Il documento analizza il discorso di Cesare sulla congiura di Catilina contenuto nell'opera di Sallustio. Cesare propone l'esilio per i congiurati piuttosto che la condanna a morte, sostenendo che la morte porrebbe fine alle sofferenze. Il documento riporta anche brevi analisi di passi tratti dal discorso di Cesare e dalla prima Catilinaria di Cicerone.
0 valutazioniIl 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
123 visualizzazioni5 pagine
Il documento analizza il discorso di Cesare sulla congiura di Catilina contenuto nell'opera di Sallustio. Cesare propone l'esilio per i congiurati piuttosto che la condanna a morte, sostenendo che la morte porrebbe fine alle sofferenze. Il documento riporta anche brevi analisi di passi tratti dal discorso di Cesare e dalla prima Catilinaria di Cicerone.
Il documento analizza il discorso di Cesare sulla congiura di Catilina contenuto nell'opera di Sallustio. Cesare propone l'esilio per i congiurati piuttosto che la condanna a morte, sostenendo che la morte porrebbe fine alle sofferenze. Il documento riporta anche brevi analisi di passi tratti dal discorso di Cesare e dalla prima Catilinaria di Cicerone.
Il documento analizza il discorso di Cesare sulla congiura di Catilina contenuto nell'opera di Sallustio. Cesare propone l'esilio per i congiurati piuttosto che la condanna a morte, sostenendo che la morte porrebbe fine alle sofferenze. Il documento riporta anche brevi analisi di passi tratti dal discorso di Cesare e dalla prima Catilinaria di Cicerone.
Scarica in formato DOCX, PDF, TXT o leggi online su Scribd
Scarica in formato docx, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 5
Cesare “difensore d’ufficio”
Sallustio scrisse il “De Catilina coniuratione” (la congiura di Catilina) per
guidare il lettore a comprendere i motivi della crisi della res publica. Narra il tentativo del colpo di Stato organizzato dall’aristocratico Lucio Sergio Catilina negli anni 63- 62. La congiura di Catilina rappresentava un momento significativo degli ultimi anni della repubblica romana, nel quale Sallustio individuava tutti i segni della crisi, causa delle successive guerre civili. Catilina è presentato sotto una luce non del tutto negativa, cioè come un individuo malvagio e corrotto per natura, ma anche affascinante, intelligente, coraggioso, capace di combattere e morire coraggiosamente in difesa delle proprie idee. Un ruolo particolare all'interno della vicenda è la figura di Cesare, che propone per i congiurati l’esilio, a differenza di Catone che sostiene la condanna a morte. Appare tutt'altro che rivoluzionario, cioè fedele custode del mos maiorum tradizionale e si appella solo alle leggi. Il discorso di Gaio Giulio Cesare si inserisce quando in Senato si discute del destino dei congiurati. La parte che mi ha colpito di più è il paragrafo 1: “Omnis homines, patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitib, irb atque misericordib vacuos esse decet.” TRADUZIONE: “Tutti gli uomini, o senatori, che deliberano intorno a fatti dubbi, debbono essere liberi da odio e da amicizia, da ira e da misericordia.” ANALISI: L’inizio del discorso (Omnis homines) richiama la premessa dell’opera. Le due coppie opposte (ab odio, amicitia / ira atque misericordia) è un’antitesi, cioè l'accostamento di termini o intere frasi tra loro contrastanti. È rilevante l’attenzione di espressioni inerenti al processo decisionale, come il verbo “consultant” che significa deliberare, consultare.
Cesare nell'introduzione (par.1-8) per enfatizzare il bisogno di sentenziare gli
accusati con mente serena, fornisce due “exempla” dell’antica storia di Roma: l’atteggiamento tenuto dai Romani con i Rodii e i Cartaginesi; ciò che interessa è che la pena assegnata rimanga nei limiti della legalità. Il discorso si sviluppa facendo riferimento ai principi della retorica: si apre con un “exordium” in cui l’oratore invita i patres conscripti (i senatori), a giudicare gli imputati allontanando sia i sentimenti positivi, come l’amicizia e la misericordia, sia quelli negativi, come l’ira e l’odio. A parer mio, tenere lontano le emozioni nei processi decisionali, è corretto. Infatti bisogna ottenere quell’equilibrio tra ragione e sentimento che produce ottime scelte, questo perché potrebbero essere influenzate, in questo caso dall’ira dei senatori, favorevoli alla condanna a morte, nei confronti dei congiurati. La rabbia portava infatti a violare anche la legge Porcia, che difendeva la dignità del cittadino vietando, con l’appello del popolo, ogni tipo di tortura a tutti i romani. Molte volte io stessa mi ritrovo in queste situazioni di scelta tra testa e cuore, che sono spesso in contrasto, non trovando l’equilibrio desiderato. Difatti è un tema molto attuale, che tocca soprattutto i giovani non ancora capaci di prendere decisioni importanti, condizionati da fattori esterni o dalle emozioni proprie. Paragrafo 20: “De poena possum equidem dicere, id quod res habet, in luctu atque miseriis mortem aerumnarum requiem, non cruciatum esse; eam cuncta mortalium mala dissolvere; ultra neque curae neque gaudio locum esse.” TRADUZIONE: “Della pena posso dir questo, che è pura verità: nel lutto e nelle miserie la morte è il riposo dagli affanni; non è un tormento, anzi dissolve tutti i mali umani e non schiude né angosce né gioie.” ANALISI: Cesare è avverso nei confronti di chi propone, per i catilinari, la condanna a morte, poiché secondo lui non è una pena abbastanza feroce, ma favorisce solo a fuggire da una reale punizione. L’argomento più insolito contro la condanna capitale è la paradossale affermazione secondo cui la morte, invece di essere un “martirio”, si risolverebbe in una sorta di “riposo” per gli imputati, liberandoli da ogni pena. Tale argomentazione trova origine nella filosofia epicurea in cui si considerava la morte, in quanto annullamento completo di ogni sensazione, non un male, ma una liberazione dalle angosce e dai dolori. Certuni credono che la pena di morte sia giusta, seppur crudele e disumana, ritengono che sia uno strumento efficace per abbassare il tasso di criminalità. Sebbene condannare a morte un colpevole potrebbe incitare altre persone dal non commettere lo stesso reato, dal mio punto di vista non è una giusta scelta. Seppure distante da noi, condivido il principio dell’Epicureismo, per il quale la morte sia uno strumento che aiuti a distogliere ogni tipo di dolore, ma solo in situazioni specifiche. Per cui sono d’accordo con Cesare in quanto contraria alla condanna a morte, poiché sarebbe più adatto che, i “traditori della patria”, ricevessero una punizione adeguata, come l’esilio, piuttosto che la “liberazione” data dalla morte.
Prima Catilinaria di Cicerone
Paragrafo 2: “O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos omnis [omnes iam diu] machinaris. ” TRADUZIONE: “O tempora, o mores! Il senato è a conoscenza di queste cose, il console (le) vede; questi tuttavia vive. Vive? Non solo, invero viene anche in senato, diviene partecipe alla pubblica decisione, osserva e condanna a morte chiunque dei nostri. A noi forti uomini tuttavia sembra di fare abbastanza per la repubblica, se evitiamo la follia e gli inganni di costui. Era opportuno, Catilina, che tu fossi condotto a morte sotto ordine del console già molto prima, che in te fosse raccolto il danno che tu [ormai da tempo] macchini per noi.” Paragrafo 3: An vero vir amplissumus, P. Scipio, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis; nos, nos, dico aperte, consules desumus. TRADUZIONE: O invero Publio Scipione, uomo grandissimo, pontefice massimo, uccise da privato (cittadino) Tiberio Gracco che (tentava di) danneggiare mediocremente la condizione della repubblica; noi consoli sopporteremo Catilina, che desidera devastare il mondo intero con morte e incendi? Infatti passerò avanti a quelle cose troppo antiche, ovvero che Caio Servilio Ahala uccise di sua mano Spurio Melio, che progettava azioni rivoluzionarie. Vi fu, vi fu un tempo codesta virtù in questa repubblica, (tanto che) uomini forti costringevano a supplizi più atroci un cittadino pericoloso che un acerrimo nemico. Contro di te, Catilina, possediamo un senato consulto energico e autorevole, non manca(no) l’avvedutezza della repubblica e l’autorità di questo ordine; noi, (lo) dico apertamente, noi consoli veniamo meno (al nostro dovere). ANALISI: Inesorabile il raffronto tra il profilo di Catilina attuato da Sallustio e da Cicerone. Nel discorso Cicerone presenta Catilina come un folle, temerario, malvagio, capace di distruggere il mondo intero, gioioso di commettere delitti e atti illeciti, corrotto dai costumi di uomini disonesti e infine indifferente nei confronti del senato. Sallustio, invece, non accenna mai a pazzia, gli attribuisce solo mancanza di criterio e corruzione. Il discorso nella prima Catilinaria è una continua minaccia nei confronti di Catilina, pronunciato con il fine di arrestare la sua pazzia. Molto forte il contrasto fra l’audacia di Catilina e la determinatezza del Senato, tra la situazione attuale e gli anni passati. L’autore alterna discorsi direttamente rivolti a Catilina con discorsi rivolti al Senato, quindi non condanna solamente Catilina ma disprezza anche l’indecisione dei senatori. Il secondo e il terzo paragrafo si basano dunque sulla profonda contraddizione tra lo stato delle cose, poiché Catilina vive e compie le sue colpe allo scoperto delle istituzioni, consapevoli dei suoi delitti, quando dovrebbe essere stato ucciso già da tempo. Questa contraddizione viene resa ancora più illogica da Cicerone attraverso l’uso di “exempla storici” di privati cittadini, in cui la risposta del senato fu immediata e pronta. Con una forma adatta di “captatio benevolentiae” Cicerone non incolpa però il Senato se la situazione è arrivata a tal punto, ma solo sé stesso.