Generi Letterari
Generi Letterari
Generi Letterari
https://www.homolaicus.com/letteratura/mito.htm
IL MITO
Ogni civiltà fiorita sulla Terra ha sviluppato fin dalle sue più lontane
origini un vasto repertorio di miti (dal greco mythos = racconto),
narrazioni solo in apparenza fantastiche, portatrici di messaggi e di una
loro interiore verità.
Il fascino che emana dalle raccolte dei miti dei popoli antichi non deve
indurci a credere che essi siano una raccolta di fiabe a scopo di
intrattenimento; al contrario, i miti costituiscono i fondamenti morali e
religiosi su cui poggia la struttura sociale di popoli quali, ad esempio, gli
Egizi, i Greci e i Romani, che nella loro lunga storia hanno trovato in essi
precisi punti di riferimento. Dunque, proprio in questo consiste la verità
di un mito: nell’essere un tentativo di risposta alle domande dell’uomo,
nel costituire una struttura etica e morale entro cui un popolo si
riconosce e ritrova le sue radici.
[…]
Tipologia
[…]
Il mito greco
Tranne qualche rara eccezione, gli dèi greci sono belli ed eternamente
giovani; nulla limita la loro potenza, tranne il Fato, cioè il destino, la
forza superiore e imperscrutabile incombente su di loro come sugli
uomini alla quale neppure Zeus può sottrarsi.
http://www.treccani.it/enciclopedia/fiaba/
LA FIABA
Le origini
In Europa, tra i primi che hanno raccolto fiabe troviamo Charles Perrault,
che alla fine del Seicento scrisse I racconti di mamma l'Oca. L'opera contiene
fiabe indimenticabili, come Il gatto con gli stivali, Barbablù, La Bella
addormentata, Cenerentola, Cappuccetto rosso.
In Italia, l'attenzione per le fiabe è ancora più antica. Già attorno al 1550
Gianfrancesco Straparola, nella sua opera Le piacevoli notti, aggiunse a
novelle realistiche fiabe di origine popolare raccolte nel Veneto. La più
grande raccolta italiana però fu quella di Giambattista Basile che, tra il 1634
e il 1636, scrisse Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de' peccerille, detta
anche Il Pentamerone. L'opera raccoglieva ben cinquanta fiabe in dialetto
napoletano.
LA FAVOLA
Breve narrazione per lo più in versi. Quando si parla di f. come genere
letterario, ci si riferisce comunemente a quella i cui caratteri fondamentali
furono segnati già da Esopo e universalmente diffusi da Fedro: essenziale è
che essa racchiuda una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica
e che vi agiscano (a volte insieme a uomini e dei) animali o esseri inanimati,
sempre però tipizzazioni e quasi stilizzazioni di virtù e di vizi umani. Da
notare però che l’animale perde talvolta, e sempre più frequentemente
quanto più ci si avvicina ai tempi moderni, ogni caratterizzazione
psicologica peculiare, diventando semplice pretesto per introdurre la
conclusione morale. È difficile distinguere la f. dall’ apologo, se non forse
per il fatto che in questo possono agire anche solo uomini e il fine morale è
assolutamente predominante, sì che non si ha neppure il tentativo di
personalizzare i protagonisti; similmente è difficile distinguere l’apologo
dalla parabola, se non per il fatto che quest’ultima parola è ormai riservata
agli apologhi evangelici. Possibile invece, e necessario, distinguere la f.
dalla fiaba anche se il confine tra esse è incerto, tanto che le due parole
sono talvolta impropriamente usate l’una invece dell’altra.
http://www.treccani.it/enciclopedia/novelle-e-racconti_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/ù
NOVELLA E RACCONTO
Le origini
L’origine della novella deve ben poco all’area occidentale: nella letteratura
greca e latina si possono solo intravedere tracce di quello che sarà il suo
sviluppo. Gli esempi più interessanti sono quelli greci delle Favole
milesie risalenti ad Aristide di Mileto (scrittore vissuto nel 2° secolo a.C) e
quelli latini delle Metamorfosi di Apuleio e del Satyricon di Petronio. Nelle
opere citate le novelle sono narrazioni brevi e marginali che si inseriscono
nel racconto principale; in esse già compaiono quegli argomenti erotici che
verranno sviluppati nelle novelle medievali: il marito ingannato, l’infedeltà
della donna, e così via.
http://www.treccani.it/enciclopedia/romanzo/
ROMANZO
La parola romanzo deriva dal termine del francese antico romanz con cui si
indicava una qualsiasi lingua volgare derivata dal latino. Già all’inizio del
12° secolo con romanz si definisce pertanto un testo scritto in lingua
volgare, e in seguito anche un’opera narrativa volgare in versi: sia i romanzi
medievali francesi sia i nostri romanzi cavallereschi sono infatti scritti in
versi. Successivamente il romanzo adotta la prosa. Nelle letterature
moderne e contemporanee, esso finisce così per indicare un
componimento letterario in prosa che si afferma nel corso del Seicento e
che raggiungerà il suo massimo sviluppo due secoli più tardi.
L’origine del romanzo moderno corrisponde all’affermarsi di una scrittura
non retorica né altisonante, funzionale a profonde trasformazioni sociali ed
economiche che attirano sempre più l’attenzione di scrittori e pubblico
sulle questioni sociali. La prima opera di questo genere è il Don
Chisciotte (1605) di Miguel de Cervantes. In esso si affermano alcune
caratteristiche che segnano una netta differenza dal romanzo medievale:
l’interesse per le vicende quotidiane e per la psicologia dei personaggi,
l’adozione di uno stile medio – lontano da quello alto dell’epica – e la
mescolanza di elementi seri e comici.
Una più attenta rappresentazione della realtà si avrà in Inghilterra tra la fine
del Seicento e l’inizio del Settecento; l’affermarsi di nuovi modelli di vita
legati alla società mercantile e proto-industriale inglese favorisce l’interesse
per alcuni temi di cui il romanzo si fa portavoce: arricchimento e povertà,
spregiudicatezza e arrivismo sociale, avventurosa scoperta di nuovi mondi.
Principali interpreti di questa realtà sono gli scrittori Daniel De
Foe (Robinson Crusoe, 1719, e Moll Flanders, 1722) e Henry Fielding, che
ambienta il suo capolavoro, Tom Jones (1749), nell’Inghilterra rurale e che
affronta il tema del matrimonio e della famiglia in Amelia (1751).
L’interesse del pubblico per gli argomenti affrontati rende sempre più
popolare questo genere narrativo, che inizia ad assumere forme diverse
assorbendo differenti tipologie narrative. Si diffonde il romanzo allegorico-
filosofico che – come nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift o
nel Candide (1759) di Voltaire – diviene uno strumento di confutazione
intellettuale di teorie pedagogiche, sistemi filosofici e ideologie politiche.
Jane Austen, autrice di Orgoglio e pregiudizio (1813), inaugura invece il romanzo
d’ambiente che rappresenta in particolare contesti familiari o circoscritte
realtà di provincia.
Pamela (1740) di Samuel Richardson dà forma alla tipologia narrativa
del romanzo epistolare, in cui la vicenda viene narrata attraverso le lettere
scambiate tra due o più personaggi. Si distinguono, infine, per originalità le
opere di Laurence Sterne che, con La vita e le opinioni di Tristram
Shandy (1760), rinnova gli schemi della narrazione tradizionale.
IL TESTO POETICO
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POESIA
Il linguaggio poetico, sia nelle sue forme codificate da secoli sia in quelle
più libere, è in grado di cogliere e di dare voce a esigenze profonde
dell’uomo, mescolando in modo indissolubile scrittura, senso del ritmo,
musicalità della parola e rivelazione di particolari significati
Caratteristiche del testo poetico
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Il verso
Il verso è l’unità minima che compone la poesia. È costituito da una serie di sillabe, alcune
delle quali sono toniche (segnate cioè dall’accento), mentre altre sono atone (non segnate
dall’accento).
Sono da considerarsi uguali due versi con lo stesso numero di sillabe, anche se
presentano ritmi diversi.
I versi prendono il nome dal numero delle sillabe che li compongono. Chiameremo così:
I versi sciolti sono versi legati ad altri presenti nella strofe soltanto dalla lunghezza
predeterminata (senari, settenari, endecasillabi ecc.), ma sciolti da qualsiasi legame di
rima. Nell’esempio che segue il metro è l’endecasillabo sciolto.
I versi liberi sono versi non vincolati ad altri presenti nella strofe né per la lunghezza, né
per un particolare schema di rime né per le combinazioni strofiche.
Le rime
Un altro elemento importante per quanto riguarda il ritmo dei testi poetici è la rima.
Essa consiste nella perfetta coincidenza della parte finale di due o più parole a partire
dall’ultima sillaba accentata.
• rime baciate (AA, BB, CC ecc.): la corrispondenza di sillabe a chiusura tra il primo e il
secondo verso, e il terzo e il quarto.
• rime alternate (AB, AB, CD, CD ecc.): la corrispondenza di sillabe a chiusura tra il primo
e il terzo verso, e il secondo e il quarto.
La rima non è solo un ornamento che riguarda il suono, ma fa parte anche del livello del
significato di una poesia: unendo due o più termini, grazie alla loro identità di suono,
finisce anche col metterne in rapporto i significati.
L’assonanza
È una specie di rima imperfetta, con la rispondenza dei soli suoni vocalici, dalla vocale
accentata fino alla fine della parola.
Non è rimasto
neppure tanto
Può anche riguardare la vocale finale e la consonante che la precede; si parla, in questo
caso, di assonanza atona. Ad esempio, amore Æ finire Æ mare.
Le strofe e le combinazioni
La strofe è determinata dalla disposizione delle rime, insieme al numero dei versi e ai tipi
di versi impiegati.
Essa indica il raggruppamento di più versi, ordinati fra loro secondo determinati criteri di
rima e di ritmo.
Vi sono vari tipi di strofe:
Le strofe possono anche avere forme libere e contare numeri di versi variabili come
accade frequentemente nella poesia.
Combinandosi fra loro le varie strofe danno luogo a diverse combinazioni. Le più usate
sono la canzone e il sonetto.