idee «presocratiche», con teorie «fisiche» sull'etere e la
terra. Si aggiunge il concetto del ritorno alle origini, in particolare
in alcuni versi di Euripide che erano considerati un riflesso di
Anassagora già dagli antichi: «ciò che era cr~sciuto dalla feconda-
zione dell'etere è ritornato al cerchio celeste», -cà è)' àrc' aÌ.0EQi.aç
~ÀUITTOV'tUYOVT]çEÌ.ç 01JQO:VLOV rcO:ÀLV'f]À0ErcOÀOV(fr. 839).
Prendiamo in considerazione anche Diogene di Apollonia e la sua
concezione dell'anima come «parte del dio», che è aria celeste 34.
Ne troviamo un riflesso persino nel Socrate senofonteo 35; cono-

3 ° F. Cumont, A/ter Li/e in Roman Paganism,New Haven 1922, p. 95; Lux perpe-
tua, Paris 1949, pp. 143-148; L. Rougier, L'origineastronomiquede la croyancepythagori-
cienne en l'immortalitécélestedes ames, Il Cairo 1933. Cfr. Burkert, 1972, pp. 357-368.
31 Epicarmo, 23 B 9; 22 Diels-Kranz.
32 Euripide, Eretteo 532, in C. Austin, Nova FragmentaEuripidea,Berlin 1968.
33 IG 12945 = 131179 = P.A. Hansen, Carmina epigraphicaGraeca saeculorum

VIII-Va. Chr., Berlin 1983, nr.10.


34
Diogene di Apollonia, A 19, 42 Diels-Kranz = Teofrasto, Sui sensi 42. Cfr. B 3
Diels-Kranz.
" Senofonte, Memorabilil 4, 8.

98
L'AVVENTO DEI MAGI

sciamo gli sviluppi platonici che si imposero poi in modo definiti-


vo.
Si tratta qui di tradizioni iraniche, trasmesse dai µayot, oppu-
re di un'evoluzione indipendente nel pensiero presocratico? Ve-
diamo chiaramente gli elementi presocratici, il concetto di aterie
e il ritorno alle origini che non sono attestati nella religione zoroa-
striana. Inoltre esistono precursori di queste idee nella tradizione
greca stessa: primo, e più di ogni altro, Eracle, che sale all'Olim-
po; la «giovinezza» personificata, Ebe, come sposa di Eracle è ora
attestata da una pittura vascolare già intorno al 600 a.C. 36, qua-
lunque cosa si debba pensare dei versi dell'Odissea ritenuti
interpolati dai critici antichi37 • Secondo Pausania (111 19, 4) Gia-
cinto e Polibea salgono al cielo sul trono di Amide, e si discute se
questo capolavoro perduto sia da porre nell'epoca di Creso o in
quella di Ciro. Tuttavia, fino a che punto un carro con cavalli alati
indica effettivamente l'immortalità celeste? È un problema che ci
riporta indietro fino all'epoca minoica, all'iconografia del sarcofa-
go di Hagia T riada 38 •
C'è inoltre da considerare un influsso concorrente, quello egi-
ziano, che fu certamente forte, specialmente nel campo delle cre-
denze funerarie 39 • L'immortalità celeste in senso pieno non fa
parte dell'escatologia egiziana, in quanto il movimento continuo
dei defunti al seguito del dio Sole passa attraverso il cielo come
attraverso gli inferi; nondimeno la «salita» di un'anima-pneumaal
cielo come dimora perpetua è più vicina al paradigma iranico. Si
può aggiungere adesso il nuovo testo di Derveni 40 : i Magi hanno
il potere di allontanare i demoni che «sono di ostacolo» per rag-
giungere gli dèi; questo significa muoversi liberamente verso il
cielo?
Rimane aperto un interrogativo, nonostante la nuova testimo-

l6LIMC s.v. Heraklesnr. 3331; A.F. Laurens in Héraclès,les/emmes et le/éminin, a


cura di C. Jourdain-Annequin, C. Bonnet, Bruxelles 1996, p. 240.
H OdisseaXI 602 s. con lo scolio.
lB Nilsson, 1967, tav. 10, 3.
9
l Si veda cap. m nn. 53-55.
40
Si vedano nn. 53 s.

99
DA OMERO AI MAGI

nianza del papiro di Derveni di cui si riparlerà. Ci troviamo di


fronte a troppe contaminazioni e un tempo troppo lungo è inter-
corso fra l'ascesa dell'impero persiano e le elaborazioni che tro-
viamo nei testi classici.

Esiste un complesso molto anteriore di relazioni iranico-gre-


che: l'ascesa dell'anima può essere collegata al modello del cosmo
già in Anassimandro. Prendendo spunto da una nota di Robert
Eisler, ho esposto questo argomento nel 196341. Vi è una strana
sequenza di stelle, luna, sole e luci senza inizio attraverso cui
l'anima deve passare nell'escatologia iranica, per salire dalla terra
fino ad Ahura Mazda. La stessa sequenza cosmica appare nella
costruzione dei «cerchi» o piuttosto delle «ruote» celesti costrui-
te da Anassimandro: stelle - luna - sole in dimensioni crescenti
partendo dalla terra fino all'infinito, èin:ELQOV, che circonda tutto,
ed è chiamato «divino». In termini cosmici la sequenza è eviden-
temente errata; fu corretta già da Anassimene, che pose le stelle a
distanza più grande; tuttavia la posizione suprema del sole è stata
talvolta conservata o ripresa nelle speculazioni gnostiche e mitrai-
che della tarda antichità.
Alcune osservazioni aggiuntive rispetto a quel vecchio artico-
lo: ( 1) Io portavo testimonianze della sequenza Terra - Stelle -
Luna - Sole - Luci Eterne tratte da vari testi liturgici dell'Avesta
e per il passaggio dell'anima attraverso questi stadi successivi ri-
mandavo ad alcuni libri pahlavi. Martin West ha osservato che
uno di questi, il Denkart, fa riferimento a quanto viene detto nella
«rivelazione», cioè in una parte dell'Avesta perduta nel frattem-
po42. La testimonianza quindi risale cronologicamente dal IX se-
colo d.C. almeno fino al periodo achemenide. (2) Esistono altri
documenti relativi a dottrine accadiche che introducono «tre cie-
li» l'uno sopra l'altro, in particolare un testo del VII secolo43. L'in-
flusso iranico si adegua a una tendenza mesopotamica già esisten-
41 Burkert, 1963. Cfr. West, 1971, pp. 85-93.
42
Denkart VII 2, 3; West, 1971, p. 89.
43 Burkert, 1995. Cfr. Burkert, 1963, p. 103; 1972, pp. 309-57. Si veda anche cap. II
n. 78.

100
L'AWENTO DEI MAGI

te di fare ardite costruzioni celesti. Inoltre, come ci ha rammenta-


to Martin West, dovrebbe essere presa in considerazione anche la
visione di Ezechiele relativa al carro cosmico di Y ahweh, merka-
bah, con le ruote rotanti, un altro testo anteriore ad Anassiman-
dro44. Evidentemente troviamo qui una quantità crescente di ri-
flessioni sul cosmo fra Assur, Iran, Gerusalemme e Mileto, che
coinvolge Anassimandro; è assai probabile che egli abbia utilizza-
to le dottrine iraniche per quanto riguarda i gradini che l'anima
deve salire come una sorta di impalcatura 4'. L'intreccio di specu-
lazioni cosmiche e animistiche che va a costituire una teoria astro-
nomica non è da disprezzare, se si mira ad una visione complessi-
va della storia del pensiero.

Più importante, e certamente qualcosa di più d'una impalca-


tura, è il principiq del dualismo. Dalle Gatha risulta chiaro che
Zarathustra era un riformatore deciso che combatteva le antiche
forme di culto, in particolare il sacrificio tradizionale di animali e
il consumo di soma:invertì la terminologia, così che l'antico no-
me indoeuropeo delle divinità, deivos,passò a designare i demoni
maligni che si devono aborrire, daeva.AI dio supremo, Ahura
Mazda, Zarathustra contrappose un principio del male, lo «Spiri-
to Maligno», Angra Mainyu; e come il profeta dovette combatte-
re tutta la vita per i suoi insegnamenti, allo stesso modo fece della
battaglia fra i due principi divini un grande processo della storia
del mondo, in cui noi stessi ci troviamo coinvolti.
Un elaborato resoconto di questa lotta si trova nel Bun-
dahishn- e molto prima, in forma modificata, nel Manicheismo -;
ma è in testi greci che noi troviamo la prima testimonianza di
questa dottrina: Plutarco, nell'Iside e Osiride,cita Teopompo, lo
scrittore del 1v secolo a.C., almeno per la dottrina dei periodi suc-
cessivi di 3000 anni, con l'attacco di Angra Mainyu, la lotta degli
antagonisti e la vittoria finale di Ahura Mazda 46. L'altro testo è di

44
West, 1971, pp. 88 s. Cfr. Kingsley, 1992; cap. II n. 85.
4~ Burkert, 1963, pp. 131 s.; cap. II n. 88.
4
<, Plutarco, Iside e Osiride46-47, 369 D-370 C = Tcopompo, FGrHist 115 F 65; Bi-

101
DA OMERO AI MAGI

Aristosseno, citato da Ippolito: «Pitagora si recò dal caldeo Zara-


tas, il quale gli spiegò che ogni cosa deriva da due cause primor-
diali, un padre e una madre. Il padre è la luce, la madre l'oscurità.
Le parti costitutive della luce sono: caldo, secco, leggero e veloce.
Le parti dell'oscurità sono: freddo, umido, pesante e lento. Tutto
il cosmo è composto di queste parti» 47 • Zaratas è la forma aramai-
ca del nome Zarathustra. Ancora una volta troviamo le dottrine
iraniche non tradotte, ma adattate al codice presocratico: l'enu-
merazione degli opposti è pressoché identica al sistema di Parme-
nide nella parte della sua filosofia che si contrappone alla teoria
dell'essere 48 • Senza dubbio tale interpretazione modifica profon-
damente la dottrina originale di Zarathustra, che è teologica ed
etica, ma non cosmologica. La provenienza di questo passo da
Aristosseno non dovrebbe comunque essere messa in dubbio.
Concorda inoltre con le altre interpretazioni fisico-presocratiche
di dottr~ne dei cosidetti µayoL iranici di cui si parlerà fra poco.
Il terzo testo viene da Eudemo, che conosceva già interpreta-
zioni differenti del dualismo ad opera dei µayoL 49 : «un dio buono
e uno spirito del male, come dicono alcuni; secondo altri. .. la dua-
lità originaria è fra luce e tenebre ... e di una è signore Oromasdes,
dell'altra Areimanios». Ciò dimostra che le dottrine dei µayoL,
ossia di Zarathustra, erano oggetto di discussione nell'Accademia
e nel Peripato ali' epoca, come una forma interessante di filosofia
«barbarica». Anche Aristotele stesso ci dà uno sguardo su questa
«filosofia», dicendo che «i Magi pongono ciò che ha generato per
primo come l'ottimo», oi µayoL i:ò yevvf]aav JtQéi>i:ovèiQLITTOV
l'L0ÉaaLv50 • Ciò dimostra come un'eco del dualismo zoroastriano
sia arrivata ad Aristotele, in una interpretazione che metteva un
principio «buono» sopra la separazione dualistica.

dez-Cumont, 1938, vol. II, pp. 70-79. Per l'analisi del passo si veda anche}. Hani, Plutar-
que en /ace du dualisme iranien, in «REG», 77, 1964, pp. 489-525.
47 Ippolito, Confutazionedi tutte le eresie 1 2, 12 = Aristosseno, fr. 13 Wehrli.
4
Parmenide, B 8, 55-59 Diels-Kranz.
'

" Damascio, Problemie soluzioni sui primi prindpi 125, I, p. 322 Ruelle = Eudemo,
0

fr. 150 Wehrli.


'" Metafisica1091 b 10.

102
L'AVVENTO DEI MAGI

La discussione dell'influsso del dualismo iranico sulla filosofia


greca si è concentrata principalmente sulla questione se la teoria
platonica di una «cattiva anima del mondo» formulata nelle Leggi
dipenda da Zarathustra, questione sollevata già da Plutarco nel li-
bro Iside e Osiride51 • Jula Kerschensteiner, nel suo dotto libro su
Platone e l'Oriente, ha dato una risposta negativa, ma la domanda
è destinata a riproporsi continuamente, anche se l'interpretazione
filosofica di Platone non dipende dal problema storico degli in-
flussi.
Una questione ancora più interessante, a mio parere, è quella
del rapporto con Empedocle. Come è noto, Empedocle fa del-
1'antagonismo fra due principi o due dèi la causa di tutto ciò che
avviene in natura: <l>LÀta(Amicizia) e NEi:Koç (Contrasto), una
forza considerata positiva e benigna, l'altra negativa, disastrosa,
odiosa. Egli considera questo conflitto come una lotta, regolata
da un tempo predeterminato, raccontando un mito cosmogonico:
«Ma quando ...» (B 30 Diels-Kranz).
La conclusione non è chiara. Il testo di Empedocle è ricco di
immagini ed efficace; produce un mito a tutti gli effetti per quan-
to riguarda la salita violenta di NEi:Koçal potere. I periodi di mu-
tamento non sono spiegabili all'interno del sistema empedocleo,
che dovrebbe piuttosto prevedere una continua interazione fra le
due potenze, come molti interpreti vogliono. Può dunque essere
motivato da un mito antecedente che Empedocle seguiva.
Peter Kingsley, nel suo recente libro, ha cercato di presentare
Empedocle come un mago anziché come un filosofo; ha tentato
di utilizzare in questo contesto anche la citazione di Empedocle
in Xanto 52 • È stato Gorgia ad affermare che Empedocle era un
mago praticante. Empedocle poteva effettivamente avere cono-

11
Leggi896 d-e, 906 a; Plutarco, La generazionedell'animanel Timeo 1014 D; Iside
e Osiride370 E-D; J.Kerschensteiner, Platon und der Orient, Stuttgart 1945. Si veda an-
che J. Bidez, Eos ou Platon et l'orient, Bruxelles 1945; W.J.W. Koster, Le mythe de Pla-
ton, de Zarathoustrae des Chaldéenes,Leiden 1951; W. Spoerri, EncorePlatonet l'Orient,
in «RPh», 31, 1957, pp. 209-233.
12 Xanto, FGrHist 765 F 33. Cfr. Kingsley, 1995, pp. 185-191; P. Kingsley, Ancient

Philosophy,Mysticismand Magie,Oxford 1995.

103
DA OMERO AI MAGI

scenze di µayoL iranici, anche se non c'è nulla nei suoi frammenti
che faccia riferimento a loro. Nemmeno il nuovo papiro empedo-
cleo di Strasburgo aggiunge informazioni in questo senso. L'in-
terpretazione di Empedocle non si deve fondare dunque su tali
ipotesi; la prospettiva iranica aiuta tuttavia a vedere la situazione
del v secolo in un modo più articolato, sullo sfondo della Persia
che aveva un ruolo così importante.

Una presenza di µayoL professionisti, dediti a rituali e a riflessio-


ni speculative appare in una nuova colonna del papiro di Derveni53 ,
cosa che ci dovrebbe rendere meno scettici di fronte alla prospetti-
va iranica. Il testo di Derveni, come si è detto, si occupa principal-
mente della teogonia orfica, fornendo interpretazioni allegoriche
sulla traccia di Anassagora e Diogene di Apollonia. Ma nelle prime
colonne tratta di pratiche e credenze religiose legate a «demoni» e
«anime». Menziona Erinni, 'EQLVUEç, nella colonna 1 e 2, alle qua-
li si riferisce il passo molto frammentario «sono anime», 'lpUX,ai. ELOL
(col. 2, 5), in connessione con «libagioni», x,oaLLa colonna succes-
siva parla di «demoni dal basso», oai.µoveç OLx:a-cw0ev,che «sono
chiamati servitori degli dèi», 0ewv 'UJtflQÉ'taL OÈx:aì-..oi:iv-caL;«sono
come uomini ingiusti», si dice nella linea seguente, dove sono carat-
terizzati i demoni: elotv OJt<.OO'JtEQ àvOQEçCÌOLKOL (col. 3, 7) 54 • Se-
gue la colonna con la citazione di Eraclito in connessione con Erin-
ni. Poi tratta di oracoli criticando, come appare, l'incredulità di cer-
te persone: «incredulità è identica a ignoranza», àn:LO"tLflOÈ
x:àµa0i.ri-caù-c6v(col. 5, 10). È dunque chiaro che l'autore nell'in-
troduzione della sua opera non si mette a criticare le pratiche e le
credenze religiose come assurdità, ma le difende, probabilmente
con una interpretazione più avanzata, come scrive in un passo po-
steriore: «gli uomini parlano correttamente, ma non sanno» ciò di
cui parlano, À.Éyov-ceç µÈv ÒQ0&çoùx: EÌ.òo-ceç òÈ... (col.18[14], 5).

'3 Cfr. cap. III n. 5 e nn. 58-61. Per l'interpretazione si veda Tsantsanoglou, 1997.
Ringrazio il prof. Tsantsanoglou per avermi messo a disposizione il suo manoscritto già
prima della pubblicazione.
54 Diversamente Tsantsanoglou, 1997, p. 96, che pensa a dei «sinners» che «do not

escape punishment». In tal caso è difficile comprendere on:won:eg.

104
L'AVVENTO DEI MAGI

Qui i µayot entrano in scena; la parola µayot si può adesso


leggere persino tre volte nella col. 6:

1 [ EÙ]XçtL lCClL8ua[i,Jçttµ[EtÀ.]{qQQUOL l~[ç '\VUX<lç,]


2 ÈJJ;[O>LÙTJ6]t µaywv 6uv[altat ~a(µovaç ȵ[Jtoùchv
3 Yt[voµÉvou]ç µE8tcnayat· 6a(µoyEç ȵno[6wv ELOL
4 'l'[uxatç èx8]QOL.1:TJV
0
eua[(a]y 1:0'U1:0V
EVE1CE[v] J:t[OtoOah[v
5 oì, µgyot, C!>QJt
EQd notviJy àno6t6ovi:Eç, i:ot<a>ùÈ
6 LEQOt[ç]ÈJtLOJtÉVùOUOLV yaÀ.a, È;ti>VJtEQ
u[ù<ù]Q lCClL lCClL
,:àç
7 xoàç JtOLOUOL. ClV<lQt8µçt[1ean JtOÀ.uoµ<j>aÀ.a ,:à JtOJtClVCl
8 8uouatv, 01:Ll((lÌ, ClL'l'uxa[i àv ]gQt8µo{ ~Ì,at. µucnat
9 EùµEytat JtQo0uouat 1e[a1:à i:à] çiùi:à 1igyotç· EùµEVLùEçyàQ
10 'l'uxa( ~ta"tv. 6>v EVE~[Evi:òv µÉÀ.À.ovi:]a8Eotç 8uEtv
11 Q[Q]y{~[E]tov JtQ01:EQOV ...

Si può notare che le integrazioni alle lacune hanno diversi gra-


di di attendibilità. L'importanza di 'l'uxai. e ~ai.µovEçè garantita
già dai frammenti anteriori. Ma è incerto 1g[ç 'l'uxaç] nella pri-
ma linea - dalla linèa 10 sarebbe suggerito -rà 0Eia (o persino
-roùç 0Eovç) -; ci sono gravi dubbi sul 'V[uxaiç ÈX8Qoi.della linea
4; sarebbe possibile anche '\VUXWV <j>QOUQOL, 'l'uxaì. 'ttµwQoi.55,
oppure anche 'l'uxaì. Ò.VLEQOL - identificando così i «demoni» con
«anime» cattive.
L'interpretazione di Tsantsanoglou sarebbe:

Preghiere e sacrifici propiziano le anime (gli dèi?). L'incantesimo


dei µayot ha il potere di allontanare i demoni che si intromettono come
un impedimento. I demoni sono un impedimento, poiché sono nemici
delle anime (oppure: sono anime nefaste). Per questo motivo i µayot
celebrano il sacrificio come per fare un'espiazione; sulla materia sacrifi-
cata essi fanno libagioni di acqua e di latte, con cui effettuano anche le
offerte funebri. Consacrano focacce innumerevoli e piene di piccole
protuberanze, poiché anche le anime sono innumerevoli. I µucnat com-
piono sacrifici preliminari alle Eumenidi, nello stesso modo dei µayot.
Le Eumenidi infatti sono anime. Per questo motivo chi si appresta a sa-
crificare agli dèi dovrebbe prima (sacrificare) ... di uccello ...

55
Tsantsanoglou, 1997, p. 113.

105
DA OMERO Al MAGI

Appare chiaro che i Magi sono introdotti come degli esperti,


con un sapere superiore in relazione a pratiche e credenze cono-
sciute in Grecia. Il tema delle «anime» e dei «demoni» è trattato
fin dal principio del passo ed è menzionato anche il «sacrificio di
un uccello» (col. 2, 7). La presenza dei Magi conferma le ipotesi e
trova conferma attraverso la pratica degli iniziati, µu<naL. La for-
mula «nello stesso senso come i Magi», Ka'tà 'tÙ aÙ'tà µayoLç,
indica che sono posti in relazione due sistemi: parlando dei
µucrtaL l'autore li mette in relazione con un altro rituale, parallelo
ma separato. L'identificazione delle Eumenidi con le anime
avrebbe soddisfatto Erwin Rohde eJane Harrison 56 , ma non è no-
to alcun rito misterico in cui le Eumenidi ricevano un sacrificio
preliminare; difficilmente ci si riferisce a Eleusi, dove le Eumeni-
di non appaiono nella nostra documentazione; niente escludereb-
be Samotracia, ma niente lo conferma. In ogni caso quest'altro ri-
tuale è diverso dalle pratiche sacrificali proprie dei µayoL, pur ri-
guardando il medesimo ambito delle «anime».
Abbiamo qui una descrizione dei rituali e delle interpretazio-
ni dei rituali dei µayoL, partendo da principi per così dire «animi-
stici». La pratica dei µayoL è presentata assieme a un À.oyoç,una
interpretazione speculativa ben motivata - si noti il ripetuto «per-
ché» (o'tL, yaQ) -. Le spiegazioni rimangono per noi abbastanza
oscure. Sembra esistere un antagonismo fra daimones e psychai, se
accettiamo l'integrazione di Tsantsanoglou alla lin. 4, o un paral-
lelismo, se non identità, con l'altra integrazione. In ogni caso oc-
corre presentare una sorta di :rcoLVTJ, un riscatto per i demoni,
probabilmente attraverso il sacrificio cruento di un animale.
Tsantsanoglou ha fatto un paragone con una frase del papiro Gu-
rob: «ho tagliato il riscatto», È'tEµov:rcoLvaç,che si riferisce senza
dubbio a un sacrificio cruento 57 • Se i sacrifici con spargimento di
sangue sono davvero destinati ai demoni, questo corrisponde alla
pratica sacrificale mesopotamica piuttosto che alle concezioni
16 Identificazione della Erinni con l'anima del defunto (cfr. col. 2, 5): E. Rohde,
Psyche2,Freiburg 1898, voi. 1, pp. 267-270; J.E. Harrison, Prolegomenato the Study o/
Greek Religion3 , Cambridge 1922, pp. 214 s.
~7 Orfeo, B 23, 18 Diels-Kranz; Tsantsanoglou, 1997, p. 114.

106
L'AVVENTO DEI MAGI

greche. In Oriente i sacrifici di sangue sono usualmente destinati


ai demoni, che devono essere saziati perché ci si possa liberare di
loro ed accogliere gli spiriti benigni e l'aiuto degli dèi. D'altra
parte la crnov611, rappresentata nel nostro testo dall'offerta addi-
zionale, Ènupegoµevov, di latte e acqua, è destinata alle anime
più piacevoli, proprio come fanno i Magi anche nel caso di xoa(
funebri. È osservata la distinzione fra crnov6a( nel contesto di un
normale sacrificio, senza dubbio un sacrificio con altare per il
fuoco, e xoa(, vuotare i vasi sulla terra presso le tombe. Ma i Gre-
ci effettuavano libagioni con vino, non con acqua e latte. Tuttavia
nei Persianidi Eschilo Atossa fa le xoa( per Dario con latte, mie-
le, acqua, e vino (611 s.). Anche le focacce presentate sull'altare
sono un Ènupegoµevov al sacrificio cruento, con riferimento sim-
bolico alle anime. Tutto questo sembra avere la funzione di un sa-
crificio preliminare, un ngo0uetv, mentre lo scopo vero sarebbe
entrare in contatto con gli dèi. I µayot sono presentati come mae-
stri della Ènwt6T) («canto magico») in connessione col sacrificio
già in Erodoto (1 132, 3 ).
Caratteristica in tutto il contesto è l'importanza di anime e de-
moni. Ci sono due prospettive su questo, una greca e una iranica. In
ambito iranico la demonologia e le dottrine relative alle anime si in-
trecciano in una rete alquanto complessa. Esistono in ogni caso più
di due classi - «demoni» e «anime» -; sono spiriti impuri e maligni,
ma sono anche spiriti benigni e venerabili. Rimane agli esperti sta-
bilire le correlazioni possibili; ma non è certo che possiamo ritrova-
re l'ènwt6T) dei µayot in un passo del Yasnao del Videvdat'8 •
In ambito greco, la molteplicità di demoni o anime, addirittu-
ra l'onnipresenza di queste, appartiene alle dottrine presocratiche
e si trova specialmente nella tradizione pitagorica. Leggiamo negli
hypomnémata(«commenti») pitagorici, citati da Diogene Laerzio
attraverso Alessandro Poliistore, «che tutta l'aria è piena di ani-
me, e che queste sono ritenute demoni ed eroi, e da queste sono

'" Cfr. Tsantsanoglou, 1997, p. 113, che rimanda ai/ravashiiranici. Strano è il passo
sul ba(µwv col. 8(4), 5; 7; 10; col. 9(5), 10: il famoso ba(µwv è «trasmesso» da Crono a
Zeus (si veda cap. lii n. 67). È possibile riferirsi alla xvarena,la potenza risplendente del
re nella tradizione iranica (cfr. Wiesehofer, 1996, p. 167)?

107
DA OMERO AI MAGI

trasmessi agli uomini i sogni e i segni, ma anche le malattie ...»,


EiVClL 'tE Jt(lV't(l 'tÒV ÙÉQ<l 'lpUXWV ɵJtÀEWV, lCClL 't01J'tOUç
6ai.µovaç 'tE lCClL~QW<lç voµi.~Ea0aL, lCClL'UJtÒ 't01J't(l)V
JtɵJtEa0aL àv0QwJtoLç 'touç 'tE ÒvEi.Qouç 1eaì,'tà ariµEi:a,
v6aouç 'tE...59 • La frase di questi hypomnémata è infatti una rein-
terpretazione dell'affermazione attribuita a Talete, che «tutto sia
pieno di dèi», o «di demoni», o «di anime», come altri lo citano 60 •
Una immagine impressionante è attribuita ai Pitagorici, ma anche
a Democrito da parte di Aristotele: che le particelle di polvere
che vediamo muoversi in un raggio di sole siano «anime», in altre
parole, che ovunque il sole illumina, l'aria sia piena di anime 61 •
In prospettiva presocratica, le anime si materializzano. Dioge-
ne di Apollonia fece dell'aria come pneuma il principio dell'univer-
so e specialmente della vita negli animali, e parlò di una «particella
di dio», µ6QLOV0Eou, come presente in ciascuno di noi 62 • Di con-
seguenza; il dio cosmico sarebbe la totalità di «anime» onnipresen-
ti nel nostro mondo. L'autore di Derveni sembra seguire la teoria di
Diogene 63 , dichiarando che «Zeus» è «tutto» nella forma di un
pneuma che funge da guida dominante (col. 19[15]). Appare chia-
ro come in questo senso l'autore di Derveni possa accettare la tesi
dell'onnipresenza degli spiriti e trovare un senso nascosto, non col-
to dagli uomini normali, nei riti misterici e magici. Così le prime co-
lonne del testo, sui riti, le credenze, gli oracoli concordano con la
posizione «presocratica» del commento successivo.
L'attività dei Magi descritta nel nostro testo si accorda perfet-
tamente con un testo di Diogene Laerzio già menzionato (1 6): «I
Magi si occupano del culto degli dèi, dei sacrifici e delle preghie-
re, asserendo di essere gli unici ad avere ascolto presso gli dèi»,
'tO'Ùç 6È µayouç 3tEQL'tE 0EQCl3tELClç
0EWV 6LCl'tQL~ELV
lCClL
59 Alessandro Poliistore, FGrHist 273 F 93 = Diogene Laerzio, VIII 32 = Scuola Pi-
tagorica, B 1 a Diels-Kranz; Burkert, 1972, p. 53.
60 Talete, A 22; 23 Diels-Kranz. Cfr. Eraclito, A 1, 7 Diels-Kranz.
61 Aristotele, Dell'anima 404 a 18 = Scuola Pitagorica, B 40 Diels-Kranz; Dell'ani-

ma 403 b 20 = Leucippo, A 28 Diels-Kranz.


62
Diogene di Apollonia, A 19, 42 Diels-Kranz. Cfr. n. 34.
63 Già notato in Burkert, 1968 e confermato dai frammenti pubblicati successiva-

mente.

108
L'AVVENTO DEI MAGI

0ucri.açKULE'UXUç, wç U'U'tO'Ùç µovouç Ò:KO'UOµÉVO'Uç. Questo è


straordinariamente vicino al testo di Derveni: evxai Kai 0ucri.aL-
0ucri.açKai evxàç, ma non ne dipende; si spinge un po' oltre, fi-
no ad affermare l'esclusività dei µayoL per l'efficacia dei loro riti,
senza menzionare i dettagli rituali. Nondimeno si accorda piena-
mente col nuovo testo: solo i µayoL sono uditi dagli dèi, perché
conoscono l'incantesimo per rimuovere gli ostacoli, i demoni ma-
levoli, e cosi aprono la via, attraverso le eucri.aL,alle evxaL
Segue un altro passo notevole nel testo di Diogene Laerzio sui
µayoL, «che praticano anche la divinazione ... e che l'aria è piena
di immagini che, esalando, si immergono nella visuale degli uomi-
ni di vista acuta», Ò:CJKELV bè Kai µaV'tELUV ... àì..ì..àKaÌ,etbwì..wv
:11:À~QTJ eivaL 'tÒV Ò:ÉQaKa't' à:1t6QQOLav v:11:'àva0uµLacrewç
ELOKQLvoµÉvwv 'tatç èhpecrL'tWVò;ubEQKWV(Diogene Laerzio, 1
7). Si trova qui l'onnipresenza degli spiriti come dottrina dei Ma-
gi, ma nei termini di «apparenze» o «immagini», eidola.In questo
modo il testo sembra attribuire ai Magi una teoria chiaramente
«presocratica», cioè la teoria degli eidoladi Democrito. Ciò è ap-
parso come uno scandalo, come una modernizzazione inattendi-
bile. Può darsi che il nuovo testo di Derveni aiuti a spiegare la li-
nea di trasmissione e l'evoluzione dei concetti. Il testo di Derveni,
il testo sui µayoL di Diogene Laerzio e la teoria di Democrito pos-
sono incrociarsi. In Diogene Laerzio, quei µayoL non parlano
della visione normale, ma delle visioni soprannaturali che vengo-
no solo alle persone predisposte. Ma anche Democrito, come in-
dica Teofrasto - benché sia stato oscurato da Epicuro-Lucrezio -
elaborò la sua teoria degli eidola64 non per la visione normale, per
la quale egli aveva un'ipotesi più complessa 65 , ma per le esperien-
ze paranormali che avvengono in sogni e visioni. Abbiamo presso
l'autore di Derveni una panoramica sui µayoL che va dalla com-
petenza rituale fino alla visione di un mondo pieno di ~nime e de-
64 Democrito, A 77_ Diels-Kranz = Plutarco, Qut'Jtioni conviviali 735 A; B 166
Dicls-Kranz = Sesto Empirico, Contro i Matcmatici, IX, 19; Plutarco, Emilio Paolo 1
(manca in Diels-Kranz).
65 Si veda W. Burkert, Air-lmprinl.ror ];'idola.DcmocriluJ'Al'liolo11.y
o/ ViJion, in
«ICS», 2, 1977, pp. 97 -109.

109
DA OMERO AJ.MAGI

moni - che in codice pitagorico sarebbero psychai,in codice dio-


geniano particelle di pneuma -. Se la competenza rituale dei
µayot include la divinazione, questo significa che essi possono
«vedere gli eidola»,come dice il testo di Diogene Laerzio. Demo-
crito spiegava tali visioni attraverso ipotesi atomistiche. Per un
dossografo peripatetico, oppure per Aristotele stesso, che cono-
sce Democrito, la qualificazione speciale dei Magi si tradurrà nel-
la formula che gli eidola«si immergono nella visuale degli uomini
di vista acuta», cioè dei µayot, gli indovini sapienti.
Possiamo presupporre che i µayot praticanti, conosciuti in
Grecia, si riferissero ad una dottrina su demoni e anime riguar-
danti le visioni profetiche; troviamo accettata questa dottrina nel-
la descrizione dei riti presso l'autore di Derveni; una interpreta-
zione materialistica è fornita da Democrito; ne risulta più tardi la
formulazione peripatetica che sembra combinare le teorie di De-
mocrito e le dottrine dei µayot quando tenta di spiegare come
mai gli uomini ricevano segni spirituali.
La situazione è complicata, ma non è singolare. È da constata-
re una situazione analoga in testi noti da sempre, ai quali adesso si
è aggiunto il papiro di Derveni: una linea di tradizione che pren-
de spunto dai µayot e si ritrova in Diogene di Apollonia, l'autore
di Derveni, e in Democrito. Erodoto, in un passo famoso, attri-
buisce ai µayot la venerazione della volta celeste come divinità
suprema (1 131): «essi salgono sulle cime dei monti e fanno sacri-
fici per Zeus, chiamando tutto il circolo del cielo col nome di
Zeus», ~1,ì, µÈv Èni -cà Uti'flÀ.O-ca-ca-cmv ÒQÉwv àva(3ai.vov-cEç
0vcri.aç ÈQòEtv, -còv K'UKÀ.ov 1rav-ca -cou o'ÙQavou ~i.a
KaÀ.EUV'tEç.Quanto questo corrisponda alla pratica e alla dottri-
na autentica dei Persiani, quanto invece sia zoroastriano, è con-
troverso presso gli specialisti. Ahura Mazda, in quanto dio cele-
ste, conserva la propria personalità. È evidente che formulazioni
pressoché identiche sono caratteristiche di alcuni presocratici:
Diogene di Apollonia diceva che Omero con ragione considerava
l'aria identica a «Zeus», -còv ÙÉQa... ~i.a voµi.tEtV 66 , un'idea il cui
66
Diogene di Apollonia, A 8 Diels-Kranz = Filodemo, Sulla pietà, p. 70 Gomperz.

110
L'AVVENTO DEI MAGI

riflesso appare nelle Troiane di Euripide (886); l'autore di Derve-


ni dichiara che «tutto è chiamato da ciò che prevale, dunque
l'universo fu chiamato «Zeus» per lo stesso principio», Èn:EL .. EV
EKacrtoy KÉKÀT]taL àn:ò toù Èn:LKQatoùvtoç,ZEùç n:a.vta Katà
tòv a'Ùtòv Àoyov ètlti0rt (col. 19[15]); Democrito, in un famoso
frammento, descrive «maestri della parola» che, tendendo le ma-
ni verso il cielo, «chiamavano l'universo col nome di Zeus». L' au-
tore di Derveni e Democrito sono particolarmente vicini l'uno al-
1'altro, di modo che il testo autentico di Democrito trova confer-
ma in questo parallelismo 67 • In ogni caso, troviamo anche qui una
dottrina dei µa.yoLdi ambito presocratico, con Diogene di Apol-
lonia, l'autore di Derveni e Democrito che esprimono la stessa
idea riferita alla prassi rituale dei Magi da parte di Erodoto.

Vediamo come nella cerchia di Diogene di Apollonia, alla


quale l'autore di Derveni certamente appartiene e da cui gli ato-
misti non si distaccano, si teneva conto delle pratiche e delle ri-
flessioni dei µa.yoLa proposito degli dèi e degli spiriti, delle «ani-
me», dei «demoni» e degli eidola. Così le dottrine iraniche auten-
tiche divennero parte di un amalgama di matrice presocratica.
Occorre insistere sul fatto che non troviamo traduzioni da una
lingua iranica, ma interpretazioni che probabilmente mescolano
conoscenze e malintesi. I Magi si adeguano al sincretismo dei
Greci.
Constatiamo insomma che i rituali e le speculazioni dei µa.yoL
lasciarono le proprie tracce sui Greci del v secolo, nell'ambito
delle anime e dei demoni, nella teologia e nelle credenze sull'aldi-
là celeste. Anche dopo Salamina e Platea, il background iranico
non si è esaurito ma è rimasto presente.

67
Democrito, B 30 Diels-Kranz; Clemente cita rtavta dta µu0ÉE00m in Protrepti-
co 68, ma rtavta ZE'Ùçµu0E'i:1:min Stroma/a v 103;_egli ha malinteso il passo. Se si parte
dal testo di Stromata, µu0Et'tm rimane incomprensibile.

111
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121
INDICE DEI NOMI E DEI TEMI

Accademia neoplatonica, 35 Annali di Sennacherib, 12


Accademia platonica, 40, 102 Anshar, 56
accadica, letteratura, 18-19 Antico Testamento,4, 11, 13, 36, 41, 43, 50
accadica, lingua, 10, 14, 19, 42, 56, 95 antico-iranica, lingua, 90
Achei, 4 antico-persiana, lingua, 95
Acheloo (divinità fluviale), 84 Antigone (trag. di Sofocle), 65
Achille, 12, 24, 31, 43 Antu, 27, 29
Acusilao di Argo, 40, 41 Anu,21,27,29,31,53,82
Adad, 14, 21 tipeiron(principio cosmogonico), 100
Ade, 21, 59, 66-68, 74-76, 96 Apollo, 12, 69
Aforismi (sez. del Corpus ippocratico), 43 Apollodoro (mitografo), 25, 79
Afrodite, 17, 27-29, 76, 81, 84 Apsu,5, 16,25,33,36,48
Ahiqar, 43 Arabi, 38
Ahura Mazda, 91-92, 95, 97, 100-101, 110 aramaica, lingua, 8, 89-90
aithér (principio cosmogonico), 99 aramaica, scrittura, 89
Alceo,55 Aramei, 8
Alcibiade (dialogo platonico), 92 Archiloco, 45
Alessandro Magno, 52, 90, 93 Ardai Viraz,92, 97
Alessandro Poliistore, 107 Ares, 27
alfabetica, scrittura, 8, 34, 39, 42 Argonauticheorfiche,60
Amenemhet 1, 43 Aristofane, 64
Ammisaduqa, 19 Aristosseno, 92, 102
Anahita, 91 Aristotele, 15-16, 35, 37-39, 51, 54, 80, 87,
Anassagora, 38, 47-48, 51, 79,'98, 104 92,94, 102,108,110
Anassimandro, 39-40, 46, 48-49, 52-55, Artaserse 11, 91
100-101 Artemide, 28
Anassimene, 54, 100 Asclepiadi, 41
Anat, 9 assemblea degli dèi, 11, 26, 26n
Anchise, 28 Assiri, 7, 42
Anfinomo, 45 Assurbanipal, 14, 20
Angra Mainyu, 92, 101 Assurnasirpal, 7

123
INDICE DEI NOMI E DEI TEMI

Astarte, 28 Damascio (filosofo), 35


Astraios, 51 Danaidi, 74
Atena, 28, 30, 98 Danel il Refaita, 9
Atossa, 107 dareik6s(moneta), 88
Atrahasis (eroe), 19 Dario, 78, 90-91, 95, 107
Atrahasis(poema), 7, 14, 19-22, 24-26, 31-33 Davide, 43, 46
Avesta, 89-92, 95, 100 Demetra, 79
avestica, lingua, 90, 97 demiourg6splatonico, 51
Baal, 17 Democrito, 43, 51, 108-111
Babilonesi, 18, 35, 42, 45, 52 Demonassa, 72
Baccanti(trag. di Euripide), 63 demoni, 105-111
Baccanti, Bacchi, 71, 77 diluvio, 4, 9, 11, 20, 23, 25, 43
bdrbarosphilosophia,35, 87, 102 Dio delle Tempeste, 82
Bardia, 95 Diogene di Apollonia, 79, 98, 104, 108,
battaglia di Halule, 12 110-111
battaglia di Qadesh, 12 Diogene Laerzio, 81, 107 -11O
Bereshit,vedi Genesi Diomede, 27 -29
Bibbia, 13, 27, 43, 47-48 Dione (divinità), 27, 29
Bibliotecadi Apollodoro, 25 Dioniso, Bacchio, Bdkchos, 19, 62, 63, 65,
Briareo-Egeone, 32 71, 74, 76-77, 85
Brim6 (Ecate), 70 Dominio del Cielo, 6
Bundahishn,92, 97, 101 Ea, 14, 16,63
Caldei, 35 Eabani, vedi Enkidu
Calipso, 9 Ebe, 99
Canti Ciprii (poema), 23-26, 33 Ebrei, 3-4, 35, 42
carestia, 2 3 Ecateo di Mileto, 40
casa delle tavolette, 7, 41-42, 55 egiziana, letteratura, 4
Catalogoesiodeo, 24, 39, 40 Egiziani, 3, 16, 35, 38n, 45, 48-49
catasterismo, 98 eidola, 110-111
Cerbero, 74, 76 Elena (eroina), 24
chdos(principio cosmogonico), 48 Elena (op. di Gorgia), 94
Chirone, 43 Elisio, 65-67
choai («libagioni»), 107 Ellenismo, 61, 87, 96
Cielo, 3, 18, 47, 49, 82, 84 Elohim, 50
Cinesi, 36 Empedocle, 15, 38, 51, 67, 103-104
Ciprioti, 26 Enea, 27-28
Circe, 9 Enki, 20, 21, 31
Ciro il Grande, 77, 99 Enkidu, 4-5, 11-12, 26n, 29-30
creazione, 50 Enlil, 9, 20-21, 23, 31, 53-54
Creso, 99 Eniima Anu Enlil, 54
Cristianesimo, Cristiani, 35, 93 Eniima elish, 5, 7, 16-18, 25, 33, 35-37, 42,
Crono, 18,22,54,66,80-81,85 47 -50, 56, 84
culto bacchico, 76 Eos (divinità), 50
culto dionisiaco, 74 epica accadica, 9, 30
culto misterico, 63 epica greca, 8, 23, 32
cuneiforme, letteratura, 4, 6-8 epica ittita, 26
cuneiforme, scrittura, 4-5, 7-9 epica mesopotamica, 26
daena («religione»), 97 epica ugaritica, 9, 26

124
INDICE DEI NOMI E DEI TEMI

Epicarmo, 98 Giobbe, 43-44


Epicuro, 109 Giove, 52
epidemia, 23 Giustizia, 46
Epinomide (dialogo platonico), 54 Gorgia, 94, 103
epopea di Erra, 9 Gorgone, 30
Era, 3, 15-17, 28-29 greca, scrittura, 39
Eracle, 68, 74, 99 guerra tebana, 23-24
Eraclito, Eraclitei, 37-41, 45-46, 51, 71-72, guerra troiana, 23-24, 26
77-79, 94n, 94-95, 104, Hadoxt Nask, 91, 97
Eretteo (trag. di Euripide), 98 Hammurabi, 19
Erinni, 45-46, 74, 104 Hazael, 7
Ermete, 74, 76 Helios, 45, 50
Erodoto, 23, 68, 71-72, 92, 94-95, 107, Heraion di Samo, 7
110-111 hier6s /6gos, 63, 65
Eros, 51 Humbaba, 12, 27, 29-30
Esarhaddon, 7 hurrita, lingua, 43
Eschilo, 82, 107 hypomnémata pitagorici, 107
Esiodo, 6, 13, 22, 24, 37, 39-40, 43-44, 47- Iefta, 3
52, 66, 80-81 Ifigenia, 3
Estia, 79 Iliade, 5, 11-15, 17, 21-23, 26-28, 30-33,
Eubei, 7 36,49,52
Eudemo, 16, 35, 54, 80, 102 illuyankas, 6, 25
Eumenidi, 105-106 Indiani, 36
Euridice, 59 indoeuropea,lingua,6
Euripide, 63, 94, 98, 111 indoeuropea, tradizione eroica, 32
Eva,50 inganno a Zeus, 14, 17-18, 22, 25, 33
Ezechiele, 55, 101 Inni orfici, 60
Feaci, 11 Ioni, 7, 76, 88, 95
Fenici, 3, 8, 16, 18, 35, 52 Iperione, 50-51
Ferecide di Atene, 40 Ippocrate di Samo, 95
Ferecide di Siro, 53, 54 ippocratici, scritti, 44
festa babilonese del nuovo anno, 47 Ippolito, 102
Filistei, 4 iranica, religione, 90
Filocoro, 79 Iris, 27
Filodemo, 79 Isaia, 3
filosofia greca, 39, 51, 103 Ishtar, 12, 17, 27-29, 52
filosofia naturale presocratica, 51 Iside e Osiride (op. di Plutarco), 101, 103
Gatha, 90-91, 97, 101 Isocrate, 43
Gaumata, 95 Isole beate, 66
Geb («Terra»), 49 ittita, letteratura, 7
Genesi, 41, 50 ittita, lingua, 5, 26n, 37
Geremia, 13 Ittiti, 8, 18, 49, 52
Gesù, 43 Izdubar, vedi Gilgamesh
Giacinto, 99 komos, 73-74
Gige, 55 Kumarbi (eroe), 6, 37, 82
Gilgamesh (eroe), 4-5, 8, 10-12, 17, 27-30 Kumarbi (opera), 18, 47
Gilgamesh (poema), 4-5, 7, 9-11, 14, Lamashtu (demone), 30
20-21, 26-31, 96 laminette orfiche, 60-65, 67, 72, 75, 77, 86

125
INDICE DEI NOMI E DEI TEMI

latina, letteratura, 39 Notte, 48, 80-81


Leggi(dialogo platonico), 67, 103 Nous (principio cosmogonico), 51
Lemuel,43 Numenio,36
Leucippo, 79 Nut, 49
Libro dei Morti, 77 Oceano, 5, 15-16, 36, 49, 84
Lineare B, 6 Odissea,3, 5, 11, 13, 30-31, 69, 99
Lucrezio, 109 Odisseo, 9, 11, 45
Luna, 64, 100 Olimpiodoro, 85
Luvi, 8 ololygé(«grido rituale»), 30, 31
Maat, 45-46 olpe Chigi, 25
magi, 35, 53, 55, 71, 77-78, 87, 93-96, 95n, Omero, 3-5, 8, 10, 12-14, 22-24, 26, 29-30,
96n,99, 102, 104-111 33-34,36,39,51,60,97, 110
magia, 94 Operedi Esiodo, 24, 39-40, 43, 66
Magik6s (op. attrib. ad Aristotele), 94 Orazio, 74, 88
Manicheismo, 93, 101 Orfeo, 48, 51-52, 59, 61, 64, 68, 70, 74-76,
Maometto, 93 78-81, 84-85
Marduk, 16,50,52,56,85 orfica, letteratura, 6 l
Marte (pianeta), 52 Orfici e Orfismo, 59-60, 70, 76, 83, 86
Mazdeismo, 89-90, 92 Orphicorum/ragmenta,75, 79-80
Medea, 74 Osiride, 77
Medi, 17 oulochytai(«chicchi d'orzo»), 31
Mercurio (pianeta), 52 pahlavi, lingua, 92, 97
mesopotamica, letteratura, 6 papiro di Derveni, 50, 61, 62, 75, 78,
mesopotamica, mitologia, 29 79-80, 83-85, 93, 99-100, 104, 109-110
Metis, 82 Parmenide, 37-39, 41, 46, 51, 55-57,
micenea, letteratura, 7 79-80, 102
micenea, tradizione eroica, 32 Patroclo, 5, 26
Mi:sharu, 45-46 Pausania, 99
Misteri bacchici, 65, 86 Penelope, 30
Misteri eleusini, 65 Perì eusebeias,7<j
Misteri orfico-bacchici, 72 Perìphilosophias,35
Mithra, 91, 96 Perì teleton, 78
miti sumerici, 36 Peripato, 102
Mnemosyne, 66 Perse, 43
Momos, 24-25 Persefone, 62, 66-67, 74, 85
Mosè, 3, 35-36 Persiani, 38, 55, 110
Mummu,25 Peniani (trag. di Eschilo), 107
Muse,64 Phtines,83, 85
Museo,64 Philia (principio cosmogonico), 103
mystes(«iniziato ai misLcri»),64, 69, 105-106 physis, 51
Nabu,52 Pindaro, 23, 65-67, 71-72
Nabucodonosor, 55 Pitagora, Pitagorici, 41, 102, 108
Neikos (principio cosmogonico), 15, 103 Platone, 15, 35, 37-41, 51-52, 56, 63-64,
Nergal~52 67-68,80,84,86,97, 103
Nerone, 96 Plutarco, 101, 103
Ninsun, 30 pneuma, 97-99, 108, 110
Ninurta, 21 poiné («espiazione»), 106
Noè,20 Popoli del mare, 4

126
INDICE DEI NOMI E DEI TEMI

Porfirio, 84 Stige, 17
Poseidone, 15, 21 sumerica, lingua, 5, 42-43
Posidippo, 65, 66, 72 Talete, 15-16, 40, 48, 52-53, 108
Presocratici, 15, 37, 39, 51, 54-55 Tantalo, 74
Proclo, 24, 80 Telemaco, 11, 30
Prometeo, 32 telestai («iniziatori»), 63-64, 72
Protagora, 38 teletai («riti di iniziazione»), 71, 74
Proverbi(libro dell'Antico Testamento),43, Temi,24
46 Temistocle, 94
psyché,5, 97, 105-106, 110 T eofrasto, 109
purificatori, sacerdoti, 63-64, 94 Teogoniadi Esiodo, 22n, 39-40, 53
purificazione orfica, 75 Teogoniadi Orfeo, 61, 70, 78, 80, 82-84
Radamanto, 65-66 Teopompo, 92, 101
Ramses II, 12-13, 33 Terra, 3, 9, 18, 24, 47, 49, 79-80, 84, 100
Rane (commedia di Aristofane), 64 Tethys, 15-16, 29, 36, 49
Rea-Demetra, 85 Teti, 5, 16, 24, 32
Repubblica(dialogo platonico), 63-64 Teucri,4
Salomone, 42-43, 46 Tiamat, 5, 16-17, 33, 36, 49-50
San Pietro, 78 Tifeo, Tifone, 6, 25
santuario di Apollo, 7 Timeo (dialogo platonico), 51
sapienziale, letteratura, 39, 42, 46 Tiridate, 96
Sassanidi, 90, 92 Titani, 18, 19, 85
Scilace di Carianda, 40 Tolomeo Filopatore, 63
Scile, 71 Traci, 75
scribi mesopotamici, 10 trasmigrazione delle anime, 86
scuole filosofiche, 40 ugaritica, letteratura, 7
Selene, 50 ugaritica, lingua, 5, 10, 37
Semele, 74 Ulisse, 68
Semiti, 3-4, 42 Ullikummi, 6, 11
Sennacherib, 12 Urano,29,80,82,85
Senofane, 39 Utnapishtim, 5, 9, 11
Sesostris 1, 43 Veda, 91, 97
Sette Sapienti, 43-45 Venere (pianeta), 52
Sette, malvagi, 9, 18-19 Videvdat, 91, 107
Shamash, 12, 31, 50 Virgilio, 34, 75
Shu («Aria»), 49 Xanto di Lidia, 92, 103
Simon Mago, 78 Yahweh, 3, 55, 101
Sirene, 75 Yasht, 91
Sisifo, 74 Yasna, 91, 107
Socrate, 98 Zarathustra, Zoroastro, Sarastro, Zaratas,
Sofilo, 16 Zoroastres,35, 89, 91-92, 96-97, 101-103
Sofisti,39,42 Zenone,41
Sofocle, 65, 94-95 Zeus, 9, 15, 17-18, 22-25, 28-29, 32, 54,
Sole, 31, 45, 69, 100 65-66, 71, 76, 79,85, 108, 110-111
soma/haoma («droga rituale»), 97, 101 Ziusudra, 43
spandé («libagione»), 107 Zoroastrismo, Zoroastriani, 89-90, 92, 96,
Stasino di Cipro, 25 99
Stesimbroto di Taso, 79 Zurvanismo, 93

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