Appunti Storia Dell'arte 5 Superiore
Appunti Storia Dell'arte 5 Superiore
Appunti Storia Dell'arte 5 Superiore
Antonio Canova, Amore e Psiche che si abbracciano, 1787-93, marmo, H. 1.55 m; L. 1.68 m; D. 1.01
m. Parigi, Musée du Louvre
Lo stile: Le sculture del periodo neoclassico e quindi quelle realizzate da Antonio Canova
riacquistarono piena autonomia. Infatti, durante l’epoca barocca la statuaria fu al servizio
dell’architettura. Una scultura infatti non era apprezzata in qualità di oggetto artistico. Era piuttosto
un abbellimento e un elemento che contribuiva alla scenografia dello spazio architettonico.
Un’opera come Amore e Psiche che si abbracciano era collocata nello spazio per essere apprezzata
nella sua interezza. Gli osservatori erano invitati a porsi di fronte alla scultura per apprezzare la
qualità dell’esecuzione. Così la levigatezza della superficie, le proporzioni classiche rigorose e
l’equilibrio della composizione diventano espliciti valori estetici. La superficie della scultura è
accuratamente lucidata con la polvere pomice. Inoltre, Canova applicò un sottile strato di cera
dorata per suggerire l’incarnato di Amore e Psiche.
La struttura: In accordo con gli ideali di rappresentazione classici Canova non rappresenta il
momento del bacio tra i due personaggi. Le labbra dei personaggi in Amore e Psiche che si
abbracciano sono distanti. Il momento rappresentato è quello intenso che anticipa il bacio nel quale
i due giovani si guardano intensamente. La composizione della scultura si basa su di una struttura a
forma di X. Un asse corre lungo il corpo di Psiche e prosegue sull’ala destra di Amore. L’asse opposto
invece si sovrappone alla gamba destra di Amore e alla sua ala sinistra. L’incrocio delle due diagonali
compositive è un punto che si trova nello spazio tra le due bocche. Intorno a questo centro inoltre
si trova l’intreccio circolare delle braccia.
Lo stile: Non si tratta di una scultura priva di espressione emotiva. Il Neoclassicismo preveda una
lettura più razionale, ispirata alla bellezza calcolata sulle proporzioni. Nonostante questo vincolo
estetico il volto del Le tre Grazie esprime una resa affettiva che chiarisce il rapporto tra le giovano
donne. Canova fu artefice di ritratti idealizzanti e classici come quello di Paolina Bonaparte.
Lo spazio: La sorella centrale è scolpita frontalmente rispetto allo spettatore. Quella di sinistra di
spalle, con il volto leggermente inclinato e quella di destra, sempre di spalle con il volto di profilo.
Canova ne Le tre Grazie è stato capace di rappresentare, attraverso gli sguardi e le carezze un
simbolo di affetto familiare. La nudità delle fanciulle non ha un valore erotico ma esprime il concetto
di bello ideale attraverso la perfezione fisica dei soggetti. La luce scivola morbidamente sui corpi
delle Grazie senza creare ombre profonde. Il modellato è privo di asperità muscolari e tensioni.
Canova, infatti, ha creato dei corpi femminili morbidi e armoniosi. I glutei, ad esempio, sembrano
subire naturalmente l’attrazione dal basso.
Il giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David
Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, 1784, olio
su tela, cm 330 x 425. Parigi, Louvre
Il colore: David era un pittore di Stato. Con i suoi ritratti destinati a celebrare la gloria di Napoleone
l’artista creò immagini destinate al popolo. Anche in questa fase, iniziale, si rivolse ad un pubblico
molto vasto con opere di comunicazione sociale. La lettura dell’opera è facilitata dal suo ordine
compositivo. Il messaggio, pur ambientato in un tempo lontano, è chiaro e facilmente
decodificabile. La sobrietà della poetica neoclassica si evidenzia nella mancanza di inutili dettagli
che potrebbero distrarre l’osservatore. Lo sfondo del dipinto è in ombra. Il colonnato davanti al
quale si svolge la scena crea una parete scura che mette in gran risalto la scena. I colori degli abiti
dei personaggi sono brillanti e ben definiti. Rosso, blu e bianco colorano i mantelli e gli abiti dei
personaggi principali. La valenza simbolica di questa scelta cromatica è chiara. Sono i colori della
bandiera francese.
L’illuminazione: Per guidare la lettura nella giusta direzione, David, utilizza una illuminazione
particolare. La luce è fredda e cristallina. È sicuramente una luce ideale che scolpisce le forme e i
personaggi come fossero statue. Anche la disposizione dei personaggi è attentamente studiata per
renderli immediatamente identificabili. Il giuramento degli Orazi è un’operazione di comunicazione
collettiva veramente efficace. I protagonisti sono disposti sulla scena come su di un palcoscenico.
David raffigura l’avvenimento nel modo più comunicativo e semplice possibile. L’azione si svolge da
sinistra verso destra. I fratelli raffigurati insieme, come un gruppo scultoreo classico, sono al
cospetto del loro padre. Con un gesto eroico prestano il loro giuramento. Sono dipinti di profilo
come le effigi sulle monete romane.
Lo spazio: Lo spazio nel quale si svolge la scena de Il giuramento degli Orazi è limitato ad un interno.
Il fondo è chiuso da un porticato classico mentre a destra e a sinistra limitano la scena due muri con
mattoni a vista. La prospettiva geometrica è rigorosa e le linee di fuga convergono sulle mani del
padre che trattengono le spade. Altro chiaro elemento simbolico, di tipo subliminale, ma evidente
ad uno sguardo attento. Come in una scena teatrale, lo spazio attivo, sul piano percettivo, è la fascia
orizzontale che accoglie i protagonisti. La profondità è limitata a qualche metro verso il colonnato,
illuminato e occupato dai protagonisti. Il pavimento, lastricato con pietre di grandezza regolare,
permette, ad un primo sguardo, di dimensionare la profondità e la larghezza dello spazio chiuso.
La storia dell’opera:
La luce è diretta verso un ribelle, condannato a morte. Si tratta di un povero contadino che,
dignitosamente, affronta il suo sacrificio a favore della libertà. Il contadino è inginocchiato, con le
braccia alzate, e guarda direttamente il plotone di esecuzione. La sua immagine ricorda quella di un
Cristo crocifisso. A terra si vedono alcuni suoi compagni, già morti, mentre altri ai suoi lati esprimono
con il corpo sofferenza e terrore. Sul fondo, immersa nel buio, vediamo Madrid, lontana e appena
visibile. A destra è schierato il plotone di esecuzione composto da un gruppo di soldati francesi di
Napoleone. In basso, di fronte a loro, è posta una lanterna che illumina i condannati a morte e lascia
in ombra il resto della scena. Dietro ai condannati a morte si vede una collinetta debolmente
illuminata dalla luce artificiale. Il cielo è completamente scuro e privo di stelle.
Interpretazione: L’Europa era scossa dai moti risorgimentali e gli artisti raccontarono con
passione le violenze e le battaglie. Trovarono spazio sulla tela anche fatti di cronaca che sollevavano
problemi etici e di tipo sociale. Francisco Goya documentò con uno stile drammatico gli orrori che
vennero perpetrati dalle truppe di invasioni napoleoniche in Spagna. Francisco Goya non si può
considerare appartenente al Romanticismo. Il tema di questo dipinto, come altri, e, comunque,
vicino alla sensibilità dei pittori romantici dell’epoca. 3 maggio 1808 presenta, comunque, tipici
tratti distintivi della pittura di Goya anche di quelli non pensati per il pubblico. Un esempio lo si può
apprezzare in Saturno divora un figlio. I soldati napoleonici del plotone di esecuzione de il 3 maggio
1808 hanno il volto nascosto dai fucili e sono automi di morte. Le persone che si trovano in centro
sembrano impaurite, infatti uno di loro si copre il viso con le mani. Anche loro sono vestiti con abiti
del popolo dai colori scuri. Il plotone di esecuzione, a destra, è composto da soldati vestiti con divise
napoleoniche. I colori vanno dal grigio-azzurro al nero, sono quindi tonalità più fredde. Al fianco del
primo soldato pende una sciabola metallica di colore ocra infilata nel fodero. Il paesaggio, immerso
nel buio, è tendenzialmente di colore bruno e molto scuro. La città di Madrid che si intravede sul
fondo è poco definita, monocromatica, priva di contrasti. Sembra il blocco monolitico di un fondale
teatrale.
Stile: Il dipinto di Goya è stato realizzato con pennellate veloci e non stese sulla tela. Questa tecnica
permette di rendere maggiormente drammatica la scena. Inoltre si crea una maggiore azione
drammatica tra le figure. Nonostante Goya sia ritenuto da alcuni storici dell’arte un romantico è in
realtà un artista isolato. Il colore scuro, per la maggior parte del dipinto, mette in risalto la figura
illuminata del ribelle condannato a morte. Per la maggior parte, la superficie del quadro è di colore
bruno, scuro e caldo come la luce della lanterna che illumina la scena. Il soggetto principale, il ribelle,
indossa una camicia bianca e dei pantaloni gialli, molto brillanti. A terra, di fronte a lui si vede un
cumulo di cadaveri che indossano vesti povere, dal colore marrone-grigio. Ai piedi del condannato
a morte possiamo vedere una pozza di sangue che nasce dai cadaveri alla sua destra. Dietro di lui
sono disposti altri condannati vestiti poveramente e colorati di grigio poco illuminato.
John Constable, Studio di nuvole a Hampstead (Cloud Study, Hampstead, Tree at Right), 11
settembre 1821, olio su carta incollata su tavola, cm 24,1 x 29,9. Londra, Royal Academy of Art
Descrizione: Nel dipinto di John Constable intitolato Studio di nuvole a Hampstead si osserva un
cielo ingombro di nubi. In basso verso la sommità degli alberi il vapore della campagna si addensa a
formare nuvole basse e nebbie. Constable approfondì gli studi scientifici per individuare la tipologia
di ammassi nuvolosi e nel dipinto registrò fedelmente i diversi tipi di nuvole in rapporto all’altezza
dell’atmosfera. Le nuvole basse sono più piccole e sembrano più leggere. In alto invece aumentano
di volume e schermano maggiormente i raggi del sole. A destra in basso infine una piccola porzione
di fronde evoca la presenza di un bosco.
I Committenti: Studio di nuvole a Hampstead (Cloud Study, Hampstead, Tree at Right) fu donato
alla Royal Academy nel 1888 da Isabel Constable.
Il colore: Constable, nel dipinto intitolato Studio di nuvole a Hampstead, confermò la sua grande
sensibilità nei confronti del variare della luce nel paesaggio. Nel dipinto in questione il soggetto è
principalmente il cielo con la particolare resa della luce sulle nuvole. Su tutta l’opera prevalgono
toni di blu e azzurro. Solo in basso Constable rappresentò una piccola porzione di natura utilizzando
un verde intenso.
Descrizione: L’acquerello
intitolato Incendio alle Camere del
Parlamento (The Burning of the
Houses of Parliament) inquadra
l’evento da nord oltre Old Palace
Yard alla fine di Abingdon Street. A
sinistra si osserva la cappella gotica
di Enrico VII. Si scorge l’Abbazia di
Westminster mentre gli altri edifici
sono già divorati dalle fiamme. Il
fuoco ha già avvolto gran parte
dell’interno e ha distrutto la facciata
in stile italiano. Si scorgono i
soccorritori che tentano di spegnere le fiamme con lunghi getti d’acqua mentre la folla si accalca
per assistere al disastro.
Lo stile: William Turner ha documentato l’evento derogando in parte dal suo amalgama cromatica
che fonde figure e sfondo. Gli edifici sono riconoscibili come le persone che compongono la folla di
curiosi e di soccorritori. Nonostante questo, i vortici che salgono dalle fiamme, i vapori e i fumi sono
stati oggetto di particolare attenzione. La loro raffigurazione attraverso macchie e vortici di colore
è tipica dello stile romantico e ambientale di William Turner. L’artista è infatti il principale interprete
della pittura romantica paesaggistica e realizzò opere con soggetti storici come Annibale e il suo
esercito attraversano le Alpi e molte vedute di Venezia. Fu inoltre impegnato in denunce sociali
come nel dipinto La nave negriera.
Approfondimenti: La sera del 16 ottobre 1834 scoppiò un terribile incendio a Londra che distrusse
il Palazzo di Westminster, le camere dei Lord e dei Comuni. Al posto della costruzione originaria
venne in seguito eretto il complesso vittoriano su progetto di Barry e Pugin. William Turner fu
testimone dell’evento e secondo le ricerche degli storici in seguito realizzò l’acquerello che ritrae
l’incendio. In ogni caso la presenza dell’artista sulla scena non è ancora stata sicuramente provata
da fonti storiche. L’artista realizzò in seguito due dipinti che ritraggono l’incendio esposti nel 1835.
Si tratta de L’Incendio della Camera dei Lord e della Camera dei comuni il 16 ottobre 1834 oggi al
Philadelphia Museum of Art. Il secondo è conservato presso il Cleveland Museum of Art in Ohio.
Abbazia nel querceto di Caspar David Friedrich
Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto, 1809-1810, olio su tela, cm 110,4 x 171. Berlino,
Staatliche Museen zu Berlin, Alte Nationalgalerie
Descrizione: In Abbazia nel Querceto del 1809-1810 Friedrich dipinse una natura incombente sulle
piccole figure di monaci in processione. I personaggi che trasportano le ceneri del confratello
sembrano infatti marginali e di loro non si vede che la sagoma scura. La natura poi è rappresentata
da alberi contorti e secchi. Dell’abbazia infine non rimane che una piccola porzione di parete con
una vetrata vuota. Gli alberi spogli circondano il rudere gotico creando un senso di mistero e
richiamano le invenzioni letterarie dell’epoca. Infatti, la letteratura romantica utilizzò spesso
ambientazioni gotiche funerarie con atmosfere oscure e desolate. Le piccole figure umane
diventano sagome nere e contribuiscono a dare un aspetto solenne e monumentale alla natura
desolata di alberi spogli.
Interpretazioni: Rispetto ad altri dipinti di Friedrich quali Viandante davanti al mare di nebbia o
Un uomo e una donna in contemplazione della luna, Abbazia nel Querceto assume aspetto
misterioso e inquietante. Dal dipinto emerge un senso di morte e desolazione per via delle croci
inclinate verso il suolo e delle lapidi abbandonate. A partire dal primo saggio scritto da Heinrich von
Kleist il dipinto ispirò molte differenti interpretazioni. Ancora oggi custodisce il suo segreto e suscita
nello spettatore un gran senso di mistero.
I Committenti: Il dipinto Abbazia nel querceto è esposto alla Alte Nationalgalerie di Berlino
insieme ad un’altra opera di Friedrich intitolata Monaco in riva al Mare. I due celebri dipinti
rappresentano una importante attrattiva del museo tedesco.
La storia: Quest’opera risale al 1809-1810 data nella quale Friedrich aveva circa 36 anni. L’artista
infatti era nato a Greifswald nel 1774. La delicatezza dei sottili strati di pittura determinò già nel
1900 un anticipato stato di invecchiamento del dipinto. Contribuirono a ciò anche alcuni danni
meccanici e la mancanza di robustezza dello strato pittorico. I restauri iniziarono nel 1906 e i tecnici
si confrontarono con la mancanza di considerevole materia originale. Le condizioni del dipinto erano
così piuttosto precarie. La superficie presentava infatti ampie parti ritoccate e scolorite,
sovrapposizioni e danni dovuti al trasporto. I due dipinti Abbazia nel querceto e Monaco in riva al
Mare sono stati ripristinati completamente nel 2013. Attraverso indagini approfondite e grazie a
nuove tecnologie sono state scoperte tracce nascoste che hanno permesso di ripensare
completamente gli interventi d recupero.
Lo stile: Friedrich per il dipinto utilizzò una tela con grana molto fine sulla quale stese diversi strati
di fondo. Lo strato di pittura ad olio invece è particolarmente sottile.
Il colore: Nel dipinto Abbazia nel querceto l’illuminazione è diffusa e proviene dal fondo del
paesaggio. Infatti, gli alberi, il rudere e le persone sono in controluce e dalla vetrata pare filtrare la
luce bianca del sole nascosto. Il cielo è illuminato dal basso e al suo centro leggermente a destra si
intravede una piccola falce di luna che sale.
Lo spazio: Il dipinto esprime un’ampia spazialità grazie allo sviluppo in orizzontale. Lo spazio attivo
risulta il primo piano sul quale sono disposte le piccole figure e le lapidi. Infine, è determinante per
costruire lo spazio il rudere di muratura. Infatti, con la sua parziale prospettiva àncora lo spazio
naturale intorno a sé e lo struttura. La massa del muro è visivamente importante e tutto lo spazio si
dispone intorno ad essa.
Approfondimenti: Caspar David Friedrich è considerato uno degli artisti più rappresentativi del
Romanticismo. Tale corrente artistica celebrava la potenza della natura e la sua forza rispetto alla
fragilità umana. Il Romanticismo europeo ebbe caratteristiche molto differenti da quello italiano. In
Italia infatti artisti come Hayez celebrarono l’amore verso la patria attraverso dipinti quali il Bacio e
Pietro Rossi.
Viandante davanti al mare di nebbia di Caspar David Friedrich
Caspar David Friedrich, Viandante davanti al
mare di nebbia, 1818 circa, olio su tela, cm 95
x 75. Amburgo, Kunsthalle
Interpretazione: I temi rappresentati nel dipinto sono quelli dell’infinito, del sublime e dello
smarrimento empatico attraverso l’immedesimazione con il paesaggio naturale sottoposto a un
importante evento metereologico. La natura viene, quindi, assunta come un protagonista vivente,
forse, più importante del viandante che rimane di schiena. La personificazione della natura avviene
attraverso l’episodio meteorologico che dà anima e vita al paesaggio. L’uomo, Il viandante in questo
caso, è, indifeso e misero di fronte al meraviglioso infinito naturale che ha di fronte. Il mare di nebbia
rappresenta questa condizione della quale l’uomo romantico ha consapevolezza. Il viandante si
perde così nella contemplazione del mare di nebbia e questa perdita annulla la sua individualità in
una sorta di nirvana esoterico. (E il naufragar m’è dolce in questo mare. Leopardi). Il romanticismo,
declinato secondo i vari ambiti geografici in Europa, si prestò a rappresentare i moti dell’animo del
singolo e i moti nazionalisti di una comunità intera. Nel caso di Friedrich è il singolo, nella sua
debolezza di fronte alla grandezza della natura, ad essere uno dei soggetti dei dipinti. Il Viandante
davanti al mare di nebbia è rivolto di schiena al fine di permettere una identificazione con
l’osservatore. Friedrich ci chiede di essere noi stessi quel Viandante e di perderci nel paesaggio per
entrare in empatia con le emozioni che l’artista ci vuole suscitare. Il viandante non è però un
osservatore passivo che subisce una sorta di sindrome di Stendhal naturale. È piuttosto un
contemplativo e attraverso il sentire emotivo riflette filosoficamente sulla propria natura ed
esistenza umana in confronto con la potenza della natura. Uno dei temi del romanticismo è quello
del viaggiatore, del senza patria. Il viandante è bello e sventurato, un eroe contemporaneo che non
porta su di sé i segni di una bellezza fisica e di una forza classica. Si tratta di un nuovo eroe che è
arreso al mondo e al suo destino e si avventura verso il suo futuro drammatico. Questo profilo
psicologico, dal romanticismo in avanti, sarà adottato per caratterizzare molti protagonisti della
narrativa occidentale.
Lo spazio: Il viandante si trova al centro del dipinto in primo piano. L’uomo è in piedi, appoggiato
al suo bastone da viaggio, su di uno sperone roccioso che domina tutta la parte inferiore del dipinto
come fosse il piedistallo di una statua. Sta, evidentemente, contemplando lo spettacolo naturale
romantico e sublime che ha di fronte. Sotto di lui, oltre lo sperone sale la nebbia che lascia
intravedere alcune cime coperte da radi alberi più in basso. Verso l’orizzonte si aprono nuovi scenari
di montagne alte e impervie. Il cielo è denso di nubi verso l’alto e di strati di nubi più calmi verso il
basso che si fondono con il mare di nebbia. Nonostante la grande massa triangolare dello sperone
roccioso e la sagoma nera del viandante i colori emergono in modo evidente nel dipinto. I colori del
paesaggio montano dell’Elbsandsteingebirge della Boemia, ingrigiti dalla prospettiva aerea di natura
leonardesca, si fondono con i colori caldi del cielo riflessi dalla nebbia in basso. Colori chiari e brillanti
sono distribuiti armonicamente nel cielo e nella nebbia. Blu, rosa gialli molto chiari si mescolano e
intensificano il grigio perla dei vapori che si innalzano verso il cielo. Queste tonalità ci consegnano
una sensazione di atmosfera cristallina e pungente di alta montagna. Sulle rocce abbondano, invece,
colori che ricordano la pietra umida, muschi e licheni.
La composizione: La schiena del viandante, completamente nera, è al centro delle diagonali del
rettangolo dipinto. A lui portano anche le linee oblique dell’orizzonte che dall’alto scendono verso
il centro. La sagoma nera del protagonista viene innalzata dallo sperone roccioso in basso che
funziona come un basamento triangolare. Questo triangolo compositivo ha il suo apice nella testa
del viandante. I triangoli compositivi sono distribuiti nel dipinto e nascosti nelle montagne come
cunei grigio scuri all’orizzonte. A questi triangoli compositivi scuri vengono contrapposti triangoli
compositivi chiari. Si tratta del mare di nebbia in secondo piano che crea due triangoli convergenti
verso il centro dell’opera che si trova, più o meno, all’altezza del cuore del viandante.
Approfondimento: Friedrich nacque a Greifswald nel 1774. Dipinse quindi questo celebre
capolavoro all’età di 44 anni nel 1818. L’artista era già così molto conosciuto ed apprezzato dai suoi
contemporanei. La natura sublime, si ritrova in molti dipinti di autori romantici. Alcuni esempi, due
esempi fra tutti Turner e Constable. Il romanticismo nazionalista, invece, è rappresentato da Goya
e Hayez.
La zattera della Medusa di Théodore Géricault
Théodore Géricault, La zattera della Medusa, (Le Radeau de la Méduse), 1818-1819, olio su tela, cm
491 x 716. Parigi, Museo del Louvre
Descrizione: La zattera della Medusa è un dipinto di Théodore Géricault molto conosciuto. Oltre
che la testimonianza di un drammatico fatto storico, La zattera della Medusa è un noto dipinto
romantico. Théodore Géricault raffigurò il momento in cui i naufraghi avvistano una nave che si sta
avvicinando all’orizzonte, gli uomini sono stremati, alcuni sono morti, alcuni senza speranza. I
naufraghi, avendo terminato cibo e acqua, furono costretti a cibarsi dei cadaveri dei loro compagni.
Sulla sinistra possiamo vedere due figure isolate. Un padre anziano difende il corpo del figlio, ormai
cadavere dagli altri naufraghi. Accanto a loro, sulla sinistra si vede il cadavere di un naufrago, del
quale rimane il torace.
Il fatto storico: Per analizzare e comprendere La zattera della Medusa occorre, quindi, tenere
presente il momento storico. La contestualizzazione è, quindi, molto importante trattandosi di
un’opera che ha il compito di suscitare una forte risposta emotiva. La Méduse era una fregata
francese a vela, varata il 1º luglio 1810. Il 2 luglio del 1816, si incagliò sulle secche del Banc d’Arguin,
vicino Nouadhibou in Mauritania. L’incidente fu causato dell’inesperienza del comandante, capitano
di fregata Hugues Duroy de Chaumareys. Dopo alcuni tentativi per disincagliare lo scafo,
l’equipaggio abbandonò così la nave il 5 luglio 1816 sulle 6 imbarcazioni di salvataggio. I passeggeri
eccedenti furono posti su una zattera che venne trascinata dalle barche. Presto, però, affondò
parzialmente causando la rottura della cima che la teneva legata al gruppo. L’equipaggio abbandonò
così l’imbarcazione. Venti persone morirono o si suicidarono appena calata la notte. Dopo 9 giorni
vi furono dei casi di cannibalismo. Il battello Argus salvò i pochi superstiti il 17 luglio 1816, ma, cinque
di loro morirono nella notte. I giornali dell’epoca diedero molto spazio al racconto del naufragio. I
giudici però condannarono il capitano a soli due anni di carcere e alla radiazione dal registro navale.
La legge invece prevedeva l’esecuzione a morte per questo grave fatto.
La storia: Théodore Géricault, nato nel 1791, aveva 27 anni all’epoca dei fatti della Méduse. Colse
l’occasione per tentare di farsi conoscere da un vasto pubblico, e diventare famoso, rappresentando
una tragedia che aveva avuto risonanza internazionale. Fu molto scrupoloso nel raccogliere le
informazioni e nella progettazione del dipinto. Intervistò due sopravvissuti, fece un modellino della
zattera e realizzò molti bozzetti preparatori. I poveri naufraghi sopravvissuti sono circondati da corpi
in decomposizione e vestono abiti laceri e sudici. I corpi nudi, scomposti e lividi dei cadaveri
suscitarono orrore e riprovazione. Nonostante questo, il dipinto divenne immediatamente famoso,
anche a causa della diffusione mediatica dei racconti sul naufragio della Méduse.
Analisi: La zattera della Medusa, è considerata il punto di rottura con la pittura neoclassica che si
rivolgeva alla ragione dello spettatore. I dipinti neoclassici infatti presentavano composizioni
equilibrate, atmosfere cromatiche serene e soggetti elevati. Il dipinto di Géricault invece suscita una
intensa reazione emotiva. La scena mostra un grande senso di realtà e i corpi sono concepiti con
una solida conoscenza dell’anatomia umana. I toni sono scuri e drammatici. I colori tendono al
grigio, i corpi sono lividi, per la morte e per il freddo. Solo all’orizzonte brilla il colore di un tramonto.
Il rosso è l’unico colore vivace riservato al mantello che copre il padre. Il panno usato come bandiera
è di un arancione vivo. Nel dipinto si notano toni cupi e forti contrasti perché siamo nel mezzo di
una tempesta marina. Le imponenti dimensioni permettono inoltre una visione dal vero di grande
effetto scenico. Infatti, la fruizione del dipinto a dimensione reale, proietta lo spettatore all’interno
dell’evento. Le figure sovradimensionate e la luce teatrale riescono a catturare l’osservatore
contemporaneo. L’effetto sarà stato, probabilmente, enfatizzato ulteriormente per lo spettatore
ottocentesco. Il forte chiaroscuro e la prospettiva aerea rendono lo spazio tridimensionale.
Contribuisce a questa resa anche la posizione della zattera, raffigurata in obliquo.
Eugène Delacroix, La libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple), 1830, olio su tela, cm
260 × 325. Parigi, Museo del Louvre
Descrizione: Una gran folla di rivoltosi avanza guidata da una giovane donna che sventola il
tricolore francese. A terra giacciono molti cadaveri dei rivoluzionari e sul fondo si alzano i fumi dagli
edifici di Parigi.
Interpretazioni: La libertà che guida il popolo si può considerare la prima grande opera figurativa
che rappresenta la passione politica del popolo e della borghesia francese. Il dipinto si riferisce
infatti all’episodio chiamato “Le tre gloriose giornate” del 1830, quando i parigini insorsero contro
il re Carlo X. Marianne che rappresenta la Francia vittoriosa indossa un berretto frigio, simbolo degli
ideali rivoluzionari del 1789. Inoltre, le figure che si schierano a fianco della libertà appartengono a
tutte le fasce sociali, il borghese, a sinistra, un giovane del popolo, a destra, corpi senza vita di operai
e soldati.
Confronti: Un cadavere scomposto mostra un calzino sfilato dal piede, particolare che esprime un
forte senso di morte. Anche Théodore Géricault ne La zattera della Medusa (Le Radeau de la
Méduse) utilizzò una figura simile per il cadavere del giovane raffigurato a sinistra con il padre. Giulio
Carlo Argan fece notare che, nei due dipinti gli artisti invertirono il movimento del gruppo di figure.
Nel caso del dipinto di Théodore Géricault, i personaggi sono proiettati verso lo sfondo, dal quale
giunge la speranza della salvezza. Nel dipinto di Delacroix invece le figure avanzano verso il fronte
del dipinto. Anche Giuseppe Pellizza da Volpedo fece avanzare i suoi manifestanti verso
l’osservatore nel celebre Quarto Stato. La figura della Vittoria è ispirata alla statua greca chiamata
Venere di Milo che fu ritrovata nel 1820 ed esposta al Louvre l’anno successivo. Sul fondo dell’opera
si intravedono infine le torri della Cattedrale di Notre-Dame, a Parigi.
I Committenti: La libertà che guida il popolo si trova al Museo del Louvre di Parigi. L’opera fu
esposta al Salon di Parigi nel 1831 e il Governo francese la acquistò per 3.000 franchi.
Lo stile: Il Romanticismo, in Francia, spinse gli artisti a realizzare opere connesse con la storia e gli
avvenimenti a loro contemporanei. La scena è lontana da quelle di natura neoclassica, composte e
razionali. Nel dipinto si osserva infatti la concitazione della rivolta, le emozioni suscitate dal
momento. Inoltre, un gran movimento di folla si sposta verso il primo piano dove le figure sono
disposte in modo teatrale. Anche l’atmosfera creata da luci e colori è fortemente drammatica.
Contribuisce a creare questo clima di concitazione anche lo stile con il quale sono applicate le
pennellate, materiche, senza sfumare l’impasto del colore. Infatti, i contorni e i volumi non sono
definiti ma creano una suggestione luminosa della scena che si avvicina alla resa ambientale dei
futuri impressionisti.
La tecnica: Il celebre dipinto di Delacroix è realizzato con impasto ad olio su una tela di 260 × 325
cm. Ne La libertà che guida il popolo predomina un’atmosfera cromatica scura e drammatica. I colori
sono terrei e spiccano in basso le divise blu che coprono i cadaveri dei soldati. I colori più brillanti
sono riservati al tricolore francese verso il quale viene attirato fortemente il nostro sguardo. La luce
che illumina la scena determina un’atmosfera drammatica e proviene da fondo del dipinto. Giunge
dall’alto a destra lasciando in controluce la massa popolare dei rivoltosi. Una luce ideale proviene
poi da sinistra e illumina il cadavere a terra, sulla sinistra, coperto da una camicia bianca, simbolo
del sacrificio, e la figura femminile che rappresenta la libertà.
Lo spazio: La libertà che guida il popolo è un dipinto ambientato all’aperto. Non è presente un
fondale architettonico quindi lo spazio non è descritto prospetticamente. La profondità è piuttosto
suggerita dalla sovrapposizione dei personaggi che si affollano e procedono verso il primo piano,
dalla prospettiva di grandezza e dalla prospettiva aerea. Anche i colori, man mano che si allontanano
sono più scuri, tendenti al grigio e indefiniti. Inoltre, la definizione delle superfici si fa indistinta come
i contorni delle figure. Infine, il fumo e le nebbie contribuiscono a rendere più efficacemente la
profondità ambientale. I corpi senza vita dei rivoltosi, a terra, in primo piano, costituiscono una
solida base orizzontale, quasi in piedistallo ideale sul quale si innalza la libertà rappresentata dalla
Vittoria che sventola il tricolore francese. Da questa base si alza quindi un triangolo con il vertice
sulla mano che regge la bandiera.
Il Bacio di Francesco Hayez
Francesco Hayez, Il Bacio Episodio della
giovinezza. Costumi del secolo XI, 1859, olio su
tela, cm 112 x 88. Milano, Pinacoteca di Brera
Il titolo del dipinto per intero è “Il bacio.
Episodio della giovinezza. Costumi del secolo
XIV”. L’opera divenne subito un’icona del
Romanticismo italiano e Hayez ne dipinse altre
3 copie.
Interpretazioni e simbologia: Il dipinto rappresenta una scena, apparentemente, intima tra due
innamorati, ambientata nel passato medioevale cavalleresco tra le mura di un castello. Il
Romanticismo, in Italia, si declinò nell’amore nazionalista e nell’odio verso lo straniero, che nelle
zone dell’attuale Lombardia, era rappresentato dalla dominazione austriaca. Il giovane che da un
bacio alla ragazza porta un pugnale e si appresta a salire il primo gradino della scala. Il messaggio
politico che nasconde il dipinto è racchiuso quindi in questi particolari appena percepibili. Si tratta,
forse, di un giovane patriota che saluta la ragazza amata prima di andare a combattere. Nell’ombra
che si intravede sulla sinistra, alcuni storici hanno visto la presenza di una spia austriaca che sorveglia
i due giovani. Un esempio di Romanticismo francese, legato alla rappresentazione del popolo che si
ribella al potere del sovrano è la Libertà che guida il popolo di Eugène Delacoix al Louvre di Parigi.
I Committenti: Fu il conte Alfonso Maria Visconti a commissionare il dipinto all’artista per creare
un simbolo di patriottismo. Infatti, Hayez frequentava i circoli indipendentisti dell’epoca ed era
molto apprezzato da Giuseppe Mazzini. Nel 1886 il proprietario lo donò alla Pinacoteca di Brera. In
seguito, l’opera assunse il semplice titolo de Il Bacio e divenne una icona sentimentale nella cultura
mediatica.
La storia: Francesco Hayez nacque a Venezia nel 1791 e, dopo essersi trasferito a Milano, nel 1850
divenne professore all’Accademia di Brera. Morì poi a Milano nel 1882. Il suo dipinto più famoso
risale al 1859 quando l’artista godeva di una notevole fama ed aveva già 68 anni.
Lo stile: Francesco Hayez è considerato l’esponente più importante del Romanticismo italiano. I
suoi inizi però furono neoclassici e presto si interessò alla pittura storica. Lo stile dell’opera inoltre
ricorda la pittura quattrocentesca ed esprime un forte senso di tridimensionalità. Infine, le figure
sono precise e molto dettagliate.
La tecnica: Il Bacio è un’opera realizzata con velature di colori ad olio su una tela di 112 x 88 cm.
La scena è immersa nel colore ocra delle architetture medievali che fanno da sfondo ai due ragazzi
descritti con colori più accesi. Soprattutto la giovane indossa un abito in seta azzurro molto
luminoso. In questa versione del dipinto la veste azzurra della fanciulla e il rosso della calzamaglia
ricordano il tricolore francese. Infatti, al tempo la Francia era alleata con i Savoia contro gli austriaci.
La luce de Il Bacio proviene dall’esterno dl dipinto e colpisce i due ragazzi illuminando intensamente
l’abito della ragazza.
Lo spazio: Gli scalini, le cui linee di fuga convergono verso il fianco del ragazzo, creano un ambiente
tridimensionale e prospettico. Anche l’illuminazione che allontana in profondità il porticato in
ombra permette di costruire uno spazio efficace. Infine, il punto di vista è basso e contribuisce ad
elevare la scena rispetto alla posizione dell’osservatore, creando un senso di monumentalità delle
figure.
La composizione: Le due figure si trovano esattamente al centro del dipinto e il corpo del giovane
è fermamente saldo sulla verticale centrale. La fanciulla è poi inclinata all’indietro e il suo corpo crea
leggera curva verso destra.
Ponte di Narni di Jean-Baptiste Camille Corot
Jean-Baptiste Camille Corot, Ponte di Narni (Le
pont de Narni, aux environs de Rome), 1826, olio
su tela, 34×48 cm. Parigi, Museo del Louvre
I Committenti: Il dipinto era destinato a rimanere in forma di abbozzo. Si tratta infatti di uno
schizzo realizzato dal vero. Al Salon di Parigi del 1827 Corot espose un grande dipinto dallo stesso
tema che si trova ora presso la Galerie Nationale du Canada di Ottawa. Il dipinto che il maestro
realizzò durante il suo primo soggiorno in Italia venne donato al Louvre da Étienne Moreau-Nélaton
nel 1906.
Lo stile: Il dipinto è considerato come un capolavoro della pittura di paesaggio neoclassico. Infatti
la formazione di Corot avvenne presso due maestri vicini a tale corrente, prima Achille Etna
Michallon e poi Jean-Victor Bertin. Il dipinto esposto al Louvre è un abbozzo realizzato en plein-air.
Corot era convinto della grande importanza di registrare una prima impressione del paesaggio. Nel
chiuso del suo atelier l’artista cercava poi di rimanere fedele a tale versione.
Il colore: L’illuminazione della campagna romana colpì molto l’ispirazione di Camille Corot. La luce
mediterranea infatti fu una delle componenti stilistiche che portò con se durante il successivo
soggiorno a Barbizon. Nel dipinto Il ponte di Narni i toni sono caldi e chiari. Il verde ingrigito della
vegetazione ricopre i versanti delle alte sponde. L’azzurro del cielo e delle montagne all’orizzonte si
rispecchia infine a tratti sull’acqua. Secondo Corot la perfetta riproduzione dei colori era essenziale
per rendere le atmosfere dei luoghi ritratti.
Lo spazio: Il paesaggio è ampio ed esteso. La prospettiva del fiume riesce a rendere bene le
distanze. Inoltre, aiuta lo sguardo a procedere verso i ruderi de ponte. Il primo piano è strutturato
intorno alle oblique create dalle sponde del corso d’acqua. A partire dalla metà superiore del dipinto
si fanno più importanti le linee orizzontali. La successione delle colline e delle montagne in
lontananza chiude infatti la composizione espandendo lateralmente lo vista.
Approfondimenti: Il Ponte di Narni era stato già rappresentato dai maestri Valenciennes e
Michallon prima di Corot. Il maestro realizzò più di centocinquanta dipinti durante il suo viaggio di
formazione. Uno di questi è Trinità dei Monti esposto al Louvre di Parigi.
Le spigolatrici di Jean-François Millet
Jean-François Millet, Le spigolatrici (Des
glaneuses), 1857, olio su tela, cm 83,5 x 110.
Parigi, Musée d’Orsay
Descrizione: Tre spigolatrici sono chine sul
campo appena mietuto e raccolgono le poche
spighe cadute a terra. Due di loro hanno la
schiena curva e scelgono accuratamente il
raccolto. La donna di destra invece si sta
rialzando per riporre sulla sacca frontale i chicchi.
Sullo sfondo sono pronti grandi covoni di grano
sopra i quali alcuni operai continuano a sistemare
le piante raccolte. Un carretto è fermo al centro per essere caricato. Alla sua destra poi i mietitori si
affannano per unire i fasci da sporgere agli operai sui covoni. All’estrema destra, davanti alle case,
un uomo a cavallo è fermo e controlla il procedere del lavoro. Si tratta probabilmente del
proprietario o di una persona di sua fiducia.
Interpretazioni: Il dipinto rappresenta le povere lavoratrici dei campi durante la loro attività come
nell’altro suo noto dipinto Angelus. Le spigolatrici erano figure del proletariato rurale molto povero.
Le donne infatti erano autorizzate a raccogliere frettolosamente le spighe risparmiate dalla
mietitura giornaliera. Nel dipinto Millet dispone in primo piano le donne impegnate nel duro lavoro.
In lontananza invece i mietitori sono rappresentati accanto a grandi covoni di grano. Il loro raccolto
è stato abbondante e la loro felicità è sottolineata dall’atmosfera più luminosa che li circonda.
L’atmosfera polverosa e dorata ricorda certe rappresentazioni bucoliche della natura pastorale del
Seicento. Millet a destra dei mietitori rappresenta un amministratore a cavallo che sorveglia il
lavoro. Attraverso l’accostamento delle diverse realtà sociali, proprietari, lavoratori specializzati e
povere spigolatrici, Millet rappresenta dignitosamente la vita dei più umili lavoratori delle campagne
francesi.
I Committenti: Jean-François Millet fu molto affezionato alla sua terra e ai lavoratori dei campi.
Per dieci anni studiò attentamente il lavoro delle spigolatrici e il risultato delle sue osservazioni è il
dipinto Le spigolatrici (Des glaneuses). L’opera fece parte della collezione Binder. Nel 1865 passò
poi alla collezione Paul Tesse di Parigi. Dal 1867 al 1889 fu quindi di proprietà di Ferdinand
Bischoffsheim. Fino al 1890 fece poi parte della collezione di Mme Pommery che lo donò in tale data
allo Stato. Giunse quindi al Museo del Louvre. Si trova a lmusée d’Orsay dal 1986.
Lo stile: La posizione delle tre spigolatrici protagoniste del dipinto è una rappresentazione
dinamica del lavoro compiuto ripetutamente per raccogliere le spighe cadute. I colori sono caldi,
maggiormente in secondo piano dove il sole pieno crea una illuminazione diretta. In primo piano,
invece, le spigolatrici sono illuminate da una luce quasi radente che crea un chiaroscuro scultoreo.
Alcune parti del loro corpo sono molto volumetriche come le spalle, le mani e il capo coperto dal
fazzoletto.
Gli spaccapietre di Gustave Courbet
Gustave Courbet, Gli Spaccapietre (Les Casseurs de pierres), 1849, olio su tela, cm. Opera distrutta
Descrizione: Due operai sono impegnati nel duro lavoro di spaccare le pietre per ricavarne ciottoli
e ghiaia. Il più anziano è dipinto a destra dell’immagine, con il ginocchio sinistro poggiato a terra. Le
mani stringono un pesante martello sollevato allo scopo di abbattersi su di una pietra in basso. Il
volto dell’operaio è nascosto dal cappello a larghe tese che lo protegge dal sole. Il suo garzone invece
si trova a sinistra. L’adolescente è impegnato nel trasportare una cesta pesante piena di ciottoli. Il
suo strumento di lavoro, una zappa, è poggiato a terra tra altre pietre frantumate.
A destra sono posati una pentola, un cucchiaio e del cibo. Le stoviglie sono poggiate su di un panno
che le protegge dalla polvere del terreno. Le vesti dei due operai sono povere e lacere. Nello spazio
di lavoro la natura è stata sacrificata e ovunque si osservano pietre e ciottoli. Sul fondo si alza una
collina in ombra mentre a destra si intravede un piccolo brano di cielo azzurro.
Interpretazioni: Il mestiere dello spaccapietre era sicuramente un duro lavoro. Gli operai
impiegati in questa attività erano probabilmente condannati ad esercitarla per tutta la loro vita. Non
a caso quindi Courbet per rappresentare le tragiche condizioni dei lavoratori più umili scelse questo
soggetto. Inoltre, nell’immaginario della narrazione popolare ottocentesca anche i condannati ai
lavori forzati erano spesso rappresentati nell’atto di frangere massi con pesanti mazze.
I Committenti: Secondo le sue memorie, Gustave Courbet mentre si recava al Castello di Saint-
Denis per dipingere vide due operai al bordo della strada. Considerò che rappresentavano una
perfetta descrizione della miseria. Courbet quindi chiese ai due lavoratori di posare per il dipinto.
Gli spaccapietre fece parte di un gruppo di tre opere presentate al Salon del 1850-51. Gli altri due
dipinti erano Funerale ad Ornans e I contadini di Flagey tornano dalla fiera. Fu nuovamente esposto
nel 1857 e acquistato da Laurent-Richard. Nel 1871 dal proprietario fu venduto poi al signor Binard
e alla sua morte passò nel 1909 alla Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda. Secondo la
documentazione storica Gli Spaccapietre di Gustave Courbet fu distrutto durante la Seconda Guerra
Mondiale nel bombardamento del 1945.
Lo stile: Nel suo intento di descrivere un momento di vita de Gli Spaccapietre, Courbet mette in
chiara evidenza i due protagonisti. L’artista utilizza un contrasto di luminosità molto intenso. Infatti,
il primo piano e le i due operai sono illuminati da una forte luce solare. Il fondo invece è scuro, in
ombra e privo di forme. La condizione di estrema povertà poi è sottolineata dagli abiti logori.
Courbet descrisse attentamente gli strappi nei tessuti e la povertà degli abiti. Contrariamente alla
pittura accademica del tempo volle mostrare immagini scomode e non idealizzate. Per rimarcare
questa distanza la composizione è volutamente asimmetrica e antiaccademica. Tale rottura e
provocazione fu già adottata da Caravaggio con la sua pittura religiosa.
Giovanni Fattori, La Rotonda dei bagni Palmieri, 1866, olio su tavola, cm 12 x 35. Firenze, Galleria
d’Arte Moderna
Descrizione: La Rotonda dei bagni Palmieri è un’opera di Giovanni Fattori di modesto formato.
Rappresenta un momento della giornata vissuto da un gruppo di signore borghesi. Le donne si
trovano sul pontile di uno stabilimento balneare sedute sotto un grande dehor coperto da un
tendone. Alcune di esse conversano, altre osservano il paesaggio.
Lo stile: Giovanni Fattori realizzò La Rotonda dei bagni Palmieri dal vero e con una tecnica
apparentemente veloce. Il colore venne apposto sulla tavoletta senza una sottostante preparazione.
Si può ancora vedere, infatti, il legno del supporto. Il paesaggio è costruito sovrapponendo i colori
che identificano le parti del dipinto. Le figure umane, poi, non possiedono particolari del volto e del
corpo. Nell’insieme La Rotonda dei bagni Palmieri assume l’aspetto di un intarsio colorato. Il dipinto
che, secondo gli storici, esemplifica appieno la tecnica dei pittori macchiaioli è Interno di un chiostro
di Giuseppe Abbati. Anche Silvestro Lega fu solito rappresentare momenti di vita borghese come nel
suo dipinto Il pergolato.
Il colore: La tonalità che sembra diffondersi su tutto il piccolo dipinto La Rotonda dei bagni Palmieri
di Giovanni Fattori è ocra. Infatti, due fasce di questo colore caratterizzano il suolo e, in alto, il
tendone. Al centro, nel gruppo di signore, predominano colori scuri. Spicca, per saturazione, il rosso
del mantello di una di loro, sulla destra. Sullo sfondo spicca il blu del mare e il marrone intenso dei
promontori.
La composizione: Il dipinto ha una forma molto panoramica che permette, così, di sottolineare
l’orizzontalità del mare sullo sfondo. La composizione centrale viene movimentata da linee di
costruzione ondulate orizzontali. La prima, dal basso, segue il profilo del terreno, poi, la linea curva
ascendente del profilo della montagna. Infine, il bordo curvo, e convesso verso il basso, del tendone.
In vedetta di Giovanni Fattori
Giovanni Fattori, In vedetta, 1872, olio su tela, 37×56 cm. Valdagno, collezione Marzotto
Descrizione: A destra del dipinto un ampio muro bianco riflette la luce accecante del sole. Un
soldato a cavallo è fermo verso destra e osserva oltre il bordo dell’opera. La sua figura intercetta i
raggi e proietta l’unica ombra contro l’intonaco bianco. Inoltre, la sua divisa scura crea una sagoma
netta contro la luce riflessa. Ai piedi del muro il terreno è arido e polveroso e tra la terra bianca si
notano chiaramente i cumuli di sterco del cavallo. La luce impietosa e il caldo non permettono la
crescita della vegetazione. Solo qualche pianta colonizzatrice riesce a farsi strada con le radici in
profondità. Al fondo, oltre la fine del muro, stazionano altri due soldati. I cavalli hanno colori diversi
e opposti, uno bianco e uno nero. Le tre sentinelle sono di vedetta e stanno controllando il territorio.
A sinistra si sviluppa una strada sterrata la cui carreggiata è indicata dalle rimanenti tracce dei carri.
L’orizzonte è rappresentato da una linea pulita e deserta sulla quale la calura della tarda mattinata
crea ondeggiamenti della visione. Il cielo è terso e sgombro da nubi.
Lo stile: Giovanni Fattori come gli altri suoi compagni Macchiaioli rifiutò la pittura dai toni
neoclassici e romantici. Si avvicinò invece al Realismo francese conosciuto attraverso alcuni viaggi a
Parigi. La macchia è alla base della tecnica utilizzata dal gruppo macchiaiolo. Le figure si determinano
attraverso contrasti di luminosità e di colore che racchiudono forme omogenee. Queste campiture
uniformi accostate concorrono così a creare l’immagine e l’articolazione figura sfondo. I cavalli e i
cavalieri invece sono dipinti con un uso più evidente della macchia utilizzata però con un fine
volumetrico. Il muro bianco con la sua forte fuga prospettica diventa uno schermo sul quale
proiettare l’immagine della sentinella. Allo stesso tempo introduce un elemento di linguaggio al
limite dell’astrazione. Lo stesso linguaggio si può osservare nei dipinti Alt! e Gruppo di Lancieri su
strada. Lo stile più propriamente macchiaiolo si osserva nel dipinto intitolato La Rotonda dei bagni
Palmieri. I Macchiaioli furono attivi dal 1855 al 1867. Molti di loro con posizioni anarchiche o
repubblicane si avvicinarono agli ideali del Risorgimento. Il gruppo si formò intorno al loro teorico
Diego Martelli. Gli artisti e altri intellettuali infatti erano soliti riunirsi presso il caffè Michelangiolo
di Firenze. Nel dipinto, sul muro e nella strada, sono sottili differenze di bianco e ocra a definire le
superfici. Così avviene nel cielo. La natura seppur arida e spoglia è in armonia con le sentinelle che
sembrano parte del paesaggio che le circonda.
Lo stile: Nel dipinto “La sala delle agitate” la luce proviene da una finestra fuori campo sulla destra
che illumina le pareti di una tonalità molto chiara, abbagliante e proietta sul pavimento lunghe
ombre. L’originale impianto prospettico in diagonale ha il suo punto di fuga esternamente al quadro
sulla parte destra. L’inquadratura diagonale è un elemento ripreso dalle stampe giapponesi. La
scelta cromatica di Signorini si basa su forti contrasti chiaroscurali, sulla contrapposizione delle tinte
chiare e luminose delle pareti e del soffitto con le tonalità scure e terrose del pavimento, delle figure
e delle ombre che animano il dipinto.
Interpretazione: Telemaco Signorini con quest’opera di denuncia sociale riflette sul tema della
follia, emerge la problematica sociale dei manicomi e la condizione in cui vivono i sofferenti di
disturbi mentali. Dolore e solitudine sono i due sentimenti rappresentati in questo dipinto animato
da un intenso e penetrante verismo. Le infelici donne ritratte, rese alterate dalla demenza,
rappresentano un vero spettacolo di dolore. La solitudine viene ben evidenziata dall’atteggiamento
di ognuna delle internate, una donna alza i pugni e urla, altre sono chiuse nei loro mantelli per difesa
e protezione, un’altra ancora cerca rifugio sotto il tavolo. Richiamandosi al metodo scientifico
sostenuto dal Naturalismo Signorini dipinge senza far trapelare alcun coinvolgimento emotivo, con
distacco obiettivo.
La toilette del mattino rappresenta un momento della vita quotidiana di alcune prostitute all’interno
di una casa di tolleranza fiorentina. Il dipinto, di per sé, non ha niente di scandaloso salvo il soggetto;
eppure la mentalità borghese del tempo era tale da sconsigliarne l’esposizione in pubblico, tanto
che questo ultimo capolavoro rimase nascosto nell’atelier del maestro fiorentino fino alla sua morte.
Sennonché, per ironia del destino, La toilette del mattino divenne in seguito una delle opere più
ammirate del maestro, tanto da essere acquistata da Arturo Toscanini, appassionato collezionista
di opere d’arte, e da ispirare al regista Luchino Visconti alcune scene del film Senso del 1954.
Il sipario immaginario del dipinto si apre su un ampio locale il cui pavimento a mattonelle
rettangolari ricorda quello della Sala delle agitate e del Bagno penale anche qui in funzione
prospettica; sul reticolo di questo pavimento il pittore dispone tre gruppi separati di figure: al centro
della sala troneggia la toilette vera e propria, cioè il mobiletto a tavolino con specchio e ripiano per
tenervi ciò che serve per pettinarsi e truccarsi, intorno alla toilette vediamo tre personaggi, due
cortigiane già vestite di tutto punto e un giovane frequentatore della maison anch’egli vestito, che
si china verso la toilette da dietro. Una della due cortigiane è seduta davanti alla toilette e sta
appunto acconciandosi, l’altra è ritta in piedi e, particolare (allora) indicativo del mestiere, fuma una
specie di sigaro. Le pareti della sala sono arredate con ampi divani rivestiti di velluto rosso-arancio
damascato che rima con il rosso-arancio della lunga gonna della cortigiana in piedi vicino alla
toilette. Sul divano in fondo notiamo tre figure, una di spalle, in abito grigio con un’ampia gonna,
piegata in avanti che conversa con un’altra cortigiana seduta e con un giovane semisdraiato e
annoiato vestito di scuro. Sul divano in primo piano, nell’angolo di destra per chi guarda, vediamo
due figure sedute, una di scorcio non ben identificabile, l’altra voltata di tre quarti verso
l’interlocutore seduto alla sua destra concedendo l’unica nota osé di tutta la scena: una splendida
spalla nuda. Indifferente a tutto quello che succede intorno a lui, un bel gatto monocromo, macchia
azzurrina e ingobbita sul pavimento color mattone illuminato da fasci di luce provenienti dalla
finestra in fondo alla parete di destra, volge la morbida schiena a noi che lo guardiamo ammirati per
la sua naturale eleganza.
Olympia di Eduard Manet
Conosciuto brevemente il soggetto, ora cerchiamo di scoprire tutti i dettagli di questa composizione,
molti dei quali non sono da considerare di poco conto, al contrario, permettono una lettura più
precisa dell’opera. Come già detto in precedenza, questo quadro fin dal suo primo contatto con il
pubblico, ha suscitato non poche critiche, e non solo a causa della completa assenza di vestiti della
donna ritratta, ma soprattutto allo sguardo provocatorio che quest’ultima lancia agli osservatori
dell’opera.
Spostando l’attenzione lontano dalla protagonista si possono notare diversi elementi che sembrano
suggerire il legame della donna con il mondo della prostituzione: i suoi accessori sono degni di
attenzione, come ad esempio l’orchidea che ha tra i capelli, il suo braccialetto e gli orecchini di pelle;
messi in un unico gruppo, questa serie di accessori e gioielli indossati dalla donna, accrescono il
fascino conturbante di quest’ultima, attorniandola di un’aura sensuale e provocatoria.
Prima del controverso capolavoro di Manet, ci sono stati molti altri esempi che hanno aperto la
strada a questo genere di rappresentazione: basti citare la Venere di Urbino di Tiziano oppure La
Maja vestida e la Maja desnuda di Goya, i quali, anche nei precedenti secoli fecero gridare allo
scandalo la critica. Olympia sembra che sia stata dipinta come quadro contrario alla Venere di
Urbino di Tiziano, e lo si può notare soprattutto nei gesti: nel quadro di Tiziano, la mano sinistra sul
pube della dea, sembra alludere ad una seduzione dell’osservatore; la donna ritratta da Manet,
invece, sembra allontanare l’osservatore, simboleggiando la forte indipendenza sessuale della
protagonista; in poche parole, Olympia si sarebbe potuta concedere unicamente in cambio di un
compenso. Molti altri sono gli elementi che contrastano esplicitamente con l’opera di Tiziano: nel
quadro del maestro veneziano è presente un cane, che tradizionalmente è il simbolo di fedeltà; nel
quadro di Manet è un gatto nero, che al contrario del cane, è simbolo della prostituzione e
dell’indipendenza. A destra di Olympia si nota una servitrice che sta porgendo dei fiori alla
protagonista: il floreale omaggio probabilmente è stato donato da un qualche cliente; Olympia
rivolge lo sguardo all’osservatore ed ignorando il dono, dimostrando che il suo affetto non è per un
solo individuo, ma “legato” al miglior offerente.
Differentemente dagli altri lavori realizzati da Manet in passato, in questo caso basta una semplice
occhiata per rendersi conto che ci si trova davanti ad un esperimento, a qualcosa di completamente
differente da ciò che aveva dipinto fino a quel momento: in Olympia dominano le pennellate veloci
e colori duri e profondi; il corpo della ragazza, poi, viene messo in risalto grazie alla luce dura e
fredda che avvolge l’intera composizione. Proprio come in La colazione sull’erba, anche in questo
caso Manet decide di utilizzare una tela molto grande: di solito questa scelta era preferita per la
realizzazione quadri a tema mitologico/religioso; con questa scelta, il pittore dimostra la sua
posizione e il distacco dai canoni tradizionali della pittura. Olympia è un quadro che è passato alla
storia soprattutto per il significato, il quale ha scioccato completamente la critica, che lo ha giudicato
immorale e molto volgare.
Stile: Altro motivo di riprovazione fu il tessuto pittorico del fondo naturale che sembrava
disordinato e confuso. I personaggi sono dipinti con modellati ben costruiti come anche gli abiti. La
natura e il paesaggio, invece, sono dipinti attraverso ampie zone di colore e pennellate rade e
frettolose. Nell’insieme, la realizzazione del paesaggio e della natura sembra suggerire una
impressione più che una descrizione. Si anticipa la pittura impressionista.
La tecnica: Su tutto il dipinto predomina il colore verde declinato nelle varianti di tono e chiarezza.
A sinistra si distingue l’azzurro degli abiti mentre a destra emerge per contrasto di chiarezza l’abito
scuro del borghese. Le figure delle due donne, soprattutto quella in primo piano, si ritagliano dal
fondo verde scuro e brillano di luce chiara. La prospettiva aerea descrive il paesaggio sul fondo che
si intravede in centro sopra la donna che si bagna nel laghetto.
Lo spazio: La profondità è suggerita dalla sovrapposizione dei corpi e dalla diminuzione della loro
dimensione in profondità. Infatti, la distanza del laghetto dalle figure si apprezza valutando la
dimensione della donna in secondo piano. Anche l’altezza dal bordo inferiore del dipinto costruisce
lo spazio arrivando fino all’orizzonte posto a due terzi dell’altezza.
Approfondimento: Edouard Manet non partecipò mai alle mostre organizzate dai pittori
impressionisti, come Claude Monet e Degas. Il suo interesse nel rinnovare la pittura scardinando la
tradizione accademica fu, però, di modello al gruppo di artisti in ascesa in Francia. Il suo dipinto
intitolato La colazione sull’erba, fu progettato sulla base di opere rinascimentali. Suscitò
immediatamente reazioni scandalizzate per via della donna nuda accomodata tra due uomini. Gli
abiti contemporanei dei due personaggi non giustificavano la nudità della donna come un
riferimento mitologico. La scena divenne, quindi, una rappresentazione di una situazione
imbarazzante di due borghesi seduti all’aperto al cospetto di una donna svestita. Lo scandalo che
provocò l’esposizione del dipinto di Edouard Manet, Colazione sull’erba, fu dovuto alla presenza,
contemporanea, di un nudo femminile e di borghesi abbigliati con abiti contemporanei.
Il bar delle Folies-Bergère di Edouard Manet
Edouard Manet, Il bar delle
Folies-Bergère, 1882, olio su
tela, 96 x 130 cm. Londra, The
Courtauld Gallery
Interpretazioni: Nella rappresentazione della vita serale alle Folies-Bergère di Edouard Manet
non vi è alcuna condanna morale. L’artista stesso era solito frequentare il locale. Come in atri dipinti
del maestro la motivazione a voler raffigurare questa realtà è piuttosto l’intenzione di descrivere la
vita reale. Il cliente e la prostituta conducono una trattativa non troppo velata. La giovane acrobata
intrattiene il pubblico con la sua prestanza atletica e la sua bellezza. Il pubblico di clienti si diverte e
beve mentre la cameriera, annoiata, stanca e malinconica attende che il suo lavoro finisca. L’interno
stesso del locale, tutti i suoi avventori sono rappresentati attraverso un riflesso. Pare infatti che non
siano nemmeno reali ma l’illusione di un momento fugace che svanisce in un lampo. Una volta
terminata la serata di tutta la confusione e degli incontri non rimarrà che una sala vuota sistemata
dalle cameriere.
Lo stile: Il dipinto non è un’opera impressionista. Sebbene Edouard Manet abbia influenzato in
modo determinate gli impressionisti il maestro non si considerò mai tale. Le forme del dipinto sono
determinate da campiture quasi uniformi e monocromatiche. Il chiaroscuro è minimo e si ritrova
negli effetti di luce sulle bottiglie. Infatti, la figura della cameriera è quasi una sagoma scura i il suo
volto appena ombreggiato a destra. Nel suo insieme il taglio è quello di una istantanea fotografica.
Le masse sono definite da forti contrasti di luminosità. In profondità le figure si confondono e sono
formate da grandi pennellate materiche.
Il colore: I colori del dipinto sono tendenzialmente freddi. Nel riflesso alle spalle della cameriera
prevalgono i blu e i grigi. In primo piano il marmo del bancone concorre a creare una base neutra. Il
grigio chiaro crea riflessi dello stesso tono sui vetri dei bicchieri e dell’alzata con i mandarini. Le
bottiglie scure, verdi e blu sono delle sagome ritagliate contro il piano. Unici elementi che scaldano
le nature morte del piano sono gli agrumi e le due bottiglie di liquore ambrato. L’illuminazione è
quella di un interno con riflessi freddi sulle bottiglie e sui bicchieri.
Lo spazio: Lo spazio reale rappresentato è limitato a quello occupato dalla cameriera contro lo
specchio della parete. In realtà il senso di profondità del dipinto è virtuale. Infatti, l’interno del locale
è percepito dal riflesso contro lo specchio. Vista la specificità delle immagini riflesse l’impressione è
quella di un ambiente più ampio del reale. La struttura del dipinto Il bar delle Folies-Bergère è
frontale e simmetrica. Sull’asse verticale è dipinta la figura immobile della cameriera che costituisce
la massa più importante di tutta la composizione. Si può infatti considerare un ritratto della giovane.
Di fronte a lei si sviluppa il piano orizzontale sul quale sono disposte piccole nature morte. Infine, lo
sfondo riflesso nello specchio è scandito dalle grandi colonne e dai monumentali lampadari in vetro.
Approfondimenti: Il locale chiamato Folies-Bergère di Parigi non era una semplice sala da ballo.
Fu sicuramente la prima sala musicale di Parigi ma non solo. Nei messaggi pubblicitari dell’epoca fu
subito chiaro che i clienti potevano trovare anche altro. Una delle descrizioni dell’atmosfera delle
Folies-Bergère pubblicata da una rivista parlava di “linguaggio del piacere”. Nel locale infatti erano
tollerate, se non favorite, le pratiche di prostituzione. Il poeta Maupassant definiva infatti le
cameriere come venditrici di bevande e di amore. Edouard Manet come altri artisti e intellettuali
frequentava il locale e realizzò molti disegni al suo interno. Nella sua famosa Colazione sull’erba
Manet racconta un momento di vita all’aperto tra borghesi e loro giovani amanti.
Impressione, soleil levant di Claude Monet
Claude Monet, Impressione, sole nascente, 1872, olio su tela, cm 48 x 63. Parigi, Musée Marmottan
Oltre alla celebre serie delle Ninfee Monet ed i quadri sui gladioli, la serie di opere di cui mi appresto
a parlarti ora, racchiude al proprio interno tutte le caratteristiche di Monet. I quadri che mi accingo
a farti conoscere, sono quelli appartenenti alla serie della Cattedrale di Rouen.
Il gruppo è composto da 30 dipinti, tutti rappresentanti la cattedrale gotica in momenti differenti
della giornata. Leggendo questo articolo, conoscerai tutti i dettagli relativi ai vari lavori, come data
di realizzazione, dimensioni, luoghi di conservazione, descrizione ed analisi dei quadri Monet più
significativi di tutta la serie. Le prime immagini della Cattedrale di Rouen vennero realizzate da
Monet nel 1892, durante il primo soggiorno dell’artista nell’omonima cittadina.
Per mezzo delle analisi approfondite da parte degli studiosi, si è giunti alla conclusione che è
impossibile determinare con precisione a che ora sia stata realizzata ogni tela di questa serie, poiché
ciascun quadro Monet, dopo essere stato completato, è stato rielaborato e modificato nell’atelier
dal pittore. Le prime due tele definitive de la cattedrale di Rouen Monet vennero dipinte ad inizio
febbraio del 1892, a cielo aperto: questi lavori mostravano una parte della Tour Saint Romain ed
alcune abitazioni nelle vicinanze; questi due disegni erano molto interessanti e si distaccavano dal
resto della serie perché Monet pittore dipinse all’aria aperta, mentre si trovava al piano terra e
rivolto ad occidente.
La Grenouillère di Claude Monet.
Lo stile: La Grenouillère è stata dipinta con la tecnica impressionista da Claude Monet, uno dei
principali e più noti artisti appartenenti al movimento francese. Le pennellate sono apposte sulla
tela senza fusione dei colori. La pasta colorata, come tipico nella tecnica impressionista, non viene
diluita o stesa, ma le pennellate sono materiche. I dettagli dell’immagine non vengono disegnati per
essere identificati in modo distinto. Infatti, è la lettura del contesto che permette all’osservatore del
dipinto di decifrare i vari oggetti e le diverse forme. Le forme sono suggerite da pennellate che
abbozzano le parti in ombra e quelle in luce.
La luce: Gli impressionisti rappresentarono la luce e il suo variare di intensità e colore durante le
ore della giornata. Claude Monet fu ispirato, in molti suoi dipinti, dall’interazione tra la luce
ambientale e specchi d’acqua. Da ricordare, infatti, la ricerca che condusse, fino agli ultimi anni della
sua vita, sulla rappresentazione di acque ferme e vegetazione acquatica. I dipinti dedicati alle ninfee
sono i più noti della vicenda impressionista. La Grenouillère diede a Claude Monet la possibilità di
indagare gli effetti dei raggi di sole che filtrano attraverso le foglie e si riflettono sull’acqua della
Senna. La tonalità generale de La Grenouillère è fredda, prevale, infatti il colore dell’acqua e del
verde. La fila di alberi sulla sponda lontana è tendente al giallo perché maggiormente illuminata.
Sull’acqua, in primo piano, la superficie è leggermente increspata e forti i contrasti di chiarezza
rivelano i riflessi della luce che filtra tra i rami. In lontananza i contrasti si attenuano e non vi sono
scuri profondi.
Lo spazio: Lo spazio tridimensionale viene suggerito da Monet attraverso la disposizione obliqua
delle barche che si allungano verso il centro del dipinto. L’isola centrale, con i bagnanti, funziona da
indicatore di profondità intorno al quale si organizza lo spazio virtuale. La profondità è suggerita
dalle prospettive di grandezza, di sovrapposizione delle figure e dalla prospettiva aerea. I colori,
infatti, si schiariscono, perdono i forti contrasti di chiaroscuro del primo piano e viene attenuata la
saturazione delle tinte.
La composizione: Claude Monet fu un grande sperimentatore. Il suo linguaggio visivo mutò nel
corso della vita riguardo la tecnica e anche nel taglio compositivo dell’inquadratura. Gli
impressionisti furono condizionati dall’invenzione della fotografia. Per la prima volta nella storia
dell’umanità, attraverso l’apparecchio fotografico, venivano prodotte immagini in modo diretto. Le
prime immagini fotografiche permisero a molti artisti di lavorare in studio, rielaborando le fotografie
sulla tela. Gli impressionisti, come Claude Monet furono piuttosto ispirati dalle inquadrature delle
immagini fotografiche. Nel dipinto La Grenouillère si coglie una composizione che ricorda le
inquadrature degli obiettivi fotografici. La scena prosegue oltre i bordi del dipinto. Un artista che
utilizzò abbondantemente il taglio fotografico nei suoi dipinti di Ballerine fu Edgar Degas. Si coglie
l’intenzione di Claude Monet di non risolvere la composizione entro i limiti del campo pittorico ma
suggerire lo scorrere oltre il dipinto.
L’inquadratura: La fuga prospettica del padiglione galleggiante sulla destra, delle barche, in
primo piano, e del piccolo pontile a sinistra, punta verso l’isolotto centrale. Questa piattaforma,
sulla quale si trovano alcuni bagnanti, fa da perno centrale della composizione. Intorno ad essa ruota
il resto dell’immagine. L’alberello che si erge al suo interno sembra rappresentare una sorta di punto
di convergenza delle oblique del quadro. La linea che segna la sponda del fiume, sullo sfondo, è
leggermente obliqua crea un movimento suggerendo lo scorrere dell’acqua. L’effetto di scorrimento
e il dinamismo dell’inquadratura viene supportato dalla linea obliqua che unisce, in alto, le chiome
dell’alberata sulla riva opposta della Senna. Si formano, quindi, due direttrici compositive. La
principale converge sull’isola centrale, mentre la seconda conduce lo sguardo oltre il bordo sinistra
del dipinto. In questo modo Monet nel dipinto La Grenouillère crea una àncora visiva sull’isoletta e
suggerisce la continuità dello spazio oltre la tela. Non è presente una chiara simmetria centrale, ma,
l’impianto compositivo è sicuramente centrale. L’isoletta stabilizza l’intera composizione e le masse
cromatiche e le forme ruotano intorno ad essa. Il barcone di destra, in ombra è equilibrato, a sinistra
dalla zona più luminosa del dipinto.
La Colazione dei Canottieri di Pierre-Auguste Renoir
Pierre-Auguste Renoir, Colazione dei Canottieri, tra il 1880 e il 1881, olio su tela, 130.2 x 175.6 cm.
Washington, Museo
Descrizione: Sotto ad un dehors i canottieri e i loro amici sono riuniti intorno ad un tavolo. Il
gruppo ha appena terminato di pranzare e sulla tovaglia rimangono stoviglie e avanzi di cibo. I
giovani conversano e si godono l’atmosfera calda del pomeriggio mentre la Senna, in basso a
sinistra, è percorsa da piccole imbarcazioni dalle vele bianche. In primo piano una ragazza gioca con
il suo cagnolino osservata da un canottiere. Un altro giovane si porge verso la ragazza elegante
seduta al tavolo. Un altro canottiere con la barba si riposa appoggiato alla balaustra a sinistra. Altri
due giovani sono seduti al tavolo in secondo piano mentre due gruppi di amici si intrattengono a
destra e sul fondo.
Interpretazioni: I modelli che si prestarono per la composizione del dipinto erano amici e colleghi
di Renoir. La ragazza in primo piano a destra è Angèle, una delle più note modelle del maestro. Alle
sue spalle, in piedi, si trova il signor Maggiolo, un giornalista. Il giovane vestito da canottiere seduto
sulla sedia posta al contrario è il pittore Gustave Caillebotte. Di fronte a lui, poi Aline Charigot, futura
moglie di Renoir, gioca con il suo terrier. Il canottiere robusto che si appoggia a sinistra alla ringhiera
è Alphonse Fournaise Jr, il figlio del proprietario del ristorante. L’uomo rappresentato di schiena con
cappello e abito marroni è il barone Raoul Barbier, un ex ufficiale di cavalleria. La giovane con la
quale dialoga è forse la figlia del proprietario Alphonsine Fournaise. Barbier è seduto al tavolo con
l’attrice Ellen Andrée rappresentata mentre beve. Nonostante il dipinto ritragga un gruppo di amici
e conoscenti storicamente riconoscibili è considerato un’opera dal significato universale. I
personaggi rappresentano donne e uomini riuniti in una situazione di amicizia.
Lo stile: La trama del dipinto è costruita tramite grandi pennellate materiche che confondono i
contorni delle forme. Così si forma una impressione della scena e i dettagli vengono accennati ma
non descritti. La tecnica dei pittori impressionisti spinge l’osservatore a considerare l’insieme del
dipinto. Non occorre soffermarsi su ogni particolare. Nel dipinto Impressione, Sole nascente di
Claude Monet le figure, navi e strutture del porto di Le Havre, sono solo segni veloci posti sulla tela.
Nel caso estremo del dipinto che segna la nascita della pittura impressionista ogni segno è
identificabile con un oggetto solo se si considera tutto il contesto. Colazione dei canottieri è un
dipinto nel quale si sommano diverse istanze della pittura figurativa occidentale. Nonostante la
tecnica renda inutile la descrizione minuziosa dei dettagli Renoir ha citato volutamente la tradizione.
Nel dipinto infatti vi sono brani di paesaggio, di natura morta e di ritratto.
Il colore: La luce del pomeriggio filtra tra le fronde degli alberi e illumina a tratti la scena in primo
piano. I colori sono freschi, saturi e luminosi. I colori primari son distribuiti uniformemente e si
richiamano all’interno del dipinto. I gialli dei cappelli. I blu delle vesti e i rossi degli accessori
femminili.
La Composizione: L’inquadratura della scena nel dipinto di Renoir La Colazione dei canottieri è di
tipo fotografico. I soggetti principali sono tutti compresi all’interno del dipinto tranne la figura
femminile a destra, parzialmente tagliata dal bordo. Il clima del dipinto e la sua concezione ricorda
inoltre una istantanea fotografica. I Canottieri, gli amici e le amiche non sono in posa ma sembrano
inconsapevoli dell’artista che li osserva. In questo l’opera ricorda una composizione su base
fotografica.
La scuola di danza di Edgar Degas.
Edgar Degas, La scuola di danza, 1873-1976, olio su tela, cm 85 x 75. Parigi, Musée d’Orsay
Stile: Diversamente dagli artisti che preferivano lavorare all’aperto come Monet e Pissarro, Edgar
Degas compose in studio il dipinto La scuola di danza. L’opera fu preceduta da molti schizzi e disegni,
annotati dal vero, che fecero da base al dipinto finale.
Colore: L’intero dipinto è dominato da un colore di fondo neutro tendente all’ocra che identifica il
palcoscenico. Le pareti, poi, sono colorate di un verde molto chiaro e poco saturo. Su questi colori
spiccano, nella fascia centrale, i tutù chiari delle ballerine. I colori più saturi sono riservati ai nastri
che stringono la vita ed i capelli delle ragazze.
Composizione: L’inquadratura del dipinto è ispirata a quelle fotografiche. La fotografia era, infatti,
in ascesa a Parigi come in tutto il mondo e Degas si ispirò ai tagli fotografici. Le figure vengono,
quindi, dipinte tagliando alcune loro parti con i bordi del piano pittorico. In questo modo
l’osservatore, già abituato ad osservare le immagini fotografiche, ottiene un’impressione di maggior
immediatezza. Il dipinto, infatti, acquista una componente di istantaneità quasi casuale da
reportage fotografico.
L’assenzio di Edgar Degas
I colori: I colori delle campiture che contengono le forme sono, poi, la risultante dei diversi puntini
colorati secondo le mescolanze indicate dalla teoria cromatica dei primari e dei complementari.
Infatti, sulla totalità dei colori emerge il verde chiaro e brillante del prato illuminato dal sole e il
verde scuro delle zone d’ombra. In alto il cielo è coperto dalla chioma verde scura dei numerosi
alberi che ricoprono il parco. La Senna è di un bel blu pieno di riflessi, mentre gli abiti dei parigini
creano macchie di colore sparse tra gli alberi. Le forme vengono messe in evidenza da contrasti di
chiarezza e di complementari. Lo spazio e la profondità sono costruiti mediante la sovrapposizione
delle forme e la progressiva diminuzione delle dimensioni degli oggetti. Il corso della Senna crea un
taglio compositivo sulla sinistra mentre i tronchi degli alberi scandiscono lo spazio come le colonne
di un edificio.
Le due madri di Giovanni Segantini
Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, cm 157 x 280. Milano, Galleria d’Arte Moderna
Descrizione: Una giovane madre si trova all’interno di una stalla con in braccio il suo bambino. La
donna è seduta su di uno sgabello da mungitura a tre gambe. È vestita con un semplice abito lungo
che arriva fino ai piedi coperti da poveri zoccoli. Il capo è avvolto da un fazzoletto chiaro annodato.
Il suo viso è chinato in basso, gli occhi chiusi e sembra dormire serenamente. Tra le sue braccia
riposa, poi, il neonato. Il piccolo dorme sulle ginocchia materne. È avvolto da un panno che ricopre
interamente il suo corpo. Il piccolo braccio sinistro scivola in basso lungo la gamba della madre. A
sinistra, invece, una vacca si ciba da una mangiatoia. A terra, il suo vitello riposa tranquillamente
mimetizzato tra la paglia. Al centro dell’immagine, una lampada schermata da un foglio, illumina
debolmente la scena. La luce mette in evidenza il piccolo che dorme tra le braccia della madre. I
muri della stanza sono scuri e il pavimento nella stalla è ricoperto di paglia.
La maternità: Non si tratta, comunque, di una maternità vista in chiave religiosa. Nel dipinto le
due madri di Giovanni Segantini la maternità della donna e quella dell’animale vengono interpretate
sullo stesso piano. L’artista in questo dipinto compie una riflessione profondamente spirituale.
Segantini fu un anticlericale convinto. Nonostante questo, pare che l’immagine della contadina si
confronti direttamente con quella della Maternità cristiana. Secondo alcune osservazioni critiche,
però, il maestro concepì tale condizione come un evento subordinato alle leggi naturali. La bovina
mangia tranquilla mentre a terra il vitello riposa. Anche la contadina dorme con il figlio abbandonato
sulle sue ginocchia. Le due madri è, quindi, un esempio di opera simbolista il cui significato nasce
dall’atmosfera sospesa e spirituale del dipinto.
Il colore: Le due madri di Giovanni Segantini presenta un’atmosfera cromatica calda. Prevalgono,
infatti, i toni bruni. I due bovini si mimetizzano, così, con le pareti della stalla, con la mangiatoia e
con la paglia del terreno. Segantini utilizzò gli stessi colori, ocra, chiaro e più scuro, più una vasta
gamma di marroni ma non usò il nero. Il colore è leggermente più saturo nell’incarnato della madre,
del figlio e sulle mammelle della vacca. L’illuminazione, inoltre, è artificiale e proviene dalla luce
della lanterna. La donna e il bambino sono illuminati direttamente e spiccano anche per un maggiore
chiaroscuro all’interno della penombra della stalla. Grazie a questa illuminazione centrale e debole
si crea, così, un suggestivo e intimo gioco di ombre riflesse sulla parete e sul pavimento. In questo
dipinto Segantini affrontò la questione dell’illuminazione artificiale all’interno di uno spazio chiuso.
Questa situazione gli permise di sperimentare maggiori possibilità espressive grazie ai forti contrasti
tra luce ed ombra.
Lo spazio: La stanza è rappresentata dalla parete di fondo, dal pavimento e da una zona a destra
ingombra di tramezzi di legno. Non vi è prospettiva lineare, solo un suo accenno nella mangiatoia.
Sono i giochi di luce e d’ombra creati dalla debole luce della lanterna a creare le relazioni tra le figure
dei bovini, a sinistra, e del gruppo con la madre e il bambino a destra. Si intuisce la posizione della
vacca leggermente in profondità dalla posizione delle zampe leggermente superiore, rispetto al
bordo inferiore del dipinto.
Descrizione: Nel dipinto Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo un corteo di lavoratori è
in cammino. La folla, compatta, avanza verso il fronte del quadro con grande determinazione. Sui
volti, infatti, si leggono fierezza e la volontà di rivendicare i propri diritti. In primo piano, guidano il
corteo a sinistra un uomo anziano, al centro un giovane mentre a destra una donna con in braccio il
suo bambino. Questi tre personaggi rappresentano le componenti della classe sociale più umile
dell’epoca. Gli uomini e la donna in primo sono vestiti con abiti poveri ma dignitosi. Il giovane uomo
indossa una camicia con al di sopra un gilet. Sul capo porta un cappello e la giacca è tenuta
elegantemente da una mano e pende dietro la schiena. La sua postura è calma è sicura. Infatti, la
sua mano destra sorregge la giacca senza affanno mentre la sinistra è fermamente poggiata sulla
tasca. La donna, invece, sembra rivolgersi all’uomo per farlo desistere dal condurre la
manifestazione. I suoi piedi sono nudi. Anche il bambino che porta in braccio è nudo e abbandonato
nella stretta della madre. Gli uomini che seguono i tre personaggi gesticolano visivamente come per
rivendicare le proprie istanze. A sinistra una donna segue il corteo, come altre donne sulla destra.
Un uomo con una giacca sulle spalle tiene per mano un bambino. Giovani, maturi e anziani
procedono compatti verso il fronte del dipinto.
La storia dell’opera: Giuseppe Pellizza da Volpedo, intorno al 1880, durante una manifestazione
di protesta per il caro pane realizzò alcuni schizzi. Da questi primi studi dipinse poi l’opera Fiumana
conservata presso la pinacoteca di Brera di Milano. L’artista impiegò dieci anni per elaborare la tela
definitiva. Pellizza da Volpedo fu ossessionato dall’idea di realizzare quest’opera. Per questo motivo
si ridusse quasi in miseria e per sostentarsi faceva ricorso al cibo che gli mandava la famiglia da
Volpedo. Solidale con il popolo milanese decise, probabilmente, di realizzare la grande opera di
denuncia in seguito alla strage ordinata da Bava-Beccaris del 6-9 maggio 1898. Il generale milanese,
per ingraziarsi il governo, aprì il fuoco contro un corteo di operai che si recava presso la Pirelli. I
cannoni uccisero 81 cittadini e causarono centinaia di feriti. In seguito alla strage di stato, peraltro
non autorizzata, lo stesso Gabriele D’Annunzio, appena saputa la notizia, si spostò dai banchi della
destra verso quelli della sinistra facendo cadere il governo. In origine il dipinto doveva essere
intitolato Ambasciatori della pace e poi Il cammino dei lavoratori. Pellizza da Volpedo scelse invece,
successivamente il titolo di Quarto Stato per fare riferimento alla classe lavoratrice come identificata
durante la Rivoluzione francese. Presso la pinacoteca civica di Alessandria è custodito un carboncino
su carta che raffigura uno studio del personaggio centrale del dipinto. Il volto della giovane donna
in primo piano è quello della moglie di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Teresa Bidone.
Il colore e l’illuminazione: Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato con colori caldi. Gli abiti
dei lavoratori, riuniti in corteo, sono risolti con vari toni di marrone, ocra e grigio caldo. Il suolo,
invece, è grigio chiaro mentre lo sfondo molto scuro. Infatti, il paesaggio che si intravede emerge
appena dal grigio scuro molto offuscato. I toni dei colori perdono saturazione in prossimità dei lati
del dipinto. Nella parte centrale, invece, e in primo piano, prevalgono colori saturi e brillanti. La
scena è illuminata frontalmente ed è proprio verso questo punto luminoso che si muove la massa
di manifestanti. La fonte di luce rappresenta, quindi, un momento di riscatto e di speranza degli
operai.
Lo spazio: La profondità della scena rappresentata nel Quarto Stato è percepibile grazie alla luce
che aumenta in primo piano e lascia lo sfondo in ombra. Inoltre, la grandezza dei corpi dei
manifestanti rende la distanza che separa il primo piano dalle ultime file dei lavoratori.
Angelo Morbelli, Per ottanta centesimi!, 1895-1897, olio su tela, 67,5 x 121,5 cm. Vercelli,
Fondazione Museo Francesco Borgogna
Descrizione: Le donne ritratte di spalle nel dipinto intitolato Per 80 centesimi! sono mondine. Le
lavoratrici sono impegnate del duro lavoro nelle risaie. Il paesaggio è solcato da numerosi canali,
necessari per inondare le coltivazioni di riso. Le mondine sono in fila e affondano i loro piedi dentro
l’acqua. Stanno, infatti, trapiantando il riso e procedono arretrando. Sono chinate in avanti e
affondano le loro mani dentro la terra fangosa. La loro immagine si riflette nello specchio d’acqua
in primo piano. I canali che separano le coltivazioni si allontanano verso l’orizzonte. In lontananza,
verso sinistra un altro gruppo di donne arretrano dalla direzione opposta. Infine, una sottile linea di
bosco delimita i campi verso il bordo superiore del dipinto.
Interpretazioni: Il titolo del dipinto di Angelo Morbelli si riferisce alla paga destinata alle mondine.
Il loro durissimo lavoro era, infatti, sottopagato. Inoltre, si limitava ad un periodo breve durante
l’anno. L’artista, così, fu colpito dalla forza di carattere che mostrarono le mondine nell’organizzare
gli scioperi che portarono ad un salario migliore e alla riduzione delle ore di lavoro. Le mondine di
Vercelli ottennero i primi risultati nel 1906. La scelta compositiva del dipinto Per ottanta centesimi!
permette di mettere in risalto l’intervento dell’uomo sulla natura attraverso le coltivazioni di riso.
Inoltre, il confronto fra la grande estensione dei campi e le mondine chine sottolinea il duro lavoro
da loro compiuto.
La storia dell’opera: Per ottanta centesimi! fu realizzato in un periodo di circa due anni, dal 1894
al 1896. Angelo Morbelli fece uso di fotografie che scattò personalmente sui luoghi delle risaie.
L’opera è firmata e datata 1895. Il maestro iniziò, probabilmente, a lavorare al dipinto nel 1893.
Intervenne sulla tela, nuovamente, nel 1895 in vista della sua partecipazione alla prima Biennale di
Venezia. Inoltre, sembra che ritoccò il dipinto in momenti successivi, non convinto dei riflessi
sull’acqua, in primo piano. In questi anni Angelo Morbelli mantenne una continua corrispondenza
con il suo gallerista Vittore Grubicy de Dragon. Nelle lettere, l’artista chiedeva consigli e teneva al
corrente il mercante sul progredire delle sue opere.
Lo stile: Il dipinto Per ottanta centesimi! di Angelo Morbelli è un’opera divisionista. Il Divisionismo
italiano nacque ufficialmente in occasione della I Triennale di Milano del 1891. In questa mostra
vennero esposte, Le due madri di Giovanni Segantini, il Parlatorio del Luogo Pio Trivulzio, Alba di
Morbelli e Maternità di Gaetano Previati. Il Divisionismo presenta alcune affinità con il Puntinismo
francese. Il colore è posto sulla tela attraverso punti o filamenti di colore puro. La loro fusione
avviene nell’occhio dell’osservatore e restituisce la tinta locale della figura. I soggetti, però, sono
diversi. Nel caso del Puntinismo francese, Seurat dipinse scene di vita dei parigini. Nel caso del
Divisionismo italiano, invece, gli artisti si concentrarono spesso su tematiche sociali.
Lo spazio:
Le linee di fuga tra le piantagioni di riso puntano verso l’orizzonte. Le dimensioni delle figure
femminili, in primo piano, confrontare con quelle a sinistra permettono di stabilire la distanza tra i
due gruppi di mondine. Anche la definizione delle superfici contribuisce a misurare le distanze. In
primo piano si notano, infatti, le piantine di riso ed ogni loro foglia. Verso l’orizzonte, la superficie si
compatta e non si distinguono più i particolari.
Confronti di Morbelli e Millet: Il dipinto di Angelo Morbelli intitolato Per ottanta centesimi! può
essere confrontato con il dipinto Le spigolatrici di Millet. Le due opere rivelano una concezione
diversa delle lavoratrici della terra. Nel dipinto di Millet le figure femminili diventano monumentali.
Le protagoniste assumono un valore epico e drammatico. Le tre giovani sembrano eroine impegnate
nella dura lotta quotidiana per la sopravvivenza. Le mondine di Angelo Morbelli, invece, sono
raffigurate di spalle. Il punto di vista è più alto e mette, così, in risalto l’estensione delle risaie.
Approfondimenti: Il termine mondina deriva dal verbo “mondare”. Le mondine erano lavoratrici
stagionali delle risaie. Il loro lavoro si svolgeva tra la fine di aprile e gli inizi di giugno. I campi
venivano allagati per proteggere le piccole piante di riso dalla differenza di temperatura tra giorno
e notte. Durante questo periodo le piantine di riso venivano mondate e trapiantate. La monda
consisteva nella pulitura della coltivazione dalle piante infestanti. Il trapianto, invece, permetteva di
disporre le piantine in modo da consentire una migliore crescita futura. Le mondine furono
impiegate nelle risaie a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Donna con la caffettiera di Paul Cézanne
Paul Cézanne, Donna con la caffettiera (La femme à la cafetière), 1890-1895, olio su tela, 130 X 97
cm. Parigi, musée d’Orsay
Descrizione: Una donna vestita con un abito modesto e sobrio è seduta al centro del dipinto. Il
suo corpo è frontale e le sue braccia sono abbandonate sulle gambe. Dalle maniche corte spuntano
le due mani tozze e inermi. Il volto rivela l’età matura della protagonista. È rivolto leggermente a
destra e il suo sguardo sembra pensoso. A destra del dipinto, è raffigurato un tavolino coperto da
un panno sul quale vi sono una caffettiera e un bicchiere sorretto da un piattino con all’interno un
cucchiaio di metallo. Dietro alla protagonista è visibile una parete sulla quale vi sono diversi dipinti.
A sinistra, invece, si nota un piccolo brano del muro ricoperto da una carta fiorata.
Lo stile: Paul Cézanne creò il suo linguaggio figurativo rinunciando al realismo. Tutte le figure sono
semplificate con forme geometriche che dialogano spazialmente tra loro per creare l’ambiente
rappresentato. Al posto della copia realistica del reale, di tipo impressionista, infatti, Cézanne
propose la ricostruzione mentale della realtà. Nonostante la donna ritratta fosse vicina all’artista, la
sua immagine non esprime un coinvolgimento psicologico. La figura della protagonista è, così,
indagata dal punto di vista formale e diventa una occasione per sperimentare la semplificazione
delle forme.
La tecnica: La stilizzazione in chiave geometrica delle forme si nota in modo chiaro nel volume
della caffettiera diventato un cilindro. Anche il bicchiere è stato semplificato. Il corpo della donna
ha subito, poi, una trasformazione più drastica. Infatti, il suo volto è riportato ad un ovale. Il suo
busto è semplicemente descritto con linee rette che si incontrano ad angolo per creare le cuciture
anteriori dell’abito. Le maniche sono cilindri che paiono aggiunti al torace. Terminano in basso con
mani dalle dita semplificate e tozze. Al di sotto della cintura l’abito si allarga a formare, quasi, un
cono oltre il bordo inferiore del dipinto. Le pennellate sono molto evidenti e creano delle campiture
prive di chiaroscuro sul tavolino, sulla parete e sugli oggetti appoggiati. Sul piano del tavolino è steso
un panno marrone che nella parte in ombra è, semplicemente, dipinto con un tono più scuro.
Superiormente, invece le pennellate creano zone indefinite di marrone alternato ad ocra e grigio.
Le forme sono contornate da una linea scura che rafforza la loro concretezza e solidità. L’abito della
donna rappresentata nel dipinto è di tonalità fredda, blu e grigio. Alcune zone, in ombra sono dipinte
con nero. Il tavolino, invece, crea un contrasto di temperatura. Infatti, il panno che lo ricopre è
marrone rossiccio molto saturo. Sopra di esso vi sono altri due oggetti, freddi, che riprendono l’abito
della donna.
La composizione: A sinistra, si trova un bicchiere molto chiaro, che poggia su un piattino bianco,
con al suo interno un cucchiaio di metallo. A destra, invece, una caffettiera cilindrica color argento.
Lo sfondo è rappresentato da una parete fiorata e alcuni dipinti. Il dipinto è organizzato su contrasti
di temperatura creati dall’abito e dagli oggetti della piccola natura morta contro lo sfondo e il
tavolino di tonalità calda. Anche il volto e le mani sono colorati con ocra e rosa e risultano più chiari
e saturi del fondo. I contrasti di luminosità sono riservati alla parte bassa, creano le ombre ai lati
dell’abito della donna, sotto il tavolino, in prossimità dell’angolo a destra, e a sinistra sul pavimento.
Lo spazio: Lo spazio del dipinto intitolato Donna con la caffettiera non è descritto con le regole
della prospettiva geometrica. Sono invece le forme solide e geometriche, nella loro sovrapposizione
e disposizione, a dare il senso dello spazio. A partire dalla figura della domesica sono i colori e i loro
contrasti che suggeriscono la profondità della stanza nella quale è ritratta la protagonista. Il tavolino
sulla destra è, poi, disegnato in obliquo e il suo lato sinistro permette di misurare lo spazio compreso
tra il primo piano e la donna. Dietro di lei si trova una porta decorata ma non è chiara la distanza
che le separa. Infine, la caffettiera e il bicchiere con il cucchiaio sembrano sospesi al di sopra del
tavolino. Infatti, non sono presenti ombre che li collochino in una precisa posizione sopra di esso. Il
punto di vista dall’alto, con il quale sono dipinti gli oggetti, preannuncia le sperimentazioni cubiste.
Lo Stile: Van Gogh ha utilizzato brevi pennellate modellanti di colore materico. La direzione dei
segni colorati segue, infatti, la forma delle figure. Nei tetti le linee sono oblique, i cespugli e gli alberi
lontani sono rappresentati con pennellate curve. Le montagne, invece, sono modellate con linee
ondulate. Il grande cipresso, invece, sembra una grande fiammata scura. Il cielo, infine, è animato
da vortici di nubi e vento che creano aloni luminosi intorno alle luci delle stelle e della luna. La
matrice pittorica, con l’approssimarsi della crisi finale, diventa progressivamente più tormentata. Le
opere dipinte in periodi meno sofferenti sono notevolmente più solari e descrittive come ad
esempio la Camera di Van Gogh ad Arles.
La composizione: Una vasta gamma di blu e azzurri riempie tutta la superficie dipinta. La luce
notturna è rappresentata dal blu oltremare, mentre la vegetazione diventa quasi nera. Le luci
artificiali brillano gialle dalle finestre delle case. Nel cielo la luna e le stelle spiccano grazie al
contrasto di complementari, infatti, il giallo-arancio è complementare al blu. Tutta la superficie del
dipinto è invasa dalla materia pittorica blu che crea un’atmosfera in bilico tra sogno e solitaria
freddezza. Dalle finestre filtrano deboli luci gialle mentre la luna trasmette la sua luce alle pennellate
azzurre che la circondano. La luce atmosferica non è coerentemente prodotta da quella della luna.
L’illuminazione del dipinto è prodotta dalle gradazioni di blu, amalgamato col bianco-giallo che
creano luminescenze fosforescenze e catodiche.
Lo spazio: Le case del villaggio, dipinte in modo sommario e non creano uno spazio geometrico
lineare. La profondità è, quindi, descritta dal contrasto tra il grande cipresso in primo piano e il
paesaggio con le case e gli alberi che si sovrappongono e diventano più piccoli in lontananza.
L’orizzonte è molto basso e la maggior parte della composizione è occupata dal cielo che
rappresenta lo schermo emotivo e drammatico degli ultimi giorni di vita di van Gogh.
Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso
Pablo Picasso, Les Damoiseles
d’Avignon, 1907, olio su tela, cm
243,9 x 233,7. New york, Museum of
Modern Art (MoMa)
Descrizione: Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso sono cinque ragazze che si espongono
alla vista dell’osservatore. Sono disposte frontalmente e mostrano in modo sfacciato la loro nudità.
Si pongono come modelle e la loro posizione prende direttamente in considerazione l’esistenza di
qualcuno che le sta osservando. In realtà potrebbero essere ragazze di una casa di tolleranza
frequentata dal giovane Picasso. Lo sfondo è rappresentato da zone frammentate di diversi colori
che si integrano con quelle dei corpi delle ragazze.
Interpretazione: Le figure femminili citano forse Le Veneri della tradizione classica. Infatti, i corpi
non possiedono una valenza erotica. In ogni caso, l’intento di Pablo Picasso nel dipingere Les
Demoiselles d’Avignon fu forse quello di creare una cesura con la tradizione artistica. Le due ragazze
centrali hanno uno sguardo più riconoscibile e diretto. Le due donne laterali a destra invece
richiamano, con la deformità del loro volto, le maschere di tradizione africana amate da Pablo
Picasso. L’immagine della ragazza di sinistra poi ricorda lo stile egizio con l’occhio frontale e con il
volto disegnato di profilo.
Lo spazio: Il colore è forte, non modulato dal chiaroscuro e steso in campiture piatte. Il rosa carne
delle ragazze entra in competizione complementare con quello azzurro del fondo dipinto con
frammenti e campiture di colore. La scena nell’insieme sembra quella di un palcoscenico teatrale o
comunque di un teatro di posa. L’unico arredo è una composizione di frutti in basso al centro del
dipinto. Lo spazio è fortemente contratto sulla superficie del dipinto. Lo sfondo e le figure si
integrano attraverso le campiture disegnate in modo geometrico, ma, irregolare. Non vi è
profondità nello spazio rappresentato ma una integrazione bidimensionale tra le forme e lo sfondo.
Pablo Picasso ne Les Demoiselles d’Avignon ha previsto molteplici punti di vista. Sicuramente sui
volti delle fanciulle e sulla composizione di frutta in basso. I punti di vista sono determinati piuttosto
dai contrasti di toni e colori. Contribuiscono a rafforzare la composizione anche le linee di forza che
si creano all’incontro delle figure e delle forme dello sfondo.
La composizione: Il dipinto ha una forma quadrata che impone la composizione centrale. Inoltre,
i corpi delle protagoniste riempiono totalmente la superficie del dipinto. La composizione è
condizionata dalla distribuzione uniforme e ritmica delle figure delle ragazze sulla tela. I centri
psicologici di attenzione sono ovviamente i grandi sguardi delle donne che osservano verso lo
spettatore.
Guernica di Pablo Picasso
Pablo Picasso, Guernica, maggio – giugno 1937, olio su tela, cm 351 x 782. Madrid, Museo Nacional
Centro de Arte Reina Sofía
Descrizione: Pablo Picasso realizzò il grande dipinto intitolato Guernica nel 1937, poco dopo il
bombardamento della cittadina basca ad opera di un gruppo di volontari dell’aviazione tedesca. La
lettura di Guernica procede da destra a sinistra per adeguarla alla sua collocazione all’ingresso del
padiglione spagnolo. In alto a destra una donna ferita alza le braccia al cielo, tra le case in fiamme.
Alla sua sinistra poi una figura spettrale tiene in mano una lampada ad olio. In basso avanza
trascinandosi una donna svestita. Al centro della grande tela un cavallo avanza verso destra ma volta
la testa a sinistra e nitrisce terrorizzato. Sotto gli zoccoli dell’animale il cadavere di un soldato giace
in basso con una ferita sulla mano sinistra. La mano destra impugna una spada dalla lama spezzata.
Dalla stessa mano però sorge un fiore. In alto brilla una lampadina alimentata elettricamente e
diffonde la sua luce nel buio. Nell’opera è raffigurata una madre che stringe il figlio neonato. Sopra
la donna compare infine un toro, simbolo del suo sacrificio nell’arena durante la corrida e della
Spagna. La scena ricorda una natività sconvolta dal bombardamento. Tra i due animali è dipinta una
colomba, simbolo della pace ormai ferita.
Esposizione Universale di Parigi del 1937: Nel giugno del 1937 il dipinto venne poi esposto nel
padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi. In seguito, fu trasferito in altri musei per
finire al Museum of Modern Art di New York, MoMA. Fu Picasso a decidere di lasciare Guernica a
New York in seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1958 l’artista decise di
estendere il prestito al MoMA per un periodo non definito al fine di preservarne l’integrità. Guernica
tornò in Spagna nel 1981. Pablo Picasso era ormai morto da otto anni. Francisco Franco, il dittatore
responsabile dell’eccidio, era scomparso invece da sei anni. Guernica fu così inizialmente ospitata al
Casón del Buen Retiro, prima utilizzato come salone da Ballo del Palazzo Reale. Fu quindi trasferita
al Prado di Madrid e infine al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía dal 1992.
La storia: Picasso realizzò Guernica in due mesi di lavoro. Il maestro ebbe modo di vedere alcune
fotografie del terribile fatto in alcune riviste tra le quali la francese “L’Humanité”. Nel 1935 Picasso
realizzò una incisione intitolata Minotauromachia. Nell’opera compaiono tutti i simboli elaborati nel
tempo e dedicati al toro. Quest’opera è probabilmente la fonte di ispirazione diretta di Guernica. In
aggiunta Picasso inserì nel dipinto riferimenti alla propria vicenda esistenziale e al corso della politica
europea.
Lo stile: Le figure deformate di Guernica oltre a derivare dalle ricerche di Pablo Picasso
contribuiscono a rendere drammatico il racconto. Infatti, le forme sono taglienti, aguzze e sembrano
lacerarsi a vicenda. Le bocche delle donne e degli animali urlano il loro dolore e la loro paura. La
grande tela di juta fu portata nello studio di Picasso in Rue des Grands Augustins a Parigi. In seguito
alle indagini condotte sulla tela, al ritorno dagli Stati Uniti, fu chiarita la natura della tecnica utilizzata
da Picasso. La tela di juta utilizzata fu preparata con una tecnica tradizionale. Questo trattamento
fu necessario per proteggere la superficie dipinta e rendere più brillante il dipinto. L’effetto ricercato
da Pablo Picasso fu quello della superficie di uno specchio a piombo. Una copia di Guernica si trova
esposta nel corridoio anteriore alla sala del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Si tratta di un arazzo che
compare a volte sullo sfondo delle dichiarazioni stampa dei relatori.
La composizione: Per realizzare la sua grande opera Picasso utilizzò una gamma povera di colori.
Il fondo è nero e le figure realizzate in bianco e con varie tonalità di grigio. I contrasti sono forti e le
figure si stagliano ritagliate contro il fondo nero del dipinto.
Lo spazio: Pablo Picasso organizzò lo spazio dell’opera Guernica senza utilizzare la prospettiva
geometrica. I personaggi che affollano il dipinto sono infatti distribuiti sulla superficie dell’opera con
un criterio narrativo piuttosto che realistico. Anche la dimensione superiore – inferiore non è
coerente con una spazialità naturalistica. Comunque, in alto si individuano alcune linee oblique che
creano una specie di scatola prospettica all’interno della quale si sviluppa la scena.
Gli equilibri compositivi: Le forme rappresentate nel dipinto sono bilanciate rispetto alla
verticale centrale come le masse cromatiche di bianchi, grigi e neri. I personaggi creano gruppi
estremamente espressivi e, quindi, vi sono molti centri di attrazione psicologica. La donna che esce
dalla finestra, i musi del cavallo e del toro, la donna con il neonato morente e le braccia aperte del
soldato creano un movimento apparente verso sinistra. Al centro si forma una figura a triangolo
lungo i lati della quale sono distribuite alcune delle figure principali.
Descrizione: Forme uniche della continuità dello spazio è una scultura futurista. Il suo autore,
Umberto Boccioni, fu un artista a tutto tondo e realizzò anche dipinti di ricerca di grande importanza
teorica. La scultura rappresenta una figura umana mentre avanza nell’ambiente. Il modellato,
infatti, è trasformato per presentare dinamicamente la sua aerodinamicità nell’aria. Le parti del
corpo diventano spazi concavi e convessi. Sono, comunque, ancora riconoscibili per via della
posizione che ricorda una persona che sta compiendo un ampio passo. Le gambe, infine, sono
trasformate in scie di bronzo lasciate dietro di sé dall’arto in movimento.
Lo stile: Lo stile futurista, che esaltava il movimento e l’avanzare dell’Industria moderna nella
società italiana, venne utilizzato per realizzare una scultura che intendeva rappresentare il
movimento umano. Umberto Boccioni scolpì questa scultura trasformando le scie di movimento,
dipinte nei suoi lavori, come in La città che sale, in scie materiche di bronzo. Le masse muscolari
vengono destrutturate e sembrano perdere pezzi durante il loro movimento in avanti. La parte in
alto del polpaccio sinistro è la rappresentazione della posizione spaziale precedente, di qualche
minuto, rispetto all’arto posizionato più in basso.
Lo spazio: Intorno alla statua si forma uno spazio in movimento, che sembra agitato dagli arti
scomposti e scheggiati dall’aria che vi passa attraverso. Il corpo si muove in avanti ed è
rappresentato dal busto leggermente piegato in obliquo verso la direzione del movimento. La
gamba che avanza è flessa e forma un angolo di poco più di 90 gradi. La gamba sinistra, invece, è
estesa posteriormente e la sua obliqua si congiunge al bacino proseguendo in alto lungo il busto. La
figura risulta ben ancorata a terra dalla falcata simulata. Il bacino è innestato su questa base naturale
in modo fermo e ben equilibrato. La statua, sebbene riproduca in modo sintetico le sembianze
umane, risulta monumentale e imprime un potente movimento in avanti.
Le grandi bagnanti di Cezanne
Descrizione:
Alcune figure di donne sono disposte lungo i bordi di un fiume. I corpi delle bagnanti sono nudi.
Inoltre una di loro è immersa con le gambe all’interno dell’acqua. A sinistra, una ragazza è distesa
mentre altre due sono in piedi e sollevano il loro braccio portandolo indietro. Tra queste una giovane
è seduta di schiena mentre sulla riva opposta, a destra un’altra sembra in procinto di entrare in
acqua.
Dietro la ragazza con i capelli lunghi e rossi, a sinistra un telo bianco è steso contro un grande albero
a protezione della loro nudità. Sulla riva opposta, poi oltre il corso d’acqua, corre una strada bianca
che confina con alcuni alberi. Tra di essi vi sono dei cipressi che si alzano sottili verso il cielo. Un esile
albero è dipinto su un lembo di prato a destra e uno dei suoi rami sembra creare una croce con il
cipresso della riva posta. Il cielo è azzurro, attraversato solo da leggere nubi bianche.
Interpretazioni:
Alcuni critici fanno notare la difficoltà che Paul Cézanne ebbe nel rappresentare il corpo femminile.
Le figure delle bagnanti, infatti sembrano sgraziate è un po’ goffe. Probabilmente l’artista fece
ricorso anche a ricordi di figure femminili appartenenti alla tradizione pittorica.
La visione dopo il sermone di Gauguin
1888, olio su tela, 72 x 93 cm. Edimburgo, National Gallery of Scotland
Descrizione
Alcune donne bretoni che hanno appena assistito alla celebrazione religiosa osservano una scena
inconsueta. Di fronte a loro si materializza l’evento biblico oggetto del sermone che hanno appena
ascoltato. Giacobbe lotta con l’angelo a destra di fronte a loro come all’interno di un’arena. La piazza
diventa lo spazio mistico teatrale nel quale viene rappresentato il racconto religioso. Alcune sono
raccolte in preghiera, altre osservano la scena in religioso silenzio. Altre ancora in alto a sinistra
sembrano spettatori a teatro. Davanti a loro un bovino percorre tranquillamente la piazza. Oltre il
tronco che attraversa obliquamente lo spazio rosso l’angelo lotta con Giacobbe.
Interpretazioni e simbologia
La visione dopo il sermone di Paul Gauguin è un’immagine dal significato simbolico e religioso. Il
maestro postimpressionista descrisse la semplice religiosità delle donne bretoni come più avanti
farà con gli abitanti di Tahiti. Il fatto biblico si riferisce al passo della Genesi 32:22-32). Giacobbe
dopo aver passato a guado il fiume Jabbok insieme alla famiglia combatte tutta la notte con un
angelo misterioso. L’angelo e Giacobbe agiscono all’interno di una campitura rossa bidimensionale.
Sembrano così far parte di un altro spazio rispetto a quello delle donne.
Questa rappresentazione più astratta e priva di tridimensionalità sottolinea la soprannaturalità della
scena. Il rosso che domina sull’immagine è un colore simbolico che la proietta in una dimensione
mistica e fantastica, quasi allucinatoria. Lo stesso artista scrivendo a van Gogh riferì di concepire
l’evento come presente solo nella mente dei fedeli. Sempre a van Gogh confidò di aver finalmente
trovato una cifra espressiva semplice e primitiva per esprimere la spiritualità dei contadini bretoni.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di Paul Gauguin
Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (D’où venons-nous ? Que sommes-
nous ? Où allons-nous ?), 1897-1898, olio su tela, 139,1 x 374,5 cm. Boston, Museum of Fine Arts
La storia dell’opera: Paul Gauguin dipinse Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? in un
momento tragico della sua vita poco prima del suo tentativo di suicidio. L’artista stava per
compiere cinquant’anni e probabilmente fu spinto a fare un bilancio della sua difficile esistenza.
Nel mese di marzo del 1897 Gauguin fu informato della morte della figlia Aline che portava il nome
della madre dell’artista. La sua sofferenza unita alle condizioni di vita non facili lo spinsero quindi
ad esprimersi con un’opera importante. Nonostante l’impegno che il dipinto
rivela Gauguin racconta di averlo realizzato in un mese di lavoro. Solo un disegno preparatorio
testimonia la progettazione del dipinto che fu eseguito a Tahiti.
Ritratto di Père Tanguy di Vincent van Gogh
Ritratto di Père Tanguy, 1888, olio su tela, 92 x 75 cm. Parigi, musée Rodin
Descrizione: Père Tanguy è raffigurato al centro del ritratto. Il commerciante di colori è seduto di
fronte ad una parete tappezzata di stampe giapponesi. Sulla testa porta un semplice cappello,
tipico delle campagne francesi. Indossa poi una pesante giacca scura e un paio di pantaloni
marroni. Il suo aspetto è molto anziano e pacato. Inoltre, il suo viso è segnato dal tempo e dalle
dure esperienze passate. Nonostante questo la sua espressione è serena e autorevole.
Interpretazioni e simbologia: Julien Tanguy, detto Père Tanguy, era un venditore di colori di
Parigi. Tanguy era amico di molti giovani artisti dal carattere rivoluzionario ed eccentrico come van
Gogh. L’artista ritrasse il commerciante all’interno del suo studio di fronte alla sua collezione di
stampe giapponesi. La posa assunta dal protagonista lo fa sembrare un vecchio saggio
orientale. Vincent van Gogh aveva molto stima di Père Tanguy. Infatti, manifestò l’intenzione di
diventare come il suo amico in vecchiaia. Probabilmente, l’artista realizzò il ritratto mettendo un
po’ di se stesso nella fisionomia dell’anziano amico. Le stampe giapponesi che compaiono alle
spalle di Tanguy appartennero a Vincent e a Théo Van Gogh, il fratello dell’artista. Sono
riconoscibili alcune opere del maestro giapponese Hokusai.
Il colore: I Girasoli, come tutti gli altri dipinti della serie, sono dominati da varie tonalità di giallo.
Il giallo più saturo e luminoso è riservato allo sfondo e mette in risalto I Girasoli. La parte superiore
del vaso è dello stesso colore del piano, mentre, la parte inferiore è tendente al viola,
complementare del giallo. Spiccano i gambi verdi e una zona di blu acceso nel girasole di destra.
Lo spazio: Il piano sul quale poggia il vaso non è disegnato con la prospettiva geometrica. La
profondità, infatti, è indicata solo dalla sovrapposizione delle forme contro il fondo
bidimensionale. La composizione è centrale e simmetrica sull’asse verticale. Il quadro, poi, ha un
formato verticale e l’inquadratura incornicia tutto il vaso con i fiori.
La Chiesa di Auvers-sur-Oise di Vincent Van Gogh
Descrizione: Al centro del dipinto domina l’edificio della chiesa che si staglia contro il cielo blu
scuro. In basso invece il terreno è coperto da una fitta vegetazione illuminata dal sole. A partire dal
bordo inferiore del dipinto inoltre divergono due stradine che corrono ai lati opposti della chiesa.
Sulla strada di sinistra cammina una contadina. Sembra un po’ intimorita e si tiene in disparte dal
grande edificio sacro.
La storia dell’opera : Vincent Van Gogh nacque nel 1853 e morì suicida nel 1890. Questo
dipinto risale proprio all’ultimo anno di vita dell’artista. Van Gogh infatti dipinse quest’opera un
mese prima di ferirsi mortalmente con un colpo di pistola il 29 luglio 1890. Le origini del pittore
sono olandesi ma si trasferì a Parigi nel 1886 e iniziò li la sua carriera di artista. Soggiornò nel
meridione della Francia dove dipinse molte delle sue opere più famose. Vincent Van Gogh si recò
infine a Auvers-sur-Oise, una località a 27 km da Parigi nel maggio del 1890. Fece questa scelta a
causa della sua malattia. Infatti in questa città si trovava Paul Gachet, un medico pittore amico
degli impressionisti che si prese cura di lui. Lo stile de
La Chiesa di Auvers-sur-Oise di Vincent Van Gogh
Van Gogh aderì, in un primo momento, al puntinismo
del quale fu il massimo esponente Georges Seurat. In
seguito volle, quindi, sperimentare il potere del
colore e della linea. Le intenzioni dell’artista
divennero quindi, lontane anche dalla pittura
realista. I suoi primi dipinti possiedono i toni terrosi
delle opere tipiche di alcuni artisti a lui
contemporanei. Da un certo punto in avanti iniziò
così a sperimentare l’intensità del colore puro.
Inizialmente la gamma cromatica utilizzata da Van
Gogh era molto cupa poi adottò una tavolozza più
brillante. Lo stile di Van Gogh, diversamente dal
puntinismo di Seurat, elaborato dal metodo
scientifico dei complementari, parla all’emotività
dell’osservatore.
Il Bacio di Gustav Klimt
Gustav Klimt, Il Bacio, 1907-1908, olio su tela, cm 180 x 180. Vienna, Österreichische Galerie
Belvedere
Descrizione: Un uomo e una donna si abbracciano al centro di uno spazio astratto. L’uomo avvolge
il viso della donna con le sue mani teneramente e si china sul volto di lei dall’alto. La giovane ha il
viso reclinato di lato e poggiato sulla sua spalla sinistra. Il suo braccio destro è sollevato e la mano
poggia sul collo dell’uomo. Il braccio sinistro della
donna invece è flesso contro la sua spalla. La mano è
stringe quella dell’uomo. Il volto della donna è chiaro e
arrossato leggermente sulle gote. Gli occhi sono chiusi
e la sua espressione è serena ed estatica. Tra i capelli vi
sono alcuni fiori che decorano la capigliatura. L’uomo
invece ha una ghirlanda di foglie d’edera avvolta tra i
capelli. I due personaggi indossano poi ampie vesti
decorate con motivi astratti e molto colorati. La donna
è avvolta in una veste attillata che lascia scoperte le
spalle e le gambe dal polpaccio fino ai piedi. L’uomo
invece è avvolto in una tunica dorata decorata con
motivi rettangolari neri bianchi e grigi. I due sono
inginocchiati su di un prato punteggiato di fiori gialli e
viola. Un’aura dorata avvolge i due amanti e scende in
basso creando rivoli sul prato. Lo sfondo infine è
monocromatico e bidimensionale.
Lo stile: Il dipinto presenta un linguaggio nel quale assumono un ruolo importante i contrasti.
Esistono alcuni contrasti formali come tra le due mani dei due protagonisti. Più nodose e forti quello
dell’uomo e delicate chiare quelle della donna. Particolare il contrasto tra le parti anatomiche
costruite con un chiaroscuro ancora tradizionale e il resto del dipinto. Gli abiti e il fondo assumono
infatti un aspetto bidimensionale e iperdecorato.
Il colore: Nel dipinto vi sono diversi contrasti che contribuiscono a creare una struttura visiva di
particolare interesse. In primis il contrasto di luminosità mette in evidenza l’aura dorata che avvolge
i due amanti con il fondo più scuro. Sono poi presenti anche alcuni contrasti di complementarietà
nella decorazione della veste della donna, tra verde e rosso. Il colore che occupa quasi interamente
la superficie del dipinto è l’oro in foglia. L’utilizzo di questo materiale è attribuito al viaggio che Klimt
fece in Italia visitando Ravenna nel 1903. Sembra infatti che i fondi dorati dei mosaici bizantini
abbiano ispirato i fondi a foglia d’oro dei suoi dipinti. Proprio per questo lo stile che caratterizza il
dipinto è definito “periodo aureo” della produzione di Klimt.
Lo spazio: Lo spazio tridimensionale è annullato dall’applicazione del fondo d’oro. Inoltre, i due
personaggi assumono un aspetto bidimensionale. Il prato, le vesti e le figure sono inoltre strutturate
attraverso campiture iper decorate. La loro forma è definita attraverso contrasti di colore e di
luminosità.
La Composizione: Il formato del dipinto Il Bacio di Gustav Klimt è perfettamente quadrato. Questa
cornice è in linea con la grafica e l’estetica della Secessione e più in generale del Liberty europeo. Il
quadrato fu utilizzato perché compositivamente più adeguato alla cartellonistica e grazie
all’enfatizzazione della centralità del soggetto.
L’urlo di Edvard Munch
La tecnica
La seconda versione del dipinto intitolato Urlo del 1893 fu realizzata con tempera e pastello su
cartone. I colori, fortemente contrastanti e violenti, sono stesi con lunghe pennellate orientate in
direzione delle ondulazioni del paesaggio.
Il colore e l’illuminazione
Le tinte sono irreali e non rispettano, se non parzialmente, i colori reali del paesaggio naturale. Il
colore dell’acqua è l’unico ad essere rispettato, se pur nel suo blu forte e profondo. Il sentiero e il
parapetto in legno sono di un marrone molto saturo. Il cielo e le nuvole poi sono rappresentati con
linee curve e disorientanti di colore arancio e ocra. Qualche spiraglio di azzurro si intravede tra
questi due colori che, probabilmente, rappresentano le nubi. Nel dipinto si coglie l’accostamento di
colori puri che diventa contrasto di complementari. Tra cielo e mare, infatti la coppia di
complementari più evidente è quella arancio e blu. Si riscontra anche il contrasto tra verde e rosso.
Lo spazio
Il dipinto ritrae una scena che si svolge all’aperto, in un paesaggio urbano e marino. La prospettiva
poi è presente e forzata nella costruzione del parapetto. La diminuzione progressiva di grandezza
tra l’uomo in primo piano e i due passanti molto piccoli in alto a sinistra contribuisce a rendere la
profondità. Nel triangolo di destra in alto, invece, il paesaggio risulta più bidimensionale e appiattito
su un unico piano informale. Il punto di vista dello spettatore è molto alto. La sagoma umana che
urla e si dispera si trova quindi più in basso e quasi schiacciata. Ci troviamo così nella condizione, di
non essere semplici spettatori, ma, osservatori del suo dramma esistenziale.
La composizione e l’inquadratura
L’urlo è un dipinto dal formato rettangolare con inquadratura verticale. La linea obliqua del
parapetto parte dall’angolo in basso a destra e si proietta verso l’alto a sinistra. Si crea così una
separazione netta del dipinto in due triangoli dai vertici opposti. Verso l’angolo in basso a sinistra le
assi del parapetto, realizzate con pennellate oblique, si addossano progressivamente verso il lato
sinistro del dipinto. La progressione, dalle oblique alla verticale, inoltre crea la spazialità, in
profondità del dipinto. L’integrazione tra le diverse parti dell’opera crea poi un senso di nausea e di
movimento senza posa.
Il ponte di Chatou
Maurice de Vlaminck
Maurice de-Vlaminck si affermò tra le più forti personalità del gruppo dei fauves con una pittura a violenti toni
puri (Il ponte di Chatou, Soleure, collezione privata)
Figlio di musicisti, giovanissimo si dedicò allo studio del violino per poi volgersi, dopo l'incontro
con A. Derain a Chatou, alla pittura. Formatosi da autodidatta, esordì con opere d'accentuato
espressionismo profondamente ispirate alle soluzioni di V. van Gogh e di H. Matisse; in contatto con
il gruppo dei Fauves, con questi espose nel 1905 al Salon d'Automne e, nel 1906, al Salon des
Indépendants. Temperamento istintivo e inquieto, espresse la sua forte personalità attraverso uno
stile di grande immediatezza, esasperato nel segno e nelle gamme cromatiche, pure e contrastate,
che trovò nei ritratti, nei paesaggi e nelle periferie urbane i temi più congeniali (Gli alberi rossi, 1906,
Parigi, Musée national d'art moderne). Dopo il 1907, risentendo in particolare di Cézanne, V. si
orientò verso più equilibrate soluzioni compositive giungendo, nel primo dopoguerra e dopo una
breve parentesi d'ispirazione cubista, a una pittura di paesaggio dai toni smorzati e dolorosi.
La stanza rossa
Henri Matisse
La stanza
rossa di Matisse,
1908-1909, olio
su tela, 180×220
cm. San
Pietroburgo,
Museo
dell’Ermitage.
Descrizione
I corpi sono sbilanciati e in
torsione per assecondare il
movimento rotatorio. Quella che
sembra essere una ballerina, in
primo piano di schiena si è
staccata dal gruppo e cerca di
afferrare la mano del compagno di
sinistra. Simbolicamente questo
dipinto rappresenta la gioia di
vivere e la felicità di una danza musicale. I ballerini danzano insieme, nudi, al ritmo di una musica
felice. La nudità rappresenta, probabilmente, il ritorno ad una natura priva di sensi di colpa.
Il colore
Spiccano i corpi, di colore bruno tendente all’arancio, perché in contrasto di complementari con il
cielo.
La composizione e l’inquadratura
La composizione è orizzontale e asseconda il movimento della danza. Infatti, su tutta la superficie
del dipinto è distribuito il gruppo di ballerini che, nella loro formazione, giungono fino ai bordi del
rettangolo.
Potsdamer Platz Ernst Ludwig Kirchner
Descrizione
La composizione è dominata da due figure femminili, due prostitute (una di profilo e l’altra fontale)
alte quasi due metri che occupano tutta la parte sinistra del dipinto; entrambe portano in testa un
cappello piumato e indossano abiti lunghi, che lasciano presagire appena la femminilità delle forme.
Kirchner dipinge questo quadro dopo l’1 agosto 1914, data in cui la Germania decide di dichiarare
guerra alla Russia: da quel giorno in poi, tutte le prostitute berlinesi dovettero indossare un velo
nero come segno di patriottismo, lo stesso velo che portavano anche le vedove dei soldati.
Le due figure principali si sovrappongono ma non si toccano, quasi come se non si conoscessero
nemmeno; sono vicine nello spazio ma al contempo isolate nella propria solitudine. E lo stesso
accade alle figure sullo sfondo, incapaci di interagire le une con le altre nonostante siano a stretto
contatto fra di loro.
Significato
Kirchner attua questa scelta per trasmettere l’immagine di una società caratterizzata da una
sostanziale incapacità umana nel comunicare con gli altri; società che, addirittura, potrebbe essere
lo specchio di quella contemporanea.
Dietro alle due figure principali, un marciapiede dalla forma acuminata si inserisce prepotentemente
nella biforcazione della strada; sullo sfondo, invece, si può cogliere la stazione di Potsdamer Platz in
mattoni rossi, oltre che la vera e propria piazza, animata da luci e passanti. L’alternarsi sia di colori
brillanti e colori scuri che di forme acute e linee spigolose conferisce alla scena un ritmo frenetico,
permettendo all’artista di trasmettere il malessere che si respira vivendo nella città.
Infine, l’accentuazione delle diagonali – che non convergono verso un punto di fuga ma si perdono
nel quadro – rende lo spazio instabile.
Nudo maschile di Egon Schiele (Autoritratto)
Egon Schiele è stato strappato alla vita a soli 28 anni, pochi giorni prima della fine della Prima guerra
mondiale. La sua visione espressiva provoca forti emozioni. Come ogni grande artista, è capace di
iniettare dei profondi sentimenti personali attraverso la propria arte, e questi sentimenti arrivano
allo spettatore uscendo dal quadro. Dietro quei suoi corpi scarni, contorti sotto l’influenza di una
sofferenza mentale, una violenza noiosa, sembrano intravedersi anche quelle famose modelle, le
sue muse ispiratrici in pose audaci. I temi scelti da Schiele non sono classici, la nudità è sempre
presente. L’artista si è distinto come ritrattista con la sua eccezionale capacità di trasferire la
complessità psicologica dei suoi disegni grazie ad una pennellata famigerata di grande espressività.
Qualcosa di particolarmente
sorprendente che emerge nelle
centinaia di autoritratti, creati
attraverso una cura a volte
indiscriminatamente istrionica.
Accanto alla ricerca del proprio
io, di se stesso come ricreazione
speciale (da alcuni definita
narcisistica e parallela) corre la
rappresentazione del “non sé”,
l’altra parte, che da tempo
possedeva, assimilata dalla
distanza che l’artista ha anche
identificato in se stesso.
Descrizione
Descrizione
Un uomo e una donna sono adagiati su un lenzuolo bianco, in un panorama freddo e surreale, fatto
di rocce chiare e volti e corpi umani. Lei ha un bel vestito colorato e, inginocchiata, si lascia
abbracciare e avvolgere dalla morte, un uomo vestito di scuro, con gli occhi allucinati, che le tiene
una mano sulla nuca e l’altra sulla spalla. C’è tristezza, qui dentro, profonda malinconia, più che
paura. Forse perché Schiele aveva lasciato da poco un suo grande amore per sposarsi con un’altra
donna. Chissà, forse è proprio così.
ANSCHLUSS - ALICE NEL PAESE PAESE DELLE MERAVIGLIE DI
KOKOSCHKA
Nudo sdraiato a braccia aperte, chiamato anche Nudo rosso (o semplicemente Nudo sdraiato),. Si
tratta di un olio su tela, dipinto nel 1917 che misura 60 x 92 cm. E’ probabilmente il suo quadro più
famoso, perché rappresenta un ideale di bellezza. Il fascino che traspare dal dipinto è molto intenso,
potente.
Descrizione
Vi è una donna distesa su un letto, il corpo si tende in una curva e in parte esce dal quadro. Gli occhi
e i capelli sono neri, il seno prominente e le gambe in parte escono dal quadro e posizionate vicine
mostrano una parte dei peli pubici. La posizione della donna non richiama la posizione classica delle
modelle che posavano nude all’epoca della realizzazione del quadro, per questo motivo
probabilmente, per la sua posizione languida che richiamava l’immagine intima di una donna
comune, seppur molto bella, il quadro, insieme ad altri nudi di Modigliani, venne ritirato dalla
mostra organizzata nella galleria Weill nel 1917.
Autoritratto con sette dita di Marc Chagall (1912-13)
Descrizione Il pittore
che qui si ritrae è
mancino. È la destra
infatti che tiene la
tavolozza. E allora è la
sinistra che ha tenuto il
pennello e che ha dipinto
il quadro posto sul
cavalletto.
In yiddish, l’espressione “fare una cosa con le sette dita” equivale all’espressione
italiana “fare una cosa con i sette sentimenti” – che vuol dire “con il massimo
dell’applicazione, proprio a regola d’arte”.
Nel mito – e nella fiaba – l’accrescimento o la moltiplicazione di un arto stanno spesso
a simboleggiare una espansione prima di tutto quantitativa delle doti di un
personaggio. Una specie di potenziamento tecnico “naturale”…
Nell’Autoritratto con sette dita la mano sinistra del pittore è anche rovesciata. Magari
senza rendersene conto, Chagall voleva forse simboleggiare in quella mano il potere
stravolgente della sua pittura?
Il Ritratto di Ambroise Vollard di Pablo Picasso
Pablo Picasso dipinge il Ritratto di Ambroise Vollard con una tecnica analitica che frange la figura e
la compenetra nello sfondo.
Pablo Picasso, Ritratto di Ambroise Vollard, 1909-1910, olio
su tela, cm 92 x 65. Mosca, Museo Puškin Il Ritratto di
Ambroise Vollard di Pablo Picasso sembra un’immagine
frantumata all’interno di uno specchio. Le varie parti che
compongono il dipinto, infatti, paiono schegge monocrome
che si compongono nel formare il Ritratto di Ambroise
Vollard. Nel dipinto si riescono ad identificare,
sufficientemente bene, gli occhi il naso e la bocca. La barba e
la sommità della testa sono riconoscibili attraverso il colore
che li ritaglia dal fondo. Ambroise Vollard sta leggendo un
libro ma è difficile identificarlo all’interno delle figure che si
sovrappongono e si integrano in basso e al centro. Il resto
della superficie è costruita con altre schede e incastri di
colore bruno tendente al marrone scuro. Due anni prima,
Pablo Picasso aveva fondato la sua poetica cubista con Les
Demoiselles d’Avignon.
"Si dipinge anche quello che c’è tra la mela ed il piatto, e dipingere l’interspazio mi sembra
altrettanto difficile che dipingere la cosa."
Questo dipinto appartiene al Cubismo formativo, quando Braque sperimenta le sue prime
soluzioni di semplificazione della forma. Il paesaggio è una veduta dell'Estaque, un rilievo
collinare nel Sud della Francia: le case e gli alberi sono "ridotti" a netti volumi geometrici
Aria di Bach di Georges Braque
Braque, un francese dal temperamento
tranquillo e meditativo, Picasso, uno spagnolo
eccentrico e talvolta eccessivo: due artisti,
tanto diversi che resteranno inseparabili per
diversi anni. Insieme i due attueranno
l’esperienza del Cubismo analitico che si
esaurirà nel passaggio al Cubismo sintetico: di
Braque è l’idea di inserire lettere alfabetiche a
stampa, sia quella di introdurre frammenti di
finto legno o di carta da tappezzeria
introducendo la tecnica del papier collé.
Quando dopo lunga interruzione, tornerà alla pittura, George Braque si sentirà lontano
dall’evoluzione percorsa da Picasso e affronterà la tematica delle nature morte, sviluppando
composizioni più equilibrate, più serene che del cubismo conservano la simultaneità dei punti di
vista e lo sviluppo degli oggetti su uno stesso piano (Cafè bar del 1919, Caminetto del 1923, La
tovaglia rosa del 1933).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Braque, sempre operoso e infaticabile stilizzatore di forme, fu
considerato una delle più solide costanti dell’arte francese e le sue mostre in Italia e all’estero si
andarono moltiplicando.
La città che sale di Umberto Boccioni
La città che sale di Umberto Boccioni. Dinamismo e frenesia della città moderna nel dipinto che
rappresenta l’esaltazione della tecnologia e del nuovo. Modernità e progresso erano le cifre
principali della pittura futurista. Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, olio su tela, cm 199,5 x
301. New York, Museum of Modern Art (MoMa)
Lo spazio Il progresso industriale, tanto amato dai pittori futuristi è qui rappresentato dalla
costruzione della centrale elettrica. Umberto Boccioni con La città che sale celebra la crescita
industriale della periferia milanese. I tram che passano velocemente, le case in costruzione e, sul
fondo, le ciminiere delle fabbriche che producono. In primo piano nulla è fermo. Lo spazio è
rappresentato, dal primo piano allo sfondo, dalla sovrapposizione e dalla grandezza, che diminuisce,
delle figure rappresentate. Solo la fabbrica in alto a destra suggerisce uno spazio tridimensionale
attraverso una leggera prospettiva geometrica. La profondità è rappresentata solamente dalle
prospettive di grandezza e di sovrapposizione. Non è presente la prospettiva aerea, i colori
rimangono vivi e brillanti anche sul fondo. La superficie del dipinto risulta, quindi, ad una prima
osservazione, una confusa amalgama di colori e tratteggi cromatici. Le figure sembrano amassi di
colori che si aggregano spontaneamente all’interno di un universo confuso e vorticoso disegni
colorati. Solo la massa del grande cavallo rosso con il gioco blu, in primo piano, àncora lo sguardo.
Dopo un’attenta osservazione, si comprendono gli indicatori per decifrare le figure e le scene. Non
vi sono ombre e luci tradizionalmente chiaroscurale. Le figure quindi, non creano un senso di
profondità attraverso la prospettiva aerea che crea la resa atmosferica del dipinto. Le figure del
fondo si ribaltano in primo piano, creando, una superficie quasi astratta e bidimensionale.
La composizione
Il dipinto ha uno sviluppo orizzontale. Gran parte del piano compositivo è occupato dal grande
cavallo rosso la cui coda lambisce il bordo destro del dipinto. Attraverso una direttrice obliqua, che
parte dall’angolo destro in basso, dall’uomo che sta spingendo il movimento, sale verso l’angolo
sinistro in alto. Questa linea si sposta dal cavallo rosso a quello bianco fino ad arrivare in alto. Tutto
l’asse centrale è, quindi, obliquo, sottolineato anche dalle briglie blu dell’animale che vengono
trascinate dagli operai in giallo. L’intera opera si può leggere come una composizione di linee in
movimento e assi visivi più o meno potenti. Il movimento viene portato avanti, in alto, verso sinistra,
dalla marcia dell’animale, dallo sforzo degli operai dall’inclinazione dell’uomo in rosso che trattiene
il cavallo bianco. Sullo sfondo le linee di movimento sono opposte. I cavalli procedono verso destra
così come anche la prospettiva della centrale elettrica in costruzione. Si forma quindi, uno zig zag di
movimento in profondità che parte dall’angolo destro in basso arriva il cavallo bianco. Viene quindi
trasmesso al cavallo rosso imbizzarrito. Da qui si sposta verso destra, verso il cavallo rosso che si
muove davanti alla centrale elettrica. Si trasmette, quindi, a questo edificio e proseguire in
profondità verso le case dipinte all’orizzonte, verso sinistra.
Materia” (226x150cm) raffigurante la madre del pittore.
Le mani del violinista è uno dei tre dipinti che Balla progettò dopo una meticolosa indagine
sul movimento organico.
Giacomo Balla, Le mani del violinista, 1912, olio su tela, 56 cm × 78.3 cm. Londra, The
Estorick Collection of Modern Italian Art
Descrizione Nel dipinto sono rappresentate più volte le mani di un violinista che stringono il
manico di un violino. Si nota che la ripetizione delle immagini è ritmicamente regolare e procede
dall’alto in basso. Le diverse rappresentazioni della mani che agiscono sulle corde dello strumento
si susseguono e si sfumano le une nelle altre. Si intravede inoltre la manica dell’abito nero del
violinista. Lo sfondo infine è rappresentato dalla boiserie che si integra con le diverse istantanee
delle mani per creare la sensazione del movimento.
Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912, olio su tela, 125×125 cm. Milano, Museo del
Novecento, Collezione Grassi
Descrizione
Nel dipinto si individua con una certa
difficoltà una figura ripetuta. In basso,
in modo più evidente, si riconoscono
immagini di stivaletti, riprodotte in
modo regolare e ritmico. Si percepisce
con maggiore fatica, in alto, la
capigliatura di una bambina con una
treccia che ricade verso il basso. In
seguito a questa prima lettura si può
ipotizzare che la parte centrale dipinta
di azzurro rappresenti la dislocazione
spaziale verso destra dell’abito della
piccola. La griglia ortogonale che si
percepisce sovrapposta alle immagini
della bambina è l’inferriata del balcone.
La storia
Con Bambina che corre sul balcone, e altri dipinti dei primi anni Dieci del Novecento, Giacomo Balla
iniziò ad interessarsi alla rappresentazione del movimento sulla tela. Sul retro del dipinto si trova un
paesaggio che probabilmente risale al 1896-97.
La bambina ritratta nel dipinto è la figlia di Giacomo Balla, la piccola Luce di 8 anni. Il balcone inoltre
è quello della casa romana che si affacciava su via dei Parioli con la vista sul Parco dei Daini di Villa
Borghese.
Alla base del dipinto Bambina che corre sul balcone vi furono alcuni studi disegnati su carta. In questi
disegni Balla scompose infatti molto attentamente il movimento disegnando le gambe della
bambina in rotazione e sovrapposte. La conferma della realizzazione di studi dal vero si trova
nell’abito estivo di Luce che corrisponde al periodo di inizio del dipinto, nel luglio del 1912. Anche la
seconda figlia di Balla, Elica, confermò tale ipotesi.
Lo stile del dipinto
Gli artisti futuristi asserirono che per conoscere la realtà occorreva studiare la dinamica del
movimento nella quotidianità. La quotidianità comprendeva così anche la figlia di Balla la cui corsa
viene analizzata infatti in modo meticoloso. Per rappresentare il risultato dell’osservazione l’artista
sovrappose ed integrò le istantanee della piccola con le linee orizzontali e verticali delle inferriate,
integrandole.
Balla in Bambina che corre sul balcone scompone la corsa del soggetto rappresentandola attraverso
una serie di immagini in sequenza. La immagini rappresentano così lo spostamento orizzontale in
avanti. Ogni parte del corpo è rappresentata più volte con lievi variazioni nell’orientamento, ma
sempre con la stessa forma. Per rimanere fedeli alla visione di Giacomo Balla occorre tener conto
dell’insieme del dipinto. Solo così si coglie il tentativo di rappresentare il movimento che si perde
nell’osservazione del singolo particolare.
Il colore I colori sono saturi e vivaci e il loro accostamento restituisce la vitalità della bambina in
corsa. Balla, dipinse dei tasselli colorati che accostati creano la continuità dell’immagine e al tempo
stesso frammentano la visione delle forme in movimento. La superficie dipinta è realizzata con la
tecnica divisionista.
Lo spazio
Lo stile del dipinto Bambina che corre sul balcone esclude la rappresentazione di uno spazio pittorico
tradizionale o realistico. La dimensione è quindi concettuale e da ricostruire mentalmente
considerando la base teorica con la quale Giacomo Balla realizzò il suo lavoro.
La composizione e l’inquadratura
La ringhiera del balcone, con le inferriate verticali disposte in modo regolare, equilibra le immagini
ripetute della bambina. Il movimento parte da sinistra procedendo verso destra. Inoltre
l’inquadratura prevede che l’immagine sia solamente una porzione dell’intero movimento. Infatti a
destra e a sinistra le figure sono tagliate. Si immagina quindi una continuità dell’azione e un suo
precedente inizio oltre la tela.
Il formato di Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla è quadrato. L’inquadratura centrale
favorisce quindi la lettura istantanea di una porzione di movimento. Infatti, un formato panoramico
avrebbe reso maggiormente l’idea di una sequenza osservata per il suo completo svolgersi. La
composizione è quindi centrale considerato che il soggetto ritratto occupa omogeneamente tutto il
piano pittorico. Lo spazio non viene rappresentato con le prospettive tradizionali quindi esiste
solamente un piano di rappresentazione. In ogni caso l’inferriata del balcone viene rappresentata in
leggero sfondo. Si può quindi considerare in secondo piano rispetto alla bambina. L’inquadratura è
di tipo fotografico e con il taglio ai bordi laterali presuppone la continuità oltre il dipinto.
Gli equilibri compositivi
Non si può considerare la presenza o meno di una simmetria rispetto alla verticale in senso
tradizionale. Comunque se si considerano le masse dei volumi e dei colori il dipinto presenta una
omogeneità di distribuzione. Gli equilibri tra le masse, le figure apparenti e le masse cromatiche
sono ben calcolati e l’immagine risulta stabile. Nonostante questo il fine principale di Balla fu la resa
del dinamismo. Quindi Bambina che corre sul balcone rappresenta la dinamicità che però non si
esprime dal punto di vista strutturale-compositivo.
La comprensione del dipinto risulta invece dalla conoscenza e dalla interpretazione dell’opera
secondo le teorie di Balla. La sua direzione è quindi indicata dallo sviluppo della figura, verso destra.
Inoltre, la scansione ritmica delle immagini ripetute suggerisce il movimento. Infine, la sagoma della
bambina è visibilmente rivolta in tale direzione.
Nel 1909 si tennero alcune mostre di pittori futuristi a Parigi, Londra e Berlino. Nel testo che
introduce il catalogo venne dichiarato proprio tale principio come fondamentale urgenza espressiva.
Inoltre fu anche specificato che il Futurismo si poneva in netto contrasto con il Cubismo, basato
invece su di una visione statica della realtà. Alla mostra organizzata nel 1912 presso la Galerie
Bernheim Jeune di Parigi, Balla non partecipò.
Giacomo Balla
Giacomo Balla, nato nel 1871 e morto nel 1958, condusse una personale ricerca sulla persistenza
dell’immagine sulla retina. Diversamente da lui Boccioni si concentrò nell’intento di rappresentare
il dinamismo plastico delle figure. La sua visione portò così a dipingere una sintesi della simultaneità
del movimento. Lo stesso procedimento di Boccioni venne adottato da Carlo Carrà e Gino Severini.
La ricerca sul movimento organico di Balla culminò proprio con Bambina che corre sul balcone che
fu preceduta da Dinamismo di un cane al guinzaglio e Le mani del violinista. Dal 1913 Balla iniziò poi
ad indagare il movimento meccanico per arrivare alla rappresentazione della smaterializzazione dei
corpi causata dalla velocità.
Il corteo della gran bambola
di Depero Fortunato
DESCRIZIONE:
"Il corteo della Gran Bambola", esposto nel 1921 a Milano e nel 1923 a Monza, fu commissionato
da Umberto Notari nel 1920. Nel catalogo della mostra di Monza del 1923, l'arazzo viene così
descritto: "Maschere baffute, scudate, con enormi mazze, maschere con bandiere formano un
giocondo corteo ritmico a una gigantesca statua mutilata di bambola. In secondo piano un enorme
castello parallelepipedo e dietro, corteo di pagliacci". Il ricorso a motivi decorativi d'ispirazione
orientaleggiante è qui evidentissimo e va ricollegato con l'esperienza caprese e l'amicizia di Gilbert
Clavel, con gli esiti del “Teatro Plastico”, con le marionette e gli automi del “Teatro Magico”,
ispirate al mondo dell'infanzia, ma anche in debito con certa iconografia popolare russo-orientale,
ben nota a Depero grazie alla frequentazione, ancora nel 1916-17, dell'ambiente dei Balli Russi
PRIMO ACQUERELLO ASTRATTO di Vasilij Kandinskij
Con il Primo acquerello astratto di Vasilij Kandinskij si apre un capitolo nuovo nell’arte
occidentale. Gli artisti si esprimono attraverso gli elementi fondamentali del linguaggio
figurativo.Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, acquerello inchiostro su carta, cm
49,6 X 61,8. Parigi, Centre Pompidou
Con il primo acquerello astratto, Vasilij Kandinskij rinuncia alla rappresentazione della realtà
fisica. Viene eliminato qualsiasi riferimento al mondo visibile. Questo genere artistico viene
chiamato non figurativo o astratto. Vasilij Kandinskij é il primo artista che inizia a portare avanti
una sua ricerca di figurazione astratta.
COLORI E FORME
La superficie dell’acquerello è occupata interamente da macchie di colore giallo arancio, giallo e
bruno. Alcune macchie risultano più corpose e attirano l’attenzione, ancorando la composizione a
se. In alto, due pennellate gialle, due grosse macchie arancione si integrano con segni e macchie
più scure a formare un agglomerato di maggiore importanza rispetto agli altri. Altri segni e
macchie sono disposti lungo una parabola che parte dall’angolo sinistro in alto. La costellazione
scende verso il centro e risale verso l’angolo destra in alto. Non essendo più verificabile alcun
elemento figurativo del mondo reale e il ritmo è la disposizione dei segni che da’ senso alla
composizione. Primo acquerello astratto è da apprezzarsi rispetto alla armonizzazione dei colori
tra di loro. Poi, rispetto alle linee compositive che si creano con la disposizione delle forme sul
piano bidimensionale, in relazione con segni e macchie colorate.
Insula dulcamara
Quadro di grande sensibilità cromatica, nei
passaggi graduali dai verdi agli azzurri ai rosa
realizza una sensazione atmosferica come di
visione aerea di terre e mare. In questa delicata
cromia inserisce dei tratti neri molto netti, la
cui somiglianza con le scritture arabe è fin
troppo evidente. Ma in realtà sono segni che
materializzano sprazzi di immagini, quale il viso
stilizzato al centro del quadro, quasi come apparizioni di volti che si nascondono alla vista. La
sensazione di esotico è decisamente chiara, ed è un risultato cercato con un linguaggio decisamente
originale, fatto, come era rigoroso in una pittura di matrice astratta, solo di segni e colori.
COMPOSIZIONE 10, PIET MONDRIAN, 1915
(molo e oceano)
L’artista attraverso una moltitudine di
croci d i grandezze diverse ha cercato di
presentare il mare, il cielo, le stelle e di
tradurre l’espansione, il riposo e l’unità,
tipiche del paesaggio marino.
Il dipinto, del 1915 si colloca nel periodo
post-cubista, Mondrian elabora una
nuova forma basata sull’abbandono
progressivo di linee curve e oblique per
passare a brevi segmenti retti.
QUADRO 1, 1921
Nel periodo fra le due guerre mondiali Piet Mondrian ebbe la
tranquillità sufficiente per elaborare lo stile che lo ha reso noto
anche tra i designer.
LO STILE
Il dipinto del 1921, come gli altri della serie, è frutto di una
ricerca linguistica che Mondrian condusse a partire dal 1910.
L’artista, trentenne, avvicinatosi alla disciplina spirituale
chiamata Teosofia fu spinto a praticare una pittura rispondente
ai principi della dottrina. Partendo da opere figurative simboliche
come Evoluzione del 1910-1911 Mondrian cercò nelle
Avanguardie un esempio di linguaggio nuovo. Albero rosso è un
esempio di opera vicina alle esperienze Fauves. Con Albero
grigio, l’artista, abbandona il colore e cerca una sintesi formale
attraverso il Cubismo.
L’abbandono della figurazione naturalistica avviene con Melo in fiore mentre nella serie di
disegni Ocean il colore si perde del tutto. Nel 1917 Mondrian fondò la rivista De Stil insieme ad
altri artisti e dipinse opere con una progressiva riduzione di elementi linguistici. Nel secondo
dopoguerra giunse a dipingere opere come Composizione con rosso, giallo e blu nelle quali
sopravvivono i reticoli ortogonali, le spesse linee nere e le campiture equilibrate di colori primari
bidimensionali.
IL COLORE
Nel dipinto Mondrian utilizzò solamente i colori primari, legati ad una precisa simbologia
spirituale. Il giallo legato all’energia solare, il rosso l’unione tra luce e spazio, infine, il blu,
simbolico della spiritualità.
LA COMPOSIZIONE
L’equilibrio universale, secondo la teoria teosofica, ispira una vita corretta. Quindi, Mondrian creò
composizioni molto equilibrate distribuendo in modo accorto le righe verticali e orizzontali per
ottenere campiture dalla grandezza armonica. Inoltre, distribuì i colori variando la grandezza delle
forme geometriche per creare un equilibrio di pesi nella composizione.
Quadro 1 mette in evidenza con efficacia il personalissimo stile del pittore. Poiché l'arte deve
risultare universalmente comprensibile, Mondrian adotta un rigoroso linguaggio geometrico e, alla
ricerca di una totale purezza neoplastica, restringe le possibilità visive alla sola linea retta, sintesi di
tutte le altre forme. L'utilizzo di linee tra loro perpendicolari crea un rapporto stabile e immutabile
grazie al loro incontrarsi nell'angolo retto. Allo stesso scopo il colore emerge con forza dalle
campiture bianche, contornate dai rigorosi segni neri che strutturano lo spazio dell'immagine. Come
in tutte le composizioni di questa serie, l'artista ha limitato la tavolozza ai soli colori primari, come
il rosso, il giallo, il blu, in quanto rappresentavano per lui l'essenza elementare di tutte le variazioni
possibili. Per Mondrian il ricorso alla geometria non rappresentava la fredda applicazione di uno
schema perfetto e matematico, ma la ricerca di un ritmo vitale e universale. Inoltre, l'applicazione
piatta e totalmente uniforme del colore rende indistinguibile anche a una visione ravvicinata il
disporsi delle singole pennellate.
L.H.O.O.Q. La Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, 1919
Per dimostrare al mondo le teorie del movimento dadaista Marcel Duchamp, interviene sull’opera
d’arte più famosa al mondo e compie il gesto dissacrante di disegnare i baffi sul volto della Gioconda.
Sono gli artisti che si ritrovano abitualmente nel locale, antimilitaristi e anarchici, che decidono di
far sentire la propria voce all’europa. La Svizzera era il luogo ideale per rifugiarsi allo scoppiare della
prima guerra mondiale. La Gioconda coi baffi di Duchamp è il dipinto che divenne un’icona del
movimento Dada. Marcel Duchamp utilizzò un’icona già nota per dare maggior risalto al suo
messaggio irriverente. L’immagine della Gioconda, riprodotta attraverso il medium fotografico,
viene semplicemente manipolata con due baffi e il pizzetto in L.H.O.O.Q. (Elle a chaud au cul ). Per
capire la profondità del gesto dadaista occorre, come nel caso di tutte le avanguardie, conoscerne i
presupposti.
LA PROVOCAZIONE DADAISTA DI
DUCHAMP, LA GIOCONDA CON I
BAFFI
Marcel Duchamp realizza L.H.O.O.Q. la Gioconda con i baffi coerentemente con le idee del
movimento dadaista. Utilizza una immagine istituzionalmente accademica e considerata icona
dell’arte ufficiale. Compie su di essa una azione di grafica infantile, irrisoria e dissacrante. Si rifiuta,
quindi, di produrre arte in modo tradizionale creando immagini. Il rifiuto è diretto verso la
rappresentazione reale come la rappresentazione astratta. Viene, infatti, messa in discussione
l’attività tradizionale dell’artista nel creare immagini.
La tecnica utilizzata da Marcel Duchamp è, piuttosto, una pratica chiamata Ready Made, (già fatto).
L’artista Individua oggetti di uso quotidiano o opere d’arte e come nel caso della Gioconda con i
baffi li presenta in un nuovo contesto. Nel caso della Gioconda un intervento grafico su una
fotografia. In altri casi oggetti presi e capovolti o esposti con un orientamento non solito per la loro
funzione. La condizione principale per questa operazione di ready made è quella di collocare gli
oggetti all’interno di uno spazio artistico. Si tratta quindi di un’operazione concettuale.
Interpretazioni e simbologia
Per via dell’importanza iconica e il valore di feticcio dell’opera si sono fatte nel tempo molte
interpretazioni di Fontana di Marcel Duchamp. L’artista potrebbe aver voluto denigrare l’idea
d’arte facendola coincidere con un orinatoio. Si è anche voluto vedere la forma della testa velata
di una Madonna rinascimentale nel profilo dell’oggetto rovesciato. In altri casi si sono scomodate
altre figure religiose o opere d’arte. Anche la firma è stata oggetto di ipotesi. Al di là della
correttezza o meno delle interpretazioni dell’oggetto, Fontana ha influenzato molta della cultura
occidentale nella seconda parte del Novecento.
La storia dell’opera
L’opera originale non fu mai esposta al pubblico ed è perduta. Probabilmente fu gettata dal
fotografo che la documentò per l’articolo. L’oggetto che Marcel Duchamp scelse per l’operazione
di ready made era un orinatoio poi firmato Richard Mutt e intitolato Fontaine. Divenne quindi un
feticcio nel mondo dell’arte ed è una delle opere di rottura più note del ventesimo secolo.
Vennero realizzate, a partire dal 1964, sedici versioni del ready made Fontana.
La storia dell’opera non è chiara e non vi sono significativi documenti a riguardo. Di certo è
che Marcel Duchamp giunse negli Stati Uniti nel 1915. Divenne in seguito uno dei più importanti
artisti legati al Dada. L’idea di creare Fontana, secondo alcune fonti, risale all’acquisto di un
orinatoio modello Bedfordshire a New York. Marcel Duchamp una volta giunto nel proprio studio
ruotò l’oggetto di 90 gradi e lo firmò con la celebre scritta R. Mutt 1917. Secondo altre
versioni Fontana fu realizzato di una collaborazione con un’amica che inviò a Duchamp l’oggetto
già trasformato nella sua concezione finale.
Le muse inquietanti di Giorgio De Chirico, 1918
LO STILE
Giorgio de Chirico abbandona il linguaggio sperimentale dei futuristi rivolto a celebrare la velocità
e la complessità del mondo moderno, per recuperare classicità. Del tutto contraria alla
rappresentazione del movimento futurista, nella Metafisica, viene celebrata l’immobilità della
tradizione e delle opere da museo. Caratteristiche della pittura metafisica sono le citazioni classiche
che si concretizzano con forme statuarie. Infatti la base del manichino di destra ricorda il fusto di
una colonna. Sul busto di pietra è scolpito un abbigliamento che ricorda le statue greche.
LA COMPOSIZIONE E L’INQUADRATURA
Le Muse inquietanti si sviluppa in altezza e sottolinea la verticalità del manichino di sinistra. La linea
compositiva procede in modo spigoloso a partire dalla scatola rappresentata verso destra. Si
trasferisce verso il manichino di sinistra quindi procede obliquamente, in profondità verso la statua
in ombra. Procede, quindi, a zig-zag verso il fondo. Il castello Estense di Ferrara chiude l’orizzonte
con la sua massa imponente, invece, a sinistra, la fabbrica suggerisce che lo spazio prosegua oltre il
bordo del dipinto. L’inquadratura incornicia senza tagli, in modo classico e tradizionale, tutte le
figure dell’immagine. In primo piano l’ombra che nasce dal bordo di destra, in basso, presuppone la
presenza di un altro oggetto verticale. Anche l’ombra che taglia il palcoscenico a destra e mette in
ombra la statua suggerisce la presenza di una quinta o di una architettura
IL TRADIMENTO DELLE IMMAGINI DI RENÉ MAGRITTE,
1929
Ceci n’est pas une pipe, ossia “questo non è una pipa”.
Eppure quella che stiamo guardando è proprio una pipa.
E’ forse questa la negazione di una palese realtà?
No, non lo è.
Possiamo forse prenderla, riempirla di tabacco e fumarla?
Ovvio che no, questo è un quadro (ecco perché usa “ceci”, aggettivo maschile, e non “cette-ci”
come sarebbe più corretto per la pipa) che rappresenta un oggetto che conosciamo e
riconosciamo guardandolo, ma al tempo stesso questo oggetto non è reale, è immateriale.
Il titolo del quadro è “La Trahison des images”, ossia il “tradimento delle immagini”: non tutto
quello che vediamo è quello che sembra.
Un concetto filosofico impartitoci da un maestro del surrealismo che lancia una sfida alla
convenzione linguistica dell’identificare l’immagine di un qualcosa come quel qualcosa in
sé. Magritte ci mette davanti questo paradosso, facendoci riflettere su quanto sia complessa la
comunicazione e di come la società abitualmente guarda le cose in maniera superficiale.
“Ceci n’est pas une pipe” è una provocazione, con un testo sintetico che richiama lo stile
pubblicitario (Magritte iniziò la sua carriera come grafico), che ci ricorda la differenza tra la realtà
tangibile e l’impalpabile rappresentazione di essa.
L’impero delle luci di Maigritte
L’impero delle luci venne realizzato da Magritte nel 1954, usando la tecnica dei colori a olio su una
tela di 146 per 114 centimetri. In realtà esistono diverse versioni di questo dipinto: la prima, del
1950, conservata nel Museum of Modern Art di New York; la seconda, del 1954, esposta al Musées
Royaux des Beaux-Arts in Belgio; una terza, opera realizzata nel 1967 e conservata in una
collezione privata.
Quella di cui parleremo è del 1954 ed è oggi esposta presso la Collezione Peggy Guggenheim a
Venezia.
L’immagine è quasi fin troppo semplice, e sicuramente vi domanderete perché riesce tanto ad
affascinare. Apparentemente vediamo una villetta che sembra un po’ isolata nel verde, immersa in
una profonda e totale oscurità. Le uniche cose che attenuano il buio, sono delle luci artificiali
provenienti dall’interno di alcune camere della villetta e da un lampioncino che rischiara il giardino
esterno e il laghetto antistante. A un primo sguardo, ci pare una perfetta raffigurazione di un
normale paesaggio con dettagli quasi fotografici.
La persistenza della memoria di Salvador Dalí, 1931, New York
(MoMa)
Descrizione
All’interno di un paesaggio
fantastico sono disposti alcuni
oggetti irreali. Dominano la scena
alcuni orologi dalla consistenza
deformata. Sono chiamati, infatti,
orologi molli. Pur segnando ancora
il tempo, sembrano aver perso la
loro solidità. Sopra al
parallelepipedo dipinto a sinistra,
un orologio è poggiato per una
metà sul piano. Sopra di esso, si è
appoggiata una mosca che crea
una lunga ombra verso le dodici. La
metà inferiore, invece, pende
mollemente lungo il fianco del solido. Un altro orologio, con la cassa però chiusa, è poggiato più a
sinistra. Su di esso alcune formiche, grandi e piccole, creano un motivo decorativo.
Verso il bordo posteriore del solido, un esile tronco morto si alza verso il cielo e un suo ramo sostiene
un altro orologio che pende verso il basso. Sul terreno, un essere mostruoso composto da un grande
occhio chiuso, con lunghe ciglia, sopracciglia e la lingua al di fuori porta come una groppa un altro
orologio. Verso il fondo dello spazio rappresentato, si apre uno specchio d’acqua. A destra, alcuni
faraglioni avanzano verso l’acqua. A sinistra, invece, è dipinto un piano geometrico che avanza verso
la riva. Il cielo è limpido e privo di nubi.
Interpretazioni e simbologia
Oltre alla spiegazione data dall’artista, si può immaginare che gli orologi molli rappresentino la
relatività della percezione temporale. Ognuno di noi, infatti, ha una propria sensazione temporale
rispetto alle medesime situazioni. Ogni orologio, inoltre, segna ore diverse.
La storia dell’opera
La persistenza della memoria è uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì. Gli orologi molli sono
degli oggetti che caratterizzano questo e altri dipinti. Nelle opere di Salvador Dalì, infatti, furono
rappresentati in modo costante alcuni oggetti dalle forme strane e ibride. Dalì diede una
spiegazione di come elaborò questa forma. L’artista si trovò ad osservare una fetta di formaggio che
si stava sciogliendo al sole. Questa visione gli ispirò l’idea degli orologi molli che subito dipinse sulla
tela. L’immagine che stava dipingendo rappresentava un paesaggi o di Port Lligat, in
Spagna. Salvador Dalì, al momento della realizzazione dell’opera viveva in tale località con la
compagna Gala.
Il Carnevale di Arlecchino - Joan Mirò
Dopo il periodo
impressionistico, Joan Mirò si
dedica al Surrealismo. Una delle
opere più rappresentative di
questo periodo è “Il Carnevale di
Arlecchino”, un dipinto realizzato
dal pittore e scultore spagnolo nel
periodo che va dal 1924 al 1925.
La rivista riunisce giovani intellettuali iscritti alle associazioni giovanili fasciste e personalità più
sbilanciate verso posizioni liberali o marxiste. Malgrado la formazione eterogenea, il loro obiettivo
è comune. Essi si oppongono alle più recenti scelte politiche del regime fascista, che portano
all’alleanza con la Germania, alla promulgazione delle prime leggi razziali e, di fatto, alla
partecipazione all’imminente conflitto (la Prima guerra mondiale).
Si propongono, invece, di promuovere la libertà culturale e di sviluppare un nuovo rapporto con la
realtà.
Crocifissione di Renato Guttuso esprime la tragedia della guerra attraverso il tema sacro
della crocifissione. Punto di riferimento sembra essere Guernica di Pablo Picasso, sia per la forza
di opposizione che il dipinto esprime sia per la sua grande valenza comunicativa.
Il dipinto, che partecipò nel 1942 al Premio Bergamo, suscitò polemiche per il modo
anticonvenzionale con cui è trattato il soggetto: Cristo non è in primo piano, ma ha lo stesso rilievo
dei due ladroni. Si distingue per il corpo nudo e vagamente erotico della Maddalena allungato
lungo la croce (quest’ultima scelta valse all’autore l’appellativo di pictor diabolicus).
L’esasperazione del dolore è resa dai movimenti diagonali e divergenti, che danno un tono
convulso alla rappresentazione, sottolineato dalla violenza dei colori, ma coerentemente accordati
tra loro.
Il tavolo in primo piano (vedi immagine in alto), la cui prospettiva è “inversa”, imprime un
improvviso senso di moto all’intera composizione.
L’affollarsi delle figure umane, schiacciate tra l’osservatore e il cupo paesaggio, dimostra come il
realismo di Guttuso sia tutt’altro che razionale, ma sia pervaso di ansia e di grande carica
espressiva.
Commenta Guttuso a questo proposito: «Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas,
forche, decapitazioni, Spagna, altrove. Voglio dipingere questo supplizio come una scena d’oggi».
Trittico della metropoli di Otto Dix, 1927
Quest’opera rappresenta al meglio la società tedesca negli anni della Repubblica di Weimar, età
d’oro della Germania dal punto di vista artistico, meno dal punto di vista politico e sociale, viste le
difficoltà del primo dopoguerra.
ANALISI DELL’OPERA
L’opera è costituita da tre grandi pannelli di compensato, alti 1,80 m e larghi, il centrale 2,00 m e i
due laterali 1,00 m. Nulla è casuale, infatti l’opera fu studiata in ogni dettaglio, e ogni decisione
presa dal pittore ha ragioni profonde. Il clima dei cabaret berlinesi è colto nella raffigurazione
centrale con tecniche forse eccessivamente realistiche tipiche della Nuova oggettività. Tracce di
espressionismo sono ben visibili nelle figure dai tratti caricaturali, nel trucco quasi da maschera e
nei colori violentemente marcati. Questa raffigurazione di una vita di piaceri e di eleganza ma
senza calore umano e senza gioia, infatti nell’opera nessuno sorride, è affiancata, ai due dipinti
laterali che la stravolgono. I dipinti laterali illustrano con taglio provocatorio due scene di vita
cittadina giocate sul contrasto tra degrado fisico e morale e lusso apparente. L’opera è dominata
dall'indifferenza. Indifferenza espressa nell'ala destra del trittico dal cadavere del soldato
abbandonato al suolo, ed ostentata dai passanti nei confronti del medicante, che in guerra ha
perso le gambe e il volto, nell'ala sinistra. Dix completò il quadro a Dresda, ma la città che vi è
rappresentata è Berlino dove, dopo essere tornato dal fronte, l’artista aveva vissuto fino a poco
tempo prima.
PILASTRI DELLA SOCIETÁ di George GroszI, 1926
I grovigli cromatici
Nonostante l’adozione del dripping, i grandi quadri di Pollock non esprimono mai il caos, perché
l’artista non li dipinse a casaccio ma guidò, con mano esperta, lo sgocciolamento del colore dal
pennello, controllandone la direzione e l’intensità. Ne consegue che i suoi grovigli cromatici, metri
quadri di pura energia visiva, non respingono e non offendono ma catturano lo sguardo
dell’osservatore.
Con Pollock, il quadro è ormai lo specchio di un’azione, traduzione diretta di un’energia fisica,
emotiva e mentale. «Sul pavimento», affermò lo stesso Pollock, «mi sento più a mio agio, più parte
del quadro; posso camminarci intorno, lavorare da quattro lati diversi, essere letteralmente dentro
al quadro. […] Quando ci sono dentro, nel mio quadro, non mi rendo conto di quel che sto facendo.
È soltanto dopo un certo periodo, impiegato a, come dire, “far conoscenza”, che riesco a vedere che
direzione ho preso. E non ho paura a far cambiamenti, e neanche di distruggere l’immagine, perché
so che il quadro ha una vita sua e io non cerco che di farla venir fuori».
Number 61 Rust and Blue (1953) di Mark Rothko
Il ritratto Jacqueline (1964), fa parte della serie Jackie, realizzata da Warhol in molteplici versioni e
varianti sulla scia dell'emozione prodotta dall'assassinio del presidente degli USA John Fitzgerald
Kennedy e dalla sua massiccia copertura mediatica. Di poco successivo alla serie dedicata alla
cronaca nera Death and Disaster, il ritratto di Jackie Kennedy al funerale del marito, ripreso dalla
rivista "Life" e serigrafato su tela, trasforma l'immagine della donna affascinante e seducente
nell'icona tragica della vedova presidenziale, in grado di impersonare da sola il dramma di un'intera
nazione.