Diritto Alla Vita

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legge 194/78

Oggi in Italia la donna può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90
giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dal 1978 questo
intervento è regolamentato dalla Legge 194/78, che descrive con chiarezza le procedure da
seguire in caso di richiesta di interruzione di gravidanza
Il 22 maggio 1978 veniva approvata in Italia la legge che regola l’interruzione volontaria di
gravidanza. Insieme all’abolizione della norma che proibiva la pubblicità e la vendita di
contraccettivi nel nostro Paese (1971) e l’approvazione della legge sull’istituzione dei
consultori familiari (1975), la legge 194 ha rappresentato un importante cambiamento per la
salute riproduttiva delle donne italiane e il riconoscimento dei diritti delle persone in questo
ambito. Obiettivo primario della legge è la tutela sociale della maternità e la prevenzione
dell’aborto attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire
nell’ambito delle politiche di tutela della salute delle donne.
Esistono due tecniche per eseguire una interruzione volontaria di gravidanza:
-metodo farmacologico, con l’uso del mifepristone, che causa la cessazione della vitalità
dell’embrione, e con l’uso del prostaglandine, che ne determina l’espulsione.
-metodo chirurgico, dove l'intervento può essere effettuato, in anestesia generale o locale,
presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale e le strutture private
convenzionate e autorizzate dalle Regioni.
L’articolo 1 afferma: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile,
riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il
controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze,
promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per
evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

legge 40/2004
La Legge 40 Procreazione assistita dal 2004 regolamenta il ricorso a tecniche di PMA
ovvero procreazione medicalmente assistita: si tratta di una normativa che permette
l’accesso a ogni coppia che abbia problemi accertati di infertilità o di sterilità.
Si tratta di una legge importante, che nel corso degli anni ha subito diverse modifiche fino a
raggiungere lo stato attuale.
Possono accedere alla PMA le sole coppie sterili o infertili con componenti maggiorenni, di
sesso diverso e coniugati o conviventi in età potenzialmente fertile. In particolare, ricordiamo
che lo stato di infertilità o sterilità della coppia deve essere certificato dal medico.
A queste condizioni, si è aggiunta una sentenza della Corte Costituzionale del 2015, che ha
consentito l’accesso alla Procreazione assistita per le coppie fertili con malattie genetiche
trasmissibili.
Le tecniche di PMA sono, ancora vietate ai single e alle coppie omosessuali, ed è tuttora
illecita la fecondazione post mortem con spermatozoi di un marito o compagno deceduto.
L'obiettivo perseguito è reso palese dall'art. 1, il quale così dispone: "Al fine di favorire la
soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito
il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità
previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il
concepito".
La coppia deve innanzitutto prestare un consenso scritto congiunto alle informazioni che le
vengono fornite dal medico responsabile della struttura sanitaria alla quale si è rivolta, dopo
il quale devono trascorrere almeno sette giorni prima di compiere l'intervento. Il consenso
può essere revocato sino alla fecondazione dell'ovulo.
Le strutture presso le quali è eseguito l'intervento, poi, possono essere sia pubbliche che
private, ma devono essere necessariamente autorizzate dalla Regione di riferimento e
devono essere iscritte in un apposito registro, istituito presso l'Istituto Superiore di Sanità.