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Tessuto epiteliale

tessuto epiteliale (o epitelio) è un tessuto costituito da cellule contigue, fittamente stipate tra loro, con interposta
una scarsissima sostanza extracellulare amorfa che occupa sottili interstizi di 15-30 nm (nm = nanometri; 1 nm
= 10-9 m cioè 1 miliardesimo di metro) in cui ci sono anche glicoproteine e glicosaminoglicani, oltre il liquido
interstiziale che serve per gli scambi metabolici tra l’epitelio e il sottostante tessuto connettivo. L’epitelio poggia
su una membrana basale che lo separa dal tessuto connettivo circostante. Il tessuto connettivo che si
accompagna all’epitelio è sempre costituito da cellule separate tra loro da ampi spazi che sono occupati da una
sostanza intercellulare di composizione e struttura diverse a seconda dei vari tipi di tessuto.
Il tessuto epiteliale deriva da tutti e tre i foglietti germinativi epiteliali: ectoderma, endoderma e mesoderma.
Dall’ectoderma prendono origine, per esempio, l’epidermide, che riveste la superficie esterna del corpo, l’epitelio
della cornea e l’epitelio della mucosa che riveste la cavità orale. Per successiva proliferazione ed invaginazione
delle cellule epiteliali ectodermiche si formano anche le ghiandole sebacee e sudoripare (annesse alla cute) e le
ghiandole mammarie.
L’endoderma dà origine alla formazione dell’epitelio di molte mucose che rivestono la superficie interna di cavità
del corpo comunicanti con l’esterno (stomaco, intestino, ecc.) e da esso, per successiva invaginazione e
proliferazione, originano le ghiandole annesse (fegato, pancreas, ghiandole gastriche ed intestinali).
Dal mesoderma originano l’epitelio di rivestimento di gran parte delle vie urinarie e genitali, l’epitelio della
corticale del surrene, l’epitelio di rivestimento dell’ovaio e il mesotelio (pleura, pericardio, peritoneo). Anche
l’endotelio è di origine mesenchimale ma è costituito da cellule separate tra loro, immerse in una sostanza
intercellulare.
In base alla localizzazione e alla funzione, gli epiteli sono distinti in:

• Epiteli di rivestimento: sono costituiti principalmente dagli epiteli di rivestimento della cute (di origine
ectodermica), delle tonache mucose (di origine endodermica e mesodermica), delle membrane sierose (di
origine mesodermica) e dei vasi sanguigni e linfatici (di origine mesodermica). Questa categoria, inoltre,
comprende gli epiteli di rivestimento dei condotti escretori delle ghiandole, della capsula di Bowman, del
labirinto membranoso, della cornea, della retina e l’epitelio ovarico.
• L’epitelio di rivestimento della cute è chiamato epidermide e lo strato connettivale sottostante derma o
corion.
• Epiteli ghiandolari o secernenti: costituiscono il parenchima delle ghiandole esocrine ed endocrine.
• Epiteli sensoriali: costituiti da cellule che si trovano tra gli epiteli di rivestimento e che sono in grado di
reagire a degli stimoli. Queste cellule non sono di tipo nervoso perché, anche se presentano recettori, non
hanno un assone ma sono rivestite dalle espansioni terminali di nervose appartenenti a neuroni di senso il
cui corpo cellulare ha sede nei gangli cerebro-spinali. Appartengono a questa categoria le cellule
gustative, le cellule acustiche dell’organo di Corti e quelle delle creste e delle macule acustiche.
Le funzioni dell’epitelio consistono nella protezione delle superfici del corpo esposte ad abrasioni, attrito e
perdita d’acqua.
In corrispondenza delle cavità chiuse del corpo, l’epitelio, rivestito da un sottile velo fluido, forma superfici ben
levigate che possono scorrere agevolmente l’una sull’altra (come i due foglietti pleurici durante gli atti
respiratori).
In altre sedi l’epitelio svolge funzioni di assorbimento (come nell’intestino e nel rene).
Nelle ghiandole svolge funzione secretoria.
L’epitelio ciliato che si riscontra nelle vie respiratorie e nelle vie genitali femminili, partecipa al trasporto in
superficie di muco od altre sostanze.
Le cellule epiteliali sono in grado di rigenerare. Tale rigenerazione è particolarmente evidente nell’epidermide
dove le cellule dello strato basale producono per mitosi nuovi elementi che sostituiscono quelli che degenerano
negli strati superficiali; le nuove cellule migrano verso la superficie e si differenziano in cellule cheratinizzate.
Questo processo è chiamato citomorfosi. Nel canale alimentare le cellule si staccano continuamente all’apice
dei villi e sono sostituite da nuove cellule prodotte per l’attività proliferativa di elementi staminali situati nelle
cripte di Lieberkuhn: le cellule prodotte migrano rapidamente fino all’apice dei villi. L’epitelio che riveste i villi
intestinali è interamente sostituito ogni 2-4 giorni. L’epitelio, inoltre, è in genere capace di proliferare dopo una
ferita riparando la regione lesa.
In generale, gli epiteli sono sprovvisti di vasi sanguigni. Le sostanze provenienti dai vasi del sottostante tessuto
connettivo diffondono lungo gli stretti spazi intercellulari tra le cellule epiteliali. Questi spazi contengono liquidi
interstiziali.
L’epidermide e molti altri epiteli, infine, sono riccamente innervati. Le terminazioni di fibre nervose sensitive
perforano la lamina basale e decorrono negli interstizi tra le cellule epiteliali. Altri epiteli, invece, come quelli
della mucosa dello stomaco, dell’intestino, del collo dell’utero, sono sprovvisti o poveri di terminazioni nervose
sensitive.
Epitelio pavimentoso semplice (o piatto o lamellare)
L’epitelio pavimentoso semplice (o piatto o lamellare) è costituito da un singolo strato di cellule piatte, con un
nucleo centrale ovoidale o sferico; i margini sono in genere irregolari ed uniti da giunzioni. Viste di faccia, le cellule
sembrano disposte come le tessere di un mosaico; viste di profilo, invece, mostrano un aspetto fusato ed appaiono
meno spesse ai poli che non al  centro.

L’epitelio pavimentoso semplice è largamente distribuito nel nostro organismo. A livello del polmone costituisce il
rivestimento degli alveoli mediando così lo scambio gassoso tra l’aria alveolare e il sangue dei capillari alveolari. Lo
stesso tipo di epitelio si può riscontrare nella rete testis (una struttura del testicolo) e in determinate porzioni dei
tubuli renali (come nel foglietto parietale della capsula di Bowman). Forma anche la parete del labirinto
membranoso e la superficie interna della membrana del timpano dell’orecchio. Costituisce anche il mesotelio e
l’endotelio.
L’endotelio dei capillari più piccoli è costituito da una sola cellula; nei vasi più grandi, 2-3 cellule incurvate si
uniscono per delimitare il lume. Esse sono unite mediante interdigitazioni della membrana plasmatica e da giunzioni
del tipo della zonula occludens (o tight junction) o della zonula adheraens (o desmosomi). Attorno all’endotelio,
inoltre, è possibile osservare

una membrana basale glicoproteica. La membrana basale è costituita da due o tre componenti distinte: a ridosso
della superficie basale delle cellule epiteliali c’è una lamina omogenea, poco densa agli elettroni, chiamata lamina
lucida. Al di sotto di questa è presente la lamina densa, più opaca agli elettroni e ancora più profondamente è a
volte presente la lamina fibroreticolare, formata da sostanza amorfa attraversata da fasci irregolari di fibrille
reticolari. I costituenti fondamentali sono proteoglicani e collagene di tipo IV, perciò è PAS positiva; è inoltre
argentofila.
In più, ci sono macrofagi e cellule connettivali che in alcuni casi assumono caratteristiche contrattili e prendono il
nome di periciti. È importante considerare l’endotelio di alcuni capillari come quelli del glomerulo renale, delle
ghiandole endocrine, del sistema gastrointestinale, e di alcuni sinusoidi come quelli epatici in cui si parla di capillari
fenestrati per distinguerli dai capillari continui. La caratteristica di questi capillari fenestrati è che le cellule
endoteliali sono estremamente sottili e caratterizzate da fenestrazioni (o pori) di 80-100 nm che facilitano, quando
aperti,  lo scambio di sostanze.
Una delle caratteristiche più importanti delle cellule endoteliali è la presenza di numerosissime vescicole di
pinocitosi a superficie liscia (del diametro di 65-75 nm) che si formano in seguito ad invaginazione della membrana
cellulare nel citoplasma della cellula endoteliale. Queste vescicole hanno il compito di trasportare liquidi da una
superfcie cellulare all’altra.
Il mesotelio è un epitelio pavimentoso semplice che però ha una caratteristica: conserva parte della pluripotenzialità
del mesenchima tanto che le cellule possono differenziarsi in fibroblasti.
L’epitelio mesenchimale è un epitelio pavimentoso semplice che riveste alcune cavità poste in senso al tessuto
connettivo: cavità sottoaracnoidea e sottodurale, camere dell’occhio, spazi perilinfatici dell’orecchio.

Epitelio ghiandolare
Le ghiandole sono organi specializzati ad elaborare ed a riversare all’esterno sostanze quali enzimi o altre proteine,
mucopolisaccaridi, lipidi, ormoni. La funzione di produrre sostanze che devono essere escrete prende il nome di
secrezione. Nella ghiandola l’attività secernente è svolta dall’epitelio ghiandolare (o parenchima) mentre il tessuto
connettivo interstiziale (o stroma) ha una funzione meccanica di sostegno ed in esso decorrono i vasi sanguigni ed i
nervi che nutrono ed innervano le cellule connettivali ed epiteliali.
La funzione secernente non è una proprietà esclusiva delle cellule ghiandolari epiteliali. Le cellule connettivali
secernono proteoglicani e proteine che costituiscono la matrice che circonda questi elementi. Le cellule interstiziali
del testicolo e dell’ovaio e le cellule della teca interna del follicolo ovarico, che sono di natura connettivale,
secernono ormoni steroidi sessuali. Anche certi neuroni elaborano prodotti di neurosecrezione di natura peptidica.
Le ghiandole possono essere classificate secondo diversi criteri. Sulla base del destino del secreto, si distinguono
due categorie principali: ghiandole esocrine (o a secrezione esterna) e ghiandole endocrine (o a secrezione
interna).
Tessuto connettivo
Il tessuto connettivo è così denominato perché ha la funzione di connettere altri tessuti tra di loro nella formazione
degli organi. Nel tessuto connettivo la disposizione delle cellule è molto diversa da quella dell’epitelio: invece di
essere accostate tra loro a formare lamine o cordoni o ammassi solidi, le cellule sono separate fra loro da un
abbondante materiale extracellulare denominato sostanza intercellulare. Il tessuto connettivo, quindi, è formato da
sostanza intercellulare in cui sono immersi gli elementi cellulari. A sua volta, la sostanza intercellulare è costituita da
una parte organizzata in fibre e da una sostanza amorfa o sostanza fondamentale che nel tessuto connettivo
propriamente detto contiene il liquido tessutale o interstiziale.
Il tessuto connettivo comprende quattro classi di tessuto che hanno in comune la caratteristica di contenere, oltre alle
cellule, la sostanza intercellulare e di svolgere una funzione di connessione e di sostegno ma che presentano
localizzazioni, proprietà morfologiche e funzionali e caratteristiche diverse. Le 4 classi sono:

• Tessuto connettivo propriamente detto


• Tessuto cartilagineo
• Tessuto osseo
• Sangue e linfa.
Tutti i tessuti connettivi derivano dal mesenchima o tessuto connettivo embrionale che si forma dal mesoderma. Il
mesenchima è costituito da cellule di forma irregolare, munite di prolungamenti, e da una sostanza intercellulare
amorfa piuttosto fluida ed inizialmente priva di fibre reticolari e di complessi proteoglicanici e glicoproteici. La cellula
mesenchimale è una cellula staminale pluripotente e può differenziarsi in molti tipi di cellule connettivali (fibroblasti,
cellule adipose, mastociti, condroblasti, osteoblasti) nonché dare origine alle fibrocellule muscolari lisce, agli elementi
ematici, alle cellule endoteliali e ai periciti.

Tessuto connettivo propriamente detto


Il tessuto connettivo propriamente detto è suddiviso in due sottoclassi: il tessuto connettivo lasso e il tessuto
connettivo denso o compatto. Nel primo le fibre sono bassamente intrecciate tra loro mentre nel secondo sono
abbondantissime e raccolte in grossi fasci stipati che conferiscono al tessuto una notevole consistenza. Nel tessuto
connettivo compatto le fibre possono avere una disposizione irregolare, disordinata, come nel derma (tessuto
connettivo compatto irregolare), oppure essere raccolte in fasci paralleli, come nei tendini, nei legamenti, nelle
aponeurosi (tessuto connettivo compatto regolare). Esistono, infine, varietà di tessuto connettivo lasso con proprietà
speciali: tessuto mucoso, tessuto elastico, tessuto reticolare, tessuto adiposo, tessuto pigmentato.
Ematossilina e Eosina

Che cos’è la colorazione con ematossilina eosina? Quando andiamo ad approcciare l’anatomia
o qualsiasi altra materia scientifica non riusciamo a comprendere il lavoro che sta dietro alle
immagini illustrative che ritroviamo sui nostri manuali.
Infatti queste immagini dallo scopo didattico nascondono spesso molte difficoltà a monte, come
quelle di non riuscire a fotografare in maniera accurata un organulo o una particella che
dobbiamo mostrare.
L’importanza nell’avere delle immagini ben definite è essenziale, per poter visionare in maniera
corretta determinati fenomeni ma anche per poterli poi illustrare in maniera adeguata.
Come mai questa bizzarra premessa? Perché sicuramente è difficile che andremo a praticare
dell’istologia e di conseguenza l’esempio più semplice per spiegare che cos’è la colorazione
con ematossilina eosina è quello del parlare delle immagini anatomiche illustrative.
Infatti nelle condizioni ambientali gli organuli delle nostre cellule sono completamente invisibili
anche al microscopio più tecnologico, mentre nei casi dove sono visibili possono essere poco
nitidi e distinguibili.
Per rimediare a questo problema si utilizzano dei metodi chimici chiamati colorazioni per
cercare di evidenziare determinati organuli, cellule o parti delle cellule.
Da un punto di vista di ricerca, il saper marcare o colorare le sostanze che stiamo cercando in
maniera corretta (e possibilmente in maniera anche economica) è cruciale per ottenere dei buoni
risultati.
Qui possiamo comprendere l’importante ruolo della più comune colorazione istologica, la
colorazione ematossilina eosina.

Cos’è la colorazione ematossilina eosina?


La colorazione ematossilina eosina è la più comune colorazione utilizzata nel campo
dell’istologia.
Consiste su una doppia colorazione che può andare ad evidenziare determinati componenti dei
tessuti.
Ricordando che i tessuti sono un insieme di molte cellule similari già differenziate, possiamo
andare a fare una prima grande divisione fra l’ematossilina e l’eosina.
L’ematossilina è un colorante basico che è caratterizzato dal colore blu.
L’eosina è un colorante acido che è caratterizzato dal colore rosa.
La complementarietà di questi due composti è essenziale: in quanto un composto andrà a
colorare determinate zone cellulari, mentre l’altro composto andrà a colorarne altre.
La colorazione come è facilmente comprensibile dalle definizioni poste in precedenza dipende
dalla caratteristica di PH delle diverse zone cellulari.
Infatti l‘ematossilina colora le sostanze prevalentemente acide come il DNA, RNA e matrici
cartilaginee.
Mentre l’eosina colora sostanze prevalentemente basiche come il citoplasma, il collagene
e le membrane cellulari.
Quindi adesso è possibile rispondere alla domanda più gettonata nell’ambito universitario rispetto
a questo argomento: che cosa si può distinguere grazie a questa colorazione?
La risposta è semplice, la colorazione di ematossilina ed eosina permette di definire
la membrana e il nucleo della cellula.
Che cos’è l’ematossilina
Ma esattamente che cos’è l’ematossilina? Con questo termine andiamo a descrivere una sostanza di
origine botanica.
Infatti, l’ematossilina è una molecola che si viene ad estrarre della Haematoxylum campechianum
che è una pianta comune originaria dell’America del Sud.
Come anche la colorazione di golgi, questa sostanza non va a colorare direttamente i nostri tessuti in
maniera diretta, ma necessita di cofattori di origine metallica.
Infatti, quando l’ematossilina va ad ossidarsi inizia a dare la sua tipica colorazione tendente al blu.
Da un punto di vista prettamente chimico l’ematossilina è formata da carbonio, idrogeno e ossigeno,
infatti la sua formula bruta è C16 H14 O6.
Per non fare confusione ricordiamoci che l’ematossilina è una sostanza basica che quindi va a legarsi
alle sostanze acide.
Questo fatto è molto banale, ma può comportare forti confusioni se siamo ai primi approcci alla
chimica.

Che cos’è l’eosina


Ma che cos’è l’eosina? Se pensiamo che sia anch’esso un derivato botanico ci sbagliamo di grosso,
infatti l’eosina è un derivato della fluorosceina, una polvere di origine sintetica.
E’ l’esempio della classica molecola utilizzata dall’industria per colorare varie tipologie di beni e
prodotti, fino all’utilizzo nell’ambito cosmetico e medico.
Infatti molto spesso accade che persino sostanze alimentari abbiamo un risvolto inaspettato nel
settore della ricerca.
Basti pensare al famoso agar giapponese, utilizzato per fare gelatine zuccherate ma anche per fare
elettroforesi di laboratorio o per terreni di colture.
E’ una polvere rossastra simile alla ruggine, caratterizzata dalla veloce solubilità in acqua.
Essendo una sostanza acida va a colorare le sostanze con un ph opposte alle sue, ovvero quelle
basiche.
Da un punto di vista chimico, la sua formula molecolare è C20 H6 Br4 Na2 O5.
Un esempio classico dell’eosina è nel famoso farmaco chiamato neomercuriocromo, dove va a
compiere un ruolo di disinfettante ma anche colorante.
La matrice amorfa
Le cellule e le fibre del tessuto connettivo sono immerse in un materiale amorfo denominato sostanza
fondamentale amorfa (o sostanza intercellulare amorfa o matrice amorfa) avente le proprietà di una
soluzione colloidale molto viscosa o di un gel fluido e la capacità di legare quantità variabili di acqua.

Le cellule e le fibre del tessuto connettivo sono immerse in un materiale amorfo denominato sostanza
fondamentale amorfa (o sostanza intercellulare amorfa o matrice amorfa) avente le proprietà di una soluzione
colloidale molto viscosa o di un gel fluido e la capacità di legare quantità variabili di acqua. L’acqua con le
sostanze ed i gas in essa disciolti diffonde dai capillari sanguigni e costituisce il cosiddetto liquido tissutale (o
tissulare) o interstiziale. L’acqua legata alla sostanza amorfa dei tessuti connettivi, quindi, funziona come
mezzo disperdente per la diffusione dei gas e di sostanze metaboliche dai capillari sanguigni alle cellule dei
tessuti e viceversa. L’interazione tra matrice amorfa e liquidi tissutali costituisce così la base della funzione
trofica del tessuto connettivo lasso.
La maggior parte dei fluidi extracellulari sono legati ai componenti macromolecolari (glicosaminoglicani) della
matrice amorfa e non sono riscontrabili in quantità apprezzabile come fluidi liberi in condizioni normali nel
tessuto connettivo; invece, si accumulano in grandi quantità come liquidi liberi nell’edema e
nell’infiammazione.
La sostanza amorfa adempie a molteplici funzioni:
• Connette le strutture fibrose che in essa sono disperse orientando la deposizione delle fibre collagene.
• Costituisce un supporto meccanico.
• Regola la diffusione di sostanze metaboliche, ioni, acqua e gas dal sangue ai tessuti e viceversa
(intervenendo così nell’equilibrio idrico e ionico).
• Provvede alla diffusione dell’organismo ostacolando la diffusione di sostanze nocive e di batteri.
In alcuni tessuti essa ha funzioni speciali:
• Il condroitin solfato (un glicosaminoglicano costituente la sostanza amorfa) presente nella cartilagine ha
una funzione importante nei processi di calcificazione cartilagine.
• L’eparina (un altro glicosaminoglicano) ha una funzione anticoagulante e antilipemica.
Con l’avanzare dell’età, la sostanza intercecculare subisce modificazioni non tanto riguardo le fibre collagene
quanto le fibre elastiche che si alterano e si riducono.

Proprietà tintoriali della sostanza amorfa


a sostanza amorfa ha lo stesso indice di rifrazione dell’acqua ed è quindi invisibile nei preparati a fresco. È
inoltre solubile nei comuni fissativi per cui risulta raramente visibile nei preparati istologici. È conservata
meglio impiegando il metodo congelamento-essiccamento, purché le sezioni congelate siano
successivamente fissate in vapori di etere-formolo. In questo modo si colora debolmente con la reazione
acido periodico-Schiff (PAS) e metacromaticamente con alcuni coloranti basici (come il blu di toluidina).
In altri tessuti connettivi come la cartilagine e l’osso, il contenuto in glicosaminoglicani e glicoproteine è tanto
elevato da essere preservato da molti fissativi in quantità sufficiente a dare un’intensa colorazione coi
coloranti basici e con il metodo PAS nei preparati istologici allestiti con le comuni tecniche.
La colorazione con la reazione PAS è dovuta alle glicoproteine presenti nella sostanza amorfa (scarsa nel
connettivo lasso, abbondante nelle membrane basali, nella cartilagine e nell’osso).
Mentre le fibre collagene sono debolmente PAS-positive, quelle elastiche non si colorano. Le fibre reticolari,
invece, sono intensamente PAS-positive; si ricordi che ciò non è dovuto al rivestimento esterno delle
glicoproteine, ma alle catene laterali oligosaccaridiche (soprattutto galattosio, fucosio, mannosio e glucosio)
del tropo collagene.
La metacromasia della sostanza amorfa è conferita dai glicosaminoglicani acidi in essa contenuti: acido
ialuronico, condroitin solfato, cheratan solfato, ecc.. In generale, i glicosaminoglicani solforati sono più
metacromatici di quelli non solforati. Quando i gruppi solforici sono molto numerosi, come nella cartilagine, la
sostanza amorfa si colora anche con ematossilina.
La sostanza amorfa dei connettivi, particolarmente quella della cartilagine, si colora elettivamente con il
metodo ferro colloidale di Hale e con il metodo Alcian blu. Queste reazioni sono dovute alle proprietà del
condroitinsolfato di legare cationi bivalenti.
Tessuto cartilagineo
Insieme al tessuto osseo e a varietà istologiche minori, il tessuto cartilagineo appartiene ai tessuti
scheletrici o tessuti connettivi di sostegno dotati di proprietà meccaniche, nonché di importanti funzioni nel
ricambio elettrolitico.
La cartilagine è una forma specializzata di tessuto connettivo, costituita da cellule denominate condrociti (o
condroblasti) e da un’abbondante sostanza intercellulare costituita, a sua volta, da fibre extracellulari
immerse in una sostanza fondamentale o matrice amorfa allo stato di gel.
Nei mammiferi, la maggior parte dello scheletro si abbozza nel corso dello sviluppo come cartilagine, che
viene successivamente sostituita da osso. Durante il periodo di accrescimento postnatale dell’individuo, la
cartilagine permane nelle zone di confine tra epifisi e diafisi delle ossa lunghe provvedendo allo sviluppo in
lunghezza di tali segmenti scheletrici. Nell’adulto la cartilagine permane in corrispondenza delle superfici
articolari, che non si ossificano mai, ed in poche altre sedi; inoltre, essa forma lo scheletro di sostegno
dell’orecchio, del naso, della laringe, della trachea e dei bronchi.
Tranne che sulle superfici articolari, la cartilagine è rivestita di un involucro di tessuto connettivo fibroso
compatto denominato pericondrio.
A differenza degli altri tessuti connettivi, la cartilagine è sprovvista di nervi e di vasi sanguigni e linfatici ed è
quindi nutrita per diffusione attraverso la sua matrice gelificata.
A seconda delle sedi, la cartilagine può avere funzioni scheletriche (impedendo, ad esempio, il collassarsi
degli organi cavi, come nell’orecchio e nelle vie respiratorie), o quella di permettere il movimento dei capi
articolari (come nelle cartilagini articolari) o, infine, nel feto e nell’individuo in crescita, la funzione di
costituire il modello per la formazione si segmento scheletrico definitivo e di promuovere l’accrescimento in
lunghezza di molte ossa (cartilagine di coniugazione).
L’accrescimento della cartilagine e il suo metabolismo sono sotto il controllo di numerosi ormoni e di altri
fattori tra cui vitamine. La deficienza delle vitamine A, C e D determina un’alterazione nell’accrescimento e
nella maturazione della cartilagine.
• La carenza di vitamina A provoca un disturbo nell’attività della cartilagine epifisaria che diminuisce di
spessore.
• La vitamina C è necessaria per la produzione del collagene e, forse, anche dei costituenti della
sostanza amorfa. La deficienza di tale vitamina provoca lo scorbuto, caratterizzata da alterazioni della
sostanza intercellulare di tutti i tessuti connettivi.
• La vitamina D, quando deficiente, determina il rachitismo. Durante la formazione dell’osso, le
cartilagini di coniugazione proliferano regolarmente ma non calcificano, di modo che le ossa in
accrescimento si deformano per il peso che devono sostenere. La vitamina D agisce sulla
calcificazione della cartilagine e dell’osso, inducendo la sintesi di enzimi responsabili della formazione
di una proteina coniugata di trasporto del calcio.
• L’ipofisi, tramite sintesi dell’ormone della crescita (o ormone somatotropo) è indispensabile per
l’accrescimento normale della cartilagine. L’ipofisectomia in giovane età causa nanismo. Le cartilagini
di coniugazione risultano sottili, l’attività proliferativa dei condrociti è fortemente ridotta e la matrice
perde la sua metacromasia. Tutti questi cambiamenti sono reversibili se si somministra l’ormone della
crescita.
• La tiroide, tramite la sintesi di tiroxina, promuove insieme all’ipofisi la crescita normale dello scheletro.
• Anche gli ormoni sessuali intervengono nella condrogenesi (e nell’osteogenesi) con meccanismi poco
chiari.
Nell’età senile si verificano fenomeni regressivi, soprattutto nelle cartilagini di spessore considerevole; essi sono
forse legati ai cambiamenti chimici della matrice che provocano un rallentamento dei processi di diffusione di
sostanze nutritive attraverso la sostanza fondamentale.
Nell’età senile la cartilagine perde la sua trasparenza e diventa giallognola ed opaca. Questo fenomeno è dovuto
alla diminuzione dei proteoglicani e ad un aumento delle proteine non collagene.
Un fenomeno degenerativo comune legato alla senescenza è rappresentato dalla trasformazione asbestiforme: la
matrice omogenea è invasa da grossolane fibre fittamente stipate, diverse dalle fibre collagene, che conferiscono
al tessuto un aspetto lucente, simile a quello dell’asbesto. Queste fibre possono dissolversi portando al
rammollimento del tessuto ed alla formazione di cavità.
La calcificazione di certe cartilagini (sia ialine sia elastiche) è un evento comune legato all’invecchiamento ed è
associato a cambiamenti degenerativi delle cellule cartilaginee. La calcificazione della cartilagine ialina è invece un
processo normale durante la formazione dell’osso.
La cartilagine dei mammiferi non ha proprietà rigenerative. Quando è distrutta o danneggiata, la perdita di sostanza
viene colmata da tessuto connettivo fibroso neoformato proveniente dal pericondrio che, in alcuni casi, può
gradualmente trasformarsi in cartilagine (metaplasia).
Sulla base dell’abbondanza relativa della sostanza amorfa e delle fibre che vi sono incluse e della natura di queste
ultime, si distinguono tre tipi di cartilagine:
• Cartilagine ialina.
• Cartilagine elastica.
• Cartilagine fibrosa (o fibrocartilagine).
Esistono, inoltre, altri due tipi rari: il tessuto condroide (o pseudocartilagine) e il tessuto cordoide.
Proprietà tintoriali della cartilagine
La presenza di elevate concentrazioni di proteoglicani nella cartilagine spiega le sue proprietà tintoriali. La
sostanza amorfa della cartilagine è intensamente basofila e si colora metacromaticamente con il Blu di toluidina
e con Azzurro A; si colora, inoltre, con la reazione al Ferro colloidale di Hale e con il metodo Alcian blu. La
matrice amorfa si colora intensamente in rosso con la reazione PAS non per i proteoglicani (che sono PAS-
negativi), ma per la presenza delle glicoproteine.
La cartilagine embrionale e fetale è uniformemente basofila mentre quella adulta presenta differenze regionali
nella colorazione che riflettono differenze nella distribuzione delle diverse componenti del materiale
intercellulare. La regione che circonda ciascun gruppo isogeno contiene concentrazioni più elevate di
glicosaminoglicani e minori di fibrille collagene, ed ha quindi l’aspetto di un alone intensamente basofilo e
metacromatico.
I glicosaminoglicani sono ancora più concentrati nella sottile zona di matrice che circonda immediatamente
ciascuna lacuna cartilaginea formando un anello intensamente basofilo e metacromatico, denominato
impropriamente capsula.
Le regioni interposte tra i gruppi esogeni contengono concentrazioni minori di condroitin solfato ed un numero
maggiore di fibrille collagene ed appaiono perciò meno basofile o leggermente acidofile; esse costituiscono la
cosiddetta regione o matrice interterritoriale o interstiziale.

Cartilagine fibrosa
La cartilagine fibrosa (o fibrocartilagine) si riscontra nei dischi intervertebrali (e si continua in alto e in basso con
la cartilagine ialina delle vertebre adiacenti ed in periferia con i legamenti spinali), nella sincondrosi tra prima
costa e sterno, in vari menischi articolari, nei labbri glenoideo e acetabolare, nella sinfisi pubica, nel legamento
rotondo del femore e nella zona d’inserzione sull’osso di alcuni tendini.
La cartilagine fibrosa è una forma di transizione tra il tessuto connettivo denso (o compatto) e la cartilagine; è
caratterizzata da grossi fasci fibrosi immersi in una scarsa matrice cartilaginea contenente quantità variabili di
proteoglicani.
Le fibre collagene sono composte di sottili fibrille spesse 40-80 nm e provviste del caratteristico periodo assile di
70 nm.
Le cellule cartilaginee, circondate dalla capsula, sono disposte isolate o sono talora allineate in fila tra i fasci di
fibre collagene. A differenza degli altri tipi di cartilagine, la cartilagine fibrosa è priva di un vero e proprio involucro
connettivale o pericondrio.
La fibrocartilagine, in molte sedi, si continua insensibilmente con il connettivo fibroso: ad esempio, nella zona di
inserzione di un tendine su un segmento scheletrico le file di cellule tendinee si continuano con quelle degli
elementi cartilaginei ed i fasci collageni del tendine con quelli della fibrocartilagine; la transizione tra i due tessuti
è rivelata dalla maggiore dimensione degli elementi cartilaginei e dall’accumulo di una matrice amorfa attorno
alle cellule.
La fibrocartilagine si sviluppa come il comune tessuto connettivo: le cellule mesenchimali si differenziano in
fibroblasti che elaborano abbondante materiale fibrillare; in seguito, altre cellule mesenchimali vanno incontro ad
un processo differenziativo, dando origine a cellule cartilaginee che secernono nella matrice una sostanza
amorfa ricca in proteoglicani che forma le capsule intorno alle cellule.
Cartilagine ialina
La cartilagine ialina è il tipo più diffuso di cartilagine ed è così chiamata perché a fresco appare come una
massa traslucida, opalescente, di colore bianco-bluastro; è dotata di un certo grado di elasticità. Il suo nome
deriva dal greco “hyalos” (= vetro).
L’abbozzo dello scheletro dell’embrione e del feto è costituito quasi del tutto da cartilagine ialina che, nel corso
dei processi di ossificazione, subisce la calcificazione, regredisce ed è sostituita da tessuto osseo. Dopo la
nascita, una zona di cartilagine non ossificata, la cosiddetta cartilagine di coniugazione o disco epifisario,
permane per tutto il periodo dell’accrescimento corporeo nella zona limite tra epifisi e diafisi delle ossa lunghe
provvedendo al loro sviluppo in lunghezza e si ossifica al termine della crescita.
Nell’adulto, la cartilagine ialina riveste le superfici articolari e forma le cartilagini costali, gli anelli tracheali,
gran parte delle cartilagini laringee, le cartilagini bronchiali e le cartilagini del naso.
Nell’embrione la cartilagine ialina compare durante la 5a settimana di vita. Il tessuto di origine è il
mesenchima. La prima manifestazione morfologica della differenziazione della cartilagine è rappresentata
dalla formazione di aggregati compatti di cellule mesenchimali che ritirano i loro prolungamenti assumendo
una forma rotondeggiante. Questi accumuli cellulari prendono il nome di tessuto protocondrale o centri di
condrificazione. Le cellule mesenchimali in tali raggruppamenti iniziano a secernere una matrice
metacromatica ialina e collagene, differenziandosi così in condroblasti o condrociti. I segni morfologici più
rilevanti della differenziazione della cellula mesenchimale in condroblasto sono la scomparsa dei
prolungamenti cellulari, l’accentuarsi della basofilia citoplasmatica dovuto all’accumulo di ribosomi, lo sviluppo
del reticolo endoplasmatico granulare e del complesso di Golgi. Con l’aumentare della sostanza intercellulare,
le cellule, che inizialmente erano vicine le une alle altre, si allontanano tra loro, rimanendo incluse nella
matrice neosintetizzata all’interno di cavità separate denominate lacunee cartilaginee.
L’accrescimento successivo della cartilagine avviene con due meccanismi diversi: accrescimento interstiziale
ed accrescimento per apposizione.
• Nell’accrescimento interstiziale, gli elementi cartilaginei già differenziati si dividono ripetutamente dando
origine ad una progenie di cellule che elabora e deposita nuova sostanza intercellulare. Le cellule figlie
derivanti dalla proliferazione di ogni cellula iniziale formano un clone di elementi accostati tra loro; tali
cloni sono denominati gruppi isogeni.
• Nell’accrescimento per apposizione, si ha differenziazione, alla periferia del centro di condrificazione, di
nuovi elementi mesenchimali in condroblasti che elaborano un nuovo strato di sostanza interstiziale
cartilaginea attorno a quello formato in precedenza. Dopo un certo tempo, lo strato di mesenchima che
circonda l’abbozzo cartilagineo si condensa formando un involucro connettivale, detto pericondrio, che
separa la cartilagine dal circostante mesenchima. Questo involucro possiede importanti proprietà
condrogeniche; per tutto il periodo dello sviluppo, le cellule dello strato interno o condrogenico del
pericondrio si differenziano in condroblasti e depositano per apposizione nuova cartilagine alla superficie
dell’abbozzo formatosi in precedenza.
Cartilagine elitistica
Sono costituiti da cartilagine elastica le cartilagini del padiglione auricolare e del meato uditivo esterno, le
cartilagini della tuba uditiva, l’epiglottide e la parte delle cartilagini corni culate e cuneiformi ed il processo
vocale delle cartilagini aritenoidi.
La cartilagine elastica differisce a fresco dalla cartilagine ialina per il colore giallastro e per la maggior
opacità dovuta all’elevato numero di fibre elastiche nella matrice, per la flessibilità e l’elasticità, per il basso
contenuto in proteoglicani e per la minore omogeneità della matrice.
Le sue cellule sono simili a quelle della cartilagine ialina; hanno forma rotonda od ovale e sono avvolte da
una specie di capsula.
La matrice intercellulare differisce da quella della cartilagine ialina per la presenza di moltissime fibre che si
colorano con tutti i metodi per la dimostrazione dell’elastina e che hanno un’ultrastruttura simile alle fibre
del tessuto connettivo elastico. Queste fibre si ramificano e decorrono in tutte le direzioni formando una rete
così compatta da oscurare la sostanza amorfa che è meno abbondante di quella della cartilagine ialina.
Negli strati periferici, al di sotto del pericondrio, la trama reticolare è più lassa e si continua nel circostante
pericondrio; nelle porzioni più profonde le fibre sono più spesse e fittamente stipate.
Pur essendo meno abbondanti di quelli della cartilagine ialina, i proteoglicani della sostanza amorfa si
dimostrano basofili e metacromatici. I proteoglicani della cartilagine elastica sono riconoscibili, come quelli
della cartilagine ialina, come granuli elettrondensi di circa 20 nm di diametro.
La cartilagine elastica si sviluppa da un blastema ialino. Le fibre elastiche si formano alla periferia delle
cellule per la polimerizzazione di molecole di tropo elastina, secrete dagli elementi cellulari, in elastina
insolubile che costituisce la componente amorfa delle fibre.
Le fibre elastiche, oltre l’elastina, contengono un’altra glicoproteina, la fibrillina, che si deposita prima della
componente amorfa e che svolge un ruolo strutturale orientando le molecole di tropoelastina nella
formazione del polimero di elastina.
L’accrescimento della cartilagine elastica avviene sia per divisione dei condrociti sia per apposizione dal
pericondrio.
La cartilagine elastica non subisce, se non in rarissimi casi, la calcificazione.
Tessuto osseo
Il tessuto osseo è una forma specializzata di tessuto connettivo, caratterizzata dalla mineralizzazione della
matrice extracellulare che conferisce al tessuto una notevole durezza e resistenza. Insieme al tessuto
cartilagineo e a varietà istologiche minori, appartiene ai tessuti scheletrici o tessuti connettivi di sostegno
dotati di proprietà meccaniche, nonché di importanti funzioni nel ricambio elettrolitico.
Il tessuto osseo è organizzato in strutture definite ossa. Nonostante la sua durezza e resistenza alla pressione
e alla trazione, l’osso è molto leggero; questa associazione della massima resistenza con il minimo peso è
uno degli attributi più importanti dell’osso ed è dovuta alla sua straordinaria organizzazione interna.
L’osso non è un tessuto statico, ma è continuamente rinnovato e rimodellato per tutta la durata della vita.
Questo continuo processo di rimodellamento, oltre ad avere una funzione meccanica, assolve al compito
fondamentale di regolare la concentrazione di calcio nel plasma in quanto le ossa rappresentano la principale
sede di deposito di calcio.
Il tessuto osseo è il tessuto costitutivo principale di quasi tutto lo scheletro e forma, inoltre, la dentina ed il
cemento dei denti. Lo scheletro osseo costituisce l’impalcatura interna del corpo, protegge i visceri e le altre
parti molli e dà inserzione ai muscoli e ai tendini; inoltre, accoglie nelle sue cavità gli elementi emopoietici del
midollo.
Il tessuto osseo è costituito da cellule, da una matrice intercellulare organica e da una matrice intercellulare
inorganica (o minerale).
Esistono due forme specializzate di tessuto osseo: la dentina (o avorio) e il cemento che costituiscono,
rispettivamente, la sostanza compatta del dente che avvolge la cavità pulpare e la sostanza compatta che
avvolge la dentina nella regione della radice.

Nell’embrione e nel feto le fibre collagene non sono distribuite regolarmente in lamelle stratificate, ma sono
raccolte in grossi fasci paralleli; si parla di tessuto osseo non lamellare a fibre parallele. Se i fasci sono
intrecciati si parla di tessuto osseo non lamellare a fibre intrecciate. Le lacune, invece, sono disperse
irregolarmente.
Dall’età prenatale e continuando nella vita adulta, il tessuto osseo embrionale e fetale è gradatamente
sostituito da tessuto osseo lamellare o stratificato in cui fibre, cellule e matrice sono raccolti in lamelle o strati
distinti con le fibrille orientate nella stessa direzione di un determinato strato o in direzioni diverse in lamelle
contigue.
Nell’adulto è possibile osservare tessuto osseo non lamellare a livello delle suture craniche, nel labirinto
osseo, nell’osso alveolare del dente, nelle regioni d’inserzione dei tendini. Inoltre, il primo tessuto osseo che si
forma durante la riparazione delle fratture appartiene al tipo non lamellare.
Cellule del tessuto osseo
Nelle ossa in accrescimento si distinguono quattro tipi cellulari:
• Cellule osteoprogenitrici (o preosteoblasti).
• Osteoblasti.
• Osteociti.
• Osteoclasti.
Normalmente, nella formazione dell’osso, le cellule mesenchimali si differenziano in cellule osteoprogenitrici che
proliferano attivamente e si trasformano in osteoblasti; questi ultimi, dopo aver deposto la sostanza ossea, si
trasformano in osteociti.
Gli osteoclasti appartengono ad una linea cellulare diversa da quella degli osteoblasti ed osteociti in quanto
discendono dalla cellula staminale emopoietica.
Nel periostio e nell’endostio, al termine dei processi osteoformativi, lo strato epitelioide di osteoblasti attivi si
trasforma in uno strato di cellule osteoprogenitrici, quiescenti. Questo cambiamento morfologico e funzionale
reversibile è definito modulazione in contrapposizione alla differenziazione che comporta una trasformazione più
stabile.
Nella vita postnatale permangono nel periostio e nell’endostio cellule mesenchimali indifferenziate, pluripotenti,
le quali possono differenziarsi in risposta ad appropriati stimoli (fratture, ossificazione metaplastica).
Nel periostio e nell’endostio, una volta ultimati i processi osteogenici, gli osteoblasti perdono la basofilia
citoplasmatica, assumono forma fusata e diventano indistinguibili dalle comuni cellule connettivali. Pur essendo
verosimile che siano questi osteoblasti quiescenti a riassumere funzioni osteogeniche nel corso di riparazioni di
fratture, non è possibile escludere che altri tipi cellulari meno differenziati (fibroblasti o anche cellule
mesenchimali residue) partecipino al processo osteoformativo. Questa eventualità diventa ancora più probabile
nella formazione di osso in territori insoliti dell’organismo adulto che sono sicuramente privi di osteoblasti residui
(ossificazione metaplastica o ectopica), come nella parete delle arterie sclerotiche, nella pelvi renale, nei tendini
e nei loci calcificati dei polmoni. Probabilmente, in queste condizioni ambientali alterate, i fibroblasti o cellule
mesenchimali indifferenziate, residuati dall’embrione, possono differenziarsi in osteoblasti

Cellule osteoprogenitrici
Le cellule osteoprogenitrici (o preosteoblasti) sono elementi fusati o leggermente appiattiti e con citoplasma
acidofilo o leggermente basofilo e sono difficilmente distinguibili dai comuni fibroblasti o dalle cellule
mesenchimali indifferenziati. Si riscontrano sulla superficie delle trabecole ossee in via di ossificazione e nel
tessuto connettivo delle cavità midollari dell’osso; formano uno strato continuo (strato preosteoblastico) alla
superficie interna del periostio e nell’endostio; rivestono i canali di Havers e di Volkmann.
Le cellule osteoprogenitrici derivano dalla cellula mesenchimale e costituiscono una popolazione di elementi
relativamente indifferenziati e proliferanti. Esse hanno i caratteri di cellule staminali, di elementi cioè dotati della
capacità di dare origine mediante frequenti mitosi a cellule destinate a differenziarsi nonché ad altre cellule
osteoprogenitrici.
Durante l’accrescimento dell’osso le cellule osteoprogenitrici proliferano attivamente e si trasformano nelle
cellule osteogeniche, od osteoblasti.
Gli stessi fenomeni di attivazione delle cellule osteoprogenitrici si verificano nell’individuo adulto, durante la
riorganizzazione interna dell’osso e nel corso di riparazione di fratture. La trasformazione di preosteoblasti in
osteoblasti attivi è soprattutto manifesta nel periostio e nell’endostio dove lo strato di preosteoblasti fusati od
appiattiti si trasforma in uno strato osteoblastico di elementi cuboidi con disposizione epitelioide.
Cellule osteoprogenitrici
Le cellule osteoprogenitrici (o preosteoblasti) sono elementi fusati o leggermente appiattiti e con citoplasma
acidofilo o leggermente basofilo e sono difficilmente distinguibili dai comuni fibroblasti o dalle cellule mesenchimali
indifferenziati. Si riscontrano sulla superficie delle trabecole ossee in via di ossificazione e nel tessuto connettivo
delle cavità midollari dell’osso; formano uno strato continuo (strato preosteoblastico) alla superficie interna del
periostio e nell’endostio; rivestono i canali di Havers e di Volkmann.
Le cellule osteoprogenitrici derivano dalla cellula mesenchimale e costituiscono una popolazione di elementi
relativamente indifferenziati e proliferanti. Esse hanno i caratteri di cellule staminali, di elementi cioè dotati della
capacità di dare origine mediante frequenti mitosi a cellule destinate a differenziarsi nonché ad altre cellule
osteoprogenitrici.
Durante l’accrescimento dell’osso le cellule osteoprogenitrici proliferano attivamente e si trasformano nelle cellule
osteogeniche, od osteoblasti.
Gli stessi fenomeni di attivazione delle cellule osteoprogenitrici si verificano nell’individuo adulto, durante la
riorganizzazione interna dell’osso e nel corso di riparazione di fratture. La trasformazione di preosteoblasti in
osteoblasti attivi è soprattutto manifesta nel periostio e nell’endostio dove lo strato di preosteoblasti fusati od
appiattiti si trasforma in uno strato osteoblastico di elementi cuboidi con disposizione epitelioide.

Cellule satelliti
Le cellule satelliti (o amficiti) sono elementi appiattiti di aspetto epiteliale che hanno il medesimo significato di
cellule di Schwann ma si trovano nei gangli encefalo-spinali e viscerali. La superficie plasmatica profonda, rivolta
verso il corpo cellulare (o pirenoforo) delle cellule principali dei gangli, presenta numerose irregolarità che si
adattano alle digitazioni dei neuroni.
Alle cellule satelliti che circondano il pirenoforo fanno seguito cellule dello stesso tipo che avvolgono l’assone delle
cellule principali per continuare in comuni cellule di Schwann.

Cellule di Schwann
Le cellule di Schwann hanno un citoplasma molto voluminoso e sono munite di lunghi prolungamenti che
avvolgono l’assone formando la mielina. Queste cellule sono presenti non rivestono solo le fibre mieliniche ma
anche quelle amieliniche; la differenza sta nel fatto che nelle fibre amieliniche la cellula non si arrotola su se stessa
come accade nelle fibre mieliniche.
Il nucleo è situato di solito nella parte centrale dell’internodo e il citoplasma contiene mitocondri, apparato di Golgi e
membrane di reticolo granulare e di reticolo liscio.
Osteoblasti
Gli osteoblasti partecipano direttamente alla formazione del tessuto osseo, secernendo i componenti organici
della matrice (collagene, proteoglicani e glicoproteine) e regolando anche la deposizione di sali minerali. Si
riscontrano soprattutto in corrispondenza delle superfici in via di espansione delle ossa e nello strato
osteogenico del periostio e dell’endostio durante tutto il periodo di morfogenesi dell’osso.
In tali sedi, durante la fase attiva di sintesi della sostanza ossea, gli osteoblasti sono disposti a formare uno
strato epitelioide; sono cellule piuttosto grandi, con nucleo rotondo nucleo lato e citoplasma molto basofilo. Il
citoplasma presenta un’intensa attività fosfatasica alcalina e contiene granuli PAS-positivi che costituiscono i
precursori delle glicoproteine della matrice ossea.
Al microscopio elettronico gli osteoblasti in fase di attività mostrano i caratteri citologici di cellule impegnate in
un’intensa sintesi proteica: il reticolo endoplasmatico granulare ed il complesso di Golgi sono ben sviluppati,
sono presenti numerosi ribosomi e polisomi liberi ed associati ed il nucleolo è piuttosto voluminoso e presenta la
caratteristica morfologia granulo-filamentosa. La superficie cellulare è provvista di corti e sottili prolungamenti.
Nella parte della cellula rivolta verso la matrice in via di mineralizzazione si riscontrano numerose vescicole con
contenuto amorfo o granulare che corrispondono ai granuli PAS-positivi visibili al microscopio ottico. Queste
vescicole a contenuto glicoproteico e proteoglicanico sono probabilmente espulse dalla cellula nella matrice
dove funzionerebbero come “nuclei” per l’inizio della sua mineralizzazione.
Quando la neoformazione di tessuto osseo si arresta, scompaiono i granuli, la reazione per la fosfatasi alcalina e
la basofilia citoplasmatica si attenuano e gradualmente gli osteoblasti si trasformano in osteociti.
In corrispondenza del periostio e dell’endostio, invece, assumono forma fusata permanendo come cellule
osteogeniche quiescenti o cellule osteoprogenitrici.

Osteociti
Gli osteociti sono le cellule più numerose nell’osso che ha completato il suo sviluppo. Sono essenzialmente
osteoblasti che, dopo aver elaborato la sostanza ossea, rimangono imprigionati nella matrice calcificata
nell’interno di lacune ossee, cavità a forma lenticolare scavate nelle lamelle.
Gli osteociti hanno la forma delle lacune ossee in cui sono accolti. Il corpo cellulare è appiattito, dovendosi
adattare alla forma lenticolare della cavità che lo contiene ed è provvisto di numerosi e sottili prolungamenti
alloggiati nei canalicoli ossei.
Si distinguono dagli osteoblasti, oltre che per la presenza di numerosi e lunghi prolungamenti (che negli
osteoblasti sono scarsi e corti) per la forma appiattita del corpo cellulare, per la minore basofilia del citoplasma
alla quale corrisponde una riduzione considerevole del numero di ribosomi, per la minore estensione
dell’ergastoplasma e del complesso di Golgi.
Tramite il microscopio elettronico è possibile osservare che gli osteociti non poggiano direttamente sulla
matrice mineralizzata ma sono separati dalle pareti della lacuna e dei canalicoli da un sottile spazio occupato
da un materiale amorfo, glicoproteico, contenenti esili fibrille collagene, e nel quale circolano i liquidi interstiziali.
Tale rivestimento glicoproteico degli osteociti potrebbe servire, analogamente alle lamine basali degli epiteli,
come mezzo di regolazione degli scambi tra le cellule ed i liquidi interstiziali che diffondono dai vasi sanguigni
lungo i canali di Havers. È stato osservato che nell’interno dei canalicoli ossei i prolungamenti di osteociti vicini
sono tra loro in contatto e che nelle zone di unione le membrane plasmatiche affrontate si specializzano a
formare tipiche gap junctions.
L’osteocito è uno stadio di quiescenza osteoformativa dell’osteoblasto. Tuttavia, non è una cellula inerte dal
punto di vista del metabolismo dell’osso; gli osteociti potrebbero partecipare allo scambio dei minerali dall’osso,
intervenendo quindi nella regolazione omeostatica della concentrazione di calcio nell’organismo.
La trasformazione dell’osteoblasto in osteocito è analoga a quella del condroblasto in condrocito. Esistono
tuttavia due differenze fondamentali tra questi sistemi:
• Gli osteociti sono incapaci di dividersi, essendo circondati da una matrice calcificata, di modo che
l’accrescimento dell’osso dopo la deposizione dei sali minerali può avvenire solo per apposizione.
• Gli osteociti non sono nutriti per diffusione attraverso la matrice ma ricevono il materiale nutritivo tramite la
rete di canalicoli e canali scavati nella matrice calcificata; gli scambi nutritivi e gassosi tra le cellule ed il
sangue sono facilitati dalla presenza dei prolungamenti citoplasmatici accolti nei canalicoli.
Osteoclasti
Gli osteoclasti sono cellule giganti plurinucleate, del diametro di 20-100 µm, contenenti decine di nuclei, che si
trovano sulla superficie di trabecole ossee in via di riassorbimento. Sono gli elementi cellulari deputati a
distruggere l’osso.
Appaiono spesso accolti in fossette scavate sulla superficie della trabecola ossea, definite fossette o lacune di
Howship, che si formano proprio per azione erosiva degli osteoclasti. Il loro citoplasma ha aspetto
vacuolizzato ed è molto meno basofilo di quello degli osteoblasti o, in alcune di esse, debolmente acidofilo.
Il microscopio elettronico rivela la presenza nel citoplasma di numerosi mitocondri, complessi di Golgi multipli,
scarsi elementi di reticolo endoplasmatico granulare ma molti poliribosomi liberi contenenti idrolasi acide.
La superficie degli osteociti attivi adiacente all’osso in riassorbimento presenza un caratteristico orletto striato
che al microscopio elettronico risulta costituito da microvilli molto irregolari in forma di prolungamenti clavati
(orletto increspato o ruffled border). Nelle fessure tra i microvilli, ma mai nell’interno delle cellule, sono spesso
visibili particelle minerali (cristalli di apatite) derivanti dalla lisi dell’osso e talora anche microfibrille di
collagene.
L’azione erosiva degli osteoclasti sulla matrice organica ed inorganica si esercita mediante acidificazione dello
spazio extracellulare compreso nelle pieghe dell’orletto increspato e secrezione di enzimi idrolitici di origine
lisosomiale.
Nel corso dello sviluppo encondrale dell’osso, in corrispondenza delle regioni di assorbimento della
cartilagine, sono riconoscibili elementi giganti, polinucleati, con le stesse caratteristiche degli osteoclasti,
denominati condroclasti.
Gli osteoclasti derivano dalla cellula staminale emopoietica e il loro precursore immediato appartiene alla linea
monocito-macrofagica. Più precisamente, gli osteoclasti sono sincizi derivanti dalla fusione di cellule
mononucleate appartenenti al sistema dei macrofagi. Infatti, monociti e macrofagi hanno organelli e sistemi
enzimatici simili a quelli degli osteoclasti ed hanno recettori per il calcitriolo, un potente stimolatore della
funzione osteoclastica.
Midollo osseo
Contenuto nelle cavità midollari delle ossa, il midollo osseo (o tessuto mieloide) è il principale organo
emopoietico (emo = sangue; poièo = fabbrico) nella seconda metà dello sviluppo fetale e durante la vita
postnatale; inoltre ha:
• Funzioni osteogeniche, in quanto contiene osteoblasti ed osteoclasti nonché fornisce i vasi sanguigni
all’osso in formazione.
• Funzione emocateretica (o emoclasica), in quanto svolge un ruolo importante nella distruzione delle cellule
ematiche invecchiate o danneggiate ad opera dei macrofagi del sistema reticolo-istiocitario.
• Funzioni immunologiche, in quanto, indirettamente, partecipa alle reazioni immunitarie dato che fornisce al
timo le cellule staminali che in questo organo si differenziano in linfociti T. Inoltre, produce monociti e
macrofagi nonché linfociti B. Il midollo osseo, pertanto, è un organo linfoide primario (o centrale) e
nell’adulto è il solo organo in grado di produrre l’intera gamma di elementi figurati presenti in circolo:
eritrociti, leucociti (linfociti, granulociti, monociti) e piastrine.
• Infine, partecipa alle funzioni generali del tessuto connettivo.
Il midollo osseo origina nel secondo mese di vita intrauterina nella clavicola, il primo osso che si ossifica, e si
estende successivamente agli altri segmenti scheletrici. Occupa tutte le cavità interne delle ossa e cioè la diafisi
delle ossa lunghe e le cellette della sostanza spugnosa nelle epifisi delle ossa lunghe, piatte e brevi.
Nel feto, il midollo della maggior parte delle ossa ha funzioni emopoietiche ed è detto midollo rosso per il colore
rosso derivante dal gran numero di cellule della serie eritrocitaria in esso presente.
Durante il periodo di accrescimento la maggior parte del midollo, nella diafisi delle ossa lunghe e in alcuni
territori spugnosi epifisari e di ossa brevi e piatte, perde le proprietà ematopoietiche diventando midollo giallo
prima, nel quale il tipo cellulare preponderante è rappresentato da cellule adipose, e midollo gelatinoso poi.
Nell’adulto il midollo osseo funzionante è limitato alla diploe delle ossa della volta cranica, alle coste, allo sterno,
ai corpi vertebrali e all’osso spugnoso di alcune ossa corte e delle estremità prossimali del femore e dell’omero.
Struttura del midollo osseo rosso
Come per gli altri organi emopoietici, il midollo osseo rosso presenta uno stroma reticolare, costituito da fibre
reticolari argirofile intrecciate a formare una rete a maglie piuttosto strette (reticolo fibrillare), e cellule
emopoietiche in vari stadi di differenziamento e dotate di elevata capacità proliferativa, contenute nelle maglie del
reticolo e organizzate in nidi e isolotti che costituiscono il parenchima midollare. Lo stroma si addensa intorno ai
vasi e si connette all’endostio che tappezza le cavità interne delle ossa.
Sono inoltre costantemente presenti cellule endoteliali, fibroblasti, macrofagi e cellule adipose che, nel midollo
giallo, occupano la maggior parte del tessuto.
Il parenchima midollare è riccamente fornito di vasi che provengono dalle arterie nutritizie delle ossa, le arterie
midollari, che si ramificano fino a dare capillari arteriosi che sboccano entro seni venosi di calibro irregolare
denominati sinusoidi (o seni vascolari) che insieme alle arterie costituiscono il compartimento vascolare del
midollo.
I seni venosi midollari sono localizzati al centro degli spazi occupati dalle cellule del midollo osseo; essi sono
drenati da venule che confluiscono in vene midollari satelliti delle arterie nutritizie delle ossa e rappresentano la
via attraverso la quale si attuano gli scambi tra il midollo ed il circolo sanguigno. Attraverso la loro parete le
cellule mature prodotte dal midollo passano nel circolo sanguigno e cellule ematiche dal sangue migrano nel
midollo per esservi eliminate o per svolgere funzioni specifiche nei processi di difesa ed immunitari (monociti,
granulociti, linfociti).
La parete dei seni vascolari è costituita da tre strati: endotelio, lamina basale ed uno strato avventiziale
incompleto.
Le cellule endoteliali non formano uno strato continuo ma sono tra loro separate da ampie fessure attraverso le
quali gli elementi cellulari possono passare in entrambe le direzioni, e non sono tra loro connessi da giunzioni
specializzate.
L’endotelio poggia su una membrana basale fenestrata, PAS-positiva e ricca di proteoglicani e fibre reticolari
argirofile. All’esterno della lamina basale si dispone un terzo strato pure fenestrato costituito da cellule
avventiziali (o periciti). Queste ultime manifestano un’attività fagocitaria piuttosto spiccata e possono impedire,
fagocitandole, che le cellule danneggiate passino in circolazione.
L’innervazione del midollo osseo è rappresentata da fibre vasomotrici che innervano la parete dei vasi sanguiferi.
La trasformazione del midollo osseo rosso in midollo giallo prima e midollo gelatinoso poi è caratterizzata
dall’aumento degli adipociti che si trovano tra gli isolotti emopoietici in un primo momento, e dall’aumento della
componente collagena e del deposito di glicoproteine nella sostanza fondamentale in un secondo tempo.
Struttura della sostanza grigia del midollo osseo
La sostanza grigia del midollo spinale è costituita da neuroni, fibre nervose per la maggior parte amieliniche e da
cellule di nevroglia.
I neuroni si distinguono per il comportamento del loro neurite, per le modalità di collegamento e per il significato
funzionale. Si considerano: cellule funicolari, cellule radicolari (questi due tipi costituiscono le cellule del 1° tipo
del Golgi e cellule del 2° tipo del Golgi).
La sostanza grigia del midollo spinale è organizzata in modo tale che i neuroni (in particolare quelli di tipo
funicolare e radicolare) possono formare raggruppamenti in cui tutti gli elementi presentano le stesse
connessioni nervose. Questi raggruppamenti non sono peraltro del tutto omogenei; talvolta essi appaiono ben
delimitati, talaltra assumono una disposizione diffusa che si estende a un numero variabile di neuromeri,
raramente a tutti. A tali raggruppamenti di neuroni si dà il nome di nuclei o di colonne, a seconda che siano visti
in sezione trasversale o longitudinale.
Si può considerare anche un’organizzazione laminare presente, con variazioni locali, per tutta l’estensione del
midollo spinale. Nelle lamine si possono poi localizzare i principali nuclei o colonne.
Osso compatto
Osservando al microscopio sottili sezioni trasversali e longitudinali di
diafisi di osso lungo macerato, è possibile osservare che la sostanza
ossea è attraversata da numerosi canali longitudinali, o talora obliqui:
sono i canali di Havers.
Una seconda categoria di canali, di calibro inferiore, attraversano
l’osso obliquamente o perpendicolarmente al suo asse maggiore,
connettendosi con i canali di Havers, e si aprono alle superfici
periostale ed endostale: sono i canali di

Volkmann. Piccoli vasi sanguigni e nervi penetrano dall’endostio e dal


periostio nei canali di Volkmann e da questi nei canali di Havers.
I canali di Havers e di Volkmann, quindi, sono canali vascolari scavati
nella matrice ossea che provvedono alla nutrizione e all’innervazione
dell’osso.
I canali di Volkmann di distinguono nelle sezioni dai canali di Havers,
oltre che per la loro direzione trasversale od obliqua rispetto all’asse
maggiore dell’osso, anche perché non sono circondati da lamelle
disposte concentricamente.
I sistemi lamellari adiacenti sono tra loro separati da uno strato
rifrangente, che si colora più intensamente, di matrice ossea
modificata denominata linea cementante.
Questo sistema di canali vascolari intercomunicanti è connesso a sua
volta con la rete formata dai canalicoli ossei e dalle lacune ossee;
lungo i canalicoli diffonde il liquido interstiziale contenente le sostanze
nutritive ed i metaboliti destinati alle cellule ossee contenute nelle
lacune.

Le lamelle ossee nel tessuto osseo compatto si aggregano in strati paralleli costituendo tre ordini di strutture:
• Per la maggior parte si dispongono concentricamente attorno ai canali di Havers formando con questi delle
strutture grossolanamente cilindriche denominate sistemi di Havers o osteoni; ogni osteone è dunque formato
dal canale di Havers disposto centralmente e orientato parallelamente, o talora obliquamente, all’asse
maggiore dell’osso, e dalla serie di lamelle concentriche (da 8 a 20). L’aspetto dell’osteone varia a secondo
del piano di sezione. Nelle sezioni trasversali appare come una serie di anelli concentrici disposti intorno ad un
foro centrale; nelle sezioni longitudinali si osserva una serie di bande parallele disposte ai due lati di una
fessura centrale che corrisponde alla sezione del canale di Havers.

Gli spazi interposti tra gli osteoni sono occupati da strati di lamelle ossee parallele, come negli osteoni, ma
disposti molto più irregolarmente; costituiscono i sistemi interstiziali.
• Alla superficie esterna dell’osso, sotto il periostio, ed alla superficie interna, al di sotto dell’endostio, vi sono
vari strati di lamelle disposti circolarmente; essi costituiscono i cosiddetti sistemi circonferenziali o limitanti,
esterno ed interno.

Osso spugnoso
L’osso spugnoso ha un aspetto alveolare ed è costituito di sottili trabecole (o spicole), formate da lamelle
addossate le une alle altre, che si ramificano e si anastomizzano in una rete tridimensionale nelle cui maglie è
accolto il midollo osseo; queste cavità midollari sono spazi intercomunicanti e si continuano nelle ossa lunghe
con la cavità midollare della diafisi.
Mancano sistemi di Havers completi e le trabecole non sono attraversate da vasi sanguigni. I canalicoli ossei
intercomunicanti delle lacune ossee si aprono nelle cavità midollari multiple al di sotto dell’endostio che le
riveste; gli osteociti possono quindi ricevere il nutrimento direttamente dall’endostio, per diffusione attraverso la
rete dei canalicoli.

Rimodellamento dell’osso periostale


L’osso periostale è inizialmente costituito da fibre intrecciate che delimitano cavità irregolari occupate da vasi
sanguigni e da tessuto connettivo (osso spugnoso primario). Successivamente l’osso spugnoso è sostituito da
osso compatto con la caratteristica architettura. La trasformazione dell’osso spugnoso in osso compatto avviene
per un processo noto come rimodellamento (o rimaneggiamento); questo consiste in un lento riassorbimento
associato a deposizione di nuovo tessuto osseo che gradualmente assume la disposizione lamellare a strati
caratteristica dell’osso compatto.
Nel processo di rimaneggiamento si possono riconoscere due stadi:
• In una prima fase, gli spazi vascolari delimitati da trabecole dell’osso spugnoso primario sono
progressivamente invasi ed obliterati da tessuto osteogenico che deposita via via nuovi strati di tessuto
osseo a ridosso delle trabecole, finché tali spazi si riducono a sottili canali percorsi da vasi sanguigni;
gradualmente, per un continuo avvicendarsi di processi osteoformativi e di fenomeni di riassorbimento, il
nuovo tessuto osseo depositato all’interno delle cavità assume una disposizione a strati concentrici attorno
ai canali vascolari; si costituiscono in tal modo formazioni simili ai sistemi di Havers ma molto meno
ordinate; sono denominate sistemi haversiani primitivi. Gli osteoni dell’osso adulto si formano con un
processo più complesso denominato formazione secondaria dell’osso. Il primo stadio nell’organizzazione
dei sistemi di Havers consiste nella formazione di cavità, le cavità di riassorbimento, per erosione dell’osso
spugnoso da parte degli osteoclasti. Successivamente le cavità si allargano e confluiscono in lunghi canali
cilindrici occupati da vasi sanguigni, tessuto connettivo e midollo osseo embrionale provenienti dal
periostio e dall’endostio. Quando la fase di riassorbimento che porta alla formazione del canale è
terminata, le cellule osteogeniche contenute nella cavità si trasformano in osteoblasti che depositano sulle
pareti dei canali una serie di lamelle concentriche caratteristiche dei sistemi di Havers. In questa
generazione di osteoni le fibrille collagene sono disposte parallelamente tra loro in ciascuna lamella e sono
orientate secondo direzioni diverse in lamelle contigue. Una parte delle lamelle originali rimane tra i sistemi
di Havers costituendo i sistemi interstiziali.
• I processi di rimaneggiamento non si arrestano una volta che si sono costituiti l’osso spugnoso e l’osso
compatto con la struttura caratteristica del tessuto adulto, ma proseguono attivamente per tutta la vita,
sebbene con un ritmo più lento di quello operante nel feto e nell’individuo in crescita. Continuano a
formarsi per erosione canali vascolari di riassorbimento sulle cui pareti si depositano strati di lamelle
concentriche e contemporaneamente i sistemi di Havers, formati in precedenza, vengono distrutti. Si
originano così osteoni di secondo, terzo e quarto ordine. I sistemi interstiziali dell’osso adulto
rappresentano frammenti residui di precedenti generazioni di sistemi haversiani non completamente
riassorbiti. Nell’osso adulto si riscontrano quindi sempre accanto agli osteoni maturi, altri in via di
formazione e cavità di riassorbimento. La velocità di formazione di un sistema haversiano varia con l’età ed
in rapporto alle diverse condizioni funzionali; in media, nell’adulto un sistema di Havers si forma in 4-5
settimane.
Ossificazione periostale ed endostale
Simultaneamente ai processi condrali che si verificano nella diafisi e nelle epifisi, il manicotto osseo di origine
periostale che si era costituito precocemente attorno alla porzione media della diafisi cartilaginea si estende a
tutta la diafisi ed aumenta in

spessore, in diametro e in lunghezza mediante continua deposizione di tessuto osseo membranoso che si
appone a quello formato in precedenza.
La formazione di osso membranoso di origine periostale consente l’accrescimento in spessore ed in larghezza
delle ossa lunghe, mentre il loro accrescimento in lunghezza dipende principalmente da un processo di
ossificazione condrale.
L’osso periostale è inizialmente costituito da un reticolo tridimensionale di trabecole a fibre intrecciate, le cui
maglie sono occupate da vasi sanguigni e tessuto connettivo; successivamente, per un lento processo di
rimaneggiamento, si trasformerà in osso compatto. L’incremento in spessore dell’osso periostale (parete della
diafisi) è tuttavia inferiore all’aumento in diametro della diafisi; questo fenomeno è dovuto al fatto che, mentre
nuove lamelle ossee si appongono alla superficie esterna dell’osso periostale, questo è riassorbito sulla sua
superficie interna ad opera degli osteoclasti. Tale processo porta all’ampliamento della cavità midollare.
L’attività osteogenica del periostio non è tuttavia uniforme per tutta l’estensione della diafisi e ad essa si
aggiunge nella regione della metafisi una ossificazione endostale. La combinazione dei due processi, di
ossificazione periostale ed endostale, associata ai fenomeni di riassorbimento, ha una grande importanza
morfogenetica ed assicura lo sviluppo della forma definitiva del segmento scheletrico nel corso
dell’accrescimento.
Nel rimodellamento della diafisi si verificano simultaneamente processi di deposizione di nuovo tessuto osseo e
di riassorbimento; questi fenomeni interessano in maniera diversa i vari segmenti della diafisi: mentre nella sua
porzione centrale si verificano deposizione subperiostale di osso e riassorbimento endostale, nella regione
metafisaria si riscontrano deposizione subendostale di nuove lamelle ossee e riassorbimento sub periostale.
Come conseguenza di questa attività, la cavità midollare si ingrandisce e la regione metafisaria diventa
cilindrica.
Ossificazione condrale (o encondrale o intracartilaginea)
Nell’ossificazione condrale (o encondrale o intracartilaginea) l’osso è preceduto da un modello cartilagineo che è
sostituito in tutto o in parte da tessuto osseo.
Lo sviluppo delle ossa della base cranica, della colonna vertebrale, del bacino e degli arti avviene con duplice
processo: ossificazione membranosa ad opera del pericondrio e del periostio che dà origine all’osso subperiostale
ed ossificazione condrale che consiste nella sostituzione dell’abbozzo cartilagineo col tessuto osseo. Queste ossa
sono denominate ossa condrali (o ossa di sostituzione) perché il modello cartilagineo è distrutto e sostituito da
tessuto osseo, ad eccezione delle superfici articolari. I due processi osteogenici, encondrale e pericondrale o
periostale, procedono simultaneamente.
Considerando lo sviluppo delle ossa lunghe degli arti, nel corso del processo osteogenico si possono riconoscere
vari centri o zone di ossificazione:
• Centro primario (o diafisario).
• Manicotto (o collare) periostale.
• Zone metafisarie.
• Cartilagine di coniugazione (o disco epifisario).
• Centri secondari (o epifisari).
• Zona della cartilagine epifisaria.

Ossificazione membranosa (o intramembranosa o mesenchimale)


Nell’ossificazione membranosa (o intramembranosa o mesenchimale) l’osso si forma direttamente in senso ad un
tessuto connettivo primitivo per differenziazione delle cellule mesenchimali in osteoblasti.
Questo tipo di osteogenesi interessa le ossa piatte della volta cranica (osso frontale, osso parietale, parte dell’osso
occipitale e squama del temporale) e parte della mandibola; queste ossa sono perciò definite ossa membranose.
Il primitivo abbozzo della mandibola nell’embrione è costituito di cartilagine, la cosiddetta cartilagine di Meckel o
processo mandibolare, derivante dal primo arco branchiale. Questo abbozzo è tuttavia rudimentale ed è quasi
totalmente riassorbito fuorché un breve tratto alla sua estremità dorsale che dà origine all’incudine e al martello; la
mandibola definitiva si forma per ossificazione intramembranosa dal mesenchima che circonda la cartilagine di
Meckel.
Il mesenchima è costituito di cellule di forma irregolarmente stellata o fusata e di una scarsa sostanza intercellulare
occupata da delicati fasci di fibrille collagene incluse in una sostanza amorfa allo stato di gel fluido. In tale
blastema mesenchimale il processo di ossificazione inizia nei cosiddetti centri di ossificazione. In queste
localizzazioni il mesenchima si condensa, acquista una ricca vascolarizzazione e le sue cellule proliferano
attivamente. Alcuni elementi mesenchimali mostrano presto modificazioni strutturali che consentono di identificarli
come cellule osteoprogenitrici ed osteoblasti. Le cellule si ingrandiscono ed assumono forma rotondeggiante; il
citoplasma diventa intensamente basofilo per l’accumulo di ribosomi liberi ed associati alle membrane e presenta
attività fosfatasica alcalina e granuli PAS-positivi. Gli osteoblasti secernono una matrice eosinofila, omogenea e più
densa del mesenchima circostante e si dispongono in file singole o doppie attorno allo strato di tessuto osseo
neoformato. La comparsa di trabecole o spicole acidofile ed omogenee circondate da uno o due strati di
osteoblasti associati tra loro con disposizione epitelioide rappresenta il primo segno morfologico della formazione
dell’osso.
La sostanza intercellulare ossea è inizialmente priva di sali minerali, essendo costituita solo della matrice organica
amorfa e di fibre collagene mascherate: tale sostanza è denominata tessuto preosseo o tessuto osteoide. Il
tessuto osteoide subisce presto la mineralizzazione che è dimostrabile col metodo al nitrato di argento di von
Kossa.
Endostio
L’endostio è una sottile lamina di cellule pavimentose che riveste le cavità midollari (sia nelle diafisi delle ossa
lunghe sia nell’osso spugnoso) nonché tutte le altre cavità dell’osso (canali di Havers e di Volkmann). È
formato da un singolo strato di cellule che durante lo sviluppo e la crescita sono osteoblasti attivi con funzione
osteoformativa e si trasformano in osteoblasti quiescenti o cellule osteoprogenitrici con potenzialità
osteogeniche nell’adulto.

Periostio
Il periostio è la membrana connettivale fibro-elastica, riccamente vascolarizzata, che aderisce tenacemente
alla superficie esterna delle ossa. Tale lamina è assente a livello delle superfici articolari e nelle zone di
inserzione dei tendini e dei legamenti.
Microscopicamente è possibile distinguere due strati: uno strato esterno, fibroso e compatto, povero di cellule
ma ricco di vasi, ed uno strato interno profondo più lasso, più ricco di cellule e contenente un’estesa rete
capillare e fibre elastiche.
Lo strato profondo mostra considerevoli variazioni a seconda dello stato funzionale dell’osso; durante lo
sviluppo fetale e postnatale e nel corso di processi riparativi di fratture, si riscontra sua superficie interna, al
limite col tessuto osseo, uno strato epitelioide continuo di osteoblasti in attiva proliferazione e con proprietà
osteogeniche (strato osteogeno di Ollier o strato cambiale). Nell’adulto, gli osteoblasti perdono le loro
caratteristiche citologiche, assumono forma fusata e risultano indistinguibili dai fibroblasti circostanti; lo stato di
quiescenza degli osteoblasti non è però definitivo perché in caso di lesioni le cellule riacquistano la loro
potenzialità osteoformativa, assumono di nuovo i caratteri di osteoblasti ed elaborano sostanza ossea. Questi
elementi con funzioni osteogeniche potenziali che residuano nel tessuto adulto sono definiti osteoblasti
quiescenti o preosteoblasti o cellule osteoprogenitrici.
I vasi sanguigni dello strato esterno del periostio attraversano lo strato profondo, penetrano nei canali di
Volkmann e

quindi in quelli di Havers risolvendosi in una ricca rete capillare. Grossi fasci di fibre collagene (e, in piccola
misura, anche elastiche), derivanti dallo strato esterno del periostio, penetrano perpendicolarmente od
obliquamente nelle lamelle del sistema circonferenziale esterno e dei sistemi interstiziali più esterni, ancorando
il periostio all’osso; sono denominati fibre di Sharpey o fibre perforanti. Esse sono costituite da fasci collageni o
fibroelastici con matrice non calcificata o soltanto parzialmente calcificata. Rappresentano in parte un residuo
dell’osso fetale a fibre collagene intrecciate; si distinguono dalle fibre collagene racchiuse nelle lamelle perché,
non essendo calcificata la matrice interposta fra di esse, possono essere facilmente colorate con i comuni
metodi anche nell’osso non decalcificato. Le fibre di Sharpey contribuiscono, insieme ai vasi sanguigni
perforanti, ad ancorare saldamente il periostio al sottostante osso e sono parzialmente in continuità con i
tendini ed i legamenti a livello della loro inserzione sull’osso. Le fibre di Sharpey sono numerosissime nella
guaina periodontale a livello della radice del dente; esse penetrano da un lato nel cemento, dall’altro nell’osso
alveolare, assicurando la fissità del dente.
Sangue
Il sangue è l’unico tessuto a carattere fluido in quanto composto da elementi figurati (globuli rossi, globuli
bianchi e piastrine) e da una sostanza intercellulare liquida, il plasma che, tuttavia, non è elaborata dalle
cellule sanguigne. Il sangue ha un peso specifico di 1,041-1,062 g/cm3 e una viscosità di 5-6 volte quella
dell’acqua.
Questo tessuto si trova rinchiuso in un sistema di canali variamente comunicanti tra loro (vasi arteriosi e vasi
venosi), nel quale può circolare perché spinto principalmente dalle pulsazioni cardiache, ma anche
dall’aspirazione venosa, dai movimenti muscolari, dalle escursioni polmonari, dalla forza di gravità: così il
sangue raggiunge tutti i distretti dell’organismo ove svolge molteplici funzioni.

Il sangue deriva dal mesenchima e nell’uomo adulto rappresenta circa l’8% del peso corporeo (un uomo di
70 Kg, quindi, possiede poco più di 6 litri di sangue).
Qualora il sangue venga esposto all’aria, o qualora il sistema vasale in cui esso circola subisca danni,
entrano in azione particolari sistemi regolatori, normalmente inattivi, che sono in parte plasmatici, in parte
tessutali, in parte piastrinici, i quali portano alla formazione di fibrina e al fenomeno della coagulazione (che
rappresenta il principale meccanismo di difesa contro la perdita di sangue).
Il sangue raccolto in provetta, reso incoagulabile mediante l’aggiunta di eparina o di citrato di sodio e
centrifugato permette di essere studiato nelle sue singole componenti.

• Nella parte superiore si raccoglie un liquido giallo citrino, il plasma, rappresentante circa il 55%.
• Nella parte inferiore della provetta si stratifica la grande massa di globuli rossi (o eritrociti o emazie),
pari circa al 45%.
• Tra i due strati s’interpone un sottile velo biancastro di globuli bianchi (o leucociti) e di piastrine,
denominato buffy coat, e rappresentante circa il restante 1%.
Il rapporto fra plasma e globuli è definito ematocrito.
Qualora il sangue sia raccolto in provetta e lasciato all’aria, rapidamente coagula per la trasformazione del
fibrinogeno plasmatico solubile in un polimero filamentoso variamente intrecciato, la fibrina, che imbriglia
tutte le cellule del sangue formando un blocco solido.
Nel giro di poche ore il coagulo si organizza: le piastrine aderenti al reticolo di fibrina, per azione della
trombostenina, si retraggono, trattenendo con la fibrina la porzione figurata del sangue e spremendo fuori un
liquido citrino limpido detto siero. Il siero è per aspetto simile al plasma, ma a differenza di quest’ultimo non
contiene i fattori plasmatici che sono stati attivati e utilizzati nella formazione del coagulo.

Fisiologia del sangue


La fisiologia del sangue è la branca della fisiologia che studia i meccanismi a livello molecolare responsabili
della regolazione dei processi ematici.
Coagulazione del sangue
La coagulazione del sangue è la terza fase dell’emostasi che interviene per arrestare il sanguinamento in
caso di danni di grave entità della parete vasale per i quali non è sufficiente la sola formazione del tappo
piastrinico (seconda fase dell’emostasi). Nel sangue e nei tessuti sono state finora trovate più di 50 diverse
sostanze capaci di influenzare la coagulazione del sangue, alcune promuovendola, procoagulanti, altre
inibendola, anticoagulanti. Normalmente il sangue non coagula dentro i vasi per la prevalenza degli
anticoagulanti, ma ove si determini rottura di un vaso sanguigno l’attività dei procoagulanti nella sede della
lesione aumenta in misura tale da portare alla formazione del coagulo.
Il processo di coagulazione si svolge in 3 stadi essenziali: formazione dell’attivatore della
protrombina, conversione della protrombina in trombina da parte dell’attivatore della protrombina in presenza
di ioni calcio e azione della trombina sul fibrinogeno (o fattore I) trasformandolo in filamenti di fibrina (o fattore
Ia).

Formazione dell’attivatore della protrombina


In risposta a rottura di un vaso o ad alterazione del sangue stesso si verifica un insieme di reazioni che
coinvolge più di una dozzina di fattori di coagulazione. Il risultato finale è la formazione di una serie di
sostanze attivate, cui si dà il nome comune di attivatore della protrombina.
L’attivatore della protrombina è il promotore della conversione della protrombina (o fattore II) in trombina (o
fattore IIa) e scatena i successivi stadi della coagulazione. Si considera generalmente che l’attivatore della
protrombina si formi attraverso due vie fondamentali, benché in realtà esse interagiscano costantemente l’una
con l’altra:
– La via estrinseca, che origina dal trauma della parete vasale o dei tessuti circostanti.
– La via intrinseca, che inizia nel sangue stesso.
In entrambe queste vie esplicano le funzioni di principale rilievo una serie di proteine plasmatiche, special‐
mente le beta-globuline. Queste, insieme con gli altri fattori che partecipano al processo della coagulazione,
si chiamano fattori della coagulazione del sangue e sono per la massima parte forme inattive di enzimi
proteolitici. Quando vengono convertiti nelle forme attive, essi promuovono la successione di reazioni del pro‐
cesso della coagulazione. I fattori della coagulazione, per la maggior parte, vengono indicati con numeri
romani; quando si vuole segnalare che un determinato fattore si trova nella forma attiva, si aggiunge una “a”
minuscola dopo il numero romano (ad esempio, il fattore VIIIa indica la forma attiva del fattore VIII).In seguito
a rottura di vasi sanguigni la coagulazione viene avviata da entrambi i sistemi simultaneamente. La
tromboplastina tessutale dà inizio alla via estrinseca, mentre il contatto del fattore XII e delle piastrine con il
collagene della parete vasale avvia la via intrinseca. Una differenza di particolare rilievo fra il meccanismo
intrinseco e quello estrinseco è che quest’ultimo ha un carattere esplosivo; una volta avviato, la velocità di
evoluzione è limitata soltanto dalla quantità di tromboplastina tessutale liberata dai tessuti traumatizzati e da
quella dei fattori X, VII e V presenti nel sangue. Se il trauma tessutale è grave, la coagulazione può attuarsi in
appena 15 secondi. Al contrario, il meccanismo intrinseco è molto più lento, richiedendo di solito da 1 a 6
minuti prima di determinare la coagulazione.
In entrambe queste vie esplicano le funzioni di principale rilievo una serie di proteine plasmatiche, specialmente le
beta-globuline. Queste, insieme con gli altri fattori che partecipano al processo della coagulazione, si chiamano fattori
della coagulazione del sangue e sono per la massima parte forme inattive di enzimi proteolitici. Quando vengono
convertiti nelle forme attive, essi promuovono la successione di reazioni del processo della coagulazione. I fattori
della coagulazione, per la maggior parte, vengono indicati con numeri romani; quando si vuole segnalare che un
determinato fattore si trova nella forma attiva, si aggiunge una “a” minuscola dopo il numero romano (ad esempio, il
fattore VIIIa indica la forma attiva del fattore VIII).In seguito a rottura di vasi sanguigni la coagulazione viene avviata
da entrambi i sistemi simultaneamente. La tromboplastina tessutale dà inizio alla via estrinseca, mentre il contatto del
fattore XII e delle piastrine con il collagene della parete vasale avvia la via intrinseca. Una differenza di particolare
rilievo fra il meccanismo intrinseco e quello estrinseco è che quest’ultimo ha un carattere esplosivo; una volta avviato,
la velocità di evoluzione è limitata soltanto dalla quantità di tromboplastina tessutale liberata dai tessuti traumatizzati
e da quella dei fattori X, VII e V presenti nel sangue. Se il trauma tessutale è grave, la coagulazione può attuarsi in
appena 15 secondi. Al contrario, il meccanismo intrinseco è molto più lento, richiedendo di solito da 1 a 6 minuti
prima di determinare la coagulazione.
Tessuto adiposo

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