Appunti Storia Dell'arte 5 Superiore

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 116

Amore e Psiche di Antonio Canova

Antonio Canova, Amore e Psiche che si abbracciano, 1787-93, marmo, H. 1.55 m; L. 1.68 m; D. 1.01
m. Parigi, Musée du Louvre

Descrizione: Amore giunge in volo e si posa accanto


a Psiche che si ridesta. I due si abbracciano e si baciano.
I due giovani sono rappresentati nudi, solo Psiche è
parzialmente coperta dal panno sul quale è stesa. Sotto
di lei vi è una roccia di forma ellittica.

Interpretazione: Il soggetto che ispirò la statua di


Antonio Canova intitolata Amore e Psiche che si
abbracciano è tratto dalla favola narrata nell’Asino
d’oro di Apuleio. Venere, la dea madre di Amore, era
contraria all’unione tra il figlio e la bella Psiche. Divise quindi i due amanti e sottopose Psiche a una
serie di pesanti prove. Canova scolpì il momento nel quale i due giovani si ritrovano e si abbracciano.

La committenza: Il gruppo di sculture Amore e Psiche fu commissionata ad Antonio Canova dal


colonnello inglese John Campbell. A causa dei problemi sorti nel trasporto la statua venne poi
acquistata da un altro collezionista.

Lo stile: Le sculture del periodo neoclassico e quindi quelle realizzate da Antonio Canova
riacquistarono piena autonomia. Infatti, durante l’epoca barocca la statuaria fu al servizio
dell’architettura. Una scultura infatti non era apprezzata in qualità di oggetto artistico. Era piuttosto
un abbellimento e un elemento che contribuiva alla scenografia dello spazio architettonico.
Un’opera come Amore e Psiche che si abbracciano era collocata nello spazio per essere apprezzata
nella sua interezza. Gli osservatori erano invitati a porsi di fronte alla scultura per apprezzare la
qualità dell’esecuzione. Così la levigatezza della superficie, le proporzioni classiche rigorose e
l’equilibrio della composizione diventano espliciti valori estetici. La superficie della scultura è
accuratamente lucidata con la polvere pomice. Inoltre, Canova applicò un sottile strato di cera
dorata per suggerire l’incarnato di Amore e Psiche.

La struttura: In accordo con gli ideali di rappresentazione classici Canova non rappresenta il
momento del bacio tra i due personaggi. Le labbra dei personaggi in Amore e Psiche che si
abbracciano sono distanti. Il momento rappresentato è quello intenso che anticipa il bacio nel quale
i due giovani si guardano intensamente. La composizione della scultura si basa su di una struttura a
forma di X. Un asse corre lungo il corpo di Psiche e prosegue sull’ala destra di Amore. L’asse opposto
invece si sovrappone alla gamba destra di Amore e alla sua ala sinistra. L’incrocio delle due diagonali
compositive è un punto che si trova nello spazio tra le due bocche. Intorno a questo centro inoltre
si trova l’intreccio circolare delle braccia.

Approfondimenti: Antonio Canova è considerato dagli storici dell’arte lo scultore di riferimento


del Neoclassicismo. Nacque nel 1757 e morì nel 1822. Fu attivo soprattutto a Roma città nella quale
si recarono molti artisti per copiare le statue romane. Fu infatti in seguito allo sviluppo degli scavi
archeologici che si diffuse la moda di riprodurre sculture classiche. Canova ebbe la capacità di non
limitarsi alla pura copia ma di reinventare i soggetti. Le sculture di Antonio Canova furono
apprezzate quindi per la loro adesione agli ideali di bellezza classica. Inoltre, possiedono lo stesso
fascino delle statue antiche. Canova fu autore di note opere apprezzate anche presso la corte di
Napoleone. Fu autore infatti di un celebre ritratto di Paolina Bonaparte Borghese.

Le tre Grazie di Antonio Canova


Antonio Canova, Le tre Grazie, 1813-1816, marmo, h 182 cm, San Pietroburgo, Museo
dell’Hermitage

Descrizione: Le sorelle si abbracciano in atteggiamento


amorosamente familiare. La sorella centrale si trova più in
alto e viene abbracciata dalle altre due ai lati. La Grazia di
sinistra è addossata ad un pilastro decorato con un
festone di fiori. L’unico panneggio presente è avvolto
morbidamente intorno al braccio della fanciulla di destra.
Passa, poi, al centro e, quindi ricade sulla gamba della
grazia di destra come per legare idealmente le tre figure.
I capelli sono scolpiti da Canova con grande abilità tecnica.
Infatti, sembrano cadere in ciocche molto realistiche. La
composizione è triangolare con il vertice nella capigliatura
della grazia centrale. Le braccia si intrecciano creando una
serie di linee curve che avvolgono le ragazze. Al fine di
dare alla superficie delle statue un aspetto più realistico,
Canova ricopri il marmo con una patina di colore rosa.

Interpretazione: Le tre divinità, secondo la mitologia,


donavano felicità e bellezza al mondo e al genere umano.
Un precedente artistico importante è il dipinto di Raffaello
Sanzio, dallo stesso titolo, e conservato presso il Musée
Condé. Questo gruppo scultoreo è considerato dagli
storici uno dei più importanti di Canova che fu uno più
importanti esponenti del Neoclassicismo.

I committenti: A commissionare l’opera, inizialmente,


fu Giuseppina di Beauharnais, la prima moglie di Napoleone che, però, morì nel 1814 e non vide mai
la statua. Ugo Foscolo, ammiratore dell’opera di Canova, dedicò un sonetto all’artista. Una versione
de Le tre Grazie realizzata successivamente da Canova si trova esposta al Victoria and Albert
Museum di Londra.

Lo stile: Non si tratta di una scultura priva di espressione emotiva. Il Neoclassicismo preveda una
lettura più razionale, ispirata alla bellezza calcolata sulle proporzioni. Nonostante questo vincolo
estetico il volto del Le tre Grazie esprime una resa affettiva che chiarisce il rapporto tra le giovano
donne. Canova fu artefice di ritratti idealizzanti e classici come quello di Paolina Bonaparte.

Lo spazio: La sorella centrale è scolpita frontalmente rispetto allo spettatore. Quella di sinistra di
spalle, con il volto leggermente inclinato e quella di destra, sempre di spalle con il volto di profilo.
Canova ne Le tre Grazie è stato capace di rappresentare, attraverso gli sguardi e le carezze un
simbolo di affetto familiare. La nudità delle fanciulle non ha un valore erotico ma esprime il concetto
di bello ideale attraverso la perfezione fisica dei soggetti. La luce scivola morbidamente sui corpi
delle Grazie senza creare ombre profonde. Il modellato è privo di asperità muscolari e tensioni.
Canova, infatti, ha creato dei corpi femminili morbidi e armoniosi. I glutei, ad esempio, sembrano
subire naturalmente l’attrazione dal basso.
Il giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David
Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, 1784, olio
su tela, cm 330 x 425. Parigi, Louvre

Descrizione: Il giuramento degli Orazi racconta la


vicenda dei tre fratelli romani Orazi. Tra loro e i tre fratelli
Curiazi di Albalonga si verificò uno scontro armato.
Jacques-Louis David raffigura il momento nel quale gli
Orazi giurano al padre di combattere fino alla loro morte
per Roma. L’artista prende in prestito la leggenda per
esaltare l’impegno politico ed eroico del singolo a favore
del bene comune. Sentimenti, questi, che saranno determinanti durante la rivoluzione che
scoppierà in Francia pochi anni dopo. Jacques-Louis David nacque nel 1748 e morì nel 1825. Fu uno
dei principali artisti del Neoclassicismo e personale interprete della gloria di Napoleone. Il
giuramento degli Orazi, come molte delle sue tele ha una dimensione monumentale. Infatti, il
grande impatto visivo delle opere di Jacques-Louis David è una componente essenziale per esaltare
il messaggio dei suoi dipinti.

Il colore: David era un pittore di Stato. Con i suoi ritratti destinati a celebrare la gloria di Napoleone
l’artista creò immagini destinate al popolo. Anche in questa fase, iniziale, si rivolse ad un pubblico
molto vasto con opere di comunicazione sociale. La lettura dell’opera è facilitata dal suo ordine
compositivo. Il messaggio, pur ambientato in un tempo lontano, è chiaro e facilmente
decodificabile. La sobrietà della poetica neoclassica si evidenzia nella mancanza di inutili dettagli
che potrebbero distrarre l’osservatore. Lo sfondo del dipinto è in ombra. Il colonnato davanti al
quale si svolge la scena crea una parete scura che mette in gran risalto la scena. I colori degli abiti
dei personaggi sono brillanti e ben definiti. Rosso, blu e bianco colorano i mantelli e gli abiti dei
personaggi principali. La valenza simbolica di questa scelta cromatica è chiara. Sono i colori della
bandiera francese.

L’illuminazione: Per guidare la lettura nella giusta direzione, David, utilizza una illuminazione
particolare. La luce è fredda e cristallina. È sicuramente una luce ideale che scolpisce le forme e i
personaggi come fossero statue. Anche la disposizione dei personaggi è attentamente studiata per
renderli immediatamente identificabili. Il giuramento degli Orazi è un’operazione di comunicazione
collettiva veramente efficace. I protagonisti sono disposti sulla scena come su di un palcoscenico.
David raffigura l’avvenimento nel modo più comunicativo e semplice possibile. L’azione si svolge da
sinistra verso destra. I fratelli raffigurati insieme, come un gruppo scultoreo classico, sono al
cospetto del loro padre. Con un gesto eroico prestano il loro giuramento. Sono dipinti di profilo
come le effigi sulle monete romane.

Lo spazio: Lo spazio nel quale si svolge la scena de Il giuramento degli Orazi è limitato ad un interno.
Il fondo è chiuso da un porticato classico mentre a destra e a sinistra limitano la scena due muri con
mattoni a vista. La prospettiva geometrica è rigorosa e le linee di fuga convergono sulle mani del
padre che trattengono le spade. Altro chiaro elemento simbolico, di tipo subliminale, ma evidente
ad uno sguardo attento. Come in una scena teatrale, lo spazio attivo, sul piano percettivo, è la fascia
orizzontale che accoglie i protagonisti. La profondità è limitata a qualche metro verso il colonnato,
illuminato e occupato dai protagonisti. Il pavimento, lastricato con pietre di grandezza regolare,
permette, ad un primo sguardo, di dimensionare la profondità e la larghezza dello spazio chiuso.

La composizione: La composizione del dipinto di David è molto semplice e lineare. La scena si


dipana da sinistra a destra. I personaggi, infatti, sono collocati in modo narrativo e scenico a partire
dai soggetti del titolo. I fratelli giurano di fronte al padre dipinto in centro. A destra le donne di
famiglia piangono per il sacrificio dei tre fratelli.

La morte di Marat di Jacques-Louis


David
Jacques-Louis David, La morte di Marat (La Mort
de Marat), 1793, olio su tela, 165 x 128 cm.
Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de
Belgique

Descrizione: Marat è immerso all’interno di una


vasca. La sua testa è reclinata verso sinistra e
appoggiata su di un piano. Sul capo indossa un
turbante bianco molto stretto. La sua espressione
non è sofferente, piuttosto pare in uno stato di
incoscienza. Le sopracciglia, ancora corrugate,
sembrano segnalare un barlume di vita. Anche gli
angoli della bocca sono sollevati. Il suo braccio
destro è abbandonato verso il pavimento e la
mano impugna una penna. Il suo braccio sinistro è
appoggiato su un asse ricoperto da telo verde.
Inoltre, la sua mano stringe una lettera sulla quale si legge: «Du 13 juillet 1793 / Marie Anne
Charlotte / Corday au citoyen / Marat. / Il suffit que je sois / bien malheureuse / pour avoir droit / à
votre bienveillance» («13 luglio 1793. Marie Anne Charlotte Corday al cittadino Marat. Basta che io
sia tanto infelice per aver diritto alla vostra benevolenza»). I fogli sotto il suo braccio sono macchiati
di sangue. In primo piano si nota una base in legno sulla quale sono posati un calamaio, una penna
intinta e altri fogli di carta. Sulla parte frontale della base si legge la scritta: ««À MARAT, DAVID.
1793. L’AN DEUX» (A Marat, David. 1793. L’anno secondo). A terra, a sinistra, è abbandonato un
coltello, l’arma del probabile delitto. Infatti, sul costato si nota una profonda ferita. L’acqua della
vasca è macchiata di sangue. Anche i teli che fuoriescono presentano macchie rosse. Lo sfondo è
privo di arredi, scuro e illuminato da una luce debole che proviene da destra.
Interpretazioni: Il dipinto di David rappresenta l’omicidio del politico e giornalista di origine
svizzera Jean-Paul Marat per mano di Charlotte Corday. Marat nacque a Baundry nel 1743 e,
inizialmente esercitò la medicina. In seguito allo scoppio della Rivoluzione Francese, nel 1789, fu un
convinto sostenitore delle posizioni rivoluzionarie giacobine. Nel settembre del 1789 fondò il
giornale L’Ami du peuple (L’amico del popolo). Marat scrisse molti articoli che incitavano ad una
presa di posizione violenta contro i sostenitori girondini. Charlotte Corday era, invece, una giovane
sostenitrice girondina della città di Caen. Considerando Marat il responsabile del Terrore, decise di
ucciderlo. Così, inviò a Marat una lettera di supplica grazie alla quale fu ricevuta dall’uomo di Stato.
Il 13 luglio 1793, durante il colloquio, dopo aver scambiato poche parole, la giovane colpì l’uomo al
petto con un coltello. Marat ricevette la donna immerso in una tinozza a causa di una grave malattia
della pelle che lo costringeva a bagni terapeutici. Marat è come un santo martire della Rivoluzione.
David decise di interpretare la Morte di Marat ambientando l’evento in una atmosfera mistica.
Marat diventa, così, un santo martire della Rivoluzione Francese. David per costruire la scena utilizzò
alcuni elementi dell’iconografia cristiana propri della deposizione di Cristo. La ferita sul petto di
Marat ricorda la ferita al costato di Gesù. La posizione del corpo, poi, è simile a certe deposizioni del
Cinquecento. La luce dorata che proviene da destra, in alto, sottolinea una presenza divina. Infine,
la base in legno in primo piano ricorda una lapide. Infatti, su di essa compare una epigrafe. Infine, il
punto di vista rende monumentale la scena.

La storia dell’opera:

Jacques-Louis David era molto amico di Marat e fu scosso emotivamente dall’omicidio. La


Convenzione non attese molto tempo per ordinare un’opera celebrativa in ricordo del politico.
David, così, in tre mesi concluse l’opera e la consegnò nell’ottobre del 1793. Anche se l’artista
terminò velocemente il lavoro, la sua progettazione fu piuttosto accurata. Lo testimoniano, infatti,
alcuni lavori preparatori. Si tratta di un disegno della maschera mortuaria realizzata sul volto di
Marat e un piccolo dipinto.
3 maggio 1808: fucilazione alla montaña del Principe Pio di Francisco Goya
Francisco Goya, 3 maggio 1808, 1814, olio su tela, cm 268 x 347. Madrid, Museo del Prado

La luce è diretta verso un ribelle, condannato a morte. Si tratta di un povero contadino che,
dignitosamente, affronta il suo sacrificio a favore della libertà. Il contadino è inginocchiato, con le
braccia alzate, e guarda direttamente il plotone di esecuzione. La sua immagine ricorda quella di un
Cristo crocifisso. A terra si vedono alcuni suoi compagni, già morti, mentre altri ai suoi lati esprimono
con il corpo sofferenza e terrore. Sul fondo, immersa nel buio, vediamo Madrid, lontana e appena
visibile. A destra è schierato il plotone di esecuzione composto da un gruppo di soldati francesi di
Napoleone. In basso, di fronte a loro, è posta una lanterna che illumina i condannati a morte e lascia
in ombra il resto della scena. Dietro ai condannati a morte si vede una collinetta debolmente
illuminata dalla luce artificiale. Il cielo è completamente scuro e privo di stelle.

Interpretazione: L’Europa era scossa dai moti risorgimentali e gli artisti raccontarono con
passione le violenze e le battaglie. Trovarono spazio sulla tela anche fatti di cronaca che sollevavano
problemi etici e di tipo sociale. Francisco Goya documentò con uno stile drammatico gli orrori che
vennero perpetrati dalle truppe di invasioni napoleoniche in Spagna. Francisco Goya non si può
considerare appartenente al Romanticismo. Il tema di questo dipinto, come altri, e, comunque,
vicino alla sensibilità dei pittori romantici dell’epoca. 3 maggio 1808 presenta, comunque, tipici
tratti distintivi della pittura di Goya anche di quelli non pensati per il pubblico. Un esempio lo si può
apprezzare in Saturno divora un figlio. I soldati napoleonici del plotone di esecuzione de il 3 maggio
1808 hanno il volto nascosto dai fucili e sono automi di morte. Le persone che si trovano in centro
sembrano impaurite, infatti uno di loro si copre il viso con le mani. Anche loro sono vestiti con abiti
del popolo dai colori scuri. Il plotone di esecuzione, a destra, è composto da soldati vestiti con divise
napoleoniche. I colori vanno dal grigio-azzurro al nero, sono quindi tonalità più fredde. Al fianco del
primo soldato pende una sciabola metallica di colore ocra infilata nel fodero. Il paesaggio, immerso
nel buio, è tendenzialmente di colore bruno e molto scuro. La città di Madrid che si intravede sul
fondo è poco definita, monocromatica, priva di contrasti. Sembra il blocco monolitico di un fondale
teatrale.

Stile: Il dipinto di Goya è stato realizzato con pennellate veloci e non stese sulla tela. Questa tecnica
permette di rendere maggiormente drammatica la scena. Inoltre si crea una maggiore azione
drammatica tra le figure. Nonostante Goya sia ritenuto da alcuni storici dell’arte un romantico è in
realtà un artista isolato. Il colore scuro, per la maggior parte del dipinto, mette in risalto la figura
illuminata del ribelle condannato a morte. Per la maggior parte, la superficie del quadro è di colore
bruno, scuro e caldo come la luce della lanterna che illumina la scena. Il soggetto principale, il ribelle,
indossa una camicia bianca e dei pantaloni gialli, molto brillanti. A terra, di fronte a lui si vede un
cumulo di cadaveri che indossano vesti povere, dal colore marrone-grigio. Ai piedi del condannato
a morte possiamo vedere una pozza di sangue che nasce dai cadaveri alla sua destra. Dietro di lui
sono disposti altri condannati vestiti poveramente e colorati di grigio poco illuminato.

Lo spazio: Lo spazio tridimensionale viene suggerito dalla prospettiva di grandezza e da quella di


sovrapposizione. Infatti, il primo soldato del plotone è dipinto con dimensioni maggiori rispetto a
quello al suo opposto. La profondità della scena è determinata dalla sovrapposizione dei personaggi.
In primo piano vediamo, a destra, i soldati napoleonici armati di fucile. Poi, a sinistra, in primo piano,
notiamo l’ammasso di cadaveri dipinti di scorcio. In secondo piano, sempre a sinistra, si trova il
ribelle rivolto verso il plotone. Al centro si notano altre persone in arrivo. Lo sfondo è occupato da
una collina, a sinistra, e da Madrid che si staglia contro il cielo nero.

La composizione e l’inquadratura: Al centro delle diagonali si trovano i fucili del plotone. Il


centro psicologico è il condannato vestito di chiaro, illuminato come un martire. Il triangolo
compositivo centrale che attira la nostra attenzione è compreso tra l’uomo che si copre gli occhi, il
condannato e la pozza di sangue. Le direttrici vanno da destra a sinistra del plotone di esecuzione e
in direzione contraria rispetto ai condannati a morte. Una linea obliqua va in profondità verso
destra, se uniamo le teste dei soldati. I militari sono raffigurati di schiena, il loro volto non si vede.
Solo i condannati esprimono la loro umanità. Questo stratagemma scenico permette di
spersonalizzare i soldati. Diventano automi privi di umanità e dispensatori di morte.
Studio di nuvole a Hampstead di John Constable

John Constable, Studio di nuvole a Hampstead (Cloud Study, Hampstead, Tree at Right), 11
settembre 1821, olio su carta incollata su tavola, cm 24,1 x 29,9. Londra, Royal Academy of Art

Descrizione: Nel dipinto di John Constable intitolato Studio di nuvole a Hampstead si osserva un
cielo ingombro di nubi. In basso verso la sommità degli alberi il vapore della campagna si addensa a
formare nuvole basse e nebbie. Constable approfondì gli studi scientifici per individuare la tipologia
di ammassi nuvolosi e nel dipinto registrò fedelmente i diversi tipi di nuvole in rapporto all’altezza
dell’atmosfera. Le nuvole basse sono più piccole e sembrano più leggere. In alto invece aumentano
di volume e schermano maggiormente i raggi del sole. A destra in basso infine una piccola porzione
di fronde evoca la presenza di un bosco.

Interpretazioni: Studio di nuvole a Hampstead nasce sicuramente dalla necessità di John


Constable di studiare a fondo la luce in rapporto ai fenomeni atmosferici. Inoltre, la natura, per
l’artista, è anche evocazione di uno stato d’animo legato ai luoghi e alle manifestazioni naturali.

I Committenti: Studio di nuvole a Hampstead (Cloud Study, Hampstead, Tree at Right) fu donato
alla Royal Academy nel 1888 da Isabel Constable.

Lo stile: John Constable fu particolarmente interessato alla rappresentazione di paesaggi di


campagna. Anche le scene di vita quotidiana furono inserite dall’artista all’interno di contesti
paesaggistici naturali. Constable utilizzò uno stile di esecuzione molto veloce per registrare gli effetti
della luce solare sulle nuvole. Il colore è steso con pennellate rapide per rappresentare il clima di
velocità e turbolenza che anima le masse di vapore aereo. In Inghilterra la pittura di Constable fu
accolta con meno entusiasmo che in Francia. I suoi dipinti contribuirono infatti a sviluppare una
nuova sensibilità nei confronti della pittura di paesaggio.

Il colore: Constable, nel dipinto intitolato Studio di nuvole a Hampstead, confermò la sua grande
sensibilità nei confronti del variare della luce nel paesaggio. Nel dipinto in questione il soggetto è
principalmente il cielo con la particolare resa della luce sulle nuvole. Su tutta l’opera prevalgono
toni di blu e azzurro. Solo in basso Constable rappresentò una piccola porzione di natura utilizzando
un verde intenso.

Lo spazio: La sommità dell’albero rappresentato in basso a destra permette di ricostruire lo spazio


che l’immagine evoca. Infatti, la sola rappresentazione del cielo e delle fronde bastano a farci
immaginare il paesaggio rimasto fuori dalla cornice del dipinto. Il formato del dipinto è orizzontale
ma con una tendenza alla centralità del quadrato. Infatti, l’inquadratura pone al centro l’ammasso
di nuvole principale nel quale il chiaroscuro crea una maggiore volumetria. L’angolo in basso a destra
con le fronde scure è equilibrato dalle nuvole plumbee in alto a sinistra.
Incendio alle Camere del Parlamento di William Turner
Joseph Mallord William Turner, Incendio alle Camere del Parlamento (The Burning of the Houses of
Parliament), 1834–5 ca., acquerello e guazzo su carta, 30’2 x 44’4 cm. Londra, Tate Britain

Descrizione: L’acquerello
intitolato Incendio alle Camere del
Parlamento (The Burning of the
Houses of Parliament) inquadra
l’evento da nord oltre Old Palace
Yard alla fine di Abingdon Street. A
sinistra si osserva la cappella gotica
di Enrico VII. Si scorge l’Abbazia di
Westminster mentre gli altri edifici
sono già divorati dalle fiamme. Il
fuoco ha già avvolto gran parte
dell’interno e ha distrutto la facciata
in stile italiano. Si scorgono i
soccorritori che tentano di spegnere le fiamme con lunghi getti d’acqua mentre la folla si accalca
per assistere al disastro.

Lo stile: William Turner ha documentato l’evento derogando in parte dal suo amalgama cromatica
che fonde figure e sfondo. Gli edifici sono riconoscibili come le persone che compongono la folla di
curiosi e di soccorritori. Nonostante questo, i vortici che salgono dalle fiamme, i vapori e i fumi sono
stati oggetto di particolare attenzione. La loro raffigurazione attraverso macchie e vortici di colore
è tipica dello stile romantico e ambientale di William Turner. L’artista è infatti il principale interprete
della pittura romantica paesaggistica e realizzò opere con soggetti storici come Annibale e il suo
esercito attraversano le Alpi e molte vedute di Venezia. Fu inoltre impegnato in denunce sociali
come nel dipinto La nave negriera.

Approfondimenti: La sera del 16 ottobre 1834 scoppiò un terribile incendio a Londra che distrusse
il Palazzo di Westminster, le camere dei Lord e dei Comuni. Al posto della costruzione originaria
venne in seguito eretto il complesso vittoriano su progetto di Barry e Pugin. William Turner fu
testimone dell’evento e secondo le ricerche degli storici in seguito realizzò l’acquerello che ritrae
l’incendio. In ogni caso la presenza dell’artista sulla scena non è ancora stata sicuramente provata
da fonti storiche. L’artista realizzò in seguito due dipinti che ritraggono l’incendio esposti nel 1835.
Si tratta de L’Incendio della Camera dei Lord e della Camera dei comuni il 16 ottobre 1834 oggi al
Philadelphia Museum of Art. Il secondo è conservato presso il Cleveland Museum of Art in Ohio.
Abbazia nel querceto di Caspar David Friedrich
Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto, 1809-1810, olio su tela, cm 110,4 x 171. Berlino,
Staatliche Museen zu Berlin, Alte Nationalgalerie

Descrizione: In Abbazia nel Querceto del 1809-1810 Friedrich dipinse una natura incombente sulle
piccole figure di monaci in processione. I personaggi che trasportano le ceneri del confratello
sembrano infatti marginali e di loro non si vede che la sagoma scura. La natura poi è rappresentata
da alberi contorti e secchi. Dell’abbazia infine non rimane che una piccola porzione di parete con
una vetrata vuota. Gli alberi spogli circondano il rudere gotico creando un senso di mistero e
richiamano le invenzioni letterarie dell’epoca. Infatti, la letteratura romantica utilizzò spesso
ambientazioni gotiche funerarie con atmosfere oscure e desolate. Le piccole figure umane
diventano sagome nere e contribuiscono a dare un aspetto solenne e monumentale alla natura
desolata di alberi spogli.

Interpretazioni: Rispetto ad altri dipinti di Friedrich quali Viandante davanti al mare di nebbia o
Un uomo e una donna in contemplazione della luna, Abbazia nel Querceto assume aspetto
misterioso e inquietante. Dal dipinto emerge un senso di morte e desolazione per via delle croci
inclinate verso il suolo e delle lapidi abbandonate. A partire dal primo saggio scritto da Heinrich von
Kleist il dipinto ispirò molte differenti interpretazioni. Ancora oggi custodisce il suo segreto e suscita
nello spettatore un gran senso di mistero.
I Committenti: Il dipinto Abbazia nel querceto è esposto alla Alte Nationalgalerie di Berlino
insieme ad un’altra opera di Friedrich intitolata Monaco in riva al Mare. I due celebri dipinti
rappresentano una importante attrattiva del museo tedesco.

La storia: Quest’opera risale al 1809-1810 data nella quale Friedrich aveva circa 36 anni. L’artista
infatti era nato a Greifswald nel 1774. La delicatezza dei sottili strati di pittura determinò già nel
1900 un anticipato stato di invecchiamento del dipinto. Contribuirono a ciò anche alcuni danni
meccanici e la mancanza di robustezza dello strato pittorico. I restauri iniziarono nel 1906 e i tecnici
si confrontarono con la mancanza di considerevole materia originale. Le condizioni del dipinto erano
così piuttosto precarie. La superficie presentava infatti ampie parti ritoccate e scolorite,
sovrapposizioni e danni dovuti al trasporto. I due dipinti Abbazia nel querceto e Monaco in riva al
Mare sono stati ripristinati completamente nel 2013. Attraverso indagini approfondite e grazie a
nuove tecnologie sono state scoperte tracce nascoste che hanno permesso di ripensare
completamente gli interventi d recupero.

Lo stile: Friedrich per il dipinto utilizzò una tela con grana molto fine sulla quale stese diversi strati
di fondo. Lo strato di pittura ad olio invece è particolarmente sottile.

Il colore: Nel dipinto Abbazia nel querceto l’illuminazione è diffusa e proviene dal fondo del
paesaggio. Infatti, gli alberi, il rudere e le persone sono in controluce e dalla vetrata pare filtrare la
luce bianca del sole nascosto. Il cielo è illuminato dal basso e al suo centro leggermente a destra si
intravede una piccola falce di luna che sale.

Lo spazio: Il dipinto esprime un’ampia spazialità grazie allo sviluppo in orizzontale. Lo spazio attivo
risulta il primo piano sul quale sono disposte le piccole figure e le lapidi. Infine, è determinante per
costruire lo spazio il rudere di muratura. Infatti, con la sua parziale prospettiva àncora lo spazio
naturale intorno a sé e lo struttura. La massa del muro è visivamente importante e tutto lo spazio si
dispone intorno ad essa.

La Composizione: La composizione del dipinto è fortemente simmetrica. Infatti, sull’asse verticale


si trova proprio l’arco a sesto acuto della finestra. Ai lati come custodi di una eternità lugubre e
fantastica si dispongono simmetricamente i tronchi contorti e spogli. Anche la linea creata dalla
nebbia e dalle colline discende dai lati e si affossa al centro creando due quinte naturali scure.

Approfondimenti: Caspar David Friedrich è considerato uno degli artisti più rappresentativi del
Romanticismo. Tale corrente artistica celebrava la potenza della natura e la sua forza rispetto alla
fragilità umana. Il Romanticismo europeo ebbe caratteristiche molto differenti da quello italiano. In
Italia infatti artisti come Hayez celebrarono l’amore verso la patria attraverso dipinti quali il Bacio e
Pietro Rossi.
Viandante davanti al mare di nebbia di Caspar David Friedrich
Caspar David Friedrich, Viandante davanti al
mare di nebbia, 1818 circa, olio su tela, cm 95
x 75. Amburgo, Kunsthalle

Descrizione: Il Viandante sul mare di nebbia


(Der Wanderer über dem Nebelmeer), è il
dipinto più noto e famoso di Caspar David
Friedrich. È considerato il manifesto della
pittura romantica. Oggi, inoltre, è
considerato una icona che rappresenta il
piacere del viaggiare. In particolare, è stato
adottato dagli amanti della montagna quale
espressione della passione che li spinge a
conquistare le grandi vette. Il Viandante sul
mare di nebbia fu, già nella sua epoca,
considerato un simbolo del Romanticismo.
Friedrich riuscì, infatti, a sintetizzare i principi
di questo movimento intellettuale con la sua
opera. Altri lavori dell’artista riprendono temi
inseriti nel dipinto ma il Viandante sul mare
di nebbia li unisce tutti in un contesto efficace
e comunicativo.

Interpretazione: I temi rappresentati nel dipinto sono quelli dell’infinito, del sublime e dello
smarrimento empatico attraverso l’immedesimazione con il paesaggio naturale sottoposto a un
importante evento metereologico. La natura viene, quindi, assunta come un protagonista vivente,
forse, più importante del viandante che rimane di schiena. La personificazione della natura avviene
attraverso l’episodio meteorologico che dà anima e vita al paesaggio. L’uomo, Il viandante in questo
caso, è, indifeso e misero di fronte al meraviglioso infinito naturale che ha di fronte. Il mare di nebbia
rappresenta questa condizione della quale l’uomo romantico ha consapevolezza. Il viandante si
perde così nella contemplazione del mare di nebbia e questa perdita annulla la sua individualità in
una sorta di nirvana esoterico. (E il naufragar m’è dolce in questo mare. Leopardi). Il romanticismo,
declinato secondo i vari ambiti geografici in Europa, si prestò a rappresentare i moti dell’animo del
singolo e i moti nazionalisti di una comunità intera. Nel caso di Friedrich è il singolo, nella sua
debolezza di fronte alla grandezza della natura, ad essere uno dei soggetti dei dipinti. Il Viandante
davanti al mare di nebbia è rivolto di schiena al fine di permettere una identificazione con
l’osservatore. Friedrich ci chiede di essere noi stessi quel Viandante e di perderci nel paesaggio per
entrare in empatia con le emozioni che l’artista ci vuole suscitare. Il viandante non è però un
osservatore passivo che subisce una sorta di sindrome di Stendhal naturale. È piuttosto un
contemplativo e attraverso il sentire emotivo riflette filosoficamente sulla propria natura ed
esistenza umana in confronto con la potenza della natura. Uno dei temi del romanticismo è quello
del viaggiatore, del senza patria. Il viandante è bello e sventurato, un eroe contemporaneo che non
porta su di sé i segni di una bellezza fisica e di una forza classica. Si tratta di un nuovo eroe che è
arreso al mondo e al suo destino e si avventura verso il suo futuro drammatico. Questo profilo
psicologico, dal romanticismo in avanti, sarà adottato per caratterizzare molti protagonisti della
narrativa occidentale.

Lo spazio: Il viandante si trova al centro del dipinto in primo piano. L’uomo è in piedi, appoggiato
al suo bastone da viaggio, su di uno sperone roccioso che domina tutta la parte inferiore del dipinto
come fosse il piedistallo di una statua. Sta, evidentemente, contemplando lo spettacolo naturale
romantico e sublime che ha di fronte. Sotto di lui, oltre lo sperone sale la nebbia che lascia
intravedere alcune cime coperte da radi alberi più in basso. Verso l’orizzonte si aprono nuovi scenari
di montagne alte e impervie. Il cielo è denso di nubi verso l’alto e di strati di nubi più calmi verso il
basso che si fondono con il mare di nebbia. Nonostante la grande massa triangolare dello sperone
roccioso e la sagoma nera del viandante i colori emergono in modo evidente nel dipinto. I colori del
paesaggio montano dell’Elbsandsteingebirge della Boemia, ingrigiti dalla prospettiva aerea di natura
leonardesca, si fondono con i colori caldi del cielo riflessi dalla nebbia in basso. Colori chiari e brillanti
sono distribuiti armonicamente nel cielo e nella nebbia. Blu, rosa gialli molto chiari si mescolano e
intensificano il grigio perla dei vapori che si innalzano verso il cielo. Queste tonalità ci consegnano
una sensazione di atmosfera cristallina e pungente di alta montagna. Sulle rocce abbondano, invece,
colori che ricordano la pietra umida, muschi e licheni.

La composizione: La schiena del viandante, completamente nera, è al centro delle diagonali del
rettangolo dipinto. A lui portano anche le linee oblique dell’orizzonte che dall’alto scendono verso
il centro. La sagoma nera del protagonista viene innalzata dallo sperone roccioso in basso che
funziona come un basamento triangolare. Questo triangolo compositivo ha il suo apice nella testa
del viandante. I triangoli compositivi sono distribuiti nel dipinto e nascosti nelle montagne come
cunei grigio scuri all’orizzonte. A questi triangoli compositivi scuri vengono contrapposti triangoli
compositivi chiari. Si tratta del mare di nebbia in secondo piano che crea due triangoli convergenti
verso il centro dell’opera che si trova, più o meno, all’altezza del cuore del viandante.

Approfondimento: Friedrich nacque a Greifswald nel 1774. Dipinse quindi questo celebre
capolavoro all’età di 44 anni nel 1818. L’artista era già così molto conosciuto ed apprezzato dai suoi
contemporanei. La natura sublime, si ritrova in molti dipinti di autori romantici. Alcuni esempi, due
esempi fra tutti Turner e Constable. Il romanticismo nazionalista, invece, è rappresentato da Goya
e Hayez.
La zattera della Medusa di Théodore Géricault

Théodore Géricault, La zattera della Medusa, (Le Radeau de la Méduse), 1818-1819, olio su tela, cm
491 x 716. Parigi, Museo del Louvre

Descrizione: La zattera della Medusa è un dipinto di Théodore Géricault molto conosciuto. Oltre
che la testimonianza di un drammatico fatto storico, La zattera della Medusa è un noto dipinto
romantico. Théodore Géricault raffigurò il momento in cui i naufraghi avvistano una nave che si sta
avvicinando all’orizzonte, gli uomini sono stremati, alcuni sono morti, alcuni senza speranza. I
naufraghi, avendo terminato cibo e acqua, furono costretti a cibarsi dei cadaveri dei loro compagni.
Sulla sinistra possiamo vedere due figure isolate. Un padre anziano difende il corpo del figlio, ormai
cadavere dagli altri naufraghi. Accanto a loro, sulla sinistra si vede il cadavere di un naufrago, del
quale rimane il torace.

Il fatto storico: Per analizzare e comprendere La zattera della Medusa occorre, quindi, tenere
presente il momento storico. La contestualizzazione è, quindi, molto importante trattandosi di
un’opera che ha il compito di suscitare una forte risposta emotiva. La Méduse era una fregata
francese a vela, varata il 1º luglio 1810. Il 2 luglio del 1816, si incagliò sulle secche del Banc d’Arguin,
vicino Nouadhibou in Mauritania. L’incidente fu causato dell’inesperienza del comandante, capitano
di fregata Hugues Duroy de Chaumareys. Dopo alcuni tentativi per disincagliare lo scafo,
l’equipaggio abbandonò così la nave il 5 luglio 1816 sulle 6 imbarcazioni di salvataggio. I passeggeri
eccedenti furono posti su una zattera che venne trascinata dalle barche. Presto, però, affondò
parzialmente causando la rottura della cima che la teneva legata al gruppo. L’equipaggio abbandonò
così l’imbarcazione. Venti persone morirono o si suicidarono appena calata la notte. Dopo 9 giorni
vi furono dei casi di cannibalismo. Il battello Argus salvò i pochi superstiti il 17 luglio 1816, ma, cinque
di loro morirono nella notte. I giornali dell’epoca diedero molto spazio al racconto del naufragio. I
giudici però condannarono il capitano a soli due anni di carcere e alla radiazione dal registro navale.
La legge invece prevedeva l’esecuzione a morte per questo grave fatto.

La storia: Théodore Géricault, nato nel 1791, aveva 27 anni all’epoca dei fatti della Méduse. Colse
l’occasione per tentare di farsi conoscere da un vasto pubblico, e diventare famoso, rappresentando
una tragedia che aveva avuto risonanza internazionale. Fu molto scrupoloso nel raccogliere le
informazioni e nella progettazione del dipinto. Intervistò due sopravvissuti, fece un modellino della
zattera e realizzò molti bozzetti preparatori. I poveri naufraghi sopravvissuti sono circondati da corpi
in decomposizione e vestono abiti laceri e sudici. I corpi nudi, scomposti e lividi dei cadaveri
suscitarono orrore e riprovazione. Nonostante questo, il dipinto divenne immediatamente famoso,
anche a causa della diffusione mediatica dei racconti sul naufragio della Méduse.

Analisi: La zattera della Medusa, è considerata il punto di rottura con la pittura neoclassica che si
rivolgeva alla ragione dello spettatore. I dipinti neoclassici infatti presentavano composizioni
equilibrate, atmosfere cromatiche serene e soggetti elevati. Il dipinto di Géricault invece suscita una
intensa reazione emotiva. La scena mostra un grande senso di realtà e i corpi sono concepiti con
una solida conoscenza dell’anatomia umana. I toni sono scuri e drammatici. I colori tendono al
grigio, i corpi sono lividi, per la morte e per il freddo. Solo all’orizzonte brilla il colore di un tramonto.
Il rosso è l’unico colore vivace riservato al mantello che copre il padre. Il panno usato come bandiera
è di un arancione vivo. Nel dipinto si notano toni cupi e forti contrasti perché siamo nel mezzo di
una tempesta marina. Le imponenti dimensioni permettono inoltre una visione dal vero di grande
effetto scenico. Infatti, la fruizione del dipinto a dimensione reale, proietta lo spettatore all’interno
dell’evento. Le figure sovradimensionate e la luce teatrale riescono a catturare l’osservatore
contemporaneo. L’effetto sarà stato, probabilmente, enfatizzato ulteriormente per lo spettatore
ottocentesco. Il forte chiaroscuro e la prospettiva aerea rendono lo spazio tridimensionale.
Contribuisce a questa resa anche la posizione della zattera, raffigurata in obliquo.

La composizione: La struttura compositiva de La zattera della Medusa è articolata. La struttura


piramidale culmina sull’uomo che sventola il panno. Il triangolo che fa capo al naufrago sale lungo il
corpo del ragazzo morto a sinistra. Discende poi per creare la base di questo triangolo compositivo.
Questa direttrice ascensionale può essere letta come un espediente visivo e narrativo di Théodore
Géricault. Lo sguardo sale verso il panno che sventola. Si tratta di una aspirazione alla salvezza, un
crescendo emotivo verso il cielo. Altri due triangoli compositivi si possono individuare verso sinistra,
con il vertice alla sommità dell’albero della vela. Il secondo, di orientamento inverso, con il vertice
sul cadavere abbandonato in acqua sulla destra.
La libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix

Eugène Delacroix, La libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple), 1830, olio su tela, cm
260 × 325. Parigi, Museo del Louvre

Descrizione: Una gran folla di rivoltosi avanza guidata da una giovane donna che sventola il
tricolore francese. A terra giacciono molti cadaveri dei rivoluzionari e sul fondo si alzano i fumi dagli
edifici di Parigi.

Interpretazioni: La libertà che guida il popolo si può considerare la prima grande opera figurativa
che rappresenta la passione politica del popolo e della borghesia francese. Il dipinto si riferisce
infatti all’episodio chiamato “Le tre gloriose giornate” del 1830, quando i parigini insorsero contro
il re Carlo X. Marianne che rappresenta la Francia vittoriosa indossa un berretto frigio, simbolo degli
ideali rivoluzionari del 1789. Inoltre, le figure che si schierano a fianco della libertà appartengono a
tutte le fasce sociali, il borghese, a sinistra, un giovane del popolo, a destra, corpi senza vita di operai
e soldati.

Confronti: Un cadavere scomposto mostra un calzino sfilato dal piede, particolare che esprime un
forte senso di morte. Anche Théodore Géricault ne La zattera della Medusa (Le Radeau de la
Méduse) utilizzò una figura simile per il cadavere del giovane raffigurato a sinistra con il padre. Giulio
Carlo Argan fece notare che, nei due dipinti gli artisti invertirono il movimento del gruppo di figure.
Nel caso del dipinto di Théodore Géricault, i personaggi sono proiettati verso lo sfondo, dal quale
giunge la speranza della salvezza. Nel dipinto di Delacroix invece le figure avanzano verso il fronte
del dipinto. Anche Giuseppe Pellizza da Volpedo fece avanzare i suoi manifestanti verso
l’osservatore nel celebre Quarto Stato. La figura della Vittoria è ispirata alla statua greca chiamata
Venere di Milo che fu ritrovata nel 1820 ed esposta al Louvre l’anno successivo. Sul fondo dell’opera
si intravedono infine le torri della Cattedrale di Notre-Dame, a Parigi.

I Committenti: La libertà che guida il popolo si trova al Museo del Louvre di Parigi. L’opera fu
esposta al Salon di Parigi nel 1831 e il Governo francese la acquistò per 3.000 franchi.

Lo stile: Il Romanticismo, in Francia, spinse gli artisti a realizzare opere connesse con la storia e gli
avvenimenti a loro contemporanei. La scena è lontana da quelle di natura neoclassica, composte e
razionali. Nel dipinto si osserva infatti la concitazione della rivolta, le emozioni suscitate dal
momento. Inoltre, un gran movimento di folla si sposta verso il primo piano dove le figure sono
disposte in modo teatrale. Anche l’atmosfera creata da luci e colori è fortemente drammatica.
Contribuisce a creare questo clima di concitazione anche lo stile con il quale sono applicate le
pennellate, materiche, senza sfumare l’impasto del colore. Infatti, i contorni e i volumi non sono
definiti ma creano una suggestione luminosa della scena che si avvicina alla resa ambientale dei
futuri impressionisti.

La tecnica: Il celebre dipinto di Delacroix è realizzato con impasto ad olio su una tela di 260 × 325
cm. Ne La libertà che guida il popolo predomina un’atmosfera cromatica scura e drammatica. I colori
sono terrei e spiccano in basso le divise blu che coprono i cadaveri dei soldati. I colori più brillanti
sono riservati al tricolore francese verso il quale viene attirato fortemente il nostro sguardo. La luce
che illumina la scena determina un’atmosfera drammatica e proviene da fondo del dipinto. Giunge
dall’alto a destra lasciando in controluce la massa popolare dei rivoltosi. Una luce ideale proviene
poi da sinistra e illumina il cadavere a terra, sulla sinistra, coperto da una camicia bianca, simbolo
del sacrificio, e la figura femminile che rappresenta la libertà.

Lo spazio: La libertà che guida il popolo è un dipinto ambientato all’aperto. Non è presente un
fondale architettonico quindi lo spazio non è descritto prospetticamente. La profondità è piuttosto
suggerita dalla sovrapposizione dei personaggi che si affollano e procedono verso il primo piano,
dalla prospettiva di grandezza e dalla prospettiva aerea. Anche i colori, man mano che si allontanano
sono più scuri, tendenti al grigio e indefiniti. Inoltre, la definizione delle superfici si fa indistinta come
i contorni delle figure. Infine, il fumo e le nebbie contribuiscono a rendere più efficacemente la
profondità ambientale. I corpi senza vita dei rivoltosi, a terra, in primo piano, costituiscono una
solida base orizzontale, quasi in piedistallo ideale sul quale si innalza la libertà rappresentata dalla
Vittoria che sventola il tricolore francese. Da questa base si alza quindi un triangolo con il vertice
sulla mano che regge la bandiera.
Il Bacio di Francesco Hayez
Francesco Hayez, Il Bacio Episodio della
giovinezza. Costumi del secolo XI, 1859, olio su
tela, cm 112 x 88. Milano, Pinacoteca di Brera
Il titolo del dipinto per intero è “Il bacio.
Episodio della giovinezza. Costumi del secolo
XIV”. L’opera divenne subito un’icona del
Romanticismo italiano e Hayez ne dipinse altre
3 copie.

Descrizione: Due giovani in abiti del


Quattrocento sono in piedi abbracciati e si
baciano. Il giovane è interamente coperto da un
ampio mantello mentre la giovane indossa un
semplice abito azzurro. Il ragazzo porta un
cappello che copre il suo viso invece la
protagonista ha i lunghi capelli sciolti. Sebbene
il ragazzo sia nascosto dal mantello si intravede
un’arma al suo fianco sinistro. La scena si svolge
all’interno di uno scenario architettonico
medioevale. Infatti, le mura sono costruite da
grandi blocchi di pietra. Inoltre, sullo stipite si intravedono decorazioni scolpite. Infine, a sinistra nel
buio si proietta sul muro quella che pare essere l’ombra di una sagoma umana.

Interpretazioni e simbologia: Il dipinto rappresenta una scena, apparentemente, intima tra due
innamorati, ambientata nel passato medioevale cavalleresco tra le mura di un castello. Il
Romanticismo, in Italia, si declinò nell’amore nazionalista e nell’odio verso lo straniero, che nelle
zone dell’attuale Lombardia, era rappresentato dalla dominazione austriaca. Il giovane che da un
bacio alla ragazza porta un pugnale e si appresta a salire il primo gradino della scala. Il messaggio
politico che nasconde il dipinto è racchiuso quindi in questi particolari appena percepibili. Si tratta,
forse, di un giovane patriota che saluta la ragazza amata prima di andare a combattere. Nell’ombra
che si intravede sulla sinistra, alcuni storici hanno visto la presenza di una spia austriaca che sorveglia
i due giovani. Un esempio di Romanticismo francese, legato alla rappresentazione del popolo che si
ribella al potere del sovrano è la Libertà che guida il popolo di Eugène Delacoix al Louvre di Parigi.

I Committenti: Fu il conte Alfonso Maria Visconti a commissionare il dipinto all’artista per creare
un simbolo di patriottismo. Infatti, Hayez frequentava i circoli indipendentisti dell’epoca ed era
molto apprezzato da Giuseppe Mazzini. Nel 1886 il proprietario lo donò alla Pinacoteca di Brera. In
seguito, l’opera assunse il semplice titolo de Il Bacio e divenne una icona sentimentale nella cultura
mediatica.
La storia: Francesco Hayez nacque a Venezia nel 1791 e, dopo essersi trasferito a Milano, nel 1850
divenne professore all’Accademia di Brera. Morì poi a Milano nel 1882. Il suo dipinto più famoso
risale al 1859 quando l’artista godeva di una notevole fama ed aveva già 68 anni.

Lo stile: Francesco Hayez è considerato l’esponente più importante del Romanticismo italiano. I
suoi inizi però furono neoclassici e presto si interessò alla pittura storica. Lo stile dell’opera inoltre
ricorda la pittura quattrocentesca ed esprime un forte senso di tridimensionalità. Infine, le figure
sono precise e molto dettagliate.

La tecnica: Il Bacio è un’opera realizzata con velature di colori ad olio su una tela di 112 x 88 cm.
La scena è immersa nel colore ocra delle architetture medievali che fanno da sfondo ai due ragazzi
descritti con colori più accesi. Soprattutto la giovane indossa un abito in seta azzurro molto
luminoso. In questa versione del dipinto la veste azzurra della fanciulla e il rosso della calzamaglia
ricordano il tricolore francese. Infatti, al tempo la Francia era alleata con i Savoia contro gli austriaci.
La luce de Il Bacio proviene dall’esterno dl dipinto e colpisce i due ragazzi illuminando intensamente
l’abito della ragazza.

Lo spazio: Gli scalini, le cui linee di fuga convergono verso il fianco del ragazzo, creano un ambiente
tridimensionale e prospettico. Anche l’illuminazione che allontana in profondità il porticato in
ombra permette di costruire uno spazio efficace. Infine, il punto di vista è basso e contribuisce ad
elevare la scena rispetto alla posizione dell’osservatore, creando un senso di monumentalità delle
figure.

La composizione: Le due figure si trovano esattamente al centro del dipinto e il corpo del giovane
è fermamente saldo sulla verticale centrale. La fanciulla è poi inclinata all’indietro e il suo corpo crea
leggera curva verso destra.
Ponte di Narni di Jean-Baptiste Camille Corot
Jean-Baptiste Camille Corot, Ponte di Narni (Le
pont de Narni, aux environs de Rome), 1826, olio
su tela, 34×48 cm. Parigi, Museo del Louvre

Descrizione: Il Ponte di Narni si trova nella


campagna a nord di Roma. I ruderi dell’antico
ponte sono ancora parzialmente arroccati sui
pendii a lato del fiume. Il corso d’acqua procede
trasportando l’argilla il cui colore si mescola con i
riflessi azzurri del cielo. I due pendii sono ricoperti
da una pellicola di vegetazione mentre in basso
alcuni cespugli crescono sulle rive. All’orizzonte si susseguono diverse linee di colline seguite dalle
montagne più alte.

I Committenti: Il dipinto era destinato a rimanere in forma di abbozzo. Si tratta infatti di uno
schizzo realizzato dal vero. Al Salon di Parigi del 1827 Corot espose un grande dipinto dallo stesso
tema che si trova ora presso la Galerie Nationale du Canada di Ottawa. Il dipinto che il maestro
realizzò durante il suo primo soggiorno in Italia venne donato al Louvre da Étienne Moreau-Nélaton
nel 1906.

Lo stile: Il dipinto è considerato come un capolavoro della pittura di paesaggio neoclassico. Infatti
la formazione di Corot avvenne presso due maestri vicini a tale corrente, prima Achille Etna
Michallon e poi Jean-Victor Bertin. Il dipinto esposto al Louvre è un abbozzo realizzato en plein-air.
Corot era convinto della grande importanza di registrare una prima impressione del paesaggio. Nel
chiuso del suo atelier l’artista cercava poi di rimanere fedele a tale versione.

Il colore: L’illuminazione della campagna romana colpì molto l’ispirazione di Camille Corot. La luce
mediterranea infatti fu una delle componenti stilistiche che portò con se durante il successivo
soggiorno a Barbizon. Nel dipinto Il ponte di Narni i toni sono caldi e chiari. Il verde ingrigito della
vegetazione ricopre i versanti delle alte sponde. L’azzurro del cielo e delle montagne all’orizzonte si
rispecchia infine a tratti sull’acqua. Secondo Corot la perfetta riproduzione dei colori era essenziale
per rendere le atmosfere dei luoghi ritratti.

Lo spazio: Il paesaggio è ampio ed esteso. La prospettiva del fiume riesce a rendere bene le
distanze. Inoltre, aiuta lo sguardo a procedere verso i ruderi de ponte. Il primo piano è strutturato
intorno alle oblique create dalle sponde del corso d’acqua. A partire dalla metà superiore del dipinto
si fanno più importanti le linee orizzontali. La successione delle colline e delle montagne in
lontananza chiude infatti la composizione espandendo lateralmente lo vista.

Approfondimenti: Il Ponte di Narni era stato già rappresentato dai maestri Valenciennes e
Michallon prima di Corot. Il maestro realizzò più di centocinquanta dipinti durante il suo viaggio di
formazione. Uno di questi è Trinità dei Monti esposto al Louvre di Parigi.
Le spigolatrici di Jean-François Millet
Jean-François Millet, Le spigolatrici (Des
glaneuses), 1857, olio su tela, cm 83,5 x 110.
Parigi, Musée d’Orsay
Descrizione: Tre spigolatrici sono chine sul
campo appena mietuto e raccolgono le poche
spighe cadute a terra. Due di loro hanno la
schiena curva e scelgono accuratamente il
raccolto. La donna di destra invece si sta
rialzando per riporre sulla sacca frontale i chicchi.
Sullo sfondo sono pronti grandi covoni di grano
sopra i quali alcuni operai continuano a sistemare
le piante raccolte. Un carretto è fermo al centro per essere caricato. Alla sua destra poi i mietitori si
affannano per unire i fasci da sporgere agli operai sui covoni. All’estrema destra, davanti alle case,
un uomo a cavallo è fermo e controlla il procedere del lavoro. Si tratta probabilmente del
proprietario o di una persona di sua fiducia.
Interpretazioni: Il dipinto rappresenta le povere lavoratrici dei campi durante la loro attività come
nell’altro suo noto dipinto Angelus. Le spigolatrici erano figure del proletariato rurale molto povero.
Le donne infatti erano autorizzate a raccogliere frettolosamente le spighe risparmiate dalla
mietitura giornaliera. Nel dipinto Millet dispone in primo piano le donne impegnate nel duro lavoro.
In lontananza invece i mietitori sono rappresentati accanto a grandi covoni di grano. Il loro raccolto
è stato abbondante e la loro felicità è sottolineata dall’atmosfera più luminosa che li circonda.
L’atmosfera polverosa e dorata ricorda certe rappresentazioni bucoliche della natura pastorale del
Seicento. Millet a destra dei mietitori rappresenta un amministratore a cavallo che sorveglia il
lavoro. Attraverso l’accostamento delle diverse realtà sociali, proprietari, lavoratori specializzati e
povere spigolatrici, Millet rappresenta dignitosamente la vita dei più umili lavoratori delle campagne
francesi.
I Committenti: Jean-François Millet fu molto affezionato alla sua terra e ai lavoratori dei campi.
Per dieci anni studiò attentamente il lavoro delle spigolatrici e il risultato delle sue osservazioni è il
dipinto Le spigolatrici (Des glaneuses). L’opera fece parte della collezione Binder. Nel 1865 passò
poi alla collezione Paul Tesse di Parigi. Dal 1867 al 1889 fu quindi di proprietà di Ferdinand
Bischoffsheim. Fino al 1890 fece poi parte della collezione di Mme Pommery che lo donò in tale data
allo Stato. Giunse quindi al Museo del Louvre. Si trova a lmusée d’Orsay dal 1986.

Lo stile: La posizione delle tre spigolatrici protagoniste del dipinto è una rappresentazione
dinamica del lavoro compiuto ripetutamente per raccogliere le spighe cadute. I colori sono caldi,
maggiormente in secondo piano dove il sole pieno crea una illuminazione diretta. In primo piano,
invece, le spigolatrici sono illuminate da una luce quasi radente che crea un chiaroscuro scultoreo.
Alcune parti del loro corpo sono molto volumetriche come le spalle, le mani e il capo coperto dal
fazzoletto.
Gli spaccapietre di Gustave Courbet

Gustave Courbet, Gli Spaccapietre (Les Casseurs de pierres), 1849, olio su tela, cm. Opera distrutta

Descrizione: Due operai sono impegnati nel duro lavoro di spaccare le pietre per ricavarne ciottoli
e ghiaia. Il più anziano è dipinto a destra dell’immagine, con il ginocchio sinistro poggiato a terra. Le
mani stringono un pesante martello sollevato allo scopo di abbattersi su di una pietra in basso. Il
volto dell’operaio è nascosto dal cappello a larghe tese che lo protegge dal sole. Il suo garzone invece
si trova a sinistra. L’adolescente è impegnato nel trasportare una cesta pesante piena di ciottoli. Il
suo strumento di lavoro, una zappa, è poggiato a terra tra altre pietre frantumate.
A destra sono posati una pentola, un cucchiaio e del cibo. Le stoviglie sono poggiate su di un panno
che le protegge dalla polvere del terreno. Le vesti dei due operai sono povere e lacere. Nello spazio
di lavoro la natura è stata sacrificata e ovunque si osservano pietre e ciottoli. Sul fondo si alza una
collina in ombra mentre a destra si intravede un piccolo brano di cielo azzurro.

Interpretazioni: Il mestiere dello spaccapietre era sicuramente un duro lavoro. Gli operai
impiegati in questa attività erano probabilmente condannati ad esercitarla per tutta la loro vita. Non
a caso quindi Courbet per rappresentare le tragiche condizioni dei lavoratori più umili scelse questo
soggetto. Inoltre, nell’immaginario della narrazione popolare ottocentesca anche i condannati ai
lavori forzati erano spesso rappresentati nell’atto di frangere massi con pesanti mazze.

I Committenti: Secondo le sue memorie, Gustave Courbet mentre si recava al Castello di Saint-
Denis per dipingere vide due operai al bordo della strada. Considerò che rappresentavano una
perfetta descrizione della miseria. Courbet quindi chiese ai due lavoratori di posare per il dipinto.
Gli spaccapietre fece parte di un gruppo di tre opere presentate al Salon del 1850-51. Gli altri due
dipinti erano Funerale ad Ornans e I contadini di Flagey tornano dalla fiera. Fu nuovamente esposto
nel 1857 e acquistato da Laurent-Richard. Nel 1871 dal proprietario fu venduto poi al signor Binard
e alla sua morte passò nel 1909 alla Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda. Secondo la
documentazione storica Gli Spaccapietre di Gustave Courbet fu distrutto durante la Seconda Guerra
Mondiale nel bombardamento del 1945.

Lo stile: Nel suo intento di descrivere un momento di vita de Gli Spaccapietre, Courbet mette in
chiara evidenza i due protagonisti. L’artista utilizza un contrasto di luminosità molto intenso. Infatti,
il primo piano e le i due operai sono illuminati da una forte luce solare. Il fondo invece è scuro, in
ombra e privo di forme. La condizione di estrema povertà poi è sottolineata dagli abiti logori.
Courbet descrisse attentamente gli strappi nei tessuti e la povertà degli abiti. Contrariamente alla
pittura accademica del tempo volle mostrare immagini scomode e non idealizzate. Per rimarcare
questa distanza la composizione è volutamente asimmetrica e antiaccademica. Tale rottura e
provocazione fu già adottata da Caravaggio con la sua pittura religiosa.

Approfondimenti: La corrente realista in arte nacque intorno al 1840 in Francia. Al Realismo


aderirono infatti quegli artisti che avevano maturato una coscienza sociale. La loro azione politica si
manifestò dipingendo opere di denuncia. Nei loro dipinti venivano così rappresentate le difficili
condizioni di vita delle classi più umili. I soggetti rappresentati erano quindi lontani dalle celebrazioni
del potere e dalle scene allegoriche. I dipinti realistici raffigurano scene di duro lavoro, eventi storici
e momenti di lotta sociale per i diritti di operai e contadini. Gustave Courbet è considerato il
fondatore del Realismo in Francia. La vita dei contadini venne rappresentata da Millet mentre la
condizione del proletariato cittadino invece da Honoré Daumier.
La Rotonda dei bagni Palmieri di Giovanni Fattori

Giovanni Fattori, La Rotonda dei bagni Palmieri, 1866, olio su tavola, cm 12 x 35. Firenze, Galleria
d’Arte Moderna

Descrizione: La Rotonda dei bagni Palmieri è un’opera di Giovanni Fattori di modesto formato.
Rappresenta un momento della giornata vissuto da un gruppo di signore borghesi. Le donne si
trovano sul pontile di uno stabilimento balneare sedute sotto un grande dehor coperto da un
tendone. Alcune di esse conversano, altre osservano il paesaggio.

Lo stile: Giovanni Fattori realizzò La Rotonda dei bagni Palmieri dal vero e con una tecnica
apparentemente veloce. Il colore venne apposto sulla tavoletta senza una sottostante preparazione.
Si può ancora vedere, infatti, il legno del supporto. Il paesaggio è costruito sovrapponendo i colori
che identificano le parti del dipinto. Le figure umane, poi, non possiedono particolari del volto e del
corpo. Nell’insieme La Rotonda dei bagni Palmieri assume l’aspetto di un intarsio colorato. Il dipinto
che, secondo gli storici, esemplifica appieno la tecnica dei pittori macchiaioli è Interno di un chiostro
di Giuseppe Abbati. Anche Silvestro Lega fu solito rappresentare momenti di vita borghese come nel
suo dipinto Il pergolato.

Il colore: La tonalità che sembra diffondersi su tutto il piccolo dipinto La Rotonda dei bagni Palmieri
di Giovanni Fattori è ocra. Infatti, due fasce di questo colore caratterizzano il suolo e, in alto, il
tendone. Al centro, nel gruppo di signore, predominano colori scuri. Spicca, per saturazione, il rosso
del mantello di una di loro, sulla destra. Sullo sfondo spicca il blu del mare e il marrone intenso dei
promontori.

La composizione: Il dipinto ha una forma molto panoramica che permette, così, di sottolineare
l’orizzontalità del mare sullo sfondo. La composizione centrale viene movimentata da linee di
costruzione ondulate orizzontali. La prima, dal basso, segue il profilo del terreno, poi, la linea curva
ascendente del profilo della montagna. Infine, il bordo curvo, e convesso verso il basso, del tendone.
In vedetta di Giovanni Fattori

Giovanni Fattori, In vedetta, 1872, olio su tela, 37×56 cm. Valdagno, collezione Marzotto

Descrizione: A destra del dipinto un ampio muro bianco riflette la luce accecante del sole. Un
soldato a cavallo è fermo verso destra e osserva oltre il bordo dell’opera. La sua figura intercetta i
raggi e proietta l’unica ombra contro l’intonaco bianco. Inoltre, la sua divisa scura crea una sagoma
netta contro la luce riflessa. Ai piedi del muro il terreno è arido e polveroso e tra la terra bianca si
notano chiaramente i cumuli di sterco del cavallo. La luce impietosa e il caldo non permettono la
crescita della vegetazione. Solo qualche pianta colonizzatrice riesce a farsi strada con le radici in
profondità. Al fondo, oltre la fine del muro, stazionano altri due soldati. I cavalli hanno colori diversi
e opposti, uno bianco e uno nero. Le tre sentinelle sono di vedetta e stanno controllando il territorio.
A sinistra si sviluppa una strada sterrata la cui carreggiata è indicata dalle rimanenti tracce dei carri.
L’orizzonte è rappresentato da una linea pulita e deserta sulla quale la calura della tarda mattinata
crea ondeggiamenti della visione. Il cielo è terso e sgombro da nubi.

Interpretazioni: Giovanni Fattori fu un sostenitore delle Guerre d’Indipendenza come altri


Macchiaioli anarchici e repubblicani. La sua visione realista della pittura lo portò a considerare come
soggetti della stessa realtà soldati e contadini. Questo perché gli uomini che indossavano la divisa
erano anche lavoratori della terra in periodo di pace. Come in altri dipinti contemporanei è l’uomo
ad essere armonizzato nel contesto naturale, anche nel caso di dipinti ufficiali quali Il principe
Amedeo ferito durante la battaglia di Custoza. In Giovanni Fattori la figura del soldato è sempre
accompagnata da quella del contadino. L’artista intende infatti mostrare quella che era una realtà
sociale dell’epoca. Infatti, l’artista ritrasse durante la Guerra d’Indipendenza Italiana la realtà sociale
che poteva osservare. Questo si può vedere infatti nella sua opera “In vedetta” del 1872 dunque
poco dopo le guerre d’indipendenza.

Lo stile: Giovanni Fattori come gli altri suoi compagni Macchiaioli rifiutò la pittura dai toni
neoclassici e romantici. Si avvicinò invece al Realismo francese conosciuto attraverso alcuni viaggi a
Parigi. La macchia è alla base della tecnica utilizzata dal gruppo macchiaiolo. Le figure si determinano
attraverso contrasti di luminosità e di colore che racchiudono forme omogenee. Queste campiture
uniformi accostate concorrono così a creare l’immagine e l’articolazione figura sfondo. I cavalli e i
cavalieri invece sono dipinti con un uso più evidente della macchia utilizzata però con un fine
volumetrico. Il muro bianco con la sua forte fuga prospettica diventa uno schermo sul quale
proiettare l’immagine della sentinella. Allo stesso tempo introduce un elemento di linguaggio al
limite dell’astrazione. Lo stesso linguaggio si può osservare nei dipinti Alt! e Gruppo di Lancieri su
strada. Lo stile più propriamente macchiaiolo si osserva nel dipinto intitolato La Rotonda dei bagni
Palmieri. I Macchiaioli furono attivi dal 1855 al 1867. Molti di loro con posizioni anarchiche o
repubblicane si avvicinarono agli ideali del Risorgimento. Il gruppo si formò intorno al loro teorico
Diego Martelli. Gli artisti e altri intellettuali infatti erano soliti riunirsi presso il caffè Michelangiolo
di Firenze. Nel dipinto, sul muro e nella strada, sono sottili differenze di bianco e ocra a definire le
superfici. Così avviene nel cielo. La natura seppur arida e spoglia è in armonia con le sentinelle che
sembrano parte del paesaggio che le circonda.

La guerra d’Indipendenza: La guerra e anche la vita contadina erano cambiate enormemente


ancora di più dopo la guerra d’Indipendenza. Nelle epoche precedenti gli eserciti erano costituiti
principalmente da soldati di professione e da mercenari. Invece dal XIX secolo gli stati nazione
abbandonano gli apparati militari precedenti. Questi infatti erano troppo costosi e infedeli, per
militare negli eserciti nazionali. Infatti, queste milizie erano costituite dagli abitanti stessi del
territorio, spesso contadini. Gli stati introdussero quindi l’obbligo di leva, che creerà molte proteste
nel Regno di Italia dopo la guerra d’ indipendenza. Soprattutto nelle zone del sud l’iniziativa venne
accolta con malumori e proteste. Infatti, la leva colpiva soprattutto le famiglie di contadini che
avevano molti figli e dovevano rinunciare a loro e al loro lavoro nei campi. Di questa realtà si possono
trovare molti esempi nella letteratura italiana. Ne è un esempio il famoso romanzo “I Malavoglia”
di Giovanni Verga. La leva obbligatoria trova comunque il disprezzo generale non solo tra gli strati
bassi della popolazione, ma anche tra alcuni intellettuali. La figura del contadino soldato è quindi
una figura ricorrente nell’arte, in quanto racchiude in sé diversi temi sociali che hanno segnato
l’immaginario comune. Come il rapporto tra l’individuo e l’autorità statale, il momento della leva
militare, anche durante le Guerre d’Indipendenza, come “culla” di un’identità italiana unica. La vita
nell’esercito infatti costrinse il neonato popolo italiano a comunicare superando i dialetti regionali,
portando grandi contributi alla creazione di un italiano nazionale.
La sala delle agitate di Telemaco Signorini
Olio su tela, 1865, 66x59 cm, 1863,
Galleria d'arte moderna di Cà
Pesaro a Venezia

Descrizione: Il titolo del dipinto


“La sala delle agitate” si riferisce al
reparto psichiatrico femminile in cui
vengono ospitate le malate di
mente che sono in preda ad
agitazione e irrequietezza.
Il dipinto mostra un grande
stanzone con sbarre alle finestre e
alla porta ed un alto soffitto.
L’ambiente è molto spoglio e
squallido e sembra pervaso da una
atmosfera maledetta. Le piccole
finestre sono situate vicino al
soffitto e la porta sbarrata appare
sullo sfondo del dipinto. Nella sala le
alienate sono ritratte in vari
atteggiamenti: a sinistra vi è un
gruppo di donne, allineate contro il muro e sedute davanti ad una serie di tavoli, una sta urlando,
forse verso le altre, molte hanno le teste piegate ed un’altra sta nel mezzo della stanza e sembra
vagare assente e persa. Sotto un tavolo si intravede la sagoma di una donna, accucciata come se
volesse nascondersi. Accanto alla porta, seduta sulla panca un’altra alienata è avvolta in un lenzuolo,
non si distingue il volto, è una non-presenza, è significativamente vuota, inesistente, ed un’altra
ancora è rannicchiata accanto all’inferriata della porta. Altre malate sulla destra vagano per lo
stanzone. L’opera trasmette l’impressione di un silenzio lugubre infranto solo dalle urla della donna
con il braccio alzato in segno di minaccia.

Lo stile: Nel dipinto “La sala delle agitate” la luce proviene da una finestra fuori campo sulla destra
che illumina le pareti di una tonalità molto chiara, abbagliante e proietta sul pavimento lunghe
ombre. L’originale impianto prospettico in diagonale ha il suo punto di fuga esternamente al quadro
sulla parte destra. L’inquadratura diagonale è un elemento ripreso dalle stampe giapponesi. La
scelta cromatica di Signorini si basa su forti contrasti chiaroscurali, sulla contrapposizione delle tinte
chiare e luminose delle pareti e del soffitto con le tonalità scure e terrose del pavimento, delle figure
e delle ombre che animano il dipinto.

Interpretazione: Telemaco Signorini con quest’opera di denuncia sociale riflette sul tema della
follia, emerge la problematica sociale dei manicomi e la condizione in cui vivono i sofferenti di
disturbi mentali. Dolore e solitudine sono i due sentimenti rappresentati in questo dipinto animato
da un intenso e penetrante verismo. Le infelici donne ritratte, rese alterate dalla demenza,
rappresentano un vero spettacolo di dolore. La solitudine viene ben evidenziata dall’atteggiamento
di ognuna delle internate, una donna alza i pugni e urla, altre sono chiuse nei loro mantelli per difesa
e protezione, un’altra ancora cerca rifugio sotto il tavolo. Richiamandosi al metodo scientifico
sostenuto dal Naturalismo Signorini dipinge senza far trapelare alcun coinvolgimento emotivo, con
distacco obiettivo.

La toilette del mattino di Telemaco Signorini

Collezione privata, Olio su tela, 1898


Quest’opera tarda del sessantatreenne maestro macchiaiolo fiorentino (morirà tre anni dopo nel
febbraio del 1901) costituisce la terza parte, dopo La sala delle agitate (!865) e il Bagno penale (1888
-1894) di quello che è stato definito un trittico naturalista umanitario. Tre opere, diremmo oggi,
socialmente impegnate in cui il pittore dei magnifici e assolati paesaggi toscani fotografa, è il caso
di dire (il mio amico Rudy Giordan intenderà senz’altro il senso in cui impiego questo verbo) persone
in un interno, cogliendole all’improvviso nei loro atteggiamenti consueti, quindi tutt’altro che in
posa, ma proprio per questo più vere e autentiche in quell’istante di vita vissuta fissato a futura
memoria tramite la sua visione d’artista e la tecnica della pittura naturalista o realista che dir si
voglia (Signorini era un grande estimatore della pittura di Gustave Courbet).

La toilette del mattino rappresenta un momento della vita quotidiana di alcune prostitute all’interno
di una casa di tolleranza fiorentina. Il dipinto, di per sé, non ha niente di scandaloso salvo il soggetto;
eppure la mentalità borghese del tempo era tale da sconsigliarne l’esposizione in pubblico, tanto
che questo ultimo capolavoro rimase nascosto nell’atelier del maestro fiorentino fino alla sua morte.
Sennonché, per ironia del destino, La toilette del mattino divenne in seguito una delle opere più
ammirate del maestro, tanto da essere acquistata da Arturo Toscanini, appassionato collezionista
di opere d’arte, e da ispirare al regista Luchino Visconti alcune scene del film Senso del 1954.
Il sipario immaginario del dipinto si apre su un ampio locale il cui pavimento a mattonelle
rettangolari ricorda quello della Sala delle agitate e del Bagno penale anche qui in funzione
prospettica; sul reticolo di questo pavimento il pittore dispone tre gruppi separati di figure: al centro
della sala troneggia la toilette vera e propria, cioè il mobiletto a tavolino con specchio e ripiano per
tenervi ciò che serve per pettinarsi e truccarsi, intorno alla toilette vediamo tre personaggi, due
cortigiane già vestite di tutto punto e un giovane frequentatore della maison anch’egli vestito, che
si china verso la toilette da dietro. Una della due cortigiane è seduta davanti alla toilette e sta
appunto acconciandosi, l’altra è ritta in piedi e, particolare (allora) indicativo del mestiere, fuma una
specie di sigaro. Le pareti della sala sono arredate con ampi divani rivestiti di velluto rosso-arancio
damascato che rima con il rosso-arancio della lunga gonna della cortigiana in piedi vicino alla
toilette. Sul divano in fondo notiamo tre figure, una di spalle, in abito grigio con un’ampia gonna,
piegata in avanti che conversa con un’altra cortigiana seduta e con un giovane semisdraiato e
annoiato vestito di scuro. Sul divano in primo piano, nell’angolo di destra per chi guarda, vediamo
due figure sedute, una di scorcio non ben identificabile, l’altra voltata di tre quarti verso
l’interlocutore seduto alla sua destra concedendo l’unica nota osé di tutta la scena: una splendida
spalla nuda. Indifferente a tutto quello che succede intorno a lui, un bel gatto monocromo, macchia
azzurrina e ingobbita sul pavimento color mattone illuminato da fasci di luce provenienti dalla
finestra in fondo alla parete di destra, volge la morbida schiena a noi che lo guardiamo ammirati per
la sua naturale eleganza.
Olympia di Eduard Manet

1863, Musée d’Orsay, Parigi,


130,5 x 190 cm
Questo pittore è stato
estremamente criticato per i
temi che ha trattato attraverso
la pittura ed anche per gli
scandali che hanno circondato
la sua vita. Scopriamo ancora
qualcosa in più analizzando
oggi Olympia, una dei lavori
più discussi e allo stesso
tempo conosciuti di tutta la
produzione di Manet. Leggendo questo articolo potrai conoscere la storia e la descrizione di questo
controverso capolavoro.
Olympia, fin dalla sua prima esposizione in pubblico ha fatto gridare allo scandalo, soprattutto per
il soggetto rappresentato completamente nudo; la conturbante donna, però, non è l’unico motivo
che ha scandalizzato la critica. Manet ha utilizzato come modella per realizzare Olympia, Victorine
Meurent, la quale collaborò già in precedenza con questo artista, posando per il ruolo della donna
nel quadro Colazione sull’erba.

Conosciuto brevemente il soggetto, ora cerchiamo di scoprire tutti i dettagli di questa composizione,
molti dei quali non sono da considerare di poco conto, al contrario, permettono una lettura più
precisa dell’opera. Come già detto in precedenza, questo quadro fin dal suo primo contatto con il
pubblico, ha suscitato non poche critiche, e non solo a causa della completa assenza di vestiti della
donna ritratta, ma soprattutto allo sguardo provocatorio che quest’ultima lancia agli osservatori
dell’opera.
Spostando l’attenzione lontano dalla protagonista si possono notare diversi elementi che sembrano
suggerire il legame della donna con il mondo della prostituzione: i suoi accessori sono degni di
attenzione, come ad esempio l’orchidea che ha tra i capelli, il suo braccialetto e gli orecchini di pelle;
messi in un unico gruppo, questa serie di accessori e gioielli indossati dalla donna, accrescono il
fascino conturbante di quest’ultima, attorniandola di un’aura sensuale e provocatoria.
Prima del controverso capolavoro di Manet, ci sono stati molti altri esempi che hanno aperto la
strada a questo genere di rappresentazione: basti citare la Venere di Urbino di Tiziano oppure La
Maja vestida e la Maja desnuda di Goya, i quali, anche nei precedenti secoli fecero gridare allo
scandalo la critica. Olympia sembra che sia stata dipinta come quadro contrario alla Venere di
Urbino di Tiziano, e lo si può notare soprattutto nei gesti: nel quadro di Tiziano, la mano sinistra sul
pube della dea, sembra alludere ad una seduzione dell’osservatore; la donna ritratta da Manet,
invece, sembra allontanare l’osservatore, simboleggiando la forte indipendenza sessuale della
protagonista; in poche parole, Olympia si sarebbe potuta concedere unicamente in cambio di un
compenso. Molti altri sono gli elementi che contrastano esplicitamente con l’opera di Tiziano: nel
quadro del maestro veneziano è presente un cane, che tradizionalmente è il simbolo di fedeltà; nel
quadro di Manet è un gatto nero, che al contrario del cane, è simbolo della prostituzione e
dell’indipendenza. A destra di Olympia si nota una servitrice che sta porgendo dei fiori alla
protagonista: il floreale omaggio probabilmente è stato donato da un qualche cliente; Olympia
rivolge lo sguardo all’osservatore ed ignorando il dono, dimostrando che il suo affetto non è per un
solo individuo, ma “legato” al miglior offerente.
Differentemente dagli altri lavori realizzati da Manet in passato, in questo caso basta una semplice
occhiata per rendersi conto che ci si trova davanti ad un esperimento, a qualcosa di completamente
differente da ciò che aveva dipinto fino a quel momento: in Olympia dominano le pennellate veloci
e colori duri e profondi; il corpo della ragazza, poi, viene messo in risalto grazie alla luce dura e
fredda che avvolge l’intera composizione. Proprio come in La colazione sull’erba, anche in questo
caso Manet decide di utilizzare una tela molto grande: di solito questa scelta era preferita per la
realizzazione quadri a tema mitologico/religioso; con questa scelta, il pittore dimostra la sua
posizione e il distacco dai canoni tradizionali della pittura. Olympia è un quadro che è passato alla
storia soprattutto per il significato, il quale ha scioccato completamente la critica, che lo ha giudicato
immorale e molto volgare.

La colazione sull’erba di Edouard Manet


Édouard Manet, Colazione sull’erba, 1862-1863, olio su tela, cm 208 x 264,5. Parigi, Musée d’Orsay

Descrizione: Una donna completamente


nuda siede tranquilla al cospetto di due
borghesi in abito scuro e ci guarda. Le sue
gambe raccolte fanno da appoggio al braccio
destro sollevato verso il viso in una posizione
naturale e disinvolta. Un uomo siede dietro di
lei e conversa piacevolmente con una
espressione pensierosa. Il convitato di destra,
invece, è disteso con la gamba sinistra verso
la donna e il ginocchio destro piegato. Tiene
nella mano sinistra un bastone da passeggio.
I tre, infatti si sono fermati nel bosco per
riposarsi durante una passeggiata.
Nell’angolo a sinistra, sotto forma di natura morta, si trovano i resti del pranzo. Un cestino contenete
qualche frutto e del pane è poggiato sugli abiti femminili. Indietro, poi, una seconda donna in
sottoveste, si sta bagnando in un laghetto che occupa tutto il secondo piano. A destra una barchetta
è posata a riva, mentre, tra gli alberi al centro, si intravede il paesaggio in lontananza. Un uccellino,
forse un fringuello, aleggia in alto, tra i rami.

Stile: Altro motivo di riprovazione fu il tessuto pittorico del fondo naturale che sembrava
disordinato e confuso. I personaggi sono dipinti con modellati ben costruiti come anche gli abiti. La
natura e il paesaggio, invece, sono dipinti attraverso ampie zone di colore e pennellate rade e
frettolose. Nell’insieme, la realizzazione del paesaggio e della natura sembra suggerire una
impressione più che una descrizione. Si anticipa la pittura impressionista.

La tecnica: Su tutto il dipinto predomina il colore verde declinato nelle varianti di tono e chiarezza.
A sinistra si distingue l’azzurro degli abiti mentre a destra emerge per contrasto di chiarezza l’abito
scuro del borghese. Le figure delle due donne, soprattutto quella in primo piano, si ritagliano dal
fondo verde scuro e brillano di luce chiara. La prospettiva aerea descrive il paesaggio sul fondo che
si intravede in centro sopra la donna che si bagna nel laghetto.

Lo spazio: La profondità è suggerita dalla sovrapposizione dei corpi e dalla diminuzione della loro
dimensione in profondità. Infatti, la distanza del laghetto dalle figure si apprezza valutando la
dimensione della donna in secondo piano. Anche l’altezza dal bordo inferiore del dipinto costruisce
lo spazio arrivando fino all’orizzonte posto a due terzi dell’altezza.

La composizione: La composizione ha un centro ben determinato sul gruppo di figure. Inoltre,


sull’asse di simmetria centrale, il gruppo risulta molto equilibrato. Da notare, in primis, la
triangolazione che contiene l’intero gruppo. Le gambe sul terreno e il vertice sul cielo che si
intravede tra i rami in lontananza. Anche la gamba della donna crea un triangolo. Stessa cosa, poi,
per l’intera sua figura e per il braccio destro. Il gruppo in primo piano si può, inoltre, scomporre in
ulteriori due triangoli che si intersecano in modo contrario. Infine, occorre considerare l’intreccio
creato tra le gambe dei tre personaggi, costruito con la loro sovrapposizione al centro. La diagonale
che sale da destra a sinistra passa per il braccio e la spalla dell’uomo di sinistra. Si incrocia, poi, con
la diagonale che sale da sinistra a destra proprio sulla spalla che si trova al centro del gruppo.

Approfondimento: Edouard Manet non partecipò mai alle mostre organizzate dai pittori
impressionisti, come Claude Monet e Degas. Il suo interesse nel rinnovare la pittura scardinando la
tradizione accademica fu, però, di modello al gruppo di artisti in ascesa in Francia. Il suo dipinto
intitolato La colazione sull’erba, fu progettato sulla base di opere rinascimentali. Suscitò
immediatamente reazioni scandalizzate per via della donna nuda accomodata tra due uomini. Gli
abiti contemporanei dei due personaggi non giustificavano la nudità della donna come un
riferimento mitologico. La scena divenne, quindi, una rappresentazione di una situazione
imbarazzante di due borghesi seduti all’aperto al cospetto di una donna svestita. Lo scandalo che
provocò l’esposizione del dipinto di Edouard Manet, Colazione sull’erba, fu dovuto alla presenza,
contemporanea, di un nudo femminile e di borghesi abbigliati con abiti contemporanei.
Il bar delle Folies-Bergère di Edouard Manet
Edouard Manet, Il bar delle
Folies-Bergère, 1882, olio su
tela, 96 x 130 cm. Londra, The
Courtauld Gallery

Descrizione: Quello che a


prima vista sembra l’interno
di un semplice bar è in realtà
l’istantanea di un locale di
appuntamenti di fine
Ottocento. In primo piano la
cameriera è ferma e in piedi.
Si trova dietro al bancone
delle Folies-Bergère, il locale
trasgressivo e alla moda di
Parigi. Davanti a lei sono
poggiate sul marmo bottiglie di champagne e di birra. Su di una alzata sono esposti dei mandarini
mentre due rose sporgono da un calice. Nonostante la folla che pare animarsi alle sue spalle la
cameriera è l’unico personaggio veramente reale. Infatti, dietro di lei è posto un grande specchio
che occupa tutta la parete. La folla dei clienti che si vede è solo il riflesso di ciò che sta di fronte alla
cameriera. Manet nel riflesso rappresenta l’interno del locale e descrive il contenuto delle sue
serate. In alto a sinistra una acrobata è in piedi sul trapezio. Sotto di lei un borghese con cilindro sta
conversando con una donna. A destra della cameriera un altro uomo di mezza età e dall’aspetto
molto distinto è raffigurato con una giovane. In realtà non stanno conversando, è in corso una
trattativa per la prestazione della ragazza.

Interpretazioni: Nella rappresentazione della vita serale alle Folies-Bergère di Edouard Manet
non vi è alcuna condanna morale. L’artista stesso era solito frequentare il locale. Come in atri dipinti
del maestro la motivazione a voler raffigurare questa realtà è piuttosto l’intenzione di descrivere la
vita reale. Il cliente e la prostituta conducono una trattativa non troppo velata. La giovane acrobata
intrattiene il pubblico con la sua prestanza atletica e la sua bellezza. Il pubblico di clienti si diverte e
beve mentre la cameriera, annoiata, stanca e malinconica attende che il suo lavoro finisca. L’interno
stesso del locale, tutti i suoi avventori sono rappresentati attraverso un riflesso. Pare infatti che non
siano nemmeno reali ma l’illusione di un momento fugace che svanisce in un lampo. Una volta
terminata la serata di tutta la confusione e degli incontri non rimarrà che una sala vuota sistemata
dalle cameriere.

Lo stile: Il dipinto non è un’opera impressionista. Sebbene Edouard Manet abbia influenzato in
modo determinate gli impressionisti il maestro non si considerò mai tale. Le forme del dipinto sono
determinate da campiture quasi uniformi e monocromatiche. Il chiaroscuro è minimo e si ritrova
negli effetti di luce sulle bottiglie. Infatti, la figura della cameriera è quasi una sagoma scura i il suo
volto appena ombreggiato a destra. Nel suo insieme il taglio è quello di una istantanea fotografica.
Le masse sono definite da forti contrasti di luminosità. In profondità le figure si confondono e sono
formate da grandi pennellate materiche.

Il colore: I colori del dipinto sono tendenzialmente freddi. Nel riflesso alle spalle della cameriera
prevalgono i blu e i grigi. In primo piano il marmo del bancone concorre a creare una base neutra. Il
grigio chiaro crea riflessi dello stesso tono sui vetri dei bicchieri e dell’alzata con i mandarini. Le
bottiglie scure, verdi e blu sono delle sagome ritagliate contro il piano. Unici elementi che scaldano
le nature morte del piano sono gli agrumi e le due bottiglie di liquore ambrato. L’illuminazione è
quella di un interno con riflessi freddi sulle bottiglie e sui bicchieri.

Lo spazio: Lo spazio reale rappresentato è limitato a quello occupato dalla cameriera contro lo
specchio della parete. In realtà il senso di profondità del dipinto è virtuale. Infatti, l’interno del locale
è percepito dal riflesso contro lo specchio. Vista la specificità delle immagini riflesse l’impressione è
quella di un ambiente più ampio del reale. La struttura del dipinto Il bar delle Folies-Bergère è
frontale e simmetrica. Sull’asse verticale è dipinta la figura immobile della cameriera che costituisce
la massa più importante di tutta la composizione. Si può infatti considerare un ritratto della giovane.
Di fronte a lei si sviluppa il piano orizzontale sul quale sono disposte piccole nature morte. Infine, lo
sfondo riflesso nello specchio è scandito dalle grandi colonne e dai monumentali lampadari in vetro.

Approfondimenti: Il locale chiamato Folies-Bergère di Parigi non era una semplice sala da ballo.
Fu sicuramente la prima sala musicale di Parigi ma non solo. Nei messaggi pubblicitari dell’epoca fu
subito chiaro che i clienti potevano trovare anche altro. Una delle descrizioni dell’atmosfera delle
Folies-Bergère pubblicata da una rivista parlava di “linguaggio del piacere”. Nel locale infatti erano
tollerate, se non favorite, le pratiche di prostituzione. Il poeta Maupassant definiva infatti le
cameriere come venditrici di bevande e di amore. Edouard Manet come altri artisti e intellettuali
frequentava il locale e realizzò molti disegni al suo interno. Nella sua famosa Colazione sull’erba
Manet racconta un momento di vita all’aperto tra borghesi e loro giovani amanti.
Impressione, soleil levant di Claude Monet
Claude Monet, Impressione, sole nascente, 1872, olio su tela, cm 48 x 63. Parigi, Musée Marmottan

Descrizione: Un gruppo di pittori tra i quali Claude


Monet allestì una mostra nel 1874 all’interno dello
studio del fotografo Nadar. In quell’occasione venne
esposta l’opera Impressione, sole nascente che,
probabilmente, suggerì il nome del movimento
Impressionista. Come gli altri artisti del gruppo, Claude
Monet scelse di dipingere en plein air, dipingendo
immagini di paesaggi. Impressione, sole nascente è,
infatti, una veduta del porto di Le Havre osservato nel
momento in cui sorge il sole. Alcune imbarcazioni
solcano il mare e sullo sfondo si vede la vita industriale
della città. Così, tra la nebbia e i fumi della lontananza, si notano alcune ciminiere. La mostra del
1874 diede inizio alla produzione impressionista della quale furono protagonisti Renoir, Degas e
Pissarro.
Lo stile: Impressione, sole nascente è dipinto con veloci pennellate accostate senza fusione fra
loro. Le forme dell’ambiente, le imbarcazioni, gli edifici di sfondo e le attrezzature, sono dipinti con
la stessa qualità pittorica delle onde. È solamente il contesto che permette di decifrare i particolari
della scena che, isolati, perdono la loro identità. I colori vengono accostati senza chiaroscuro per
creare le forme che vengono suggerite e ricomposte nella nostra attività di osservazione. Nel dipinto
di Monet Impressione, sole nascente i colori sono accostati per suscitare il massimo della sensazione
luminosa. L’artista seguì le indicazioni di Michel Eugène Chevreul. Lo scienziato suggeriva, infatti, di
accostare colori puri, utilizzare contrasti di complementari e non utilizzare il nero. Questi
accorgimenti permisero di creare immagini retiniche più efficaci nel rappresentare impressioni
luminose della realtà.
La tecnica: Su tutto il dipinto domina un tono azzurro-grigio. Spicca l’imbarcazione costruita con
alcune veloci pennellate di grigio scuro e l’arancio del sole che sorge. La dialettica cromatica è tutta
giocata nel contrasto di complementari tra azzurro e arancio.
Lo spazio: Le tre imbarcazioni che si succedono in profondità, sulla sinistra, costruiscono la
profondità del primo piano. Il dipinto è diviso in due metà sovrapposte. La parte in basso è occupata
dall’acqua della manica. La metà superiore, invece, dal cielo contro il quale si stagliano le
architetture urbane, industriali e le gru dei pontili.
Approfondimento: La pittura all’aperto, frequentata dai pittori impressionisti, fu resa possibile
dell’invenzione di John Rand. L’americano, 1841 inventò, infatti, il tubetto metallico per conservare
i colori ad olio in pasta. Prima di allora le paste colorate venivano conservate all’interno di vesciche
di animali fragili e difficilmente dosabili. La produzione di colori in tubetto diede, così, la possibilità
agli artisti di concentrarsi esclusivamente sulla pittura. I colori industriali potevano, quindi, essere
conservati più a lungo, erano perfettamente mesticati e, quindi, facilmente trasportabili per
dipingere all’aperto.
La cattedrale di Rouen di Claude Monet

Oltre alla celebre serie delle Ninfee Monet ed i quadri sui gladioli, la serie di opere di cui mi appresto
a parlarti ora, racchiude al proprio interno tutte le caratteristiche di Monet. I quadri che mi accingo
a farti conoscere, sono quelli appartenenti alla serie della Cattedrale di Rouen.
Il gruppo è composto da 30 dipinti, tutti rappresentanti la cattedrale gotica in momenti differenti
della giornata. Leggendo questo articolo, conoscerai tutti i dettagli relativi ai vari lavori, come data
di realizzazione, dimensioni, luoghi di conservazione, descrizione ed analisi dei quadri Monet più
significativi di tutta la serie. Le prime immagini della Cattedrale di Rouen vennero realizzate da
Monet nel 1892, durante il primo soggiorno dell’artista nell’omonima cittadina.
Per mezzo delle analisi approfondite da parte degli studiosi, si è giunti alla conclusione che è
impossibile determinare con precisione a che ora sia stata realizzata ogni tela di questa serie, poiché
ciascun quadro Monet, dopo essere stato completato, è stato rielaborato e modificato nell’atelier
dal pittore. Le prime due tele definitive de la cattedrale di Rouen Monet vennero dipinte ad inizio
febbraio del 1892, a cielo aperto: questi lavori mostravano una parte della Tour Saint Romain ed
alcune abitazioni nelle vicinanze; questi due disegni erano molto interessanti e si distaccavano dal
resto della serie perché Monet pittore dipinse all’aria aperta, mentre si trovava al piano terra e
rivolto ad occidente.
La Grenouillère di Claude Monet.

Claude Monet, La Grenouillère, 1869, olio su


tela, cm 74,6 x 99,7. New York, Metropolitan
Museum of Art

Descrizione: La Grenouillère si può tradurre


in italiano come la ranocchiaia. Il luogo si
trovava vicino a Bougival, sulle rive della Senna
poco distante da Parigi. In questo stabilimento
balneare i parigini passavano i caldi pomeriggi
domenicali nuotando o remando sul fiume.
Molti impressionisti dipinsero vedute de La
Grenouillère ma l’immagine più famosa è
quella immortalata da Claude Monet. Il dipinto
La Grenouillère è considerato un capolavoro impressionista. Nel dipinto sono dipinte le piccole
barche ancorate alla riva e il barcone galleggiante sulla destra. Il paesaggio fluviale è occupato per
quasi tutto il dipinto dalle acque della Senna. Sul fondo si vede la sponda opposta a La Grenouillère
con un filare di alberi fitto e alto. Al centro del dipinto si trova l’isoletta con un alberello e alcuni
bagnanti. Un minuscolo pontile, a sinistra, collega l’isoletta alla sponda.

Lo stile: La Grenouillère è stata dipinta con la tecnica impressionista da Claude Monet, uno dei
principali e più noti artisti appartenenti al movimento francese. Le pennellate sono apposte sulla
tela senza fusione dei colori. La pasta colorata, come tipico nella tecnica impressionista, non viene
diluita o stesa, ma le pennellate sono materiche. I dettagli dell’immagine non vengono disegnati per
essere identificati in modo distinto. Infatti, è la lettura del contesto che permette all’osservatore del
dipinto di decifrare i vari oggetti e le diverse forme. Le forme sono suggerite da pennellate che
abbozzano le parti in ombra e quelle in luce.

La luce: Gli impressionisti rappresentarono la luce e il suo variare di intensità e colore durante le
ore della giornata. Claude Monet fu ispirato, in molti suoi dipinti, dall’interazione tra la luce
ambientale e specchi d’acqua. Da ricordare, infatti, la ricerca che condusse, fino agli ultimi anni della
sua vita, sulla rappresentazione di acque ferme e vegetazione acquatica. I dipinti dedicati alle ninfee
sono i più noti della vicenda impressionista. La Grenouillère diede a Claude Monet la possibilità di
indagare gli effetti dei raggi di sole che filtrano attraverso le foglie e si riflettono sull’acqua della
Senna. La tonalità generale de La Grenouillère è fredda, prevale, infatti il colore dell’acqua e del
verde. La fila di alberi sulla sponda lontana è tendente al giallo perché maggiormente illuminata.
Sull’acqua, in primo piano, la superficie è leggermente increspata e forti i contrasti di chiarezza
rivelano i riflessi della luce che filtra tra i rami. In lontananza i contrasti si attenuano e non vi sono
scuri profondi.
Lo spazio: Lo spazio tridimensionale viene suggerito da Monet attraverso la disposizione obliqua
delle barche che si allungano verso il centro del dipinto. L’isola centrale, con i bagnanti, funziona da
indicatore di profondità intorno al quale si organizza lo spazio virtuale. La profondità è suggerita
dalle prospettive di grandezza, di sovrapposizione delle figure e dalla prospettiva aerea. I colori,
infatti, si schiariscono, perdono i forti contrasti di chiaroscuro del primo piano e viene attenuata la
saturazione delle tinte.

La composizione: Claude Monet fu un grande sperimentatore. Il suo linguaggio visivo mutò nel
corso della vita riguardo la tecnica e anche nel taglio compositivo dell’inquadratura. Gli
impressionisti furono condizionati dall’invenzione della fotografia. Per la prima volta nella storia
dell’umanità, attraverso l’apparecchio fotografico, venivano prodotte immagini in modo diretto. Le
prime immagini fotografiche permisero a molti artisti di lavorare in studio, rielaborando le fotografie
sulla tela. Gli impressionisti, come Claude Monet furono piuttosto ispirati dalle inquadrature delle
immagini fotografiche. Nel dipinto La Grenouillère si coglie una composizione che ricorda le
inquadrature degli obiettivi fotografici. La scena prosegue oltre i bordi del dipinto. Un artista che
utilizzò abbondantemente il taglio fotografico nei suoi dipinti di Ballerine fu Edgar Degas. Si coglie
l’intenzione di Claude Monet di non risolvere la composizione entro i limiti del campo pittorico ma
suggerire lo scorrere oltre il dipinto.

L’inquadratura: La fuga prospettica del padiglione galleggiante sulla destra, delle barche, in
primo piano, e del piccolo pontile a sinistra, punta verso l’isolotto centrale. Questa piattaforma,
sulla quale si trovano alcuni bagnanti, fa da perno centrale della composizione. Intorno ad essa ruota
il resto dell’immagine. L’alberello che si erge al suo interno sembra rappresentare una sorta di punto
di convergenza delle oblique del quadro. La linea che segna la sponda del fiume, sullo sfondo, è
leggermente obliqua crea un movimento suggerendo lo scorrere dell’acqua. L’effetto di scorrimento
e il dinamismo dell’inquadratura viene supportato dalla linea obliqua che unisce, in alto, le chiome
dell’alberata sulla riva opposta della Senna. Si formano, quindi, due direttrici compositive. La
principale converge sull’isola centrale, mentre la seconda conduce lo sguardo oltre il bordo sinistra
del dipinto. In questo modo Monet nel dipinto La Grenouillère crea una àncora visiva sull’isoletta e
suggerisce la continuità dello spazio oltre la tela. Non è presente una chiara simmetria centrale, ma,
l’impianto compositivo è sicuramente centrale. L’isoletta stabilizza l’intera composizione e le masse
cromatiche e le forme ruotano intorno ad essa. Il barcone di destra, in ombra è equilibrato, a sinistra
dalla zona più luminosa del dipinto.
La Colazione dei Canottieri di Pierre-Auguste Renoir
Pierre-Auguste Renoir, Colazione dei Canottieri, tra il 1880 e il 1881, olio su tela, 130.2 x 175.6 cm.
Washington, Museo

Descrizione: Sotto ad un dehors i canottieri e i loro amici sono riuniti intorno ad un tavolo. Il
gruppo ha appena terminato di pranzare e sulla tovaglia rimangono stoviglie e avanzi di cibo. I
giovani conversano e si godono l’atmosfera calda del pomeriggio mentre la Senna, in basso a
sinistra, è percorsa da piccole imbarcazioni dalle vele bianche. In primo piano una ragazza gioca con
il suo cagnolino osservata da un canottiere. Un altro giovane si porge verso la ragazza elegante
seduta al tavolo. Un altro canottiere con la barba si riposa appoggiato alla balaustra a sinistra. Altri
due giovani sono seduti al tavolo in secondo piano mentre due gruppi di amici si intrattengono a
destra e sul fondo.

Interpretazioni: I modelli che si prestarono per la composizione del dipinto erano amici e colleghi
di Renoir. La ragazza in primo piano a destra è Angèle, una delle più note modelle del maestro. Alle
sue spalle, in piedi, si trova il signor Maggiolo, un giornalista. Il giovane vestito da canottiere seduto
sulla sedia posta al contrario è il pittore Gustave Caillebotte. Di fronte a lui, poi Aline Charigot, futura
moglie di Renoir, gioca con il suo terrier. Il canottiere robusto che si appoggia a sinistra alla ringhiera
è Alphonse Fournaise Jr, il figlio del proprietario del ristorante. L’uomo rappresentato di schiena con
cappello e abito marroni è il barone Raoul Barbier, un ex ufficiale di cavalleria. La giovane con la
quale dialoga è forse la figlia del proprietario Alphonsine Fournaise. Barbier è seduto al tavolo con
l’attrice Ellen Andrée rappresentata mentre beve. Nonostante il dipinto ritragga un gruppo di amici
e conoscenti storicamente riconoscibili è considerato un’opera dal significato universale. I
personaggi rappresentano donne e uomini riuniti in una situazione di amicizia.
Lo stile: La trama del dipinto è costruita tramite grandi pennellate materiche che confondono i
contorni delle forme. Così si forma una impressione della scena e i dettagli vengono accennati ma
non descritti. La tecnica dei pittori impressionisti spinge l’osservatore a considerare l’insieme del
dipinto. Non occorre soffermarsi su ogni particolare. Nel dipinto Impressione, Sole nascente di
Claude Monet le figure, navi e strutture del porto di Le Havre, sono solo segni veloci posti sulla tela.
Nel caso estremo del dipinto che segna la nascita della pittura impressionista ogni segno è
identificabile con un oggetto solo se si considera tutto il contesto. Colazione dei canottieri è un
dipinto nel quale si sommano diverse istanze della pittura figurativa occidentale. Nonostante la
tecnica renda inutile la descrizione minuziosa dei dettagli Renoir ha citato volutamente la tradizione.
Nel dipinto infatti vi sono brani di paesaggio, di natura morta e di ritratto.

Il colore: La luce del pomeriggio filtra tra le fronde degli alberi e illumina a tratti la scena in primo
piano. I colori sono freschi, saturi e luminosi. I colori primari son distribuiti uniformemente e si
richiamano all’interno del dipinto. I gialli dei cappelli. I blu delle vesti e i rossi degli accessori
femminili.

La Composizione: L’inquadratura della scena nel dipinto di Renoir La Colazione dei canottieri è di
tipo fotografico. I soggetti principali sono tutti compresi all’interno del dipinto tranne la figura
femminile a destra, parzialmente tagliata dal bordo. Il clima del dipinto e la sua concezione ricorda
inoltre una istantanea fotografica. I Canottieri, gli amici e le amiche non sono in posa ma sembrano
inconsapevoli dell’artista che li osserva. In questo l’opera ricorda una composizione su base
fotografica.
La scuola di danza di Edgar Degas.

Edgar Degas, La scuola di danza, 1873-1976, olio su tela, cm 85 x 75. Parigi, Musée d’Orsay

Stile: Diversamente dagli artisti che preferivano lavorare all’aperto come Monet e Pissarro, Edgar
Degas compose in studio il dipinto La scuola di danza. L’opera fu preceduta da molti schizzi e disegni,
annotati dal vero, che fecero da base al dipinto finale.

Colore: L’intero dipinto è dominato da un colore di fondo neutro tendente all’ocra che identifica il
palcoscenico. Le pareti, poi, sono colorate di un verde molto chiaro e poco saturo. Su questi colori
spiccano, nella fascia centrale, i tutù chiari delle ballerine. I colori più saturi sono riservati ai nastri
che stringono la vita ed i capelli delle ragazze.

Composizione: L’inquadratura del dipinto è ispirata a quelle fotografiche. La fotografia era, infatti,
in ascesa a Parigi come in tutto il mondo e Degas si ispirò ai tagli fotografici. Le figure vengono,
quindi, dipinte tagliando alcune loro parti con i bordi del piano pittorico. In questo modo
l’osservatore, già abituato ad osservare le immagini fotografiche, ottiene un’impressione di maggior
immediatezza. Il dipinto, infatti, acquista una componente di istantaneità quasi casuale da
reportage fotografico.
L’assenzio di Edgar Degas

Edgar Degas, L’assenzio, 1876, olio su tela, Parigi, Museo d’Orsay

Il locale è la Nouvelle Athènes in Place Pigalle,


nuovo ritrovo degli impressionisti dopo il caffè
Guerbois. Il personaggio maschile è
interpretato dal pittore e incisore Marcellin
Desboutin: davanti a sé ha un bicchiere di
mazagran, un rimedio contro i postumi
dell’ubriachezza. La modella per la fanciulla è
la nota attrice Ellen Andrée, con il tipico
bicchiere d’assenzio davanti a sé. Il liquore di
assenzio è una bevanda popolare tra la classe
operaia parigina di fine secolo, una mistura di
anice e menta, con l’aggiunta di estratto della
pianta dalle note proprietà tossiche,
evidenziate dallo sguardo vuoto e attonito
della donna. L’atmosfera richiama i temi
sociali dei romanzi di Emile Zola, in particolare
L’ammazzatoio. In primo piano una scatola di
fiammiferi e un giornale, sempre a
disposizione dei clienti.
Edgar Degas era anche un fotografo: la
fotografia gli consentiva di cogliere i dettagli
della realtà e di studiare composizioni
originali. L’artista teneva nel suo studio foto di
modiste, lavandaie, stiratrici, che impiegava poi per dipingere i suoi quadri. Per Degas l’arte doveva
mostrare la realtà e la verità, ma senza partecipazione emotiva.
I tre tavoli compongono una sequenza di due diagonali perpendicolari. Tutti definiscono una
direzione prospettica esterna al quadro; quello in primo piano è appena accennato, eppure sembra
che la sua superficie sia dominante, in quanto invade virtualmente lo spazio che noi, da osservatori,
occupiamo.
Una domenica pomeriggio all’isola della Grande-Jatte di Georges Seurat

George Seurat, Una domenica


pomeriggio all’isola della Grande-Jatte,
1884 – 1886, olio su tela, cm 207 x 308.
Chicago, Art Institute

Descrizione: In un parco, sulle rive della


Senna, Seurat dipinge la folla domenicale
dei parigini. Donne con abiti tipici
dell’epoca e di gran moda che
passeggiano riparandosi con graziosi
ombrellini. Poi, canottieri che riposano
dopo la competizione e, quindi, bambini
che giocano composti. Alcuni animali da compagnia seguono poi i loro padroni. Una coppia di signori
borghesi porta una scimmietta al guinzaglio. La Senna infine scorre a sinistra e sull’acqua scivolano
alcune piccole imbarcazioni.

Analisi: Il Puntinismo fu ideato da Georges Seurat per proporre un’alternativa formale


all’impressione visiva. Una domenica pomeriggio all’isola della Grande-Jatte inoltre è un dipinto che
si basa sulle teorie cromatiche elaborate in ambito scientifico. L’interesse principale di George
Seurat era di approfondire la sua conoscenza sul comportamento della luce. Seurat inoltre è definito
un artista Postimpressionista, quindi, interessato anche al recupero delle forme nei dipinti. Come
gli impressionisti fu interessato ad applicare la ricerca scientifica condotta sul comportamento della
luce. Diversamente da loro, invece, attuò il recupero di un preciso contorno per creare forme più
definite. Il puntinismo che caratterizza la sua tecnica si basa sull’accostamento di punti di colore
puro sulla tela. Le figure quindi sono ben circoscritte dalla vicinanza dei puntini.

I colori: I colori delle campiture che contengono le forme sono, poi, la risultante dei diversi puntini
colorati secondo le mescolanze indicate dalla teoria cromatica dei primari e dei complementari.
Infatti, sulla totalità dei colori emerge il verde chiaro e brillante del prato illuminato dal sole e il
verde scuro delle zone d’ombra. In alto il cielo è coperto dalla chioma verde scura dei numerosi
alberi che ricoprono il parco. La Senna è di un bel blu pieno di riflessi, mentre gli abiti dei parigini
creano macchie di colore sparse tra gli alberi. Le forme vengono messe in evidenza da contrasti di
chiarezza e di complementari. Lo spazio e la profondità sono costruiti mediante la sovrapposizione
delle forme e la progressiva diminuzione delle dimensioni degli oggetti. Il corso della Senna crea un
taglio compositivo sulla sinistra mentre i tronchi degli alberi scandiscono lo spazio come le colonne
di un edificio.
Le due madri di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, cm 157 x 280. Milano, Galleria d’Arte Moderna

Descrizione: Una giovane madre si trova all’interno di una stalla con in braccio il suo bambino. La
donna è seduta su di uno sgabello da mungitura a tre gambe. È vestita con un semplice abito lungo
che arriva fino ai piedi coperti da poveri zoccoli. Il capo è avvolto da un fazzoletto chiaro annodato.
Il suo viso è chinato in basso, gli occhi chiusi e sembra dormire serenamente. Tra le sue braccia
riposa, poi, il neonato. Il piccolo dorme sulle ginocchia materne. È avvolto da un panno che ricopre
interamente il suo corpo. Il piccolo braccio sinistro scivola in basso lungo la gamba della madre. A
sinistra, invece, una vacca si ciba da una mangiatoia. A terra, il suo vitello riposa tranquillamente
mimetizzato tra la paglia. Al centro dell’immagine, una lampada schermata da un foglio, illumina
debolmente la scena. La luce mette in evidenza il piccolo che dorme tra le braccia della madre. I
muri della stanza sono scuri e il pavimento nella stalla è ricoperto di paglia.

Interpretazioni: La maternità fu un tema fondamentale del simbolismo di Segantini. Lo stesso


tema si trova, inoltre, in molte produzioni dell’epoca in letteratura. La figura della madre, animale
e umana, è interpretata dall’artista in chiave naturale. La madre bovina sembra non curarsi del
vitello. Allo stesso modo la giovane donna è abbandonata al sonno come il figlio. Le figure degli
animali e del gruppo della maternità acquistano un aspetto monumentale. Anche con questa scelta
stilistica viene sottolineato l’aspetto simbolista dell’immagine.

La maternità: Non si tratta, comunque, di una maternità vista in chiave religiosa. Nel dipinto le
due madri di Giovanni Segantini la maternità della donna e quella dell’animale vengono interpretate
sullo stesso piano. L’artista in questo dipinto compie una riflessione profondamente spirituale.
Segantini fu un anticlericale convinto. Nonostante questo, pare che l’immagine della contadina si
confronti direttamente con quella della Maternità cristiana. Secondo alcune osservazioni critiche,
però, il maestro concepì tale condizione come un evento subordinato alle leggi naturali. La bovina
mangia tranquilla mentre a terra il vitello riposa. Anche la contadina dorme con il figlio abbandonato
sulle sue ginocchia. Le due madri è, quindi, un esempio di opera simbolista il cui significato nasce
dall’atmosfera sospesa e spirituale del dipinto.

Lo stile: Giovanni Segantini fu un importante esponente del divisionismo in Italia insieme ad


Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo. A differenza del puntinismo francese, però, il
divisionismo dell’artista è realizzato mediante pennellate brevi di colore. Nel dipinto le due madri,
infatti, i tratti del pennello di Segantini creano dei filamenti di tinte che modellano le superfici. A
terra, i tratti imitano i fili di paglia sparsi. Invece, sul corpo dei bovini sembrano riprodurre la trama
del loro vello. Cambiano andamento, poi, sulla parete di fondo, nella mangiatoia e nelle assi in primo
piano a destra. Segantini utilizzò, così, una pittura calligrafica che ricopre l’intera superficie del
dipinto. Il chiaroscuro prodotto attraverso dall’accostamento di toni chiari e più scuri crea volumi
che si integrano con l’ambiente circostante.

Il colore: Le due madri di Giovanni Segantini presenta un’atmosfera cromatica calda. Prevalgono,
infatti, i toni bruni. I due bovini si mimetizzano, così, con le pareti della stalla, con la mangiatoia e
con la paglia del terreno. Segantini utilizzò gli stessi colori, ocra, chiaro e più scuro, più una vasta
gamma di marroni ma non usò il nero. Il colore è leggermente più saturo nell’incarnato della madre,
del figlio e sulle mammelle della vacca. L’illuminazione, inoltre, è artificiale e proviene dalla luce
della lanterna. La donna e il bambino sono illuminati direttamente e spiccano anche per un maggiore
chiaroscuro all’interno della penombra della stalla. Grazie a questa illuminazione centrale e debole
si crea, così, un suggestivo e intimo gioco di ombre riflesse sulla parete e sul pavimento. In questo
dipinto Segantini affrontò la questione dell’illuminazione artificiale all’interno di uno spazio chiuso.
Questa situazione gli permise di sperimentare maggiori possibilità espressive grazie ai forti contrasti
tra luce ed ombra.

Lo spazio: La stanza è rappresentata dalla parete di fondo, dal pavimento e da una zona a destra
ingombra di tramezzi di legno. Non vi è prospettiva lineare, solo un suo accenno nella mangiatoia.
Sono i giochi di luce e d’ombra creati dalla debole luce della lanterna a creare le relazioni tra le figure
dei bovini, a sinistra, e del gruppo con la madre e il bambino a destra. Si intuisce la posizione della
vacca leggermente in profondità dalla posizione delle zampe leggermente superiore, rispetto al
bordo inferiore del dipinto.

La composizione: Le due madri ha un formato rettangolare molto sviluppato in orizzontale. Tale


inquadratura permette di rappresentare nella sua interezza il corpo della vacca a sinistra con ai piedi
il vitello. A destra, un terzo dello spazio orizzontale è occupato dalla figura della madre con in braccio
il bambino. Al centro, è posta la lanterna appesa al soffitto che illumina l’intera stalla. La figura del
bovino crea una importante massa orizzontale. A destra, prevalgono le linee verticali dei tramezzi
di legno. Infine, la figura della giovane madre è raccolta su se stessa e il suo abito scuro forma quasi
una nicchia protettiva nella quale è contenuta la figura illuminata del piccolo.
Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901, olio su tela, 293 X 545 cm. Milano, Museo del
Novecento

Descrizione: Nel dipinto Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo un corteo di lavoratori è
in cammino. La folla, compatta, avanza verso il fronte del quadro con grande determinazione. Sui
volti, infatti, si leggono fierezza e la volontà di rivendicare i propri diritti. In primo piano, guidano il
corteo a sinistra un uomo anziano, al centro un giovane mentre a destra una donna con in braccio il
suo bambino. Questi tre personaggi rappresentano le componenti della classe sociale più umile
dell’epoca. Gli uomini e la donna in primo sono vestiti con abiti poveri ma dignitosi. Il giovane uomo
indossa una camicia con al di sopra un gilet. Sul capo porta un cappello e la giacca è tenuta
elegantemente da una mano e pende dietro la schiena. La sua postura è calma è sicura. Infatti, la
sua mano destra sorregge la giacca senza affanno mentre la sinistra è fermamente poggiata sulla
tasca. La donna, invece, sembra rivolgersi all’uomo per farlo desistere dal condurre la
manifestazione. I suoi piedi sono nudi. Anche il bambino che porta in braccio è nudo e abbandonato
nella stretta della madre. Gli uomini che seguono i tre personaggi gesticolano visivamente come per
rivendicare le proprie istanze. A sinistra una donna segue il corteo, come altre donne sulla destra.
Un uomo con una giacca sulle spalle tiene per mano un bambino. Giovani, maturi e anziani
procedono compatti verso il fronte del dipinto.

Interpretazioni: Giuseppe Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato con l’intenzione di


documentare le rivendicazioni sociali della sua epoca. L’artista fu amico di Angelo Morbelli con il
quale si confrontò sulla teoria divisionista e sulle tematiche politiche socialiste. Il titolo dell’opera,
Quarto Stato, si riferisce ad un termine utilizzato durante la rivoluzione industriale ottocentesca. Si
indicava, così, la classe lavoratrice formata da operai contadini e artigiani. Il termine nacque durante
la rivoluzione francese per indicare lo strato più basso della società’, quello dei subalterni al terzo
stato cioè la borghesia. I lavoratori rappresentati nel dipinto manifestano per i propri diritti e sono
quindi in sciopero. La massa dei lavoratori avanza compatta e quindi assume forza e potere per
contrattare il proprio giusto salario. Le figure in primo piano, due uomini e una donna con il bambino
hanno un gran significato simbolico. La luce che colpisce radente gli uomini e illumina in pieno la
donna, dà significato alla loro figura. La sua immagine ricorda quella di una maternità cristiana. Le
figure sono più sfocate e oscurate verso il fondo. La luce è più intensa in testa al corteo, e gli uomini
procedono verso la fonte luminosa. I lavoratori escono dall’oscurità dell’ignoranza per conquistare
un proprio posto al sole. Il dipinto fu ambientato a Volpedo, un luogo di campagna e i personaggi
erano abitanti del luogo. L’artista volle, così, raffigurare un gruppo indefinito di lavoratori. Giuseppe
Pellizza da Volpedo fu a fianco di questi manifestanti e con la loro rappresentazione compì un gesto
simbolico di speranza rivoluzionaria.

La storia dell’opera: Giuseppe Pellizza da Volpedo, intorno al 1880, durante una manifestazione
di protesta per il caro pane realizzò alcuni schizzi. Da questi primi studi dipinse poi l’opera Fiumana
conservata presso la pinacoteca di Brera di Milano. L’artista impiegò dieci anni per elaborare la tela
definitiva. Pellizza da Volpedo fu ossessionato dall’idea di realizzare quest’opera. Per questo motivo
si ridusse quasi in miseria e per sostentarsi faceva ricorso al cibo che gli mandava la famiglia da
Volpedo. Solidale con il popolo milanese decise, probabilmente, di realizzare la grande opera di
denuncia in seguito alla strage ordinata da Bava-Beccaris del 6-9 maggio 1898. Il generale milanese,
per ingraziarsi il governo, aprì il fuoco contro un corteo di operai che si recava presso la Pirelli. I
cannoni uccisero 81 cittadini e causarono centinaia di feriti. In seguito alla strage di stato, peraltro
non autorizzata, lo stesso Gabriele D’Annunzio, appena saputa la notizia, si spostò dai banchi della
destra verso quelli della sinistra facendo cadere il governo. In origine il dipinto doveva essere
intitolato Ambasciatori della pace e poi Il cammino dei lavoratori. Pellizza da Volpedo scelse invece,
successivamente il titolo di Quarto Stato per fare riferimento alla classe lavoratrice come identificata
durante la Rivoluzione francese. Presso la pinacoteca civica di Alessandria è custodito un carboncino
su carta che raffigura uno studio del personaggio centrale del dipinto. Il volto della giovane donna
in primo piano è quello della moglie di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Teresa Bidone.

Lo stile: Giuseppe Pellizza da Volpedo è considerato un pittore divisionista insieme a Giovanni


Segantini, Angelo Morbelli e Gaetano Previati. La tecnica utilizzata consiste nel porre sulla tela
piccole linee di colore puro che accostate aumentano luminosità delle superfici dipinte. Pellizza da
Volpedo studiò attentamente le opere divisioniste di Giovanni Segantini. A differenza del grande
maestro, però, Pellizza da Volpedo utilizzò in questo dipinto soprattutto ocra e bruni ottenendo,
comunque, un grande effetto di luminosità. Da lontano i colori risultano come compatti e derivano
dalla fusione dei diversi toni di colore sulla retina dell’occhio umano. Inoltre, le pennellate sono
direzionate diversamente sulle superfici. In questo modo Pellizza da Volpedo modellò
morbidamente i volumi dei corpi dei braccianti che avanzano. Il Quarto Stato rappresenta un
esempio del passaggio, avvenuto in quegli anni, dalla scapigliatura milanese alla rivoluzione
divisionista portata avanti da un gruppo di giovani alternativi ed eccentrici.

Il colore e l’illuminazione: Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato con colori caldi. Gli abiti
dei lavoratori, riuniti in corteo, sono risolti con vari toni di marrone, ocra e grigio caldo. Il suolo,
invece, è grigio chiaro mentre lo sfondo molto scuro. Infatti, il paesaggio che si intravede emerge
appena dal grigio scuro molto offuscato. I toni dei colori perdono saturazione in prossimità dei lati
del dipinto. Nella parte centrale, invece, e in primo piano, prevalgono colori saturi e brillanti. La
scena è illuminata frontalmente ed è proprio verso questo punto luminoso che si muove la massa
di manifestanti. La fonte di luce rappresenta, quindi, un momento di riscatto e di speranza degli
operai.

Lo spazio: La profondità della scena rappresentata nel Quarto Stato è percepibile grazie alla luce
che aumenta in primo piano e lascia lo sfondo in ombra. Inoltre, la grandezza dei corpi dei
manifestanti rende la distanza che separa il primo piano dalle ultime file dei lavoratori.

La composizione: Il dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo ha un formato panoramico. In tal


modo viene sottolineata la grande partecipazione dei manifestanti al corteo che occupa
interamente la larghezza del dipinto. Il primo piano è occupato dai tre personaggi che guidano la
marcia. In secondo piano si trova il fronte della manifestazione. Infine, sullo sfondo si intravede un
paesaggio di campagna. Il punto di vista dell’opera è leggermente rialzato. In questo modo l’occhio
dell’osservatore può agevolmente vedere anche le ultime file dei lavoratori. I lavoratori che si
spostano in avanti creano un movimento apparente verso l’osservatore.
Per ottanta centesimi! di Angelo Morbelli

Angelo Morbelli, Per ottanta centesimi!, 1895-1897, olio su tela, 67,5 x 121,5 cm. Vercelli,
Fondazione Museo Francesco Borgogna

Descrizione: Le donne ritratte di spalle nel dipinto intitolato Per 80 centesimi! sono mondine. Le
lavoratrici sono impegnate del duro lavoro nelle risaie. Il paesaggio è solcato da numerosi canali,
necessari per inondare le coltivazioni di riso. Le mondine sono in fila e affondano i loro piedi dentro
l’acqua. Stanno, infatti, trapiantando il riso e procedono arretrando. Sono chinate in avanti e
affondano le loro mani dentro la terra fangosa. La loro immagine si riflette nello specchio d’acqua
in primo piano. I canali che separano le coltivazioni si allontanano verso l’orizzonte. In lontananza,
verso sinistra un altro gruppo di donne arretrano dalla direzione opposta. Infine, una sottile linea di
bosco delimita i campi verso il bordo superiore del dipinto.

Interpretazioni: Il titolo del dipinto di Angelo Morbelli si riferisce alla paga destinata alle mondine.
Il loro durissimo lavoro era, infatti, sottopagato. Inoltre, si limitava ad un periodo breve durante
l’anno. L’artista, così, fu colpito dalla forza di carattere che mostrarono le mondine nell’organizzare
gli scioperi che portarono ad un salario migliore e alla riduzione delle ore di lavoro. Le mondine di
Vercelli ottennero i primi risultati nel 1906. La scelta compositiva del dipinto Per ottanta centesimi!
permette di mettere in risalto l’intervento dell’uomo sulla natura attraverso le coltivazioni di riso.
Inoltre, il confronto fra la grande estensione dei campi e le mondine chine sottolinea il duro lavoro
da loro compiuto.

La storia dell’opera: Per ottanta centesimi! fu realizzato in un periodo di circa due anni, dal 1894
al 1896. Angelo Morbelli fece uso di fotografie che scattò personalmente sui luoghi delle risaie.
L’opera è firmata e datata 1895. Il maestro iniziò, probabilmente, a lavorare al dipinto nel 1893.
Intervenne sulla tela, nuovamente, nel 1895 in vista della sua partecipazione alla prima Biennale di
Venezia. Inoltre, sembra che ritoccò il dipinto in momenti successivi, non convinto dei riflessi
sull’acqua, in primo piano. In questi anni Angelo Morbelli mantenne una continua corrispondenza
con il suo gallerista Vittore Grubicy de Dragon. Nelle lettere, l’artista chiedeva consigli e teneva al
corrente il mercante sul progredire delle sue opere.

Lo stile: Il dipinto Per ottanta centesimi! di Angelo Morbelli è un’opera divisionista. Il Divisionismo
italiano nacque ufficialmente in occasione della I Triennale di Milano del 1891. In questa mostra
vennero esposte, Le due madri di Giovanni Segantini, il Parlatorio del Luogo Pio Trivulzio, Alba di
Morbelli e Maternità di Gaetano Previati. Il Divisionismo presenta alcune affinità con il Puntinismo
francese. Il colore è posto sulla tela attraverso punti o filamenti di colore puro. La loro fusione
avviene nell’occhio dell’osservatore e restituisce la tinta locale della figura. I soggetti, però, sono
diversi. Nel caso del Puntinismo francese, Seurat dipinse scene di vita dei parigini. Nel caso del
Divisionismo italiano, invece, gli artisti si concentrarono spesso su tematiche sociali.

Lo spazio:

Le linee di fuga tra le piantagioni di riso puntano verso l’orizzonte. Le dimensioni delle figure
femminili, in primo piano, confrontare con quelle a sinistra permettono di stabilire la distanza tra i
due gruppi di mondine. Anche la definizione delle superfici contribuisce a misurare le distanze. In
primo piano si notano, infatti, le piantine di riso ed ogni loro foglia. Verso l’orizzonte, la superficie si
compatta e non si distinguono più i particolari.

Confronti di Morbelli e Millet: Il dipinto di Angelo Morbelli intitolato Per ottanta centesimi! può
essere confrontato con il dipinto Le spigolatrici di Millet. Le due opere rivelano una concezione
diversa delle lavoratrici della terra. Nel dipinto di Millet le figure femminili diventano monumentali.
Le protagoniste assumono un valore epico e drammatico. Le tre giovani sembrano eroine impegnate
nella dura lotta quotidiana per la sopravvivenza. Le mondine di Angelo Morbelli, invece, sono
raffigurate di spalle. Il punto di vista è più alto e mette, così, in risalto l’estensione delle risaie.

Approfondimenti: Il termine mondina deriva dal verbo “mondare”. Le mondine erano lavoratrici
stagionali delle risaie. Il loro lavoro si svolgeva tra la fine di aprile e gli inizi di giugno. I campi
venivano allagati per proteggere le piccole piante di riso dalla differenza di temperatura tra giorno
e notte. Durante questo periodo le piantine di riso venivano mondate e trapiantate. La monda
consisteva nella pulitura della coltivazione dalle piante infestanti. Il trapianto, invece, permetteva di
disporre le piantine in modo da consentire una migliore crescita futura. Le mondine furono
impiegate nelle risaie a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Donna con la caffettiera di Paul Cézanne
Paul Cézanne, Donna con la caffettiera (La femme à la cafetière), 1890-1895, olio su tela, 130 X 97
cm. Parigi, musée d’Orsay

Descrizione: Una donna vestita con un abito modesto e sobrio è seduta al centro del dipinto. Il
suo corpo è frontale e le sue braccia sono abbandonate sulle gambe. Dalle maniche corte spuntano
le due mani tozze e inermi. Il volto rivela l’età matura della protagonista. È rivolto leggermente a
destra e il suo sguardo sembra pensoso. A destra del dipinto, è raffigurato un tavolino coperto da
un panno sul quale vi sono una caffettiera e un bicchiere sorretto da un piattino con all’interno un
cucchiaio di metallo. Dietro alla protagonista è visibile una parete sulla quale vi sono diversi dipinti.
A sinistra, invece, si nota un piccolo brano del muro ricoperto da una carta fiorata.

Interpretazioni e simbologia: Il titolo originale dell’opera è


La femme à la cafetière. Un soggetto quotidiano molto semplice
che diventa il pretesto per creare un esperimento formale. Pare
che la donna ritratta sia stata una domestica della residenza di
famiglia al Jas de Bouffan, la tenuta nei pressi di Aix-en-
Provence. Infatti, Cézanne non amava ritrarre modelle
professioniste. Il maestro ricorreva, quindi, a persone di
famiglia. Questa scelta derivò, forse, dal suo carattere schivo e
riservato. Inoltre, Cézanne era solito dipingere molto
lentamente. Molte delle sue opere furono realizzate nella
tenuta di famiglia come il Ritratto della signora Cézanne nella
serra.

I committenti: Il noto mercante d’arte e collezionista


Ambroise Vollard acquistò Donna con la caffettiera (La femme à la cafetière) insieme a Bernheim-
Jeune nel 1904. Il dipinto entrò, poi, a far parte della collezione Jos Hessel di Parigi, quindi della
collezione M. et Mme Jean-Victor Pellerin dove rimase fino al 1956. Fu, quindi, donato ai musei di
Stato e sistemato al Louvre presso la Galleria du Jeu de Paume di Parigi. Infine, nel 1986 fu acquisito
dal musée d’Orsay.

Lo stile: Paul Cézanne creò il suo linguaggio figurativo rinunciando al realismo. Tutte le figure sono
semplificate con forme geometriche che dialogano spazialmente tra loro per creare l’ambiente
rappresentato. Al posto della copia realistica del reale, di tipo impressionista, infatti, Cézanne
propose la ricostruzione mentale della realtà. Nonostante la donna ritratta fosse vicina all’artista, la
sua immagine non esprime un coinvolgimento psicologico. La figura della protagonista è, così,
indagata dal punto di vista formale e diventa una occasione per sperimentare la semplificazione
delle forme.
La tecnica: La stilizzazione in chiave geometrica delle forme si nota in modo chiaro nel volume
della caffettiera diventato un cilindro. Anche il bicchiere è stato semplificato. Il corpo della donna
ha subito, poi, una trasformazione più drastica. Infatti, il suo volto è riportato ad un ovale. Il suo
busto è semplicemente descritto con linee rette che si incontrano ad angolo per creare le cuciture
anteriori dell’abito. Le maniche sono cilindri che paiono aggiunti al torace. Terminano in basso con
mani dalle dita semplificate e tozze. Al di sotto della cintura l’abito si allarga a formare, quasi, un
cono oltre il bordo inferiore del dipinto. Le pennellate sono molto evidenti e creano delle campiture
prive di chiaroscuro sul tavolino, sulla parete e sugli oggetti appoggiati. Sul piano del tavolino è steso
un panno marrone che nella parte in ombra è, semplicemente, dipinto con un tono più scuro.
Superiormente, invece le pennellate creano zone indefinite di marrone alternato ad ocra e grigio.
Le forme sono contornate da una linea scura che rafforza la loro concretezza e solidità. L’abito della
donna rappresentata nel dipinto è di tonalità fredda, blu e grigio. Alcune zone, in ombra sono dipinte
con nero. Il tavolino, invece, crea un contrasto di temperatura. Infatti, il panno che lo ricopre è
marrone rossiccio molto saturo. Sopra di esso vi sono altri due oggetti, freddi, che riprendono l’abito
della donna.

La composizione: A sinistra, si trova un bicchiere molto chiaro, che poggia su un piattino bianco,
con al suo interno un cucchiaio di metallo. A destra, invece, una caffettiera cilindrica color argento.
Lo sfondo è rappresentato da una parete fiorata e alcuni dipinti. Il dipinto è organizzato su contrasti
di temperatura creati dall’abito e dagli oggetti della piccola natura morta contro lo sfondo e il
tavolino di tonalità calda. Anche il volto e le mani sono colorati con ocra e rosa e risultano più chiari
e saturi del fondo. I contrasti di luminosità sono riservati alla parte bassa, creano le ombre ai lati
dell’abito della donna, sotto il tavolino, in prossimità dell’angolo a destra, e a sinistra sul pavimento.

Lo spazio: Lo spazio del dipinto intitolato Donna con la caffettiera non è descritto con le regole
della prospettiva geometrica. Sono invece le forme solide e geometriche, nella loro sovrapposizione
e disposizione, a dare il senso dello spazio. A partire dalla figura della domesica sono i colori e i loro
contrasti che suggeriscono la profondità della stanza nella quale è ritratta la protagonista. Il tavolino
sulla destra è, poi, disegnato in obliquo e il suo lato sinistro permette di misurare lo spazio compreso
tra il primo piano e la donna. Dietro di lei si trova una porta decorata ma non è chiara la distanza
che le separa. Infine, la caffettiera e il bicchiere con il cucchiaio sembrano sospesi al di sopra del
tavolino. Infatti, non sono presenti ombre che li collochino in una precisa posizione sopra di esso. Il
punto di vista dall’alto, con il quale sono dipinti gli oggetti, preannuncia le sperimentazioni cubiste.

L’inquadratura: Il dipinto intitolato Donna con la caffettiera è realizzato in un formato verticale


e l’inquadratura pone quasi al centro il soggetto del ritratto. A destra, interrompe la simmetria il
tavolino con la piccola natura morta. Sullo sfondo, la parete con i dipinti crea una struttura ritmica
che scandisce la superficie piana fin quasi al fondo del dipinto. La figura della protagonista è
compresa all’interno di una forma triangolare che sale verso l’alto. Nella composizione del dipinto
prevalgono le linee verticali. Le contrastano solo alcune linee oblique come quella del bordo del
tavolino e delle pieghe sul busto della donna.
Notte stellata di Vincent Van Gogh

Vincent van Gogh, Notte stellata, 1889, olio su tela, cm


73,7 x 92. New York, Museum of Modern Art (MoMa)

Descrizione: Un paesaggio di campagna nella notte. Le


finestre sono illuminate dalle luci domestiche mentre la
falce di luna illumina un cielo nel quale si agitano turbini
inquietanti. Sotto ad un cielo costellato di stelle, con una
falce di luna in alto a destra, Vincent van Gogh dipinge un
paesaggio di campagna. Al centro, in basso, si trova una
chiesetta con un alto campanile. Intorno ad essa vi sono
delle semplici case di campagna con le finestre illuminate. Un grande cipresso interrompe il
paesaggio a sinistra sotto la Notte stellata. Oltre il villaggio, a destra, si nota, invece, un fitto bosco
che sembra abbattersi sul villaggio come un maremoto. Infine, all’orizzonte colline e montagne
lontane, sembrano onde gigantesche in corsa verso le case. Notte stellata di Vincent van Gogh è uno
degli ultimi inquietanti dipinti che realizzò l’artista prima di terminare tragicamente la sua vita.

Lo Stile: Van Gogh ha utilizzato brevi pennellate modellanti di colore materico. La direzione dei
segni colorati segue, infatti, la forma delle figure. Nei tetti le linee sono oblique, i cespugli e gli alberi
lontani sono rappresentati con pennellate curve. Le montagne, invece, sono modellate con linee
ondulate. Il grande cipresso, invece, sembra una grande fiammata scura. Il cielo, infine, è animato
da vortici di nubi e vento che creano aloni luminosi intorno alle luci delle stelle e della luna. La
matrice pittorica, con l’approssimarsi della crisi finale, diventa progressivamente più tormentata. Le
opere dipinte in periodi meno sofferenti sono notevolmente più solari e descrittive come ad
esempio la Camera di Van Gogh ad Arles.

La composizione: Una vasta gamma di blu e azzurri riempie tutta la superficie dipinta. La luce
notturna è rappresentata dal blu oltremare, mentre la vegetazione diventa quasi nera. Le luci
artificiali brillano gialle dalle finestre delle case. Nel cielo la luna e le stelle spiccano grazie al
contrasto di complementari, infatti, il giallo-arancio è complementare al blu. Tutta la superficie del
dipinto è invasa dalla materia pittorica blu che crea un’atmosfera in bilico tra sogno e solitaria
freddezza. Dalle finestre filtrano deboli luci gialle mentre la luna trasmette la sua luce alle pennellate
azzurre che la circondano. La luce atmosferica non è coerentemente prodotta da quella della luna.
L’illuminazione del dipinto è prodotta dalle gradazioni di blu, amalgamato col bianco-giallo che
creano luminescenze fosforescenze e catodiche.

Lo spazio: Le case del villaggio, dipinte in modo sommario e non creano uno spazio geometrico
lineare. La profondità è, quindi, descritta dal contrasto tra il grande cipresso in primo piano e il
paesaggio con le case e gli alberi che si sovrappongono e diventano più piccoli in lontananza.
L’orizzonte è molto basso e la maggior parte della composizione è occupata dal cielo che
rappresenta lo schermo emotivo e drammatico degli ultimi giorni di vita di van Gogh.
Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso
Pablo Picasso, Les Damoiseles
d’Avignon, 1907, olio su tela, cm
243,9 x 233,7. New york, Museum of
Modern Art (MoMa)

Descrizione: Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso sono cinque ragazze che si espongono
alla vista dell’osservatore. Sono disposte frontalmente e mostrano in modo sfacciato la loro nudità.
Si pongono come modelle e la loro posizione prende direttamente in considerazione l’esistenza di
qualcuno che le sta osservando. In realtà potrebbero essere ragazze di una casa di tolleranza
frequentata dal giovane Picasso. Lo sfondo è rappresentato da zone frammentate di diversi colori
che si integrano con quelle dei corpi delle ragazze.

Approfondimento: Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso è considerato universalmente il


manifesto del Cubismo. Con questo dipinto l’artista dà il via infatti ad uno dei movimenti artistici più
innovativi del ‘900. L’immagine è sconcertante per coloro che sono abituati ad una rappresentazione
tradizionale. Agli inizi del 1900 gli artisti dipingevano ancora con uno stile impressionista.
Coesistevano inoltre altre rappresentazioni di tipo realista. Nel panorama dell’arte mitteleuropea
Klimt e altri artisti dipingevano figure in stile liberty e secessionista. Erano ancora ben presenti le
sperimentazioni e gli artisti post-impressionisti quali Vincent van Gogh, Seurat, Cézanne e Paul
Gauguin. Munch poi deformava le immagini per suscitare una maggiore risposta emotiva
dell’osservatore. Le figure frantumate e distorte inserite in uno spazio multidimensionale create da
Pablo Picasso erano altra cosa. Fino ad allora i vari stili avevano creato figure umane riconoscibili.
Se pure rappresentante con canoni e modalità diverse, le figure umane erano verosimili.

Interpretazione: Le figure femminili citano forse Le Veneri della tradizione classica. Infatti, i corpi
non possiedono una valenza erotica. In ogni caso, l’intento di Pablo Picasso nel dipingere Les
Demoiselles d’Avignon fu forse quello di creare una cesura con la tradizione artistica. Le due ragazze
centrali hanno uno sguardo più riconoscibile e diretto. Le due donne laterali a destra invece
richiamano, con la deformità del loro volto, le maschere di tradizione africana amate da Pablo
Picasso. L’immagine della ragazza di sinistra poi ricorda lo stile egizio con l’occhio frontale e con il
volto disegnato di profilo.

Lo spazio: Il colore è forte, non modulato dal chiaroscuro e steso in campiture piatte. Il rosa carne
delle ragazze entra in competizione complementare con quello azzurro del fondo dipinto con
frammenti e campiture di colore. La scena nell’insieme sembra quella di un palcoscenico teatrale o
comunque di un teatro di posa. L’unico arredo è una composizione di frutti in basso al centro del
dipinto. Lo spazio è fortemente contratto sulla superficie del dipinto. Lo sfondo e le figure si
integrano attraverso le campiture disegnate in modo geometrico, ma, irregolare. Non vi è
profondità nello spazio rappresentato ma una integrazione bidimensionale tra le forme e lo sfondo.
Pablo Picasso ne Les Demoiselles d’Avignon ha previsto molteplici punti di vista. Sicuramente sui
volti delle fanciulle e sulla composizione di frutta in basso. I punti di vista sono determinati piuttosto
dai contrasti di toni e colori. Contribuiscono a rafforzare la composizione anche le linee di forza che
si creano all’incontro delle figure e delle forme dello sfondo.

La composizione: Il dipinto ha una forma quadrata che impone la composizione centrale. Inoltre,
i corpi delle protagoniste riempiono totalmente la superficie del dipinto. La composizione è
condizionata dalla distribuzione uniforme e ritmica delle figure delle ragazze sulla tela. I centri
psicologici di attenzione sono ovviamente i grandi sguardi delle donne che osservano verso lo
spettatore.
Guernica di Pablo Picasso
Pablo Picasso, Guernica, maggio – giugno 1937, olio su tela, cm 351 x 782. Madrid, Museo Nacional
Centro de Arte Reina Sofía

Descrizione: Pablo Picasso realizzò il grande dipinto intitolato Guernica nel 1937, poco dopo il
bombardamento della cittadina basca ad opera di un gruppo di volontari dell’aviazione tedesca. La
lettura di Guernica procede da destra a sinistra per adeguarla alla sua collocazione all’ingresso del
padiglione spagnolo. In alto a destra una donna ferita alza le braccia al cielo, tra le case in fiamme.
Alla sua sinistra poi una figura spettrale tiene in mano una lampada ad olio. In basso avanza
trascinandosi una donna svestita. Al centro della grande tela un cavallo avanza verso destra ma volta
la testa a sinistra e nitrisce terrorizzato. Sotto gli zoccoli dell’animale il cadavere di un soldato giace
in basso con una ferita sulla mano sinistra. La mano destra impugna una spada dalla lama spezzata.
Dalla stessa mano però sorge un fiore. In alto brilla una lampadina alimentata elettricamente e
diffonde la sua luce nel buio. Nell’opera è raffigurata una madre che stringe il figlio neonato. Sopra
la donna compare infine un toro, simbolo del suo sacrificio nell’arena durante la corrida e della
Spagna. La scena ricorda una natività sconvolta dal bombardamento. Tra i due animali è dipinta una
colomba, simbolo della pace ormai ferita.

Interpretazioni e simbologia: Guernica di Pablo Picasso è considerato dagli storici un dipinto


appartenente al Cubismo sintetico. Tale momento creativo del maestro seguì il Cubismo analitico
che Picasso condivise con Georges Braque. Il soggetto del dipinto è il bombardamento della cittadina
di Guernica da parte dell’aviazione nazista nel 1937. Guernica non è un’opera dal significato solo
documentario. Oltre a ricordare il bombardamento della città basca ne rappresenta anche una
denuncia morale del fatto. Inoltre col tempo il dipinto di Picasso è diventato il simbolo della
condanna contro la distruzione della guerra che causa tanta sofferenza al popolo. Il significato di
ogni parte dell’opera, nel tempo è stato oggetto di numerose interpretazioni. Anthony Blunt,
iconologo, studiò attentamente Guernica. Blunt divise il dipinto in due gruppi di personaggi. Il primo
gruppo è formato dal toro, dal cavallo e dall’uccello disegnato sullo sfondo. Nel secondo gruppo,
invece, si trovano il cadavere del soldato e alcune donne nella parte superiore a destra. Una tiene
una lampada ed esce da una finestra, un’altra porta il figlio morto la terza entra da destra in primo
piano, la quarta giace tra le fiamme.

I committenti: Fu il Governo Repubblicano Spagnolo a commissionare un dipinto a Pablo Picasso


per l’esposizione di Parigi. Il maestro iniziò i lavori, probabilmente, nel gennaio del 1937 ma si fermò
presto. Il 19 aprile Picasso visitò il Padiglione Spagnolo e Josep Renau, il direttore delle Belle Arti
della Spagna Repubblicana, lo spinse a ricominciare. La destinazione del dipinto fu il muro
perimetrale di uno dei porticati di ingresso al padiglione. Si trattava di un ingresso di passaggio e la
grande tela era esposta a destra immediatamente dopo l’accesso. Questa collocazione permise ai
visitatori di vedere il dipinto appena giunti e di rivederlo all’uscita.

Esposizione Universale di Parigi del 1937: Nel giugno del 1937 il dipinto venne poi esposto nel
padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi. In seguito, fu trasferito in altri musei per
finire al Museum of Modern Art di New York, MoMA. Fu Picasso a decidere di lasciare Guernica a
New York in seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1958 l’artista decise di
estendere il prestito al MoMA per un periodo non definito al fine di preservarne l’integrità. Guernica
tornò in Spagna nel 1981. Pablo Picasso era ormai morto da otto anni. Francisco Franco, il dittatore
responsabile dell’eccidio, era scomparso invece da sei anni. Guernica fu così inizialmente ospitata al
Casón del Buen Retiro, prima utilizzato come salone da Ballo del Palazzo Reale. Fu quindi trasferita
al Prado di Madrid e infine al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía dal 1992.

La storia: Picasso realizzò Guernica in due mesi di lavoro. Il maestro ebbe modo di vedere alcune
fotografie del terribile fatto in alcune riviste tra le quali la francese “L’Humanité”. Nel 1935 Picasso
realizzò una incisione intitolata Minotauromachia. Nell’opera compaiono tutti i simboli elaborati nel
tempo e dedicati al toro. Quest’opera è probabilmente la fonte di ispirazione diretta di Guernica. In
aggiunta Picasso inserì nel dipinto riferimenti alla propria vicenda esistenziale e al corso della politica
europea.

Lo stile: Le figure deformate di Guernica oltre a derivare dalle ricerche di Pablo Picasso
contribuiscono a rendere drammatico il racconto. Infatti, le forme sono taglienti, aguzze e sembrano
lacerarsi a vicenda. Le bocche delle donne e degli animali urlano il loro dolore e la loro paura. La
grande tela di juta fu portata nello studio di Picasso in Rue des Grands Augustins a Parigi. In seguito
alle indagini condotte sulla tela, al ritorno dagli Stati Uniti, fu chiarita la natura della tecnica utilizzata
da Picasso. La tela di juta utilizzata fu preparata con una tecnica tradizionale. Questo trattamento
fu necessario per proteggere la superficie dipinta e rendere più brillante il dipinto. L’effetto ricercato
da Pablo Picasso fu quello della superficie di uno specchio a piombo. Una copia di Guernica si trova
esposta nel corridoio anteriore alla sala del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Si tratta di un arazzo che
compare a volte sullo sfondo delle dichiarazioni stampa dei relatori.

La composizione: Per realizzare la sua grande opera Picasso utilizzò una gamma povera di colori.
Il fondo è nero e le figure realizzate in bianco e con varie tonalità di grigio. I contrasti sono forti e le
figure si stagliano ritagliate contro il fondo nero del dipinto.
Lo spazio: Pablo Picasso organizzò lo spazio dell’opera Guernica senza utilizzare la prospettiva
geometrica. I personaggi che affollano il dipinto sono infatti distribuiti sulla superficie dell’opera con
un criterio narrativo piuttosto che realistico. Anche la dimensione superiore – inferiore non è
coerente con una spazialità naturalistica. Comunque, in alto si individuano alcune linee oblique che
creano una specie di scatola prospettica all’interno della quale si sviluppa la scena.

L’inquadratura: Il formato di Guernica è orizzontale e panoramico. L’impianto compositivo è


narrativo e si distribuisce da destra a sinistra. L’intera superficie del piano pittorico è, infatti,
occupata dalla tragedia del bombardamento. I personaggi sono distribuiti sul primo piano e solo la
loro sovrapposizione parziale crea un minimo di profondità. La scena, infine, è totalmente compresa
nei limiti del dipinto.

Gli equilibri compositivi: Le forme rappresentate nel dipinto sono bilanciate rispetto alla
verticale centrale come le masse cromatiche di bianchi, grigi e neri. I personaggi creano gruppi
estremamente espressivi e, quindi, vi sono molti centri di attrazione psicologica. La donna che esce
dalla finestra, i musi del cavallo e del toro, la donna con il neonato morente e le braccia aperte del
soldato creano un movimento apparente verso sinistra. Al centro si forma una figura a triangolo
lungo i lati della quale sono distribuite alcune delle figure principali.

Approfondimenti: Il bombardamento della cittadina basca di Guernica fu compiuto dall’aviazione


tedesca in appoggio al generale Francisco Franco. Il raid del 27 aprile 1937 fu infatti un atto di
appoggio da parte della Germania nazista contro il governo repubblicano di Spagna. La Legione
Condor, formata da volontari dell’armata aerea tedesca Luftwaffe, operò insieme all’Aviazione
Legionaria fascista italiana.
Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni
Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, bronzo, h 126.4 cm. Milano,
Museo del Novecento

Descrizione: Forme uniche della continuità dello spazio è una scultura futurista. Il suo autore,
Umberto Boccioni, fu un artista a tutto tondo e realizzò anche dipinti di ricerca di grande importanza
teorica. La scultura rappresenta una figura umana mentre avanza nell’ambiente. Il modellato,
infatti, è trasformato per presentare dinamicamente la sua aerodinamicità nell’aria. Le parti del
corpo diventano spazi concavi e convessi. Sono, comunque, ancora riconoscibili per via della
posizione che ricorda una persona che sta compiendo un ampio passo. Le gambe, infine, sono
trasformate in scie di bronzo lasciate dietro di sé dall’arto in movimento.

Lo stile: Lo stile futurista, che esaltava il movimento e l’avanzare dell’Industria moderna nella
società italiana, venne utilizzato per realizzare una scultura che intendeva rappresentare il
movimento umano. Umberto Boccioni scolpì questa scultura trasformando le scie di movimento,
dipinte nei suoi lavori, come in La città che sale, in scie materiche di bronzo. Le masse muscolari
vengono destrutturate e sembrano perdere pezzi durante il loro movimento in avanti. La parte in
alto del polpaccio sinistro è la rappresentazione della posizione spaziale precedente, di qualche
minuto, rispetto all’arto posizionato più in basso.

La composizione: La superficie della statua in bronzo è scura e luminosa. Attraverso una


opportuna illuminazione, si creano, quindi, effetti di ombre e luce molto evidenti. Se osservata di
profilo la statua assume valori pittorici che la avvicinano alle rappresentazioni dei quadri futuristi.

Lo spazio: Intorno alla statua si forma uno spazio in movimento, che sembra agitato dagli arti
scomposti e scheggiati dall’aria che vi passa attraverso. Il corpo si muove in avanti ed è
rappresentato dal busto leggermente piegato in obliquo verso la direzione del movimento. La
gamba che avanza è flessa e forma un angolo di poco più di 90 gradi. La gamba sinistra, invece, è
estesa posteriormente e la sua obliqua si congiunge al bacino proseguendo in alto lungo il busto. La
figura risulta ben ancorata a terra dalla falcata simulata. Il bacino è innestato su questa base naturale
in modo fermo e ben equilibrato. La statua, sebbene riproduca in modo sintetico le sembianze
umane, risulta monumentale e imprime un potente movimento in avanti.
Le grandi bagnanti di Cezanne

Descrizione:
Alcune figure di donne sono disposte lungo i bordi di un fiume. I corpi delle bagnanti sono nudi.
Inoltre una di loro è immersa con le gambe all’interno dell’acqua. A sinistra, una ragazza è distesa
mentre altre due sono in piedi e sollevano il loro braccio portandolo indietro. Tra queste una giovane
è seduta di schiena mentre sulla riva opposta, a destra un’altra sembra in procinto di entrare in
acqua.
Dietro la ragazza con i capelli lunghi e rossi, a sinistra un telo bianco è steso contro un grande albero
a protezione della loro nudità. Sulla riva opposta, poi oltre il corso d’acqua, corre una strada bianca
che confina con alcuni alberi. Tra di essi vi sono dei cipressi che si alzano sottili verso il cielo. Un esile
albero è dipinto su un lembo di prato a destra e uno dei suoi rami sembra creare una croce con il
cipresso della riva posta. Il cielo è azzurro, attraversato solo da leggere nubi bianche.

Interpretazioni:
Alcuni critici fanno notare la difficoltà che Paul Cézanne ebbe nel rappresentare il corpo femminile.
Le figure delle bagnanti, infatti sembrano sgraziate è un po’ goffe. Probabilmente l’artista fece
ricorso anche a ricordi di figure femminili appartenenti alla tradizione pittorica.
La visione dopo il sermone di Gauguin
1888, olio su tela, 72 x 93 cm. Edimburgo, National Gallery of Scotland

Descrizione
Alcune donne bretoni che hanno appena assistito alla celebrazione religiosa osservano una scena
inconsueta. Di fronte a loro si materializza l’evento biblico oggetto del sermone che hanno appena
ascoltato. Giacobbe lotta con l’angelo a destra di fronte a loro come all’interno di un’arena. La piazza
diventa lo spazio mistico teatrale nel quale viene rappresentato il racconto religioso. Alcune sono
raccolte in preghiera, altre osservano la scena in religioso silenzio. Altre ancora in alto a sinistra
sembrano spettatori a teatro. Davanti a loro un bovino percorre tranquillamente la piazza. Oltre il
tronco che attraversa obliquamente lo spazio rosso l’angelo lotta con Giacobbe.
Interpretazioni e simbologia
La visione dopo il sermone di Paul Gauguin è un’immagine dal significato simbolico e religioso. Il
maestro postimpressionista descrisse la semplice religiosità delle donne bretoni come più avanti
farà con gli abitanti di Tahiti. Il fatto biblico si riferisce al passo della Genesi 32:22-32). Giacobbe
dopo aver passato a guado il fiume Jabbok insieme alla famiglia combatte tutta la notte con un
angelo misterioso. L’angelo e Giacobbe agiscono all’interno di una campitura rossa bidimensionale.
Sembrano così far parte di un altro spazio rispetto a quello delle donne.
Questa rappresentazione più astratta e priva di tridimensionalità sottolinea la soprannaturalità della
scena. Il rosso che domina sull’immagine è un colore simbolico che la proietta in una dimensione
mistica e fantastica, quasi allucinatoria. Lo stesso artista scrivendo a van Gogh riferì di concepire
l’evento come presente solo nella mente dei fedeli. Sempre a van Gogh confidò di aver finalmente
trovato una cifra espressiva semplice e primitiva per esprimere la spiritualità dei contadini bretoni.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di Paul Gauguin

Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (D’où venons-nous ? Que sommes-
nous ? Où allons-nous ?), 1897-1898, olio su tela, 139,1 x 374,5 cm. Boston, Museum of Fine Arts

Descrizione: All’interno di un ambiente naturale, fantastico e idealizzato vi sono dodici figure


umane e numerosi animali. A partire da destra in basso un bambino di pochi anni dorme tranquillo
sull’erba. Accanto a lui poi tre giovani donne sedute sorvegliano il suo sonno. Due di loro guardano
centralmente verso lo spettatore mentre la terza è seduta di schiena con il volto di profilo. Dietro il
gruppo, verso il centro due figure femminili in ombra avanzano lentamente. Indossano lunghe
tuniche e sembrano uscire da un antro buio. Quasi al centro un giovane polinesiano in piedi
raccoglie dei frutti. Indossa solo un panno intorno ai fianchi e ha le mani alzate verso le fronde in
alto. Verso sinistra un adolescente seduto a terra di profilo addenta un frutto. Accanto a lui infine
giocano due gatti e una capra attende seduta e tranquilla. In prossimità dell’angolo di sinistra è
seduta una giovane con il corpo coperto solo da un panno stretto intorno ai fianchi. È rivolta verso
una donna molto anziana seduta e raccolta. Ha le mani strette intorno al volto e gli occhi chiusi. Ai
suoi piedi un uccello bianco trattiene una lucertola tra le zampe. Una donna infine è raffigurata in
secondo piano in piedi e di profilo. Alla sua sinistra si trova una grande statua di un idolo posta su
di una base naturale. Il terreno è disseminato di vegetazione e piccoli animali. Sul fondo si
intravede la superficie del mare e a sinistra una grande isola montuosa.
Interpretazioni: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Di Paul Gauguin è un grande
fregio concepito per rappresentare le diverse età della vita e la condizione esistenziale che
esprimono. Il titolo indica bene lo stato d’animo tormentato del maestro che lo spinse a
rappresentare così la propria condizione. Le 12 figure simboliche sono disposte all’interno di un
paesaggio magico-religioso. Gauguin nelle sue opere più meditate non abbandonò mai la
componente spirituale che fa di lui un artista simbolista. I dipinti realizzati in Bretagna infatti
raccontano la semplice spiritualità dei contadini e dei pescatori attraverso dipinti quali Il Cristo
giallo, Calvario Bretone e Visione dopo il sermone. La lettura condotta da destra a sinistra propone
una riflessione sull’esistenza umana. Il primo dei dodici personaggi è infatti un bambino
abbandonato in un sonno innocente e spensierato. Lo proteggono due giovani donne
dall’espressione serena.
L’ultimo personaggio a destra è invece una donna anziana che stringe tra le mani il viso. Il suo colore
scuro e spento si riferisce probabilmente alla sua condizione psicologica. L’uccello che è raffigurato
ai suoi piedi è bianco, come il colore del lutto, secondo la cultura polinesiana. Accanto dell’anziana
una giovane ricorda il passare del tempo. Al centro si trova la figura illuminata di un ragazzo nel
pieno della forza e della giovinezza. Il giovane coglie il frutto della vita dai rami alti di un albero. Il
suo corpo è forte e pare un idolo antico. Inoltre si trova simbolicamente al centro della tela e sembra
così rappresentare una figura dal significato importante nel contesto dell’opera.

Un eden polinesiano: Il paesaggio che fa da sfondo al fregio ricorda un eden, il paradiso


primitivo da sempre cercato e idealizzato da Gauguin. Si individuano riferimenti ad opere
precedenti del maestro come a voler riassumere una intera carriera e la propria filosofia
esistenziale. La ricerca di una spiritualità vera e naturale si coglie nella disposizione di idoli
provenienti da diverse culture. A sinistra sullo sfondo di coglie l’immagine di un idolo dell’isola di
Giava di colore blu visto da Gauguin durante la visita ad una mostra etnografica. Esistono anche
riferimenti biblici. Il senso di confusione mistica che emana dall’opera, durante la sua esposizione
parigina, spinse i critici francesi a considerarlo un capolavoro simbolista.

La storia dell’opera: Paul Gauguin dipinse Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? in un
momento tragico della sua vita poco prima del suo tentativo di suicidio. L’artista stava per
compiere cinquant’anni e probabilmente fu spinto a fare un bilancio della sua difficile esistenza.
Nel mese di marzo del 1897 Gauguin fu informato della morte della figlia Aline che portava il nome
della madre dell’artista. La sua sofferenza unita alle condizioni di vita non facili lo spinsero quindi
ad esprimersi con un’opera importante. Nonostante l’impegno che il dipinto
rivela Gauguin racconta di averlo realizzato in un mese di lavoro. Solo un disegno preparatorio
testimonia la progettazione del dipinto che fu eseguito a Tahiti.
Ritratto di Père Tanguy di Vincent van Gogh
Ritratto di Père Tanguy, 1888, olio su tela, 92 x 75 cm. Parigi, musée Rodin

Descrizione: Père Tanguy è raffigurato al centro del ritratto. Il commerciante di colori è seduto di
fronte ad una parete tappezzata di stampe giapponesi. Sulla testa porta un semplice cappello,
tipico delle campagne francesi. Indossa poi una pesante giacca scura e un paio di pantaloni
marroni. Il suo aspetto è molto anziano e pacato. Inoltre, il suo viso è segnato dal tempo e dalle
dure esperienze passate. Nonostante questo la sua espressione è serena e autorevole.

Interpretazioni e simbologia: Julien Tanguy, detto Père Tanguy, era un venditore di colori di
Parigi. Tanguy era amico di molti giovani artisti dal carattere rivoluzionario ed eccentrico come van
Gogh. L’artista ritrasse il commerciante all’interno del suo studio di fronte alla sua collezione di
stampe giapponesi. La posa assunta dal protagonista lo fa sembrare un vecchio saggio
orientale. Vincent van Gogh aveva molto stima di Père Tanguy. Infatti, manifestò l’intenzione di
diventare come il suo amico in vecchiaia. Probabilmente, l’artista realizzò il ritratto mettendo un
po’ di se stesso nella fisionomia dell’anziano amico. Le stampe giapponesi che compaiono alle
spalle di Tanguy appartennero a Vincent e a Théo Van Gogh, il fratello dell’artista. Sono
riconoscibili alcune opere del maestro giapponese Hokusai.

La storia dell’opera: Vincent van Gogh dedicò a


Père Tanguy tre ritratti. Il primo, è caratterizzato da
colori terrosi. Il secondo, del 1887-1888 è custodito
presso la collezione Stavros di Parigi.
I Girasoli di Vincent van Gogh
I Girasoli, 1889, olio su tela, cm 95 × 73. Amsterdam, Van Gogh Museum

Descrizione: Il dipinto appartiene


ad una serie composta da 7 opere.
Tutti i dipinti raffigurano un mazzo
di girasoli all’interno di un vaso. Le
opere furono realizzate per
decorare la camera che Van
Gogh aveva preparato, nella casa di
Arles per il suo amico Gauguin.
Sopra ad un piano è poggiato il vaso
contenente I Girasoli. I fiori sono
disposti in modo ordinato e
formano un grande mazzo che
riempie tutto il dipinto. Alcuni di
essi possiedono ancora i petali, altri
sono, invece, parzialmente sfioriti. Il
vaso riporta, come fosse una dedica,
il nome Vincent.

Lo stile: I fiori sono disegnati


velocemente con grandi pennellate
e linee spesse di contorno. Anche il
vaso, poi, è colorato con due
campiture bidimensionali senza
chiaroscuro. Ugualmente, infine,
piano e sfondo sono dipinti,
semplicemente, con colore
bidimensionale

Il colore: I Girasoli, come tutti gli altri dipinti della serie, sono dominati da varie tonalità di giallo.
Il giallo più saturo e luminoso è riservato allo sfondo e mette in risalto I Girasoli. La parte superiore
del vaso è dello stesso colore del piano, mentre, la parte inferiore è tendente al viola,
complementare del giallo. Spiccano i gambi verdi e una zona di blu acceso nel girasole di destra.

Lo spazio: Il piano sul quale poggia il vaso non è disegnato con la prospettiva geometrica. La
profondità, infatti, è indicata solo dalla sovrapposizione delle forme contro il fondo
bidimensionale. La composizione è centrale e simmetrica sull’asse verticale. Il quadro, poi, ha un
formato verticale e l’inquadratura incornicia tutto il vaso con i fiori.
La Chiesa di Auvers-sur-Oise di Vincent Van Gogh

La chiesa di Auvers-sur-Oise, 1890, olio su tela, cm 94 x 74. Parigi, Musée d’Orsay

Descrizione: Al centro del dipinto domina l’edificio della chiesa che si staglia contro il cielo blu
scuro. In basso invece il terreno è coperto da una fitta vegetazione illuminata dal sole. A partire dal
bordo inferiore del dipinto inoltre divergono due stradine che corrono ai lati opposti della chiesa.
Sulla strada di sinistra cammina una contadina. Sembra un po’ intimorita e si tiene in disparte dal
grande edificio sacro.

Interpretazioni e simbologia: In questo dipinto Vincent Van Gogh abbandonò l’idea di


dipingere oggetti con una massa identificabile. Infatti l’immagine della Chiesa di Auvers-sur-Oise è
un po’ deformata. L’edificio, infatti, sembra oscillare in seguito a delle pressioni atmosferiche.
Nell’insieme, l’aspetto risulta inquietante anche a causa dei colori violenti e contrastanti.

La storia dell’opera : Vincent Van Gogh nacque nel 1853 e morì suicida nel 1890. Questo
dipinto risale proprio all’ultimo anno di vita dell’artista. Van Gogh infatti dipinse quest’opera un
mese prima di ferirsi mortalmente con un colpo di pistola il 29 luglio 1890. Le origini del pittore
sono olandesi ma si trasferì a Parigi nel 1886 e iniziò li la sua carriera di artista. Soggiornò nel
meridione della Francia dove dipinse molte delle sue opere più famose. Vincent Van Gogh si recò
infine a Auvers-sur-Oise, una località a 27 km da Parigi nel maggio del 1890. Fece questa scelta a
causa della sua malattia. Infatti in questa città si trovava Paul Gachet, un medico pittore amico
degli impressionisti che si prese cura di lui. Lo stile de
La Chiesa di Auvers-sur-Oise di Vincent Van Gogh
Van Gogh aderì, in un primo momento, al puntinismo
del quale fu il massimo esponente Georges Seurat. In
seguito volle, quindi, sperimentare il potere del
colore e della linea. Le intenzioni dell’artista
divennero quindi, lontane anche dalla pittura
realista. I suoi primi dipinti possiedono i toni terrosi
delle opere tipiche di alcuni artisti a lui
contemporanei. Da un certo punto in avanti iniziò
così a sperimentare l’intensità del colore puro.
Inizialmente la gamma cromatica utilizzata da Van
Gogh era molto cupa poi adottò una tavolozza più
brillante. Lo stile di Van Gogh, diversamente dal
puntinismo di Seurat, elaborato dal metodo
scientifico dei complementari, parla all’emotività
dell’osservatore.
Il Bacio di Gustav Klimt

Gustav Klimt, Il Bacio, 1907-1908, olio su tela, cm 180 x 180. Vienna, Österreichische Galerie
Belvedere

Descrizione: Un uomo e una donna si abbracciano al centro di uno spazio astratto. L’uomo avvolge
il viso della donna con le sue mani teneramente e si china sul volto di lei dall’alto. La giovane ha il
viso reclinato di lato e poggiato sulla sua spalla sinistra. Il suo braccio destro è sollevato e la mano
poggia sul collo dell’uomo. Il braccio sinistro della
donna invece è flesso contro la sua spalla. La mano è
stringe quella dell’uomo. Il volto della donna è chiaro e
arrossato leggermente sulle gote. Gli occhi sono chiusi
e la sua espressione è serena ed estatica. Tra i capelli vi
sono alcuni fiori che decorano la capigliatura. L’uomo
invece ha una ghirlanda di foglie d’edera avvolta tra i
capelli. I due personaggi indossano poi ampie vesti
decorate con motivi astratti e molto colorati. La donna
è avvolta in una veste attillata che lascia scoperte le
spalle e le gambe dal polpaccio fino ai piedi. L’uomo
invece è avvolto in una tunica dorata decorata con
motivi rettangolari neri bianchi e grigi. I due sono
inginocchiati su di un prato punteggiato di fiori gialli e
viola. Un’aura dorata avvolge i due amanti e scende in
basso creando rivoli sul prato. Lo sfondo infine è
monocromatico e bidimensionale.

Interpretazioni: La Ghirlanda di foglie d’edera che corona i capelli dell’uomo fa probabilmente


riferimento al mito classico. Infatti, era considerata un simbolo amoroso e attributo del dio Dioniso.
Klimt si dedicò spesso alla rappresentazione delle passioni umane. Tale motivo è presente in Amore
che si trova nel fregio di Beethoven e In Abbraccio del fregio Stoclet.

Lo stile: Il dipinto presenta un linguaggio nel quale assumono un ruolo importante i contrasti.
Esistono alcuni contrasti formali come tra le due mani dei due protagonisti. Più nodose e forti quello
dell’uomo e delicate chiare quelle della donna. Particolare il contrasto tra le parti anatomiche
costruite con un chiaroscuro ancora tradizionale e il resto del dipinto. Gli abiti e il fondo assumono
infatti un aspetto bidimensionale e iperdecorato.

Il colore: Nel dipinto vi sono diversi contrasti che contribuiscono a creare una struttura visiva di
particolare interesse. In primis il contrasto di luminosità mette in evidenza l’aura dorata che avvolge
i due amanti con il fondo più scuro. Sono poi presenti anche alcuni contrasti di complementarietà
nella decorazione della veste della donna, tra verde e rosso. Il colore che occupa quasi interamente
la superficie del dipinto è l’oro in foglia. L’utilizzo di questo materiale è attribuito al viaggio che Klimt
fece in Italia visitando Ravenna nel 1903. Sembra infatti che i fondi dorati dei mosaici bizantini
abbiano ispirato i fondi a foglia d’oro dei suoi dipinti. Proprio per questo lo stile che caratterizza il
dipinto è definito “periodo aureo” della produzione di Klimt.

Lo spazio: Lo spazio tridimensionale è annullato dall’applicazione del fondo d’oro. Inoltre, i due
personaggi assumono un aspetto bidimensionale. Il prato, le vesti e le figure sono inoltre strutturate
attraverso campiture iper decorate. La loro forma è definita attraverso contrasti di colore e di
luminosità.

La Composizione: Il formato del dipinto Il Bacio di Gustav Klimt è perfettamente quadrato. Questa
cornice è in linea con la grafica e l’estetica della Secessione e più in generale del Liberty europeo. Il
quadrato fu utilizzato perché compositivamente più adeguato alla cartellonistica e grazie
all’enfatizzazione della centralità del soggetto.
L’urlo di Edvard Munch

L’urlo è un dipinto di Edvard Munch che, grazie alla


sua efficace sintesi simbolica, divenne icona della
sofferenza umana, personale e collettiva, del
Novecento.
Edvard Munch, L’urlo, 1893, tempera, pastello su
cartone, 91×73,5 cm. Oslo, Munch Museet
Descrizione del dipinto intitolato
L’urlo di Edvard Munch
A destra del dipinto si sviluppa il mare con la sua isola
centrale. A circa tre quarti dell’altezza si trova poi la
linea dell’orizzonte, ondulata e mossa. Da qui sale il
cielo modellato da linee sinuose orizzontali e
sovrapposte. Al centro dell’immagine, in basso, si
trova invece la figura umana serpeggiante che porta
le mani al viso e urla con disperazione. Il suo volto è
privo di connotati di età e sesso. Anche gli abiti che
indossa sono semplificati e ridotti ad una veste scura
che copre interamente il corpo. Infine, al limite
posteriore del sentiero si intravedono due sagome di uomini che procedono affiancati.
Interpretazioni e simbologia del dipinto Urlo di Edvard Munch
Il titolo originale del dipinto è Skrik e la scena è stata ispirata ad una località nei pressi della città di
Oslo, un sentiero sulla collina di Ekberg. Per Edvard Munch non era importante descrivere le forme
in modo preciso. Finalità principale, invece era quella di trasmettere un senso di angoscia e di
solitudine. L’ansia è così suscitata nello spettatore grazie al soggetto particolarmente inquietante.
Inoltre, la scelta stilistica e quella compositiva influiscono creando una tensione visiva.La prospettiva
fortemente obliqua del sentiero infatti condiziona pesantemente lo spazio della scena. Inoltre, la
deformazione della figura umana la trasforma in un ectoplasma inquietante. Infine, la costruzione
ondulata del paesaggio crea un senso di instabilità visiva che genera smarrimento e
insicurezza.L’immagine di trasforma così in una visione liquida e verminosa che evoca fastidio fisico
e psicologico.Un precursore dell’espressionismo si può considerare Vincent van Gogh. L’artista,
infatti, soprattutto durante il suo soggiorno a Auvers-sur-Oise utilizzò con pennellate deformanti e
vigorose.
La storia dell’opera Il dipinto rappresenta attualmente una vera icona culturale della
condizione di sofferenza dell’umanità. L’urlo dipinto da Edvard Munch è infatti universalmente
noto anche da coloro che non seguono da vicino le vicende dell’arte. L’opera appartiene ad una
serie di dipinti che Munch realizzò in diverse versioni.
Secondo la sua testimonianza scritta l’artista ebbe una la sensazione di sentire “l’urlo della natura”
durante una passeggiata serale. Munch infatti si trovava su di un sentiero che divideva la città e il
fiordo in basso. L’artista inoltre, osservando il cielo oltre il fiordo immaginò le nuvole tinte di rosso
sangue. Esiste un primo schizzo in bianco e nero non datato che rappresenta un volto informe e
urlante tra braccia alzate. L’artista elaborò poi l’idea nel dipinto Disperazione del 1891. Tra il 1893 e
il 1900 realizzò infine tre opere delle quali la prima è un pastello su cartone rielaborata nello stesso
anno nella versione definitiva del museo di Oslo. Nel 1895 dipinse un pastello su cartone e infine
una tempera su pannello nel 1910.
Lo stile
Edvard Munch nacque nel 1863 e morì nel 1944. La versione de L’urlo del museo di Oslo è del 1893
e fu dipinta quando Munch aveva circa trent’anni. Norvegese, studiò nella sua nazione e fu prima
un pittore naturalista. Soggiornò poi a Parigi dove si avvicinò alla pittura
di Gauguin. Munch aggiunse una componente di angoscia e turbamento personali al colore puro e
alle campiture semplici. Le sue opere diedero così vita alla corrente artistica chiamata
Espressionismo. Il movimento si sviluppò contemporaneamente in Francia, Germania e Austria tra
il 1905 e il 1925.

La tecnica
La seconda versione del dipinto intitolato Urlo del 1893 fu realizzata con tempera e pastello su
cartone. I colori, fortemente contrastanti e violenti, sono stesi con lunghe pennellate orientate in
direzione delle ondulazioni del paesaggio.

Il colore e l’illuminazione
Le tinte sono irreali e non rispettano, se non parzialmente, i colori reali del paesaggio naturale. Il
colore dell’acqua è l’unico ad essere rispettato, se pur nel suo blu forte e profondo. Il sentiero e il
parapetto in legno sono di un marrone molto saturo. Il cielo e le nuvole poi sono rappresentati con
linee curve e disorientanti di colore arancio e ocra. Qualche spiraglio di azzurro si intravede tra
questi due colori che, probabilmente, rappresentano le nubi. Nel dipinto si coglie l’accostamento di
colori puri che diventa contrasto di complementari. Tra cielo e mare, infatti la coppia di
complementari più evidente è quella arancio e blu. Si riscontra anche il contrasto tra verde e rosso.

Lo spazio
Il dipinto ritrae una scena che si svolge all’aperto, in un paesaggio urbano e marino. La prospettiva
poi è presente e forzata nella costruzione del parapetto. La diminuzione progressiva di grandezza
tra l’uomo in primo piano e i due passanti molto piccoli in alto a sinistra contribuisce a rendere la
profondità. Nel triangolo di destra in alto, invece, il paesaggio risulta più bidimensionale e appiattito
su un unico piano informale. Il punto di vista dello spettatore è molto alto. La sagoma umana che
urla e si dispera si trova quindi più in basso e quasi schiacciata. Ci troviamo così nella condizione, di
non essere semplici spettatori, ma, osservatori del suo dramma esistenziale.

La composizione e l’inquadratura
L’urlo è un dipinto dal formato rettangolare con inquadratura verticale. La linea obliqua del
parapetto parte dall’angolo in basso a destra e si proietta verso l’alto a sinistra. Si crea così una
separazione netta del dipinto in due triangoli dai vertici opposti. Verso l’angolo in basso a sinistra le
assi del parapetto, realizzate con pennellate oblique, si addossano progressivamente verso il lato
sinistro del dipinto. La progressione, dalle oblique alla verticale, inoltre crea la spazialità, in
profondità del dipinto. L’integrazione tra le diverse parti dell’opera crea poi un senso di nausea e di
movimento senza posa.
Il ponte di Chatou
Maurice de Vlaminck

Maurice de-Vlaminck si affermò tra le più forti personalità del gruppo dei fauves con una pittura a violenti toni
puri (Il ponte di Chatou, Soleure, collezione privata)

Figlio di musicisti, giovanissimo si dedicò allo studio del violino per poi volgersi, dopo l'incontro
con A. Derain a Chatou, alla pittura. Formatosi da autodidatta, esordì con opere d'accentuato
espressionismo profondamente ispirate alle soluzioni di V. van Gogh e di H. Matisse; in contatto con
il gruppo dei Fauves, con questi espose nel 1905 al Salon d'Automne e, nel 1906, al Salon des
Indépendants. Temperamento istintivo e inquieto, espresse la sua forte personalità attraverso uno
stile di grande immediatezza, esasperato nel segno e nelle gamme cromatiche, pure e contrastate,
che trovò nei ritratti, nei paesaggi e nelle periferie urbane i temi più congeniali (Gli alberi rossi, 1906,
Parigi, Musée national d'art moderne). Dopo il 1907, risentendo in particolare di Cézanne, V. si
orientò verso più equilibrate soluzioni compositive giungendo, nel primo dopoguerra e dopo una
breve parentesi d'ispirazione cubista, a una pittura di paesaggio dai toni smorzati e dolorosi.
La stanza rossa
Henri Matisse

La stanza
rossa di Matisse,
1908-1909, olio
su tela, 180×220
cm. San
Pietroburgo,
Museo
dell’Ermitage.

La stanza rossa di Matisse: storia dell’opera


In un primo tempo nella grande tela (180×220 cm) predomina il verde ed essa è intitolata Armonia in
verde. Nella primavera del 1908 Matisse la ridipinge con il blu e nell’ottobre la espone al Salon
d’Automne come Armonia in blu.
Vedendola appesa alle pareti del Salon, il pittore però non è ancora del tutto soddisfatto. Così, nella
primavera del 1909, prima di consegnarla al collezionista russo Sergej Sukin, cambia nuovamente idea
e, «per soddisfare un miglior bilanciamento dei colori», la ripassa con un rosso acceso e vivace, dandole
il titolo definitivo di La stanza rossa.
È uno dei primi quadri in cui, oltre all’acceso cromatismo, tipico del periodo fauve, compaiono in primo
piano quegli elementi decorativi che annullano quasi completamente la profondità dello spazio e che,
negli anni successivi, diventeranno la sua caratteristica principale.
Descrizione
La stanza rossa raffigura un interno domestico. Qui una donna è intenta a disporre una fruttiera su
un tavolo, su cui si trovano anche altri frutti, due bottiglie e alcuni pezzi di pane. Un rosso intenso
domina la scena, colorando sia la tavola sia le pareti della stanza con una campitura piatta e
uniforme. Eleganti motivi ornamentali blu e neri raffigurano vasi di fiori e rami di piante, simili ad
arabeschi orientaleggianti.
Il colore è dunque l’elemento predominante nell’opera. Esso è utilizzato dall’artista non per
realizzare una rappresentazione realistica ma per esprimere le emozioni suscitate dagli oggetti
quotidiani e dal mondo che ci circonda.
In questo caso, l’intensa vivacità cromatica suggerisce un’atmosfera domestica serena,
ulteriormente evidenziata dal cielo azzurro e dal verde acceso del paesaggio che si intravvede dalla
finestra.

La danza 1909-1910, olio su tela, cm 259.7 × 390.1. San Pietroburgo, Hermitage

Descrizione
I corpi sono sbilanciati e in
torsione per assecondare il
movimento rotatorio. Quella che
sembra essere una ballerina, in
primo piano di schiena si è
staccata dal gruppo e cerca di
afferrare la mano del compagno di
sinistra. Simbolicamente questo
dipinto rappresenta la gioia di
vivere e la felicità di una danza musicale. I ballerini danzano insieme, nudi, al ritmo di una musica
felice. La nudità rappresenta, probabilmente, il ritorno ad una natura priva di sensi di colpa.

La storia de La Danza di Henri Matisse


Matisse realizzò i due dipinti che furono esposti nel 1910 a Parigi. Vennero immediatamente
stigmatizzati dal pubblico per la violenza dei colori e il modo in cui questi erano stesi,
frettolosamente sulla tela. Anche la composizione della danza non riscosse immediatamente
successo. L’eccessiva semplificazione della composizione non fu considerata di qualità. In realtà,
l’operazione di Matisse fu quella di semplificare e trasformare il soggetto in una rappresentazione,
quasi astratta del ritmo. Ogni riferimento alla realtà fu, quindi, azzerato, a favore dell’integrazione
armonica tra figure, cielo e suolo.
Matisse, nato nel 1869 a Le Cateau-Cambrésis, nel nord della Francia arrivato a Parigi aderì subito
all’espressionismo francese. Diventò, così, il leader del movimento dei Fauves. Rimase legato a
questa corrente anche dopo lo scioglimento avvenuto nel 1907. Matisse, insofferente verso la vita
mondana, si stabilì poi nel sud della Francia dove continuò a lavorare in un ambiente tranquillo e
familiare.

Lo stile de La Danza di Henri Matisse


Le pennellate sono applicate in modo confuso e veloce. I corpi, il cielo e il prato sono resi
attraverso semplici campiture monocromatiche. Le figure de La Danza sono disegnate con segni
circolari semplificati ispessiti, a tratti, con colore marrone. Il cielo è blu monocromatico di tono
medio. Così anche il prato, verde e bidimensionale.

Il colore
Spiccano i corpi, di colore bruno tendente all’arancio, perché in contrasto di complementari con il
cielo.

La composizione e l’inquadratura
La composizione è orizzontale e asseconda il movimento della danza. Infatti, su tutta la superficie
del dipinto è distribuito il gruppo di ballerini che, nella loro formazione, giungono fino ai bordi del
rettangolo.
Potsdamer Platz Ernst Ludwig Kirchner

, 1914. Neue Nationalgalerie, Berlino

Una delle opere che


maggiormente rispecchia lo stile di
Kirchner è senza dubbio
“Potsdamer Platz”, olio su tela
dipinto nel 1914 e visibile
all’interno delle sale della Neue
Nationalgalerie di Berlino.
Quest’opera racchiude in sé tutti i
tratti tipici dell’Espressionismo
tedesco: la semplificazione delle
forme, l’uso espressivo del colore,
le atmosfere cupe, la volontà di
denuncia contro una società
borghese né amata né tantomeno
stimata, ma soprattutto la
volontaria rinuncia alla bellezza.
Valore, quello della bellezza,
apprezzato dai borghesi (essi
vedevano nell’arte un momento di
evasione dalla realtà) ma che
proprio per questo non poteva
essere condiviso dagli
espressionisti, che contro i
borghesi rivolgevano la loro critica.

Descrizione
La composizione è dominata da due figure femminili, due prostitute (una di profilo e l’altra fontale)
alte quasi due metri che occupano tutta la parte sinistra del dipinto; entrambe portano in testa un
cappello piumato e indossano abiti lunghi, che lasciano presagire appena la femminilità delle forme.
Kirchner dipinge questo quadro dopo l’1 agosto 1914, data in cui la Germania decide di dichiarare
guerra alla Russia: da quel giorno in poi, tutte le prostitute berlinesi dovettero indossare un velo
nero come segno di patriottismo, lo stesso velo che portavano anche le vedove dei soldati.
Le due figure principali si sovrappongono ma non si toccano, quasi come se non si conoscessero
nemmeno; sono vicine nello spazio ma al contempo isolate nella propria solitudine. E lo stesso
accade alle figure sullo sfondo, incapaci di interagire le une con le altre nonostante siano a stretto
contatto fra di loro.

Significato
Kirchner attua questa scelta per trasmettere l’immagine di una società caratterizzata da una
sostanziale incapacità umana nel comunicare con gli altri; società che, addirittura, potrebbe essere
lo specchio di quella contemporanea.
Dietro alle due figure principali, un marciapiede dalla forma acuminata si inserisce prepotentemente
nella biforcazione della strada; sullo sfondo, invece, si può cogliere la stazione di Potsdamer Platz in
mattoni rossi, oltre che la vera e propria piazza, animata da luci e passanti. L’alternarsi sia di colori
brillanti e colori scuri che di forme acute e linee spigolose conferisce alla scena un ritmo frenetico,
permettendo all’artista di trasmettere il malessere che si respira vivendo nella città.
Infine, l’accentuazione delle diagonali – che non convergono verso un punto di fuga ma si perdono
nel quadro – rende lo spazio instabile.
Nudo maschile di Egon Schiele (Autoritratto)
Egon Schiele è stato strappato alla vita a soli 28 anni, pochi giorni prima della fine della Prima guerra
mondiale. La sua visione espressiva provoca forti emozioni. Come ogni grande artista, è capace di
iniettare dei profondi sentimenti personali attraverso la propria arte, e questi sentimenti arrivano
allo spettatore uscendo dal quadro. Dietro quei suoi corpi scarni, contorti sotto l’influenza di una
sofferenza mentale, una violenza noiosa, sembrano intravedersi anche quelle famose modelle, le
sue muse ispiratrici in pose audaci. I temi scelti da Schiele non sono classici, la nudità è sempre
presente. L’artista si è distinto come ritrattista con la sua eccezionale capacità di trasferire la
complessità psicologica dei suoi disegni grazie ad una pennellata famigerata di grande espressività.
Qualcosa di particolarmente
sorprendente che emerge nelle
centinaia di autoritratti, creati
attraverso una cura a volte
indiscriminatamente istrionica.
Accanto alla ricerca del proprio
io, di se stesso come ricreazione
speciale (da alcuni definita
narcisistica e parallela) corre la
rappresentazione del “non sé”,
l’altra parte, che da tempo
possedeva, assimilata dalla
distanza che l’artista ha anche
identificato in se stesso.

Descrizione

In questo periodo la magrezza si


fa ascetica, il corpo si attorciglia
in virtuose contorsioni, la
mimica facciale oscilla tra il cupo
e il bizzarro. Schiele illustra così
il travaglio interiore dell’uomo
moderno. Nei suoi lavori
compare l’isolamento della
figura, la presentazione frontale
e l’allineamento dell’asse della
figura con l’asse centrale della
tela; l’enfasi su occhi e mani
eccessivamente grandi e rozzi e
sull’intero corpo. L’effetto
complessivo di questi elementi
esagerati è, di nuovo, un forte senso di ansia.
La morte e la fanciulla
Tod und Madchen di Schiele
Österreichische Galerie im Belvedere in Vienna

Descrizione
Un uomo e una donna sono adagiati su un lenzuolo bianco, in un panorama freddo e surreale, fatto
di rocce chiare e volti e corpi umani. Lei ha un bel vestito colorato e, inginocchiata, si lascia
abbracciare e avvolgere dalla morte, un uomo vestito di scuro, con gli occhi allucinati, che le tiene
una mano sulla nuca e l’altra sulla spalla. C’è tristezza, qui dentro, profonda malinconia, più che
paura. Forse perché Schiele aveva lasciato da poco un suo grande amore per sposarsi con un’altra
donna. Chissà, forse è proprio così.
ANSCHLUSS - ALICE NEL PAESE PAESE DELLE MERAVIGLIE DI
KOKOSCHKA

La sua formazione artistica è da ricondurre all'ambiente della secessione Viennese. Studiò a


diretto contatto con Gustav Klimt, grazie al quale fu presentato al pubblico viennese durante il
Kunstschau (Art Show) del 1908. Proprio in quest'occasione l'artista si fece notare dalla critica, che
gli attribuì l'appellativo di “super selvaggio”. Le sue opere, infatti, rifuggivano da ogni ideale di
bellezza e di grazia e mettevano a nudo invece gli aspetti più duri e sconcertanti dell'esistenza. In
questa stessa occasione fu rappresentato il suo dramma “Assassino, speranza delle donne” che
suscitò scandalo e tumulti in platea. Le opere prodotte tra il 1907 e il 1912 influenzarono tra gli
altri, Egon Schiele; le sue figure erano disegnate in maniera delicata e disposte in modo irregolare.
Nudo sdraiato a braccia aperte di Amedeo Modigliani

Nudo sdraiato a braccia aperte, chiamato anche Nudo rosso (o semplicemente Nudo sdraiato),. Si
tratta di un olio su tela, dipinto nel 1917 che misura 60 x 92 cm. E’ probabilmente il suo quadro più
famoso, perché rappresenta un ideale di bellezza. Il fascino che traspare dal dipinto è molto intenso,
potente.

Descrizione
Vi è una donna distesa su un letto, il corpo si tende in una curva e in parte esce dal quadro. Gli occhi
e i capelli sono neri, il seno prominente e le gambe in parte escono dal quadro e posizionate vicine
mostrano una parte dei peli pubici. La posizione della donna non richiama la posizione classica delle
modelle che posavano nude all’epoca della realizzazione del quadro, per questo motivo
probabilmente, per la sua posizione languida che richiamava l’immagine intima di una donna
comune, seppur molto bella, il quadro, insieme ad altri nudi di Modigliani, venne ritirato dalla
mostra organizzata nella galleria Weill nel 1917.
Autoritratto con sette dita di Marc Chagall (1912-13)

Descrizione Il pittore
che qui si ritrae è
mancino. È la destra
infatti che tiene la
tavolozza. E allora è la
sinistra che ha tenuto il
pennello e che ha dipinto
il quadro posto sul
cavalletto.

La mano che dipinge è


quella mano sinistra,
stravolta. Forse Marc
Chagall ha voluto
dipingere la figura di una
mostruosità “positiva”.
Una mano, per così dire,
dotata di super-poteri…

Se in quella mano – della


quale non possiamo non
sentire l’evidente valore
simbolico – ci fossero
state soltanto le due dita
in più, saremmo forse stati indotti a immaginarla come una mano agilissima,
velocissima, capace di dipingere in fretta molti dipinti.

In yiddish, l’espressione “fare una cosa con le sette dita” equivale all’espressione
italiana “fare una cosa con i sette sentimenti” – che vuol dire “con il massimo
dell’applicazione, proprio a regola d’arte”.
Nel mito – e nella fiaba – l’accrescimento o la moltiplicazione di un arto stanno spesso
a simboleggiare una espansione prima di tutto quantitativa delle doti di un
personaggio. Una specie di potenziamento tecnico “naturale”…

Nell’Autoritratto con sette dita la mano sinistra del pittore è anche rovesciata. Magari
senza rendersene conto, Chagall voleva forse simboleggiare in quella mano il potere
stravolgente della sua pittura?
Il Ritratto di Ambroise Vollard di Pablo Picasso
Pablo Picasso dipinge il Ritratto di Ambroise Vollard con una tecnica analitica che frange la figura e
la compenetra nello sfondo.
Pablo Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard, 1909-1910, olio
su tela, cm 92 x 65. Mosca, Museo Puškin Il Ritratto di
Ambroise Vollard di Pablo Picasso sembra un’immagine
frantumata all’interno di uno specchio. Le varie parti che
compongono il dipinto, infatti, paiono schegge monocrome
che si compongono nel formare il Ritratto di Ambroise
Vollard. Nel dipinto si riescono ad identificare,
sufficientemente bene, gli occhi il naso e la bocca. La barba e
la sommità della testa sono riconoscibili attraverso il colore
che li ritaglia dal fondo. Ambroise Vollard sta leggendo un
libro ma è difficile identificarlo all’interno delle figure che si
sovrappongono e si integrano in basso e al centro. Il resto
della superficie è costruita con altre schede e incastri di
colore bruno tendente al marrone scuro. Due anni prima,
Pablo Picasso aveva fondato la sua poetica cubista con Les
Demoiselles d’Avignon.

Lo stile del Ritratto di Ambroise Vollard di Pablo Picasso


Il tentativo della pittura cubista fu quello di rappresentare la quarta dimensione, il tempo. Stessa
intenzione avevano i pittori futuristi che, però, utilizzavano un’altra strategia per rappresentare gli
oggetti in movimento. I cubisti, per rappresentare il passaggio del tempo pensavano di
rappresentare il soggetto da più punti di vista. Il Ritratto di Ambroise Vollard, infatti, è costruito
mettendo insieme la rappresentazione di più prospettive della stessa immagine. Queste parti
vengono poi geometrizzate e riassemblate in una specie di mosaico ad incastro. A dare questa
sensazione di frantumazione è l’uso di un colore monocromatico Questo dipinto appartiene
al Cubismo formativo, quando Braque sperimenta le sue prime soluzioni di semplificazione della forma.
Il paesaggio è una veduta dell'Estaque, un rilievo collinare nel Sud della Francia: le case e gli alberi sono
"ridotti" a netti volumi geometrici confonde piani e figure.

Lo spazio Lo spazio dell’immagine rimane quindi fortemente schiacciato sulla superficie. In


primo piano si legge chiaramente il volto di Ambroise Vollard in alto al centro del dipinto. Si
intuisce che la parte in basso centrale sia il corpo con il libro. Anche la forma della mano, se si
guarda attentamente, emerge al centro, in basso, seguita dal polso che esce dalla manica. Questa
è rappresentata dall’unico segno circolare nel quadrante in basso a sinistra del dipinto.
La composizione e l’inquadratura La composizione è centrale e fortemente
simmetrica. Il centro focale e psicologico e il volto di Ambroise Vollard abbassato verso il libro che
sta leggendo. Tutto intorno ruotano spigoli che si incastrano creando una superficie modulata dal
chiaroscuro delle campiture geometriche.
Case a l’estaque D I G E O R G E S B R A Q U E

"Si dipinge anche quello che c’è tra la mela ed il piatto, e dipingere l’interspazio mi sembra
altrettanto difficile che dipingere la cosa."

‘Casa all’Estaque’, 1908, olio su tela, Museo d’Arte, Berna

Georges Braque è considerato tra i


capostipiti della rivoluzione cubista che
stravolse l’arte del Novecento. La sua opera
si incentrò soprattutto sulle nature morte,
affrontate con un nuovo occhio dotato di
molteplici prospettive e punti di vista
coesistenti. Sebbene sia noto soprattutto
per il suo apporto al movimento cubista e
alla sua collaborazione con Pablo Picasso, la
lunga carriera pittorica di Braque andò oltre
il Cubismo. In controtendenza con diversi
artisti del Novecento, che divennero
personaggi mediatici degni di grandissima
fama, Georges Braque predilesse lunghi
periodi di quiete, tranquillità e ricerca
all’interno del proprio studio.

Questo dipinto appartiene al Cubismo formativo, quando Braque sperimenta le sue prime
soluzioni di semplificazione della forma. Il paesaggio è una veduta dell'Estaque, un rilievo
collinare nel Sud della Francia: le case e gli alberi sono "ridotti" a netti volumi geometrici
Aria di Bach di Georges Braque
Braque, un francese dal temperamento
tranquillo e meditativo, Picasso, uno spagnolo
eccentrico e talvolta eccessivo: due artisti,
tanto diversi che resteranno inseparabili per
diversi anni. Insieme i due attueranno
l’esperienza del Cubismo analitico che si
esaurirà nel passaggio al Cubismo sintetico: di
Braque è l’idea di inserire lettere alfabetiche a
stampa, sia quella di introdurre frammenti di
finto legno o di carta da tappezzeria
introducendo la tecnica del papier collé.

Siamo nel 1914 e Braque, perenne creatore di


forme, esprime in questo momento alcuni dei
suoi capolavori: L’aria di Bach, Il tavolo del
musicista, Il violino. Ma questo è anche l’anno
in cui l’amicizia tra Picasso e Braque va via via
affievolendosi, non solo per la decisione di
Picasso di apporre la propria firma sul quadro e
non più sul retro, ma anche a causa della guerra
che allontana i due amici.

Nel 1915, Braque, richiamato al fronte, resterà


gravemente ferito tanto da subire la trapanazione cranica.

Quando dopo lunga interruzione, tornerà alla pittura, George Braque si sentirà lontano
dall’evoluzione percorsa da Picasso e affronterà la tematica delle nature morte, sviluppando
composizioni più equilibrate, più serene che del cubismo conservano la simultaneità dei punti di
vista e lo sviluppo degli oggetti su uno stesso piano (Cafè bar del 1919, Caminetto del 1923, La
tovaglia rosa del 1933).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Braque, sempre operoso e infaticabile stilizzatore di forme, fu
considerato una delle più solide costanti dell’arte francese e le sue mostre in Italia e all’estero si
andarono moltiplicando.
La città che sale di Umberto Boccioni

La città che sale di Umberto Boccioni. Dinamismo e frenesia della città moderna nel dipinto che
rappresenta l’esaltazione della tecnologia e del nuovo. Modernità e progresso erano le cifre
principali della pittura futurista. Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, olio su tela, cm 199,5 x
301. New York, Museum of Modern Art (MoMa)

Descrizione Per raffigurare lo spostamento e la rapidità del movimento i pittori futuristi


ricorsero alla fusione fra soggetto e ambiente. Occorreva creare una visione simultanea delle
figure e delle loro rappresentazioni nella parabola di movimento nello spazio
circostante. Balla dipinge figure con arti in movimento. Umberto Boccioni nel suo dipinto La città
che sale crea una fusione della figura con lo sfondo attraverso un turbinio di colori e scie
cromatiche.

Lo stile de La città che sale di Umberto Boccioni


La città che sale è un dipinto che si ispira alla costruzione di una centrale elettrica nella periferia di
Milano. In primo piano è rappresentato un cavallo, per quasi tutta la metà destra del dipinto.
L’animale trascina un peso legato a delle briglie. Alcuni operai davanti a lui, di fianco e dietro
assecondano e incitano il movimento in avanti. Di fronte a questo cavallo si trovano altri due cavalli
uno bianco e uno rosso. Un operaio, a sinistra, frena, invece, il cavallo bianco che si trova opposto a
quella in primo piano. Sullo sfondo ferve l’attività degli operai e si intravedono altri cavalli che
portano avanti i carichi. L’edificio, ancora in fase di costruzione è circondato dalle impalcature e
svetta su tutte le figure.
Il colore de La città che sale di Umberto Boccioni Il cavallo di grandi dimensioni, in primo piano, è
costruito con pennellate di tonalità rossa e arancio accostate e orientate secondo la forma
dell’animale. La sua criniera sembra una parabola fiammeggiante rivolta verso sinistra. Il giogo
dell’animale è, invece, di colore blu elettrico. Gli operai in primo piano, quello centrale e quello di
destra, indossano dei giubbotti giallo-arancio e dei pantaloni blu. A sinistra predominano colori più
chiari. Il cavallo è bianco con sfumature blu e azzurre, tendenti al viola. L’operaio che lo trattiene è
a torso nudo, di colore rosa scuro. Nel primo piano, sulla strada le ombre sono colorate di blu e
azzurro mentre le zone di sole bianco e giallo. Sul fondo si ripetono gli stessi colori blu per i gioghi
degli animali e rosso acceso, con punte di arancio, e giallo per i cavalli. Anche le costruzioni a destra
e a sinistra sono tendenti all’arancio lumeggiato di giallo. Il cielo è bianco con sprazzi di azzurro e
sbuffi di fumo blu violetto che escono dalle ciminiere che punteggiano il cielo.

Lo spazio Il progresso industriale, tanto amato dai pittori futuristi è qui rappresentato dalla
costruzione della centrale elettrica. Umberto Boccioni con La città che sale celebra la crescita
industriale della periferia milanese. I tram che passano velocemente, le case in costruzione e, sul
fondo, le ciminiere delle fabbriche che producono. In primo piano nulla è fermo. Lo spazio è
rappresentato, dal primo piano allo sfondo, dalla sovrapposizione e dalla grandezza, che diminuisce,
delle figure rappresentate. Solo la fabbrica in alto a destra suggerisce uno spazio tridimensionale
attraverso una leggera prospettiva geometrica. La profondità è rappresentata solamente dalle
prospettive di grandezza e di sovrapposizione. Non è presente la prospettiva aerea, i colori
rimangono vivi e brillanti anche sul fondo. La superficie del dipinto risulta, quindi, ad una prima
osservazione, una confusa amalgama di colori e tratteggi cromatici. Le figure sembrano amassi di
colori che si aggregano spontaneamente all’interno di un universo confuso e vorticoso disegni
colorati. Solo la massa del grande cavallo rosso con il gioco blu, in primo piano, àncora lo sguardo.
Dopo un’attenta osservazione, si comprendono gli indicatori per decifrare le figure e le scene. Non
vi sono ombre e luci tradizionalmente chiaroscurale. Le figure quindi, non creano un senso di
profondità attraverso la prospettiva aerea che crea la resa atmosferica del dipinto. Le figure del
fondo si ribaltano in primo piano, creando, una superficie quasi astratta e bidimensionale.

La composizione
Il dipinto ha uno sviluppo orizzontale. Gran parte del piano compositivo è occupato dal grande
cavallo rosso la cui coda lambisce il bordo destro del dipinto. Attraverso una direttrice obliqua, che
parte dall’angolo destro in basso, dall’uomo che sta spingendo il movimento, sale verso l’angolo
sinistro in alto. Questa linea si sposta dal cavallo rosso a quello bianco fino ad arrivare in alto. Tutto
l’asse centrale è, quindi, obliquo, sottolineato anche dalle briglie blu dell’animale che vengono
trascinate dagli operai in giallo. L’intera opera si può leggere come una composizione di linee in
movimento e assi visivi più o meno potenti. Il movimento viene portato avanti, in alto, verso sinistra,
dalla marcia dell’animale, dallo sforzo degli operai dall’inclinazione dell’uomo in rosso che trattiene
il cavallo bianco. Sullo sfondo le linee di movimento sono opposte. I cavalli procedono verso destra
così come anche la prospettiva della centrale elettrica in costruzione. Si forma quindi, uno zig zag di
movimento in profondità che parte dall’angolo destro in basso arriva il cavallo bianco. Viene quindi
trasmesso al cavallo rosso imbizzarrito. Da qui si sposta verso destra, verso il cavallo rosso che si
muove davanti alla centrale elettrica. Si trasmette, quindi, a questo edificio e proseguire in
profondità verso le case dipinte all’orizzonte, verso sinistra.
Materia” (226x150cm) raffigurante la madre del pittore.

Il titolo richiama l’origine comune delle


parole “madre” e “materia” (Dal latino
Mater). Tutto il dipinto ruota intorno alle
robuste mani che sembrano quasi viste
attraverso uno specchio deformante.
Mentre Il volto, scomposto secondo la
tipica tecnica cubista, mostra
contemporaneamente il suo sguardo
frontale e laterale.
Nella zona superiore del dipinto spicca
un paesaggio urbano che sembra
ricordare quello di “La città sale“; così
come il cavallo rosso (in basso a
sinistra)Boccioni riesce a fondere
interamente l’immagine della madre con
l’ambiente.
L’energia psichica sprigionata dalla
donna sembra colpire e deformare gli
atomi e lo spazio che la circonda.
Questa fusione tra ambiente e soggetto
indica la costante attenzione
dimostrata, da Boccioni, per le teorie
filosofiche di Bergson e le recenti
scoperte della fisica.
Le mani del violinista di Giacomo Balla

Le mani del violinista è uno dei tre dipinti che Balla progettò dopo una meticolosa indagine
sul movimento organico.

Giacomo Balla, Le mani del violinista, 1912, olio su tela, 56 cm × 78.3 cm. Londra, The
Estorick Collection of Modern Italian Art

Descrizione Nel dipinto sono rappresentate più volte le mani di un violinista che stringono il
manico di un violino. Si nota che la ripetizione delle immagini è ritmicamente regolare e procede
dall’alto in basso. Le diverse rappresentazioni della mani che agiscono sulle corde dello strumento
si susseguono e si sfumano le une nelle altre. Si intravede inoltre la manica dell’abito nero del
violinista. Lo sfondo infine è rappresentato dalla boiserie che si integra con le diverse istantanee
delle mani per creare la sensazione del movimento.

Interpretazioni e simbologia La mano del violinista è un dipinto nel quale Balla ha


rappresentato la mano di un musicista che impugna il manico di un violino. La rappresentazione
futurista illustra un movimento organico, oggetto di una prima indagine del maestro. Balla, inoltre,
realizzò tre importanti dipinti con questo intento, Dinamismo di un cane al guinzaglio, Bambina
che corre sul balcone e appunto Le mani del violinista. Successivamente si dedicò poi al
movimento meccanico.
Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla
Bambina che corre sul Balcone è una delle tre opere che Giacomo Balla realizzò per rappresentare
il movimento organico nell’ambito della ricerca futurista.

Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912, olio su tela, 125×125 cm. Milano, Museo del
Novecento, Collezione Grassi

Descrizione
Nel dipinto si individua con una certa
difficoltà una figura ripetuta. In basso,
in modo più evidente, si riconoscono
immagini di stivaletti, riprodotte in
modo regolare e ritmico. Si percepisce
con maggiore fatica, in alto, la
capigliatura di una bambina con una
treccia che ricade verso il basso. In
seguito a questa prima lettura si può
ipotizzare che la parte centrale dipinta
di azzurro rappresenti la dislocazione
spaziale verso destra dell’abito della
piccola. La griglia ortogonale che si
percepisce sovrapposta alle immagini
della bambina è l’inferriata del balcone.

La storia
Con Bambina che corre sul balcone, e altri dipinti dei primi anni Dieci del Novecento, Giacomo Balla
iniziò ad interessarsi alla rappresentazione del movimento sulla tela. Sul retro del dipinto si trova un
paesaggio che probabilmente risale al 1896-97.
La bambina ritratta nel dipinto è la figlia di Giacomo Balla, la piccola Luce di 8 anni. Il balcone inoltre
è quello della casa romana che si affacciava su via dei Parioli con la vista sul Parco dei Daini di Villa
Borghese.
Alla base del dipinto Bambina che corre sul balcone vi furono alcuni studi disegnati su carta. In questi
disegni Balla scompose infatti molto attentamente il movimento disegnando le gambe della
bambina in rotazione e sovrapposte. La conferma della realizzazione di studi dal vero si trova
nell’abito estivo di Luce che corrisponde al periodo di inizio del dipinto, nel luglio del 1912. Anche la
seconda figlia di Balla, Elica, confermò tale ipotesi.
Lo stile del dipinto
Gli artisti futuristi asserirono che per conoscere la realtà occorreva studiare la dinamica del
movimento nella quotidianità. La quotidianità comprendeva così anche la figlia di Balla la cui corsa
viene analizzata infatti in modo meticoloso. Per rappresentare il risultato dell’osservazione l’artista
sovrappose ed integrò le istantanee della piccola con le linee orizzontali e verticali delle inferriate,
integrandole.
Balla in Bambina che corre sul balcone scompone la corsa del soggetto rappresentandola attraverso
una serie di immagini in sequenza. La immagini rappresentano così lo spostamento orizzontale in
avanti. Ogni parte del corpo è rappresentata più volte con lievi variazioni nell’orientamento, ma
sempre con la stessa forma. Per rimanere fedeli alla visione di Giacomo Balla occorre tener conto
dell’insieme del dipinto. Solo così si coglie il tentativo di rappresentare il movimento che si perde
nell’osservazione del singolo particolare.

Il colore I colori sono saturi e vivaci e il loro accostamento restituisce la vitalità della bambina in
corsa. Balla, dipinse dei tasselli colorati che accostati creano la continuità dell’immagine e al tempo
stesso frammentano la visione delle forme in movimento. La superficie dipinta è realizzata con la
tecnica divisionista.

Lo spazio
Lo stile del dipinto Bambina che corre sul balcone esclude la rappresentazione di uno spazio pittorico
tradizionale o realistico. La dimensione è quindi concettuale e da ricostruire mentalmente
considerando la base teorica con la quale Giacomo Balla realizzò il suo lavoro.

La composizione e l’inquadratura
La ringhiera del balcone, con le inferriate verticali disposte in modo regolare, equilibra le immagini
ripetute della bambina. Il movimento parte da sinistra procedendo verso destra. Inoltre
l’inquadratura prevede che l’immagine sia solamente una porzione dell’intero movimento. Infatti a
destra e a sinistra le figure sono tagliate. Si immagina quindi una continuità dell’azione e un suo
precedente inizio oltre la tela.
Il formato di Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla è quadrato. L’inquadratura centrale
favorisce quindi la lettura istantanea di una porzione di movimento. Infatti, un formato panoramico
avrebbe reso maggiormente l’idea di una sequenza osservata per il suo completo svolgersi. La
composizione è quindi centrale considerato che il soggetto ritratto occupa omogeneamente tutto il
piano pittorico. Lo spazio non viene rappresentato con le prospettive tradizionali quindi esiste
solamente un piano di rappresentazione. In ogni caso l’inferriata del balcone viene rappresentata in
leggero sfondo. Si può quindi considerare in secondo piano rispetto alla bambina. L’inquadratura è
di tipo fotografico e con il taglio ai bordi laterali presuppone la continuità oltre il dipinto.
Gli equilibri compositivi
Non si può considerare la presenza o meno di una simmetria rispetto alla verticale in senso
tradizionale. Comunque se si considerano le masse dei volumi e dei colori il dipinto presenta una
omogeneità di distribuzione. Gli equilibri tra le masse, le figure apparenti e le masse cromatiche
sono ben calcolati e l’immagine risulta stabile. Nonostante questo il fine principale di Balla fu la resa
del dinamismo. Quindi Bambina che corre sul balcone rappresenta la dinamicità che però non si
esprime dal punto di vista strutturale-compositivo.

La comprensione del dipinto risulta invece dalla conoscenza e dalla interpretazione dell’opera
secondo le teorie di Balla. La sua direzione è quindi indicata dallo sviluppo della figura, verso destra.
Inoltre, la scansione ritmica delle immagini ripetute suggerisce il movimento. Infine, la sagoma della
bambina è visibilmente rivolta in tale direzione.

Approfondimenti. Il Futurismo di Giacomo Balla


Il 20 febbraio 1909, in Francia, venne pubblicato il “Manifesto della letteratura futurista” sul
quotidiano Le Figaro di Parigi. Furono, così, enunciati i principi della corrente che si opponeva alla
tradizione e alla cultura borghese dell’epoca. Gli artisti che aderirono al Futurismo fecero proprie le
idee di fondo tra le quali il dinamismo rappresentato con lo svolgersi dell’azione. Vennero così
pubblicati il Manifesto dei pittori futuristi nel febbraio del 1910 e il Manifesto tecnico della pittura
futurista nell’aprile dello stesso anno. Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo
e Gino Severini furono i primi artisti a dare vita al gruppo. Balla, maestro di Boccioni e Severini,
all’epoca aveva circa quarant’anni mentre gli altri artisti erano tutti più giovani di lui. Le prime
mostre vennero organizzate a Milano una città dall’ambiente culturale molto tradizionale.

Nel 1909 si tennero alcune mostre di pittori futuristi a Parigi, Londra e Berlino. Nel testo che
introduce il catalogo venne dichiarato proprio tale principio come fondamentale urgenza espressiva.
Inoltre fu anche specificato che il Futurismo si poneva in netto contrasto con il Cubismo, basato
invece su di una visione statica della realtà. Alla mostra organizzata nel 1912 presso la Galerie
Bernheim Jeune di Parigi, Balla non partecipò.

Giacomo Balla
Giacomo Balla, nato nel 1871 e morto nel 1958, condusse una personale ricerca sulla persistenza
dell’immagine sulla retina. Diversamente da lui Boccioni si concentrò nell’intento di rappresentare
il dinamismo plastico delle figure. La sua visione portò così a dipingere una sintesi della simultaneità
del movimento. Lo stesso procedimento di Boccioni venne adottato da Carlo Carrà e Gino Severini.
La ricerca sul movimento organico di Balla culminò proprio con Bambina che corre sul balcone che
fu preceduta da Dinamismo di un cane al guinzaglio e Le mani del violinista. Dal 1913 Balla iniziò poi
ad indagare il movimento meccanico per arrivare alla rappresentazione della smaterializzazione dei
corpi causata dalla velocità.
Il corteo della gran bambola
di Depero Fortunato

DESCRIZIONE:
"Il corteo della Gran Bambola", esposto nel 1921 a Milano e nel 1923 a Monza, fu commissionato
da Umberto Notari nel 1920. Nel catalogo della mostra di Monza del 1923, l'arazzo viene così
descritto: "Maschere baffute, scudate, con enormi mazze, maschere con bandiere formano un
giocondo corteo ritmico a una gigantesca statua mutilata di bambola. In secondo piano un enorme
castello parallelepipedo e dietro, corteo di pagliacci". Il ricorso a motivi decorativi d'ispirazione
orientaleggiante è qui evidentissimo e va ricollegato con l'esperienza caprese e l'amicizia di Gilbert
Clavel, con gli esiti del “Teatro Plastico”, con le marionette e gli automi del “Teatro Magico”,
ispirate al mondo dell'infanzia, ma anche in debito con certa iconografia popolare russo-orientale,
ben nota a Depero grazie alla frequentazione, ancora nel 1916-17, dell'ambiente dei Balli Russi
PRIMO ACQUERELLO ASTRATTO di Vasilij Kandinskij

Con il Primo acquerello astratto di Vasilij Kandinskij si apre un capitolo nuovo nell’arte
occidentale. Gli artisti si esprimono attraverso gli elementi fondamentali del linguaggio
figurativo.Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, acquerello inchiostro su carta, cm
49,6 X 61,8. Parigi, Centre Pompidou
Con il primo acquerello astratto, Vasilij Kandinskij rinuncia alla rappresentazione della realtà
fisica. Viene eliminato qualsiasi riferimento al mondo visibile. Questo genere artistico viene
chiamato non figurativo o astratto. Vasilij Kandinskij é il primo artista che inizia a portare avanti
una sua ricerca di figurazione astratta.

UNIVERSO DI SEGNI E E MACCHIE COLORATE


L’artista, musicista, utilizza una sintesi tra linguaggio della musica e linguaggio vivo per creare
immagini di nuova concezione. Nel Primo acquerello astratto, Vasilij Kandinskij cerco di
comunicare stati d’animo ed emozioni. È quindi una ricerca non legata, esclusivamente, ad una
intenzionalità formale di rinnovamento linguistico. Per suscitare emozioni e stati d’animo l’artista
utilizza colori linee punti e macchie organizzati in modo armonico e secondo un principio musicale.
LE RADICI DEL PRIMO ACQUERELLO ASTRATTO DI KANDINSKIJ
SONO DA RICERCARSI NELLE SPERIMENTAZIONI CUBISTE E
FUTURISTE
Non solamente i pittori cubisti come Picasso e Braque o futuristi come Boccioni e Balla si spinsero
a creare immagini al limite comprensione visiva. Anche l’impressionista Monet, nei suoi ultimi
anni, con i quadri sulle ninfee, riuscì a creare dipinti che si avvicinavano ad una resa astratta. Il
riferimento al mondo visivo al reale, però, rimane sempre presente. Nel primo acquerello astratto,
Vasilij Kandinskij decide, volontariamente, di eliminare qualsiasi riferimento al mondo fisico. Le
linee, le macchie e i segni rappresentano solamente se stessi. Questi elementi fanno parte del
linguaggio visivo di base. Fu lo stesso Vasilij Kandinskij a creare il proprio linguaggio scrivendo
saggi sulla sua poetica creativa. Famoso il suo testo intitolato “Punto linea e superficie”.

COLORI E FORME
La superficie dell’acquerello è occupata interamente da macchie di colore giallo arancio, giallo e
bruno. Alcune macchie risultano più corpose e attirano l’attenzione, ancorando la composizione a
se. In alto, due pennellate gialle, due grosse macchie arancione si integrano con segni e macchie
più scure a formare un agglomerato di maggiore importanza rispetto agli altri. Altri segni e
macchie sono disposti lungo una parabola che parte dall’angolo sinistro in alto. La costellazione
scende verso il centro e risale verso l’angolo destra in alto. Non essendo più verificabile alcun
elemento figurativo del mondo reale e il ritmo è la disposizione dei segni che da’ senso alla
composizione. Primo acquerello astratto è da apprezzarsi rispetto alla armonizzazione dei colori
tra di loro. Poi, rispetto alle linee compositive che si creano con la disposizione delle forme sul
piano bidimensionale, in relazione con segni e macchie colorate.

Nel 1938 Vasilij Kandinsky dipinse Ammasso


regolato (in altri testi l’ho trovato titolato
con Insieme multicolore) «In questo modo l’arte
astratta pone accanto al mondo reale un nuovo
mondo che esteriormente non ha nulla a che fare
con la realtà»; Kandinsky osserva le cose con uno
sguardo interiore che penetra attraverso «il duro
involucro, la forma esteriore e giunge all’interno
della cosa, facendoci percepire il suo pulsare
interno con tutti i nostri sensi».
Case rosse e gialle a Tunisi di Paul Klee

A Tunisi scrive: “La testa piena


delle impressioni di ieri sera. Arte
– Natura – Io. Mi metto subito
all’opera e dipingo all’acquarello
nel quartiere arabo. Affrontata la
sintesi architettura edile –
architettura del dipinto. In quella
prima pittura, non ancora
decantato ma ricco di stimoli,
molto dello stato d’animo del
viaggio e dell’entusiasmo provato.
Appunto, il mio io. Esso diverrà
più obiettivo più tardi, quando la
bella nuvola sarà dispersa. E se
“August è subito in vena”, Paul si
ferma spesso, osserva, pensa. O
resta semplicemente incantato. Così la domenica di Pasqua del 12 aprile a St. Germain, sempre
vicino Tunisi: “Sera di un bello indescrivibile. Si leva poi anche la luna piena. Louis mi incita a
ritrarre la scena. Gli rispondo che sarebbe tutt’al più un esercizio. È ovvio che di fronte a questa
natura io sia incapace. Eppure so qualcosa più di prima. Avverto la distanza fra la mia incapacità e
la natura. È un problema interiore, da risolversi nei prossimi anni.”

Insula dulcamara
Quadro di grande sensibilità cromatica, nei
passaggi graduali dai verdi agli azzurri ai rosa
realizza una sensazione atmosferica come di
visione aerea di terre e mare. In questa delicata
cromia inserisce dei tratti neri molto netti, la
cui somiglianza con le scritture arabe è fin
troppo evidente. Ma in realtà sono segni che
materializzano sprazzi di immagini, quale il viso
stilizzato al centro del quadro, quasi come apparizioni di volti che si nascondono alla vista. La
sensazione di esotico è decisamente chiara, ed è un risultato cercato con un linguaggio decisamente
originale, fatto, come era rigoroso in una pittura di matrice astratta, solo di segni e colori.
COMPOSIZIONE 10, PIET MONDRIAN, 1915

(molo e oceano)
L’artista attraverso una moltitudine di
croci d i grandezze diverse ha cercato di
presentare il mare, il cielo, le stelle e di
tradurre l’espansione, il riposo e l’unità,
tipiche del paesaggio marino.
Il dipinto, del 1915 si colloca nel periodo
post-cubista, Mondrian elabora una
nuova forma basata sull’abbandono
progressivo di linee curve e oblique per
passare a brevi segmenti retti.

QUADRO 1, 1921
Nel periodo fra le due guerre mondiali Piet Mondrian ebbe la
tranquillità sufficiente per elaborare lo stile che lo ha reso noto
anche tra i designer.

LO STILE

Il dipinto del 1921, come gli altri della serie, è frutto di una
ricerca linguistica che Mondrian condusse a partire dal 1910.
L’artista, trentenne, avvicinatosi alla disciplina spirituale
chiamata Teosofia fu spinto a praticare una pittura rispondente
ai principi della dottrina. Partendo da opere figurative simboliche
come Evoluzione del 1910-1911 Mondrian cercò nelle
Avanguardie un esempio di linguaggio nuovo. Albero rosso è un
esempio di opera vicina alle esperienze Fauves. Con Albero
grigio, l’artista, abbandona il colore e cerca una sintesi formale
attraverso il Cubismo.
L’abbandono della figurazione naturalistica avviene con Melo in fiore mentre nella serie di
disegni Ocean il colore si perde del tutto. Nel 1917 Mondrian fondò la rivista De Stil insieme ad
altri artisti e dipinse opere con una progressiva riduzione di elementi linguistici. Nel secondo
dopoguerra giunse a dipingere opere come Composizione con rosso, giallo e blu nelle quali
sopravvivono i reticoli ortogonali, le spesse linee nere e le campiture equilibrate di colori primari
bidimensionali.

IL COLORE

Nel dipinto Mondrian utilizzò solamente i colori primari, legati ad una precisa simbologia
spirituale. Il giallo legato all’energia solare, il rosso l’unione tra luce e spazio, infine, il blu,
simbolico della spiritualità.

LA COMPOSIZIONE

L’equilibrio universale, secondo la teoria teosofica, ispira una vita corretta. Quindi, Mondrian creò
composizioni molto equilibrate distribuendo in modo accorto le righe verticali e orizzontali per
ottenere campiture dalla grandezza armonica. Inoltre, distribuì i colori variando la grandezza delle
forme geometriche per creare un equilibrio di pesi nella composizione.

Quadro 1 mette in evidenza con efficacia il personalissimo stile del pittore. Poiché l'arte deve
risultare universalmente comprensibile, Mondrian adotta un rigoroso linguaggio geometrico e, alla
ricerca di una totale purezza neoplastica, restringe le possibilità visive alla sola linea retta, sintesi di
tutte le altre forme. L'utilizzo di linee tra loro perpendicolari crea un rapporto stabile e immutabile
grazie al loro incontrarsi nell'angolo retto. Allo stesso scopo il colore emerge con forza dalle
campiture bianche, contornate dai rigorosi segni neri che strutturano lo spazio dell'immagine. Come
in tutte le composizioni di questa serie, l'artista ha limitato la tavolozza ai soli colori primari, come
il rosso, il giallo, il blu, in quanto rappresentavano per lui l'essenza elementare di tutte le variazioni
possibili. Per Mondrian il ricorso alla geometria non rappresentava la fredda applicazione di uno
schema perfetto e matematico, ma la ricerca di un ritmo vitale e universale. Inoltre, l'applicazione
piatta e totalmente uniforme del colore rende indistinguibile anche a una visione ravvicinata il
disporsi delle singole pennellate.
L.H.O.O.Q. La Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, 1919

Per dimostrare al mondo le teorie del movimento dadaista Marcel Duchamp, interviene sull’opera
d’arte più famosa al mondo e compie il gesto dissacrante di disegnare i baffi sul volto della Gioconda.

NEL 1906 NASCE IL MOVIMENTO DADA

Sono gli artisti che si ritrovano abitualmente nel locale, antimilitaristi e anarchici, che decidono di
far sentire la propria voce all’europa. La Svizzera era il luogo ideale per rifugiarsi allo scoppiare della
prima guerra mondiale. La Gioconda coi baffi di Duchamp è il dipinto che divenne un’icona del
movimento Dada. Marcel Duchamp utilizzò un’icona già nota per dare maggior risalto al suo
messaggio irriverente. L’immagine della Gioconda, riprodotta attraverso il medium fotografico,
viene semplicemente manipolata con due baffi e il pizzetto in L.H.O.O.Q. (Elle a chaud au cul ). Per
capire la profondità del gesto dadaista occorre, come nel caso di tutte le avanguardie, conoscerne i
presupposti.

LA PROVOCAZIONE DADAISTA DI
DUCHAMP, LA GIOCONDA CON I
BAFFI

Gli artisti dadaisti, e gli scrittori, furono


sostenitori di una controcultura di carattere
provocatorio e dissacrante. Il loro bersaglio era
la società occidentale ufficiale e il potere
amministrativo, politico, militare e
accademico. Il loro scopo era quello di
denigrare i valori di queste istituzioni e
infrangere le loro regole. I dadaisti volevano
portare avanti una rivoluzione pacifica e
concettuale per sostituire ai linguaggi ufficiali
una poetica che legittimasse la completa
libertà creativa. Già la scelta del nome Dada
sintetizza questa loro volontà. La natura e
l’origine del termine non sono mai stati chiariti.
Le due versioni più accreditate sono quelle di
una scelta casuale all’interno di un dizionario.
La seconda versione, invece, indica nella parola
Dada un termine privo di significato. In ogni
caso pare che il riferimento fosse ai primi
tentativi di fonazione infantili. In Germania, anche gli espressionisti come Otto Dix portavano avanti
la loro condanna della guerra.

IL READY-MADE DI MARCEL DUCHAMP. UNA GIOCONDA PORTATILE

Marcel Duchamp realizza L.H.O.O.Q. la Gioconda con i baffi coerentemente con le idee del
movimento dadaista. Utilizza una immagine istituzionalmente accademica e considerata icona
dell’arte ufficiale. Compie su di essa una azione di grafica infantile, irrisoria e dissacrante. Si rifiuta,
quindi, di produrre arte in modo tradizionale creando immagini. Il rifiuto è diretto verso la
rappresentazione reale come la rappresentazione astratta. Viene, infatti, messa in discussione
l’attività tradizionale dell’artista nel creare immagini.

UNO SCARABOCCHIO INFANTILE SULL’ICONA DELL’ARTE UNIVERSALE

La tecnica utilizzata da Marcel Duchamp è, piuttosto, una pratica chiamata Ready Made, (già fatto).
L’artista Individua oggetti di uso quotidiano o opere d’arte e come nel caso della Gioconda con i
baffi li presenta in un nuovo contesto. Nel caso della Gioconda un intervento grafico su una
fotografia. In altri casi oggetti presi e capovolti o esposti con un orientamento non solito per la loro
funzione. La condizione principale per questa operazione di ready made è quella di collocare gli
oggetti all’interno di uno spazio artistico. Si tratta quindi di un’operazione concettuale.

Fontana (Urinoir) di Marcel Duchamp

Il più celebre ready made di Marcel


Duchamp è Fontana (Urinoir).
Sull’opera sono state avanzate
molte interpretazioni e sono stati
scritti molti saggi. L’operazione
di Duchamp rimane ad oggi una
grande provocazione sul ruolo
dell’arte e dell’artista.
Marcel Duchamp, Fontana
(Urinoir), 1917, ready-made,
terracotta bianca ricoperta di
smalto e vernice ceramica, cm 63 x
48 x 35. Parigi, Musée National
d’Art Modern, Centre Pompidou
Descrizione
L’orinatoio a parete poggia su di un basamento ruotato di 90 gradi. La base è infatti la parte
destinata ad essere ancorata al muro. Il manicotto in basso è il foro predisposto per ricevere la
mandata dell’acqua. Di lato simmetricamente si notano i sostegni che devono essere fissati al
muro. I fori che creano una struttura lineare a 4 e un triangolo a 6 sono invece gli scoli.

Interpretazioni e simbologia

Per via dell’importanza iconica e il valore di feticcio dell’opera si sono fatte nel tempo molte
interpretazioni di Fontana di Marcel Duchamp. L’artista potrebbe aver voluto denigrare l’idea
d’arte facendola coincidere con un orinatoio. Si è anche voluto vedere la forma della testa velata
di una Madonna rinascimentale nel profilo dell’oggetto rovesciato. In altri casi si sono scomodate
altre figure religiose o opere d’arte. Anche la firma è stata oggetto di ipotesi. Al di là della
correttezza o meno delle interpretazioni dell’oggetto, Fontana ha influenzato molta della cultura
occidentale nella seconda parte del Novecento.

La storia dell’opera
L’opera originale non fu mai esposta al pubblico ed è perduta. Probabilmente fu gettata dal
fotografo che la documentò per l’articolo. L’oggetto che Marcel Duchamp scelse per l’operazione
di ready made era un orinatoio poi firmato Richard Mutt e intitolato Fontaine. Divenne quindi un
feticcio nel mondo dell’arte ed è una delle opere di rottura più note del ventesimo secolo.
Vennero realizzate, a partire dal 1964, sedici versioni del ready made Fontana.
La storia dell’opera non è chiara e non vi sono significativi documenti a riguardo. Di certo è
che Marcel Duchamp giunse negli Stati Uniti nel 1915. Divenne in seguito uno dei più importanti
artisti legati al Dada. L’idea di creare Fontana, secondo alcune fonti, risale all’acquisto di un
orinatoio modello Bedfordshire a New York. Marcel Duchamp una volta giunto nel proprio studio
ruotò l’oggetto di 90 gradi e lo firmò con la celebre scritta R. Mutt 1917. Secondo altre
versioni Fontana fu realizzato di una collaborazione con un’amica che inviò a Duchamp l’oggetto
già trasformato nella sua concezione finale.
Le muse inquietanti di Giorgio De Chirico, 1918

Le Muse inquietanti è il titolo di un famoso dipinto


di Giorgio De Chirico nel quale sono presenti tutte le
tematiche che caratterizzano la pittura Metafisica. I
manichini rappresentano una citazione classica. La
piazza deserta, sulla quale si affacciano una fabbrica
e il castello di Ferrara crea un ponte inquietante tra
passato e presente.
L’abito scende a terra formando quattro pieghe
volumetriche che ricordano il fusto della colonna di
sinistra. Le parti che rappresentano le braccia, poi,
sono unite sulle gambe e sembrano conserte. Il
torace, infine, è aperto e mostra un’apertura scura
mentre al posto della testa vi è il pomello di un
manichino. Ad indicare che si tratta di uno strumento
da sartoria vi sono le impunture tratteggiate lungo la
struttura. Di fronte ad esso una scatola decorata con
forme triangolari è dipinta in obliquo.
Tra i due manichini si trova un palo infisso sul
palcoscenico. Appoggiata alla statua seduta, alla sua
destra, si trova una maschera tribale. In secondo piano, più arretrata si può osservare una terza
statua, in ombra, con fattezze umane ma con la stessa testa arrotondata. Sul fondo del palcoscenico
si riconoscono il castello estense di Ferrara, a destra. Sulla sinistra invece, si riconosce una fabbrica
con due ciminiere.

LO STILE
Giorgio de Chirico abbandona il linguaggio sperimentale dei futuristi rivolto a celebrare la velocità
e la complessità del mondo moderno, per recuperare classicità. Del tutto contraria alla
rappresentazione del movimento futurista, nella Metafisica, viene celebrata l’immobilità della
tradizione e delle opere da museo. Caratteristiche della pittura metafisica sono le citazioni classiche
che si concretizzano con forme statuarie. Infatti la base del manichino di destra ricorda il fusto di
una colonna. Sul busto di pietra è scolpito un abbigliamento che ricorda le statue greche.

LO STILE. UN PONTE METAFISICO TRA PASSATO E PRESENTE


La seconda caratteristica più evidente, che ha dato il nome al movimento, è l’inquietante assenza di
vita nei dipinti. Il titolo Le Muse inquietanti allude alla presenza fisica di personaggi della mitologia
classica. Nonostante il dipinto sia privo di figure umane, è evidente che Le Muse inquietanti siano
rappresentate dai manichini inanimati e composti. Questa ulteriore citazione classica ricorda le
divinità che proteggevano le arti nel mondo antico. Forse, i manichini sono anche le personificazioni
di artisti visionari e profetici. L’accostamento del mondo classico con la tradizione architettonica
italiana, che rappresenta la storia, con quello dell’Industria crea un ponte tra passato e presente
moderno. Sovrintendono a questa operazione creativa e spirituale proprio Le Muse che in modo
inquietante ispirano gli artisti.
IL COLORE E LA LUCE
I colori utilizzati da De Chirico per il suo dipinto Le Muse inquietanti sono caldi e intensi. Domina
l’arancio ocra del palcoscenico che viene utilizzato in una forma più satura sul castello di Ferrara,
nella testa del manichino di sinistra e sulla maschera tribale. Anche le ciminiere della fabbrica hanno
un tono marrone tendente all’arancio. Il blu molto saturo, che colora la scatola, che fa da sedile ad
un manichino, è complementare all’arancio e quindi risulta molto evidente. È forse il colore che più
spicca per vivacità all’interno del dipinto. La scatola in primo piano, disegnata obliquamente,
possiede due triangoli, nuovamente, in contrasto di complementari, il verde e il rosso. Il giallo che
colora uno degli spicchi della sua parte superiore è la parte più luminosa del dipinto. L’illuminazione
netta e intensa, come in tutte le opere metafisiche, arriva da destra e segna profonde ombre
ritagliate sul palcoscenico verso sinistra.

LO SPAZIO. PROSPETTIVE GEOMETRICHE INQUIETANTI


Lo spazio fisico è descritto da Giorgio De Chirico, prima di tutto, come la fuga delle assi del
palcoscenico che corrono verso il fondo e si incontrano in un punto che si trova a metà tra le due
torri centrali del castello di Ferrara. Nonostante la forte geometrizzazione dello spazio le scatole
possiedono fughe prospettiche diverse. In realtà sono rappresentate con prospettive
assonometriche diversamente la prospettiva centrale utilizzata per il palcoscenico.
Anche il castello e la fabbrica possiedono una certa fisicità geometrica, se pure limitata allo sfondo
del dipinto. La sovrapposizione delle figure, opera nel costruire lo spazio solo nel confronto tra il
manichino di sinistra con la fabbrica. Infatti, i manichini e gli altri oggetti di scena sono disposti in
modo isolato e descrivono lo spazio attraverso la loro disposizione in profondità e verso l’alto del
dipinto. Questi indicatori spaziali e di profondità utilizzati, parzialmente, in modo incoerente creano,
appunto, l’impressione di incoerenza spaziale e quindi di inquietudine metafisica.

LA COMPOSIZIONE E L’INQUADRATURA
Le Muse inquietanti si sviluppa in altezza e sottolinea la verticalità del manichino di sinistra. La linea
compositiva procede in modo spigoloso a partire dalla scatola rappresentata verso destra. Si
trasferisce verso il manichino di sinistra quindi procede obliquamente, in profondità verso la statua
in ombra. Procede, quindi, a zig-zag verso il fondo. Il castello Estense di Ferrara chiude l’orizzonte
con la sua massa imponente, invece, a sinistra, la fabbrica suggerisce che lo spazio prosegua oltre il
bordo del dipinto. L’inquadratura incornicia senza tagli, in modo classico e tradizionale, tutte le
figure dell’immagine. In primo piano l’ombra che nasce dal bordo di destra, in basso, presuppone la
presenza di un altro oggetto verticale. Anche l’ombra che taglia il palcoscenico a destra e mette in
ombra la statua suggerisce la presenza di una quinta o di una architettura
IL TRADIMENTO DELLE IMMAGINI DI RENÉ MAGRITTE,
1929

Ceci n’est pas une pipe, ossia “questo non è una pipa”.
Eppure quella che stiamo guardando è proprio una pipa.
E’ forse questa la negazione di una palese realtà?
No, non lo è.
Possiamo forse prenderla, riempirla di tabacco e fumarla?
Ovvio che no, questo è un quadro (ecco perché usa “ceci”, aggettivo maschile, e non “cette-ci”
come sarebbe più corretto per la pipa) che rappresenta un oggetto che conosciamo e
riconosciamo guardandolo, ma al tempo stesso questo oggetto non è reale, è immateriale.
Il titolo del quadro è “La Trahison des images”, ossia il “tradimento delle immagini”: non tutto
quello che vediamo è quello che sembra.
Un concetto filosofico impartitoci da un maestro del surrealismo che lancia una sfida alla
convenzione linguistica dell’identificare l’immagine di un qualcosa come quel qualcosa in
sé. Magritte ci mette davanti questo paradosso, facendoci riflettere su quanto sia complessa la
comunicazione e di come la società abitualmente guarda le cose in maniera superficiale.
“Ceci n’est pas une pipe” è una provocazione, con un testo sintetico che richiama lo stile
pubblicitario (Magritte iniziò la sua carriera come grafico), che ci ricorda la differenza tra la realtà
tangibile e l’impalpabile rappresentazione di essa.
L’impero delle luci di Maigritte

L’impero delle luci venne realizzato da Magritte nel 1954, usando la tecnica dei colori a olio su una
tela di 146 per 114 centimetri. In realtà esistono diverse versioni di questo dipinto: la prima, del
1950, conservata nel Museum of Modern Art di New York; la seconda, del 1954, esposta al Musées
Royaux des Beaux-Arts in Belgio; una terza, opera realizzata nel 1967 e conservata in una
collezione privata.
Quella di cui parleremo è del 1954 ed è oggi esposta presso la Collezione Peggy Guggenheim a
Venezia.
L’immagine è quasi fin troppo semplice, e sicuramente vi domanderete perché riesce tanto ad
affascinare. Apparentemente vediamo una villetta che sembra un po’ isolata nel verde, immersa in
una profonda e totale oscurità. Le uniche cose che attenuano il buio, sono delle luci artificiali
provenienti dall’interno di alcune camere della villetta e da un lampioncino che rischiara il giardino
esterno e il laghetto antistante. A un primo sguardo, ci pare una perfetta raffigurazione di un
normale paesaggio con dettagli quasi fotografici.
La persistenza della memoria di Salvador Dalí, 1931, New York
(MoMa)

Descrizione
All’interno di un paesaggio
fantastico sono disposti alcuni
oggetti irreali. Dominano la scena
alcuni orologi dalla consistenza
deformata. Sono chiamati, infatti,
orologi molli. Pur segnando ancora
il tempo, sembrano aver perso la
loro solidità. Sopra al
parallelepipedo dipinto a sinistra,
un orologio è poggiato per una
metà sul piano. Sopra di esso, si è
appoggiata una mosca che crea
una lunga ombra verso le dodici. La
metà inferiore, invece, pende
mollemente lungo il fianco del solido. Un altro orologio, con la cassa però chiusa, è poggiato più a
sinistra. Su di esso alcune formiche, grandi e piccole, creano un motivo decorativo.
Verso il bordo posteriore del solido, un esile tronco morto si alza verso il cielo e un suo ramo sostiene
un altro orologio che pende verso il basso. Sul terreno, un essere mostruoso composto da un grande
occhio chiuso, con lunghe ciglia, sopracciglia e la lingua al di fuori porta come una groppa un altro
orologio. Verso il fondo dello spazio rappresentato, si apre uno specchio d’acqua. A destra, alcuni
faraglioni avanzano verso l’acqua. A sinistra, invece, è dipinto un piano geometrico che avanza verso
la riva. Il cielo è limpido e privo di nubi.

Interpretazioni e simbologia
Oltre alla spiegazione data dall’artista, si può immaginare che gli orologi molli rappresentino la
relatività della percezione temporale. Ognuno di noi, infatti, ha una propria sensazione temporale
rispetto alle medesime situazioni. Ogni orologio, inoltre, segna ore diverse.

La storia dell’opera
La persistenza della memoria è uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì. Gli orologi molli sono
degli oggetti che caratterizzano questo e altri dipinti. Nelle opere di Salvador Dalì, infatti, furono
rappresentati in modo costante alcuni oggetti dalle forme strane e ibride. Dalì diede una
spiegazione di come elaborò questa forma. L’artista si trovò ad osservare una fetta di formaggio che
si stava sciogliendo al sole. Questa visione gli ispirò l’idea degli orologi molli che subito dipinse sulla
tela. L’immagine che stava dipingendo rappresentava un paesaggi o di Port Lligat, in
Spagna. Salvador Dalì, al momento della realizzazione dell’opera viveva in tale località con la
compagna Gala.
Il Carnevale di Arlecchino - Joan Mirò

Dopo il periodo
impressionistico, Joan Mirò si
dedica al Surrealismo. Una delle
opere più rappresentative di
questo periodo è “Il Carnevale di
Arlecchino”, un dipinto realizzato
dal pittore e scultore spagnolo nel
periodo che va dal 1924 al 1925.

Breve storia e analisi del


quadro
Nella sua opera sono evidenti le
impronte surrealiste, dato che il
pittore, dopo la Prima Guerra
Mondiale, aderì alla corrente artistica. Il dipinto venne realizzato prima che Breton scrisse il
“Manifesto surrealista” e venne interpretato come un “chiarimento del subconscio umano”. Venne
definito uno dei capolavori del movimento surrealista perché esprime gli obiettivi e i traguardi di
questo movimento culturale molto diffuso nella cultura del Novecento, che nasce come evoluzione
del Dadaismo.
Nell’opera è evidente il gusto per la vivacità cromatica e il senso del fantastico di tradizione
mediterranea. L’artista non rappresenta più, come nel precedente “La fattoria”, la realtà visibile,
ma solo quella del suo inconscio. Joan Miró utilizza nella sua opera uno stile sempre più marcato, si
distacca dalla pittura convenzionale e mette in atto la tecnica surrealista dell’automatismo psichico,
che mette a dura prova il corpo per permettere all’immaginazione di perdersi in visioni fantastiche
e surreali. Nell’opera è evidente il gusto per la vivacità cromatica e il senso del fantastico di
tradizione mediterranea. L’artista non rappresenta più, come nel precedente “La fattoria”, la realtà
visibile, ma solo quella del suo inconscio. Joan Miró utilizza nella sua opera uno stile sempre più
marcato, si distacca dalla pittura convenzionale e mette in atto la tecnica surrealista
dell’automatismo psichico, che mette a dura prova il corpo per permettere all’immaginazione di
perdersi in visioni fantastiche e surreali.
Nel suo dipinto, possiamo ammirare un gatto, un tavolo, un pesce ed una scala. Dalla finestra, si
intravede un triangolo nero che emerge e che simboleggia con tutta probabilità la bellissima Tour
Eiffel. Nel quadro, si notano anche minuscole forme in un grande spazio vuoto, note musicali, oggetti
fantastici, piccole figure indecise tra l’essere umano e l’animale ed infine un cerchio verde trafitto
da una freccia sottile, posto su di un tavolo, che simboleggia probabilmente un mappamondo. Nel
dipinto compare ancora una volta la scala a pioli, ricorrente nei suoi lavori. E’ evidente che la scala
simboleggia la fuga dalla realtà e rappresenta un trampolino di lancio che parte dalla realtà e va
oltre: è la fantasia, il surreale. Gli animali sono quelli che lui ha sempre rappresentato e amato, il
gatto è quello che era sempre al suo fianco anche quando lui dipingeva, il triangolo fuori dalla
finestra rappresenta la Tour Eiffel (il monumento più famoso di Parigi) e la sfera che simboleggia
la Terra attraverso un mappamondo.
Crocifissione di Renato Guttuso, 1941
Nel 1938 Ernesto Treccani (Milano 1920-2009) fonda la rivista “Corrente di Vita Giovanile”;
attorno a essa si forma il gruppo di Corrente.

La rivista riunisce giovani intellettuali iscritti alle associazioni giovanili fasciste e personalità più
sbilanciate verso posizioni liberali o marxiste. Malgrado la formazione eterogenea, il loro obiettivo
è comune. Essi si oppongono alle più recenti scelte politiche del regime fascista, che portano
all’alleanza con la Germania, alla promulgazione delle prime leggi razziali e, di fatto, alla
partecipazione all’imminente conflitto (la Prima guerra mondiale).
Si propongono, invece, di promuovere la libertà culturale e di sviluppare un nuovo rapporto con la
realtà.

Dal punto di vista artistico, le


personalità che convergono attorno
a Corrente si oppongono allo sterile
classicismo del
movimento Novecento (propugna il
ritorno alla figurazione realistica e il
recupero delle radici artistiche nel
passato storico, soprattutto nella
tradizione trecentesca e rinascimentale)
per recuperare un dialogo con l’Europa
e con la contemporaneità. Guardano
all’Espressionismo, soprattutto a Van
Gogh, a Ensor e alla pittura Fauve, ma
anche al Realismo
francese dell’Ottocento e al grande
esempio picassiano di Guernica. Lavorando attorno a temi attinti dall’iconografia religiosa, come
la Deposizione e la Crocifissione, gli artisti di Corrente parlano del presente e del dramma della
guerra. Coniugano impegno politico e rinnovamento linguistico.
Nel gruppo Corrente si annovera anche Renato Guttuso (Bagheria, 26 dicembre 1911 – Roma, 18
gennnaio 1987), autore di una celebre Crocifissione.
Descrizione

Crocifissione di Renato Guttuso esprime la tragedia della guerra attraverso il tema sacro
della crocifissione. Punto di riferimento sembra essere Guernica di Pablo Picasso, sia per la forza
di opposizione che il dipinto esprime sia per la sua grande valenza comunicativa.
Il dipinto, che partecipò nel 1942 al Premio Bergamo, suscitò polemiche per il modo
anticonvenzionale con cui è trattato il soggetto: Cristo non è in primo piano, ma ha lo stesso rilievo
dei due ladroni. Si distingue per il corpo nudo e vagamente erotico della Maddalena allungato
lungo la croce (quest’ultima scelta valse all’autore l’appellativo di pictor diabolicus).
L’esasperazione del dolore è resa dai movimenti diagonali e divergenti, che danno un tono
convulso alla rappresentazione, sottolineato dalla violenza dei colori, ma coerentemente accordati
tra loro.
Il tavolo in primo piano (vedi immagine in alto), la cui prospettiva è “inversa”, imprime un
improvviso senso di moto all’intera composizione.
L’affollarsi delle figure umane, schiacciate tra l’osservatore e il cupo paesaggio, dimostra come il
realismo di Guttuso sia tutt’altro che razionale, ma sia pervaso di ansia e di grande carica
espressiva.
Commenta Guttuso a questo proposito: «Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas,
forche, decapitazioni, Spagna, altrove. Voglio dipingere questo supplizio come una scena d’oggi».
Trittico della metropoli di Otto Dix, 1927

Quest’opera rappresenta al meglio la società tedesca negli anni della Repubblica di Weimar, età
d’oro della Germania dal punto di vista artistico, meno dal punto di vista politico e sociale, viste le
difficoltà del primo dopoguerra.

ANALISI DELL’OPERA

L’opera è costituita da tre grandi pannelli di compensato, alti 1,80 m e larghi, il centrale 2,00 m e i
due laterali 1,00 m. Nulla è casuale, infatti l’opera fu studiata in ogni dettaglio, e ogni decisione
presa dal pittore ha ragioni profonde. Il clima dei cabaret berlinesi è colto nella raffigurazione
centrale con tecniche forse eccessivamente realistiche tipiche della Nuova oggettività. Tracce di
espressionismo sono ben visibili nelle figure dai tratti caricaturali, nel trucco quasi da maschera e
nei colori violentemente marcati. Questa raffigurazione di una vita di piaceri e di eleganza ma
senza calore umano e senza gioia, infatti nell’opera nessuno sorride, è affiancata, ai due dipinti
laterali che la stravolgono. I dipinti laterali illustrano con taglio provocatorio due scene di vita
cittadina giocate sul contrasto tra degrado fisico e morale e lusso apparente. L’opera è dominata
dall'indifferenza. Indifferenza espressa nell'ala destra del trittico dal cadavere del soldato
abbandonato al suolo, ed ostentata dai passanti nei confronti del medicante, che in guerra ha
perso le gambe e il volto, nell'ala sinistra. Dix completò il quadro a Dresda, ma la città che vi è
rappresentata è Berlino dove, dopo essere tornato dal fronte, l’artista aveva vissuto fino a poco
tempo prima.
PILASTRI DELLA SOCIETÁ di George GroszI, 1926

Nei Pilastri della societá (1926) George Grosz


evidenzia tutta la sua vena satirica cogliendo,
con un’analisi spietata, le figure che meglio
rappresentano il potere nella societá: due
politici borghesi, un giornalista, un prete e dei
soldati. In ogni personaggio Grosz enfatizza le
fattezze, trasformando cosí i loro volti in ghigni
mostruosi che sembrano provenire da un
incubo.

Il militante in primo piano, con un boccale di


birra in mano e il simbolo della svastica sulla
cravatta, agguanta una spada e le sue idee
bellicose fuoriescono dalla scatola cranica
concretizzandosi in un cavaliere armato; il
politico alle sue spalle, il cui aspetto grasso e
flaccido tradisce il suo egoismo, ha un cumulo
di escrementi al posto del cervello; il
giornalista, che scrive ancora con una penna
con la piuma ad indicare il suo
conservatorismo, ha un vaso da notte al posto
del cappello; il prete, con naso e orecchie rosse
da ubriacone e gli occhi chiusi per non vedere,
sembra vivere felicemente scappando dai
problemi; infine i soldati sullo sfondo portano
morte e distruzione con caparbio rigore, infatti
un palazzo è già in fiamme.
L’artista opera, in ogni figura, una sintesi
formale, ma mantiene in modo molto preciso
alcuni dettagli che sono funzionali a livello
comunicativo.

Grosz usa l’arma della pittura per criticare la


situazione politico sociale della Germania nazista, una pittura brutale quanto i tempi che stava
vivendo.
Sacco 5P di BURRI, 1953

Medico, durante la seconda guerra mondiale,


Alberto Burri vive tutte l' esperienze negative
che un guerra possa offrire. Deportato come
prigioniero nel campo di Hareford (Texas), e
brutalmente colpito da questo capovolgersi di
eventi, Burri, decide di lasciare la professione
medica per dedicarsi interamente all'arte.
Colmo di dolore e provato dal drammatico
ambiente che lo circonda dove tutto è spento,
l'ex medico decide che è arrivato il momento di
curarsi.
Un sacco, un semplice e umile sacco di juta
(usato all'epoca per il trasporto di medicinali),
colpisce la sua attenzione: la salvezza di Burri.
Sofferenza, angoscia, disperazione, tormento.
L'artista mette tutto nel sacco, che taglia e
cuce, che strappa e rammenda. Non sono i
meccanici gesti di un medico qualsiasi ma è
l'anima di Alberto stesso a compierli; il dolore
dentro di lui è talmente grande che sente il bisogno di rigettarlo fuori, quasi a vomitarlo, e getta sul
sacco anche della vernice rossa, il colore che l'accompagna dall'inizio della sua sofferenza, il colore
delle ferite, il sangue umano. Tutta la sua fraudolente esistenza rappresentata da un sacco
macchiato e logoro, che urla dolore da tutte le parti. Ma che trasmette e vuole insegnare a chi
guarda:“ i tessuti lacerati dalla violenza”, la realtà di Burri che si fa arte e l'arte che si fa realtà. C'è
pathos, c'è orrore e crudeltà ma c'è anche meraviglia, difatti l'uso dei materiali usati dall'artista, se
pur apparentemente informi, fa si che nasca una perfezione cromatica e geometrica, in cui linee,
forme e colori sono assolutamente equilibrati ed equabili. La grandezza di Alberto Burri sta nel fatto
che esso, da una più totale sofferenza, sia riuscito a creare una svolta positiva che, in un contesto
del genere, rappresenta un grande esempio di forza e speranza.
Number 1 di Pollok

Pollock beveva, anzi dell’alcol fece


la sua dipendenza e a causa
dell’alcol morì prematuramente, a
soli 44 anni, guidando ubriaco a
folle velocità.

La tecnica del dripping

Dal 1947, Pollock iniziò ad


adottare materiali sino ad allora
poco adoperati, come lo smalto
opaco da imbianchini (duco) e la
vernice di alluminio, e a usare in
modo sistematico la tecnica del dripping, con la quale faceva gocciolare il colore direttamente sulla
tela stesa per terra. «Le nuove arti hanno bisogno di nuove tecniche», dichiarò Pollock in una
intervista del 1950. Attraverso il dripping, il pittore intendese riversare sulla tela la sua interiorità,
rendendola manifesta anche senza fare ricorso a un soggetto. D’altro canto, se un’opera manca di
soggetto non per questo dev’essere priva di significato. Anzi, secondo i sostenitori dell’Astrattismo,
l’assenza del soggetto può rendere più potente il significato recondito dell’opera stessa. Inoltre,
il dripping, che possiamo considerare a tutti gli effetti una tecnica gestuale, garantiva all’artista un
risultato immediato e gli consentiva una presa di contatto istantanea con l’opera che, a voler usare
un gioco di parole, era già “divenuta” pur nel suo “divenire”.

I grovigli cromatici

Nonostante l’adozione del dripping, i grandi quadri di Pollock non esprimono mai il caos, perché
l’artista non li dipinse a casaccio ma guidò, con mano esperta, lo sgocciolamento del colore dal
pennello, controllandone la direzione e l’intensità. Ne consegue che i suoi grovigli cromatici, metri
quadri di pura energia visiva, non respingono e non offendono ma catturano lo sguardo
dell’osservatore.

Con Pollock, il quadro è ormai lo specchio di un’azione, traduzione diretta di un’energia fisica,
emotiva e mentale. «Sul pavimento», affermò lo stesso Pollock, «mi sento più a mio agio, più parte
del quadro; posso camminarci intorno, lavorare da quattro lati diversi, essere letteralmente dentro
al quadro. […] Quando ci sono dentro, nel mio quadro, non mi rendo conto di quel che sto facendo.
È soltanto dopo un certo periodo, impiegato a, come dire, “far conoscenza”, che riesco a vedere che
direzione ho preso. E non ho paura a far cambiamenti, e neanche di distruggere l’immagine, perché
so che il quadro ha una vita sua e io non cerco che di farla venir fuori».
Number 61 Rust and Blue (1953) di Mark Rothko

Secondo il filosofo tedesco Gernot Böhme le atmosfere sono


sensazioni quasi oggettive riversate nello spazio. Lo spazio quindi
si definisce come ambiente emozionale, carico di stimoli
percettivi che generano umori, sentimenti e stati d’animo
nell’essere umano. L’atmosfera viene quindi generata dalla
relazione tra soggetto e oggetto. Questo rapporto non è solo
fisico ma soprattutto sensoriale e percettivo-psicologico, in
quanto determina l’aspetto qualitativo del nostro stato d’animo
in un luogo o davanti ad un oggetto.
La pittura di Rothko è la manifestazione del contatto con
l’universo sensibile, della ricerca dell’essenza stessa dei
sentimenti umani, dell’universo, della totalità e dell’infinito. A
questo proposito Rothko diceva: Una pittura vive quando il
pubblico la guarda. Si espande e acquista intensità nei sensi dell’osservatore, poi muore quando
rimane da sola.
Lo spazio emotivo è lo spazio atmosferico, infatti l’atmosfera è prodotta da emanazioni o come dice
Böhme, estasi, che il soggetto percepisce attraverso il contatto con un ambiente o un oggetto.
Difronte a un’opera di Rothko la nostra attività sensoriale percepisce l’atmosfera generata da questo
rapporto. Le opere di Rothko emanano attraverso la nostra interazione sensoriale, una atmosfera,
mettono in contatto con l’essenza stessa dell’umanità: angoscia, estasi, desiderio, terrore: tutte
sensazioni che determinano il nostro essere ‹umani›.
La pittura di Rothko è legata ai sentimenti universali, egli ha ricercato l’esperienza materiale del
mondo e dell’anima. Nelle sue opere l’atmosfera è generata dal rapporto tra l’osservatore e le
tonalità cromatiche intrise di sfumature, di luci e ombre. Attraverso l’esperienza dell’atmosfera si
può arrivare ad una sorta di stato di trascendenza, proprio perché le opere di Rothko portano ad
immergersi in uno stato contemplativo. Egli infatti affermava che la sua volontà era quella di non
dipingere per gli studenti o gli storici ma per gli esseri umani, per questo motivo ha passato la sua
vita a dipingere cercando di trasferire sulle tele le sensazioni umane.
Come una sorta di monaco o un filosofo trascendentale ha sottoposto la sua anima alla continua
ricerca dell’essenza umana, cercando di mostrarci aspetti dell’essere e della vita stessa che la scienza
ancora non può spiegare fino in fondo, poiché si tratta di una realtà che tutti percepiamo ma che
sappiamo essere invisibile e inafferrabile.
Jackie di Andy Warhol 1964

Il ritratto Jacqueline (1964), fa parte della serie Jackie, realizzata da Warhol in molteplici versioni e
varianti sulla scia dell'emozione prodotta dall'assassinio del presidente degli USA John Fitzgerald
Kennedy e dalla sua massiccia copertura mediatica. Di poco successivo alla serie dedicata alla
cronaca nera Death and Disaster, il ritratto di Jackie Kennedy al funerale del marito, ripreso dalla
rivista "Life" e serigrafato su tela, trasforma l'immagine della donna affascinante e seducente
nell'icona tragica della vedova presidenziale, in grado di impersonare da sola il dramma di un'intera
nazione.

Potrebbero piacerti anche