Generi Letterari

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I GENERI LETTERARI

https://www.homolaicus.com/letteratura/mito.htm

IL MITO

Ogni civiltà fiorita sulla Terra ha sviluppato fin dalle sue più lontane
origini un vasto repertorio di miti (dal greco mythos = racconto),
narrazioni solo in apparenza fantastiche, portatrici di messaggi e di una
loro interiore verità.

L’esigenza di rispondere alle grandi domande sull’origine dell’universo e


dell’uomo, sull’alternarsi delle stagioni, sui fenomeni naturali, sulla vita,
la morte e il dolore, sul destino che attende l’umanità e tutto ciò che la
circonda, ha indotto da sempre l’uomo a fornire spiegazioni che, in
assenza di adeguati strumenti scientifici e prima che si formassero
elaborati sistemi filosofici, si traducevano in narrazioni fortemente
simboliche, confluite poi nel complesso sistema dei miti. Questi dunque
riflettono la cultura dei popoli cui appartengono e le modalità attraverso
le quali essi hanno tentato di fornire un’interpretazione della realtà.

Il fascino che emana dalle raccolte dei miti dei popoli antichi non deve
indurci a credere che essi siano una raccolta di fiabe a scopo di
intrattenimento; al contrario, i miti costituiscono i fondamenti morali e
religiosi su cui poggia la struttura sociale di popoli quali, ad esempio, gli
Egizi, i Greci e i Romani, che nella loro lunga storia hanno trovato in essi
precisi punti di riferimento. Dunque, proprio in questo consiste la verità
di un mito: nell’essere un tentativo di risposta alle domande dell’uomo,
nel costituire una struttura etica e morale entro cui un popolo si
riconosce e ritrova le sue radici.

Tramandato prima oralmente dai depositari (in genere i sacerdoti) dei


valori di un popolo, il mito ha poi incontrato, lungo il suo cammino, un
autore colto che ne ha fissato in forma scritta la versione.

[…]

Tipologia

Tra i vari tipi di miti, possiamo distinguere:

1. miti naturalistici: forniscono una spiegazione fantastica ai


fenomeni naturali meteorologici o biologici;
2. miti eziologici: come dice la parola di origine greca (eziologia =
«studio delle cause»), spiegano l’origine di città, usanze, ecc.;
3. miti storici: si rifanno ad episodi storici precisi, a proposito dei
quali, nel corso di secoli di trasmissione orale, è intervenuta la
fantasia popolare ad ampliare, abbellire, esaltare un fatto o un
personaggio particolari.

[…]

Il mito greco

La mitologia antica a noi più familiare è senz’altro quella greca. I Greci


furono grandi creatori di miti, tutti vivacemente popolati da divinità
dotate sì del requisito fondamentale dell’immortalità e di qualità fisiche
e intellettuali superiori, ma in tutto simili agli esseri umani sia per la
colorita caratterizzazione sia per passioni e debolezze.

Limpidamente suddivise sui gradini di una rigida gerarchia, spesso


invidiose, vendicative, intriganti, esse di dimorano sull’Olimpo, il più alto
massiccio montuoso della Grecia, in Tessaglia, considerato dalla fantasia
popolare un luogo di delizie e di sontuose dimore.

Capo supremo di tutti gli dèi è Zeus, signore dell’Olimpo e dell’umanità,


capriccioso e terribile gestore dei fenomeni atmosferici, amante di dee,
ninfe e donne mortali nonostante la gelosa presenza della moglie Hera.

Ai fratelli di Zeus, Poseidone e Ade, spetta rispettivamente il dominio del


mare e il regno del sotterraneo mondo dei morti; le sue sorelle sono
Demetra, dea dell’agricoltura, e Hestia, custode del focolare e della
quiete domestica. Figli legittimi, naturali o adottivi di Zeus e di Hera
sono: Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, Atena, dea della
sapienza, Artemide, dea della caccia, Apollo, dio delle arti, Efesto, dio
del fuoco e fabbro degli dèi, Ermes, dio del commercio e messaggero
dell’Olimpo. Accanto a queste divinità maggiori, i miti greci collocano
numerose divinità minori, semidèi e creature fantastiche, quali fauni e le
ninfe, ovunque diffuse per mare e per terra.

Tranne qualche rara eccezione, gli dèi greci sono belli ed eternamente
giovani; nulla limita la loro potenza, tranne il Fato, cioè il destino, la
forza superiore e imperscrutabile incombente su di loro come sugli
uomini alla quale neppure Zeus può sottrarsi.
http://www.treccani.it/enciclopedia/fiaba/

LA FIABA

Le fiabe hanno origini antichissime e narrano vicende di esseri umani e di


esseri soprannaturali. Nelle fiabe compaiono orchi, streghe, maghi, fate,
folletti, gnomi e altri personaggi fantastici. Narrate e tramandate oralmente,
sono poi state trascritte in tutto il mondo e studiate. Molti scrittori usano
gli elementi della fiaba per scrivere romanzi e novelle a carattere fantastico

Le origini

Le fiabe sono in sostanza racconti popolari fantastici, originariamente orali,


nei quali si muovono personaggi vari: uomini, donne, bambini, insieme a
esseri soprannaturali, come orchi, fate, streghe, folletti, gnomi, giganti, nani
e così via. Rispetto alla loro origine si sono fatte moltissime ipotesi. Per
esempio, c'è chi pensa che si siano originate un po' in tutto il mondo in
epoche preistoriche e poi si siano sparse e intrecciate fra loro grazie ad abili
narratori di cui nulla sappiamo. C'è chi pensa invece che la loro origine sia
da collocare nella zona centrale dell'India, dove si sarebbero sviluppate le
prime civiltà; da lì le fiabe si sarebbero diffuse in tutto il mondo
modificandosi e adattandosi alle varie epoche e ai modi di pensare delle
varie popolazioni.

In effetti, da un semplice studio comparato delle fiabe si può vedere come


alcuni personaggi e alcune situazioni siano molto simili tra loro, sia nelle
fiabe europee sia in quelle orientali. Inoltre, di ogni fiaba abbiamo molte
versioni. Cappuccetto rosso non sempre viene salvata dal cacciatore e non
sempre viene divorata dal lupo, Giovannin senza paura non sempre muore,
Giufà non sempre è stupido. Non solo, nelle fiabe russe o danesi
prevalgono regine delle nevi, gnomi, troll, mentre in quelle del Sud o
dell'Oriente fate, vecchine buone, talismani, asini o cavalli volanti.
Insomma, troviamo una stessa fiaba adattata alla situazione ambientale e
culturale dei vari paesi. Questo ci fa capire come il patrimonio delle fiabe
abbia circolato nel mondo e come circolando si sia arricchito.

I grandi trascrittori di fiabe

Con il tempo si è sentito il bisogno di raccogliere in forma scritta i vari


racconti orali che si andavano narrando. La più antica raccolta di fiabe vere
e proprie è quella araba delle Mille e una notte: a un primo nucleo di fiabe
indiane, che risalgono probabilmente al 12° secolo, se ne aggiunsero poi
altre persiane ed egiziane. Soltanto nel Settecento furono tradotte in
Occidente, prima in Francia e poi in altri paesi.

In Europa, tra i primi che hanno raccolto fiabe troviamo Charles Perrault,
che alla fine del Seicento scrisse I racconti di mamma l'Oca. L'opera contiene
fiabe indimenticabili, come Il gatto con gli stivali, Barbablù, La Bella
addormentata, Cenerentola, Cappuccetto rosso.

È nell'Ottocento, quando si sviluppano gli studi sulle tradizioni popolari,


che in tutta Europa si cominciano a raccogliere sistematicamente le fiabe.
La raccolta più importante è certamente quella di due studiosi tedeschi, i
fratelli Grimm: Fiabe per bambini e famiglie (1812-22), duecento fiabe raccolte
e ristampate continuamente e poi diffuse nel mondo. Anche in questa
raccolta tedesca troviamo fiabe indimenticabili: Biancaneve, Pollicino, Hansel e
Gretel, I quattro musicanti di Brema.

Seguirono altre raccolte di vari paesi: fiabe norvegesi, russe, inglesi,


irlandesi. In Danimarca, nella prima metà dell' Ottocento, Hans Christian
Andersen raccolse, trascrisse e arricchì molte fiabe popolari, modificandole
in gran parte con la sua fantasia.
Le fiabe italiane

In Italia, l'attenzione per le fiabe è ancora più antica. Già attorno al 1550
Gianfrancesco Straparola, nella sua opera Le piacevoli notti, aggiunse a
novelle realistiche fiabe di origine popolare raccolte nel Veneto. La più
grande raccolta italiana però fu quella di Giambattista Basile che, tra il 1634
e il 1636, scrisse Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de' peccerille, detta
anche Il Pentamerone. L'opera raccoglieva ben cinquanta fiabe in dialetto
napoletano.

Nell'Ottocento e nel primo Novecento molti studiosi di tradizioni popolari


iniziarono a raccogliere fiabe nelle varie regioni italiane. Ci siamo trovati
così a possedere un ricchissimo patrimonio di storie fantastiche provenienti
dalla Toscana come dal Piemonte, dalla Sicilia come dalla Puglia. Queste
fiabe erano però per lo più in dialetto. Nel 1954 lo scrittore Italo
Calvino pubblicò una scelta di Fiabe italiane, trascritte in italiano dai dialetti
di tutte le regioni. Finalmente anche l'Italia possedeva la sua raccolta di
fiabe.

Narratori, luoghi ed epoche

I narratori di fiabe, mentre tornano a raccontarle, adattano le fiabe all'epoca


e al mondo in cui essi vivono. Scartano dalla storia alcune scene e ne
inseriscono altre, danno un nuovo carattere agli eroi e ai personaggi,
cambiano gli ambienti, i climi, le piante, gli animali. Per questo le fiabe
hanno assimilato i colori, i suoni, gli umori delle terre in cui sono passate, si
sono popolate degli animali e delle piante dei diversi territori naturali; le
fiabe riproducono quello che hanno assorbito dalle culture delle aree in cui
hanno circolato.
http://www.treccani.it/enciclopedia/favola/

LA FAVOLA
Breve narrazione per lo più in versi. Quando si parla di f. come genere
letterario, ci si riferisce comunemente a quella i cui caratteri fondamentali
furono segnati già da Esopo e universalmente diffusi da Fedro: essenziale è
che essa racchiuda una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica
e che vi agiscano (a volte insieme a uomini e dei) animali o esseri inanimati,
sempre però tipizzazioni e quasi stilizzazioni di virtù e di vizi umani. Da
notare però che l’animale perde talvolta, e sempre più frequentemente
quanto più ci si avvicina ai tempi moderni, ogni caratterizzazione
psicologica peculiare, diventando semplice pretesto per introdurre la
conclusione morale. È difficile distinguere la f. dall’ apologo, se non forse
per il fatto che in questo possono agire anche solo uomini e il fine morale è
assolutamente predominante, sì che non si ha neppure il tentativo di
personalizzare i protagonisti; similmente è difficile distinguere l’apologo
dalla parabola, se non per il fatto che quest’ultima parola è ormai riservata
agli apologhi evangelici. Possibile invece, e necessario, distinguere la f.
dalla fiaba anche se il confine tra esse è incerto, tanto che le due parole
sono talvolta impropriamente usate l’una invece dell’altra.

http://www.treccani.it/enciclopedia/novelle-e-racconti_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/ù

NOVELLA E RACCONTO

Il piacere della brevità

Narrazione breve in prosa, di argomento vario, la novella ha origini antiche


e difficilmente identificabili. Nel corso dei secoli ha condensato attitudini,
umori, immaginario di società e culture quanto mai diverse. In età moderna
il genere novellistico è stato soppiantato da quello del racconto, ancora
oggi molto diffuso nell’ambito della narrativa mondiale

Le origini

Cercare di definire questo genere letterario dalle molteplici caratteristiche


non è facile. Qualche indicazione viene dall’etimologia della parola: novella
significa «nuova» cioè notizia, vale a dire qualche cosa che riporta o
descrive la realtà, e in quanto tale viene espressa con uno stile
necessariamente essenziale. Pertanto essa è generalmente una narrazione
breve, per lo più in prosa, che presenta personaggi umani e contenuti
verosimili, ma non storici e quasi sempre senza finalità morali.

L’origine della novella deve ben poco all’area occidentale: nella letteratura
greca e latina si possono solo intravedere tracce di quello che sarà il suo
sviluppo. Gli esempi più interessanti sono quelli greci delle Favole
milesie risalenti ad Aristide di Mileto (scrittore vissuto nel 2° secolo a.C) e
quelli latini delle Metamorfosi di Apuleio e del Satyricon di Petronio. Nelle
opere citate le novelle sono narrazioni brevi e marginali che si inseriscono
nel racconto principale; in esse già compaiono quegli argomenti erotici che
verranno sviluppati nelle novelle medievali: il marito ingannato, l’infedeltà
della donna, e così via.

Le raccolte più antiche di novelle, di carattere fantastico e avventuroso,


provengono invece dall’Oriente: dall’Egitto, dall’area babilonese, e
soprattutto dall’India, dove fin dal 4° secolo d.C. furono elaborati
il Pancatantra e il Sukasaptati. La prima è una raccolta di storie per lo più di
animali, sul modello delle favole di Esopo; nella seconda un pappagallo
racconta ogni notte una storia alla moglie del suo padrone per distoglierla
dall’adulterio. Buona parte di questo ricchissimo patrimonio dai caratteri
simili a quelli della favola confluì nella celebre raccolta di novelle
arabe Mille e una notte.

http://www.treccani.it/enciclopedia/romanzo/

ROMANZO

Narrare vicende, costruire intrecci

l romanzo realizza un’attitudine propria dell’uomo: quella di raccontare. Ma


affinché sia possibile parlare di romanzo è necessario che la narrazione sia
presentata con un intreccio, con una sequenza logica. Anzi l’abilità del
narratore emerge proprio dal modo in cui questi riesce a legare tra loro gli
eventi narrati secondo una precisa coerenza. Affermatosi nel corso del
Seicento, il romanzo ha conosciuto nei secoli successivi una crescente
fortuna, diversificandosi in numerosi generi, facendosi testimone e
portavoce dei temi sociali o individuali all’epoca più urgenti, elaborando la
propria forma e struttura in funzione delle diverse finalità

Dalle narrazioni in versi al romanzo moderno

La parola romanzo deriva dal termine del francese antico romanz con cui si
indicava una qualsiasi lingua volgare derivata dal latino. Già all’inizio del
12° secolo con romanz si definisce pertanto un testo scritto in lingua
volgare, e in seguito anche un’opera narrativa volgare in versi: sia i romanzi
medievali francesi sia i nostri romanzi cavallereschi sono infatti scritti in
versi. Successivamente il romanzo adotta la prosa. Nelle letterature
moderne e contemporanee, esso finisce così per indicare un
componimento letterario in prosa che si afferma nel corso del Seicento e
che raggiungerà il suo massimo sviluppo due secoli più tardi.
L’origine del romanzo moderno corrisponde all’affermarsi di una scrittura
non retorica né altisonante, funzionale a profonde trasformazioni sociali ed
economiche che attirano sempre più l’attenzione di scrittori e pubblico
sulle questioni sociali. La prima opera di questo genere è il Don
Chisciotte (1605) di Miguel de Cervantes. In esso si affermano alcune
caratteristiche che segnano una netta differenza dal romanzo medievale:
l’interesse per le vicende quotidiane e per la psicologia dei personaggi,
l’adozione di uno stile medio – lontano da quello alto dell’epica – e la
mescolanza di elementi seri e comici.

La rappresentazione della realtà

Una più attenta rappresentazione della realtà si avrà in Inghilterra tra la fine
del Seicento e l’inizio del Settecento; l’affermarsi di nuovi modelli di vita
legati alla società mercantile e proto-industriale inglese favorisce l’interesse
per alcuni temi di cui il romanzo si fa portavoce: arricchimento e povertà,
spregiudicatezza e arrivismo sociale, avventurosa scoperta di nuovi mondi.
Principali interpreti di questa realtà sono gli scrittori Daniel De
Foe (Robinson Crusoe, 1719, e Moll Flanders, 1722) e Henry Fielding, che
ambienta il suo capolavoro, Tom Jones (1749), nell’Inghilterra rurale e che
affronta il tema del matrimonio e della famiglia in Amelia (1751).

L’interesse del pubblico per gli argomenti affrontati rende sempre più
popolare questo genere narrativo, che inizia ad assumere forme diverse
assorbendo differenti tipologie narrative. Si diffonde il romanzo allegorico-
filosofico che – come nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift o
nel Candide (1759) di Voltaire – diviene uno strumento di confutazione
intellettuale di teorie pedagogiche, sistemi filosofici e ideologie politiche.
Jane Austen, autrice di Orgoglio e pregiudizio (1813), inaugura invece il romanzo
d’ambiente che rappresenta in particolare contesti familiari o circoscritte
realtà di provincia.
Pamela (1740) di Samuel Richardson dà forma alla tipologia narrativa
del romanzo epistolare, in cui la vicenda viene narrata attraverso le lettere
scambiate tra due o più personaggi. Si distinguono, infine, per originalità le
opere di Laurence Sterne che, con La vita e le opinioni di Tristram
Shandy (1760), rinnova gli schemi della narrazione tradizionale.

IL TESTO POETICO

http://www.treccani.it/enciclopedia/poesia_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

POESIA

La musica del linguaggio

Nata prima dell’invenzione della scrittura e presente in tutte le culture di


tutte le latitudini, la poesia è una forma di espressione che si fonda sulle
dimensioni musicali del linguaggio – ritmi, accenti, sonorità – per
trasmettere contenuti ed evocare suggestioni ed emozioni.

Il linguaggio poetico, sia nelle sue forme codificate da secoli sia in quelle
più libere, è in grado di cogliere e di dare voce a esigenze profonde
dell’uomo, mescolando in modo indissolubile scrittura, senso del ritmo,
musicalità della parola e rivelazione di particolari significati
Caratteristiche del testo poetico

https://creativitapuntozero.wordpress.com/materiali-didattici/il-testo-poetico-una-possibile-sintesi/

Il verso

Il verso è l’unità minima che compone la poesia. È costituito da una serie di sillabe, alcune
delle quali sono toniche (segnate cioè dall’accento), mentre altre sono atone (non segnate
dall’accento).

La successione ordinata degli accenti conferisce una cadenza particolare e costituisce


il ritmo del verso.

Esaminiamo, ad esempio, i due versi iniziali della Divina Commedia di Dante:

Nél – méz – zo – dél – cam – mìn – di – nò – stra – vì – ta

mì – rì – tro – vài – per – ù – na – sél – va – o – scù – ra

Gli accenti cadono sulle stesse sillabe (1 – 2 – 4 – 6 – 8 – 10) e ciò determina un


particolare ritmo.

Sono da considerarsi uguali due versi con lo stesso numero di sillabe, anche se
presentano ritmi diversi.

I versi prendono il nome dal numero delle sillabe che li compongono. Chiameremo così:

• binario, il verso composto da due sillabe;


• ternario, il verso composto da tre sillabe;
• quaternario, il verso formato da quattro sillabe;
• quinario, il verso formato da cinque sillabe;
• senario, il verso formato da sei sillabe;
• settenario, il verso formato da sette sillabe;
• ottonario, il verso formato da otto sillabe;
• novenario, il verso formato da nove sillabe;
• decasillabo, il verso formato da dieci sillabe;
• endecasillabo, il verso formato da undici sillabe;
• dodecasillabo, il verso formato da dodici sillabe.

Versi sciolti e versi liberi

I versi sciolti sono versi legati ad altri presenti nella strofe soltanto dalla lunghezza
predeterminata (senari, settenari, endecasillabi ecc.), ma sciolti da qualsiasi legame di
rima. Nell’esempio che segue il metro è l’endecasillabo sciolto.

Muovonsi opachi coi lucenti secchi


gli uomini calmi in mezzo agli orti. Il rosso
dei pomodori sta segreto e acceso
nel verde come un cuore. Ma lontano
il mare con le sue luci d’argento,
che sono le campane del mattino,
chiama alla pesca gli uomini che il vino
del ritorno sognavano fra il lento
ondeggiar delle barche, ridestate
quali uccelli sul ramo. L’altalena
ferma nel buio della villa aspetta
il giorno. E il giorno accorderà le varie
e rumorose colazioni. Io resto
fra tanta luce e battere di panni.
Tre rape mezza mela ed una triste
macchina di cucina vecchia d’anni
sonnecchiano su un tavolo non viste.

(S. Penna, Muovonsi opachi coi lucenti secchi)

I versi liberi sono versi non vincolati ad altri presenti nella strofe né per la lunghezza, né
per un particolare schema di rime né per le combinazioni strofiche.

La luce era gridata a perdifiato


Le sere che il sole basso
Arrossava il petto delle rondini rase
Ora è sempre più viva
Sarà la smania di far notte in me solo
E cercar scampo e riposo
Nella mia storia più remota.
Ogni sera mi vado incontro a ritroso.

(L. Sinisgalli, La luce era gridata a perdifiato)

Le rime

Un altro elemento importante per quanto riguarda il ritmo dei testi poetici è la rima.

Essa consiste nella perfetta coincidenza della parte finale di due o più parole a partire
dall’ultima sillaba accentata.

Ad esempio: altare, mare, cantare, presenza, sonnolenza, indifferenza.

Vari sono i tipi di rima. I più usati sono:

• rime baciate (AA, BB, CC ecc.): la corrispondenza di sillabe a chiusura tra il primo e il
secondo verso, e il terzo e il quarto.

Meriggiare pallido e assorto


presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
(E. Montale, Meriggiare pallido e assorto)

• rime alternate (AB, AB, CD, CD ecc.): la corrispondenza di sillabe a chiusura tra il primo
e il terzo verso, e il secondo e il quarto.

Io voglio del ver la mia donna laudare


ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

(G. Guinizelli, Io voglio del ver la mia donna laudare)

• rime incrociate (ABBA): la corrispondenza di sillabe a chiusura tra il primo e il quarto


verso, e il secondo e il terzo.

Padre del ciel, dopo i perduti giorni,


dopo le notti vaneggiando spese,
con quel fero desio ch’al s’accese
mirando gli atti per mio mal sì adorni.

(F. Petrarca, Padre del ciel, dopo i perduti giorni)

La rima non è solo un ornamento che riguarda il suono, ma fa parte anche del livello del
significato di una poesia: unendo due o più termini, grazie alla loro identità di suono,
finisce anche col metterne in rapporto i significati.

L’assonanza

È una specie di rima imperfetta, con la rispondenza dei soli suoni vocalici, dalla vocale
accentata fino alla fine della parola.

Non è rimasto
neppure tanto

(G. Ungaretti, S. Martino del Carso)

Può anche riguardare la vocale finale e la consonante che la precede; si parla, in questo
caso, di assonanza atona. Ad esempio, amore Æ finire Æ mare.

Le strofe e le combinazioni

La strofe è determinata dalla disposizione delle rime, insieme al numero dei versi e ai tipi
di versi impiegati.

Essa indica il raggruppamento di più versi, ordinati fra loro secondo determinati criteri di
rima e di ritmo.
Vi sono vari tipi di strofe:

• il distico, composto da due versi;


• la terzina, composta da tre versi;
• la quartina, composta da quattro versi;
• la sestina, composta da sei versi;
• l’ottava, composta da otto versi.

Le strofe possono anche avere forme libere e contare numeri di versi variabili come
accade frequentemente nella poesia.

Combinandosi fra loro le varie strofe danno luogo a diverse combinazioni. Le più usate
sono la canzone e il sonetto.

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